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Doc. XXIII n. 39


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2. La normativa regionale, gli atti di programmazione e la congruità dell'azione amministrativa.

2.1. I rifiuti urbani. La gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Lombardia è disciplinata dalla legge regionale n. 21 del 1993. Questa, abrogando una serie di disposizioni regionali della fine degli anni ottanta (sulla base dei quali, comunque, si fondava una discreta attività di programmazione e gestione del ciclo nella regione), prevede in linea


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di principio che la gestione del ciclo si ispira al contenimento delle quantità prodotte e dei costi di smaltimento, allo stimolo della differenziazione nella raccolta e del riciclo: si tratta in buona sostanza dei princìpi già dettati dalla direttiva 91/156/CEE che poi saranno cristallizzati nel «decreto Ronchi».
Similmente a quanto avviene nell'Emilia Romagna (v. il Doc XXIII n. 32, p. 9), anche la legge regionale lombarda mira a coinvolgere le province nell'attività di programmazione. Se spetta alla regione l'emanazione degli indirizzi e delle linee guida relative al governo del fenomeno (cfr. l'articolo 2, comma 1, lettera a), è compito delle singole province stilare il piano di organizzazione dei servizi di smaltimento, anche se poi questo dovrà essere approvato dalla regione medesima. Probabilmente non si tratta di una sistemazione che rispetta alla lettera l'articolo 22 del decreto legislativo n. 22 del 1997, né tuttavia si può affermare che ne tradisca in alcun modo lo spirito.
La legge regionale n. 21 inoltre si preoccupa di approvare in prima battuta un «programma a breve termine» per i rifiuti urbani e assimilabili (articoli 29 e seguenti, nonché allegato A alla legge). Tale programma - immaginato come sostanzialmente provvisorio rispetto a quelli che provincia per provincia dovranno essere adottati - divide il territorio in bacini e contiene l'indicazione dell'impiantistica esistente e degli interventi da realizzare, dei loro obiettivi e della titolarità della gestione. Nell'allegato B della legge sono contenute le prime linee guida per la redazione dei piani provinciali.
All'articolo 4, la legge regionale n. 21 prevede anche l'istituzione di un osservatorio regionale sulla produzione, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti. Tale osservatorio è stato effettivamente istituito e funziona regolarmente (7).

(7) La Commissione ha acquisito le relazioni dell'Osservatorio relative agli anni 1996, 1997 e 1998.

Va evidenziato, pertanto, che i princìpi contenuti nella legislazione regionale sono ben adeguati e che sono stati anche di grande aiuto alla gestione commissariale della provincia di Milano, tra la fine del 1994 e il 1996.
Con delibera adottata il 19 ottobre 1998, la giunta regionale ha adottato un disegno di legge regionale di modifica e adeguamento della legge n. 21 al decreto legislativo n. 22 del 1997. Il testo è all'esame del consiglio regionale.

2.2. I rifiuti speciali. La Commissione ha acquisito a questo proposito due atti relativi ai rifiuti ospedalieri: una circolare del settore sanità e ambiente della giunta regionale del 1994 e le linee guida emanate dalla direzione generale della sanità della stessa autorità, aggiornate al gennaio 1999. Entrambi questi atti contengono - nel rispetto delle fonti legislative e regolamentari nazionali - prescrizioni e criteri di gestione dei rifiuti sanitari, sia a livello di obiettivi da raggiungere, analisi e classificazione, che di trattamento e smaltimento. Si tratta di atti che nel complesso denotano nell'apparato regionale un buon livello di preparazione e cura gestionale.


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Per quel che riguarda i rifiuti industriali, è in corso di predisposizione un piano regionale che sarà adottato a breve dalla giunta e portato all'esame del consiglio regionale nei primi mesi del 2000.

2.3. L'azione delle amministrazioni provinciali e comunali. Gli enti locali in Lombardia mostrano complessivamente un buon livello di attenzione al problema dei rifiuti. Per un dettaglio della situazione esistente v. infra, paragrafo 3. Tutte le province, tranne quella di Mantova, hanno ad oggi adottato il loro piano di gestione dei rifiuti.

Quanto ai controlli, che già ai sensi dell'articolo 14 della legge regionale n. 21 spettano alle province, nella primavera 1998 la Commissione ha acquisito le risultanze di un rilevamento eseguito dal consiglio regionale circa le verifiche eseguite. Ne è emerso che il sistema dei controlli provinciali è complessivamente funzionante, specialmente nelle province di Lecco, Mantova e Milano. L'anello debole della catena, a questo riguardo, sembra essere quello della capacità delle province di misurare la corrispondenza delle quantità di rifiuto prodotto con quelle di rifiuto trattato e smaltito.

2.3.1. Il caso della provincia di Milano. La situazione della provincia e della città di Milano e le vicende che a suo tempo determinarono una grave crisi nel settore dei rifiuti, con i conseguenti provvedimenti di dichiarazione dell'emergenza e di commissariamento, ed, ancora, le misure intraprese e le scelte politiche adottate rappresentano un caso di grande interesse sul quale la Commissione ha posto un'attenzione particolare.

2.3.1.1. Cenni storici sull'emergenza. La situazione d'emergenza per i RSU fu dichiarata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 novembre 1994. Della stessa data è l'ordinanza con la quale veniva nominato commissario delegato il prefetto Galletto fino al 31 luglio 1995. Successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 1995, veniva disposta la proroga dello stato di emergenza fino al 31 luglio 1996 e nominato commissario il presidente della regione Lombardia con il compito di procedere di intesa con la regione, la provincia ed il comune di Milano. In data 25 luglio 1996 vi è stata un'ulteriore proroga e con ordinanza del ministro dell'interno, delegato per il coordinamento della protezione civile, in data 12 settembre 1996, veniva demandata al presidente della regione Lombardia ed al sindaco di Milano la continuazione dell'attività di commissari delegati.
A tale proposito, è d'uopo ricordare che l'emergenza rifiuti in Lombardia può farsi risalire alla fine degli anni ottanta con l'entrata in vigore della legge regionale n. 42 del 1989. Le disposizioni in essa contenute, infatti, non prevedendo alcuna partecipazione dell'ente locale alla localizzazione degli impianti, sostanzialmente introducevano una gestione meramente privatistica delle attività connesse allo smaltimento dei rifiuti, consentendo, di fatto, il formarsi di cartelli monopolistici per la gestione delle varie fasi del ciclo.
Dopo le battaglie ambientaliste dei primi anni novanta ed i conflitti sociali - determinati dalle continue emergenze nascenti dai progressivi


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esaurimenti delle discariche in esercizio e dalla minaccia di apertura di discariche nuove, la cui ubicazione veniva decisa senza le verifiche di impatto ambientale e di salute per la cittadinanza, nonché dalle inchieste sui grandi movimenti di denaro che si muovevano intorno all'affare rifiuti - il governo regionale subentrato nel dicembre del 1992 (in una situazione che di fatto era di emergenza) si è immediatamente attivato, sia per tamponare le situazioni di crisi, sia per dotare la regione di un nuovo strumento normativo che consentisse programmazioni ed interventi più adeguati. La scelta della nuova giunta di respingere la pratica dell'apertura di nuove discariche cominciò a produrre forti tensioni di mercato, con la richiesta da parte degli operatori - atteso lo squilibrio tra domanda ed offerta - di prezzi sempre più alti. Nonostante questo, l'amministrazione regionale riuscì a contenere i disservizi, senza irragionevoli aumenti dei costi e, nel contempo, ad approvare, in tempi assai brevi, la nuova legge n. 21 del 1o luglio 1993 che, come si è già avuto modo di dire, è una delle esperienze più avanzate dal punto di vista delle legislazioni regionali in tema di rifiuti. Con tale legge, infatti, gli impianti tornavano ad essere a titolarità pubblica e veniva introdotto un diffuso sistema integrato di raccolta differenziata e smaltimento; veniva sviluppato il compostaggio e promossa la tecnologia complessa degli impianti; soprattutto era previsto il progressivo abbandono dell'utilizzo della discarica.
È in questo contesto che si colloca la crisi della discarica di Cerro Maggiore con le collegate vicende giudiziarie. In proposito occorre notare che la citata legge regionale n. 42 del 1989 aveva individuato nel sito di Cerro Maggiore l'unica discarica disponibile per la città di Milano, costituendo, di fatto, una situazione di monopolio non facilmente risolvibile né dal punto di vista della resa del servizio, né dal punto di vista giuridico, considerato anche il non chiaramente definito regime dei prezzi da applicare, sostanzialmente demandato ad una squilibrata contrattazione tra le parti interessate (una in posizione di monopolio e l'altra pressata dall'emergenza). Con questa chiave di lettura debbono essere giudicati, ad avviso della Commissione, i provvedimenti contingenti di conferimento, fino all'esaurimento, dei rifiuti nella discarica di Cerro Maggiore e le conseguenti più onerose condizioni contrattuali applicate.

2.3.1.2. La soluzione del caso di Cerro Maggiore. A data odierna, per la citata discarica di Cerro Maggiore, è stato concluso un accordo di programma, stipulato nella forma definitiva in data 14 giugno 1999, tra la regione Lombardia, rappresentata dal presidente della giunta regionale, ed i comuni di Cerro Maggiore e di Rescaldina, rappresentati dai rispettivi sindaci, con l'adesione dell'AUSL territorialmente competente e delle società Calcestruzzi Ceruti srl, OMNIA RES II spa e SIMEC spa. Tale atto è finalizzato alla chiusura definitiva della discarica nonché alla soluzione dei problemi connessi alla richiesta di attivazione del centro commerciale ed alla realizzazione degli interventi di ripristino di adeguate condizioni ambientali e di riqualificazione territoriale del Polo Baraggia nei comuni di Cerro Maggiore e Rescaldina (MI). Sulla base delle risultanze sopra riportate, l'accordo


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di programma sembra debba essere considerato in avanzato stato di attuazione.
L'accordo è strutturato in cinque parti, costituite da dieci articoli: la parte seconda (articoli 4-6) promuove e disciplina l'azione integrata e coordinata degli enti al fine di giungere alla determinazione condivisa e consensuale degli interventi - in capo ai privati che aderiscono all'accordo - necessari al completamento dei lavori di messa in sicurezza, monitoraggio e recupero ambientale della discarica, nonché degli interventi necessari per il ripristino e recupero ambientale dell'area destinata a cava, e degli interventi di riqualificazione ambientale e territoriale del «Polo Baraggia» al fine di assicurarlo alla fruibilità pubblica, oltre che la verifica della compatibilità, anche viabilistica, delle attività del centro commerciale con il territorio. In relazione agli obiettivi generali definiti, individua puntualmente gli interventi di recupero ambientale, nonché la gestione e valorizzazione dell'area dopo la sua riqualificazione, le risorse finanziarie disponibili per la completa attuazione degli interventi previsti ed i tempi previsti per l'espletamento degli impegni assunti.
Da questo punto di vista sono ravvisabili due versanti distinti:

opere che i soggetti privati titolari di concessioni e di autorizzazioni assumono l'obbligo di realizzare, con particolare riferimento all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e recupero ambientale dell'area adibita a discarica, il cui obbligo di realizzazione è assunto dalla SIMEC, nonché gli interventi finalizzati al ripristino ambientale dell'area di cava la cui esecuzione è in capo alla Calcestruzzi Ceruti. L'esecuzione di tali interventi prevede l'adozione congiunta e coordinata di diversi soggetti privati sottoscrittori dell'accordo a seguito delle prescrizioni indicate dai competenti soggetti pubblici;

interventi finalizzati al ripristino di adeguate condizioni ambientali e di riqualificazione territoriale dell'intera area, la cui esecuzione non è assunta dai soggetti privati a seguito dagli impegni sopracitati e che saranno eseguite dai soggetti che aderiscono all'accordo secondo le forme concordate.

Un gruppo tecnico di lavoro, costituito dagli enti interessati, ha predisposto le linee-guida, riportate nell'allegato tecnico dell'accordo di programma, che individuano gli aspetti e gli interventi tecnici proposti per la messa in sicurezza della discarica (8).

(8) V. l'allegato 1.

2.3.1.3. L'uscita dall'emergenza. Nel rimandare anche a quanto esposto al paragrafo 3.1.8, si osserva che già dal novembre 1995, con l'approvazione del piano provinciale da parte della regione, erano state poste le premesse per un ritorno alla gestione programmata ordinaria.
Con il piano provinciale, il territorio è stato diviso in ambiti territoriali, dotati di impianti, esistenti o da realizzarsi. Complessivamente si tratta di cinque inceneritori, quindici impianti di compostaggio, nove di selezione della frazione secca e otto per il suo deposito, oltre alle discariche. La quasi totalità degli impianti è destinato alle


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finalità d'ambito, con l'esclusione del nuovo impianto di termoutilizzazione dell'AMSA di via Silla, prospettato con una potenzialità pari a 1200 tonnellate al giorno (e quindi inquadrato come impianto della rete di soccorso regionale per eventuali quote residue di potenzialità), e dell'impianto di Trezzo sull'Adda, di trattamento della frazione secca e termogenerazione di calore ed energia da RSU e loro frazioni, avente potenzialità indicativa di 400 tonnellate al giorno.

Il ricorso allo smaltimento finale in impianti di scarico controllato è affidato per questa tipologia di rifiuti alle due discariche attive site nei comuni di Vizzolo Predabissi, di cui è tuttavia previsto l'esaurimento in un mese, e di Inzago, che ha una durata di vita stimata attorno ai due anni.
L'amministrazione provinciale si è anche fatta promotrice di azioni di sostegno alle iniziative comunali. Per esempio, negli anni 1995, 1996 e 1997, con delibere del consiglio provinciale, ha stanziato fondi per il finanziamento di iniziative di raccolta differenziata dei comuni della provincia e ha dettato i criteri generali per l'erogazione dei contributi. Nel novembre 1997 ha adottato un programma di sostegno finanziario alle iniziative comunali di «mitigazione e compensazione ambientale» nella gestione del ciclo (8-bis).

(8-bis) Tra gli aspetti che paiono denotare una riacquistata normalità gestionale, vale la pena segnalare anche il sistema di controllo satellitare dell'AMSA. Si tratta di un sistema notevolmente sofisticato con cui il centro di sicurezza dell'azienda municipalizzata riesce a seguire, a scopi di sicurezza, efficienza ed efficacia del servizio, in tempo reale gli automezzi adibiti alla raccolta.

2.3.2. Il caso della provincia di Lecco. Occorre menzionare il caso della provincia di Lecco, dove da molti anni l'insieme dei comuni che dal 1995 costituiscono la provincia ha promosso la creazione di un consorzio di gestione dei rifiuti urbani, il quale a sua volta oggi si è trasformato in società consortile (la SILEA).
Questa attua una politica assai accorta, avvalendosi di meccanismi tariffari applicati ai comuni consorziati. I cittadini continuano a versare ai comuni la tradizionale tassa sui Rsu, ma i comuni nei confronti della società consortile contribuiscono con tariffe, la cui misura è fissata sulla base del livello di «virtù» che riescono a esprimere in termini di raccolta differenziata. È chiaro che poi quanto minore sarà il contributo dovuto alla società consortile per chilogrammo di rifiuto conferito, tanto minore sarà l'aliquota imposta dai comuni ai cittadini. Il consorzio attua anche meccanismi di controllo molto scrupolosi e riesce ad assicurare al territorio provinciale l'autosufficienza di trattamento e smaltimento.
Tutto ciò - com'è evidente - si ottiene solo con una notevole coesione istituzionale e civica. Ne conseguono processi decisionali partecipati e trasparenti. Si pensi che non solo vi è il caso di un consigliere provinciale che è anche consigliere della SILEA, ma che i sindaci dei comuni consorziati sono sempre interpellati in tutte le scelte. Significativo è anche che due comuni, i quali - già partecipanti all'originario consorzio - dopo la creazione della provincia di Lecco


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erano rimasti in provincia di Como, hanno preferito aderire alla SILEA (9). Per le peculiarità tecniche v. infra, & 4.2.

(9) Di rilievo appare anche che la SILEA predispone annualmente (oltre che - ovviamente - il bilancio) una relazione informativa per il pubblico e stampa una news letter.

2.4. L'azione dei comuni: due casi emblematici. Anche in Lombardia, la Commissione ha potuto verificare come spesso, presi isolatamente, comuni più piccoli non sono sempre in grado di gestire e fornire servizi pubblici in modo soddisfacente. Ma questo - si badi - non per cattiva volontà o incapacità professionali, bensì per il fatto che vi sono delle tipologie di servizi che - per essere svolti in modo moderno ed adeguato - devono essere gestiti a livello perlomeno intercomunale e, per le necessarie tecnologie, con il coinvolgimento dell'impresa privata.

Orbene, in questo contesto, i comuni con poche migliaia di abitanti e con entrate e capacità di spesa limitate spesso non riescono ad essere interlocutori adeguati degli altri enti territoriali (tra cui anche i comuni più grandi) e delle concentrazioni imprenditoriali interessate. Della consapevolezza di questo dato è peraltro intriso tutto il diritto degli enti locali, dalla legge n. 142 del 1990 in poi.
La gestione del ciclo dei rifiuti rientra sicuramente in questa cornice di ragionamento.
I casi che si riportano, e che sono venuti all'attenzione della Commissione a seguito di esposti direttamente inviatile, sono testimonianza proprio delle difficoltà che le piccole realtà comunali incontrano nel rapporto con gli altri protagonisti della gestione del ciclo.

2.4.1. Castiglione delle Stiviere. La Commissione si è recata a svolgere un sopralluogo presso la cava Pirossina, nel comune di Castiglione delle Stiviere, a seguito degli esposti fatti pervenire dal sindaco della località e dai sindaci di diversi comuni limitrofi.
La cava, da cui sono stati estratti ghiaia e pietrisco per il rilevato di alcune arterie stradali, dovrebbe essere trasformata in una discarica per rifiuti speciali dalla capacità di circa 1.200.000 metri cubi. Il progetto, approvato dalla regione, vede l'opposizione non solo dei comuni dell'area ma anche della provincia di Mantova.
Secondo quanto hanno riferito i rappresentanti di quelle istituzioni alla Commissione - nel corso di un incontro informale svoltosi presso il comune di Castiglione delle Stiviere - l'impianto andrebbe ad interessare un'area a monte di un importante polo di captazione idropotabile, con insufficienti garanzie di non contaminazione della falda. Un rischio peraltro individuato con alta probabilità anche dai consulenti tecnici nominati da Enzo Rosina, il magistrato della procura di Mantova che ha avviato un'indagine sulla realizzazione dell'impianto.
Esistono inoltre situazioni di particolare vicinanza di abitazioni civili dalla discarica e motivi di tutela ambientale e paesaggistica. Si tratta di elementi sui quali la Commissione, già in sede di audizione a Milano, ha invitato ad un supplemento di verifiche i competenti organismi regionali. In questa sede non si può che ribadire il giudizio già espresso in quell'occasione.

2.4.2. Trezzo sull'Adda. Nel settembre 1999, un gruppo di cittadini (composto da diverse persone che si sono sempre proposte come


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soggetti che interpretano opinioni, ed istanze, proprie ed individuali) ha inviato un esposto alla Commissione in cui veniva prospettata la
storia del costruendo impianto d'incenerimento di Trezzo (MI). Come accennato in apertura, a seguito dell'attento vaglio dell'esposto, la Commissione ha deciso di recarsi a Trezzo per incontrare sia i cittadini che l'amministrazione comunale, sia ancora l'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato delle indagini da Fabio Napoleone, il magistrato titolare dell'inchiesta.
Gli elementi emersi da tale attività conoscitiva possono così sintetizzarsi:
1. nel dicembre 1994, durante il mandato del commissario per la gestione dell'emergenza-rifiuti della provincia di Milano, il consiglio comunale di Trezzo dava mandato alla giunta di proporre al commissario stesso, in alternativa alla discarica per talquale prevista dal piano regionale vigente all'epoca, l'ubicazione sul territorio comunale di un impianto di selezione dei rifiuti a tecnologia avanzata; uno per la loro igienizzazione ed inertizzazione nonché compattazione; uno per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti trattati. Tale proposta è stata accolta sia dalla gestione commissariale prefettizia che dalla gestione commissariale del presidente della regione. Nel novembre 1995, infatti, la regione Lombardia approvava il piano provinciale di smaltimento che contemplava l'esistenza dell'impianto a Trezzo;
2. successivamente la regione prospettava al comune la creazione di un inceneritore con recupero energetico. Sicché la gestione prefettizia, su proposta dell'amministrazione comunale, nominava una commissione tecnica per la progettazione e la realizzazione tecnica del citato impianto. Il lungo iter di proposte e deliberazioni dei diversi organi preposti così avviato portava a configurare un progetto d'impianto a tecnologia complessa sul territorio di Trezzo, comprendente un impianto di raccolta della frazione secca, uno di «bricchettaggio» (10) e un inceneritore;

(10) Per «bricchetta» (che deriva dall'inglese brick, che vuol dire mattone) s'intende una barra, di circa un metro di lunghezza e una sezione quadrata di circa 20 o 30 centimetri di lato, di rifiuto compattato.

3. favorevole a quest'ipotesi era la giunta comunale, insediatasi nell'aprile 1995, guidata dal sindaco Pasquale Villa, sotto la cui gestione veniva incaricata della costruzione dell'impianto la società Tecno Trattamento Rifiuti spa (TTR), appartenente al gruppo Emit-Acqua prima e poi acquisita al novanta per cento dalla Falck di Milano;
4. il progetto della TTR era (ed è) un progetto tarato su quantità elevate di rifiuti da trattare ed è piuttosto costoso. Secondo il gruppo di cittadini, è stato autorizzato senza i prescritti pareri delle ASL. Inoltre - sempre ad avviso dei cittadini incontrati - la catena stoccaggio-bricchettaggio-incenerimento sarebbe sostanzialmente divenuta inutile a seguito della cessazione dell'emergenza in provincia e degli ottimi risultati che sta dando la raccolta differenziata;
5. nel luglio 1997, il presidente della regione con ordinanza emergenziale (ex articolo 13 del «decreto Ronchi») disponeva la costruzione


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di un impianto di imballaggio di rifiuti («ecoballe») nelle immediate adiacenze dell'area dove dovrebbero sorgere l'impianto di bricchettaggio e l'inceneritore. Il suo funzionamento veniva autorizzato in via sperimentale;

6. nel giugno 1999 il sindaco Villa non si è ricandidato. Attualmente è in carica una giunta (leggermente diversa nella composizione partitica), guidata da esponenti politici che - al momento della visita della Commissione - hanno affermato quel che appare assai verosimile e cioè che non vi era stato ancora il tempo materiale per assumere decisioni documentate e ponderate circa la prosecuzione nell'esecuzione del progetto;


7. a carico di esponenti della TTR vi sono stati procedimenti penali proprio per reati connessi alla gestione degli impianti;

8. la sperimentazione delle «ecoballe» è stata sospesa ed il sito dove essi si trovano è stato messo in sicurezza.

Il gruppo di cittadini ha sostenuto che la soluzione migliore sarebbe quella dell'abbandono dell'intero progetto. Tanto più che diversi ricorsi al TAR proposti dai proprietari dei terreni espropriandi, su cui dovrebbe sorgere l'impianto complesso, sono stati accolti.
La posizione della Commissione è, ovviamente, quella di raccomandare alle amministrazioni locali sempre la massima trasparenza e attenzione ambientale nella conduzione delle fasi del ciclo dei rifiuti.
Quanto alla vicenda specifica di Trezzo, appare evidente che l'attuale giunta comunale non può essere ritenuta responsabile di una situazione che è stata gestita dalla precedente amministrazione e sempre con il consenso delle autorità regionali e provinciali, tanto che l'impianto in questione è stato inserito nel piano provinciale.
Il nuovo sindaco si trova a dover compiere scelte di politica ambientale che sono sempre assai delicate (10-bis) nonché ad interloquire oggi con il gruppo Falck, il quale ha i mezzi per far rispettare impegni contrattuali presi con l'amministrazione precedente, la quale evidentemente aveva anche calcolato, tra i benefici attesi dall'operazione, il fatto che avrebbe fatto pagare un corrispettivo ad altri comuni che avessero voluto conferire i loro rifiuti presso l'impianto.

(10-bis) Non si può sottacere - peraltro - che secondo Comuni ricicloni 1999, rapporto della Legambiente col patrocinio del ministero dell'ambiente, p. 16, Trezzo sull'Adda, con 11 mila abitanti e una produzione pro-capite di rifiuti di un chilo e 32 al giorno, si colloca in cima alla graduatoria della raccolta differenziata con il 65,9%.


Il rilievo che si deve muovere alla giunta uscente è tuttavia quello di aver intrapreso il percorso di attivazione dell'impianto al di fuori di ogni raccordo con il CEM, vale a dire il consorzio intercomunale c.d. ex milanese (con sede a Cavenago Brianza), che raggruppa 46 comuni dell'area nordorientale della provincia e che porta avanti la gestione del servizio rifiuti per i comuni aderenti. Tanto ciò è vero che l'attuale amministrazione sta rapidamente cercando di riallacciare con il CEM un rapporto di tipo organico.
Per quel che concerne l'impatto ambientale, il solo impianto di compattazione e bricchettaggio non comporta pericoli, poiché le bricchette di frazione secca sono sostanzialmente inodori. Diverso potrebbe essere il discorso per quel che concerne l'inceneritore: anche qui occorrono


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verifiche serie circa le conseguenze che l'attivazione dell'impianto potrebbe avere e se il beneficio che si attende può compensare i disagi.

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