Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 577 del 27/7/1999
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(Esame dell'articolo 1 - A.C. 5735)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 della proposta di legge, nel testo della Commissione, identico a quello del Senato, e del complesso degli emendamenti ad esso presentati (vedi l'allegato A - A.C. 5735 sezione 1).
Nessuno chiedendo di parlare, invito il presidente della I Commissione ad esprimere il parere, in sostituzione del relatore.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. La Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti Veltri 1.23 ed 1.24 ed invita i presentatori a ritirare i restanti emendamenti, altrimenti il parere sugli stessi è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo?

MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo concorda con il parere espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Veltri 1.23, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).


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Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).

(Presenti 322
Votanti 320
Astenuti 2
Maggioranza 161
Hanno votato sì 3
Hanno votato no 317).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Veltri 1.24, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 323
Votanti 314
Astenuti 9
Maggioranza 158
Hanno votato sì 1
Hanno votato no 313).

Constato l'assenza degli onorevoli Parenti e Crema: si intende che non insistano per la votazione dei loro emendamenti 1.1, 1.2, 1.3 e 1.4.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Boato 1.5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Presidente e colleghi, come del resto gli emendamenti Parenti 1.1, 1.2, 1.3 ed 1.4 - la collega Parenti è in aula in questo momento -, anche la mia proposta emendativa è finalizzata ad inserire in una proposta di legge costituzionale che noi condividiamo pienamente - e chi vi parla la condivide in modo particolare, perché i primi due commi sono tratti dall'articolo 130 di quella parte del progetto della bicamerale, di cui ero stato relatore - alcune altre caratteristiche che a noi paiono fondamentali in ordine ai requisiti costituzionali del giusto processo.
In particolare, le due convenzioni internazionali che sono state da tutti richiamate e che vengono giustamente richiamate dalla relazione del collega Soda - mi riferisco alla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 e ratificata nel 1955, e al Patto internazionale dei diritti civili e politici di New York, firmato nel 1966 e ratificato nel 1977 - prevedono, per quanto riguarda il riferimento al mio emendamento 1.5, la pubblicità delle udienze, salvo le deroghe che siano espressamente previste per le ragioni che sono indicate nelle stesse convenzioni.
Questo è il motivo per il quale ho presentato il mio emendamento 1.5 - poi interverrò anche su altri: in particolare, sull'1.8 e sull'1.9 -, perché resti traccia nei nostri resoconti stenografici (e quindi in quelli che saranno i lavori preparatori quando, come io auspico, questa riforma costituzionale verrà definitivamente approvata) che da parte mia e di altri colleghi vi è una condivisione del testo, ma anche la consapevolezza dell'insufficienza di quello che è stato approvato dal Senato sotto il profilo dei requisiti del giusto processo.
Uno di tali requisiti fondamentali è proprio quello della pubblicità. Poiché il relatore non ha avuto modo di esprimersi e la posizione ufficiale della Commissione è stata prospettata poc'anzi dal presidente Cananzi, chiederei al relatore, prima di annunciare l'eventuale ritiro, di pronunciarsi al riguardo, se il Presidente lo consente.

ANTONIO SODA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. NE ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore. Signor Presidente, come ho già detto nel corso dello svolgimento della mia relazione, condivido il giudizio di insufficienza del testo approvato dal Senato, nel senso che esso non rappresenta certamente un provvedimento che contiene tutti i principi del


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giusto processo. Inoltre, esso è lacunoso nella parte in cui non eleva a principio di rango costituzionale quello della pubblicità. È vero che in alcune sentenze della Corte costituzionale si fa riferimento a questo principio, ma esso è ricavato dall'ordinamento con fatica e, a differenza di quanto previsto dalle convenzioni internazionali, che indicano espressamente la clausole derogatorie per alcuni aspetti, segmenti o ragioni del processo che possano consentire la non pubblicità, noi rimaniamo ancora nel vago e nell'inesistenza del principio costituzionale della pubblicità del processo.
In questo senso condivido le osservazioni svolte dall'onorevole Boato non soltanto per quanto riguarda questo principio, ma anche per quel che concerne alcuni diritti sostanziali e alcune garanzie procedurali che non sono presenti in questo testo e che richiederanno, pertanto, un'ulteriore iniziativa legislativa costituzionale ad integrazione del provvedimento al nostro esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, mi dispiace che, essendo dovuta uscire brevemente dall'aula, i miei emendamenti siano decaduti.
Vorrei brevemente dire che il testo approvato dal Senato è blindato a causa di una strana convergenza tra maggioranza e opposizione. Trovo veramente molto strana questa cosa, in quanto siamo chiamati ad esprimerci su un principio minimale che non risolverà alcun tipo di problema se non riusciremo ad arrivare alla sussidiarietà del diritto penale e, quindi, al ricorso al diritto penale in termini essenziali, in modo da riuscire effettivamente a garantire alla collettività le punizioni e le sanzioni più immediate possibili per i reati più gravi.
Questi principi, contenuti negli emendamenti da me presentati, ma anche nell'emendamento Boato 1.5, scaturiscono dal lavoro svolto in Commissione bicamerale e sono stati approvati dalla maggioranza e dall'opposizione. È veramente singolare che, invece di inserire in quest'articolo 1 i principi della giurisdizione, ci limitiamo a valutare se l'imputato sia colpevole o meno sulla base di dichiarazioni confermate o meno. Per quanto mi riguarda, non approvo neanche questo testo che avevo cercato di modificare rimandando alla legge il compito di stabilire l'utilizzabilità o meno delle dichiarazioni rese da colui che accusa un'altra persona, perché ritengo che questo testo non solo non risolve i problemi, ma può crearne ulteriori.
Se avessimo sempre una cattiva ragione per rinviare scelte imminenti e che si rendono tali per creare un diritto penale minimo, ma essenziale per eliminare costantemente le leggi di emergenza che riguardano la macro e la microcriminalità, anziché creare nel codice penale e in una codificazione adeguata gli elementi essenziali per dare un orientamento alla collettività su ciò che più le è nocivo, assicurandola che quei reati avranno la possibilità di essere perseguiti - cosa che oggi non è possibile vista la selva della legislazione penale che abbiamo -, vanificando qualsiasi principio del contraddittorio, noi faremmo non il diritto penale minimo, quale sarebbe essenziale in una società civile che riconosca le garanzie del cittadino ed i diritti della collettività, ma una modestissima riforma che intende correggere, in modo, a mio avviso, non risolutivo, una sentenza della Corte costituzionale.
Non credo che possiamo approvare norme costituzionali unicamente per correggere le sentenze della Corte: purtroppo ci siamo ridotti a questo con un testo, a mio avviso, discutibile che aprirà ulteriori e gravi problemi anche per la Corte costituzionale, a causa di un mistero rappresentato dalla blindatura del testo voluta sia dalla maggioranza sia dall'opposizione.
Nel premettere che avremmo ritirato comunque gli emendamenti presentati, sottolineo che si sta facendo una legislazione penale sconsiderata, nella consapevolezza


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che essa è insufficiente ed inadeguata ai problemi che ci vengono quotidianamente posti dalla collettività che non vede mai reprimere i veri gravi reati, e che non si vede assolutamente garantita da una legislazione penale che limita la libertà di ciascuno e rende il diritto assolutamente incerto.
Ma se siamo costretti ad approvare questa «correzione» della Corte costituzionale, possiamo allora concludere: meglio questo che nulla!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontan. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Così come hanno fatto altri colleghi, anch'io ho presentato un emendamento relativo alla questione della pubblicità.
Visto che stiamo affrontando una materia costituzionale, che stiamo parlando di principi e che si vogliono inserire, come giustamente è stato fatto, nuovi e importanti principi, era allora giusto, doveroso e sacrosanto recepire anche il principio della pubblicità.
Lo stesso relatore ha detto che quello in esame è un buon testo ma non è sufficiente (ha addirittura utilizzato il termine «insufficiente»). Da più parti si è detto che bisognerebbe fare molto di più; ma poiché c'è un accordo tra maggioranza ed opposizione bisogna fare questa riforma o far finta di fare una riforma (diciamo subito, per sgombrare il campo da ogni equivoco, che tendenzialmente non sarebbe negativo fare una riforma, ed è per questo motivo che esprimeremo sul provvedimento un voto positivo). Si è detto però che bisognerebbe avere l'accortezza di affrontare tutte le problematiche, senza preoccuparsi di questioni temporali o di anteporre alcuni principi ad altri.
Qui stiamo parlando di principi costituzionali: tutti i principi hanno un valore anche se indubbiamente alcuni hanno un'importanza maggiore nella pratica quotidiana, ma quello seguito è un modo sbagliato di procedere. Non possiamo accontentarci di una riforma e tralasciare alcuni principi che avrebbero potuto renderla ottima, solo perché c'è il timore che salti l'accordo o di non fare in tempo.
Presidente, questo è un comportamento sbagliato da parte della maggioranza. Non ritireremo dunque i nostri emendamenti perché vogliamo che l'aula si pronunci su di essi e vogliamo che un giorno, quando chi di dovere discuterà e applicherà questi nuovi principi, ci si ricordi che qualcuno aveva cercato di inserire anche il principio della pubblicità ma che ciò non è stato fatto per esigenze di tenuta dell'accordo e per esigenze di tempo, non rispondendo così alle esigenze dei cittadini di una maggiore garanzia del processo.
Questo è un fatto molto grave che segnalo con estrema forza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Garra. Ne ha facoltà.

GIACOMO GARRA. Credo che ai cittadini interessi un giudizio celere, un giudizio cioè che non abbia tempi biblici. Vorrei far presente che l'emendamento Boato, generalizzando il principio della pubblicità, fa sì che nel campo della giustizia amministrativa e in quello della giustizia civile vengano meno alcuni strumenti procedurali idonei a far conseguire ai cittadini una risposta rapida; mi riferisco ai riti camerali che hanno un rilievo grandissimo nelle cause di giustizia amministrativa, ma anche nelle cause civili.
Occorre, dunque, scegliere: se vogliamo la pubblicità in qualsivoglia attività giurisdizionale, i tempi non saranno certamente più rapidi, ma più lunghi.
Non mi sembra di ravvisare negli utenti della giustizia una ripulsa avverso quei riti camerali; non mi pare vi sia una rivendicazione particolarmente significativa di una pubblicità che, in alcuni procedimenti, è superflua.
Credo, quindi, che possa essere mantenuto il testo votato dal Senato e dalla Commissione affari costituzionali. Auspico che l'onorevole Boato, che pure ha posto


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all'attenzione della Camera un aspetto saliente della problematica inerente al giusto processo, ritiri il proprio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Boato, accede all'invito a ritirare il suo emendamento 1.5?

MARCO BOATO. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Parenti, accede all'invito a ritirare il suo emendamento 1.6?

TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, non si è voluta fare una riscrittura stravagante del testo del Senato. L'affermazione che i processi devono avere un tempo ragionevole, concentrata in due o tre commi, equivale a dire assolutamente nulla, se ciò non avviene attraverso i principi di oralità, immediatezza e concentrazione.
Ho voluto collegare i vari commi così sconnessi affinché si capisca da cosa derivi e cosa significhi la ragionevole durata. Il tempo è un fattore relativo per ogni essere umano, ancora di più lo è per i processi che si sono trasformati da processi orali, quali il rito accusatorio, in processi scritti, nei quali l'immediatezza e la concentrazione non esistono perché i tempi dei processi, come sappiamo, a causa di rinvii, sospensioni ed altro, non assicurano a nessuno una ragionevole durata. Non si trattava, quindi, di una petizione di principio quale quella che è scritta nel testo del Senato, ma di un collegamento di tutti i tasselli che possono rendere il processo effettivamente accusatorio e, attraverso l'immediatezza e la concentrazione della formazione della prova, assicurarne anche una ragionevole durata.
Dopo avere illustrato le ragioni del mio emendamento 1.6, accedo all'invito a ritirarlo.

PRESIDENTE. Sta bene.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Intervengo solo per tranquillizzare i cittadini sul fatto che i principi della pubblicità, oralità, immediatezza e concentrazione costituiscono già principi generali dell'ordinamento della Repubblica; costituzionalizzarli significa dar loro maggiore forza, ma intendo sottolineare che sono già all'interno del nostro ordinamento.
Quindi, se non procedessimo ora alla costituzionalizzazione di questi principi, non provocheremmo una grande lacuna nell'ordinamento dello Stato.

PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Fontan, accede all'invito a ritirare il suo emendamento 1.7?

ROLANDO FONTAN. No, signor Presidente, insisto per la sua votazione.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fontan 1.7, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).

(Presenti 322
Votanti 316
Astenuti 6
Maggioranza 159
Hanno votato sì 23
Hanno votato no 293).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Boato 1.8.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, per ragioni di sintesi interverrò sui miei


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emendamenti 1.8 e 1.9. Il primo di tali emendamenti è del seguente tenore: «La legge assicura la ragionevole durata del processo, ispirato ai principi di pubblicità, oralità, concentrazione e immediatezza». Il testo del secondo emendamento esclude il principio di pubblicità, già inserito nel mio emendamento 1.5. La proposta di legge trasmessaci dal Senato non prevede questa definizione di parametri per garantire la ragionevole durata dei processi. Tuttavia, la proposta di legge costituzionale d'iniziativa degli onorevoli Pecorella, Cola, Benedetti Valentini, Biondi, Carmelo Carrara, Cuccu, Deodato, Di Luca, Donato Bruno, Garra, Giovanardi, Lorusso, Maiolo, Mancuso, Mantovano, Marino, Marotta, Neri, Radice, Rossetto, Saponara e Tarditi stabilisce, al primo capoverso dell'articolo 1: «La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza».
La proposta di legge d'iniziativa degli onorevoli Saraceni, Soda, Carotti e Boato prevede: «La giurisdizione si attua mediante giusti processi, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza (...)».
La proposta di legge presentata dall'onorevole Pisapia dispone: «La legge assicura che il processo si svolga nel contraddittorio tra le parti e secondo i principi dell'oralità, dell'immediatezza e della concentrazione».
La proposta di legge dei deputati Pecoraro Scanio e Matranga all'articolo 2 prevede: «La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione, dell'immediatezza (...)». La quasi totalità delle proposte di legge, quindi (di cui la prima che ho citato di tutto il Polo, le altre di varie articolazioni dello schieramento dell'Ulivo, comunque della maggioranza) prevedono per dare un significato pregnante al dettato della ragionevole durata dei processi l'inserimento nella Costituzione dei parametri di oralità, concentrazione e immediatezza. Tali parametri, peraltro, non vengono indicati in modo meccanicistico, in quanto si usano espressioni come «secondo i principi», «ispirati ai principi», in modo cioè da avere elasticità e duttilità (nella proposta di legge Pecorella ed altri si legge «ispirati ai principi», così come nelle proposte Soda, Saraceni, Pisapia, Pecoraro Scanio, eccetera), nella consapevolezza che non ci sono un meccanicismo ed un determinismo esclusivi, ma che questo deve essere l'orientamento inserito nella Carta fondamentale per dare significato al nuovo dettato costituzionale che prevede la ragionevole durata del processo.
Il collega Cananzi ha considerato in qualche modo già inseriti nell'ordinamento questi principi. Ciò è al tempo stesso vero e non vero. È vero perché così dovrebbe essere e non vero perché uno dei motivi per cui i processi civili durano a volte non anni ma decenni, quelli penali più di un decennio e quelli amministrativi hanno tempi di poco ridotti, e che questi principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza, in realtà, non fanno concretamente parte del nostro ordinamento e sarebbe stato corretto inserirli nella Costituzione.
Signor Presidente, credo - tutto questo ha un significato anche ai fini dell'interpretazione delle norme che inseriamo nella Costituzione, anche i lavori preparatori - che su questa materia sarebbe opportuno si pronunciasse il relatore Soda, il quale, del resto, è firmatario di una proposta di legge che prevede questi principi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontan. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Ringrazio l'onorevole Boato per la formula che ha usato nel suo intervento, peraltro molto sui generis.
Signor Presidente, stiamo discutendo di emendamenti che, più o meno ufficialmente, tutti dicono che andrebbero bene ma che, alla fine, saranno ritirati perché non si può o non si è ritenuto di modificare il testo proveniente dal Senato. Ricordo che stiamo discutendo una proposta


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di legge costituzionale su una materia molto delicata come la giustizia. È un po' difficile quindi intervenire in una situazione del genere, in cui si discute di emendamenti sapendo a priori che, tendenzialmente, pur andando bene, saranno ritirati perché non bisogna modificare il testo. Siamo veramente ad un paradosso; chiedo, quindi, al Presidente di aiutarci ad approvare una buona legge.
Passando all'emendamento Boato 1.8, testé sostenuto dal presentatore, non c'è dubbio che esso, come altri, vada nella giusta direzione; il suo problema, come anche il nostro, è cercare di assicurare una brevità, una minor durata, all'intero impianto processuale. Nel testo dell'emendamento è scritto che «la legge assicura la ragionevole durata del processo»; ebbene, «ragionevole durata» vuol dire tutto e niente, è un modo consuetudinario, in ambito giudiziario, di considerare i tempi nel settore della giustizia. Ripeto, ciò non vuol dire nulla.
Non è vero, poi, quanto sostengono alcuni secondo i quali non possiamo inserire i concetti di immediatezza e di brevità perché essi sarebbero troppo restrittivi e, quindi, intaccherebbero le garanzie nel processo; ciò potrebbe accadere se in questo provvedimento non fossero previsti i principi di oralità, del contraddittorio e quant'altro, che sono sufficientemente idonei a garantire un giusto processo. Non capisco, pertanto, perché si abbia paura di introdurre i concetti di brevità o di immediatezza, mentre sappiamo benissimo che uno dei più grossi problemi, se non il maggiore, è proprio quello cronologico, quello temporale.
Sono intervenuto a sostegno di questo emendamento e chiedo espressamente al presentatore di mantenerlo affinché l'Assemblea possa votarlo, altrimenti ci troveremmo nella condizione di non poterci esprimere su un emendamento che potrebbe ottenere il consenso di una maggioranza.

ANTONIO SODA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore. Signor Presidente, vorrei sottoporre all'attenzione del presentatore dell'emendamento in esame e dei colleghi due problemi.
Al Senato si è svolto il dibattito sull'oralità, sulla concentrazione e sull'immediatezza. Al riguardo, bisogna rilevare che, mentre le proposte di legge presentate alla Camera assumono tali principi come parametri che il legislatore costituzionale detta a quello ordinario, ai giudici e alle prassi giudiziarie per assicurare la ragionevole durata del processo, nel corso del dibattito al Senato, dopo che si è reso omaggio ai principi stessi in termini che definirei tradizionali - è vero quanto sostenuto dal presidente Cananzi che i principi di oralità, di concentrazione e di immediatezza sono contenuti anche nei codici di procedura ordinari -, sono state sollevate tali e tante obiezioni che, alla fine, quel ramo del Parlamento ha deciso di espungere dal testo detti parametri.
Orbene, credo che prima o poi si dovrà affrontare in profondità la questione e il legislatore italiano dovrà stabilire quali siano, al di là delle strutture, dei servizi e delle persone utilizzate nel sistema giustizia, gli strumenti ordinamentali e processuali capaci di garantire una ragionevole durata del processo. Allora, ne approfitto per dire che, a mio avviso, senza l'introduzione di tali principi in Costituzione gli altri strumenti saranno sempre insufficienti. Mi spiego. Oggi, con il testo in esame, affermiamo un più forte principio del contraddittorio, un contraddittorio inteso come valore per la ricerca della conoscenza da parte del giudice e come diritto di difesa. Al principio del contraddittorio si lega anche la questione della difesa e quindi della progressiva manifestazione della difesa durante tutto il corso del processo. Spesso si dice che la pienezza del diritto di difesa nel contraddittorio confligge con il principio della concentrazione, dell'immediatezza e persino con l'oralità. Quindi, si assume che l'oralità


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confligga con il processo amministrativo, faccia fatica ad essere dominante nel processo civile e così via.
Ebbene, al contrario, io ritengo che un processo di ragionevole durata non possa che fondarsi su questo principio, anche il processo civile e quello amministrativo. Però, le ragioni per le quali oggi abbiamo portato in aula questo testo così come è stato licenziato dal Senato sono note e non le ripeto; pertanto, pur aderendo convintamente alle ragioni illustrate dal l'onorevole Boato, lo invito caldamente a ritirare anche questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Boato?

MARCO BOATO. Ritiro i miei emendamenti 1.8 e 1.9. Ritiro anche il mio emendamento 1.10 e chiedo di poterne spiegare i motivi.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. L'emendamento 1.10 si riferisce al terzo capoverso dell'articolo 1 del testo del Senato. I primi due capoversi riguardano il principio del giusto processo. Il secondo capoverso, in particolare, recita correttamente: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo».
Il terzo comma del testo del Senato - a mio e nostro parere, scorrettamente - recita: «Nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata», cioè ci sono le garanzie dell'accusato, dell'indagato non dell'imputato al processo, ma anche nella fase precedente, che sono poi le garanzie previste dall'articolo 6, terzo comma, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dall'articolo 14, secondo comma, del Patto internazionale dei diritti civili e politici.
Non a caso, la proposta di legge Pecorella più altri ventidue deputati del Polo prevede: «Nel procedimento penale», come recita il mio emendamento 1.10, cioè usa una terminologia tecnico-giuridica che fa riferimento anche alla fase precedente al rinvio a giudizio, cioè la fase strettamente processuale, perché si parla della persona accusata di un reato. La proposta di legge Saraceni, Soda, Carotti e Boato dice analogamente: «Nel procedimento»; la proposta di legge Pecoraro Scanio e Matranga, all'articolo 1, dice: «Nel procedimento penale la legge assicura che la persona accusata sia informata».
Perciò, a me pare che erroneamente il testo inviatoci dal Senato abbia definito con il termine, improprio sul piano tecnico-giuridico, di «processo» tutto ciò che dovrebbe essere riferito ad una fase più ampia dal punto di vista delle garanzie, comprensibile nel concetto di «procedimento», nel quale rientra anche il processo. Ma il rischio - ancora una volta chiedo al relatore Soda che almeno per gli atti preparatori ci sia una chiarificazione di intenzionalità della Camera al riguardo - sarebbe che nel concetto di processo venisse esclusa la fase preprocessuale, del procedimento. Ovviamente, così non dovrà essere, perché il testo dice che «la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa» e tutto il resto che è scritto correttamente in questo comma. Però, ripeto, la terminologia tecnico-giuridica usata è inadeguata.
Quando questo testo sarà, come mi auguro, Costituzione, occorrerà che l'interpretazione sia data alla luce degli atti preparatori, cioè di questo dibattito che stiamo svolgendo qui alla Camera. Per questo, sto usando la tecnica palese di illustrare il significato di questi emendamenti, anche se poi arriverò a ritirarli.

PRESIDENTE. Vorrei solo dirle che il suo tempo è esaurito.

MARCO BOATO. Va bene, ho concluso.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare per una precisazione.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, intervengo solo per ringraziare l'onorevole Boato ai fini interpretativi e per far presente che dal momento in cui questa terminologia, «processo penale», entrerà in Costituzione, comprendendo anche tutti gli atti che in qualche modo precedono la presenza diretta del giudice terzo, sarà superata quella dottrina che intravede in una distinzione tra procedimento e processo il dato della presenza del giudice. Quindi, sostanzialmente, attraverso la Costituzione, daremo un significato nuovo all'espressione «processo penale».

PRESIDENTE. L'emendamento Boato 1.10 è dunque ritirato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Pisapia 1.26.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Veltri. Ne ha facoltà.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, per questo gruppo, in discussione generale, ha preso la parola l'onorevole Danieli che sostanzialmente aveva proposto di modificare il testo del Senato accogliendo alcuni emendamenti che io avevo presentato e soprattutto sopprimendo il penultimo comma dell'articolo 1 che si riferisce all'articolo 513 del codice di procedura penale.
Ritengo che sia un errore aver portato il testo in aula in maniera blindata perché evidentemente alcuni di noi non possono votare a favore, anzi devo dire che, se il testo rimane quello del Senato, io preannuncio già da ora il voto contrario.
Signor Presidente, vorrei fare qualche considerazione. Per quanto riguarda il giusto processo, è stato rilevato da più parti il fatto che noi facciamo pervenire un messaggio distorto alla pubblica opinione non perché in questo paese non si siano celebrati tanti, anzi tantissimi, processi ingiusti, ma perché sembra che noi avessimo codificato in precedenza nella Costituzione e nelle leggi ordinarie un processo ingiusto, quindi, già questo messaggio è distorto e pericoloso.
In secondo luogo, è stato rilevato da più parti che noi procediamo ad una sorta di manomissione della Costituzione. Ho definito questo testo un regolamento di condominio non per fini nobili, evidentemente, perché il succo è un attacco pesante alle decisioni della Corte costituzionale.
Un noto avvocato che si chiama Martinazzoli ha scritto che in parole semplici viene corretta la Costituzione contro la Corte costituzionale e poi, in un altro articolo, su Liberal, è tornato sull'argomento ed ha scritto: tornando al merito del giusto processo, conviene chiarire che quella approvata dal Senato è una formula normativa indegna di cittadinanza costituzionale.
Ritengo che l'onorevole avvocato Martinazzoli non sia passibile di essere giudicato un sovversivo, si è rimesso a fare l'avvocato (e quindi da questo punto di vista non è neanche sospetto) e anch'io come lui penso sia indegna di costituzionalizzazione questa proposta che ci viene presentata, però mi chiedo se le ragioni della costituzionalizzazione del cosiddetto giusto processo siano solo formali. Se così fosse, noi daremmo un colpo all'estetica della nostra Costituzione che è scritta bene ed è esemplare da questo punto di vista. Ci potremmo fermare lì.
Credo, invece, che la costituzionalizzazione risponda a fini precisi e che le sue conseguenze saranno disastrose. Ne cito due: in primo luogo, in definitiva, viene ripristinato l'articolo 513 del codice di procedura penale, che la Corte costituzionale non aveva assolutamente accolto spiegandone i motivi in una sentenza lunga, mi pare, ottantacinque pagine. Come conseguenza, si rimettono in discussione delicati processi di mafia e di corruzione, perché, se si costituzionalizza una proposta come quella del Senato, la Corte costituzionale ne dovrà prendere atto. Verranno dunque, ripeto, rimessi in discussione delicati processi di criminalità organizzata e di corruzione. In secondo luogo, sapete, colleghi, che è in discussione al Senato una proposta di legge definita «mini-513», che è la risposta


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corretta del Parlamento alla sentenza della Corte costituzionale. Ebbene, se dovessimo approvare questo testo, quella proposta in discussione al Senato, che giustamente prevede una figura di testimone che ha l'obbligo di parlare (prevista peraltro anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, alla quale spesso ci si è richiamati), immediatamente, qualora fosse stata approvata, verrebbe dichiarata decaduta dalla Corte costituzionale.
Qual è, allora, la gravità della proposta al nostro esame? Si costituzionalizza il diritto al silenzio nel processo e quindi, come è stato giustamente osservato dal senatore Fassone nella discussione generale al Senato, il costo del silenzio non è pagato né dall'accusa né dalla difesa, ma dal processo. Passando ad altra questione, si parla giustamente di parità tra accusa e difesa e di contraddittorio: la parità tra accusa e difesa è molto importante, ma non può essere perseguita in questo testo come un feticcio, che letteralmente, secondo il dizionario Devoto-Oli, significa «motivo di un culto, o di un rispetto esclusivo, irragionevole e fanatico»; a questo punto, infatti, mi pare che anche su tale principio si debba ragionare prima di approvarlo. La ragione è molto semplice: il pubblico ministero, nella sua funzione, se scopre che l'imputato è innocente, lo deve dire e ne deve chiedere il proscioglimento; se invece l'avvocato difensore scopre che il suo cliente ha ucciso una persona, continuerà ad affermare in dibattimento che è innocente, perché è stato pagato per questo. Quindi, da questo punto di vista, non si possono mettere sullo stesso piano accusa e difesa.
La questione è ampiamente spiegata (non ho il tempo di soffermarmi su essa) dal professor Vittorio Grevi, sulla Rivista italiana di diritto e procedura penale, fascicolo n. 3 del 1998; Grevi vi dedica un intero saggio ma il succo è quello che ho già accennato. Voglio aggiungere che, oltre al contraddittorio e alla parità tra accusa e difesa, ma nel senso che ho cercato di sottolineare, la Corte costituzionale, nelle sue sentenze, ha sottolineato più volte il bene costituzionale dell'efficienza del processo: se un processo non è efficiente, non è garantito e giusto. Ebbene, dell'efficienza del processo, di questo bene costituzionale quale viene sottolineato dalla Corte costituzionale, in questo testo non vi è neanche una parvenza di accostamento. In merito allo stesso contraddittorio, voglio ricordare che lo stesso professor Grevi afferma che per comune esperienza non può rimanere senza deroghe, non può essere un feticcio, per cui se si inserisce in Costituzione, si legano le mani - non sono parole mie ma del professor Grevi - al legislatore ordinario.
Infine, Presidente, le Costituzioni di altri Stati accennano brevissimamente ad alcuni principi, ma non si dilungano, cioè non trasformano la costituzionalizzazione del processo, secondo la definizione di Martinazzoli in una circolare prefettizia.

PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, onorevole Veltri.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, concludo, anche perché poi intendo parlare per dichiarazione di voto finale.
A questo punto, anticipo il mio voto contrario su questo provvedimento che ritengo molto più grave, molto più pericoloso, molto più rischioso dell'incompatibilità tra GIP e GUP ed estraneo alle esigenze di giustizia dei cittadini italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia, al quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, se mi concede un po' più di tempo vorrei anticipare anche il mio intervento sugli emendamenti 1.27 e 1.28 sempre a mia firma.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Pisapia.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, i miei emendamenti 1.26 e 1.27 tendono a modificare il testo proposto dalla Commissione e approvato dal Senato nel senso


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di sostituire le parole: «la legge assicura che la persona accusata di un reato sia nel più breve tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico» con le seguenti parole: «la legge regola la modalità con cui la persona accusata di un reato debba essere, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico». Questo emendamento deriva da una serie di valutazioni che mi portano a porre all'attenzione dell'Assemblea, dei relatori e del presidente della Commissione alcune perplessità. Il termine «assicurare» evidentemente equivale o può equivalere ad un impegno di risultato e non alla possibilità o al tentativo o al massimo dello sforzo per ottenerlo. Cosa significa in concreto? Se interpretata letteralmente, questa norma significa che non si potrebbero fare i processi per tutte le persone irreperibili e contumaci perché queste ultime non potrebbero essere informate dell'accusa a loro carico prima dell'arresto e, quindi, precedentemente all'arresto non si potrebbero svolgere indagini che sarebbero decisamente nulle.
Condivido, evidentemente, i principi contenuti nella proposta di legge licenziata dalla Commissione, ma credo che i rischi possano essere incalcolabili, se la proposta di legge intende interpretare il termine «assicurare» nel senso assoluto e non solo nel senso che la legge deve disporre tutti gli strumenti affinché l'accusato sia informato. A tale proposito chiedo uno specifico intervento chiarificatore, di interpretazione autentica del relatore o del presidente della Commissione. Il che non significa, tuttavia, che nel momento in cui l'accusato non può essere informato, il procedimento non possa proseguire, come del resto avviene in numerosissimi paesi anche europei dove non è possibile il giudizio nei confronti dei contumaci ma non si può non tener conto del fatto che il nostro processo penale è diverso da quelli di altri paesi.
Se vi fosse un'interpretazione autentica e rassicurante da parte del relatore o del presidente della Commissione, mi dichiaro disponibile a ritirare ambedue gli emendamenti.
Tratto, ora, dell'emendamento 1.28, sempre a mia firma, che riguarda una questione completamente diversa, vale a dire il diritto all'effettività della difesa anche per i non abbienti o per le persone che, non avendo nominato un difensore di fiducia, sono assistite da un difensore d'ufficio. Non vi è dubbio che non vi può essere giusto processo se non vi è effettività di difesa e non vi è dubbio che la garanzia di una libera scelta del difensore per tutti, non solo per coloro che se lo possono permettere, è fondamentale per l'effettivo esercizio del diritto e dei diritti di difesa. Purtroppo, sappiamo benissimo - e lo verifichiamo ogni giorno nelle aule dei tribunali - che questo diritto non è concreto ed effettivo per chi non ha la possibilità di remunerare un difensore di fiducia e, soprattutto, per gli extracomunitari che, per tutta una serie di incombenze necessarie per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, non possono accedervi. Per quanto riguarda la difesa d'ufficio, salvo lodevoli eccezioni, sappiamo perfettamente che questa è solo formale e non sostanziale.
Come ho già detto durante la discussione generale, se è vero che non vi può essere giusto processo se non è garantita effettivamente, concretamente e adeguatamente la difesa dei soggetti più deboli, credo che rischiamo di fare mezzo passo, senza compiere il passo definitivo, essenziale e decisivo per un giusto processo per tutti.
Pertanto, nel momento stesso in cui mi dichiaro disponibile, a fronte di un chiarimento e di un'interpretazione autentica da parte del relatore, a ritirare i mie primi due emendamenti, sono altresì disponibile a ritirare anche il mio emendamento 1.28 sulla difesa dei non abbienti, avendo presentato un ordine del giorno in tal senso, evidentemente qualora il Governo fosse disponibile ad accettarlo.

ANTONIO SODA, Relatore. Chiedo di parlare.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore. Signor Presidente, inizio dall'emendamento Pisapia 1.28 relativo alla tutela dei non abbienti. L'invito al ritiro deriva, oltre che dalle ragioni che ho già illustrato durante la discussione generale relative alla necessità di una riflessione aggiuntiva rispetto a ciò che è scritto nella prima parte della Costituzione, anche dallo stato del dibattito sulla garanzia del diritto di difesa dei non abbienti.
Infatti, alcuni propongono il modello di un servizio pubblico, che non significa un difensore statale o pubblico, bensì un servizio come è modellato nell'ordinamento anglosassone, al quale il cittadino non abbiente si rivolge e che poi organizza, anche attraverso contratti di diritto privato, la sua difesa e il suo diritto di agire in giudizio.
Vi è chi, al contrario, rifiuta questa strada e propone, invece, strumenti di revisione radicale della disciplina del gratuito patrocinio. Del resto, di quest'ultima esigenza si è fatto interprete anche il gruppo dei democratici di sinistra con una proposta di legge, il cui primo firmatario è l'onorevole Bonito, che sarà discussa a breve.
Pertanto, ritengo che vi sia la necessità di rafforzare nella Costituzione il diritto alla difesa e, prima ancora, quello all'azione dei cittadini non abbienti. Sulle modalità forse va fatto un ulteriore approfondimento, anche con riferimento alla possibilità esaustiva di una legge ordinaria. In questo senso, rinnovo l'invito al collega Pisapia a ritirare il suo emendamento.
La questione più delicata, invece, riguarda l'emendamento Pisapia 1.26, ove la sostituzione del termine «assicura» con il verbo «regolare» o «disporre», in realtà non risolverebbe di per sé il tema sollevato dall'onorevole Pisapia.
A me sembra che il testo del Senato vada interpretato nel senso che il diritto all'informazione con carattere di riservatezza è un diritto costituzionale, mentre la legge ordinaria disciplina fattispecie, tempi e modalità per assicurare e garantire tale diritto.
Mi sembra che con tale interpretazione siano fugati i pericoli che l'onorevole Pisapia ha rappresentato e che, pertanto, anche questo emendamento possa essere ritirato. Aggiungo che l'espressione utilizzata - «persona accusata» - è mutuata dalla terminologia internazionale, che non fa riferimento ai tempi più tecnici esistenti nei nostri ordinamenti processuali, soprattutto continentali, che fanno riferimento alle categorie dell'indiziato, dell'indagato e dell'imputato. Quindi, non si usa in Costituzione una terminologia tecnica da codice di procedura penale, bensì il concetto di accusato.
È chiaro che l'accusa, per dare luogo al diritto all'informazione riservata e costituzionalmente protetta, non può che essere quella che proviene dall'organo pubblico di Stato preposto all'esercizio dell'azione penale. Non può essere, per esempio, un diritto che si possa vantare di fronte all'accusa di reato che provenga da un esposto, da una querela, da una notizia anche non qualificata o indeterminata di reato che non darebbe luogo a diritto costituzionale alla informativa anche perché può sfociare in una richiesta di archiviazione e quindi senza procedimento penale.
Ecco il motivo per cui invito l'onorevole Pisapia a ritirare i suoi emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Pisapia, insiste per la votazione dei suoi emendamenti?

GIULIANO PISAPIA. No, signor Presidente. Ritiro tutti e tre gli emendamenti 1.26, 1.27 e 1.28, a mia firma.

PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Parenti, insiste per la votazione del suo emendamento 1.11 del quale è stato chiesto il ritiro?

TIZIANA PARENTI. Insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Non parlerò solo in relazione al mio emendamento 1.11 ma anche sui successivi 1.14 e 1.15, sempre a mia firma, perché collegati tra loro in senso alternativo. Nell'emendamento 1.11 ho posto un principio e non un dettaglio, traendo spunto dal VI emendamento della Costituzione degli Stati Uniti perché tutte le Costituzioni dovrebbero fissare principi e non dettagli procedurali.
Se si prevede in Costituzione la possibilità di interrogare attraverso un confronto diretto (intendendo con questa espressione due persone che si confrontano) tra accusato e accusatore, il dettaglio in questo caso (che ho cercato di correggere con il mio emendamento 1.15) scompare. D'altra parte, è noto che, quanto più si scende nel dettaglio, tanto più si dà luogo ad interpretazioni e a sentenze e quindi il dettaglio finisce per essere l'arma contro il principio.
Se si pone il principio del contraddittorio (che, a differenza di quanto è scritto nel provvedimento in esame, è previsto dalla Costituzione, mentre è stata errata l'interpretazione della legislazione ordinaria che ha contraddetto i principi costituzionali a tal punto che oggi siamo costretti ad intervenire con legge), si elimina la possibilità di dare interpretazioni diverse e nello stesso tempo si evita di introdurre in Costituzione il principio della prova legale.
Prevedere in Costituzione la prova della colpevolezza significa reintrodurre il principio della prova legale, che è contrario ai principi dello Stato di diritto, mentre tale principio dovrebbe essere demandato alla legge ordinaria, ristabilendo il principio del vecchio articolo 513 ove ritenessimo che il principio da solo non sia sufficiente per stabilire, non in Costituzione, chi sia colpevole o innocente. Come dicevo, occorre demandare alla legge ordinaria i modi relativi alla non utilizzazione di tutto ciò che non appartiene alla formazione della prova. Intendo dire che la prova, formandosi in dibattimento, non può essere inquinata da elementi che non provengano dal dibattimento stesso.
Pur riaffermando questo principio, non riteniamo opportuno specificarlo a questo punto per evitare che la Costituzione venga stravolta dalla legge ordinaria ma lo rinviamo alla legge ordinaria.
Mi rendo conto di non essere ascoltata, come se l'argomento in questione non interessasse nessuno, compresi quelli che hanno condotto grandi battaglie per blindare il provvedimento. È singolare che un testo costituzionale tante importante venga trattato così distrattamente e anche in modo un po' cialtronesco. Per evitare di stabilire in Costituzione la prova legale, per evitare che sia fissato un dettaglio che possa essere stravolto dalla legge ordinaria, credo che l'alternatività delle proposte da me formulate garantisca che ci sia parità fra accusa e difesa, che ci sia un giusto principio del contraddittorio ed eviti che si scriva nella Costituzione chi è colpevole e chi no.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare...

TIZIANA PARENTI. Presidente, per la verità avevo chiesto il parere del relatore su quanto avevo detto.

PRESIDENTE. Onorevole Parenti, se il relatore non mi chiede di parlare, non posso costringerlo a farlo!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.
Onorevole Taradash, le ricordo che dispone di due minuti.

MARCO TARADASH. Presidente, intervengo su questi emendamenti che recano la firma dell'onorevole Parenti perché - in particolare l'1.15, che parla di divieto di acquisizione e di utilizzazione delle dichiarazioni rese da chi si sottrae all'interrogatorio - mi sembrano molto importanti.
Sono meravigliato della possibilità di giungere alla votazione a maggioranza qualificata di un testo come quello che potrebbe essere licenziato dal Parlamento.


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La verità è che questa modifica costituzionale viene fatta non per imporre al legislatore una nuova regola, ma per imporre alla Corte costituzionale di obbedire alla legge voluta dal Parlamento, visto che la Suprema Corte ha deciso, invece, di rifarsi all'epoca di Alfredo Rocco, ritenendo quella di Giandomenico Pisapia un'epoca in contrasto con certi precetti di statalismo etico che sono ancora alla base delle sentenze della Corte stessa.
Ritengo che il testo elaborato dal Senato non sia, soprattutto in questo punto, quello che sarebbe dovuto essere e cioè non mi sembra adeguato ad evitare interpretazioni ancora a vantaggio della res publica contro il reo. Credo che, purtroppo, per molti varrà ancora il principio che la libertà individuale è secondaria rispetto alle esigenze dello Stato, di emergenza in emergenza. Tuttavia il valore di questo testo è tale da impedire anche l'approvazione di un emendamento così importante come quello che è stato proposto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.

ALFREDO BIONDI. Presidente, vorrei tranquillizzare la collega Parenti circa l'attenzione che magari, a causa di qualche brusio, non si manifesta completamente e concretamente sulle finalità, il valore e l'importanza del suo emendamento 1.11 (quando sarà il momento, interverrò anche sull'1.15).
Credo che una identificazione precisa della natura del rapporto nel quale si crea il vero contraddittorio, che è quella di interrogare e di far interrogare in un confronto diretto, tolga ogni dubbio circa la posizione di parità tra le parti processuali e soprattutto tra i diritti delle stesse di far emergere quanto il giudice rileverà.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccheo, non so se si è accorto che alle sue spalle sta parlando il Presidente Biondi!

ALFREDO BIONDI. Il problema per me è rendere più chiaro quanto il testo non chiarisce, in modo che non accada ciò che è avvenuto in passato e cioè che tra le norme costituzionali e l'applicazione delle norme ordinarie si crei un divario nel quale si inseriscono le sentenze - legittime dal punto di vista dell'origine e della valutazione, ma certo non coerenti con i principi di un processo veramente accusatorio - che la Corte ha via via emesso.
La proposta emendativa avanzata dai colleghi Parenti e Crema pone questo problema in termini molto precisi, perché le dichiarazioni rese a carico di una persona devono essere controllate o controllabili direttamente dalla persona, da chi lo assiste, da chi può avere in quel momento la possibilità di cogliere il valore vero del contraddittorio.
Non si tratta di un valore in lontananza, quasi si trattasse di amore per corrispondenza: bisogna essere lì e sollevare il problema al momento giusto e, più precisamente, quando la libertà di apprezzamento dell'imputato, indagato o di chi lo difende costituisce il momento in cui questo valore si afferma in maniera efficace.
Stabilirlo nella Costituzione non rappresenta un qualcosa in più, perché abbiamo imparato, purtroppo, che se una cosa viene detta la si capisce, mentre se non la si dice, gli altri non capiscono quanto, invece, andrebbe capito (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

ANTONIO SODA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore. Signor Presidente, vorrei rivolgere all'onorevole Parenti un ulteriore invito a ritirare i suoi emendamenti. In particolare, l'emendamento Parenti 1.15, con una formulazione diversa - a mio parere persino più corretta - stabilisce quanto già previsto dal testo approvato dal Senato. Infatti, dire che non sono utilizzabili, ai fini della


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formazione della prova, le dichiarazioni che non hanno subito il vaglio del dibattimento e che, quindi, da una parte non sono state strumento per arrivare alla conoscenza e dall'altra non hanno garantito l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato, e dire che non si può condannare l'imputato, sulla base di dichiarazioni non oggetto di vaglio dibattimentale, è equivalente.
Pertanto, si può considerare un errore il fatto che la Camera, per ragioni di carattere generale legate all'esigenza di approvare al più presto questo provvedimento per non appesantirne il percorso istituzionale con ulteriori letture, voti contro questo testo che esprime le stesse esigenze e gli stessi concetti contenuti nel testo approvato dal Senato.
Per tale motivo ribadisco il mio invito rivolto all'onorevole Parenti a ritirare i suoi emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Parenti, si è commossa?

TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, non sono commossa, ma li ritiro ugualmente.

PRESIDENTE. Sta bene. Sono quindi da considerarsi ritirati gli emendamenti Parenti 1.11, 1.12, 1.14 e 1.15.
Onorevole Boato, accede all'invito a ritirare il suo emendamento 1.13 formulato dal relatore?

MARCO BOATO. Signor Presidente, accetto di ritirare l'emendamento, ma vorrei spiegare le ragioni che sono alla sua base.
Il mio emendamento 1.13 intende inserire al terzo capoverso dell'articolo 111 della Costituzione l'unica garanzia, prevista esplicitamente dalla convenzione internazionale sui diritti civili e politici, non prevista dal testo approvato dal Senato. Oltre infatti a tutte quelle già indicate - essere informato, disporre del tempo, potersi difendere, e così via -, la linea del comma 3 dell'articolo 14 di tale convenzione stabilisce che: «ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, come minimo alle seguenti garanzie» e alla lettera g) è prevista la garanzia di «non essere costretto a deporre contro se stesso o a confessarsi colpevole».
Qualche collega potrebbe ritenere - ma a questo punto dovrò farlo anch'io - che, comunque, questo tipo di previsione è già contenuta nell'ordinamento, come, del resto, tutte le altre disposizioni di cui al medesimo terzo capoverso dell'articolo 111 della Costituzione. Tuttavia, avendole precisamente ed opportunamente previste, sarebbe stato altrettanto opportuno, a mio parere, stabilire anche che la persona accusata non sia costretta a deporre contro se stessa e a confessarsi colpevole.
Detto questo affinché resti agli atti dei nostri lavori, ritiro il mio emendamento 1.13.

PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Pisapia se accetti la proposta di ritiro del suo emendamento 1.29, formulata dal relatore.

GIULIANO PISAPIA. Sì, signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Veltri, accetta la proposta di ritirare il suo emendamento 1.25 formulata dal relatore?

ELIO VELTRI. No, signor Presidente, lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Veltri 1.25, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.


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Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 334
Votanti 316
Astenuti 18
Maggioranza 159
Hanno votato sì 3
Hanno votato no 313).

Passiamo all'emendamento Boato 1.16.
Onorevole Boato, accetta l'invito al ritiro?

MARCO BOATO. Sì, signor Presidente, e chiedo di illustrarne i motivi.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha un minuto di tempo.

MARCO BOATO. Si trattava di tramutare la norma di cui al primo comma, quarto capoverso, dell'articolo 111 in una definizione di principio, per cui con questo emendamento proponevo che «non costituiscono indizio o prova le» dichiarazioni e via dicendo, secondo il testo approvato dal Senato.
Su questo punto si è dibattuto a lungo in Commissione; mi ero fatto carico delle osservazioni fatte da alcuni colleghi, in particolare dall'onorevole Pecorella, secondo le quali affermare semplicemente «non costituiscono prova» poteva voler dire implicitamente che costituiscono indizi. Da qui il mio emendamento e forse una diversa formulazione sarebbe stata più degna di un testo costituzionale.
Ciò detto, ritiro il mio emendamento 1.16.

PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo all'emendamento Parenti 1.17.
Chiedo ai presentatori se accettano l'invito a ritirarlo.

TIZIANA PARENTI. Sì, signor Presidente, lo ritiriamo e chiedo di poterne illustrare il motivo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Onorevole Parenti, le ricordo che ha un minuto di tempo.

TIZIANA PARENTI. In questo emendamento si pone il principio dell'assistenza legale per i «meno abbienti», che è un qualcosa di più dei «non abbienti». Per assistenza legale non si intende solo quella dell'imputato nel processo penale ma anche quella della vittima del reato, oltre ad una consulenza e a un supporto anche extragiudiziario.
In un emendamento dell'onorevole Pisapia si è posto l'analogo problema dell'assistenza delle vittime del reato. Credo che ci sarebbe la possibilità di garantire sia l'effettività della difesa per la vittima del reato sia l'effettività della difesa per l'imputato.
Ho fatto riferimento alle autonomie locali perché a noi interessa molto il federalismo. C'è un istituto, di derivazione anglosassone (che si chiama legal aid), che dà alle autonomie locali la facoltà di istituire questi uffici che vengono finanziati a livello locale perché il cittadino possa rivolgersi direttamente ad essi e avere l'assistenza legale. Credo che questo principio, integrato con gli altri, serva a garantire la difesa e a tutelare quei principi che vorremmo introdurre.
Tuttavia, poiché il realtore ha espresso contrario, ritiro l'emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo all'emendamento Fontan 1.18.
Chiedo ai presentatori se accettino l'invito a ritirarlo.

ROLANDO FONTAN. No, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Signor presidente, credo che tra una commozione ed un'altra si arriverà a quella... cerebrale, visto che qui si sta discutendo del sesso


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degli angeli; si discutono gli emendamenti ma poi non si votano perché vengono ritirati.
È la prima volta, nella mia esperienza di parlamentare, che mi capita di vedere emendamenti che, pur registrando una posizione favorevole della gran parte della maggioranza, nei fatti vengono poi ritirati.
Con il nostro emendamento 1.18 intendiamo specificare che le nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui esse si riferiscono. Magari ai non addetti ai lavori questo principio potrebbe sembrare una stupidaggine, ma sappiamo benissimo qual è il problema di tutto questo legiferare in materia penale: ogni legge, ogni leggina ha le sue disposizioni normative, sulle quali si registra poi una confusione di interpretazioni. Sarebbe il caso di inserire questo principio, senza il quale certamente non cadrebbe il mondo, ma non vi è dubbio che apporterebbe un contributo positivo.
A ciò si aggiunge che le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo. È inutile che illustri in questa sede concetti di cui da sempre si discute in dottrina; oggi avremmo un'occasione buona per dare contenuto e concretezza a quanto autorevoli giuristi e magistrati affrontano da anni nei convegni e continuano a proporre agli studenti come oggetto di studio. Avremmo la possibilità di dare concretezza a questi principi, ma per ragioni di Stato e per attuare questa semiriforma, rinunciamo a farlo.
Ciò mi sembra di una gravità inaudita; io, signor Presidente, non sono commosso e mantengo il mio emendamento affinché un giorno non si possa dire che non vi sia stato qualcuno che aveva cercato di dare attuazione a quanto esperti, giuristi, politici, dottrina e società da anni richiedono.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fontan 1.18, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).

(Presenti 334
Votanti 315
Astenuti 19
Maggioranza 158
Hanno votato sì 16
Hanno votato no 299).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Fontan 1.19.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontan. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Come mi ha fatto notare il collega Boato, probabilmente questo emendamento non ha una formulazione perfetta, ma è evidente che egli è un po' più esperto di me, essendo autore di numerose bozze presentate in sede di Commissione bicamerale. Prendo per buono il suo suggerimento e non discuto sulla forma dell'emendamento, ma a noi della lega, come sempre, interessa la sostanza.
Con questo emendamento si intende inserire il principio della responsabilità giudiziaria. Alle soglie del 2000 sarebbe giusto e sacrosanto che anche per l'apparato giudiziario fosse stabilito un principio di responsabilità. Di fatto, l'apparato giudiziario è una delle poche strutture cui non è stato applicato, nel bene o nel male, il principio di responsabilità.
Quando si riconoscono errori giudiziari, bisogna che qualcuno paghi perché la democraticità di un sistema si prova soprattutto nei campi della giustizia e delle garanzie; pertanto, quando si incide sulla libertà delle persone, è giusto che chi sbagli, paghi. Per tali motivi abbiamo proposto questo emendamento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.


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GAETANO PECORELLA. Vorrei fare soltanto due brevi osservazioni. La norma, che pure è ispirata a un giusto principio, contiene tuttavia una serie di elementi che la rendono indifendibile, a partire dal fatto che le condanne penali non sono mai annullate, che la grazia non viene mai accordata su elementi nuovi e che non può dar luogo, quindi, ad un indennizzo. Il concetto stesso di indennizzo non riguarda il problema della responsabilità per errori giudiziari ma, come dice la parola, è solo un'indennità.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fontan 1.19, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (
Vedi votazioni).

(Presenti 323
Votanti 321
Astenuti 2
Maggioranza 161
Hanno votato sì 13
Hanno votato no 308).

Passiamo all'emendamento Pisapia 1.30.
Onorevole Pisapia, accede all'invito al ritiro del suo emendamento 1.30?

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo emendamento - che leggo testualmente: «La legge regola la possibilità di intervento nel processo penale della persona offesa dal reato e assicura che essa abbia il diritto di essere assistita, a spese dello Stato se non abbiente, da un difensore di sua fiducia» - ha lo scopo di inserire nella Costituzione i diritti processuali delle vittime dei reati. Questi diritti, evidentemente, sono diversi da quelli dell'indagato, ma debbono essere ugualmente tutelati. Peraltro, i diritti delle vittime del reato sono spesso ignorati a livello processuale, proprio perché a livello costituzionale non esiste una norma specifica che possa garantire quei diritti.
Quindi, mentre preannuncio il ritiro del mio emendamento 1.31, insisto per la votazione del mio emendamento 1.30.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Veltri. Ne ha facoltà.
Onorevole Veltri, poiché lei parla a titolo personale, ha due minuti di tempo.

ELIO VELTRI. Presidente, non capisco questa sottolineatura.

PRESIDENTE. Onorevole Veltri, le ho ricordato il tempo di cui dispone in quanto lei parla a titolo personale, altrimenti avrebbe avuto dieci minuti di tempo.

ELIO VELTRI. Sarò brevissimo.
Credo che l'emendamento Pisapia 1.30 sia improntato a grande civiltà ed a rigore giuridico, oltre ad essere importante dal punto di vista umano. Quindi, se dobbiamo modificare la Carta fondamentale, costituzionalizziamo la proposta emendativa in questione. Sono contrario a modificare la Costituzione, ma l'emendamento Pisapia 1.30 contiene un principio importante.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE CANANZI, Presidente della I Commissione. Presidente, volevo rivolgere un appello al collega Pisapia affinché ritiri il suo emendamento 1.30, di cui, sostanzialmente, siamo convinti tutti. Probabilmente, tornando sulla materia in sede costituzionale dovremo farci carico dei poco abbienti o dei non abbienti. In quella sede tenteremo di avere un riguardo particolare a questa ipotesi.
Pertanto, ribadisco l'invito al collega Pisapia a ritirare l'emendamento.


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PRESIDENTE. Onorevole Pisapia?

GIULIANO PISAPIA. L'appello convincente del presidente della I Commissione mi porta a ritirare anche il mio emendamento 1.30.

PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Boato, in ordine alla richiesta di ritirare i suoi emendamenti 1.20, 1.21 e 1.22, le do tre minuti di tempo per esprimere il suo orientamento.

MARCO BOATO. La ringrazio, signor Presidente; ormai siamo alla fine dell'esame degli emendamenti, oltre ai miei rimane solo l'emendamento Veltri 2.1.
I tre emendamenti che ho presentato ripropongono alcune delle disposizione che erano contenute negli articoli 129 e 130 del testo della bicamerale. Ho detto e ripeto che il gruppo dei verdi voterà a favore della proposta di legge di revisione costituzionale al nostro esame, ma ribadisco ancora una volta che, avendo deciso di riprendere la strada parziale, limitata, finalizzata della revisione costituzionale in materia di garanzie, anche con quest'ottica più limitata e circoscritta rispetto ad un disegno organico di riforma del sistema delle garanzie, si sarebbe potuto, con poca difficoltà, fare molto di più e molto meglio.
L'emendamento Boato 1.20 (l'emendamento 1.21 ne è una versione più riduttiva) riproduce i principi del diritto penale minimo e di concreta offensività, il divieto di interpretazione estensiva o analogica delle norme penali, il principio della riserva di codice ed una norma di attuazione ordinamentale dell'articolo 24 in materia di difesa dei non abbienti: previsioni che erano già tutte contenute nell'articolo 129 e nell'ultima parte dell'articolo 130 del testo varato dalla bicamerale.
Da ultimo, signor Presidente, colleghi - invito ad una riflessione pubblica su questo anche il relatore, onorevole Soda, perché si tratta di una tematica sulla quale abbiamo lungamente discusso -, il mio emendamento 1.22 va, apparentemente, in direzione diversa. Quando si affronta il sistema delle garanzie, ci si deve anche fare carico del fatto che quel sistema sia compatibile con l'effettiva amministrazione della giustizia. Alcune settimane fa l'allora (da poco non lo è più) primo presidente della Corte suprema di Cassazione, il dottor Zucconi Galli Fonseca, ha convocato un'assemblea dei magistrati di Cassazione, mettendo tutti - non solo i magistrati, ma anche il mondo politico che era stato invitato - di fronte ad una situazione ormai di ingolfamento quasi totale della Corte di Cassazione. L'emendamento 1.22 da me presentato cercava, come del resto ha fatto la stessa Commissione bicamerale deliberando sul testo da me proposto, anche di farsi carico della problematica del ricorso in Cassazione, comunque prevedendo e assicurando il doppio grado di giudizio.
Diritto penale minimo, concreta offensività, divieto di interpretazione estensiva e analogica, riserva di codice, difesa dei non abbienti, norma specifica concernente la Cassazione, sono tutte disposizioni che, con gli stessi tempi tecnici, avremmo potuto approvare in questa sede di revisione costituzionale e che, a mio parere facendo un grave errore, non verranno approvate.
Su questo punto chiedo al relatore e ad altri colleghi di pronunciarsi.

PRESIDENTE. Onorevole relatore, qual è la sua opinione sulle considerazioni svolte dal collega Boato, di cui mi pare si sia già parlato?

ANTONIO SODA, Relatore. Signor Presidente, continuo ad invitare al ritiro per una ragione che ribadisco. Condivido il principio del diritto penale minimo, che si realizza attraverso l'istituto della riserva di codice, secondo il quale ogni reato viene definito dal codice penale o da una legge organica; condivido la necessità di una norma costituzionale di rafforzamento del diritto all'azione e alla difesa per i non abbienti; condivido il principio della concreta offensività e della rilevanza costituzionale che deve avere il bene penalmente tutelato; condivido la necessità


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che, in sede di interpretazione delle norme penali, non si possa ricorrere all'analogia o all'interpretazione estensiva; condivido anche tanti altri principi che, in sede di discussione in quest'aula e prima ancora in I Commissione e in Commissione bicamerale, abbiamo elaborato.
Erano queste alcune delle ragioni per le quali avevamo invitato più volte i parlamentari del Polo a cogliere questa occasione per definire in maniera completa i principi della giurisdizione e del giusto processo; alla fine, dopo aver per lungo tempo ritenuto che soltanto la norma sul contraddittorio fosse indispensabile e necessaria, pure i colleghi del Polo hanno convenuto sulla necessità di elevare a rango costituzionale anche questi altri principi. Indubbiamente, si dovranno elaborare proposte di legge costituzionale che si muovano in tale direzione.
Mi sembra estremamente significativa, poi, la norma sul doppio grado di giudizio e sulla Cassazione, un organo, quest'ultimo, che svolge una delicatissima funzione di garanzia della legittimità dei processi e dell'uniforme applicazione della legge nel nostro paese, ma che stenta ad assolvere a tale compito perché sommerso da migliaia e migliaia di ricorsi che hanno trasformato la Cassazione stessa in un giudice spesso non soltanto di legittimità e, comunque, immanente ad uno sviluppo del processo che porta inevitabilmente a tre gradi di giudizio; ricordo che nel diritto internazionale la garanzia è assicurata dal doppio grado di giurisdizione.
La patologia di tre gradi permanenti e sistematici di giurisdizione che vi è stata nel nostro ordinamento non risponde alle esigenze di giustizia e confligge con lo stesso principio di ragionevole durata del processo, che abbiamo affermato.
Invito perciò il presentatore al ritiro dei suoi emendamenti al fine di evitare che, per le ragioni che ho più volte indicato, ci si debba pronunciare negativamente o con un voto non di vasto consenso su principi sui quali, invece, laconvergenza deve essere la più ampia possibile.

PRESIDENTE. Onorevole Boato, accetta l'invito al ritiro dei suoi emendamenti 1.20, 1.21 e 1.22?

MARCO BOATO. Signor Presidente, accetto l'invito al ritiro avanzato dal relatore.

PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (
Vedi votazioni).

(Presenti 343
Votanti 329
Astenuti 14
Maggioranza 165
Hanno votato sì 324
Hanno votato no 5).

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