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3. Le attività illecite e il ruolo della pubblica amministrazione.
Appare necessario sottolineare, a questo punto, come l'incremento delle possibilità di influenza delle organizzazioni criminose nella complessiva attività di gestione dei rifiuti sia necessariamente favorito dall'atteggiamento non sempre limpido e corretto assunto da alcune amministrazioni pubbliche nel momento in cui vengono a confrontarsi con le delicate problematiche connesse allo smaltimento dei rifiuti.
La Commissione ha dovuto più volte registrare nel corso della sua attività condotte gravi tenute da amministratori locali, esemplificative di detto coinvolgimento, a vario titolo, di funzionari del settore, in particolare nelle aree del Mezzogiorno e del sud, ma da cui non sono risultate affatto immuni regioni del centro e del nord del Paese: si passa - e le vicende calabresi ne sono un esempio - dai comportamenti disinvolti o di mera compiacenza di alcuni amministratori ai
casi in cui la loro attività è pesantemente condizionata dalla forte carica intimidatoria che promana dalle organizzazioni criminali operanti sul territorio, sino alle ipotesi di vere e proprie attività corruttive.
In Calabria si sono verificati casi di tale genere soprattutto nell'aggiudicazione di appalti da parte di amministrazioni comunali (come per il servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro); ma non mancano fattispecie in cui le amministrazioni pubbliche procedono all'affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti, anche attraverso la realizzazione degli impianti, a società a capitale misto ovvero ad imprese private, senza procedere ai necessari e dovuti controlli, come è avvenuto nella vicenda relativa all'individuazione e costruzione degli impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti di Rossano Calabro, Reggio Calabria e Catanzaro Lido-Alli, dove, peraltro, è mancato ogni controllo sia da parte del Ministero del bilancio sull'effettivo, corretto utilizzo delle somme Fio da parte delle regioni, sia da parte di queste ultime sull'operato dei comuni.
Sempre in Calabria: a Corigliano Calabro, è stata trovata una discarica dove confluivano i rifiuti urbani e speciali provenienti dai comuni di Corigliano Calabro, Crosia e San Giorgio Albanese, che è risultata attivata senza l'autorizzazione da parte della regione Calabria e gestita in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente, quindi con il coinvolgimento nel procedimento penale (tuttora pendente), oltre che del titolare della discarica, dei sindaci dei comuni che hanno consentito ed ordinato il conferimento presso la discarica abusiva dei rifiuti prodotti nel territorio di propria competenza; nel comune di Acri è stata individuata un'attività di trasporto e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi (in particolare, miscele di solventi polari e di sostanze organiche ad alta concentrazione di cromo e materiale solido costituito da cuoio), effettuata nel corso del 1997.
I rifiuti, trasportati su un autotreno, in parte venivano scaricati su un terreno sito in località Serra Cavallo del comune di Bisignano, in parte smaltiti presso la discarica di rsu del comune di Acri, pur in assenza delle prescritte autorizzazioni regionali al trasporto ed allo smaltimento di tali rifiuti pericolosi.
Va ricordata, ancora, l'operazione che ha portato all'arresto dei gestori di un impianto di smaltimento di rifiuti ospedalieri di Crotone: gli imprenditori realizzavano truffe a danno di aziende sanitarie locali, dichiarando quantità di rifiuti smaltite superiori a quelle effettivamente trattate.
Una vicenda analoga ha interessato la provincia di Reggio Calabria, dove, a seguito di un controllo effettuato dai carabinieri su un furgone della ditta Salvaguardia ambientale di Crotone, è emerso che i colli di rifiuti ospedalieri trasportati erano in numero inferiore a quelli segnalati dai documenti di viaggio. Dalle ulteriori verifiche condotte sulla documentazione di accompagnamento dei colli contenenti i rifiuti, è risultato che ciò si era ripetuto per numerosi trasporti, consentendo alle ditte, incaricate del servizio di trasporto e smaltimento di tali rifiuti dalla Asl 11 di Reggio Calabria, di lucrare con tale condotta truffaldina della notevole differenza tra il caricato ed il documentato, grazie anche al comportamento compiacente di alcuni funzionari dell'ente ospedaliero (inoltre l'incarico alla ditta di trasporto
era avvenuto con provvedimenti di proroga rispetto ad un precedente incarico ormai scaduto).
In Liguria, nella vicenda di Borghetto Santo Spirito risulta coinvolto un ex sindaco nonché socio in diverse aziende di smaltimento; in provincia di Savona sono state rinvenute discariche abusive soprattutto a Cairo Montenotte ed a Magliolo, contenenti ingenti quantità di rifiuti di ogni tipologia, provenienti anche da importanti aziende nazionali.
In Piemonte, è in corso un'indagine presso la procura della Repubblica di Novara, relativa ad attività illecite che vanno dalla raccolta di rifiuti prodotti in Lombardia ed avviati illecitamente in discariche del Piemonte alla gestione illecita di impianti di incenerimento e depurazione delle acque. Tra gli altri, risultano inquisiti il gruppo Acqua dei fratelli Pisante, già coinvolto in iniziative giudiziarie delle procure di Milano, Monza, Catania e Savona; nonché imprenditori, amministratori e politici locali, a testimonianza della rilevanza degli interessi in gioco e dei collegamenti tra settori deviati dell'imprenditoria, della pubblica amministrazione e della politica (per lo più ipotesi di corruzione).
Le vicende relative alle discariche di Peschici e di Cagnano Varano in Puglia sono altri esempi di «cattiva» gestione da parte delle amministrazioni locali: esse non erano autorizzate dalla regione ma erano state create in base all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, con provvedimenti risalenti, rispettivamente, al 1985 ed al 1992. In entrambi i casi è stata riscontrata una totale noncuranza anche per le prescrizioni minime che si dovrebbero in ogni caso osservare. Così pure l'inchiesta aperta sulla discarica ubicata in località «Tavole di pietra» del territorio comunale di Peschici, nelle immediate vicinanze di un comprensorio boscoso, dove i rifiuti venivano sottoposti a combustione causando l'immissione nell'aria di ingenti quantità di fumo maleodorante, ed in ogni caso dannoso all'ambiente ed alla salute pubblica. Tale discarica era, inoltre, priva di qualsiasi tipo di sorveglianza e la mancata periodica copertura dei rifiuti con inerti comportava la diffusione dei rifiuti leggeri fuori dalla discarica, con grave pregiudizio per l'area circostante. Peraltro, la zona ricade nel parco nazionale del Gargano e tali irregolarità hanno causato, nel passato, l'incendio della vegetazione attigua alla discarica.
In Sicilia, si è registrato un uso abnorme dell'autorizzazione di discariche in emergenza (ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 prima e dell'articolo 13 del «decreto Ronchi» poi), che le amministrazioni comunali hanno spesso affidato a ditte non autorizzate, prive dei requisiti di legge ed avvalendosi di trattative private, come testimoniano i numerosi sequestri effettuati dalla magistratura. I procedimenti principali hanno riguardato le discariche di Acireale, Paternò, Mascali, Giarre, Nicolosi, Cesarò, Belpasso, Motta S. Anastasia, Randazzo. In primo grado si sono già conclusi molti processi con sentenza di condanna (discariche di Paternò, Mascali, Giarre).
Un caso particolare è rappresentato dalla discarica di Catania (Grotte San Giorgio), utilizzata sin dal 1983 sulla base di ordinanze contingibili ed urgenti emesse dapprima dal commissario straordinario
del comune di Catania e (dopo circa un decennio di «silenzio» amministrativo) dal sindaco in carica.
La discarica è sita su di un vasto fondo di proprietà della ditta Sicula Trasporti srl, la quale provvede in proprio alla gestione delle fasi di compattamento e seppellimento dei rifiuti. Tali operazioni venivano svolte da oltre dieci anni senza un valido provvedimento autorizzatorio, con modalità assolutamente pericolose per l'ambiente (mancanza di precauzioni per l'inquinamento delle falde, realizzazione di cumuli prospicienti strade di grande comunicazione alti oltre diciotto metri, senza recinzione) e da parte di ditta priva di autorizzazione regionale per la gestione della discarica. Nel relativo procedimento penale di primo grado sono imputati l'assessore alla nettezza urbana e i due gestori della Sicula Trasporti.
I rapporti tra il comune di Catania e la ditta in questione erano regolati fino a tempi recenti da un contratto di diritto privato prorogato sempre tacitamente; oggi sono regolati sulla base di un atto concessorio, il quale tuttavia è all'attenzione della procura in quanto affida ancora una volta la gestione alla medesima ditta non autorizzata e priva dei requisiti di legge.
3.1 Il caso di Portella Arena (ME).
Un discorso a parte merita la vicenda della discarica di Portella Arena, venuta alla ribalta a seguito del nubifragio del 27 settembre 1998, che ha causato un notevole smottamento di terreno dal sito della discarica, congiuntamente a un'inondazione di notevole consistenza; eventi, questi, che hanno determinato la morte di tre persone, trascinate nel torrente Ciaramita con la vettura nella quale viaggiavano, nonché ingenti danni ad un considerevole numero di autovetture e, in definitiva, uno stato di concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità: tutti fatti che appaiono riconducibili al combinato disposto degli articoli 426 e 449 del codice penale.
Risulta, inoltre, da una nota del Genio civile di Messina del 7 ottobre 1998, che si è verificata l'occlusione di un'arcata centrale del ponte della strada statale n. 113 sul torrente Pace, con invasione delle acque fuoriuscite nella carreggiata della sede stradale, nonché di un consistente materiale costituito da scarti, rifiuti e suppellettili vari ai bordi della pista abusiva in alveo che conduce in contrada Marotta.
Nel torrente scorrevano rifiuti di ogni genere (pneumatici, suppellettili varie, ferraglia ed elettrodomestici, massi di cemento enormi e spezzoni di asfalto), nonché materiale solido proveniente dalla discarica di Portella Arena, ubicata immediatamente a monte.
La discarica è risultata, in particolare, non protetta da alcuna opera di presidio o di contenimento; sono apparse inadeguate, se non addirittura assenti, le opere finalizzate alla raccolta, al convogliamento ed all'allontanamento delle acque superficiali che confluiscono dall'esterno verso il corpo della discarica. Come la Commissione ha avuto modo di constatare direttamente, le condizioni sopra descritte non sono affatto mutate e ciò porta a non escludere, in concomitanza di nuove forti piogge, il collasso della zona esterna della discarica, con conseguente occlusione dei materiali franati dell'alveo torrentizio lungo il quale avviene il naturale deflusso delle acque.
Non va peraltro sottaciuto che già nel settembre 1993 gli stessi tecnici del settore ambiente della provincia di Messina, dopo aver posto in rilievo che la discarica è localizzata nell'ambito dell'impluvio del torrente Pace (circostanza di per sé inusuale e censurabile), hanno affermato che «il pericolo di un crollo del fronte con cui avanzano i rifiuti è incombente», ipotizzando che «tra sei o nove mesi il fronte di avanzamento della discarica in assenza di appositi provvedimenti giungerà ad interessare direttamente il torrente Paglierino» con conseguenti problemi di normale deflusso delle acque; in quella sede venivano proposti alcuni interventi assolutamente necessari per una corretta applicazione delle norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, interventi che non risultano essere stati eseguiti.
3.2 Le discariche Andolina e IGM1 di Siracusa.
Sempre in Sicilia, vanno segnalate le vicende relative alla gestione della discarica Andolina nel comune di Melilli (SR) e della discarica Igm1 a Siracusa, di cui la Commissione ha avuto modo di occuparsi direttamente.
La prima è una discarica di II categoria tipo B per lo smaltimento di alcune tipologie di rifiuti speciali, ufficialmente non operativa dal 1o aprile 1998. Il sito era in origine una cava in cui venivano smaltiti materiali di risulta dell'area industriale siracusana. Nulla è a conoscenza della Commissione su operazioni di eventuale bonifica del preesistente sito prima della stesura del manto di discarica.
È emerso che l'autorizzazione all'esercizio della discarica (30 ottobre 1992) riguardava un volume (86.561 metri cubi) in realtà inferiore alla reale cubatura della discarica (circa 120 mila metri cubi), tanto che la ditta, al fine di utilizzare il volume residuo, nel giugno 1995 aveva presentato istanza alla regione, ma la provincia di Siracusa, già nell'aprile 1998, aveva invitato la ditta a sospendere l'esercizio della discarica per il raggiungimento della cubatura autorizzata. Al titolare dell'autorizzazione della discarica (Andolina Giuseppe) subentrava la vedova Rizzo Sebastiana, ma in realtà la Commissione ha potuto accertare che la discarica è gestita di fatto dalla ditta Aprile a mezzo di propri dipendenti.
Nella discarica in questione sono stati sversati rifiuti liquidi ospedalieri ed anche industriali pericolosi, ma nonostante le diffide da parte della regione la ditta ha continuato in tale attività sino alla chiusura del sito, per come è emerso dai certificati di avvenuto smaltimento richiesti sia alla ditta che ai produttori del rifiuto. Inoltre, nel sito di discarica non sono state rispettate le prescrizioni dell'autorizzazione regionale. In particolare: i rifiuti venivano sistemati senza essere sottoposti ad elevata compattazione per evitare fenomeni di instabilità e non venivano ricoperti; il percolato non sempre veniva inviato ad impianti di smaltimento, ma era disperso sulla superficie della discarica con gravi problemi di contaminazione dell'atmosfera. Dagli accertamenti effettuati dalla Commissione è risultato poi che sono state smaltite in discarica tipologie di rifiuti non autorizzate, come oli usati tal quali, o notevoli quantità di legni trattati con
sostanze funghicide e antibatteriche, quali legni da demolizione di barche conferiti dalla società Ecopeco e legni provenienti dall'Enel di S. Filippo del Mela (probabilmente pali della rete elettrica aerea utilizzati nel recente passato e poi dismessi).
Tra i casi più rappresentativi di smaltimenti di rifiuti liquidi avvenuti nella discarica in questione, vi sono quelli di fanghi di alchilazione della raffineria Esso di Augusta conferiti e smaltiti tal quali in discarica dalla ditta Aprile; di fanghi di alchilazione dell'azienda Condea di Augusta; di liquidi oleosi e oli usati nonché di acque di depurazione da varie utenze (autolavaggi, officine) e di fanghi liquidi da impianti di depurazione di acque oleose, questi ultimi conferiti dalla ditta Aprile e prodotti dalla stazione Avio Esso di Catania, dalle officine delle ferrovie dello Stato di Catania e di Palermo, dell'Enel di Termini Imerese; di fondami acquosi di serbatoi di stazioni di servizio carburanti della Esso Italiana, dell'Agip, della Ip (con presenza di benzene), dei quali peraltro manca ogni evidenza analitica; di fondami di olio combustibile denso provenienti dalla Iciom di Catania e dalla raffineria Erg di Melilli e fondami oleosi provenienti dalla raffineria di Milazzo.
Ebbene, la discarica Andolina, pur essendo ufficialmente chiusa dal 1o aprile 1998 per aver esaurito la sua capacità di smaltimento, risultava ancora attiva al 15 luglio 1998 (secondo i certificati di avvenuto smaltimento inviati alle aziende produttrici del rifiuto smaltito in discarica); ancora, il 20 luglio 1998, consulenti della Commissione appuravano che alcuni mezzi di sollevamento terra effettuavano operazioni di rimescolamento e sollevamento dei rifiuti depositati.
La ditta Aprile è anche proprietaria di un impianto di stoccaggio che, al momento della visita dei consulenti della Commissione (aprile 1998) non conteneva alcuna tipologia di rifiuto stoccata, se si eccettuano pochi fusti rinvenuti dai carabinieri sulla Catania-Siracusa, smaltiti abusivamente da ignoti e tenuti in custodia presso lo stoccaggio. In realtà, il vero stoccaggio (non autorizzato) avviene presso l'area di trattamento della ditta Aprile (che non è adeguata allo scopo), in attesa appunto del trattamento stesso. Quanto all'impianto di trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, costituito da un ampio piazzale, da alcuni capannoni e due vasconi (apparecchiature utilizzate per i trattamenti: una centrifuga per fanghi, due betoniere per i trattamenti di inertizzazione equipaggiate con nastri trasportatori e tramogge di carico, una pressa per fusti) la Commissione ha dovuto formulare una serie di rilievi di cui è stato informata la procura di Siracusa, che vanno dall'inadeguatezza del sistema antincendio alla mancanza di un sistema di captazione, collettamento e successiva depurazione di fumi, polveri, odori; ai problemi evidenti di housekeeping, con presenza di zone sporche e contaminate da rifiuti. E, più in generale, alla gestione complessiva dell'intero impianto.
Le vicissitudini della discarica Andolina hanno trovato nella discarica Igm1 un ammortizzatore ed un volano per coprire la parte di smaltimento dei rifiuti prodotti dalle aziende del siracusano e con le quali le ditte Aprile e Nico (conferitori alla discarica) hanno contratti in essere; dopo la chiusura della discarica Andolina, il fatturato della Igm1 ha avuto un'impennata e la tipologia dei rifiuti conferiti è divenuta più varia rispetto agli smaltimenti iniziali.
Una delegazione della Commissione ha fatto visita alla citata discarica il 26 maggio 1998. Nel corso del sopralluogo è emerso che esiste un lago di liquido nero il cui odore lascia pensare a fondami di prodotti petroliferi e oli usati smaltiti tal quali, senza alcuna operazione di trattamento da parte dei produttori o dei trasportatori; i rifiuti non vengono compattatti e sono smaltiti in catalizzatori pulvurulenti, senza alcuna precauzione ed in aperto contrasto sia con le prescrizioni dell'autorizzazione sia con quelle della delibera tecnica; il percolato viene smaltito presso la ditta Aprile dopo un trattamento di inertizzazione che si configura come vera e propria diluizione del rifiuto; vengono smaltiti residui oleosi e oli usati tal quali senza alcun trattamento.
È evidente la non corretta gestione dell'attività di entrambe le discariche, agevolata dalla carenza di controlli da parte degli organi amministrativi. Di tale attività e dei risultati degli accertamenti effettuati, la Commissione ha provveduto a dare notizia alla procura competente di Siracusa, che nel 1999 è intervenuta disponendo il sequestro della discarica Igm1, poiché si continuava ad alimentare la discarica medesima oltre i limiti consentiti. A seguito del sequestro, la ditta avrebbe comunque ottenuto l'autorizzazione a realizzare, in una località adiacente a quella del sito precedente, un altro bacino di discarica, che è entrato in funzione.
Le vicende relative alla gestione delle discariche Andolina e Igm1 che si sono evidenziate, se da una parte sono significative della carenza di controlli amministrativi nel settore, dall'altra tradiscono uno stato di prolungata inerzia della magistratura locale a fronte di illiceità palesi. E anche quando finalmente interviene la doverosa verifica della magistratura, tale azione non investe organicamente il complesso delle attività illecite ma solo singoli profili; non solo, per quanto riguarda la discarica Andolina, l'azione è inefficace giacché interviene solo dopo la chiusura dell'attività dell'impianto per l'esaurimento della capacità ricettiva.
3.3 Le discariche di Cerro Maggiore (MI) e di Monte Ardone (PR).
Va poi ricordata l'inchiesta connessa alla costruzione e gestione della discarica di Cerro Maggiore di cui già la precedente Commissione monocamerale si era occupata. L'organo d'accusa configura a carico di amministratori e componenti del collegio sindacale della Simec spa l'ipotesi della truffa continuata per il conseguimento di pubbliche erogazioni (articolo 640-bis codice penale). Costoro, infatti - con il raggiro di esporre nei bilanci ricavi indebitamente percepiti con aumenti ingiustificati della tariffa di conferimenti rsu e nei piani finanziari prodotti dalla regione Lombardia costi di gestione indebitamente calcolati in eccesso - avrebbero indotto in errore l'ente pubblico sulla determinazione del prezzo di tariffa da corrispondere per il servizio di conferimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili nella discarica di Cerro Maggiore e per i contributi ai comuni di Cerro Maggiore e Rescaldina e alla provincia di Milano. Si sarebbero pertanto dal 1990 in poi procurati l'ingiusto profitto determinato dalla tariffa calcolata in eccesso e dagli indebiti aumenti tariffari conseguiti,
in danno della regione Lombardia e dell'Amsa. Per tale motivo la Commissione tributaria, in primo grado, ha condannato la Simec al pagamento di 64 miliardi di lire, pari alle imposte dirette, comprensivi di diritti e soprattasse, che la discarica non avrebbe pagato allo Stato negli anni 1992 e 1993.
La Commissione ha registrato carenze nel ruolo della pubblica amministrazione anche in merito alla vicenda della progettata realizzazione della discarica di Monte Ardone, in provincia di Parma. Per una più dettagliata descrizione della vicenda si rimanda a quanto già evidenziato nella relazione sull'Emilia Romagna (13): è tuttavia opportuno ricordare che l'avvio della realizzazione dell'impianto ha fatto emergere rilevanti difficoltà ambientali, tra cui la scelta della zona (un calanco) e il passaggio sotto la progettata discarica di un metanodotto. Nonostante tali difficoltà la provincia di Parma ha ritenuto di confermare la sua scelta, ma soprattutto non ha avviato quegli impianti (in primis quello per la selezione della raccolta differenziata) pensati al servizio della discarica ed ora inutilizzati, col risultato che i rifiuti della provincia continuano ad essere smaltiti per lo più fuori ambito.
Più in generale, e riferendosi a tutto il territorio nazionale, la Commissione ha registrato l'esistenza di numerosissimi procedimenti attinenti a varie violazioni del «decreto Ronchi» e, soprattutto, riguardanti delitti di criminalità economica strumentali alla perpetrazione di delitti contro la pubblica amministrazione e di truffa, che hanno per oggetto reati commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in relazione ad appalti per lavori di pulizia, raccolta, trasporto e smaltimento di rsu; in relazione ad autorizzazioni rilasciate per l'impianto, la gestione e l'ampliamento di discariche; nonché per il rilascio di ordinanze contingibili ed urgenti emesse in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge e, conseguentemente, in relazione agli illeciti penali conseguenti al monopolio di fatto costituito in materia.
Il punto di contatto tra queste tipologie e quelle in cui appare evidente l'attività crescente delle organizzazioni criminali anche di stampo mafioso sembra potersi individuare nella gestione del sistema amministrativo locale che, dovendo funzionare come controllo autorizzatorio, in realtà sembra non svolgere con la dovuta intensità tale compito.
Numerose e varie sono state le ragioni che hanno portato a questa situazione. Quella che, a giudizio della Commissione, sembra essere la più rilevante e pregna di significato, è relativa al controllo degli appalti della pubblica amministrazione. Proprio l'assenza dei dovuti, necessari controlli delle amministrazioni pubbliche favorisce e rafforza l'intromissione delle organizzazioni criminali, aprendo il campo alla possibile attività di imprese prive di specifica organizzazione ed esperienza nel settore dei rifiuti e magari costituite artatamente, per lucrare gli enormi guadagni connessi agli smaltimenti illeciti. Si assiste perciò, sovente, alla presentazione di offerte anomale o comunque non fondate su una reale analisi del rapporto costi-profitti, ovvero alla partecipazione alle gare di una pluralità di ditte che sono, tra loro,
direttamente collegate, al di là della titolarità formale, in quanto fanno capo alla medesima compagine, che è solita operare con modalità illecite; in alcuni casi, addirittura, le imprese aggiudicatarie dell'appalto si servono, per l'intero svolgimento del servizio, di altri soggetti, che operano in modo illecito, dando luogo a smaltimenti incontrollati, con gravissime ripercussioni sulla situazione ambientale e danno per la salute pubblica.
Emerge inoltre un ulteriore limite nell'azione della pubblica amministrazione, come si vedrà meglio più avanti a proposito di altre vicende illecite (in particolare quelle legate al cosiddetto «riciclaggio fantasma»): si fa riferimento al mancato o scarso controllo che gli enti locali - produttori dei rifiuti - effettuano sulla destinazione dei rifiuti prodotti. Da un'indagine svolta dalla Commissione su tutti i comuni italiani (14) è infatti risultato che questi, nel 47,2 per cento dei casi, richiedono il certificato di avvenuto smaltimento, mentre alcuni comuni si accontentano del duplicato del documento di trasporto.
La debolezza del sistema contribuisce di fatto a che mafia, 'ndrangheta, camorra e le altre organizzazioni similari occupino - anche in questo settore - tutti gli spazi da cui è possibile trarre una utilità, ponendosi come forza mediatrice fra autorità locali e società, tra mercato e Stato. Questa «vocazione imprenditoriale» delle organizzazioni mafiose spiega perché esse orientino il loro campo di azione sulle opportunità che, nel tempo, i vari mercati offrono. Così la mafia approda ai rifiuti non appena si manifesta una crescita economica del settore, impadronendosi di alcuni snodi fondamentali ed impedendo che tale crescita si trasformi in sviluppo vero e proprio, poiché va a stravolgere le regole del mercato legale.
Un altro interessante fronte è quello che si può ricavare dal ricorso alle relazioni ex articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, e da tutte le altre ipotesi di relazioni prefettizie per lo scioglimento dei consigli comunali. Dagli atti acquisiti dalla Commissione si evince con chiarezza come il fenomeno del condizionamento degli appalti di gestione, realizzazione ed utilizzo delle discariche e, in genere, dei servizi di raccolta dei rsu, sia diffuso e come lo stesso sia stato segnalato nell'ambito delle procedure di scioglimento dei consigli comunali.
Da questo punto di vista, la Commissione invita gli enti locali a mettere in atto tutti i possibili strumenti di vigilanza, in vista della modifica alla normativa che regola i servizi pubblici negli enti locali; in particolare, le novità previste riguardano il servizio di raccolta rifiuti, che non potrà più essere gestito «in economia», ma dovrà essere dato obbligatoriamente in appalto. Esiste evidentemente il rischio - alla luce anche di quanto descritto sin qui - che le aziende collegate alla criminalità organizzata impongano i loro «servizi» agli enti locali; specie nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa dovranno quindi essere attivati strumenti nuovi, prevedendo anche l'impiego delle prefetture per il controllo della reale titolarità delle aziende che si presenteranno alle gare d'appalto.
La grave situazione descritta condiziona, inevitabilmente, le possibilità di sviluppo di un mercato legale in grado di rispondere positivamente alla necessità di garantire un efficiente servizio ai cittadini e alle imprese.
È necessario, pertanto, andare avanti in un'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, le quali in molti casi - e lo vedremo meglio in seguito appaiono purtroppo più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso, nonché di recupero del controllo del territorio da parte degli enti locali, dotati di uffici e servizi qualificati, adeguati all'ampiezza del territorio ed alla popolazione, poiché la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.
3.4 La discarica di Pitelli.
I lavori svolti dalla Commissione sulle vicende legate alla gestione della discarica di Pitelli dimostrano proprio la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo e la necessità di un loro pronto recupero, se si vuole evitare che episodi così gravi e con effetti devastanti sull'ambiente possano ancora ripetersi.
Il procedimento penale sulla discarica e gli impianti di Pitelli, pendente presso la procura del tribunale di La Spezia, trae origine da un'inchiesta avviata dalla procura di Asti, che perseguiva un'attività truffaldina legata al ciclo dei rifiuti in cui sono coinvolti numerosi personaggi del settore, tra cui il titolare degli impianti di Pitelli, Orazio Duvia, consigliere d'amministrazione della società Sistemi ambientali srl, amministratore unico della Contenitori trasporti spa e socio di fatto della Ipodec srl, tutte società che operano a La Spezia nel ciclo dei rifiuti.
L'attività illecita consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe a danno di enti pubblici e privati, ai quali venivano fatturati costi di smaltimento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico-nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, cominciate nel 1975 (quando cioè nasce la discarica), erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario.
Lo stato di degrado dell'area di Pitelli - verificato anche dalla Commissione nel corso di un sopralluogo - è tanto grave da aver determinato l'intervento del legislatore, con la previsione dell'inclusione del sito tra quelli ad alto rischio ambientale, per i quali sono previsti finanziamenti statali per le opere di bonifica.
A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi acquisiti dalla Commissione (ed esposti analiticamente nel documento sull'area di Pittelli predisposto dalla Commissione (15), cui si fa rinvio) le illegalità commesse dai vari organi amministrativi competenti al controllo sulla discarica e sugli impianti. Già il primo atto, vale a dire la concessione
edilizia per la realizzazione della discarica, pare viziato da irregolarità, poiché l'utilizzo dell'area non poteva essere consentito, in quanto il piano regolatore ne prevedeva l'uso in parte quale zona panoramica ed in parte quale zona per l'edilizia economica e popolare. Tutti gli atti amministrativi successivi al 1979 riposano su tale vizio di fondo, che in seguito viene addirittura rilevato e non preso in considerazione. Intanto, nel sito della discarica e degli impianti, avvengono sversamenti continui di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi per circa un ventennio, causando uno stato di inquinamento notevole ed esteso sia alle acque sotterranee alimentate da falde superficiali che a quelle alimentate da falda profonda.
Il comportamento spregiudicato ed arrogante della pubblica amministrazione si spinge sino ai tempi più recenti: è del settembre 1995 (quando è già avviato alla procura presso il tribunale di La Spezia un procedimento, poi confluito in quello attuale, in cui veniva disposta una consulenza per accertare la legittimità dell'operato dei vari organi comunali, provinciali, regionali preposti ai controlli) la delibera regionale di approvazione del progetto di variante, che modifica la categoria della discarica in II B super, così autorizzandosi il conferimento di rifiuti che producono un eluato dieci volte superiore ai limiti della «legge Merli»; addirittura, nel giugno 1998, interviene un atto della regione Liguria che diffida la Sistemi ambientali dal concedere disponibilità di accesso al proprio impianto per lo smaltimento dei rifiuti ad aziende non autorizzate, che appare incomprensibile dal momento che l'impianto era fermo dal novembre 1996, cioè dal momento dell'intervenuto sequestro giudiziario dell'intera area.
Va poi evidenziato che nella vicenda non sono mancate infiltrazioni della criminalità organizzata del casertano, rese evidenti dalla partecipazione alla Contenitori trasporti, nei primi anni novanta, di soggetti amministratori della società che sono stati coinvolti nell'indagine «Adelphi» condotta dalla procura distrettuale di Napoli (16). Né ci si può esimere dall'esprimere perplessità per l'assenza (fino ad epoca recente) di un intervento organico da parte della magistratura, nonostante che rapporti delle forze dell'ordine e denunce dei cittadini risalgano già ai primi anni ottanta.
Sono stati numerosi, per la verità, i procedimenti della magistratura che hanno riguardato nel corso degli anni l'attività della discarica di Pitelli, di cui si dà conto nel documento elaborato dalla Commissione, senza che però si riuscisse a cogliere il fenomeno nella sua interezza e complessità. Certamente, ciò è in parte dipeso dall'assenza di coordinamento tra i diversi uffici giudiziari e dal fatto che attività ispettive e di accertamento, specie amministrative, erano fortemente esposte all'opera corruttrice del Duvia, come dimostrano le vicende giudiziarie più recenti. Non può negarsi, però, che l'assenza di un intervento serio ed incisivo rispetto alle vicende di Pitelli, da parte della magistratura spezzina, tradisce ancora quel ritardo culturale nell'approccio alla tematica ambientale che ha causato una minore attenzione verso le problematiche della ricerca e dell'acquisizione della prova delle infrazioni, che già risentono di una legislazione convulsa, ancora
frammentaria e spesso confusa; nonché dei limiti che alla ricerca ed acquisizione della prova discendono dalla natura prevalentemente contravvenzionale dei reati ambientali, come la Commissione ha più volte rappresentato agli organismi di indirizzo politico.
(13) V. doc. XXIII, n. 32.
(14) Al questionario rispose il 54,3 per cento dei comuni interpellati, rappresentanti il 71,3 per cento della popolazione italiana.
(15) Doc. XXIII n. 28.
(16) V. relazione della Commissione sulla Liguria (doc. XXIII, n. 13).
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