Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 824 del 12/12/2000
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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, recante disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia (7459) (ore 18,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, recante disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia.
Ricordo che nella seduta dell'11 dicembre si è svolta la discussione sulle linee generali, avendo il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciato alla replica.

(Esame degli articoli - A.C. 7459)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (vedi l'allegato A - A.C.


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7459 sezione 1), nel testo della Commissione (vedi l'allegato A - A.C. 7459 sezione 2).
Avverto che gli emendamenti e articoli aggiuntivi presentati sono riferiti agli articoli del decreto-legge, nel testo della Commissione (vedi l'allegato A - A.C. 7459 sezione 3).
Avverto altresì che non sono stati presentati emendamenti riferiti all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Avverto che gli emendamenti Mantovano 1.7, Saponara 1.12, Pisapia 6.2, Simeone 10.15, Pisapia 16.6 e Mantovano 16.12 sono stati sottoscritti anche dall'onorevole Cola.
Informo che, con lettera in data 11 dicembre, il ministro della giustizia ha reso noto che non potrà presenziare personalmente a tutte le fasi della discussione sul disegno di legge n. 7459, in relazione allo svolgimento a Palermo, dal 12 al 16 dicembre, della Conferenza mondiale dell'ONU contro la criminalità organizzata (è uno dei copresidenti).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del regolamento, i seguenti emendamenti ed articoli aggiuntivi: Pisapia 1.01, Saraceni 10.10, gli identici Saraceni 10.11 e Pisapia 10.16, Simeone 10.14 e Mantovano 10.9, limitatamente alla parte consequenziale.
Tali emendamenti sono volti a modificare la disciplina dei presupposti sostanziali, in presenza dei quali non può essere applicata la sospensione dell'esecuzione delle pene detentive; il provvedimento, invece, disciplina esclusivamente il procedimento per l'applicazione di tale sospensione; l'emendamento Simeone 10.15 che, pur diretto a disciplinare il procedimento per la sospensione dell'esecuzione della pena, abroga la vigente disciplina del comma 9 dell'articolo 656 del codice di procedura penale, concernente i presupposti sostanziali per tale sospensione; l'emendamento Simeone 10.13, volto ad introdurre un'ulteriore ipotesi tra i presupposti per l'applicazione della sospensione dell'esecuzione; l'articolo aggiuntivo Mantovano 11.01 (di cui erano già stati evidenziali profili di inammissibilità' in Commissione) che è diretto ad introdurre un'ulteriore causa di esclusione della sospensione della esecuzione della pena, da indicare nella sentenza di condanna; l'articolo aggiuntivo Mantovano 13.01, di cui erano già stati rilevati profili di inammissibilità in Commissione (tale articolo aggiuntivo è volto a modificare la disciplina dei presupposti per l'ammissione al regime di semilibertà, materia non trattata dal provvedimento in esame); l'articolo aggiuntivo Mantovano 15.01, di cui erano già stati rilevati profili di inammissibilità in Commissione (tale articolo aggiuntivo è volto a modificare la disciplina dei presupposti per l'applicazione della libertà vigilata, materia non trattata dal provvedimento in esame); l'articolo aggiuntivo Mantovano 19.01, di cui erano già stati rilevati profili di inammissibilità in Commissione (tale articolo aggiuntivo è diretto ad introdurre un'ipotesi speciale di misura di sicurezza (articolo 4 della legge n. 1423 del 1926), materia non trattata dal provvedimento in esame); l'emendamento Saponara 21.4, sulla copertura delle dotazioni organiche degli uffici del giudice di pace (il provvedimento in esame, invece, si limita a disciplinare l'indennità del giudice di pace coordinatore dell'ufficio e la copertura degli uffici dei giudici di pace del distretto di Napoli); l'emendamento Manzione 22.4, sulla disciplina delle incompatibilità dei giudici onorari di tribunale e dei viceprocuratori onorari (il provvedimento in esame, invece, si limita a disciplinare la conferma nell'incarico dei magistrati onorari); l'emendamento Saponara 24.2, sulla copertura dei posti nella carriera dirigenziale (il provvedimento in esame, invece, si limita a disciplinare la modifica della distribuzione degli organici dell'amministrazione della giustizia).
È infine inammissibile l'emendamento Copercini 26.1, volto a sopprimere l'articolo 26 del decreto-legge, sull'entrata in vigore del medesimo decreto e la sua presentazione alle Camere. L'emendamento non risulta congruo rispetto al contesto logico e normativo del decreto-


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legge (punto 5.2 della circolare 10 gennaio 1997 del Presidente della Camera sull'istruttoria legislativa).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA. Affrontiamo l'esame di un decreto-legge di così grande rilevanza senza che allo stato esista un preciso orientamento da parte della Commissione su quasi tutte le disposizioni più importanti che dovremo votare. Questa è la situazione in cui oggi siamo chiamati ad esaminare e a votare un testo che può modificare radicalmente l'intero assetto del processo penale italiano.
Gli emendamenti soppressivi o modificativi riguardano tutti i punti fondamentali del decreto: dalla logistica relativa alle aule dove si devono celebrare i processi, alle teleconferenze, alla separazione dei giudizi, alla custodia cautelare, al giudizio abbreviato.
Si tratta di emendamenti soprattutto soppressivi o modificativi che hanno lo scopo, al di là di quello che recita il titolo del decreto, di impedire che si introducano riforme che, invece di avere l'effetto di migliorare l'assetto e la funzionalità della giustizia, avranno sicuramente l'effetto opposto.
Per quanto riguarda la logistica, e in particolare la soluzione secondo la quale ci si dovrebbe trasferire, laddove non sia disponibile un'aula nella sede in cui si deve celebrare il processo, in altre sedi giudiziarie, vicine o lontane che siano, è bene considerare che ciò comporterebbe, come del resto ha osservato la stessa Commissione affari costituzionali, un peso rilevantissimo per quanto riguarda l'esercizio del diritto alla difesa, soprattutto in un momento in cui non è ancora stata approvata nessuna riforma sul gratuito patrocinio e sulla difesa d'ufficio. Ciò comporterebbe per i cittadini che fanno parte delle corti di assise il trasferimento, magari per anni, in altre sedi giudiziarie.
Per capire quanta poca logica vi sia in questo decreto - lo ribadisco - è sufficiente riflettere sul fatto che ogni volta che un'aula non è disponibile il processo si deve spostare in un'altra sede e così all'infinito, una sorta di circuito dall'una all'altra città d'Italia, con un meccanismo francamente assurdo.
Per quanto riguarda le teleconferenze, il cui uso viene esteso e consolidato, è chiaro che l'emendamento soppressivo ha una ragione. L'esperienza quotidiana ci insegna che spesso le teleconferenze ritardano i processi perché la strumentazione non è disponibile oppure non è funzionante. Pertanto ciò che dovrebbe comportare un risparmio, in realtà diventa un aggravio per la giustizia italiana.
Il terzo punto su cui sono stati presentati emendamenti è quello relativo alla separazione dei giudizi; una separazione francamente priva di ogni coerenza. Si prevede la separazione nel corso del giudizio; si prevede la separazione nel corso della sentenza; si prevede la separazione allorquando, dopo la sentenza, il giudice decida di inviare al giudice superiore processi «frantumati». Tutto questo comporterà una moltiplicazione di giudizi, di sentenze e di incompatibilità; imporrà all'imputato di avere numerosi difensori, invece di uno. Anche su questo aspetto ci sembra che il decreto non possa che peggiorare l'attuale situazione della giustizia.
Per quanto riguarda la custodia cautelare, il meccanismo rasenta il grottesco perché si acquisiscono i saldi delle fasi precedenti o si prendono anticipi sulle fasi successive, senza un criterio che stabilisca un limite. Ebbene, la nostra Costituzione all'articolo 13, così come è stata interpretata anche dalla Corte costituzionale, impone che i tempi della custodia cautelare siano stabiliti. Non è possibile che per un imputato essa duri un anno, per un altro, che recupera il saldo, un anno e mezzo, e che per un terzo, che ha anche l'anticipo, possa durare due, tre o quattro anni.
Se i calcoli non sono sbagliati, in primo grado, prima di giungere ad una sentenza possono passare fino a sei anni, senza il minimo rispetto per il principio della presunzione di innocenza.
Infine, la norma relativa al giudizio abbreviato tradisce il principio fondamentale


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del nostro ordinamento: l'irretroattività della legge più sfavorevole. Attraverso una finta interpretazione autentica, si finisce per applicare retroattivamente la norma più sfavorevole, cioè quella che impedisce l'attenuazione della pena per chi abbia chiesto il rito abbreviato, laddove sia prevista la pena dell'ergastolo con l'isolamento diurno.
A tutto ciò ci opponiamo perché i metodi possono essere diversi. Si potrebbe introdurre, ad esempio, la possibilità del giudice di non concedere il giudizio abbreviato quando non vi siano le condizioni, ma non si può certamente consentire che chi abbia oggi consolidato una situazione, sulla base di una norma vigente, si veda privato dell'attenuazione della pena in base ad una norma che ha effetti retroattivi.
Credo che in nessuna epoca del nostro ordinamento e in nessun regime si sia arrivati a violare il principio dell'irretroattività della legge più sfavorevole per il reo. Per tutti questi motivi sosterremo gli emendamenti modificativi o soppressivi e manifestiamo subito una forte avversione per un decreto-legge che rende peggiore lo sfascio della giustizia e, nello stesso tempo, costituisce una ferita per alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Presidente, ieri sera abbiamo già fatto la discussione e, quindi, non mi dilungherò.
Mi pare che questo decreto-legge sia stato blindato e che non vi sia stata in Commissione un'adeguata preparazione del provvedimento. Infatti, non si è preceduto ad un esame degli emendamenti presentati né vi è stata alcuna possibilità di modificare disposizioni che andranno nel senso opposto che il titolo di questo disegno di legge di conversione si propone.
Ci troviamo nella più totale disattenzione ad affrontare un provvedimento che non resterà, cari colleghi, in questa sede, ma che domani sarà letto e che non credo sarà apprezzato. Senza ripetere quello che già è stato detto - e la platea certo è sconfortata nel procedere nell'esame di questo provvedimento -, stiamo andando non verso la separazione dei processi, ma verso la parcellizzazione, verso i processi ad personam. Partendo dai reati associativi e, quindi, da un complesso di persone che non è mai inferiore alle 100-120, si arriva ad una parcellizzazione per cui si farebbero tanti processi quante sono le persone. Con ciò si incide sui termini di custodia cautelare che, non si capisce in virtù di che cosa, diventano flessibili. Dopo il lavoro flessibile, che ovviamente ha una sua logica, abbiamo scoperto la custodia cautelare flessibile, a seconda della persona alla quale possono scadere i relativi termini. Secondo un'ottica incomprensibile, abbiamo approvato all'unanimità l'articolo 111 della Costituzione e poi, con il provvedimento in esame, si prescinde dalla formazione della prova e l'unico criterio per parcellizzare un intero processo diventa l'eventuale scadenza dei termini di custodia cautelare.
Se immaginate che il nostro «sistema giustizia» possa sopportare che da cento persone in un unico processo si passi a cento processi e che i termini di custodia cautelare consentano, in successione, la separazione dei diversi processi, fino ad arrivare da un grande procedimento a tanti «coriandoli», se queste norme venissero applicate (non lo saranno mai perché ciò non è possibile), vi sarebbe, ove già non ci sia, la totale paralisi della giustizia.
Il ministro, poi, dovrà cercare le aule. Non so se chi scrive abbia mai frequentato i tribunali; probabilmente, chi sta al Ministero non ha più fatto il magistrato da dieci, quindici, venti anni e non sa che le aule non vi sono ad Aosta come a Catania e a Reggio Calabria. Per di più, abbiamo previsto le videoconferenze, con un'enorme spesa per lo Stato. Le videoconferenze rappresentano un ulteriore intralcio al processo, oltre che una palese violazione del diritto alla difesa; infatti, può essere adoperata solo un'aula e neanche sempre, perché quella esistente nel


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relativo carcere è sempre occupata da un insieme di persone con diversi processi a carico.
Ma quel che è peggio, un anno fa abbiamo approvato la legge Carotti - che, nel caso di giudizio abbreviato, prevedeva la reclusione per trent'anni anziché l'ergastolo -, sei mesi or sono abbiamo approvato la norma transitoria ed ora abroghiamo questa parte della legge Carotti, perché alcuni opinionisti preferiscono non fare i processi. Quei processi torneranno indietro e, in questo modo, si dovrà ricominciare da capo. Ci lamentiamo, allora, se scadono i termini di custodia cautelare? A vantaggio di cosa? Dell'isolamento diurno, come se avessimo abrogato il codice penale che stabilisce che due condanne a ventiquattro anni di reclusione determinano la condanna all'ergastolo? Ad una persona condannata all'ergastolo cosa può importare di un anno di isolamento diurno?
Con questo provvedimento torniamo completamente indietro. Lo Stato non può avere credibilità se ogni giorno cambia le regole del gioco mentre sono in corso i processi, se chi è detenuto non sa più quali siano i suoi termini di custodia cautelare, se chi ha accettato un rito con un suo sacrificio, avendo rinunciato al contraddittorio, si vede «riportato indietro» nei termini di custodia cautelare e deve ricominciare il suo processo daccapo.
Capisco che si tratti di una questione politica, ma se la politica ha l'etica di giocare con i diritti dei cittadini, non è politica, è un mercato, ma di basso livello (Applausi dei deputati del gruppo misto-Socialisti democratici italiani e di deputati della Lega nord Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Carotti. Ne ha facoltà.

PIETRO CAROTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il decreto-legge in esame risponda, in maniera assolutamente congrua e coerente con l'intero sistema processualpenalistico, ad un'esigenza largamente sentita e forse più sostenuta dalle forze politiche sulla stampa di larga diffusione, anziché nella valutazione concreta ed obiettiva di quelli che sono i tessuti e i traguardi normativi. Nel diritto, naturalmente, è possibile avere delle opinioni difformi, anche profondamente difformi, pur restando ancorati ad una logica complessiva di sistema. Tuttavia, le critiche avanzate - soprattutto la lamentata mancata istruttoria da parte dell'onorevole Pecorella - hanno riguardato alcuni punti che in realtà non hanno assolutamente formato oggetto di disattenzione ma rispetto ai quali si è verificata semplicemente una diversità di vedute che difficilmente poteva essere ricomposta nella fase dell'esame in Commissione e che invece ha portato adesso ad una posizione che certamente incontrerà in aula maggiori difficoltà per l'inevitabile e diversa sede nella quale ci troviamo a discutere di problemi che sono certamente molto delicati, sui quali cercherò di esprimere rapidamente il mio parere.
Tutti gli operatori del diritto sanno - e la Commissione converrà con ciò - che uno dei principali difetti riscontrati, a valle dell'entrata in vigore dell'ormai non più nuovo codice di procedura penale, fu quello della cosiddetta istituzione dei maxiprocessi che portava a situazioni inedite nelle altre parti d'Europa, con imputazioni che coinvolgevano decine di imputati e centinaia d'imputazioni tanto da far definire patologica la situazione, proprio per la seguente scelta offensiva: che in qualche modo si creava una moltiplicazione di imputazioni attraverso una sovrapposizione, anche soggettiva, di reati e di imputati, che era l'esatto contrario di quello che il legislatore del 1989 e la delega del 1987 avevano prefissato come scopo. Mi riferisco alla soluzione di fare tanti piccoli processi, prevedendo in maniera del tutto inedita la possibilità addirittura di un ritocco della pena in continuazione nella fase esecutiva, che doveva rappresentare proprio una specie di istanza di compensazione dell'eventuale frazionamento dell'intera fase di cognizione.


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L'articolo 18 del decreto-legge è stato molto contestato e sono stati presentati alcuni emendamenti soppressivi che, a mio avviso, fanno torto intanto ad una situazione normativa già esistente. Ci troviamo in presenza del comma 1 dell'articolo 18 - che non è toccato dal decreto-legge, perché questo incide soltanto sul comma 2 e su una parte aggiuntiva, della quale parlerò molto brevemente - che disciplina in maniera «tipizzata» una specie di circuito preferenziale che deve essere percorso dal giudice, salvo che non ricorrano dei motivi ostativi che non consentano la separazione, in casi che sono disciplinati ed elencati in maniera tassativa e che quindi rappresentano un punto di riferimento, pur stabilendo certamente un principio che non può poi essere dimenticato quando si predispone il comma 2 nei termini previsti dal decreto-legge in conversione. In buona sostanza, quindi, l'articolo 18 già oggi dà un'indicazione di filosofia del diritto, di filosofia di applicazione delle norme processualpenalistiche nel senso che questa filosofia del processo cumulativo - dove si registra questa interazione, questa confusione dei «pani e dei pesci» attraverso una serie di imputazioni che a volte hanno soltanto il cemento della contestazione di un reato associativo - deve invece essere respinta e accolta quella opposta di avere dei procedimenti separati e quindi, successivamente, dei processi distinti che portino alla rapida definizione degli stessi indipendentemente dalla necessità contingente della custodia cautelare, la quale entra in gioco soltanto nella decisione della separazione ma non anche nella definizione del processo che richiede un completamento dell'istruttoria dibattimentale che consenta, appunto, la stratificazione degli indizi e delle prove per operare un convincimento libero e meditato da parte dell'organo giudicante.
Il capo I del decreto-legge, quindi, nel momento in cui interviene sul comma 2, fa un'operazione di «bonifica» perché, a mio avviso, era erronea la previsione secondo la quale, residualmente, la possibilità di separazione dei processi incidesse soltanto quando vi era l'accordo delle parti. Questa era un'ipotesi meramente virtuale perché è assai ingenuo immaginare che vi sia un accordo delle parti sulla separazione di processi, quando per questi sia prossima la maturazione della scadenza dei termini di custodia cautelare. Quindi, anche in questo caso, politicamente parlando, occorre che ci intendiamo sull'obiettivo che vogliamo perseguire. Se l'obiettivo è quello di evitare delle scarcerazioni, le quali producono il solo beneficio di lucrare sulla lunghezza dei processi e sulla farraginosità «dell'ordigno del dibattimento» o di altro, allora la strada non deve essere quella del decreto. Se l'obiettivo è quello opposto - che tutti dichiarano di tenere come punto di riferimento essenziale -, è assolutamente ineludibile prevedere come norma residuale di separazione atipica (se mi si passa il termine perché questa è contemplata nel primo comma dell'articolo 18) la possibilità di definizione di un processo indipendentemente dall'accordo delle parti (il fatto che possa essere conservato o meno l'inciso «sentite le parti» è obiettivamente meramente pleonastico perché ci sono pochi provvedimenti che vengono assunti senza sentire le parti), però non si capisce per quale motivo debba essere sottratto all'organo giudicante o, comunque, all'organo dell'udienza preliminare la possibilità di separare i processi quando siamo di fronte a delle monadi, le quali hanno la possibilità di essere valutate in maniera distinta e, soprattutto, quando il trascinamento dei reati più gravi porta in qualche modo all'assorbimento di quelle posizioni secondarie e di quelle posizioni satellitari che finiscono per beneficiare dei tempi lunghi dei reati principali e quindi non consentono né una celebrazione in tempi rapidi del giudizio né, meno che mai, di incidere su uno stato custodiale che, per essere presente, sarà stato naturalmente valutato in senso positivo da parte dell'organo giudicante.
Quindi, la separazione dei processi è un'operazione che - secondo me - ha un'alta dignità scientifica, soprattutto se si tiene


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in debita considerazione il fatto che il quarto punto dell'articolo 1 pone l'obbligo anche in capo al pubblico ministero di separare, prima che l'azione penale venga promossa e quindi prima dell'elevazione dell'imputazione, i procedimenti quando ricorrono le ragioni di urgenza che sono indicate nell'articolo 2-bis che è previsto dal capo 1 del decreto-legge in conversione. Questo probabilmente porterà alle conseguenze che sono auspicate da tutti e naturalmente non inciderà, come mi pare di aver compreso nell'intervento dell'onorevole Parenti, sul «grado di raggiungimento» della prova dibattimentale, perché separare i processi non significa deciderli allo stato, ma semplicemente usare due corsie per processi che possono seguire due strade diverse e che per tali strade erano stati disegnati nell'interno congegno del codice di procedura penale oggi vigente, anche se rimaneggiato.
Vi è un altro punto molto controverso. Ho sentito definizioni immaginifiche sulla flessibilità, sulla scansione a segmenti della custodia cautelare, però il fenomeno secondo me va osservato da una angolazione diversa. Intanto è opportuno che tutti siano consapevoli che non si va ad incidere sulla durata complessiva della custodia cautelare; noi cioè non abbiamo seguito affatto la strada di rendere più lungo il periodo di detenibilità, ma abbiamo semplicemente rimodulato i segmenti endofasici all'interno dei gradi, tenendo conto - cosa che non poteva non essere fatta - che il processo nelle sue scansioni e nelle sue fasi ha subito delle modifiche che non possono essere ignorate dal legislatore. Quindi, nel momento in cui si è arrivati a salvaguardare il principio, che naturalmente ci ha trovato tutti assolutamente concordi, di lasciare ferma la durata massima della custodia preventiva, non vedo che cosa vi sia di scandaloso se all'interno della fase o all'interno dei gradi ci sia la possibilità di una sua utilizzazione, o perché una parte non era stata utilizzata o perché una parte viene erosa dal grado o dalla fase successiva, naturalmente con una richiesta di proroga, con un provvedimento che ha il suo vaglio da parte dell'organo giudicante terzo. Ciò crea una duttilità e, secondo me, persino una accresciuta responsabilizzazione degli organi, sia dell'inquisizione sia del giudizio sia della fase mediata dell'udienza preliminare che va nella direzione di fare in modo che lo «stato custodiale» si spenda per quelle fasi in cui è necessario, essendo assolutamente improponibile che ci sia questa specie di segmentazione assolutamente rigida e anelastica che vede i termini nel giudizio di Cassazione, dove raramente si verifica la scadenza dei termini perché i meccanismi di fissazione sono diversi e più rigorosi, ed oltretutto i procedimenti durano di meno perché non vi è la fase dibattimentale aperta sul merito come nei due precedenti gradi di giudizio, per cui il discorso diventa più semplice.
Il testo presenta poi articolazioni che credo non possano che essere condivise: confido che l'intero Parlamento non si sottragga dall'esprimere un voto favorevole quando, nel ritoccare la possibilità di accesso ai benefici della legge Gozzini, si è in qualche modo equiparata la serie di reati previsti per la violenza carnale, l'abuso sessuale ed altri fatti di particolare allarme ad altri reati, creando un percorso un po' più tortuoso per arrivare, anche dal punto di vista cronologico, alla possibilità di accesso alle misure alternative.
L'articolato, quindi, si snocciola attraverso un'ulteriore valutazione che trovo originale e obiettivamente in linea con quella che deve essere una soluzione moderna, non dimenticando che vi sono persino legislazioni che conoscono un verdetto senza motivazione. Ebbene, si prevede che, per accelerare la definibilità dei procedimenti separati, si possa ricorrere persino alla separazione della parte che riguarda la motivazione, quando questa è semplice per un imputato, meno semplice per un altro imputato: anche questa è probabilmente una nuova frontiera che il decreto-legge esplora e che mi sento di condividere largamente.


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Quanto all'aula per le udienze protette, naturalmente, il problema è più organizzativo che di contenuto scientifico, per cui non posso che esprimere un'opinione favorevole. Mi astengo, almeno per il momento, dall'entrare nella valutazione dell'interpretazione autentica dell'articolo 442 del codice di procedura penale, che riguarda una previsione contenuta nella normativa che passa ormai, ahimè, per legge Carotti. Quindi, soltanto quando si passerà all'esame dei singoli emendamenti, eventualmente, esprimerò il mio pensiero, in maniera che, per ora, non vi sia alcuna tinteggiatura da parte di colui che dovrebbe essere interpretato: in ogni caso, come strumento giuridico, non trovo affatto scandaloso il ricorso all'interpretazione autentica. Si discuterà, poi, su quale sia l'effetto sui diritti che si pretende essere acquisiti e sul fatto che una legge interpretativa non possa che retroagire al momento dell'entrata in vigore della norma interpretata, perché non è una sua variazione o modificazione, ma è semplicemente un'indicazione di come quella legge sia stata voluta e, quindi, di come vada correttamente interpretata.
Il decreto-legge interviene anche su un punto che è bene segnalare: da più parti, da tutte le sfaccettature del mondo degli operatori del diritto, si è contestata e criticata la stesura della modifica dell'articolo 656 del codice di procedura penale, meglio nota come legge Simeone. Sostanzialmente, si sosteneva che l'obbligo previsto della consegna relativamente all'esecuzione della pena, a valle del quale scorrevano i termini per fare in modo che vi fosse una richiesta di misure alternative, interpretata in maniera rigorosa, facesse slittare in avanti sine die, secondo i sostenitori della tesi, l'inizio della possibilità di ricorrere, appunto, alla richiesta della sospensione della pena e delle misure alternative. Ora, la consegna, naturalmente, era stata prevista non per motivi ignobili: ricordo le brillanti disquisizioni dell'onorevole Saraceni, che pretendeva proprio che le fasce più deboli, i meno accorti, le persone peggio assistite, che non hanno una difesa tecnica attenta, avessero bisogno di essere allertate su quello che si stava verificando nel momento in cui non fosse stata richiesta la strada della misura alternativa. Il problema, però, era di tale urgenza ed imponenza che ha obbligato alla sostituzione della consegna con la notifica, che naturalmente è istituto giuridico che consente anche percorsi più formali e meno sostanziali. Credo che non abbiamo abbassato la soglia di garanzia perché è previsto che il difensore dell'ultimo grado di giudizio, o il difensore nominato per l'esecuzione, possa innescare il meccanismo del processo della fase dell'esecuzione davanti al procedimento di sorveglianza. Ciò sana, in qualche modo, l'incongruenza lamentata e, allo stesso tempo, non mortifica il diritto del condannato, soprattutto se condannato a pene lievi, che è l'ipotesi più frequente. Infatti, egli può ricorrere ad una valutazione concreta sull'utilità della sua detenzione.
Le altre previsioni sono soltanto apparentemente secondarie; la proroga e la modifica dell'applicazione dell'articolo 41-bis, ad esempio, rappresentano certamente una scelta politica che va sostenuta e probabilmente rivista perché divenga una riforma strutturale. In ogni caso, deve essere valutata nell'ottica di una rivalutazione complessiva della situazione in regime carcerario per persone che conservano una pericolosità anche per i collegamenti con l'esterno.
Il provvedimento si conclude sostanzialmente con l'applicazione di strumenti tecnici, la parte che più ha colpito l'opinione pubblica, che ha parlato quasi esclusivamente del braccialetto elettronico, dimenticando che quest'ultimo è solo un sussidio tecnico rispetto ad un controllo che presuppone una valutazione sullo stato custodiale.
Per queste considerazioni, che ho cercato di svolgere seguendo l'articolato, anche se non in maniera ordinata, il gruppo che rappresento non farà mancare il suo sostegno al testo così come è stato presentato dal Governo e come emendato dalla Commissione attraverso il lavoro brillante del relatore onorevole Borrometi.


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Il testo verrà presentato all'Assemblea con le piccole imperfezioni che sono state evidenziate nel corso della discussione. Probabilmente sarebbe stato meglio...

PRESIDENTE. Onorevole Carotti dovrebbe concludere.

PIETRO CAROTTI. Sì, signor Presidente. Sarebbe stato meglio, dicevo, discutere ancora su alcuni punti particolarmente controversi, ma sono convinto che l'apporto dell'Assemblea potrà sanare queste piccole discrepanze.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, questa discussione, che mi ha indotto a chiedere la parola sul complesso degli emendamenti, in particolare su quelli riferiti all'articolo 1, è certamente pacata e naturalmente apprezzabile, però induce a riflessioni che portano ad una conclusione preoccupante nei confronti degli interventi che si succedono. Mi pare che occorra mettere al centro della discussione il vero problema che sta dietro a questo provvedimento, al lavoro svolto dalla Commissione e dal relatore, quello che in questo momento dovrebbe richiamare maggiormente l'attenzione e destare preoccupazione: l'attitudine di questo importante provvedimento di legge a dare una prima risposta rispetto ad un argomento continuamente sollevato nelle piazze delle città e dei paesi, come è giusto che sia di fronte alla constatazione del dilagare della delinquenza a cui non riesce a corrispondere l'esigenza profonda che tutti avvertiamo. Mi riferisco alla necessità che il processo esista e che si celebri realmente nel rispetto delle garanzie di tutti. Chi vi parla è stato sempre un convinto sostenitore della necessità di privilegiare le garanzie dei singoli accanto a quelle della collettività.
La tendenza, tuttavia, è a dimenticare, a parcellizzare, con argomenti certamente suggestivi: mi rivolgo in particolare ai deputati di alcune parti della maggioranza, che sembrano voler privilegiare ancora una volta l'aspetto formale rispetto a quello sostanziale.
Certamente nessuno potrà dire che questo provvedimento, che sostanzialmente si sostituisce all'inerzia del Parlamento nei confronti dei provvedimenti in tema di sicurezza - che chiamammo sinteticamente il «pacchetto sicurezza» -, potrà dare risposte esaustive, ma esso offre una prima risposta. Dobbiamo soltanto verificare se sia esatta l'obiezione secondo la quale non è vero che il processo diventi più celere o se essa sia infondata o, quanto meno, meriti la verifica che viene proposta da questo testo.
Stiamo parlando della possibilità della separazione dei procedimenti, quando essi sono complessi, sono riferiti a reati specifici che vengono accorpati, a reati plurisoggettivi e a reati associativi (mi riferisco ai cosiddetti maxiprocessi). Quale dei colleghi presenti in quest'aula non ha ascoltato tanti dibattiti sulla difficoltà che creano i maxiprocessi, i processi contro più imputati ed in modo particolare quelli per i reati di stampo mafioso, per i reati associativi, per i reati legati alla droga e per reati commessi da bande che mirano al controllo di una parte del territorio dello Stato? Quale dei nostri colleghi non ha sentito dire che i maxiprocessi, che pure si devono celebrare, possono tuttavia in parte essere scissi ed in parte registrare la possibilità di vedere applicate le separazioni che sono previste - badate bene - dall'articolo 18 del nostro codice di procedura penale?
Non vi è alcuna particolare novità: vi sono una sollecitazione ed una sottolineatura dirette a fare in modo che i processi si facciano e che magari, non potendosi celebrare tutti i maxiprocessi, a causa dei vari rinvii e dei tempi dilatati della nostra giustizia, si cominci, ad esempio, a celebrare quelli nei quali si risponde di un omicidio, di una rapina, di reati di favoreggiamento, reati per i quali non è giusto che decorrano i termini di custodia cautelare, camuffando il ritardo nella trattazione


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dei processi con la necessità di rispettare la legge. Quale legge verrebbe rispettata?
Ho sentito fare obiezioni certamente apprezzabili, ma questo complesso di norme - lo si legge nel parere della Commissione affari costituzionali - non incide assolutamente sull'unico parametro reale che in questa materia dovrebbe rappresentare motivo di orientamento, il parametro costituzionale. Vi è stata, infatti, una verifica di costituzionalità e gli stessi autorevoli esponenti dell'opposizione o i colleghi della maggioranza che ancora manifestano alcune ostilità nei confronti del provvedimento non parlano di questioni di costituzionalità nei confronti di alcuna norma. Queste norme rientrano nell'alveo dell'articolo 111 della Costituzione, così come modificato, nella parte in cui si dice che il processo giusto è anche un processo celere e, senza usare questo aggettivo esageratamente enfatico, che è necessario che il processo sia reale e non virtuale, non sia un processo dell'eterno rinvio e dell'eterna eccezione. Queste sono cose che ci sentiamo dire quotidianamente nelle piazze.
Credo che il Governo, scavalcando opportunamente il Parlamento, sia stato indotto ad assumere l'iniziativa soprattutto per dare una risposta alla polemica politica in tema di sicurezza e di giustizia nel nostro paese.
È troppo comodo, da un lato, parlare di tolleranza zero e denunziare la crisi del processo penale, che certamente esiste, e poi, dall'altro, lacerarsi le vesti in nome di un presunto scandalo formale che francamente fino a questo momento io non vedo, salvo registrare un ulteriore sviluppo della discussione. Per esempio, io non saprei come spiegare ai cittadini della mia città - e mi rivolgo ai colleghi deputati napoletani di tutti i gruppi - che qui si discute dell'opportunità o meno di separare reati diversi nei confronti del reato associativo. Sono troppo modesto per evocare il riferimento alla mia professione di avvocato, che non entra comunque in queste discussioni, ma da parlamentare e da cittadino non saprei spiegare perché una separazione accelerata, come osserva la stessa Commissione affari costituzionali, «sentite le parti», tutte le parti processuali (il che significa che non siamo in presenza di una decisione autocratica o efficientista) determini alcuni ritardi. Gli operatori di giustizia hanno sostenuto il contrario e molte volte noi stessi abbiamo sollecitato - per il riconoscimento di una innocenza in presenza di più concorrenti nel reato o in presenza di più reati - lo stralcio, la separazione, la trattazione separata. Forse ho letto e interpretato male questo tipo di critiche ma viene ripetuto costantemente. Il problema della separazione non è un rimedio perché si moltiplicano i processi, si moltiplicano le incompatibilità e si moltiplicano i giudici. Un giorno poi bisognerà capire quale sia il rimedio alternativo, sulla base di un confronto statistico dei fatti. Non ho mai sentito dire né dall'associazione nazionale magistrati né dall'associazione degli avvocati che le separazioni dei procedimenti sono un danno per l'imputato o per l'amministrazione della giustizia: un processo si conclude e per l'altro in corso si può procedere alla riunione in un momento successivo. L'unica guida è quella di non creare pregiudizio all'imputato e siccome è recuperabile l'istituto della continuazione, non si capisce quale pregiudizio ne verrebbe all'imputato.
Sono rispettabili le teorie di carattere astrattamente giuridico o anche apprezzabili dal punto di vista della perfezione formale ma possiamo parlare in questo modo di fronte alla situazione che preme e che ci angoscia tutti?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 19,30)

VINCENZO SINISCALCHI. Possiamo davvero ritenere che un ostacolo a questo primo complesso di norme debba essere rappresentato da una norma che non intacca le garanzie di difesa (perché su quello io sarei inesorabile, com'è noto)? Non vi è una sola critica rivolta a questo provvedimento che ponga in campo un


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problema di attenuazione della difesa. Per esempio, ho riserve nei confronti della norma sull'ergastolo, soprattutto quella transitoria, ma non capisco perché non ci si rifaccia a semplici norme di organizzazione della giurisdizione invece che a norme processuali che sono tali solo perché non esiste un ordinamento organizzativo.
Questa mattina le agenzie hanno diffuso la notizia di un importante convegno sulla criminalità internazionale che si sta tenendo a Palermo dove l'Italia ha firmato la Convenzione ONU contro la criminalità organizzata (credo che ciò fosse auspicato da tutti perché a quel provvedimento hanno collaborato tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione) e si è impegnata ad introdurre a livello internazionale i reati di associazione di stampo criminale mafioso, di riciclaggio di denaro sporco, di corruzione e di intralcio alla giustizia. Benissimo! Benissimo, la sottoscrizione è stata opportuna e sollecitata dal Parlamento; tuttavia, nei confronti di quella importante decisione internazionale a tutela della sicurezza e della legittimità degli ordinamenti, possiamo solo dire che nel nostro paese ci si comporta nei seguenti termini: o ci si ferma e un maxiprocesso viene celebrato per tutti quanti insieme, registrando la decorrenza dei termini per tutti, oppure si fa - come si suol dire - a babbo morto, quando non interessa più a nessuno; oppure ancora non si riescono a trovare momenti di riflessione e di concordia su norme che non stravolgono alcun principio costituzionale, ma che hanno soprattutto una valenza organizzativa.
Come possiamo rispondere alle domande che vengono formulate su tale tema? Ogni giorno, nelle trasmissioni quotidiane degli anchorman, assistiamo ad un «impallinamento» continuo della maggioranza o del Governo sulla decorrenza dei termini di custodia cautelare o sulla fuga dagli arresti domiciliari.
Il braccialetto elettronico non sarà un toccasana, ma è stato un elemento sul quale si è fatta - a mio avviso, anche giustamente - un po' di ironia sull'eccesso di trionfalismo. Però, dal contestare l'eccesso di trionfalismo al non fare niente ce ne passa!
Colleghi, sarei pronto a verificare gli emendamenti dell'opposizione, qualora essi non contenessero sempre e soltanto l'espressione «sopprimere». Infatti, la maggior parte di quegli emendamenti sono soppressivi dell'intero impianto del provvedimento. Qual è, dunque, la proposta alternativa in tema di custodia cautelare? Solamente quella di andare in piazza o nelle trasmissioni televisive? Dovrebbe trattarsi, invece, di un dibattito che coinvolga tutti i deputati che, per loro fortuna, non si occupino di questioni di giustizia; quei deputati, però, si occupano certamente di questioni di sicurezza in quanto, al ritorno nei collegi di elezione, ricevono senz'altro determinate richieste.
Colleghi, pongo pochissima della mia attitudine specialistica e professionale in tale materia perché ritengo che c'entri poco; non pongo nemmeno tanto entusiasmo (magari si fosse trovato il toccasana); in ogni caso, però, registro con soddisfazione che non si è fatto ricorso alla legislazione eccezionale, il che mi sembra già un risultato positivo. Infatti, nei convegni politici vi sono spinte che oscillano non tanto tra la pena di morte e l'ergastolo, bensì verso l'invocazione dei vecchi paraventi rappresentati dalle leggi eccezionali. In questo caso, invece, non si è fatto alcun ricorso alla legislazione eccezionale, bensì a norme di adeguamento.
Ci si chiede come si possa andare in un altro distretto di corte d'appello e dove si possano trovare i locali. Scusatemi, ma non mi sembra che sia stata enunciata una statistica o che sia stata effettuata una sperimentazione prima di approvare qualche norma. Non ho partecipato ai lavori della Commissione, ma ne ho seguito i lavori e so che sono intervenuti autorevoli colleghi dell'opposizione (e non soltanto). Non ho mai sentito dire che le aule giudiziarie di Poggioreale o le maxiaule di Napoli lavorino a tempo pieno, ma so che vi sono molti tempi morti (per qualcuno è il segno del benessere: questa,


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però, è solo una amara battuta di spirito). In ogni caso, i luoghi disponibili ci sono: all'interno delle strutture giudiziarie esistono spazi completamente inutilizzati.
Certo, non è giusto trasferirsi da Palermo o da Napoli a Bolzano per svolgere un processo o per reperire una maxiaula; tuttavia, vi è stato un tempo in cui esisteva un istituto chiamato legittima suspicione che, per legge, determinava lo spostamento del giudice naturale. In questo caso, invece, tale istituto non incide assolutamente sul cambiamento del giudice naturale: è un suggerimento organizzativo o pragmatico.
In conclusione, tutti gli emendamenti che possano ridurre la tensione dialettica, soprattutto in materia di rimodulazione dei termini di custodia cautelare, possono generare preoccupazione, ma ritengo che, qualora abbiano un valore propositivo, potranno essere presi in considerazione (magari anche a titolo personale) da alcuni di noi.
Sentir dire, nei confronti di una legge che è molto più attesa di quanto non pensiamo, che dovrebbe essere respinta in blocco, sentir pronunciare discorsi pieni di scetticismo, non basati su critiche costituzionali o tecniche, ma su eccezioni di incapacità della legge a risolvere certi problemi, sembra veramente la dimostrazione della volontà di trasferire un dibattito così amaro come quello che sta dietro a queste norme fuori dalla sua sede naturale, il Parlamento, per agitare dei venti di rabbia, che sono quelli che più nuocciono alla sicurezza e alla giustizia del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e misto-Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi si consenta innanzitutto di dire che sono totalmente d'accordo con le argomentazioni che con tanta passione, intelligenza e acume logico ha sviluppato Vincenzo Siniscalchi, a nome, peraltro, del nostro gruppo. Nel solco di quei ragionamenti intendo anch'io articolare il mio dire, condividendo appieno le motivazioni politiche ed anche le argomentazioni tecniche che, pur poste in secondo piano rispetto alle prime, hanno comunque la loro importanza, giacché è vero che qui dobbiamo dare soluzione a questioni politiche, ma dobbiamo farlo con norme che abbiano dignità di legge e che siano elaborate nel rispetto delle regole tecnico-giuridiche poste a fondamento del nostro ordinamento.
Giustamente molti di noi sono partiti - e l'ho fatto anch'io in sede di discussione generale - dalla constatazione che esiste comunque un problema nel nostro paese. Corrisponde a verità che importanti delinquenti, imputati di reati gravissimi, sono stati rimessi in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Questo è un fatto, è un'esperienza comune. Ebbene, rispetto a tutto ciò dobbiamo noi forze parlamentari, partiti politici, forze di Governo e di opposizione, dobbiamo noi tutti insieme cercare di articolare una risposta? E questa risposta deve essere data soltanto sul piano dell'attività amministrativa del Governo ovvero è anche necessaria una risposta legislativa? Mi riferisco, evidentemente, ad una proposta di norme processuali, che consentano di predisporre un ordinamento che, nei limiti del possibile, sia in grado di arginare questo tipo di accadimenti, che tanto allarme destano nella società italiana e soprattutto - bene ha fatto l'onorevole Siniscalchi a ricordarlo - nella società meridionale. È infatti circostanza di tutta evidenza che è soprattutto nei maxiprocessi celebrati nel Mezzogiorno d'Italia che questi gravi fatti vengono a verificarsi.

GIAN FRANCO ANEDDA. Pensa ai miniprocessi!

FRANCESCO BONITO. Esiste, quindi, un problema di questo genere, penso che neppure il collega Anedda voglia negarlo: esistono imputati di fatti gravissimi che vengono posti in libertà. È questo un


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problema o no? Ho più volte detto e lo ripeto, anche perché con l'onorevole Anedda non ho avuto modo di confrontarmi, che a mio avviso questo è un quesito retorico. Mi auguro che sia tale anche per il collega Anedda. Se si tratta di un quesito retorico, in quanto deputato del maggior partito della coalizione di Governo, ritengo che occorra dare una risposta, perché i problemi vanno risolti ed una classe di Governo responsabile deve risolverli.
Il tentativo di soluzione sta in questo decreto-legge. È stata avanzata una proposta dal Governo: verifichiamo e valutiamo se questa proposta sia adatta e idonea a raggiungere lo scopo. Vorrei quindi passare in rassegna i capi attraverso i quali la proposta del Governo si articola e vorrei ricordare, ancorché sinteticamente, le argomentazioni contrarie.
Nel primo capo si affronta la questione grave e delicata, sotto l'aspetto processuale, della separazione dei processi. Vi è stata una dura opposizione da parte della minoranza su tale questione e vorrei quindi ricordare, come ha fatto opportunamente anche Vincenzo Siniscalchi, che su un dato siamo tutti d'accordo in questo Parlamento, così come sono d'accordo gli operatori della giustizia: la durata del processo non sarà mai ragionevole fino a quando sussisteranno quei fenomeni processuali, che conosciamo solo noi in Italia, che vengono definiti maxiprocessi. Su tale affermazione vi è pieno accordo; nessuno dubita che questa sia una questione da risolvere; non vi è discussione anche sul fatto che questa sia un'anomalia tutta italiana che deve essere dipanata.
Trovo tuttavia singolare che, nel momento in cui si cerca di dare risposta ad un problema di questo tipo, si debba constatare che l'opposizione si oppone tenacemente, virilmente, fortemente e vivacemente. Con quali argomentazioni? Le argomentazioni sono due. Per un verso si sostiene che non viene data soluzione a monte del problema (o per meglio dire a valle): è nel momento in cui nasce il processo che occorrerebbe evitare che si inneschi quel meccanismo che comporta un insieme di imputati e di imputazioni, vale a dire il maxiprocesso. Per altro verso si dice che, intervenendo là dove il decreto-legge propone di intervenire, si ha per conseguenza un effetto contrario a quello che si intende produrre. L'obiettivo che si intende raggiungere, invece, viene clamorosamente fallito - così argomenta l'opposizione - giacché, separando i processi, avremo una serie di conseguenze negative: più processi con strutture logistiche e organizzative inadatte ad affrontare la pluralità dei giudizi, la difficoltà di reperire giudici e magistrati sul territorio, le incompatibilità.
Chiedo ai colleghi dell'opposizione di valutare le norme proposte non come se fossero - lo dico spesso, ma credo sia giusto ripeterlo - categorie dello spirito, per cui se si dà al magistrato e al giudice la possibilità di separare i processi, questi ultimi, sempre, comunque e dovunque debbano separare i processi. Il Governo ha formulato una norma - e su di essa noi siamo assolutamente d'accordo - volta a fornire uno strumento organizzativo e duttile che possa aderire alle varie esigenze processuali che quotidianamente possono essere portate all'attenzione delle parti, dei difensori e dei magistrati. Questo significa che la separazione si farà perché c'è un magistrato - che mi pare l'unico legittimato a dare un giudizio ed una valutazione di questo tipo - che ritiene che, attraverso la separazione, i momenti processuali possono essere velocizzati. Evidentemente se non dà questa valutazione o se nell'ambito di questa sua diagnosi o prognosi dell'andamento processuale il giudizio e la valutazione sono di segno opposto, il magistrato non deciderà, non delibererà la separazione. Questa è la proposta normativa che viene avanzata, la quale - occorre dirlo - non mi appare affatto irragionevole, anzi mi sembra del tutto ragionevole.
Allorché costruiamo un processo fatto di dighe, di contrafforti, di limiti invalicabili e insuperabili, costruiamo un processo che diventa una sorta di corsa ad


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ostacoli; qualcuno ha evocato questa figura per così dire sportiva ma che corrisponde alla realtà delle cose.
Le regole del processo, proprio perché sono tali, cioè al servizio dell'accertamento di una verità processuale, dovrebbero essere norme semplici che non perdono mai di mira l'obiettivo di arrivare rapidamente alla conclusione del processo.
A noi pare che questo sia uno strumento adatto e non vorremmo leggere - i colleghi dell'opposizione ci consentano di dirlo - solo emendamenti che cassano le proposte del Governo e della maggioranza! Atteso che siamo partiti dalla verifica comune di un problema da risolvere, vorremmo anche che da parte dell'opposizione ci pervenissero delle proposte. Come possiamo evitare le scarcerazioni facili? L'opposizione ci dica qualcosa, ci dia una risposta non dico giuridica ma quanto meno politica su questa importante questione italiana!
Quindi sull'articolo 1 e sugli emendamenti ad esso relativi, cercheremo di mantenere ferma la proposta del Governo, che ci appare del tutto ragionevole e convincente.
Anche sul capo II del decreto-legge al nostro esame si sono registrate fiere opposizioni da parte dei colleghi dell'opposizione, da ultimo quella passionalmente sviluppata dal collega Pecorella.
Le difficoltà logistiche per la celebrazione dei processi esistono. I maxiprocessi sono delicati, impongono una macchinosa organizzazione; occorrono strutture e immobili adeguati. Ricordo quanto ha detto ieri, con la solita passione - ma tutti del resto parliamo con molta passione -, il collega Cola. Questi ha inteso rimproverarci come forza di Governo, come rappresentanti della maggioranza parlamentare perché non avremmo monitorato, non avremmo previsto né valutato in tempo le difficoltà che sarebbero insorte per la celebrazione di processi che un'autorità di Governo necessariamente avrebbe dovuto conoscere.
Penso che l'autorità del Governo tenga ben presente l'andamento di processi importanti nel nostro paese. Di questo sono certo. Ma il punto è che i palazzi di giustizia non si costruiscono dall'oggi al domani; così come non si costruiscono dall'oggi al domani le aule di giustizia, le aule bunker e non saprei nemmeno dire se sia poi opportuno istituzionalizzare la realizzazione e la costruzione di aule bunker.
Rispetto alla questione della edilizia giudiziaria, il Governo ha programmato, concepito, speso, previsto e inserito in finanziaria - per anni - risorse che mai nessun altro Governo aveva inserito in finanziaria.
Voglio dire che noi abbiamo reperito per l'edilizia giudiziaria - e quando dico noi, intendo riferirmi al nostro Governo e alle forze di maggioranza che lo hanno sostenuto - risorse che mai erano state previste. Non è un caso che con l'ultima finanziaria, collega Cola - che certamente poi mi darà, come sempre fa, una risposta -, siano state programmate e reperite risorse per 12 mila miliardi; mi rifaccio ai numeri per cui, questa volta, l'onorevole Cola avrà qualche difficoltà a rispondermi. Il Presidente del Consiglio del centrodestra, nell'unica finanziaria che propose al paese, previde per la giustizia quasi la metà delle risorse, circa 6.500 miliardi. Rivendico ciò a nostro merito: mai in termini assoluti e in termini percentuali erano stati previste per la giustizia tante risorse. Sono ancora certamente insufficienti, ma vi è stata un'inversione di tendenza che abbiamo fortemente rafforzato e consolidato.
L'onorevole Cola avrà di che obiettare e di che discettare; lo ascolterò come sempre con tanta attenzione o, quanto meno, con l'attenzione con cui egli ascolta me.
Il capo IV è la parte del decreto-legge che disciplina una proroga delle indagini della fase istruttoria rispetto a giudizi che sono tuttora regolati da norme processuali anteriori a quelle vigenti. Stiamo parlando - lo sanno tutti - della strage di Brescia. Chiedo all'opposizione se non ritenga che una classe politica e una classe di Governo - intesa in senso lato, perché in


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questo momento volutamente inglobo in questo concetto le forze di opposizione - non debbano fare di tutto affinché questo processo giunga ad una sentenza. La strage di Brescia ha segnato la storia del nostro popolo e del nostro paese; non si tratta solo di un processo, ma di uno degli avvenimenti più importanti del secolo. Penso che sarebbe grave, se non consentissimo di giungere ad una definizione del giudizio.
Rispondo all'invito cortesissimo rivoltomi dal Presidente dell'Assemblea a concludere il mio intervento; avrei da dire altre cose, alcune già le ho dette, altre avrò l'opportunità di dirle nel prosieguo dei nostri lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Nessuno, per la verità, ha mai messo in discussione che sia necessario intervenire. Guai se solamente pensassimo di non poter intervenire di fronte alla sciagura della liberazione di delinquenti e di capi di cosche mafiose e camorristiche della sacra corona unita. Ma il punto non è questo: bisogna capire se questo decreto-legge possa raggiungere i risultati che si è prefisso.
In sede di discussione generale, per la verità molto articolata, sono state sollevate critiche non solo dall'opposizione, ma anche da deputati vicini alla maggioranza, le quali avevano ad oggetto i profili di costituzionalità relativi agli articoli 3, 24 e 77 della Costituzione e la capacità del provvedimento di risolvere i problemi emersi con le clamorose scarcerazioni degli ultimi mesi. Ebbene, ritengo che le risposte non siano assolutamente soddisfacenti, anzi, esse aggravano ancora di più la situazione attuale. Potrei dire, molto demagogicamente ma con grande concretezza, che le cause devono essere individuate nella negligenza, nella sommarietà e nella superficialità del Governo di centrosinistra nel monitorare la situazione giudiziaria esistente in Italia. Stiamo parlando di un Governo ormai a fine legislatura, che sta governando da quattro anni e mezzo e che, pertanto, ha avuto la possibilità di rendersi conto delle cause della crisi della giustizia e, soprattutto, delle scarcerazioni.
L'onorevole Bonito, che desiderava una risposta da me, non mi sta ascoltando, ma la risposta vorrei dargliela comunque. Per la verità, la risposta l'ho già preannunciata quando, in sede di discussione sulle linee generali, nell'individuazione delle cause che hanno determinato l'impossibilità di celebrare i processi, dissi una cosa più che scontata, ossia che le scarcerazioni sono state tutte nel sud d'Italia. Qual è la ragione di tale fenomeno circoscritto a livello territoriale (ecco la mancanza di monitoraggio, ecco la mancanza di responsabilità da parte del Governo di centrosinistra o di coloro che sono stati delegati a tenere sotto controllo la situazione)? Nell'Italia meridionale il rapporto dei pubblici ministeri o dei giudici rispetto ai processi è di 1 a 100, mentre nell'Italia settentrionale tale rapporto è di 1 a 10: è la distribuzione dei giudici sul territorio nazionale a provocare le lacune ed i disastri dei quali stiamo discutendo in questo momento.
Devo dire con grande sincerità che il Governo non ha alcuna volontà di venire incontro alle legittime rimostranze, alle legittime critiche e, soprattutto, alle legittime proposte che l'opposizione ha avanzato per risolvere un problema in atto che, certamente, non verrà risolto dal decreto-legge che ci accingiamo a convertire. Tutto ciò è stato consacrato in una serie di emendamenti che, forse provocatoriamente, sono soppressivi degli articoli 1, 2, 7 e 8, la cui finalità era di aprire una discussione in Commissione. Ebbene, devo dire con grande sincerità che, quando abbiamo discusso di tali emendamenti in seno al Comitato dei nove ed abbiamo proposto soluzioni alternative percorribili, ci siamo trovati di fronte ad ostacoli insormontabili, talmente insopportabili che addirittura un deputato molto vicino alla maggioranza - non faccio il nome per ragioni di discrezione - si è espresso testualmente in questi termini: «Perché il Governo non ritira questo decreto-legge?».


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Al vostro interno avete deputati che hanno già bocciato il provvedimento in esame a causa della completa inefficienza delle norme in esso contenute.
Il collega Siniscalchi non è più in aula, ma io non ho capito il suo discorso in relazione al primo aspetto del quale dovremmo interessarci, riguardante la separazione dei processi. Noi riteniamo che la proposta del Governo aggravi enormemente la situazione; si tratta dell'esempio tipico della mancanza di volontà da parte del Governo di risolvere i problemi.

MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Non esagerare!

SERGIO COLA. In seno al Comitato dei nove si è discusso a lungo ed è stata prospettata una soluzione, non dall'opposizione ma dall'onorevole Parenti, che condividevamo appieno. Quale era tale soluzione che, per la verità, avrebbe determinato molte cause di incompatibilità relativamente alla separazione (Commenti del sottosegretario Li Calzi)?
Carissimo sottosegretario, lei non è attenta a ciò che dico, perché l'incompatibilità si determinerebbe con la vostra soluzione di attribuire all'organo giudicante la discrezionalità di operare la separazione sin dall'apertura del dibattimento: anche in questo caso si creerebbero casi di incompatibilità.
La proposta che noi condividevamo, invece, era diversa: una volta acquisita la prova, magari anche attraverso una modifica dell'ordine di escussione dei testimoni esteso anche alla difesa, nell'ambito dei processi cumulativi (perché in questo caso ci interessiamo soprattutto dei processi ex articolo 51 e non di altri tipi di processi perché, se dovessimo interessarci di quelli, la soluzione sarebbe più che scontata); una volta definita una situazione processuale sotto il profilo probatorio, non sarebbe stato e non sarebbe assolutamente giusto - per l'imputato e soprattutto per venire incontro alle esigenze della giustizia e quindi evitare le scarcerazioni - che l'imputato fosse ancora sottoposto, colpevole o innocente, al travaglio di un altro anno, di altri due o tre anni di dibattimento. Allora sì che la separazione avrebbe trovato o troverebbe una giustificazione! Ebbene, a questa proposta (sotto il profilo logico avevamo anche rinunciato all'accordo delle parti), che doveva essere accolta se veramente vi fosse stata questa volontà, la maggioranza ha detto di no! Se non mi sbaglio, abbiamo sospeso i nostri lavori subito dopo tale presa di posizione.
Noi vogliamo veramente risolvere i problemi in questi termini? Se dovessimo procedere, sin dall'inizio del dibattimento, alla separazione, certamente causeremmo alla giustizia ulteriori danni e bloccheremmo completamente la situazione!
Io non voglio assolutamente parlare dell'articolo 2, ma devo rilevare che in sede di Comitato dei nove qualcuno non ci ha veramente capito più niente a causa della nebulosità della formulazione della norma: mi riferisco alla confusione tra proroga e sospensione; al recupero o all'anticipo dei termini di custodia cautelare. Circa l'assurda formulazione di quella parte di norma che modifica il comma 2 dell'articolo 305 del codice di procedura penale, ho fatto rilevare che, estendere a tutte le fasi del processo (quindi ad ogni stato e grado del dibattimento) quella norma, non avrebbe sortito risultato alcuno, perché essa riguarda solamente le indagini preliminari. Il relatore mi ha risposto che spetterà al giudice interpretare nella migliore delle maniere la norma, quando invece i casi sono tassativi; quindi il giudice dovrebbe attenersi al rispetto della norma, senza andare oltre. Quindi, le eventuali conseguenze positive e gli eventuali vantaggi sarebbero stati neutralizzati da una formulazione sciatta e superficiale e che, per la verità, ritengo sia il frutto non dell'elaborazione mentale, intellettuale o dottrinale di Borrometi o di Bonito, ma dell'interpretazione dottrinale di qualche soggetto imboscato nel Ministero di grazia e giustizia, che non frequenta le aule di giustizia e che non sa che cosa sia il nuovo processo e che, magari da vent'anni, con approssimazione e sommarietà,


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dà questo grande contributo al Governo di centrosinistra prospettando di un decreto-legge il cui contenuto è veramente nullo sotto tutti i punti di vista e che, invece di risolvere i problemi, li aggrava a dismisura!
L'onorevole Siniscalchi, che per la verità sul punto è in contrasto con l'onorevole Bonito, ha detto cose completamente diverse; forse perché Siniscalchi, come il sottoscritto e come Biondi, «calca» ancora le aule di giustizia.
Ma che necessità vi era di prevedere la possibilità di celebrare processi al di là e al di fuori del distretto della corte d'appello?

ALFREDO BIONDI. Per la media inglese!

SERGIO COLA. Ma un'aulabunker la si può attrezzare in meno di quindici giorni! Abbiamo avuto un'esperienza ventennale al riguardo ed io ho vissuto in prima persona il famoso processo Tortora: ebbene, quando c'è stata la volontà, a Napoli sono state predisposte ben sette o otto aule-bunker per ospitare maxiprocessi. Questa è una situazione che esiste da circa vent'anni rispetto alla quale non vi sono problemi, a meno che non si debba pensare che questa norma sia stata formulata in questo senso per il raggiungimento di chi sa quali altre finalità. Non penso che ciò sia stato fatto per dare ai giudici togati la possibilità di fare una vacanza in un albergo a quattro stelle e per darla anche ai giudici non togati, atteso che la maggior parte di questi processi sono di competenza delle corti d'assise. Che cosa dire dell'altra anomalia che a mio modo di vedere è proprio la conseguenza di una scarsa conoscenza - riprovevole - della situazione giudiziaria italiana? Mi riferisco alla decisione di estendere le teleconferenze anche ai riti abbreviati che avvengono nel pubblico dibattimento. È una cosa assurda.
Posso testimoniare che circa quindici giorni fa a Napoli un processo con rito abbreviato senza pubblica udienza è stato rinviato di tre mesi proprio perché non vi erano aule disponibili per celebrarlo in teleconferenza. Immaginiamo un po', se ampliamo il campo d'azione delle teleconferenze, a che cosa potremmo arrivare! Arriveremmo a conseguenze assolutamente assurde!
Lasciamo stare poi gli aspetti riguardanti la costituzionalità. Per non parlare poi dell'altro aspetto. Non voglio assolutamente entrare nel merito del famoso rito abbreviato e della possibilità di accedervi ove la pena sia quella dell'ergastolo con isolamento diurno oppure no. Però, signor Presidente, vorrei sapere se lei abbia mai praticato o conosciuto questo tipo di ...

ANTONIO BORROMETI. ... di isolamento, no!

SERGIO COLA. ... idea, e cioè che la interpretazione autentica di una legge non la faccia chi ha prodotto la legge, ma un altro potere dello Stato. Ebbene, il Governo ha fornito una interpretazione autentica di una legge che il Parlamento ha approvato alla quasi unanimità appena sei mesi prima. Qui siamo di fronte allo stravolgimento di ogni principio. Allora non sarebbe stato più logico, atteso che non vi era nessuna ragione di straordinaria necessità e urgenza, presentare un disegno di legge e riproporre al Parlamento, sede naturale, la rivisitazione di questo istituto?
Vorrei terminare le mie brevi osservazioni, che poi sono trasfuse negli emendamenti, facendo riferimento alla questione del «braccialetto». Abbiamo parlato di violazione dell'articolo 77 della Costituzione. Si fa un esperimento, ma lo si fa per ragioni di straordinaria necessità ed urgenza quando non ci sono neanche i braccialetti. Ma qui siamo veramente all'assurdo, siamo veramente al dilettantismo totale! Questo è il Governo di centrosinistra!
Stimo moltissimo i colleghi Borrometi e Bonito perché sono persone che sotto il profilo della preparazione giuridica sono inappuntabili, però non dovete fidarvi ciecamente - caro Borrometi -, di coloro che vi stanno portando alla rovina.


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Voi, in questo momento, siete malati di una gravissima patologia: la sifilide elettorale. Proprio la sifilide elettorale vi ha obnubilato nel vero senso della parola, vi ha offuscato il cervello ...

PRESIDENTE. Sottoporremo il problema all'onorevole ministro della sanità. Per ora, la pregherei di concludere perché il suo tempo è esaurito.

SERGIO COLA. Signor Presidente, anche il ministro della sanità potrebbe essere offuscato da questo tipo di malattia ...

ALFREDO BIONDI. Speriamo di no.

SERGIO COLA. ... se dovesse presentarsi. Quindi non sarebbe il più adatto a risolvere siffatte problematiche.
Sono veramente rammaricato, signor Presidente, lo devo dire con grande sincerità, di questa chiusura totale, che poi tra l'altro non è una novità nel Governo di centrosinistra. Quando non solo l'opposizione ma anche componenti della maggioranza desiderano offrire un contributo che sotto il profilo logico non fa una grinza, ci troviamo di fronte ad una opposizione illogica e assurda. Perciò ritengo che solo un fatto patologico ha potuto determinare siffatto comportamento.

MASSIMO GRILLO. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO GRILLO. Signor Presidente, dai tabulati del resoconto non risulterebbero cinque o sei votazioni effettuate dalla mia postazione.

PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.

PIERLUIGI COPERCINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI COPERCINI. Signor Presidente, intendevo intervenire in relazione al metodo e all'organizzazione dei nostri lavori, specialmente su provvedimenti che riguardano la giustizia, quindi un settore del nostro sistema che presenta elementi di criticità estrema. Avrei avuto piacere di fare presenti le mie osservazioni al Presidente della Camera e prima ho cercato di attirare l'attenzione di Violante, quando era in aula: lo ripeto a lei...

PRESIDENTE. Onorevole Copercini, dato che vi è stato già un piccolo battibecco, le dispiace dire il Presidente Violante?

PIERLUIGI COPERCINI. Sì: onorevole Presidente, onorevole che presiede gli altri onorevoli...

ALFREDO BIONDI. Se uno parla di Dante Alighieri, non dice il poeta Dante Alighieri!

PIERLUIGI COPERCINI. Colui che presiede la Camera, dicevo, dovrebbe anche ordinarne i lavori: ebbene, in Comitato dei nove, del provvedimento in esame, siamo arrivati sì e no ad esaminare la fase di chiusura dell'articolo 2, ma ve ne sono tanti altri ed il mio ultimo emendamento soppressivo riguarda l'articolo 26. Se continuiamo ad organizzare i nostri lavori tollerando che gli stessi procedano con queste modalità, andiamo contro le leggi ergonomiche che reggono tutte le attività umane, ma anche contro la nostra intelligenza.
Il provvedimento in esame meritava un'attenta considerazione, appunto, in Comitato dei nove e lei, signor Presidente, lo ha capito benissimo, anche per gli interventi sull'ordine dei lavori di tutti gli eminenti giuristi che popolano questa Assemblea, interventi che hanno tracciato un determinato quadro, che potrei ripetere anch'io ma per il quale mi rifaccio a quanto da loro detto. Gran parte del provvedimento, infatti, è collegato, a macchia di leopardo, con altri provvedimenti


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che stiamo esaminando alla Camera o che abbiamo già esaminato e ora sono sottoposti al vaglio del Senato: si tratta anche di provvedimenti che abbiamo poi visto miseramente abbandonati a se stessi, non so per quali ragioni, ma che ogni tanto riesumiamo. Adesso vi è stata questa riesumazione, che però, proprio per ottenere una collaborazione fattiva e produttiva di qualcosa di positivo, avrebbe richiesto che si discutesse con un po' di calma e di ponderazione.
Lei sa benissimo quale sia la posizione mia e del mio gruppo, di totale ripulsa, di fronte a certe istituzioni: anche dal punto di vista dell'organizzazione dei nostri lavori, concepiamo qualcosa di molto diverso; tuttavia, abbiamo una Costituzione ed un regolamento, dunque rispettiamoli. Portare all'esame dell'Assemblea provvedimenti in questo modo, quando vi è stata soltanto una «spolverata» generale, con grandi contrasti, significa complicare i nostri lavori, produrre mostri giuridici, complicarci la vita, fare una brutta figura davanti a coloro che qui rappresentiamo, i cittadini. È una figura che a me personalmente dispiace sempre ed ogni tanto mi fa piacere tornare a sottolineare questi aspetti.
Dunque, che si potesse fare qualcosa su determinati argomenti, il relatore qui presente lo sa benissimo: vi era infatti unità d'intenti da parte di tutti, eravamo d'accordo su alcune soluzioni giuridico-tecniche per alcune parti del provvedimento, proprio perché se ne era già discusso anche in altri ambiti, come sa pure il sottosegretario. Affermare, quindi, che l'opposizione non offre la sua collaborazione costruttiva è un falso, che rigetto a chi, invece, trascinandoci per la coda, vuole portare il provvedimento in aula e discuterlo con i limiti di una contesa da aula di tribunale per poi far passare qualcosa che, come qualcuno ha già detto ma io mi pregio di ripeterlo, è stato concepito in luoghi diversi da questo e da persone che forse di diritto se ne intendono meno di me!

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso degli emendamenti e degli articoli aggiuntivi riferiti agli articoli del decreto-legge, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Il parere è contrario su tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Il Governo?

MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo concorda con il parere espresso dal relatore.

ROBERTO MANZIONE. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO MANZIONE. Signor Presidente, desidero rappresentarle formalmente, come le ho già detto per vie brevi, la necessità di oppormi alle dichiarazioni di inammissibilità di alcuni emendamenti presentati. Se fosse possibile farlo domani, lo farei senza problemi.

PRESIDENTE. Onorevole Manzione, lei sa meglio di me che l'opposizione all'inammissibilità è questione discussa, discutibile e probabilmente anch'essa non ammissibile. In ogni caso, siccome domani la seduta sarà presieduta dal Presidente della Camera, è stata data la stessa assicurazione all'onorevole Mantovano.

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Signor Presidente, intendevo precisare che la mia contrarietà riguarda gli emendamenti all'articolo 1 del decreto-legge.

PRESIDENTE. Sì, io le avevo chiesto di dare il parere sugli emendamenti all'articolo 1 del decreto-legge, onorevole Borrometi.


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ELIO VITO. E sugli altri emendamenti?

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Sugli altri c'è un punto interrogativo che sarà sciolto nel prosieguo.

PRESIDENTE. Onorevole Vito, per cortesia!

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Signor Presidente, nel fascicolo che mi è stato consegnato non erano ricompresi i due emendamenti della Commissione, gli emendamenti 1.50 e 1.51, che noto solo adesso, per questo non li avevo indicati. Su di essi il Comitato dei nove aveva espresso naturalmente il parere favorevole.

PRESIDENTE. Lei desidera che risulti che il parere è contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 1 del decreto-legge, tranne che sugli emendamenti 1.50 e 1.51 della Commissione.

ANTONIO BORROMETI, Relatore. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sugli emendamenti della Commissione?

MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Favorevole, Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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