![]() |
![]() |
Tabelle relative al riciclo dei materiali da imballaggio e da raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani (*).
(*) Le tabelle 1/26 sono state fornite dal CONAI (v. Bibliografia).
La Tabella 1 riporta i quantitativi (espressi in migliaia di tonnellate) di rifiuti di imballaggio raccolti dal servizio pubblico ed avviati effettivamente a riciclo, al netto di scarti e di altri materiali. Nella Tabella 2 sono invece riportati i rifiuti di imballaggio avviati a riciclo provenienti da raccolta differenziata pubblica per suddivisione regionale e riferiti al 1999. Per quanto riguarda i valori del dato quantitativo presentati dalla successiva Tabella 3, si sottolinea che l'alluminio viene raccolto esclusivamente su superficie pubblica, mentre, per quanto riguarda il vetro, la previsione dei quantitativi provenienti da superfici private si può definire marginale rispetto ai volumi riciclati provenienti da servizio pubblico. Essi riguardano esclusivamente le bottiglie provenienti dagli impianti di riempimento e dai circuiti a rendere.
Tab. 1. Quantitativi di rifiuti di imballaggio riciclati provenienti da servizio pubblico.
1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | |
t/000 | t/000 | t/000 | t/000 | t/000 | |
ACCIAIO
ALLUMINIO CARTA LEGNO PLASTICA VETRO TOTALE | 2
7 200 78 760 1.047 | 9
12,6 232 40 106 850 1.250 | 45
14,3 290 50 155 882 1.436 | 76
23,0 370 60 221 972 1.722 | 108
26,0 480 80 255 1.085 2.034 |
Fonte: programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti d'imballaggio, Conai, anno 2000.
Panoramica sugli impianti di termodistruzione
1. Stati Uniti d'America.
Fino agli anni '80 negli Stati Uniti d'America venivano bruciati rifiuti urbani tal quali solo al fine di ridurne il volume e senza preoccuparsi di recuperare energia. Dal 1980 si sono programmanti interventi per recupero di energia sotto forma di vapore e di elettricità, Nel 1997 si contavano n. 112 termodistruttori con recupero di energia per una capacità di 101.360 tonnellate/giorno di rifiuti tal quali da trattare mentre solo n. 19 erano i termodistruttori senza recupero di energia in grado di trattare 2.445 tonnellate/giorno di rifiuti solidi urbani. In questi ultimi anni sta crescendo l'interesse di sottoporre a termodistruzione rifiuti solidi urbani non più tal quali ma provenienti da una separazione a monte. È sviluppata la termodistruzione dei pneumatici, del legno, della carta e della plastica per un totale di 2.5 milioni di tonnellate. Oggi il dato consolidato è di 36.7 milioni di tonnellate di rifiuti totali che vengono sottoposti alla termodistruzione, ossia il 17% del totale prodotto.
2. Europa.
Come si è visto, in Europa, in cui si contano 270 termodistruttori, il ricorso alla tecnologia della termodisutruzione con recupero di energia è prevalente rispetto allo smaltimento in discarica. È infatti, come conferma uno studio di Federambiente (1), assai consolidata la filosofia che dal «bene» rifiuto si può ricavare energia da destinare alla produzione di calore da utilizzare con il teleriscaldamento delle città e di energia elettrica da distribuire in rete o per l'autoproduzione.
(1) Federambiente - Osservatorio tecnologico: produzione e gestione dei rifiuti urbani in Austria, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Svezia - Rapporto di sintesi - 1997. Da tale studio si ricava per esempio che la termodistruzione:
in Austria ha buone prospettive di sviluppo e si trova in fase di decollo;
in Danimarca ormai da tempo è in pieno sviluppo (65%) anche perché in quel Paese si è sempre sostenuta la politica energetica nazionale con un forte sostegno all'utilizzo di biomasse e di tecnologie avanzate di abbattimento fumi;
in Francia è applicata su ampia scala e la richiesta di termodistruzione dei rsu negli impianti pubblici è in forte aumento con l'ottica di risparmiare i combustibili fossili;
in Germania è pure in forte sviluppo e supportata da tecnologie di avanguardia sia sulla combustione che sull'abbattimento dei fumi;
in Olanda è anch'essa in pieno sviluppo e come nel caso della Danimarca è ben supportata da una politica energetica nazionale che favorisce l'uso di biomasse;
in Svezia da tempo è in forte sviluppo e si opera con specifiche tecniche assai stringenti ed è molto richiesta la produzione di calore da destinare al teleriscaldamento.
(2) Fondazione Lombardia per l'Ambiente,1996: La termoutilizzazione nello smaltimento dei rifiuti.
In Svezia, dei 21 inceneritori costruiti dal 1968 al 1986 per i rsu 15 sono a griglia mobile, 5 a letto fluido gorgogliante, ed 1 a letto fluido circolante. Vi è da notare che il totale diossine emesse nel 1985 era di 90 TEQ, e che nel 1993 era inferiore a 5 TEQ ossia con una diminuzione del 95%,frutto dell'applicazione di tecnologie e specifiche assai severe. Oggi, sugli impianti nuovi vengono abbondantemente rispettati limiti per le diossine inferiori a 0.1 nanogrammi /Nmc. In Germania già dal 1993 sono operativi n. 49 termodistruttori ed un impianto di pirolisi.
3. La termodistruzione dei rifiuti industriali in Europa.
Sul fronte della termodistruzione dei rifiuti industriali, in Europa vi sono almeno 17 unità assai importanti cui fanno ricorso anche numerose aziende italiane che conferiscono i loro rifiuti attraverso società intermediarie (3).
(3) In Olanda, il forno della società Avr Chemie ha una capacità di 140.000 ton/anno, in Belgio il forno della società Indaver ha una potenzialità di 90.000 ton/anno. In Gran Bretagna operano la società Leigh con una potenzialità di 15.000 ton/anno, la Rechem, con una potenzialità di 70.000 ton/anno e particolarmente specializzata in termodistruzione di policlorobifenili e solventi clorurati, la Cleanaway con una potenzialità di 70.000 ton/anno. In Finlandia opera la società Ekokem, nei pressi di Helsinky con una potenzialità di 65.000 ton/anno. Il sito finlandese è stato oggetto di una visita da parte della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel settembre del 2000. Altre realtà europee sono il forno della società Kommunekemi a Nyborg in Danimarca con una potenzialità di 110.000 ton/anno e con due linee di termodistruzione. In Svezia opera il forno della società Sakab con una potenzialità di 30.000 ton/anno. In Francia vi è una grande concentrazione di termodistruttori per rifiuti industriali che fanno capo al Gruppo Sarp con una potenzialità installata di 500.000 ton/anno, alla Tredi con una potenzialità di 160.000 ton/anno. Si ricorda che il forno Tredi di Saint Vulvas nei pressi di Lione è particolarmente adatto per la distruzione di sostanze organiche clorurate. Vanno anche ricordati i Francia il forno della società Teris con 40.000 ton/anno, e quello della società Sedibex con 30.000 ton/anno. In Austria opera la società Ebs con 90.000 ton/anno. La Germania conta 4 unità importanti: la Steag con 70.00 ton/anno, la Sef con 30.000 ton/anno, la Him con 60.000 ton/anno e la Gbs con 90.000 ton /anno.
4. Aspetti tecnici della termodistruzione.
Si può affermare che con il termine «termodistruzione» si può indicare un insieme di processi termici (4) (5) nel quale le molecole del rifiuto vengono distrutte per via termica sia per semplice riscaldamento che per reazioni chimiche esotermiche.
(4) Istituto per l'Ambiente 1995: Tecnologie per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti di origine industriale, 1 la Termodistruzione, a cura di D.Pitea e M.Giugliano.
(5) Fondazione Lombardia per l'Ambiente 1996: La termoutilizzazione nello smaltimento dei rifiuti.
4.1 La combustione.
Nel processo di combustione le sostanze ossidabili del rifiuto contenenti carbonio e idrogeno e che costituiscono il «combustibile», vengono a contatto con ossigeno o con aria e, in condizioni ottimali di processo, attraverso una serie di reazioni chimiche esotermiche, danno luogo alla formazione di vapore acqueo e di anidride carbonica. Se nel rifiuto è contenuto, cloro, fosforo, zolfo, fluoro, metalli, nel gas finale di combustione si avrà, oltre all'anidride carbonica e al vapore acqueo, anche acido cloridrico, anidride fosforica, biossido di zolfo, acido fluoridrico, ossidi di metalli, ossidi di azoto. Normalmente la quantità di aria (comburente) necessaria alla completa combustione viene detta «stechiometrica» e per ogni chilogrammo di CH2 è richiesta una quantità di 15.7 chilogrammi di aria. Se invece si opera con quantità di aria superiori o inferiori a quella stechiometrica, si dice che la combustione avviene in eccesso o in difetto d'aria. Le combustioni in difetto di aria, in quanto non vi è ossigeno sufficiente per una combustione completa, danno origine a sostanze intermedie di combustione e a monossido di carbonio. Quando si opera con eccessi di aria, la combustione si completa ma, i gas di combustione, sono più diluiti ed inoltre si ha un abbassamento della temperatura rispetto alla reazione stechiometrica. Nei processi di combustione in cui sono coinvolti i rifiuti o comunque sostanze che possono comportare problemi ambientali, occorre che la combustione permetta la massima ossidazione dei componenti il rifiuto e la minima produzione di sostanze inquinanti, dette «microinquinanti» che, anche in bassa concentrazione, interagiscono negativamente con l'ambiente. Ovviamente, un risultato ottimale si ottiene se, oltre al controllo della combustione, l'impianto è dotato di sistemi efficienti di abbattimento delle emissioni.
4.2 La combustione catalitica.
Si parla di combustione catalitica quando una sostanza organica, in presenza di un catalizzatore, viene combusta a temperature di gran lunga più basse rispetto a quelle della combustione normale. Le sostanze usate come catalizzatori possono essere il platino, il cromo, il manganese, gli ossidi di rame. Il platino ha la capacità di abbassare di più la temperatura di combustione. Le temperature in gioco, nella combustione catalitica completa, sono di norma comprese tra 500oC e 550oC. Il processo di combustione catalitica è complesso e comprende la diffusione dei reagenti sulla superficie del catalizzatore, l'adsorbimento di questi sulla superficie, la reazione tra le sostanze adsorbite, l'abbandono della superficie del catalizzatore da parte dei prodotti della combustione e la loro diffusione nei gas finale. La combustione catalitica è utilizzata per la distruzione di sostanze organiche presenti in basse concentrazioni che, in un processo di combustione normale, non sarebbero in grado di sostenere il processo ossidativo.
4.3 La pirolisi.
È un processo di distruzione delle sostanze organiche che avviene termicamente in assenza di ossigeno. I gas della reazione pirolitica sono costituiti da metano, monossido di carbonio, vapore acqueo. Tali gas sono miscele a loro volta combustibili. La pirolisi è un processo assai complesso in cui avvengono reazioni di decomposizione, di cracking esotermiche ed endotermiche ed è controllato essenzialmente da due fattori: la trasmissione di calore, spesso predominante e la velocità di reazione. Un processo di pirolisi generalmente si completa ad una temperatura intorno ai 1000oC con tempi di riscaldamento (più precisamente di pirolisi) che vanno da qualche secondo a qualche decina di minuti. La natura dei prodotti della pirolisi è strettamente dipendente da quella del rifiuto di partenza, dalle temperature raggiunte nel processo e dai tempi di permanenza del rifiuto nel reattore di pirolisi.
4.4 La gassificazione.
Il processo di gassificazione è un insieme di altri processi il cui risultato finale, a partire da un combustibile solido, consiste nella produzione di un combustibile generalmente gassoso o sotto forma di vapore. Il gas prodotto, composto principalmente di monossido di carbonio, di metano e da altri idrocarburi leggeri e di idrogeno, dopo una serie di lavaggi, viene utilizzato come combustibile il cui potere calorifico si aggira intorno ai 1500-2500 kcalorie per normal metro cubo. I processi di gassificazione, di norma, sono condotti in difetto di aria. Quando nel processo di gassificazione si opera a temperature dell'ordine di 900oC -1000oC, aumenta la concentrazione del monossido di carbonio, mentre per temperature intorno ai 700-800 oC prevale la formazione di idrogeno.
4.5 La torcia al plasma o dissociatore molecolare.
Il plasma è un gas ionizzato che costituisce il quarto stato della materia ed è presente in natura, per esempio, quando si verifica il fenomeno dell'aurora boreale. Per produrre artificialmente il plasma si utilizzano le cosiddette «torce al plasma» con le quali si ottengono altissime temperature, fino a 14.000 oC che non è possibile raggiungere con altre tecnologie disponibili. Nelle condizioni termiche che si producono con la torcia al plasma avviene una «dissociazione molecolare» di ogni tipologia di rifiuto sia esso organico che inorganico, pericoloso o non pericoloso. Il processo con torcia al plasma avviene in assenza di ossigeno e non dà luogo quindi a combustione. I tempi della dissociazione molecolare alle alte temperature sono dell'ordine di millesimi di secondo. Se la dissociazione viene accompagnata da aggiunta di quantità precise di acqua, nel reattore si ha la gassificazione istantanea di ogni rifiuto organico in gas di sintesi e si evita cosi la formazione di diossine. Alle temperature in gioco (3000oC) avviene anche la fusione e l'inertizzazione delle specie metalliche tossiche che
5. I sistemi di combustione.
5.1 Forni a griglia.
La combustione dei rifiuti, in particolare di quelli solidi urbani, avviene spesso nei forni a griglia assai diffusi a livello mondiale. La tecnologia di tali forni è ormai consolidata e i miglioramenti possibili attengono alla natura dei refrattari, ai profili fluidodinamici della combustione e all'ottimizzazione della griglia. La potenzialità di tali forni va dalle 40 alle 1000 tonnellate/giorno. L'aria di combustione (primaria) viene iniettata sotto la griglia e quella secondaria sopra il letto del rifiuto per favorirne una più completa distruzione. Spesso la griglia è del tipo mobile e il rifiuto è tenuto in continuo movimento. Esistono griglie a rulli e a gradini che assumono diverse configurazioni a seconda delle ditte che le costruiscono: Si hanno così griglie DBA (Deutsche Babcock Anlagen), Von Roll, Martin, Riley etc. In tale forno i tempi di residenza sono normalmente compresi tra 30 e 60 minuti. Una elevata efficienza di combustione si può ottenere valutando bene il carico termico superficiale della griglia e i tempi di residenza non troppo brevi. Importanti sono pure la geometria e il volume della camera di combustione. La natura della griglia, la sua durata, le caratteristiche, sono elementi fondamentali per garantire una buona combustione. Per esempio essa non deve deformarsi con il calore e non deve intasarsi impedendo cosi il passaggio dell'aria di combustione.
5.2 Tamburo rotante.
Si tratta di forni costituiti da un cilindro rotante inclinato da 1 a 3% per favorire il movimento del rifiuto solido. La combustione in tali tamburi avviene per contatto con la parete del forno rivestita con mattoni refrattari. Le scorie di combustione vengono scaricate dall'estremità opposta alla testa di carico del rifiuto. In tali forni non vi è un efficace mescolamento e un contatto sufficiente con l'aria di combustione per cui, a valle della combustione, sono necessari sistemi di post-combustione per migliorare e completare la combustione. Se il flusso del letto di rifiuto e il gas comburente avviene nella stessa direzione si hanno i forni in equicorrente, se i due flussi avvengono
5.3 Letto fluido.
Il forno a letto fluido è costituito da un cilindro verticale in cui il rifiuto da distruggere è tenuto in sospensione per mezzo di una corrente d'aria che attraversa una griglia su cui è posato un letto di sabbia che si mescola al rifiuto in fase di sospensione. Un fattore che regola il funzionamento del letto è la velocità superficiale dell'aria detta anche di fluidificazione che è data dalla portata volumetrica dell'aria divisa per la sezione del letto. La diffusione di tale forno nel settore petrolifero e petrolchimico ora si è estesa anche al settore dei rifiuti urbani, al residual derived fuel (RDF) e si pensa che si estenderà anche al CDR. In tale forno è possibile un miglior controllo degli inquinanti in fase di combustione e una buona flessibilità rispetto al carico che si ottiene con il controllo dell'aria di combustione: Sono poche le parti meccaniche in movimento e vi è un basso contenuto organico nelle scorie. Tra i fattori negativi vi è la possibilità che il letto sinterizzi e si defluidifichi a causa della fusione della sabbia con sostanze basso fondenti presenti nel rifiuto. Il forno può operare a pressione atmosferica o a pressione più alta.Normalmente si preferisce la pressione atmosferica. Esistono anche varianti di forni ricircolanti dove si ha un trascinamento di particolato che viene ricircolato e depositato sul letto dopo essere passato in un ciclone di separazione e prima che i fumi lascino il letto. Ciò consente una turbolenza che evita le disomogeneità del processo e favorisce l'efficienza dello scambio termico. L'alimentazione deve avvenire con pezzature opportune di materiale da 50 a 60 millimetri. Le temperature in gioco sono dell'ordine degli 850oC anche se spesso alla combustione viene associata una camera di post- combustione che porta la temperatura fino a 950-1000 oC. Tali forni operano con eccessi d'aria compresi tra il 20 e il 40 per cento e si possono raggiungere rendimenti termici del 99% dove, per rendimento termico, si intende il rapporto in volume tra la CO2 nei fumi e la somma di CO e CO2.
5.4 Forno a suola a piani multipli.
Tale tipo di forno trova impiego nell'incenerimento dei fanghi con una umidità che si aggira tra il 50% e l'85%. Non si adatta per l'incenerimento di solidi. I piani di tali forni, vere e proprie fornaci, sono variabili tra i 5 e i 12. I fanghi vengono introdotti sul primo piano a partire dall'alto e,tramite bracci rotanti, passano ai piani inferiori successivi. La combustione avviene nei piani centrali del forno con temperature dell'ordine dei 900-1000oC, mentre i gas in uscita hanno
5.5 Camere di post-combustione.
Le camere di combustione, poste a valle delle camere di combustione, vengono utilizzate per completare la combustione dei gas prodotti nella camera primaria. I parametri che di norma sono controllati nella camera di post-combustione sono il tempo medio di residenza dei fumi, la temperatura dei fumi, la turbolenza, il contenuto di ossigeno dei fumi.
6. Le tecnologie di trattamento delle emissioni.
6.1 Filtri elettrostatici.
Nonostante abbiano avuto finora largo impiego, tali sistemi sono sempre di più sostituiti da sistemi filtranti più efficaci ed efficienti per l'abbattimento delle emissioni e il raggiungimento degli standard fissati dalle severe leggi sull'inquinamento dell'aria. Tali filtri permettono la separazione delle particelle solide e liquide dai gas che vengono convogliati in un campo elettrostatico. In tale passaggio le particelle si caricano elettricamente e una volta immerse in un campo elettrico, si raccolgono sull'elettrodo, vengono rimosse e liberano l'elettrodo che raccoglie poi le successive particelle. I vantaggi offerti da tali filtri sono costituiti dalle elevate efficienze di rimozione dell'ordine del 99% anche per basse granulometrie dell'ordine dei 5 microns. Sono anche basse e modeste le perdite di carico in confronto ad altri sistemi di uguale efficienza. Tra i fattori negativi vi è l'alto costo di installazione, il rischio di incendi e di esplosioni e l'impiego di mano d'opera specializzata per le operazioni di gestione e manutenzione.
6.2 Mezzi filtranti.
Sono considerati i migliori sistemi per l'abbattimento delle polveri negli impianti di termodistruzione dei rifiuti. Il particolato presente nei fumi secchi viene catturato aerodinamicamente su mezzi assorbenti costituiti da tessuti o mezzi porosi. Dopo un primo assorbimento si forma uno strato di materiale particolato che funge anch'esso da mezzo filtrante. L'accumulo di particolato, tuttavia, abbassa l'efficienza del mezzo filtrante e provoca perdite di carico che richiedono la rimozione delle polveri stratificate. Normalmente, tali mezzi filtranti, sono costituiti da uno o più comparti distanziati tra loro e aventi forma di maniche o sacchi. I vantaggi di tali filtri rispetto ad altri sistemi simili sono costituiti dalla elevata efficienza, valutata intorno al 99% di captazione per ogni tipo di granulometria. Non vi sono problemi di corrosione né di scarichi liquidi. A volte si utilizzano additivi che vengono iniettati nel flusso gassoso
6.3 Depolveratori a umido.
Si usano quando vengono termodistrutti i fanghi o alcuni tipi di residui industriali. Quando nel gas che contiene le polveri è presente anche un inquinante gassoso solubile in mezzo acquoso, il sistema ad umido è capace di trasferire la massa dell'inquinante nella fase liquida. Il liquido di depolverazione è a volte costituito da goccioline atomizzate stese sulle pareti del condotto in cui transita il flusso gassoso. I depolveratori ad umido più utilizzati sono le torri di lavaggio a spruzzo con anelli o materiali di riempimento fissi o in movimento e i sistemi Venturi. L'efficienza massima si ottiene con il dispositivo Venturi ed è regolata dalla velocità del gas nella parte più stretta del sistema e dal grado di dispersione dell'acqua. La depolverazione ad umido offre indubbi vantaggi in quanto, oltre al trattamento di emissioni gassose, ha buona efficacia anche sulle particelle solide fini, riduce i rischi di esplosioni e di incendio e offre ingombri bassi. Gli svantaggi sono il conseguente inquinamento delle acque e la produzione di fanghi, la bassa temperatura dei fumi che vengono emessi dal camino allo stato molto umido.
6.4 Sistemi di assorbimento.
L'assorbimento di gas e vapori acidi o basici su liquidi è un processo ad umido in cui il liquido esausto può generalmente essere rigenerato in sistemi di deassorbimento rimettendo in ciclo il liquido stesso di assorbimento. Esistono anche processi a secco che utilizzano il calcare, la calce atomizzata per l'assorbimento dei gas. L'efficienza di tali sistemi è alta per gas molto reattivi come per esempio la SO2, l'acido cloridrico, l'acido fluoridrico. I problemi di tali sistemi sono legati allo smaltimento dei prodotti di assorbimento ove questi non possano essere riciclati.
6.5 Sistemi avanzati.
In alcuni impianti complessi di trattamento dei rifiuti per termodistruzione, esiste una serie di configurazioni particolarmente predisposte per l'abbattimento dei microinquinanti in cui sono installati anche altri sistemi per l'abbattimento o la riduzione degli ossidi di azoto. Tali sistemi prendono il nome di SNCR ossia «selective non catalytic reduction» o SCR «selective catalytic reduction».
6.5.1 SNCR.
In camera di combustione viene addizionata urea o ammoniaca o composti ammidici per cui si ha una reazione ad alta temperatura tra gli ossidi di azoto e l'additivo immesso che porta alla formazione di azoto molecolare. Per ottenere la massima efficienza del processo e la minima perdita di ammoniaca (aggiunta in eccesso) occorre ben posizionare gli ugelli di iniezione nelle zone comprese in ben determinati intervalli di temperatura tra 900oC e 1000 oC. Il rendimento di rimozione degli ossidi di azoto può raggiungere valori anche del 70%. È da notare che in tali condizioni, la presenza di ammoniaca comporta anche una riduzione delle diossine a valle della caldaia. Tale fenomeno sembra sia collegato alla inibizione dell'attività catalitica delle ceneri volanti nei processi di riformazione delle diossine a bassa temperatura.
6.5.2 SCR.
In questo caso la conversione degli ossidi di azoto avviene a basse temperature dell'ordine dei 250-350oC, in quanto si utilizzano catalizzatori a base di platino, titanio, vanadio. L'unità catalitica di conversione viene collocata a valle del sistema di depolverazione e assorbimento. In tal modo si ridurranno notevolmente i rischi di disattivazione del catalizzatore. Tale sistema di catalisi incide efficacemente anche sulla conversione di composti organici in quanto, essendo esso in grado di fissare l'ossigeno libero presente nei fumi, innesca reazioni di ossidazione. Le riduzioni degli ossidi di azoto sono intorno all'80%. Se il convertitore catalitico viene inserito a valle di un elettrofiltro, di un lavaggio a due stadi con un condensatore ed un Venturi, si hanno anche conversioni elevate dell'ordine del 90-95% anche per le diossine e furani, il che consente di raggiungere valori di concentrazione residua di TCDD nei fumi inferiori a 0.1 nanogrammi/ Nmc. Nel caso in cui il convertitore catalitico sia posto a valle di un impianto a semisecco con filtro a maniche, il dosaggio di solfuro sodico è efficace per la rimozione del mercurio.
7. Norme tecniche per la realizzazione delle discariche.
La deliberazione del 27 luglio 1984, come prima riferito, detta i criteri tecnici per la progettazione, installazione, gestione, delle discariche controllate per ospitare rifiuti urbani e speciali. La normativa tecnica è derivata da quella dei Paesi del nord-Europa e d'oltre Oceano degli anni '80. Il principio fondamentale che deve guidare chi si accinge a progettare una discarica controllata di rifiuti è quello di prevedere un sistema di impermeabilizzazione naturale a base di argille di determinato spessore o artificiale a base di teli plastici aventi spessori e caratteristiche di resistenza atti ad evitare comunque che, a causa di rotture o fessurazioni del manto, possano insorgere contatti diretti tra il percolato e la falda idrica sottostante. La severità costruttiva delle discariche, secondo la norma italiana, è strettamente connessa con la
Nel panorama internazionale delle tecniche di realizzazione delle discariche controllate va rilevato che, il manuale tecnico «Solid waste disposal facility criteria» redatto dall'EPA - USA nel 1993 e aggiornato nel mese di aprile 1998 come documento EPA 530-R-93-017, è oggi da ritenersi uno strumento assai avanzato da utilizzare da parte di chi è chiamato a normare, progettare, costruire nel settore delle discariche a minor impatto ambientale.
8. Il panorama internazionale delle discariche.
Nel panorama internazionale si evidenzia che il ricorso alla discarica come sistema di smaltimento è ancora assai diffuso e variegato pur con diverse percentuali di utilizzo. Negli Stati Uniti d'America, per esempio, in cui la produzione di rifiuti solidi urbani è passata da 88 milioni di tonnellate del 1988 a 217 milioni di tonnellate del 1997, pur vigendo un approccio di gestione integrata, il ricorso alla discarica controllata (landfill) nei 2200 siti comunali risultava nel 1997 dell'ordine del 45% a fronte di un 27% di riciclo includente il compostaggio e di un 18% di termodistruzione. In Giappone il dato del ricorso alla discarica si attesta mediamente intorno al 25% essendo prevalente la termodistruzione (circa il 73%) e poco praticato il recupero. In ambito europeo la situazione, per ciò che attiene ai rifiuti solidi urbani, a metà degli anni '90 era la seguente:
per cento
discarica |
per cento
termodistruzione |
per cento
altro (tra cui riciclo) | |
Francia
| 50 | 45 | 5 |
Austria
| 45 | 16 | 39 |
Germania
| 45 | 20 | 35 |
Gran Bretagna
| 80 | 10 | 10 |
Danimarca
| 20 | 65 | 15 |
Svezia
| 35 | 55 | 10 |
Olanda
| - | 33 | - |
Belgio
| - | 23 | - |
Svizzera
| 23 | 47 | 30 |
In Italia agli inizi degli anni '90 si avevano valori intorno al 90% per la discarica, al 6% per la termodistruzione e al 4% per il recupero. Dal secondo rapporto sui rifiuti solidi urbani e sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio, elaborato dall'Osservatorio nazionale rifiuti e dall'Anpa e riferito al periodo 1996-1997, si evince che lo smaltimento in discarica si è attestato al 79.9%, la termodistruzione al 6.6%, la produzione di compost e CDR (combustibile derivato dai rifiuti) intorno al 9.4% e gli altri trattamenti intorno all'1.2%.
9. I sistemi di trattamento.
9.1 Il trattamento dei rifiuti solidi urbani.
I rifiuti solidi urbani sono sottoposti a procedure diverse a seconda della loro destinazione. Nel caso dell'avviamento in discarica o alla termodistruzione tal quali (tale pratica è ancora in uso, nonostante la
9.2 Il trattamento dei rifiuti di origine sanitaria.
Ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, i rifiuti di origine sanitaria, subiscono un trattamento di smaltimento definito per termodistruzione preceduto per alcune tipologie da disinfezione. Il decreto attuativo dell'articolo 45, da poco emanato, dà la possibilità di avviare tali rifiuti alla discarica controllata previa sterilizzazione ove il fabbisogno degli impianti di termodistruzione non risulti adeguato. In tal caso però la procedura del conferimento in discarica è subordinata all'autorizzazione del presidente della regione interessata, d'intesa con i ministri della sanità e dell'ambiente. Impianti con tecnologia accettabile sono quelli della ditta Mengozzi di Forlì e dell'Ama di Ponte Malnome a Roma che tuttavia richiedono una più accurata gestione, soprattutto per ciò che riguarda le emissioni di mercurio.
9.3 Trattamento del percolato di discarica.
Il percolato, com'è noto, si forma a seguito delle degradazione fermentativa dei rifiuti organici collocati nella discarica e del dilavamento della superficie esposta dei rifiuti causato dalle piogge che, infiltrandosi nel corpo della discarica, percolano e permeano il corpo stesso raggiungendo poi il fondo. Periodicamente è previsto che il percolato venga allontanato prelevandolo, a mezzo pompe, dai pozzi appositamente installati nella discarica e che vengono alimentati dalla rete di drenaggio presente sul fondo stesso della discarica. Data la composizione chimica del liquido (alti valori di COD e BOD) esso va trattato in impianti di depurazione biologici possibilmente muniti di sezione dei denitrificazione, in considerazione della concentrazione di ammoniaca presente nel percolato stesso.
9.4 Il trattamento dei rifiuti speciali.
I rifiuti speciali comprendono un'ampia gamma di tipologie che va dai rifiuti inerti ai rifiuti speciali pericolosi di origine industriale.
Nel caso dei rifiuti inerti, i trattamenti sono limitati alla frantumazione (seguita in qualche caso da vagliatura e separazione per pezzatura), al bagnamento per minimizzare i problemi di polverosità durante il trasporto e durante l'abbancamento in discarica. Un particolare trattamento subiscono le lastre di eternit che sono miscele di cemento-amianto. Tali lastre una volta, rimosse dai capannoni o da altri manufatti, vengono bagnate, avvolte con teli di plastica, sigillate e conferite nelle discariche, avendo cura di non provocare rotture durante le fasi di abbancamento. Ciò al fine di evitare la dispersione di fibre libere di amianto cancerogeno in atmosfera.
I rifiuti speciali possono essere trattati ai fini di un loro corretto smaltimento o di un loro recupero. Con le operazioni di centrifugazione o filtropressatura effettuate per es. su fanghi della industria petrolifera, chimica, farmaceutica, vengono recuperati prodotti ancora utilizzabili separandoli dalle torte (filter cake) che, dopo successivo trattamento di inertizzazione, vengono avviate alla discarica controllata. Nel settore farmaceutico, dai brodi di cultura o dai liquidi biologici esausti, è possibile recuperare i principi attivi o comunque le specie chimiche ancora utilizzabili, tramite processi di evaporazione, refrigerazione, distillazione azeotropica, cristallizzazione, filtrazione. Nel settore della galvanotecnica e della elettrometallurgia o delle concerie, trovano buona applicazione i processi di neutralizzazione acido-base, della riduzione con agenti riducenti seguita da precipitazione dei sali insolubili, come nel caso dei cromati che sottoposti a trattamento con bisolfito sodico vengono precipitati dalla soluzione come idrossido di cromo trivalente insolubile. Nel settore della galvanotecnica sono anche utilizzati trattamenti di ossidazione con cloro o ipoclorito sodico sui rifiuti che contengono cianuri. Nel settore della metallurgia sono applicati i trattamenti di cementazione ed elettrolisi. Nell'industria chimica il recupero dei solventi dai rifiuti avviene, se economicamente praticabile, per distillazione, strippaggio. Alcuni componenti pregiati di natura organica presenti nei rifiuti possono essere
10. La sperimentazione in Italia.
Oltre alle tecnologie di trattamento dei rifiuti speciali nazionali utilizzate prevalentemente nel settore petrolifero e in quello del recupero dei metalli, vi è da considerare che sono state sviluppate o sono ancora in fase di sperimentazione da parte di Enea, CNR, Pirelli, tecnologie di trattamento dei rifiuti che, in qualche caso, hanno permesso l'ottenimento di brevetti.Per i dettagli vedi allegato.
10.1 Gli impianti mobili Enea per il trattamento dei rifiuti.
Il dipartimento ambiente, divisione tecnologie, ingegneria e servizi ambientali dell'Enea di Roma ha sviluppato una serie di prototipi di impianti mobili utili non solo a sostegno degli impianti fissi ma anche per altri impieghi quali lo smaltimento di rifiuti speciali (teloni di plastica utilizzati in agricoltura e contaminati da antiparassitari, sacchi di plastica sporchi di diserbanti, rifiuti infetti ospedalieri, percolati di discarica etc). Tali impianti, alcuni dei quali ancora in sperimentazione, sono anche utilizzabili nelle operazioni di bonifica dei siti contaminati anche da amianto e per il trattamento «in situ» quando i contaminanti da rimuovere non ne consigliano il trasporto e lo smaltimento in altri siti più o meno lontani. L'utilizzo di unità mobili per il trattamento dei rifiuti o per la bonifica dei siti contaminati è previsto anche dal decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997.
Impianto mobile Focus ex Triter, di termotrattamento dei rifiuti solidi e terreni inquinati da sostanze organiche. Si tratta di un forno a tamburo rotante con potenzialità di 7.65 MW termici. La sezione di trattamento dei fumi è in grado di rispettare i limiti più stringenti della normativa ed è provvista di un sistema di rilevazione in continuo dei macroinquinanti.
Impianto mobile Icam ex Tricem di stabilizzazione e solidificazione in matrice cementizia di rifiuti contenenti amianto. La carica di
Impianto mobile Dedalo ex Triper di trattamento di percolati di discarica di rsu che consiste in una termoconcentrazione, seguita da alcalinizzazione e strippaggio con aria e neutralizzazione finale.
Stazione fissa e mobile ABI 2000. Si tratta di un impianto di
termodistruzione, di cui si sta sperimentando un ossidatore catalitico per l'abbattimento delle emissioni. Ci vorranno almeno altri due anni perché il sistema sia utilizzabile.
Impianto mobile Iris ex Triris di sterilizzazione di rifiuti ospedalieri di reflui urbani e di detossicazione di rifiuti industriali e agroindustriali. Il processo utilizzato è chimico-fisico di inibizione biologica e scissione chimica delle sostanze sottoposte a bombardamento con un fascio di elettroni prodotti da una macchina acceleratrice lineare.
10.2 Processo CNR per l'inertizzazione dell'amianto in fibre.
Con l'entrata in vigore del Dlgs n. 22/97 ed in particolare con il Dlgs n. 389/97 di modifica, tutti i RCA (rifiuti contenenti amianto) possono essere avviati sia in discariche controllate di adeguata tipologia sia in impianti di trattamento e inertizzazione. I trattamenti di inertizzazione hanno lo scopo di bloccare le fibre libere di amianto, di eliminare la pericolosità e quindi quello di declassificare i RCA in maniera da poterli smaltire in discariche di categoria inferiore alla 2C, a costi più contenuti. I processi di trattamento di inertizzazione dell'amianto sono vari e numerosi e vanno da quelli di stabilizzazione e solidificazione a trattamenti chimico-fisici (vetrificazione, vetroceramizzazione etc). Di ciò, ha riferito alla Commissione la dottoressa Marabini del CNR (audizione del 3 febbraio 2000). La Commissione, però, non è ancora venuta in possesso dei disciplinari tecnici, per potere esprimere un proprio giudizio. Il nostro Paese, secondo quanto riferito dalla dott.ssa Marabini, ha diversi brevetti CNR ed ha già approntato i disciplinari tecnici per i trattamenti di vetrificazione e vetroceramizzazione. Di alcuni di tali brevetti è stata data la licenza esclusiva alla società Ecotec di Roma che si appresta a sperimentare un processo di trasformazione in mattoni in un'area del comune di Casale Monferrato sotto la supervisione del CNR e con il contributo economico del Ministero dell'ambiente e della regione Piemonte. Tali processi intervengono sulla natura cristallo-chimica dei minerali di amianto e rendono inerte, in quanto la trasformano, la matrice di amianto. I sistemi chimico-fisici, offrono quindi la possibilità di reimpiego e/o riciclo dell'amianto. Al momento, però, non essendo stati recepiti i disciplinari tecnici nazionali in sede europea, non si può attivare il meccanismo di trattamento ai fini del recupero, ma solo il trattamento al fine di eliminazione della pericolosità con conseguente smaltimento in discarica controllata. Con l'emanazione del decreto attuativo dell'articolo 17 del Dlgs n. 22/97, ossia del DM n. 471/99 sulle bonifiche dei siti contaminati, assumono un ruolo assai importante i
10.3 Impianto sperimentale Pirelli per la produzione di CDR.
È noto come la raccolta differenziata permetta la separazione a monte dei singoli materiali secchi (carta, plastica, vetro, metallo, legno) inviati alle filiere e della frazione umida inviata alla produzione di compost. Il CDR invece è un combustibile derivato dai rifiuti raccolti in maniera indifferenziata, che dopo deferrizzazione sono trattati per vagliatura fino ad ottenere un minimo di frazione organica putrescibile. La frazione umida del trattamento pro-CDR è inviata alla produzione di compost di scarsa qualità utilizzabile per es. per il riempimento di cave e discariche mentre la frazione secca dopo vagliatura viene triturata essiccata e trasformata in bricchette o coriandoli pronti per la termodistruzione con recupero di calore. In Italia non si è ancora sviluppato concretamente il settore della produzione e utilizzo del CDR ma sono interessanti alcune iniziative come quella della società Pirelli di Milano il cui progetto fa ricorso ai pneumatici usati per ottenere un CDR. Il progetto, in fase sperimentale,prevede l'ottenimento del combustibile partendo da una miscela di 500/ton/giorno di RSU tal quale, di 60 ton/giorno di pneumatici fuori uso e di 50 ton/giorno di plastica non riciclabile. I flussi dei prodotti in uscita dal processo sono costituiti da 312 ton/giorno di CDR, di 215 ton/giorno di parte umida organica, di 20.5 ton/giorno di metalli e di 35.5 Ton/giorno di scarti inerti da inviare in discarica. La sperimentazione è stata condotta da Enea nel luglio del 1997 e garantisce anche il rispetto delle emissioni di microinquinanti in atmosfera. La Pirelli stima che per produrre «CDR Pirelli» siano necessarie 360.000 ton/anno di pneumatici usati che costituiscono il 15% del CDR.Il prezzo del CDR Pirelli a bocca di centrale è competitivo rispetto a quello del carbone.
10.4 Trattamento delle carcasse e delle farine animali.
Il ben noto fenomeno della BSE, o della «mucca pazza», su cui la Commissione sta effettuando un'apposita indagine che sarà oggetto di una relazione a parte, ha notevoli risvolti relativamente allo smaltimento delle carcasse animali e delle farine infette che, per legge, debbono essere avviate alla distruzione. Un impianto oggetto di visita da parte della Commissione nell'area del Consorzio Sisri di Brindisi, per come già riferito nel presente documento, si ritiene sia idoneo sia per le farine, sia per le carcasse (anche immesse in grossi fusti metallici) sia per grassi animali a diverso grado di viscosità. È stata
11. Trattamenti di bonifica. (*)
(*) Definizioni tratte prevalentemente dal manuale Unichim n. 175, edizione 1994.
11.1 Air sparging
Tale tecnologia consente di immettere aria compressa nella zona satura del suolo, al di sotto del livello contaminato.Tale tecnologia generalmente abbinata alla ventilazione del suolo, fa si che l'aria contaminata venga rimossa e trattata prima che migri verso manufatti vicini e che possa contaminare la zona vadosa (zona insatura superficiale). Con tale sistema possono essere estratti dal suolo gli inquinanti più volatili quali MTBE (metil-terziariobutil etere), alcooli, componenti leggeri delle benzine e BTEX (benzene, toluene, etilbenzene, xileni).
11.2 Biobonifica on site tramite immissione di funghi.
Immettendo particolari funghi in un terreno contaminato si possono degradare gli idrocarburi pesanti (gasoli pesanti, combustibili, catrami di carbon fossile,olio grezzo, lubrificanti, PCB, solventi clorurati) ed altre sostanze organiche. Si tratta di una tecnologia recente. La scelta del tipo di funghi, sperimentata previamente in laboratorio, è decisiva per la buona riuscita del processo degradativo. La funzione dei funghi è quella di produrre degli enzimi extracellulari che sono in grado di rompere le complesse molecole degli idrocarburi pesanti. Gli spezzoni molecolari vengono poi metabolizzati dai funghi e dagli altri microrganismi presenti nel suolo con sviluppo finale di acqua e anidride carbonica.
La bioremediation è una delle più promettenti tecnologie per risolvere i problemi della contaminazione dei suoli da sostanze pericolose in quanto utilizza batteri o funghi in grado di trasformare la sostanza organica in anidride carbonica ed acqua. L'utilità di tale tecnologia consiste nel fatto che i contaminanti, nella gran parte dei casi, vengono biodegradati nello stesso posto, senza trasferimento di materiali in altro sito e che i batteri utilizzano la stessa sostanza contaminante per il loro nutrimento. Negli USA, dove si sono effettuate da parte dell'EPA (Environmental protection Agency) ricerche approfondite in occasione della grave contaminazione delle coste dell'Alaska causata dalla perdita di petrolio grezzo della Exxon Valdez, fino a qualche anno fa, l'utilizzo della bioremediation, era piuttosto limitato proprio per la non chiara conoscenza dei processi biodegradativi in campo, per alcune applicazioni improprie che si erano constatate, per la necessità di ingegnerizzazione del processo e per la esigenza di disporre di procedure di attento controllo.Recentemente si sono avute esperienze assai positive di bioremediation in Olanda, Francia, Germania, e Austria. La tecnologia della «bioremediation» può essere applicata sia in situ che ex situ su terreni a permeabilità medio-alta, ricircolando una soluzione nella zona satura. Tale soluzione contiene nutrienti a base di sali di azoto e di fosforo, microorganismi indigeni (ossia dello stesso suolo) o alloctoni (di altra provenienza) opportunamente selezionati per biodegradare i contaminati organici presenti. La biodegradazione avviene in presenza di ossigeno. In alcuni casi, in presenza di metano, si ha una biodegradazione anaerobica. In tali condizioni, la sostanza organica, si biodegrada fino ad anidride carbonica e acqua. I vantaggi della bioremediation sono quelle della versatilià ad essere applicata a ogni tipo di sostanza organica biodegradabile: idrocarburi, sostanze organiche non alogenate, con rendimenti molto alti. Gli svantaggi sono: la indefinibilità a priori dei tempi di degradazione, a causa della estrema variabilità delle condizioni di attività dei microrganismi, i valori estremi di pH del suolo contaminato, la presenza di metalli pesanti e/o di sostanze chimiche tossiche. La bioremediation ha scarsa efficacia su terreni a bassa permeabilità che rendono difficile la veicolazione delle soluzioni nutrienti. Nel caso dell'utilizzo di batteri alloctoni, preparati per es. in laboratorio, occorre valutare attentamente gli effetti indotti dalla eventuale presenza di microroganismi opportunisti o patogeni che, se sfuggono in falda, possono provocare seri problemi di contaminazione biologica del mezzo idrico. La biobonifica ex situ può comportare la modifica delle caratteristiche tessiturali del suolo (bioslurry, bioremediation on pile, landfarming). Come mezzo di ossidazione si può usare ossigeno, aria mediante compressori o miscelatori, acqua ossigenata, mediante iniettori. È da tenere presente che nel nostro Paese si è finora applicata tale tecnologia, in assenza di regole tecniche ben precise con grave pregiudizio per l'ambiente e la salute dei cittadini. Non è escluso, infatti, che già si siano verificate contaminazioni della falda, in considerazione soprattutto che i controlli da parte degli organi preposti non solo sono carenti, ma se anche vi fosse l'auspicata attenzione e frequenza di intervento, non potrebbero essere condotti in maniera
11.4 Capping (isolamento superficiale).
Nei casi di siti contaminati, in attesa di bonifica al fine di evitare il dilavamento degli inquinanti nel suolo da parte della infiltrazione delle piogge o nel caso di una discarica esaurita, si effettua il capping o isolamento supeficiale. Per effettuare il capping si possono utilizzare argille o materiali plastici sintetici. Con il capping, oltre a limitare l'infiltrazione delle acque di pioggia, si minimizza o elimina la migrazione degli inquinanti per capillarità. Inoltre il capping favorisce la crescita di coperture vegetali, la resistenza alla erosione, la prevenzione delle fessurazioni per essiccamento, il controllo della fuoriuscita del biogas, una maggiore resistenza ai fenomeni di gelo-disgelo.
11.5 Cementazione in situ mediante iniezione e mescolamento.
La cementazione per mezzo di mescolamento o di iniezione nel sito contaminato di sostanze in grado di immobilizzare gli inquinanti presenti è materia che attiene agli interventi geotecnici in cui vi è una buona esperienza nel nostro Paese. La tecnologia consiste nel miscelare composti chimici speciali o tradizionali (cemento, calce, fly-ash, bentonite, etc) con la massa dei rifiuti o del terreno contaminato utilizzando metodologie differenti quali la miscelazione con eliche, la iniezione per permeazione o claquage, il trattamento di jet-grouting. La tecnologia della cementazione è utilizzata per il consolidamento di terreni e scavi tramite perforazioni verticali finalizzate a realizzare colonne di materiale che si intersecano l'una con l'altra. La limitazione di tale tecnologia consiste nella disuniformità del trattamento e nei costi elevati. È necessario, quando si applica tale tecnologia, che si verifichi la propagazione della miscela, per mezzo di scavi o trincee.
11.6 Sistema di contenimento perimetrale.
Il sistema di contenimento perimetrale o di isolamento delle pareti viene utilizzato per impedire o ostacolare la percolazione di inquinanti da una zona contaminata e per impedire il contatto tra la massa inquinata e la falda idrica sottostante. I sistemi di contenimento perimetrali sono generalmente di due categorie: barriere ad inserimento
11.7 Desorbimento termico di suoli contaminati. Le tecnologie di desorbimento termico comprendono una pluralità di processi di vaporizzazione di sostanze organiche volatili o semi-volatili da suoli contaminati o da fanghi. Il processo di desorbimento termico deve essere condotto in maniera tale da evitare la combustione dei contaminanti nell'unità primaria. Una volta estratti, i vapori delle sostanze organiche, si avviano ad un post-combustore oppure vengono condensate per un eventuale riutilizzo. Le polveri e il particolato derivanti dal desorbimento sono controllati con cicloni, filtri a tessuto, o scrubber del tipo venturi. Se nel vapore sono presenti sostanze acide, lo scrubbing ad umido avviene in presenza di alcali. I vapori, oltre che condensati, possono essere assorbiti su carbone attivo. Il desorbimento può avvenire per riscaldamento diretto (per es. in tamburo rotante), per estrazione e riscaldamento indiretto, per estrazione con vapore «in situ» (per mezzo di tubi e iniettori di vapore e aria calda).
11.8 Estrazione con solvente.
È una tecnica di pretrattamento per la bonifica di terreni con permeabilità medio-alta. L'estrazione con solvente agisce sulla zona satura del suolo, produce contaminanti in alta concentrazione, materiali solidi e acqua. Il solvente impiegato separa i contaminanti oleosi dai terreni e dai fanghi, riducendo il volume del suolo che verrà successivamente trattato. Il solvente nelle applicazioni pratiche viene miscelato al suolo, poi viene separato e riciclato. Al solvente a volte si aggiungono delle sostanze tensioattive per aumentare la rimozione dei contaminanti. La scelta dei solventi va previamente definita con prove di laboratorio.
11.9 Incenerimento o termodistruzione del suolo contaminato.
Viene realizzato con impianti generalmente mobili e consiste nella combustione controllata in condizioni ossidanti. I terreni che vengono trattati per termodistruzione sono quelli contaminati da idrocarburi aromatici, alifatici, aromatici, policiclici, cianuri complessi. I forni sono del tipo a tamburo rotante o ad infrarosso che utilizzano barre a carburo di silicio riscaldate da una resistenza elettrica per generare
11.10 Lavaggio del suolo.
Tale tecnica di pretrattamento si utilizza per bonificare i terreni a medio-alta permeabilità che consiste nel far circolare nel suolo acqua pura o additivata con solventi organici, agenti chelanti, tensioattivi, acidi o basi, con lo scopo di far staccare dalla matrice del suolo una parte del contaminate in modo che passi in soluzione e in modo da separare le particelle fini colloidali dal terreno a granulometria più grande. Una variante è quella di additivare microorganismi e fertilizzanti in modo da associare all'azione di lavaggio quella della biodegradazione.
11.11 Separazione elettrocinetica.
È utilizzata per la decontaminazione dei terreni a grana medio-fine e a permeabilità medio-bassa, basata sull'applicazione di un campo elettrico per mezzo di elettrodi infissi nel suolo. La rimozione dei contaminanti avviene attraverso meccanismi di avvezione di tipo elettroosmotico, per diffusione e per migrazione di ioni. L'elettrolisi iniziale dell'acqua genera la produzione di ioni idrogeno ed ossigeno molecolare all'anodo e di ioni ossidrile ed idrogeno molecolare al catodo. Gli ioni idrogeno tendono a migrare verso il catodo forzando per attrito viscoso anche una frazione delle particelle di acqua che si oppongono al loro moto. Al catodo si produce quindi un flusso d'acqua di tipo avvettivo (flusso elettroosmotico) che si sovrappone a quello naturale od eventualmente forzato per via idraulica. Altri processi elettrochimici avvengono oltre a quelli descritti e portano alla acidificazione del suolo. La tecnica è utilizzata per la rimozione di cationi metallici inorganici da terreni argillosi e limosi con una efficienza di rimozione che va dal 75% al 95%. La tecnica è applicata anche per terreni contaminati da rifiuti radioattivi. È necessaria una sperimentazione preliminare in laboratorio. Sia gli anodi che i catodi, tra loro interconnessi, formano due sistemi di circolazione separati eventualmente riempiti con soluzioni chimiche a base di agenti complessanti o di solventi, in grado di migliorare l'efficienza del processo nel caso di inquinanti solubili in acqua.
11.12 Steam sparging.
Consiste nella iniezione di vapore nella zona satura del suolo contaminato e viene applicato a terreni contaminati da componenti semi-volatili non biodegradabili, consentendo di aumentare la solubilità del contaminate. Viene utilizzata una miscela aria in pressione- vapore che viene immessa nel suolo per mezzo di un tubo fessurato
11.13 Ventilazione del suolo (soil venting).
Tale tecnica è utilizzata per la rimozione di composti organici volatili (COV) dalla zona insatura o vadosa di un suolo contaminato che abbia una permeabilità medio-alta. Il sistema fa capo a pozzi di aspirazione collegati ad un aspiratore e consiste in un circuito di condotte forate e di collettori che stabiliscono un gradiente forzato di pressione fra zone del suolo. Tale sistema cattura in superficie i vapori e li invia ad un impianto di trattamento dei gas.
11.14 Vetrificazione in situ (Soil vitrification).
Il trattamento del suolo con tale tecnologia provoca la fusione del terreno in situ. Il materiale di fusione non è più dilavabile, ha caratteristiche vetrose simili alle ossidiane dell'isola di Lipari e non cede alcun inquinante. La vetrificazione viene ottenuta infiggendo elettrodi di grafite nel sottosuolo e applicando una differenza di potenziale tra quattro elettrodi. L'elevata resistenza elettrica del terreno genera calore e la temperatura elevata raggiunge i 2000oC a cui il terreno e gli eventuali contaminanti o rifiuti fondono. Il volume del materiale fuso procede dall'alto verso il basso e tende ad interessare anche le zone laterali. Sulla superficie del terreno viene posto un coperchio mantenendo il sistema in lieve depressione per impedire fughe di gas e particelle sospese. Il trattamento riguarda generalmente le zone insature al di sopra delle acque di falda. Per effetto della fusione del suolo la superficie si abbassa per il fenomeno della subsidenza.
11.15 Phytoremediation.
La phytoremediation è una tecnologia che utilizza alcune piante per rimuovere, degradare, stabilizzare sia i contaminanti organici che inorganici presenti nel suolo, nelle acque, nelle acque di falda o nelle acque superficiali. La phytoremediation riguarda un numero diverso di tecnologie. Si ha così per es. la Rhizosphere bioremediation, adatta per la biodegradazione di idrocarburi policiclici aromatici, pesticidi, e altre sostanze organiche, oppure la fitoestrazione di metalli e radionuclidi.
11.16 Pump and treat system.
La tecnologia consiste nel pompare l'acqua di falda contaminata fino alla superficie, nel rimuovere i contaminanti e nel ripompare l'acqua decontaminata in falda o nello scaricarla in acque di superficie. Nel caso di contaminazione della falda da sostanze oleose si utilizzano
11.17 Stabilization and solidification.
È una tecnologia che utilizza sistemi differenti quali il trattamento con bitume, le resine epossidiche, le miscele cemento-bentonite, la calce, additivi complessanti, miscele cementizie a base di silicati liquidi. L'obiettivo di tali trattamenti di stabilizzazione, innocuizzazione, inertizzazione è quello di bloccare le matrici inorganiche e qualche volta organiche solubili, rendendole meno cedibili all'ambiente. Viene applicata generalmente on site o extra situ, rimuovendo il terreno contaminato con escavatori o pale meccaniche. I processi di trattamento per inertizzazione coinvolgono chimismi di complessazione, gelificazione, precipitazione, insolubilizzazione o semplice inglobamento, come nel caso del trattamento con bitumi in cui la fase organica viene complessata dalla cosiddetta «fase maltenica» che è uno dei componenti del bitume. Il risultato dell'efficacia della inertizzazione si verifica con il test di cessione. La normativa nazionale, perfezionata dall'Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) prevede che il test di cessione sia effettuato sottoponendo il rifiuto ( a matrice prevalentemente organica) o il terreno trattato con una soluzione di acido acetico a pH 5.5, per 24 ore sotto agitazione. Alla fine del test l'acqua di leaching viene analizzata per la determinazione dei contaminanti confrontando le concentrazioni con i limiti della tabella A della legge n. 319/76. Se la matrice del rifiuto o del terreno trattato è prevalentemente inorganica, si applica il test IRSA alla CO2 satura con la stessa procedura del test all'acido acetico ma in contenitore chiuso (per mantenere le condizioni di saturazione). Il test di cessione secondo la normativa nazionale vigente viene utilizzato non solo per verificare l'efficacia dei trattamenti inertizzanti ma anche per orientare lo smaltimento nelle discariche controllate.
12. Rating delle tecnologie di ripristino ambientale.
Quando si applicano le tecnologie di bonifica in un sito contaminato, vi è un numero elevato di parametri da tenere in considerazione. Un sistema valido per selezionare le tecnologie è lo strumento dell'analisi di rischio e del rapporto costi benefici. A tal proposito la Commissione economica per le Nazioni Unite ha di recente indicato i parametri che debbono essere esaminati per valutare le tecnologie di intervento assegnando un rating delle stesse sia per gli interventi in situ che per quelli ex situ. Le tavole I e II che seguono riportano tale rating.
radiazioni termiche di lunghezza d'onda nella regione dello spettro elettromagnetico corrispondente al vicino infrarosso. Un impianto mobile sperimentato negli Stati Uniti d'America è quello con tecnologia Shirco. Vengono utilizzati anche i forni a letto fluido o ad arco plasma.
installato di norma al di sotto del limite inferiore della contaminazione.
particolari sistemi detti scavengers in cui vi è installata una doppia pompa. La prima deprime la falda e permette la formazione di un cono di depressione in maniera tale da richiamare l'olio dalla superficie della falda. L'olio raccolto nel cono di depressione, raggiunto un dato spessore, viene aspirato dalla seconda pompa grazie al consenso dato da un sensore a raggi infrarossi.