Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 754 del 4/7/2000
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TESTO AGGIORNATO AL 5 LUGLIO 2000


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(Iniziative per tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica in provincia di Reggio Calabria)

PRESIDENTE. Passiamo alle interpellanze Filocamo n. 2-02038, Bova n. 2-02051, Tassone n. 2-02052 e Aloi n. 2-02057 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 5).
Avverto che queste interpellanze, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.
Constato l'assenza dell'onorevole Filocamo: s'intende che abbia rinunciato ad illustrare la sua interpellanza n. 2-02038.
Onorevole Bova, intende illustrare la sua interpellanza?

DOMENICO BOVA. No, signor Presidente, rinunzio ad illustrarla e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Prendo atto che anche gli onorevoli Volontè, cofirmatario dell'interpellanza Tassone n. 2-02052 e Aloi rinunziano all'illustrazione e si riservano di intervenire in sede di replica
Il sottosegretario di Stato per l'interno ha facoltà di rispondere.

MASSIMO BRUTTI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, le interpellanze in oggetto ripropongono il delicato problema dei fenomeni criminali nella provincia di Reggio Calabria ed in particolare nella Locride e nella zona di Gioia Tauro.
Gli onorevoli interpellanti prendono spunto dall'assassinio dell'imprenditore edile Antonio Musolino, avvenuto nel comune di Benestare la sera del 31 ottobre 1999, nonché da una lunga serie di attentati e di atti intimidatori verificatisi lo scorso anno, per chiedere al Governo l'adozione di provvedimenti volti a migliorare l'efficacia complessiva dell'attività di contrasto nei confronti della criminalità in generale ed in particolare di quelle organizzazioni che sono raccolte nella 'ndrangheta.
Le interpellanze pongono il problema delle infiltrazioni criminali nelle attività economiche di quest'area, con particolare riguardo al porto di Gioia Tauro, e ricordano alcuni emblematici attentati incendiari, quale quello subito dalla Woodline di San Ferdinando e dall'imprenditore


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Vito Lo Cicero. Inoltre, l'onorevole Bova chiede quale sia il giudizio del Governo sulle dichiarazioni rese alla stampa nel novembre dello scorso anno dal procuratore della Repubblica di Locri, che aveva parlato di un depotenziamento delle attività di polizia, e poi da alcuni agenti del commissariato della Polizia di Stato di Bovalino, che lamentavano lo smembramento del commissariato. In definitiva, si vuole sapere quali iniziative abbia assunto e intenda assumere il Governo per garantire la legalità e la sicurezza di tutti i cittadini nella provincia di Reggio Calabria e come, sul terreno delle attività economiche, si possano tutelare gli imprenditori dalle estorsioni, dagli atti di intimidazione, dagli attentati; come si possa garantire maggiore sicurezza alle imprese sane che cercano di investire, contribuendo all'occupazione ed allo sviluppo.
Rispondo congiuntamente a queste interpellanze, muovendo da una premessa. Più volte, negli anni passati, ho rivolto al Governo, quando la mia parte politica non era ancora al Governo e io stesso non ne facevo parte, interrogazioni sulla questione della lotta contro la mafia e le sue organizzazioni nelle regioni ove tali organizzazioni sono più forti. Conosco quindi lo stile delle risposte che di solito venivano date quando, soprattutto da parte dell'opposizione, vi erano sollecitazioni per un maggiore impegno. Il rischio che il Governo corre nel fornire tali risposte è proprio quello di cercare di tranquillizzare i propri interlocutori senza guardare in faccia ai problemi drammatici che noi abbiamo vissuto soprattutto negli anni ottanta e nella prima metà degli anni novanta, forse il periodo più drammatico. Tuttavia, tale drammaticità continua, è quindi necessario, da parte nostra, dare risposte che non cerchino di considerare tra parentesi la durezza dello scontro e gli obiettivi ancora da conseguire nell'azione di contrasto contro la 'ndrangheta.
Dobbiamo innanzitutto stare attenti alla sottovalutazione di questo problema: non si tratta di un residuo arcaico, ma di una forma di criminalità organizzata moderna che si attesta ad un livello più alto di sviluppo rispetto a quello dei decenni passati. L'economia di questa regione cresce ed in essa - basti pensare a ciò che avviene a Gioia Tauro - i gruppi mafiosi continuano a mettere radici. Pertanto, no alla sottovalutazione del problema.
In secondo luogo, va detto - noi lo sostenevamo già negli anni ottanta e nella prima metà degli anni novanta, ricevendo spesso risposte inadeguate - che la forza della 'ndrangheta è al di fuori di essa. Non è solo nei gruppi criminali che si organizzano per il controllo dei traffici illeciti, ma è anche nella indifferenza, nella scarsa risposta della società civile nei confronti di chi la invita ad un'azione di contrasto, nella debolezza delle istituzioni e nella difficoltà a costruire una sinergia tra i vari soggetti istituzionali, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, individuando la lotta alla 'ndrangheta come una priorità.
Infine, la violenza dei gruppi 'ndranghetisti non è, come si è detto più volte in passato, un segno di debolezza. Questo è un argomento consolatorio tradizionale: quando si uccidono tra loro, quando c'è scontro tra cosche mafiose, vuol dire che sono deboli. Il Governo ritiene invece di poter dire, dando una prima risposta alla richiesta di una valutazione del fenomeno, che, là dove si manifesta la violenza dei gruppi 'ndranghetisti, vi è una maggiore forza dei gruppi stessi, i quali pensano - dobbiamo cercare di smentire nei fatti questa loro convinzione - di poter rimanere impuniti: da qui la violenza e la brutalità.
Questi sono i punti di riferimento dai quali muove il Governo nel rispondere alle interpellanze presentate ed anche nell'applicare le strategie di contrasto nei confronti della 'ndrangheta.
Inizio con l'omicidio dell'imprenditore Antonio Musolino, di cui si parla nelle interpellanze presentate. Le indagini condotte dal commissariato di Bovalino, dalla sezione investigativa del commissariato di Siderno, coordinate dalla procura della Repubblica di Locri, si sono rivelate complesse. La vittima aveva molteplici interessi


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economici ed imprenditoriali nell'area della Locride. Bisogna dire che ancora non siamo arrivati ad individuare, nemmeno in via d'ipotesi, i responsabili; manca un impianto accusatorio definito.
Proprio muovendo dall'omicidio dell'imprenditore Antonio Musolino si può dire che c'è un'azione di contrasto da parte delle istituzioni; in questi anni abbiamo visto che sono stati ottenuti buoni risultati ma in molti di questi episodi c'è una sorta di muro impenetrabile contro il quale si scontra l'azione delle forze di polizia e dell'autorità giudiziaria. Ed allora dobbiamo potenziare tutti gli strumenti perché altri successi ed altri buoni risultati si ottengano nell'azione di contrasto, ma dobbiamo sapere che il problema di fondo è quello di una strategia volta ad incrinare e a spezzare questo muro impenetrabile, un muro che si innalza quando ci sono omicidi come quello dell'imprenditore Antonio Musolino. Ricordo, ad esempio, che pochi mesi fa a Gioiosa Ionica, anzi per l'esattezza a Marina di Gioiosa, nella Locride, ci fu l'omicidio dell'imprenditore Domenico Gullaci. Un omicidio che, per le modalità con le quali è stato compiuto, utilizzando lo strumento dell'autobomba, ha un carattere che va al di là dell'obiettivo da colpire; evidentemente è un omicidio teso a creare una situazione più ampia di intimidazione, ad affermare il potere della cosca mafiosa che lo ha realizzato.
Di fronte a tutto ciò vi è bisogno di intensificare una strategia che è complessa, che richiede il potenziamento dell'attività investigativa, una risposta giudiziaria; il che significa che occorre in queste zone un numero maggiore di magistrati (e non solo giovanissimi o uditori giudiziari, che peraltro sono molto bravi), di personale ausiliario, un maggiore impegno nella ricerca e cattura dei latitanti. Di questa strategia fa parte la ricerca paziente di tutte le crepe che si aprono nella organizzazione mafiosa, la ricerca dei collaboratori di giustizia. La sollecitazione a collaborare è un elemento importante perché, se vi sono collaboratori di giustizia, se cioè vi è una defezione dalle organizzazioni criminali, vi è anche la possibilità di romperne la compattezza, di disgregarle. Sappiamo quanto ciò sia stato e sia difficile nell'andrangheta dove la struttura fondamentale è di tipo familistico: domina il legame di sangue. E proprio perché il legame di sangue è l'elemento di compattezza dell'organizzazione mafiosa, è più difficile che questa organizzazione si rompa, che personaggi che hanno responsabilità nelle attività criminose si distacchino, si allontanino, rompano con l'organizzazione mafiosa per collaborare con la giustizia. Molte volte il legame di sangue è più forte. Noi dobbiamo invece puntare ad ampliare questi fenomeni di defezione; dobbiamo puntare sui collaboratori di giustizia come strumento rilevante per l'azione antimafia.
Inoltre, è necessario tenere fermo e consolidare il regime carcerario di particolare severità nei confronti dei boss mafiosi e tutti quegli elementi che già sono presenti nella nostra normativa e che denominiamo in modo riassuntivo di doppio binario, capaci di determinare maggiore severità nei confronti di coloro che sono responsabili di delitti di mafia.
Quanto alle intimidazioni (questo è un altro punto richiamato nelle interpellanze) subite dall'imprenditore Vito Lo Cicero, merita di essere sottolineato soprattutto l'incendio, verosimilmente di natura dolosa, del motoscafo di questo imprenditore avvenuto a Villa San Giovanni il 26 ottobre 1999. Lo stesso imprenditore ha dichiarato che l'attentato doveva, con ogni probabilità, ricondursi ad un tentativo di estorsione, rivelando così di essere al centro di pressioni estorsive da parte di gruppi mafiosi.
C'è poi l'attentato subito dallo stabilimento industriale Woodline International Srl, il cui amministratore è il signor Raffaele Putillo. Ricordo che si tratta di un'azienda dedita alla produzione di pannelli in legno ubicata nel comune di San Ferdinando, cioè nella zona industriale a ridosso del porto di Gioia Tauro che assieme al capoluogo rappresenta uno


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degli epicentri della forza e, negli ultimi anni, della ripresa di iniziativa delle organizzazioni criminali.
Nella notte tra il 22 e il 23 giugno dello scorso anno la Woodline International è stata oggetto di un attentato incendiario e il 30 ottobre successivo ha subito il furto di un autocarro e di quattro carrelli elevatori per un danno complessivo di 300 milioni di lire. Le indagini non hanno fatto emergere elementi o indizi per individuare i colpevoli e questo è un ulteriore segno preoccupante. In questi luoghi si registrano azioni criminali volte ad esercitare una pressione e finalizzate al dominio nell'ambito di un'attività imprenditoriale ed abbiamo difficoltà a trovare elementi per individuare i responsabili di questi atti criminali.
Questi sono indizi che dimostrano quanto sia forte ancora, nonostante i colpi subiti, l'organizzazione della 'ndrangheta. Si può dire che in Calabria il potere criminale delle organizzazioni mafiose è più compatto ed impunito che in altre regioni d'Italia perché vi è ancora oggi una forte capacità di penetrazione nelle attività economiche fondamentali e, a differenza delle vicende più recenti di Cosa nostra, non vi è un tentativo di mimetizzarsi, non vi è la ricerca di un compromesso né la frammentazione che è propria della camorra. Vi è, quindi, un potere criminale che ha ancora in questo momento una sua forza, ma che è compatto e che, in alcuni momenti cruciali dell'affermazione del proprio dominio, punta alla violenza e alla brutalità senza remore, senza mimetizzarsi, senza la ricerca del compromesso. Ciò rende la situazione calabrese più preoccupante e drammatica rispetto a quella di altre regioni ove è tradizionale l'insediamento dei gruppi mafiosi. È stata disposta un'intensificazione dei servizi di vigilanza a stabilimenti che possono essere esposti alla violenza per finalità estorsive. Ciò vale soprattutto per iniziative imprenditoriali legate allo sviluppo del porto di Gioia Tauro.
In questo quadro, abbiamo disposto la vigilanza degli impianti della Woodline International, proprio per dare un'idea evidente a tutti della protezione che lo Stato offre ad un'impresa che sia colpita dall'attacco mafioso e dalle pressioni estorsive, confidando che questa vigilanza che vogliamo rendere sempre più intensa e capillare, rappresenti anche un aiuto a tutti coloro che vogliono sottrarsi all'omertà, al peso dell'indifferenza e della rassegnazione e che vogliono denunciare i reati, collaborare con la giustizia e mettersi da parte dello Stato contro le organizzazioni mafiose.
Per quello che riguarda i fatti criminosi accaduti nel comune di Cinquefrondi, cui ha fatto cenno l'onorevole Aloi, in particolare risultano l'esplosione di alcuni colpi di pistole contro l'autovettura di un geometra e l'incendio di un capannone industriale della ditta VIMAG. Anche in questo caso - come vedete - vi è un attacco violento, non di alto livello, perché l'attacco violento è proporzionato all'obiettivo che si intende conseguire, ma che serve a tenere persone sotto pressione le attività economiche o le persone che svolgono un ruolo nella società civile di un piccolo paese come Cinquefrondi. Le indagini sono in corso e, anche in questo caso, nulla viene rilevato; dobbiamo contrastare questa impunità con una presenza più efficace e continua delle forze di polizia sul territorio ed è quello che il Governo intende fare e che sta facendo.
Passiamo ad alcuni dati relativi all'andamento generale della criminalità in provincia di Reggio Calabria, relativi all'ultimo periodo, che ci aiutano ad inquadrare la situazione che ho descritto.
Il primo dato è la sostanziale stabilità del totale generale dei delitti commessi nel 1999 rispetto a quelli del 1998; anzi, complessivamente si registra una leggerissima flessione dello 0,90 per cento. Non vi è stata, quindi, un'impennata dei delitti e della violenza; la drammaticità della situazione sta proprio nel fatto che i delitti siano stazionari e che, nell'ambito di essi, spicchino alcuni delitti e reati che dimostrano una potenzialità criminale forte da parte della 'ndrangheta.
Sul terreno della criminalità diffusa, che non può considerarsi del tutto slegata


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dalle azioni delle organizzazioni criminali più forti, vi è stato un aumento di scippi, incendi dolosi ed attentati dinamitardi. È chiaro che le nostre statistiche collocano gli incendi dolosi e gli attentati dinamitardi nel quadro della criminalità diffusa; sappiamo, però, che essi sono «delitti civetta», cioè che rivelano qualcos'altro: una pressione estorsiva, l'intimidazione. Dove c'è pressione estorsiva ed intimidazione vi è, naturalmente, un retroterra mafioso.
Si registra, poi, una diminuzione dei furti e delle rapine e ciò indica che la criminalità slegata dalle organizzazioni non cresce, non prospera, anzi diminuisce. Vi è un altro dato che non è affatto positivo, come apparentemente sembrerebbe, ossia la diminuzione delle estorsioni denunciate; affermo che tale dato non è affatto positivo perché, se diminuiscono le denunce per estorsione, soprattutto quando aumentano gli incendi dolosi e gli attentati dinamitardi, ciò non significa che diminuiscono le estorsioni, ma che non è forte, non è quale noi vorremmo la fiducia delle persone sottoposte alla pressione estorsiva nei confronti dello Stato, della giustizia, della nostra capacità di intervento e di contrasto.
Nel 1999 sono stati commessi trentasei omicidi volontari (nel 1998 sono stati quarantanove e, quindi, vi è una diminuzione di tali omicidi), ma tredici di essi sono evidentemente riconducibili a motivi di criminalità organizzata. Nel corrente anno, fino al 22 giugno, gli omicidi volontari sono stati dodici, dei quali quattro ascrivibili alla criminalità organizzata; in questi primi sei mesi, quindi, sembra esservi una contrazione nel numero degli omicidi e, in particolare, degli omicidi di criminalità organizzata.
Per quanto riguarda la criminalità organizzata reggina, possiamo ricordare che negli anni ottanta essa aveva conosciuto - lo dicevo in precedenza - uno sviluppo che l'aveva portata ad espandere la sua presenza praticamente in tutta la regione, sia pure con differenze di penetrazione nelle varie località. Soprattutto, però, il dato che colpisce nello sviluppo della 'ndrangheta negli anni ottanta è il fatto che essa abbia stabilito una serie di teste di ponte in altre regioni d'Italia e che abbia saputo spostare la propria azione criminale, soprattutto con riferimento a grandi attività economiche e al riciclaggio di ingenti patrimoni, al di là dei confini nazionali, all'estero.
Proprio oggi, sul Corriere della Sera, commentando la bozza di relazione predisposta sulla 'ndrangheta per la Commissione antimafia, un giornalista esperto di questioni di lotta contro la mafia quale è Corrado Stajano sottolinea come da alcune sentenze della magistratura risulti che Milano è la città italiana più importante come punto di riferimento per le attività della 'ndrangheta (ci aspetteremmo che fosse Reggio Calabria ed invece è Milano). Egli aggiunge, poi, che «i vertici dei gruppi delinquenziali albanesi sono in contatto con la cosca Morabito» di Africo, una delle più forti della 'ndrangheta. Ciò richiama la nostra attenzione su due caratteri convergenti dell'azione criminale della 'ndrangheta, ma non soltanto di essa. In questo momento nella mafia calabrese questi due elementi sono più pronunciati e forti, proprio perché la mafia calabrese ha subito di meno i colpi che invece sono stati inferti a Cosa nostra e alla camorra. Il primo di questi due elementi è quello della territorialità e, cioè, la capacità di controllare nei paesi (facevo prima l'esempio di atti di violenza non rilevanti per l'entità, ma per l'effetto che riescono a conseguire in un paese come Cinquefrondi) e di avere radici nel territorio. Quando parlo della capacità di controllare, faccio riferimento anche a talune piccole attività esistenti nei paesi: questo significa capacità di muoversi garantendo, quando è necessaria, l'impunità dei criminali.
Il secondo di tali elementi è quello della capacità di stabilire rapporti e contatti internazionali.
Negli anni ottanta abbiamo quindi avuto questo tipo di sviluppo e abbiamo assistito anche alla emersione ed al delinearsi di due tipi di struttura organizzativa che ritroviamo ancora oggi: da un lato,


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queste 'ndrine separate ed autonome che troviamo in varie parti del territorio calabrese; dall'altro lato, anche una struttura centralizzata soprattutto in provincia e soprattutto a Reggio Calabria che rassomiglia, per certi versi, alla struttura di Cosa nostra nei periodi migliori, nei periodi più fulgidi per questa organizzazione.
Mi fermo qui perché non intendo andare più avanti nell'analisi del fenomeno, né anticipare il dibattito che avrà luogo nell'ambito della Commissione antimafia sulla bozza di relazione che è stata predisposta e che a me sembra un documento molto serio e significativo, del quale il Governo dovrà tenere conto.
Mi limiterò soltanto a ricordare che i campi di azione della 'ndrangheta sono i traffici illeciti tradizionali delle mafie: le sostanze stupefacenti, le armi; oggi, vi sono però dei traffici nuovi come quello degli immigrati clandestini e dei rifiuti tossici.
Dagli attentati compiuti nei confronti di operatori economici e di professionisti si evidenzia quanto sia forte questo attacco alla società civile perché il dominio sulla società è un elemento della forza delle organizzazioni criminali; il dominio sulla società si realizza attraverso la violenza e l'intimidazione. L'unico modo per frenarlo e per contrastarlo è quello di mettere in campo un'azione di contrasto capillare sul territorio in grado di ricacciare indietro l'intimidazione e di dare coraggio ai cittadini.
Sottolineo che l'azione dello Stato dai primi anni novanta ad oggi non è più intralciata dalle sottovalutazioni del passato e tuttavia le organizzazioni criminali si presentano tuttora assai forti.
Ho già detto come il fenomeno dei collaboratori di giustizia per la 'ndrangheta non abbia avuto le dimensioni e gli effetti che ha avuto per Cosa nostra e per la camorra. Abbiamo organizzazioni criminali molto attive nel capoluogo (ricordo le cosche De Stefano, Imerti, Latella, Labate), nella Piana di Gioia Tauro (dove operano le cosche Piromalli-Molè, Mammoliti, Pesce, Bellocco), nella Locride (con le cosche Nirta, Barbaro, Commisso e Mazzaferro), nella estrema costa meridionale ionica (come nei comuni di Melito Porto Salvo e di Montebello che sono influenzati dalla cosca Jamonte).
Nella provincia di Reggio Calabria si registra in questo momento la «pace mafiosa», vale a dire un certo consolidamento ed un certo equilibrio; tuttavia si sono registrate anche tensioni all'interno delle cosche: nel comune di Locri vi è stato il conflitto tra le cosche Cordì e Cataldo, con quattro omicidi, un tentato omicidio nel 1998 e un omicidio il 1o settembre 1999; ad Oppido Mamertina abbiamo avuto il contrasto tra le famiglie Gugliotta e Bonarrigo e poi tra le famiglie Mazzagatti-Polimeni e Audino-Zumbo, che nel 1998 ha determinato l'uccisione di cinque persone e il ferimento di altre tre. Nel 1999 vi è stato un omicidio; mentre nessun episodio si è registrato durante l'anno in corso.
Non vi è quindi alcun velo sulla drammaticità perdurante di questo attacco criminale che noi, a differenza di quanto avveniva nel passato, non sottovalutiamo e che stiamo contrastando con tutti i mezzi possibili.
Fornirò ora qualche notizia relativa ai risultati recenti ottenuti a seguito del lavoro svolto dagli organi di polizia e dalla magistratura nella lotta contro queste organizzazioni mafiose. Nel 1999 sono state individuate 17 associazioni mafiose e sono state perseguite 465 persone. Nei primi sei mesi del corrente anno, fino al 20 giugno, sono state individuate 8 organizzazioni mafiose con la denuncia di 165 persone ritenute responsabili di atti criminosi. Nel 1999 sono stati catturati 58 latitanti pericolosi di cui uno, Giuseppe Piromalli, capo dell'omonima cosca mafiosa operante a Gioia Tauro, era inserito nello speciale programma dei 30 ricercati più pericolosi, e 25 erano inseriti nell'opuscolo dei 500 latitanti più pericolosi.
Nell'anno corrente, fino al 5 giugno, sono stati catturati 12 latitanti, cioè vuol dire che ne sono stati catturati più di due


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al mese di cui uno, Antonio Libri, era inserito nello speciale programma dei 30 ricercati più pericolosi.
Vedete, l'arresto di un uomo come Antonio Libri oggi non fa notizia, certamente sarebbe stata una notizia molto più rilevante dieci anni fa, ma oggi noi abbiamo una situazione nella quale durante l'ultimo anno in tutta Italia e nell'ambito delle varie organizzazioni mafiose, abbiamo avuto l'arresto di un latitante al giorno.
Antonio Libri è un criminale particolarmente pericoloso appartenente ad una nota famiglia di mafia che ha controllato tra l'altro ingenti attività economiche nel settore edile. Inoltre, sono stati catturati tre latitanti, Pasquale Zagari, Domenico Serraino e Carmelo Gallico inseriti nell'opuscolo dei 500 più pericolosi.
Nel 1999 sono state denunciate 12.367 persone in tutto (15.047 erano state denunciate nel 1998) mentre ne sono state arrestate 1.410.
Nel 1999 sono state condotte dalle forze di polizia 187 operazioni di polizia e al 20 giugno scorso 33 operazioni di rilievo in questa prima parte del 2000.
Nel 1999 sono state proposte 311 persone per la sorveglianza speciale. Sono stati irrogati dall'autorità giudiziaria 221 provvedimenti.
Nel 1999 sono stati sequestrati (questa è una parte importante dell'azione di contrasto e vi è veramente una novità rispetto al passato) 289 beni colpendo, tra l'altro, le cosche Piromalli-Molè, Imerti-Condello-Fontana, Albanese-Raso-Gullace, Morabito-Bruzzaniti-Palamara, per un valore totale provvisorio, in attesa delle valutazioni definitive dell'ufficio tecnico erariale, di un miliardo e 60 milioni di lire. Nello stesso anno sono stati confiscati 82 beni che hanno colpito tra l'altro esponenti delle cosche Iamonte, Piromalli-Molè, Barbaro, Mazzaferro, Cataldo e Crea, per un valore provvisorio di 9 miliardi e 253 milioni (è un valore riferito al 40 per cento di questi beni, quindi la valutazione complessiva è ancora da operare). Nel corso di quest'anno fino al 5 giugno sono state disposte confische che hanno colpito principalmente la cosca Ierinò e Mazzaferro per un valore provvisorio di 5 miliardi e 977 milioni (riferito al 45 per cento dei patrimoni confiscati).
Voglio ricordare che dieci anni fa, nel 1990 (celebreremo questo anniversario nel prossimo mese di settembre), veniva assassinato nella Locride il brigadiere Antonio Marino perché, sulla base di indagini condotte da solitario egli era giunto a far realizzare il sequestro dei beni di una importante famiglia mafiosa nella zona interna di Platì. Ma egli era solo in questa attività di indagine e perciò fu assassinato. Oggi non si può dire lo stesso. Oggi, i sequestri e le confische sono attività consueta e normale che viene condotta con l'impegno di tutte le forze di polizia. Questo è un salto di qualità rispetto a dieci anni fa che noi non dobbiamo né tacere né sottovalutare.
Per quanto riguarda il comprensorio di Gioia Tauro, vorrei sottolineare i risultati dell'operazione «Porto», eseguita il 13 gennaio 1999 nei confronti di 31 affiliati alla potente cosca Piromalli-Molè, tra i quali lo stesso Giuseppe Piromalli e tre ulteriori operazioni di polizia svolte nel gennaio di quest'anno, che hanno confermato la massiccia infiltrazione della cosca nella struttura portuale e l'interesse di questo gruppo al traffico di stupefacenti e alle estorsioni. Abbiamo dato un colpo a questo gruppo e all'organizzazione con quelle operazioni e con quei provvedimenti di custodia cautelare. È certo che nell'area del porto si erano insediate, a partire dal 1993, quando è cominciata l'iniziativa volta allo sviluppo del porto di Gioia Tauro, varie ditte legate ai Piromalli: alcune società che hanno operato nel porto, la Mariba, la Babele Publiservice, la Navalconsult, l'Etrusca, sospettate di essere nella disponibilità dei Piromalli, sono state sottoposte a sequestro preventivo su proposta del questore di Reggio Calabria. Si tratta di un fatto importante, soprattutto se si concluderà con la definitiva confisca dei beni, perché i sequestri e le confische, soprattutto nella zona di Gioia Tauro, dove la posta in gioco dello scontro è lo sviluppo di attività economi


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che sane, colpiscono il prestigio dei mafiosi, la loro autorità, intaccano le loro proprietà, infrangono il mito dell'inviolabilità e dell'impunità.
Vi è stata, poi, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2 giugno scorso dal GIP presso il tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 39 persone affiliate alle cosche Serraino-Rosmini e Libri, che hanno riguardato anche appartenenti ad una locale comunità di nomadi ritenuti vicini alla cosca Serraino. Questi provvedimenti di custodia cautelare vanno ad incidere soprattutto sulle attività estorsive. Tra gli episodi delittuosi di particolare gravità di quest'anno vi è l'omicidio, che prima ricordavo, dell'imprenditore Domenico Gullace: esso ci appare come l'effetto di uno scontro per il dominio e l'egemonia, che riguarda la cosca Commisso di Siderno.
Dopo quest'ultimo episodio sono stati tenuti diversi incontri tra la prefettura e i rappresentanti del comitato dei sindaci della Locride. Noi incoraggiamo attività di collaborazione, tutte le sinergie possibili tra le forze di polizia, i rappresentanti delle comunità locali ed anche altre strutture dello Stato, il provveditorato agli studi, le strutture sanitarie della zona, perché soltanto con un'azione sinergica possiamo progressivamente contrastare ed eliminare le condizioni che favoriscono l'insediamento e la forza delle organizzazioni criminali. Il 5 giugno scorso, in Marina di Gioiosa Jonica, si è tenuto un incontro organizzato dal comitato dei sindaci della Locride al quale hanno partecipato rappresentanti delle forze dell'ordine, magistrati, il presidente della provincia, deputati, assessori regionali, operatori scolastici, imprenditori locali: dobbiamo inoltre puntare sulle associazioni, sulla loro crescita, su tutte le forme di volontariato che mettono insieme forze nell'impegno per la legalità e contro la mafia.
Nell'incontro del 5 giugno è emersa la necessità di avviare una strategia concordata, perché la lotta contro la criminalità non può essere delegata soltanto alle forze di polizia, che naturalmente devono svolgere l'azione preventiva e repressiva più rilevante, ma vi è una fascia più ampia di questioni che riguardano i rapporti con i giovani, la formazione culturale e professionale, il sostegno che il Governo centrale, le istituzioni regionali e locali devono dare per uno sviluppo moderno ed equilibrato dell'economia in certe aree.
In particolare, proprio nell'incontro dei primi di giugno, si è deciso di dare impulso alla definizione di un patto territoriale relativo alla formazione dei giovani, in collaborazione con il locale provveditorato agli studi. Dal mese di settembre del 1999, la questura aveva già definito un piano di intervento coordinato tra le forze dell'ordine e le associazioni di volontariato per la prevenzione del fenomeno dello spaccio e del consumo di stupefacenti nei pressi degli istituti scolastici, nonché per la prevenzione della cosiddetta dispersione scolastica e dei reati contro la moralità pubblica. Vedete, si pone un problema che sembra terra-terra ma che è rilevante: quello dei controlli presso le sale da gioco ed altri esercizi frequentati dai giovani. Non è ammissibile che certi esercizi, in particolare le sale dove alla fine si fa gioco d'azzardo, siano insediati in prossimità delle scuole. Questi locali costituiscono anche possibili centri di reclutamento per la criminalità: dobbiamo quindi contrastare questo tipo di esercizi e di locali, soprattutto quando sono in prossimità delle scuole.
Vi è un'altra iniziativa che il Governo vuole incoraggiare: il patto territoriale della Locride, all'interno del quale è previsto un patto di legalità. Vi sono, poi: il patto territoriale dell'area dello stretto, che riguarda il capoluogo e i comuni che si affacciano sullo stretto; il contratto dell'area di Gioia Tauro, all'interno del quale è previsto un patto di legalità; il patto di legalità e sviluppo, che ha coinvolto 197 comuni della provincia di Reggio Calabria, l'amministrazione provinciale e le organizzazioni sindacali. Concertazioni di questo genere significano un lavoro di più lunga durata i cui risultati non si


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vedono subito, ma è certo che le politiche della sicurezza devono essere comuni ad una pluralità di soggetti istituzionali.
In questo quadro, desidero sottolineare, ancora una volta, quanto sia rilevante il ruolo della scuola; bisogna creare tutte le occasioni, anche attraverso incentivi al personale insegnante - è già previsto dal contratto per la scuola - perché nelle zone a rischio, nelle aree di mafia vi sia la possibilità di trattenere i ragazzi anche il pomeriggio e di impegnarli in attività che li coinvolgano e siano utili alla loro formazione. In questo modo li si tiene lontani dalla strada, lontani dai video-poker, lontani dalle organizzazioni mafiose.
L'azione di controllo nell'area portuale di Gioia Tauro e nel suo Hinterland è assicurata da una compagnia della Guardia di finanza dislocata all'interno del porto e da una vigilanza a bordo delle navi, assicurata dalla Polmare, da un ufficio informativo della Polizia di Stato all'interno del porto, indirizzato esclusivamente al controllo dell'area portuale, da uno specifico servizio di volanti nei tratti che collegano il porto alla viabilità ordinaria, dalla presenza logistica di un reparto dell'arma, la compagnia di Gioia Tauro, ubicata anch'essa all'interno dell'area portuale e, infine, da sistemi di controllo interno delle imprese operanti nell'area portuale. Quella del porto di Gioia Tauro è per noi una sfida e, per tale ragione, stiamo concentrando un particolare impegno di contrasto delle forze di polizia in questa zona. Essa, infatti, è ad alto sviluppo economico, un punto di riferimento per l'economia del Mediterraneo e, se ce lo lasciamo strappare dalla criminalità organizzata, evidentemente per lo Stato sarà una sconfitta.
Al momento abbiamo dato un colpo alla cosca Piromalli e stiamo procedendo con qualche successo, qualche risultato rilevante alla bonifica dell'area. Ulteriori misure di controllo sono previste nel programma operativo «Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno», cofinanziato con fondi comunitari e nazionali per un totale, fino ad ora, di circa 562 miliardi. Si tratta di un programma volto a potenziare la sicurezza del territorio, anche con un supporto tecnologico all'avanguardia. Così nel porto di Gioia Tauro abbiamo tecnologie per il controllo non invasivo di container, di camion, di autoarticolati, per il controllo della movimentazione delle merci in genere. Tra queste strutture tecnologicamente avanzate vi sono apparecchiature per il controllo a raggi X di bagagli, di pacchi, di plichi sospetti; vi sono telemetri laser per la misurazione di doppifondi, densimetri per la rilevazione dall'esterno di sostanze e materiali occultati in cavità di autoveicoli e altre apparecchiature per la rilevazione di sostanze stupefacenti, sostanze esplosive e materiale nucleare.
Stiamo costruendo un dispositivo tecnologico che deve essere generalizzato nei prossimi anni in tutte le regioni del Mezzogiorno, ma intanto abbiamo cominciato a sperimentarlo sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria per un sistema integrato di comunicazione satellitare, che consenta il controllo della strada - chi entra, chi esce, quante auto - e il tempestivo intervento delle pattuglie impiegate sui percorsi interessati. Quindi, un sistema di videosorveglianza e di collegamento in grado di fare intervenire tempestivamente le forze di polizia nel luogo in cui viene commesso un reato. A partire dal prossimo ottobre, presso la questura di Reggio Calabria, dopo la sperimentazione di Crotone, entrerà in funzione un nuovo sistema tecnologico per il controllo del territorio, che, ci auguriamo, determinerà una maggiore efficacia dell'azione preventiva. Ecco il significato di quel processo di raccordo e di unificazione attraverso congegni di trasmissione elettronica delle sale operative in grado di economizzare le forze e di garantire interventi tempestivi. Dunque, non vi è rallentamento dell'azione di Governo, anzi un impegno crescente che vogliamo intensificare, spostando più forze sul territorio. Voi sapete che, dopo l'operazione «Primavera» in Puglia, sposteremo una parte delle forze impegnate nei mesi scorsi proprio in Calabria e io credo che si


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debbano privilegiare aree quali la zona di Crotone, la Locride e l'area di Gioia Tauro.
Credo si possa dire che negli ultimi anni vi è stata una svolta nell'azione dello Stato e un impegno maggiore. Naturalmente non bisogna abbassare la guardia né bisogna rappresentare questo impegno e i risultati indubbi che abbiamo raggiunto in termini propagandistici. Il Governo non ha bisogno di fare propaganda allo sforzo che compie, anzi si rivolge lealmente all'opposizione indicando quali sono le difficoltà, i problemi ancora aperti e la drammaticità della situazione. Dobbiamo andare avanti e concentrare più sforzi nell'azione di contrasto.
Vorrei ricordare infine, per quello che riguarda l'economia e lo sviluppo, che da oltre un anno è attivo presso la prefettura di Reggio Calabria un osservatorio per l'industria delle costruzioni, che opera in collaborazione con i rappresentanti sindacali di settore, con l'associazione dei costruttori, con l'ispettorato del lavoro e gli enti di volta in volta interessati, svolgendo, oltre alle funzioni di analisi, un'azione di vigilanza e di impulso per interventi al fine di garantire lo sviluppo della crescita economica e l'intervento delle forze di polizia e dell'autorità giudiziaria ovunque si verifichino atti illeciti, pressioni estorsive, tentativi di imposizione del potere criminale. È chiaro che, se gli imprenditori si uniscono in questa azione per la legalità, essi acquistano coraggio ed è più facile che arrivino le denunce.
Infine, per quanto riguarda gli uffici di polizia, il personale risulta potenziato con una presenza delle forze di polizia nella provincia pari a 5.120 unità, di cui 2.214 della Polizia di Stato (al 1o giugno 2000), 2.174 dell'Arma dei carabinieri (al 31 maggio 2000) e 732 della Guardia di finanza (al 31 maggio 2000), con un indice interforze di 885 unità ogni centomila abitanti, mentre il dato nazionale è di 476 unità ogni centomila abitanti.
Il dispositivo della polizia di Stato, complessivamente superiore alla dotazione organica di oltre 170 unità, è stato ulteriormente potenziato nello scorso mese di maggio con la destinazione a uffici e reparti reggini di 57 unità del ruolo degli assistenti ed agenti ed anche il dispositivo dell'Arma è stato incrementato negli ultimi mesi di 138 unità.
Nella provincia di Reggio Calabria ha avuto avvio il programma di ristrutturazione dei commissariati di pubblica sicurezza. So che vi sono diffidenze e che vi sono state anche critiche, che trovano eco nelle interpellanze, ma l'obiettivo che noi ci proponiamo è concentrare le attività amministrative e di approfondimento investigativo in alcuni commissariati, che diventano «poli», per dedicare integralmente le risorse degli altri alle attività di controllo del territorio. Vi è così un polo di Reggio Calabria per i commissariati coordinati di Villa San Giovanni e di Condofuri, vi è un polo di Gioia Tauro per i commissariati di Palmi, Taurianova, Cittanova e Polistena, vi è un polo di Siderno e poi vi è il commissariato di Bovalino che volge le proprie energie all'attività di controllo diretto del territorio, il tutto per un complesso di 25 pattuglie operative su ventiquattro ore, senza contare poi le pattuglie dispiegate dai carabinieri e, sia pure in misura minore, dalla Guardia di finanza.
In relazione ad uno specifico quesito dell'onorevole Bova, vorrei precisare che la soppressione del nucleo antisequestri della polizia di Stato di Bovalino non è l'eliminazione di un presidio di polizia, perché il nucleo stesso, insieme al nucleo prevenzione crimine della Calabria, è confluito in una nuova struttura unitaria, denominata «reparto prevenzione crimine Calabria», con sede principale a Rosarno e sedi distaccate a Siderno e Piano Stoccato. Quindi, abbiamo unificato le forze per razionalizzare il lavoro e per poter massimizzare i risultati, in modo tale da dare un raggio di attività uguale sull'intera zona a queste forze, che però funzionano assieme, in sinergia, evitando gli sprechi e le sovrapposizioni: questo è l'obiettivo che intendevamo e intendiamo conseguire.
Dal 1o gennaio al 31 maggio 2000 il totale degli equipaggi di questo reparto


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impiegati nella provincia, con una presenza ininterrotta di 134 giorni, è stato di 1.168, pari ad una media giornaliera di 8-9 equipaggi, per un totale di 3.054 unità.
Il commissariato di pubblica sicurezza di Bovalino, del quale si parlava, che dispone dal 1o giugno 2000 di 46 unità, ha assunto nel quadro della ristrutturazione dei commissariati il ruolo di ufficio coordinato e quindi con un modello organizzativo più snello e sburocratizzato che consente agli agenti di stare sulla strada per la prevenzione ed il controllo del territorio. Invece, presso il commissariato coordinatore (che nel caso specifico è quello di Siderno), sono state accentrate le funzioni di polizia amministrativa ed investigativa. Questo consente al commissariato di Bovalino di predisporre due volanti per ogni turno di servizio nell'arco delle ventiquattr'ore.
Quanto alla denunciata mancanza dei dirigenti presso i commissariati di Bovalino e Siderno, il primo è diretto dal 3 gennaio 2000 da un commissario della Polizia di Stato, mentre il secondo è diretto dal 20 novembre 1999 da un primo dirigente della Polizia di Stato, in sostituzione del precedente responsabile che è stato inviato in missione in Albania.
Queste sono le iniziative concrete che il Governo ha assunto e i risultati conseguiti. Naturalmente bisogna proseguire su questa strada e ritengo che le interpellanze di cui discutiamo oggi e la relazione che verrà discussa e approvata (mi auguro) presto dalla Commissione parlamentare antimafia rappresentino un patrimonio di analisi e di segnalazioni di fatti concreti che possono agire da stimolo sul Governo per proseguire nella lotta senza quartiere contro la 'ndrangheta.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Filocamo: si intende che abbia rinunziato alla replica per la sua interpellanza n. 2-02038.
L'onorevole Bova ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-02051.

DOMENICO BOVA. Ringrazio il sottosegretario Brutti per l'ampia ed articolata risposta di cui mi dichiaro soddisfatto. Lei non ha corso il rischio di tranquillizzare senza guardare in faccia i problemi, anzi li ha esposti ed articolati in maniera compiuta nel suo intervento.
Mi dispiace di non poter sviluppare un intervento organico e complessivo su questo tema ma, dovendo partecipare ai lavori della Commissione parlamentare antimafia dedicati oggi alla relazione sulla Calabria, mi limiterò a brevi osservazioni riallacciandomi al ricco dibattito che si svilupperà - ne sono certo - sulla base degli elementi qui forniti. Noi oggi siamo in una condizione favorevole perché nella nostra qualità di parlamentari siamo stati posti di fronte ad un ampio squarcio sulla realtà calabrese che ci aiuta a comprendere il lavoro sviluppato negli ultimi mesi.
Colgo quest'occasione per invitare il Governo ad intensificare la sua azione soprattutto per potenziare le strutture giudiziarie che in Calabria operano in condizioni di gravi difficoltà. Pur sapendo che sono stati compiuti grandi passi in avanti nella cattura dei latitanti e nel contrasto alla criminalità organizzata, rimane il problema della certezza della pena, oltre che quello di assicurare alla giustizia i mandanti e gli esecutori di tanti delitti, di cui si è parlato nella relazione del senatore Brutti e che sono ancora impuniti. Bisogna garantire maggiore sicurezza perché il potere della mafia e della 'ndrangheta in Calabria si è ulteriormente sviluppato estendendo i suoi tentacoli sul resto della penisola e anche oltre i confini del nostro paese. Credo che - ecco la nota di ottimismo - in questi anni e in questi ultimi mesi, siano cresciute nella società civile le forze che vogliono battersi per contrastare quel fenomeno; una nuova leva di amministratori ha assunto le redini della direzione amministrativa dei comuni; l'autorità morale della Chiesa crea una forte sinergia e dà un forte contributo all'educazione alla legalità. Siamo, quindi, nelle condizioni di poter condurre un contrasto efficace alle organizzazioni criminali.
Signor sottosegretario, anche se siamo in presenza di un'organizzazione che si è


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potenziata, che è cresciuta e si è sviluppata, ritengo che lo Stato (per il lavoro che svolge e ha svolto) sia nelle condizioni di poter affermare la legalità e la democrazia in quella parte del paese.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bova.
L'onorevole Volonté, cofirmatario dell'interpellanza Tassone n. 2-02052, ha facoltà di replicare.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, voglio anch'io ringraziare il sottosegretario Brutti per averci anticipato alcuni dati che oggi, in Commissione antimafia, leggeremo nella relazione. Debbo dirle, però, che la sua risposta, per alcuni aspetti, mi sembra un'ottima analisi sociologica della situazione, a partire dai due elementi - da lei sottolineati come fondamentali e di grande innovazione - della politica successiva ai primi anni novanta e non di quella precedente, quando lei e molti suoi compagni di partito stavate sostanzialmente nei banchi dell'opposizione.
Fin dalla prima affermazione che lei ha fatto, sembrerebbe - lo dico io che non sono nato democristiano (come invece dicono tanti amici con qualche anno in più) - che fino a quegli anni, come affermato da un grande teorema sulla questione mafiosa di Palermo, smentito dai fatti, anche in terra di Calabria nulla si toccasse, nulla si muovesse: è un assunto da cui si parte per una nuova analisi sociologica, importante ed interessante. Tuttavia, mi preme sottolineare...

MASSIMO BRUTTI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Non voglio interromperla ma, se mi permette, vorrei...

LUCA VOLONTÈ. Mi scusi, ma lei ha parlato per 50 minuti; io ne ho solo 20 e, pertanto, le chiedo di stare in silenzio. Grazie.

MASSIMO BRUTTI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Volevo solo dirle una cosa, ma gliela dirò dopo.

PRESIDENTE. Onorevole Volonté, se permette, è il Presidente a stabilire chi parla e chi rimane in silenzio. Se il sottosegretario interloquisce con lei, è anche un segno di attenzione.

LUCA VOLONTÈ. Va bene.

MASSIMO BRUTTI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Se il Presidente mi consente, solo per dovere di verità, vorrei dire che il nuovo impulso è cominciato quando il ministro dell'interno era l'onorevole Scotti, pertanto, non vi è da parte mia nessun - come dire - manicheismo, ma è soltanto una ricostruzione dei fatti: durante gli anni ottanta c'era un'assoluta insensibilità; quando il comune di Melito Porto Salvo e altri comuni mafiosi sono stati sciolti dal ministro Scotti, si è respirata un'altra aria.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario. Vorrei dire all'onorevole Volonté che le interruzioni - oltretutto tra il Governo e un interpellante - sono un segno di attenzione anche per gli elementi portati dall'interpellante stesso. Quando il Governo vuole fare una precisazione, ritengo sia interesse dell'onorevole interpellante ascoltarla; visto che lei può replicare ed avere l'ultima parola, potrà entrare nel merito di quanto affermato dal sottosegretario.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, stavo concludendo una mia interpretazione dei fatti, al di là dell'integrazione fornita dal sottosegretario Brutti. Certo, i colpi a Cosa nostra sono stati molto più duri in terra di Sicilia; vi è stato maggior impegno da parte di chi, nella magistratura e nelle forze politiche, fino ad una certa data è rimasto esterno all'azione di Governo o, quanto meno, appoggiava dall'esterno alcuni Governi tecnici: si voleva confermare un altro degli assunti fondamentali della storia degli ultimi dieci anni del nostro paese, ovvero, che non vi era solo disinteresse, ma anche una connivenza esplicita tra un sistema politico (così si definiva) e un'azione di criminalità organizzata.


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A mio modo di vedere, non si può continuamente immaginare e ripetere che fino a quegli anni vi è stata una sostanziale sottovalutazione del contrasto alla criminalità organizzata su tutto il territorio nazionale e, in particolare, in quella zona del paese, se non si hanno (in questo momento non li ho; li avrò grazie al testo delle dichiarazioni fatte in questa sede dal sottosegretario Brutti e alla relazione che verrà discussa oggi in Commissione antimafia) dati comparativi sugli ultimi trent'anni di lotta alla criminalità anche in quella regione; mi riferisco a dati che non riguardino esclusivamente gli ultimi dieci anni, che hanno visto certamente un grande impegno ed una grande determinazione.
Forse ci si aspettava qualcosa di più, visto che un anno fa il sottosegretario Sinisi - già candidato alla presidenza della regione Puglia per il centrosinistra - in quest'aula, rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo presentato, tra gli altri, dall'onorevole Tassone, riconosceva quanto ci fosse di vero nell'affermazione che c'erano, sì, molte forze dell'ordine, ma che molti dei loro elementi vivevano in uno stato di dimenticanza della criminalità, diremmo quasi di commistione: forse rimanevano troppo negli uffici e poco si accorgevano di quanto avveniva sul territorio di loro competenza. Ecco, noi speriamo che si avverino le dichiarazioni qui fatte in merito ad un aumento del personale giudiziario non solamente fresco di concorso, ma di qualche esperienza, anche investigativa. Ci rallegriamo - e speriamo che tali affermazioni abbiano un qualche fondamento - delle dichiarazioni in merito all'aumento non solo quantitativo delle forze di polizia e ci auguriamo che aumentino non per stare dentro i famosi poli, ma per andare a contrastare il sistema criminale. Non abbiamo ben capito, signor sottosegretario, quali valutazioni faccia il suo Ministero in merito al caso particolare della Calabria e, in termini più generali, per il contrasto alla criminalità organizzata, sull'introduzione della direttiva Napolitano, anche dopo le dichiarazioni del procuratore generale Vigna, che vede nell'introduzione di questa direttiva una diminuzione di efficacia e di efficienza nella capacità di intelligence e di indagine sui crimini.
Diciamo anche che non siamo molto soddisfatti perché non riusciamo bene a capire dalle sue parole, signor sottosegretario, che cosa voglia dire «aumento della vigilanza» nei confronti delle imprese, in particolare a Gioia Tauro, e, ci sembra di aver capito - forse sbaglierò, ma certamente sarà stato più attento di me il collega Aloi -, con speciale riferimento alla Woodline International, che è un'azienda importante. Senz'altro quello di Gioia Tauro è un punto fondamentale per la riaffermazione del potere e dell'autorità dello Stato, perché quell'importante sistema interportuale - lo ha detto lei ed io lo condivido - offre all'amministrazione pubblica, allo Stato italiano l'occasione di dimostrare all'Europa che anche al sud è possibile creare infrastrutture competitive ed interessanti per i mercati del mediterraneo.
Certo, ma il porto di Gioia Tauro non è tutta la Calabria. Nella nostra interpellanza partivamo dall'omicidio di Antonio Musolino, avvenuto, paradossalmente, in una cittadina che si chiama Benestare. L'omicidio è avvenuto nei pressi di una scuola e di una caserma dell'Arma dei carabinieri. Forse non c'era grande attenzione, forse è bene - come lei ha ricordato - favorire un'azione sinergica non solo tra le forze di polizia - dalle quali attendiamo una valutazione su questo tema -, ma anche con gli ambiti civili della società: con le istituzioni, come quelle scolastiche, ma non solo, anche con gli ambiti associativi, che sono pubblici e non pubblici.
Insomma, condividiamo, caro sottosegretario, la sua analisi, almeno per la parte che conosciamo, quella relativa ai dati oggettivi. Ho avuto modo di studiare attentamente i dati da lei forniti e quelli contenuti nella relazione che oggi si discuterà presso la Commissione antimafia e mi sembra che vi sia un deficit di risposte e soprattutto una difficoltà di comprensione del concetto di forza che vuole


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attuare il sistema criminoso, in particolare quello della 'ndrangheta. Non si tratta di un tentativo, da parte della 'ndrangheta, di fare pressioni; io lo definirei forse così: l'affermazione di un'autorità. Si afferma l'autorità della 'ndrangheta ogni qualvolta esiste un'estorsione, ogni qualvolta si verifica un omicidio; si afferma l'autorità della 'ndrangheta - e lei l'ha ricordato - con i dati contrastanti sulla criminalità. Non è, ripeto, un tentativo di pressione di un organismo malavitoso sulla società civile. Si tratta dell'affermazione scontata, che deve essere ribadita con forza, della propria autorità in un ambito di attività liberali, quali quelle imprenditoriali, e in un ambito territoriale, quale quello della regione Calabria.
Ci auguriamo che, una volta conclusa la missione in Puglia, le forze dell'ordine vengano con maggiore forza, con maggiore intelligenza e con maggiore efficacia impiegate nel territorio calabrese. Tuttavia, va anche detto che non sono stati raggiunti evidenti risultati in Puglia, visto che continuano ad andare avanti e indietro i camion dei contrabbandieri, contrastando la Guardia di finanza e causando anche alcune morti.
Signor sottosegretario, ci dichiariamo parzialmente soddisfatti per la sua risposta. Ho apprezzato alcuni suoi tentativi di fare un'analisi del fenomeno e, con grande umiltà, le ho sottoposto ulteriori elementi di riflessione e le ho suggerito approcci diversi al problema. Non c'è dubbio che, laddove vi è l'affermazione di autorità da parte di un corpo estraneo allo Stato che viola la libertà dei cittadini, la città di maggior interesse della 'ndrangheta sia Milano. Infatti, una volta conquistato il territorio calabrese ci si muove verso i luoghi dove i proventi ottenuti in Calabria possono fruttare. Questo è un principio base di qualsiasi ragionamento.
Signor sottosegretario, la ringrazio per l'attenzione da lei mostrata nei miei confronti e le assicuro che l'attenzione del mio gruppo nei confronti di questo problema non verrà mai meno e certamente non verrà meno l'attenzione di una persona che lei stima molto e che è molto attenta alla sua attività e a quella delle forze dell'ordine, specialmente in Calabria, l'onorevole Tassone, il quale verificherà se quanto da lei oggi affermato sia frutto di una politica delle buone intenzioni o, come lei ha detto più volte in quest'aula, di un cambio di rotta da parte dell'opposizione che oggi è al Governo nei confronti della criminalità calabrese (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CDU e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. L'onorevole Aloi ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-02057.

FORTUNATO ALOI. Onorevole sottosegretario, l'ho ascoltata con grande attenzione nei passaggi che ella ha ritenuto di dover sottolineare, soprattutto laddove, seguendo un metodo che definirei induttivo, ella ha affermato che le nostre preoccupazioni debbono trovare una «tranquillizzazione» - uso questo brutto termine cacofonico - nei servizi resi dalle forze dell'ordine, che noi apprezziamo, perché il loro sacrificio è immenso in una terra difficile come quella della provincia di Reggio Calabria, nonostante un trattamento economico inadeguato rispetto ai rischi che corrono.
Ella ha iniziato da Gioia Tauro ed ha fatto bene, onorevole sottosegretario. Ha cominciato da Gioia Tauro perché il porto di questa città, come ella sa, doveva essere il porto del quinto centro siderurgico. Successivamente tale porto, che è stato realizzato dopo aver disertificato un'intera zona, doveva essere il porto della centrale a carbone. E meno male che questa centrale a carbone non è stata fatta! Adesso c'è un porto che io - attento osservatore delle cose di casa mia - ho definito un «provvidenziale» errore. Vi è la Med Center che opera nel settore; vi è poi un'altra società che aveva cercato di essere presente (parlo della Liver Green); ma si tratta di situazioni in ordine alle quali non voglio entrare perché prima o poi dovremo fare un dibattito su Gioia Tauro.
Signor sottosegretario, un suo collega, anch'egli calabrese, aveva affermato che


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l'insediamento industriale di Gioia Tauro, con tutto ciò che ruotava intorno ad esso, era l'unico caso nella storia in cui la presenza della criminalità non si avverte. Ricorda questa affermazione ingenua di un mio conterraneo? È un'affermazione ingenua perché poi è venuta fuori la storia del «mezzo dollaro», dei container e via dicendo, il che ha determinato grandi preoccupazioni.
Ella ha ragione quando dice che la criminalità da tempo ha superato la fase artigianale. Ormai credo che anticipi dal punto di vista delle tecnologie più avanzate e sofisticate anche lo Stato e quindi la lotta non è facile, me ne rendo conto. Occorre quindi trovare strumenti validi per l'azione di contrasto nei confronti della criminalità.
Ricordo che quando tanti anni fa fu deciso di smantellare i presidi dei carabinieri collocati in punti anche strategici (mi riferisco, ad esempio, a quelli dell'Aspromonte), noi reagimmo in maniera dura e decisa perché quei presidi assolvevano ad una precisa funzione (rammento che allora si parlava di sequestri di persona), quantomeno come «momento» di intercettazione e di presenza continua e costante. Certo, oggi c'è un modo diverso di porsi rispetto alle tecnologie avanzate e sofisticate.
Noi siamo preoccupati anche perché l'assassinio dell'imprenditore Antonio Musolino è avvenuto in una maniera strana, in un posto strano, laddove vi erano «presenze» che avrebbero anche dovuto scoraggiare l'assassinio di Antonio Musolino. Purtroppo questo è avvenuto ed è avvenuto in una certa maniera. Il procuratore della Repubblica di Locri parlando di depotenziamento dei servizi ha espresso una sua preoccupazione. Mi rendo conto che ci sono stati gli insediamenti di Bovalino, di Locri, nell'ambito di una organica articolazione di azioni. Ma i fatti sono tali e tanti per cui ci rendiamo conto delle cose che non funzionano nella zona. Dicendo ciò non vogliamo rivolgere un appunto né al questore di Reggio Calabria, di cui conosciamo la serietà, né alle forze dell'ordine.
Lei, signor sottosegretario, ha fatto riferimento anche alla situazione relativa alla scuola. Si figuri, questa è musica per le mie orecchie, visto che me ne sono occupato anch'io quando sono stato sottosegretario per la pubblica istruzione. In questo e in altri documenti di sindacato ispettivo ho fatto riferimento a ciò che avviene in tale settore: attentanti continui a presidi, a direttori didattici, autovetture che saltano, attentati contro scuole. Ricordo il caso del preside Pittari, del mio amico Gianni Familiari, preside dell'IPSIA di Siderno, nonché tante altre situazioni che certamente denotano un attacco strano nei confronti della scuola! Mi rendo conto che l'azione contro la criminalità deve essere portata avanti in termini sinergici.
L'azione repressiva può essere valida al momento, ma è necessaria un'azione di contrapposizione della cultura e della conoscenza vera alla sottocultura mafiosa. In quei luoghi vi è una sottocultura, vi sono riti, liturgie laiche e un clima di paura che nascono da questa sottocultura. L'azione repressiva deve essere, comunque, condotta; basti pensare al paese di Africo in cui più volte è stata bruciata la farmacia e alle vicende di Reggio Calabria.
Onorevole sottosegretario, lei sa bene che all'ordine del giorno della Commissione antimafia si è dovuta porre la «questione Reggio Calabria»; è una questione delicata sulla quale abbiamo presentato una serie di interrogazioni.
Tempo fa ho polemizzato con il sindaco a proposito dell'articolo pubblicato ne Il Sole 24 Ore in cui si poneva Reggio Calabria in fondo alla graduatoria della vivibilità delle città, ma è strano che il primo cittadino sia costretto a camminare con la scorta: mi pare una contraddizione in termini. Lei sa che la gambizzazione del segretario regionale dei socialdemocratici calabresi, dottor Carlo Colella, è avvenuta in città e che alcuni assessori sono stati incriminati e qualcuno arrestato? Non si può dire che tutto va bene, madama la marchesa! Mi rendo conto che l'azione della magistratura deve fare il suo corso e non anticiperò giudizi su queste vicende, come ha fatto l'onorevole


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Del Turco scatenando numerose reazioni. Non metterò nessuno sulla graticola, ma vi sono passaggi che certamente fanno riflettere.
Se poi ci spostiamo sulla sponda tirrenica e torniamo a Gioia Tauro, bisogna ricordare la distruzione dell'azienda del marchese Saverio Zerbi, sulla quale ho presentato due interrogazioni parlamentari; la vicenda del comune di Cinquefrondi, che ho citato e la ringrazio per averla ricordata nella sua risposta; le vicende del consiglio comunale e le mobilitazioni di Seminara: dappertutto vi è una situazione che richiede interventi, al di là del sacrificio delle forze dell'ordine.
Lei ha evidenziato la contraddizione in termini che emerge dalla situazione; le cifre che ha citato dimostrano, da una parte, l'aumento di quegli atti di criminalità che lei ha definito «delitti civetta», quali scippi, attentati dinamitardi e incendi dolosi e, dall'altra, che la diminuzione delle estorsioni denunciate evidenzia che la gente ha paura. Vi è un clima di paura e ciò dimostra che qualcosa non funziona e che il concetto di Stato forte con i deboli e debole con i forti non è un'espressione retorica.
Vi furono anni in cui veramente vi era un clima di invivibilità. Lei ha citato gli anni ottanta, ma potrei dire che la questione riguarda coloro che gestivano il potere in quel periodo, dal momento che non ero coinvolto in alcuna responsabilità di Governo. Possiamo fare tutte le analisi sociologiche o meno che vogliamo, ma in quegli anni c'era veramente un clima di invivibilità. Ora non ci si può venire a dire: «tutto va bene, madama la marchesa», perché c'è una situazione pesante e vi sono grandi preoccupazioni. Si vadano, dunque, a vedere i motivi veri per cui nella provincia di Reggio Calabria vi è un clima preoccupante. Ricordo il caso dell'impresa di Vito Lo Cicero che opera nel territorio di Villa San Giovanni: quest'uomo non può che essere preoccupato dopo aver subito i danni che prima ho ricordato. Come riuscire a dare una risposta rispetto a ciò, rispetto ad un fenomeno sul quale non ho posizioni precostituite? Alcuni anni fa abbiamo denunciato il cosiddetto rischio Calabria, ossia che alcuni imprenditori facevano leva su questi aspetti per giocare al rialzo - lo dobbiamo ricordare -, rastrellando denari e contributi e poi andandosene altrove, tornando nei luoghi da dove erano venuti. Esiste una preoccupazione; oggi questa terra, la mia città, la provincia, la Calabria tutta hanno bisogno di momenti di crescita.
Sono d'accordo sulla necessità di un'azione sinergica che coinvolga la scuola, ma non con forme di teorizzazione che lasciano il tempo che trovano, come i cortei antimafia degli anni settanta e ottanta, in testa ai quali si trovavano personaggi che certamente con la criminalità - uso questa espressione - «si davano del tu». Serve un'azione seria, decisa, che reprima veramente questo male; è chiaro, infatti, che, quando «mettere un mattone» suscita preoccupazione perché ciò significa scatenare immediatamente appetiti e reazioni da parte di certi ambienti, nessuno costruisce né realizza qualcosa al sud.
Lei - credo - è meridionale come me e noi certi problemi li viviamo sulla nostra pelle. È vero che il Mezzogiorno ha avuto e ha uno sviluppo a «macchia di leopardo», come in Puglia, ma nella realtà non è solo una questione di uomini. Lei mi ha fornito un dato secondo il quale, in termini di comparazione con altre zone d'Italia, la presenza delle forze dell'ordine in Calabria è superiore. Ma non è questo il problema, perché è necessaria una presa di coscienza da parte dello Stato, da parte del Governo.
L'opposizione, soprattutto quella di destra e di Alleanza nazionale, che a questo tema è sensibilissima da sempre, al punto da essere accusata di giustizialismo (accusa che, ovviamente, non riguarda il sottoscritto), fa la sua parte; le dico, però, che bisogna pur fare qualcosa. L'enumerazione, l'elencazione di cifre non è sufficiente in quanto - mi consenta - le cifre possono essere lette come si vuole, in determinate circostanze. Lo ripeto, vi è l'impegno delle forze dell'ordine, ma deve


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esservi anche una strategia da parte del Governo affinché, al di là delle enunciazioni di principio, si affronti veramente il problema.
La mafia ha fatto un grosso salto di qualità, ovviamente non in senso positivo ma dal punto di vista dell'organizzazione. Il contrasto non è facile, ma l'aspetto sociale è un elemento importante perché la criminalità provvede al reclutamento tra i giovani disoccupati e disperati; pensi che nella mia città, Reggio Calabria, quattro giovani su cinque non lavorano. Quattro su cinque, altro che statistiche! Si tratta di persone disperate tra le quali, purtroppo, vi sono i deboli, i fragili, coloro i cui principi morali ed educativi a volte non reggono; ovviamente, certi ambienti riescono a reclutare i giovani disperati. Ecco perché il discorso è sinergico - sono d'accordo - ed investe l'informazione, la scuola, l'occupazione, i sistemi di assunzione; al riguardo, vorrei sapere quali siano i sistemi attraverso i quali gli operai vengono assunti a Gioia Tauro. Ne abbiamo parlato, abbiamo presentato interrogazioni parlamentari: voglio avere contezza di ciò. È chiaro, infatti, che l'elemento di ordine psicologico è importante: se il giovane non si sente garantito da chi dovrebbe rappresentare le istituzioni, ovviamente reagisce. Nessuna giustificazione di sorta, sia ben chiaro, ma è pur vero che la 'ndrangheta si muove in questa logica.
Lei forse non conosce l'etimologia della parola 'ndrangheta. Essa deriva da due termini greci: aner, andros, che significa uomo, e agatos, che significa buono, valente, unite con una crasi.

PRESIDENTE. Se me lo traducesse, onorevole Aloi, gliene sarei grato.

FORTUNATO ALOI. La traduzione è «uomo valente», purtroppo, perché si dà nobiltà a cose che, al di là delle considerazioni e delle ricerche sull'origine di certi fenomeni, non la meritano.
Onorevole Brutti, il calabrese ha un alto senso dello Stato. A tale riguardo, ricordo sempre un episodio di un personaggio del romanziere Corrado Alvaro, che conosceva la Calabria: mi riferisco a quando Antonello, brigante calabrese, vide da lontano le divise dei carabinieri. Lui, che era latitante, si consegnò ai carabinieri pronunciando la frase seguente: «Finalmente ho incontrato la giustizia e potrò dirgli il fatto mio»! Credo che questo sia un concetto alto. Non mi stanco mai di ripetere che, se al nord e al centro dell'Italia vi è una cultura del comune perché si è conosciuta e vissuta la civiltà comunale, al sud vi è un alto senso dello Stato; anche se, purtroppo, da noi lo Stato si è mostrato nel modo che tutti sappiamo!
Anche sul piano della lotta alla criminalità deve essere portata avanti un'azione organica e in grado di evitare certe omissioni e credo che - lo dico senza retorica, ma con molta franchezza - si debba guardare alla Calabria ed al Mezzogiorno considerando che, se non verrà combattuto ed estirpato quel male rappresentato dalla criminalità, non si avrà alcuna possibilità di sviluppo (lo dico con amarezza).
Credo profondamente in certi valori e, come deputato reggino, calabrese e di destra, invito il Governo a rendersi conto dei problemi esistenti, anche coinvolgendo la rappresentanza parlamentare delle nostre zone. All'onorevole Bianco ho detto che non è concepibile che lui venga nella prefettura di Reggio Calabria per svolgere una riunione, senza convocare i parlamentari reggini! Queste sono cose che nel passato non avvenivano, onorevole Presidente! È infatti evidente che il contributo che può dare un parlamentare su temi di alta drammaticità come quelli che attengono all'ordine pubblico è certamente un contributo da non trascurare.
Nel non potermi ritenere soddisfatto della risposta fornita dal Governo, invito il sottosegretario Brutti a farsi portavoce (ella, ovviamente, ha anche compiti di ordine istituzionale) della seguente esigenza: quella contro la criminalità è una battaglia culturale, economica e sociale, ma è anche una battaglia di civiltà e - mi consenta di dirlo - noi, figli della Magna Grecia, che proveniamo da lontano, vorremmo


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avere a che fare con quei valori e con quei principi che hanno sempre caratterizzato i valori della cultura e della civiltà e che coincidono con quelli dell'uomo.
La ringrazio, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Aloi.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta fino alle 15.

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