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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del
disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di
lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore
previdenziale.
Ricordo che ieri la Camera ha deliberato in senso favorevole sull'esistenza dei
presupposti richiesti dal secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione per l'adozione
del decreto-legge n. 510 del 1996, di cui al disegno di legge di conversione n. 2698.
Avverto altresì che, se non vi sono obiezioni, l'XI Commissione (Lavoro) si intende
autorizzata a riferire oralmente.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari di forza Italia e di alleanza nazionale
ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del
comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Il relatore, onorevole Stelluti, ha facoltà di svolgere la relazione.
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della SIAE, del personale dell'Ente ferrovie società per azioni ed altri provvedimenti
ancora.
L'articolo 3 provvede a garantire una nuova proroga della cassa integrazione speciale per
i dipendenti GEPI e INSAR, ampliando la tipologia delle iniziative assumibili dalle due
società finalizzate ad un miglior perseguimento dei propri compiti istituzionali di
reimpiego del personale.
L'articolo 4 contiene, tra l'altro, una lunga serie di disposizioni in materia di
interventi a sostegno del reddito, emanate in attuazione delle intese tra le parti sociali
ed il Governo nel novembre del 1994 e la prosecuzione temporanea di interventi a difesa
del salario, giunti a scadenza, per favorire la possibilità di rioccupazione.
L'articolo 5 riapre invece i termini per la stipula dei contratti di riallineamento
contributivo, stabilendo un piano graduale di elevazione delle retribuzioni basse fino al
raggiungimento dei livelli contrattuali previsti.
L'articolo 6 stabilisce norme in ordine ai trattamenti di cassa integrazione speciale per
crisi aziendale, disponendo che possa essere corrisposta in un'unica soluzione in
coincidenza con l'utilizzo di strumenti di gestione degli esuberi alternativi alla
mobilità; modifica la disciplina dei contratti di solidarietà, in modo da allargarne la
platea dei fornitori; detta disposizioni relative ai contratti di lavoro a tempo parziale,
incentivandone l'utilizzo.
L'articolo 7 proroga il termine della gestione temporanea delle miniere carbonifere del
Sulcis da parte della società del gruppo ENI, attribuendo ad essa le risorse per
l'attuazione del programma di riattivazione del bacino carbonifero.
L'articolo 8 reca norme in materia di ripartizione del finanziamento degli istituti di
patronato, autorizzati ad esercitare gratuitamente l'assistenza e il patrocinio dei
lavoratori per il conseguimento delle prestazioni previdenziali.
L'articolo 9 contiene disposizioni diverse in materia di personale ed in materia
previdenziale, portando a soluzione una serie di problemi sorti in una difficile fase di
riforma degli strumenti di gestione del mercato del lavoro e del sistema previdenziale.
L'articolo 9-bis recepisce, con modifiche, l'articolo 1 del decreto-legge n. 511,
che modifica la disciplina del collocamento ordinario, dando la facoltà al datore di
lavoro di procedere all'assunzione, sostituendo il nulla osta preventivo con una
comunicazione da farsi entro cinque giorni alla sezione circoscrizionale per l'impiego e
portando a conoscenza del lavoratore i contenuti del contratto stipulato che risultano dal
libro matricola.
L'articolo 9-ter riproduce integralmente l'articolo 2 del decreto-legge n. 511, che
definisce per il settore agricolo una specifica e più semplice disciplina in materia di
assunzioni, di comunicazione e di registrazione nel libro matricola.
L'articolo 9-quater definisce i criteri e le modalità di tenuta del registro di
impresa nel settore agricolo, al fine di registrare i dati relativi ai lavoratori assunti,
fornendo così indicazioni utili all'accertamento dei contributi previdenziali versati,
come contenuto nell'articolo 3 del decreto-legge n. 511.
L'articolo 9-quinquies riproduce l'articolo 4 del decreto-legge n. 511,
introducendo un sistema di rilevazione della manodopera occupata in agricoltura mediante
elenchi nominativi predisposti dall'INPS sulla base delle dichiarazioni fatte dalle
imprese; reca poi disposizioni relative alla piccola colonia e alla compartecipazione
familiare.
L'articolo 9-sexies riprende l'articolo 6 del decreto-legge n. 511 e definisce le
procedure, l'organizzazione e l'assegnazione del personale relativamente alla soppressione
del Servizio per i contributi agricoli unificati.
L'articolo 9-septies riproduce l'articolo 8 del decreto-legge n. 511 e prevede, al
fine di favorire il lavoro autonomo nel Mezzogiorno, di affidare alla Società per
l'imprenditorialità giovanile la selezione, il finanziamento e l'assistenza tecnica di
progetti posti in essere da lavoratori in
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cerca di prima occupazione o da disoccupati, autorizzandone la relativa spesa.
L'articolo 9-octies, riproducendo l'articolo 9 del decreto-legge n. 511, prevede la
realizzazione da parte del Ministero del lavoro di piani mirati all'inserimento
professionale di giovani iscritti nelle liste di collocamento nelle aree ad alto tasso di
disoccupazione.
Infine, l'articolo 9-novies riproduce l'articolo 7 del decreto-legge n. 449 del
1996 e ridetermina le unità ammesse al prepensionamento nel settore siderurgico,
utilizzando le risorse accantonate nella legge finanziaria dello scorso anno.
Data la particolarità di questo decreto-legge, caratterizzato da una notevole quantità
di provvedimenti che ormai hanno da tempo esplicato i loro effetti, e date anche le
scadenze temporali contenute in molti di essi, dopo l'approvazione del Senato il
presupposto di urgenza dell'approvazione definitiva ne risulta esaltato, tenuto conto
altresì che la scadenza è prevista per il 1 dicembre prossimo venturo.
Ben tre Governi si sono cimentati con questo provvedimento, cioè il Governo Berlusconi,
il Governo Dini ed ora il Governo Prodi, utilizzandolo spesso come strumento per
interventi di emergenza in una fase molto travagliata della vita economico-produttiva ed
occupazionale del paese. Dopo la giusta sentenza della Corte costituzionale con la quale
è stata dichiarata l'illegittimità della reiterazione dei decreti-legge, il
provvedimento in discussione potrebbe sembrare ancor più in controtendenza. Tuttavia, nel
nostro ordinamento, in assenza di strumenti e regole efficaci per legiferare in tempo
reale, il decreto-legge in esame ha svolto una funzione sociale di indiscutibile
rilevanza, fornendo strumenti per la gestione di una profonda crisi occupazionale legata
ad un'altrettanto intensa fase di cambiamento della struttura produttiva.
Il presente decreto recepisce e consolida intese tra le parti realizzate durante la
vigenza dei Governi già citati. Vi è quindi un obbligo morale di portare a termine
l'iter del provvedimento, che coinvolge la vita di centinaia di migliaia di lavoratori e
di qualche migliaia di imprese. Noi tutti ci auguriamo, per il senso di responsabilità
che contraddistingue questo Parlamento, che in futuro si superi la logica di provvedimenti
di emergenza e che il Parlamento possa essere messo in condizioni di svolgere appieno il
proprio ruolo con efficacia, rapidità e profondità di analisi. Ci auguriamo, infine, che
si possa addivenire in tempi ragionevolmente brevi ad una significativa semplificazione e
ad un riordino di tutta la materia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
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In quarto luogo, il provvedimento contiene numerose norme di carattere previdenziale o
relative a vari aspetti inerenti ai rapporti di lavoro e previdenziali che, se non
consolidate, renderebbero di nuovo incerte le posizioni e i rapporti previdenziali e di
lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori.
Si tratta, in conclusione, di un insieme di norme frutto dell'azione svolta dai Governi
nei negoziati tra le parti sociali negli ultimi quattro anni, all'epoca in cui erano
Presidenti del Consiglio Ciampi, Berlusconi, Dini e, da ultimo, Prodi. Nel corso
dell'esame del decreto-legge al Senato, la Commissione lavoro ha approvato all'unanimità
un ordine del giorno con cui si proponevano sei modifiche tenendo conto dei suggerimenti e
delle proposte sia della maggioranza sia della minoranza; cinque di tali modifiche sono
state recepite nel testo attualmente in esame, al quale sono stati apportati anche dei
miglioramenti. Infine, anche sulla base di una proposta che era stata avanzata dai gruppi
di opposizione al Senato, si è introdotta una norma che impegna il Governo a presentare
entro un anno una nuova legge quadro che ridefinisca complessivamente le attività dei
lavori socialmente utili e di pubblica utilità.
Per l'insieme di queste considerazioni, onorevoli deputati, il Governo auspica
l'approvazione del provvedimento nel testo pervenuto dal Senato affinché, alla sedicesima
reiterazione, sia finalmente convertito in legge.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Strambi. Ne ha facoltà.
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notevole impegno, un accordo significativo fra tutte le parti politiche per apportare
modifiche che, a parere dei commissari, rappresentavano un punto di equilibrio ed una
soluzione quanto meno meritevole di attenzione. Quello che va sottolineato in termini
negativi è che di tutto questo lavoro nel testo presentatoci dal Governo non c'è traccia
e che il Governo non ha tenuto in alcun conto la necessità di un approdo comune, il che
lascia quanto meno perplessi.
Detto questo, espresse le riserve del caso e con l'auspicio, come è già stato detto, che
venga a cessare definitivamente la pratica di provvedimenti di questo tipo, per la
quantità dei lavoratori interessati e per la rilevanza e l'urgenza di trovare soluzione a
problemi per altra via insolubili, confermo la posizione favorevole del gruppo di
rifondazione comunista all'approvazione del provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pampo. Ne ha facoltà.
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Questo decreto-legge, signor rappresentante del Governo, alimenta le illusioni dei
giovani, crea le delusioni dei cassaintegrati e l'amarezza dei lavoratori in mobilità.
La blindatura, se così sarà, di questo provvedimento non offenderà soltanto la dignità
di quest'aula e il ruolo dei singoli parlamentari: lo stesso decreto è al limite della
sua legalità per aver voluto assorbire in esso una serie di norme che niente hanno a che
vedere tra loro. Leggendo la relazione della Commissione bilancio del Senato, le
elargizioni - così come si intravedono nel decreto - non trovano coperture adeguate; per
taluni articoli si chiede addirittura l'intervento del Governo al fine di chiarire diversi
aspetti e coperture.
Nella recente discussione sulla manovra di bilancio molti emendamenti sono stati
dichiarati irricevibili per estraneità di materia; avremmo voluto che analogo
comportamento fosse stato riservato a questo decreto.
Certo, non trascuriamo la sentenza della Corte costituzionale, che impone precise scelte,
ma avremmo voluto che su tutti i decreti a rischio ci fosse stato un utile confronto per
ricercare assieme - maggioranza ed opposizione - le necessarie ed indispensabili corsie
preferenziali. Così non è stato: per volontà, scelta, presunzione ed arroganza della
stessa maggioranza. Ed eccoci allora in presenza di un decreto omnibus, che tenta
di sanare il pregresso senza dare esaurienti risposte ai soggetti ed ai comparti
interessati.
C'è però nel decreto un preciso filo conduttore, quello che porta all'assistenzialismo:
prerogativa di ben individuate forze politiche della maggioranza. Non è difficile infatti
scoprire la mancanza di una pur semplice traccia di un disegno strategico mirato a
combattere per davvero il dramma della disoccupazione; non si rileva inoltre alcuna valida
scelta di sviluppo a sostegno della sempre più pressante richiesta di occupazione.
In questi giorni troppo spesso, e a volte a sproposito, si è parlato di ingresso in
Europa; anzi, il Governo ha addirittura inventato l'eurotassa, ancor prima di pensare ad
ammodernare le istituzioni, a renderle efficienti, a costruire il necessario per
consentire al nostro paese di reggere il confronto.
La strada imboccata dalla maggioranza non creerà sviluppo, anzi alimenterà la spesa
assistenziale a danno di quella sociale e ci porterà all'aumento della già pesante
pressione fiscale, non più sopportabile dalle imprese e dalle famiglie italiane.
È una strada - quella scelta dalla maggioranza - che influirà e non poco sul lento ma
inesorabile processo di recessione che il nostro paese sta subendo a causa di scelte
sbagliate, di impegni non mantenuti e di comportamenti, che oserei indicare come
delinquenziali, di una certa classe dirigente del passato.
Le forze deboli del paese, i giovani disoccupati, i cassaintegrati e coloro i quali
subiscono la mobilità (anticamera del licenziamento) sono oltre un milione 500 mila ed
hanno bisogno di ben altro che l'umile sussidio previsto da questo decreto. Signor
Presidente, ritorna in auge un vecchio quanto mortificante termine che ci riporta ai primi
mesi del dopoguerra, quasi si volesse confermare lo stato di enorme crisi in cui si
dibatte il paese.
Il sussidio previsto, però, conferma la scelta assistenzialistica della maggioranza, che
è peraltro limitata e mirata a soddisfare solo ed esclusivamente residue e limitate
esigenze. Questa scelta conferma che il provvedimento, almeno nella parte relativa ai
lavori socialmente utili, è un provvedimento tampone e dunque inutile, ma che finirà per
alimentare ulteriormente il disagio sociale del paese.
Non è con le proroghe o con il ripristinare vecchie, sterili e superate norme e nemmeno
con provvedimenti tampone che si risolvono gli atavici problemi sociali dell'Italia, ed
ancor meno quelli dei giovani disoccupati, cassaintegrati o in mobilità! Al contrario,
certe scelte determinano stati di attesa, di ansia,
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che purtroppo si trasformano in gravi delusioni per chi è poi costretto a ritrovarsi
sempre e soltanto disoccupato.
A nulla sembra sia servita l'esperienza della legge n. 285, se le vie che si scelgono sono
sempre quelle della provvisorietà!
Per tali ragioni siamo convinti che la norma riguardante i lavori socialmente utili
deluderà ancora. Vorremmo sbagliarci, ma la nostra convinzione è comprovata dal fatto
che gli enti locali, chiamati a costruire progetti in tempi di tagli ai bilanci, oltre
alla scarsa disponibilità risentono anche della mancanza di interconnessione tra i lavori
socialmente utili e la stessa formazione.
A parte tale considerazione, c'è da rilevare che il processo di occupazione di soggetti
in lavori socialmente utili è circoscritto a posti di netturbini, giardinieri, custodi di
musei. Queste e non altre le occupazioni offerte attraverso i lavori socialmente utili ai
circa 80 mila lavoratori distribuiti su tutto il territorio nazionale, comprese le zone
floride del paese.
Nel decreto al nostro esame, poi, manca la necessaria spinta a superare la farraginosità
di certe norme ed il provvedimento risente anche dei tagli che il Governo ha operato,
tant'è che molti progetti di legge approvati dalle apposite commissioni regionali non
trovano soluzione a causa dei ritardi accumulati dagli enti locali.
Peraltro, signor rappresentante del Governo, tali ritardi non si superano prevedendo
ulteriori errori come quello contenuto nel decreto-legge e che consiste nel demandare alle
giunte degli enti locali operazioni di competenza di altri organismi.
È difficile - mi creda, signor Presidente - intervenire in poco tempo sulla vasta materia
racchiusa nel decreto, ma, pur sentendone la necessità, utilizzerò i minuti a mia
disposizione per confermare un giudizio critico sulle norme relative ai contratti di
riallineamento. Si tratta di norme, indicazioni e scelte che, se non modificate,
produrranno effetti devastanti sulle migliaia di aziende operanti nelle aree depresse del
paese, che hanno il torto di lavorare à fa|$$|Accon, contribuendo così ad
arricchire certi leader del settore dell'abbigliamento che impongono le regole del
mercato, di voler dare onestamente lavoro, alla luce del sole, nel rispetto delle norme
contrattuali e di sollecitare le istituzioni ad emanare norme volte ad evitare l'evasione.
Non si possono sopportare oneri previdenziali, sostenere le retribuzioni previste dai
contratti collettivi nazionali, i costi energetici ed altro, guadagnando su un capo, che
in commercio costa 150 mila lire, la misera somma di 10 mila lire.
Quello che migliaia di aziende hanno chiesto e chiedono dalle norme regolamentari dei
contratti di riallineamento è esattamente l'opposto di quanto prevedono le norme alla
nostra attenzione.
A che serve, allora, signor Presidente, ipotizzare un sussidio per cassintegrati e
lavoratori in mobilità se si agisce poi in modo tale da creare nuovi disoccupati e da far
chiudere migliaia di aziende? Ecco allora i limiti di un modello che non ci piace, di
scelte che non ci convincono e di soluzioni che non risultano adeguate ai problemi
emergenti nel paese.
Un modello, quello scelto dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene, che persiste
nella discriminazione e che continua a legiferare tutelando il privilegio, come
chiaramente emerge dall'articolo 8 del decreto n. 510. È assurdo liquidare competenze
agli enti di patronato e quel sistema era tanto discriminatorio che, finalmente, con una
legge di pochi mesi addietro, si è provveduto a superarlo. Vedremo prossimamente
dall'attività liquidata agli enti di patronato quali e quanti sono stati i privilegi di
cui hanno goduto ben individuati enti di patronato operanti in Italia.
Che dire, poi, delle norme sul collocamento agricolo e sui registri di impresa in
agricoltura? Giornate intere non sarebbero sufficienti per dimostrare come e quanto le
norme volute dal Governo e dalla maggioranza danneggino il comparto primario italiano.
I fatti e i comportamenti parlano chiaro e confermano la scelta del Governo di
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operare contro l'agricoltura, privilegiando altri settori che, allo stato attuale, sono
costati alla collettività migliaia di migliaia di miliardi, elargiti attraverso
fiscalizzazioni, contributi a fondo perduto, prepensionamenti e cassa integrazione. Con
quale risultato, signori del Governo? Non credo si debbano spendere molte parole per
confermare il totale fallimento di questi indirizzi.
Ecco dunque alcune delle ragioni che ci inducono ad essere critici sul provvedimento.
Siamo sensibili verso le materie ed i soggetti interessati da questo decreto-legge e
sappiamo anche che esso è chiamato a sanare gli effetti prodotti da sedici decreti non
convertiti in legge nei tempi previsti.
Per queste ragioni non abbiamo voluto bollare il decreto con l'accusa di illegittimità e,
al contrario, abbiamo contribuito a migliorarne il testo con la presentazione di
emendamenti che ci auguriamo l'Assemblea approvi.
Ci attendiamo, quindi, un utile confronto con il Governo e, proprio dall'atteggiamento
della maggioranza, scaturirà il nostro giudizio finale (Applausi dei deputati del
gruppo di alleanza nazionale).
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metodo induttivo di accertamento che si basa su presunzioni e approssimazioni, fonti di
contenzioso e di ingiuste imposizioni contributive. Sarebbe opportuno eliminare tale
strumento di controllo, il quale ha già dimostrato la sua inadeguatezza e pericolosità
in campo fiscale.
L'articolo 9-quater provvede a disciplinare direttamente la materia relativa agli
obblighi di documentazione ed accertamento delle giornate di lavoro del settore agricolo.
Difficoltà di applicazione dovrebbero indurre a protrarre i termini di vari adempimenti.
Si pensi, ad esempio, alle modalità della compilazione del registro d'impresa di cui al
comma 4 dell'articolo 9-quater, atteso che l'articolo 2, comma 2, del decreto
legislativo n. 375 consente la tenuta del registro stesso presso le organizzazioni
sindacali di categoria anche nella provincia in cui ha sede l'azienda. Risulta necessario
prevedere un termine più congruo, cinque giorni dall'assunzione per la consegna al
lavoratore, data la possibile e obiettiva distanza fisica tra i soggetti abilitati.
Il comma 16 dell'articolo 9-quater detta alcune modalità procedurali concernenti
l'assunzione del lavoratore. Viene inopportunamente posta a carico del datore di lavoro
una serie di incombenze di stretta pertinenza del lavoratore.
Vorrei infine soffermarmi sull'articolo 9-sexies, il quale detta disposizioni di
natura procedimentale ed organizzativa, ritenute necessarie in relazione alla soppressione
dello SCAU.
Occorre considerare che il trasferimento delle funzioni dello SCAU all'INPS non ha
comportato la creazione di strutture centrali che si occupano di agricoltura a livello di
altre direzioni centrali; la loro creazione è una necessità avvertita dal mondo agricolo
per avere un interlocutore adeguato in tema di prestazioni previdenziali.
Un'ultima considerazione riguarda la riforma previdenziale che nel settore agricolo,
invece di equiparare il carico contributivo con quello delle aziende europee concorrenti,
fa riferimento in modo inaccettabile agli altri settori produttivi nazionali. Ritengo che
questo stato di cose debba venire meno.
Pur essendo consapevole della ristrettezza dei tempi assegnati per la conversione in legge
di questo decreto, con il mio intervento ho inteso sottolineare la necessità di
modificare una normativa lacunosa e in alcuni casi difficilmente applicabile. Il Governo,
imponendo la conversione del decreto-legge nella sua interezza e dopo averlo più volte
reiterato, emana una disciplina incompleta e nello stesso tempo non consente ai
parlamentari dell'opposizione di partecipare ad un confronto costruttivo sul tema.
Infine, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi sia
consentita una considerazione di carattere personale. Sono un deputato neoeletto e mi sono
avvicinato all'esperienza parlamentare con una grande voglia di fare, ma soprattutto con
la consapevolezza e la responsabilità di rispondere alle esigenze della gente. Mi sto
rendendo conto invece che le cose non stanno esattamente come io pensavo. In particolare
il comportamento del Governo, sia in occasione della discussione della legge finanziaria
sia in riferimento al decreto-legge oggi in esame, riduce di fatto le prerogative del
singolo parlamentare ponendolo nella condizione di essere solo un numero.
Mi rifaccio all'ultima parte dell'intervento del collega Strambi che condivido pienamente
perché, a mio parere, la Commissione lavoro ha esaminato in maniera attenta e
approfondita il decreto-legge n. 511, che poi parzialmente è stato trasferito nel
decreto-legge n. 510. Con grande impegno, e superando taluni ostacoli di natura politica,
il Comitato ristretto ha svolto un ottimo lavoro e risolto molti problemi tanto da
migliorare, senza ombra di dubbio, il testo del decreto n. 511. Purtroppo debbo amaramente
constatare che il Governo, nella presentazione del disegno di legge di conversione al
Senato, non ha tenuto minimamente conto del lavoro compiuto dal Comitato ristretto della
XI Commissione della Camera. Da
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qui nasce l'amarezza di un neodeputato che ha profuso tanto impegno nei lavori parlamentari, in particolare in Commissione, mentre il Governo non ha tenuto conto del lavoro delle forze politiche per migliorare un decreto-legge che necessitava di alcune modifiche (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.
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Che cosa prevede il decreto-legge sui lavori socialmente utili? Nella sostanza, prevede
ulteriore precarizzazione; praticamente con tale provvedimento vengono negati tutti i
diritti, compresi quelli fondamentali che valgono per tutti i lavoratori: mi riferisco a
quelli relativi alle ferie, alle festività ed alla malattia. Come si può legiferare in
un modo simile? Ma, quel che è peggio, come si può pensare di legiferare assicurando un
salario da fame alle famiglie che sono e saranno sempre più coinvolte da questo decreto?
Signor Presidente, un salario di 800 mila lire in Italia, dove solo la casa porta via un
milione al mese, non può garantire una vita dignitosa a chi il lavoro lo ha avuto o a chi
probabilmente non lo avrà mai, soprattutto nelle nostre regioni del Mezzogiorno! E come
si fa poi a stabilire - come prevede il comma 3 dell'articolo 6 - che il sostegno per i
contratti di solidarietà è pari al 60 per cento anziché al 75 per cento come era prima?
Ma è forse colpa degli operai se non si lavora, se si lavora due giorni su sette? Non
sono forse gli operai che si svegliano alle quattro del mattino per andare in fabbrica,
per poi essere costretti a tornare a casa pagando anche il trasporto il cui costo rimane
invariato ed assorbe altri soldi? È forse colpa di questi operai se non si lavora più,
se non c'è lavoro, se si precarizza? Io credo proprio di no. Chi si sveglia alle quattro
del mattino per passare otto ore alla catena di montaggio, signor Presidente, colleghi, ha
diritto ad un salario dignitoso per sé e per la sua famiglia. Credo che un Parlamento non
possa non assumere questo come un bisogno fondamentale, come un minimo di giustizia
sociale da assicurare.
Tutto questo poi accade mentre i profitti per i padroni restano inalterati, mentre
l'evasione fiscale continua a toccare il tetto dei 220 mila miliardi l'anno. Ma è
possibile ripercorrere sempre la stessa via: sacrifici per i più deboli che sono
costretti a sborsare, che sono costretti a rinunciare e a veder calpestati i propri
diritti, a non avere assicurata una vita dignitosa per loro stessi e per le loro famiglie?
Io credo di no. Non è colpa degli operai se i padroni non sanno fare neanche la loro
parte e se si limitano a gestire le aziende come magari farebbe il più piccolo dei nostri
figli, senza alcuna strategia, senza alcuna volontà di mantener fede anche quel minimo di
accordi che pure stipulano in linea di massima con i sindacati! Tutti gli accordi,
infatti, vengono sistematicamente disattesi, per poi scaricare sui lavoratori le loro
responsabilità.
Ebbene, in questo decreto si va anche oltre, sino al punto da arrivare al comma 21
dell'articolo 9 che è una vera vergogna. Come si fa a pretendere l'intervento del Governo
su questioni già decise dalla magistratura? Viene stabilito infatti, con effetto dalla
data di costituzione dell'ente poste, che in nessun caso i contratti di lavoro a tempo
determinato possono dar luogo a contratti di lavoro a tempo indeterminato. Si tratta di
circa duemila lavoratori assunti dall'ente poste che hanno lavorato e sono soprattutto
giovani del nord ma moltissimi anche del sud. È questa la risposta che si dà alla sete e
alla fame di lavoro che c'è nel nostro meridione? Credo che questi giovani abbiano tutti
diritto al lavoro perché hanno lavorato per le poste ed è questo stesso ente che oggi
dichiara di aver bisogno di nuove assunzioni (si parla di cinquemila nuove assunzioni).
Allora perché non assumere innanzitutto chi ha già lavorato in una situazione di
precarietà? Credo che a questi lavoratori vadano assicurati gli stessi diritti.
Purtroppo, però, siamo di fronte all'ennesimo caso di prepotente ingerenza del Governo in
questioni già decise dalla magistratura. Vi è stato il precedente delle mense dell'Alfa
Romeo, a proposito del quale io stessa ed i miei compagni di lavoro abbiamo visto un
diritto sacrosanto, riconosciuto da tutte le magistrature d'Italia, cancellato con un
colpo di spugna, così come sta accadendo oggi, dal Parlamento.
Tanti lavoratori, che ritengono di vivere in uno Stato di diritto e che quindi si
rivolgono al giudice per ottenere giustizia, dopo averla ottenuta in base alle leggi dello
Stato, si trovano di fronte al nemico
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Governo, che li deruba dei diritti loro riconosciuti e delle sentenze pretorili,
riducendo queste ultime a carta straccia. Ciò che è più grave, come nel caso presente,
è che vengono privati del posto di lavoro. Non credo che questo sia un buon esempio per i
nostri giovani, che credono nel Parlamento e vogliono andare avanti. Non possiamo dare
loro un esempio di questo tipo; è una bruttura che va cancellata ed invece è stata
inserita nel provvedimento in discussione.
A tanti tale decreto-legge sembra equo, giusto, necessario ed urgente. Ma quale urgenza?
Vi è forse tanta urgenza di precarizzare ancora di più, di licenziare, di privare del
lavoro coloro i quali già hanno lavorato?
Per tutti questi motivi ritengo che il decreto-legge n. 510 concernente i lavori
socialmente utili possa essere definito come la legalizzazione del lavoro nero nel nostro
paese. E Dio sa quanto ne abbiamo già! Poi, moltissimi, la maggior parte di coloro che
siedono in Parlamento, si scandalizzano - primi fra tutti i sindacati - quando si viene a
conoscenza del fatto che spesso nei sottoscala si svolge, come a Pomigliano d'Arco, per
opera addirittura della FIAT, lavoro nero a 30 mila lire alla settimana: ragazze che
lavorano senza regole, senza leggi, senza diritti. Allora non possiamo scandalizzarci di
tali situazioni se riteniamo che il decreto-legge in discussione possa essere utile al
mondo del lavoro, a chi un lavoro lo ha o lo cerca o lo aspetta e forse lo aspetterà per
tutta la vita.
In definitiva, non possiamo che affermare che si tratta di un pessimo decreto-legge;
quando dico "possiamo" mi riferisco a tutti quei lavoratori, ai disoccupati, ai
cassaintegrati, ai precari, ai giovani, a tutti coloro che, insieme a me, nello SLAI-COBAS
portano avanti una battaglia di libertà, di garanzie, di rispetto dei diritti, della
parola, della democrazia nel mondo del lavoro e fuori. Mi riferisco, dunque, a tutti
quelli con i quali conduco tali battaglie.
Se determinati lavori sono realmente socialmente utili per le nostre città così
degradate - e che sono la testimonianza di quanto vi sia necessità di tali lavori -
allora dobbiamo avere il coraggio di renderli definitivi e soprattutto, signor Presidente,
di prevedere un salario, garanzie ed una contrattazione che tutelino - come ancora avviene
nel nostro paese - i lavoratori, tutti i lavoratori. Dunque, un lavoro definitivo con
regole certe e con garanzie uguali per tutti coloro che lavorano.
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Il provvedimento in esame, in sostanza, pur muovendo da buone intenzioni, ha carattere
frammentario, disorganico e determinato solo da mere illusioni. Esso non produrrà un
rilancio dell'occupazione, poiché si limita a perseguire la strada dell'assistenzialismo,
tipica di certe forze politiche.
Si tratta di interventi di sostegno al reddito parziali e limitati. Il Governo avrebbe
invece il dovere di presentare al Parlamento un disegno organico, per dare concrete
speranze di rilancio all'occupazione. Noi riteniamo dunque un itinerario assolutamente
obbligato intervenire per fronteggiare una vera e propria emergenza sociale.
È opportuno altresì porre fine alla politica assistenzialistica e passare finalmente ad
un'articolata politica programmatoria. Tale politica deve giungere, in maniera molto
chiara ed univoca, soprattutto agli enti locali, perché possano attivarsi in una
progettualità ad ampio respiro. Da parte degli enti locali capire quale sia l'importanza
del progetto lavori socialmente utili è fondamentale, ma poterlo rendere operativo è
ancora più importante. Ciò assume grande rilievo perché noi riteniamo che così si
possa realmente combattere il lavoro nero.
È costume pensare che l'utilizzo dei lavoratori in impieghi socialmente utili determini
l'instaurazione di un lavoro subordinato e ciò è più accentuato nelle regioni del
Mezzogiorno. Il lavoro socialmente utile, come peraltro è dimostrato ampiamente dalla
letteratura in materia, non rappresenta la soluzione del dramma occupazione, anche se
costituisce un elemento di novità che potrà consentire di impiegare un elevato numero di
soggetti iscritti nelle liste di collocamento. Ma le caratterizzazioni che noi chiediamo
sono in primo luogo la previsione, nell'ambito del progetto, di un'attività formativa
volta alla qualificazione professionale di soggetti impiegati. Tale attività, oltre ad
essere un arricchimento personale di grande rilevanza sociale, è finalizzata a consentire
al lavoratore l'inserimento successivo nel mercato del lavoro attraverso forme di
autoimpiego: lavoro socialmente utile, formazione professionale e, quindi, reinserimento
nel meccanismo del mondo del lavoro.
Chiediamo inoltre la definizione delle priorità in base alle quali si stabilisce un
punteggio nella formazione della graduatoria dei progetti proposti e l'attuazione
riservata a determinati settori di attività (per esempio, servizio e cura della persona,
risanamento e valorizzazione ambientale, tutela, conservazione e valorizzazione dei beni
culturali). In tal senso ed operando in questa maniera, riusciremmo a reinserire,
attraverso un meccanismo di formazione qualificata, quei lavoratori collocati
momentaneamente nel progetto dei lavori socialmente utili.
Riteniamo la previsione dell'assistenza tecnica nella fase di predisposizione per l'avvio
e la realizzazione di progetti molto importante, con la valorizzazione dell'agenzia per
l'impiego e della commissione regionale per l'impiego.
Pag. 7818
per i decreti-legge: mi riferisco, per esempio, alla legge n. 400, che stabilisce
l'obbligo di dichiarare esplicitamente le motivazioni nel preambolo nonché la necessità
di evitare decreti-omnibus, cioè decreti che toccano settori diversi e disparati.
Nelle intenzioni del legislatore, quindi, si voleva un decreto-legge per ogni argomento,
il divieto di disposizioni in settori eterogenei e il divieto di titoli non corrispondenti
a contenuti discordanti.
Con il decreto-legge n. 510 il Governo si è, per l'ennesima volta, sperimentato nel
misurare la propria capacità di evitare qualunque rispetto della Costituzione, della
legge, del Parlamento, e a tirare diritto in quella sfida con le istituzioni che finirà
per travolgerlo.
Prima di entrare nel merito dei contenuti, in via preliminare ritengo giusto sottolineare
il carattere inopportuno ed inadeguato di una normativa sui lavori socialmente utili in
mancanza a tutt'oggi nel nostro diritto di un atto legislativo che definisca questa
categoria astratta.
Quali sono i lavori socialmente utili in mancanza di una specifica definizione, senza una
precisa elencazione dei medesimi? Nel caso in esame mancano addirittura i requisiti e i
criteri per qualificare un intervento quale espressione di lavoro socialmente utile. Ma -
lo ripeto - ci troviamo di fronte ad un Governo sordo e cieco e purtroppo anche
socialmente inutile! Infatti, con il decreto-legge n. 510 le intenzioni, gli obiettivi e
gli interessi in campo occupazionale e di rilancio si vanificheranno tutti, rientrando
questo provvedimento nel filone classico e cronico dell'assistenzialismo che, perseguito
in tutti questi anni da tutti i Governi del centro-sinistra, ha dimostrato di essere una
scelta fallimentare per l'economia del paese e per il bilancio dello Stato.
Possiamo aggiungere che si tratta di assistenzialismo interessato e di un utile strumento
di manovra elettorale e di controllo sociale che incentiva migliaia di persone alla
passività e alla ricerca dell'aiuto "materno" dello Stato; si tratta di un intervento
che dimentica totalmente il blocco sociale dominante nel paese, che è attivo e non
passivo, e che attende dallo Stato non aiuti assistenziali ma scelte politiche coraggiose
nonché l'abbattimento di quelle barriere che ostacolano lo sviluppo, come sono tutti i
vincoli esistenti in Italia in materia di lavoro.
Per troppi anni si è ricorso all'intervento pubblico in interi settori sociali, causando
tutte le degenerazioni possibili di tipo clientelare per poter oggi accettare che un
Governo, che dice di voler entrare in Europa, riproponga queste misure che non sono
previste in nessun paese d'Europa.
Ciò che emerge chiaramente è la totale mancanza di un disegno strategico complessivo
diretto a combattere la disoccupazione attraverso i meccanismi di mercato. Questi sono gli
unici che possono ridurre il disagio sociale senza gravare sulle casse dello Stato e senza
appesantire ulteriormente la pressione fiscale che finirà per alimentare sempre di più
la recessione.
La disoccupazione è un fatto reale e non fittizio, che si risolve o meglio si diminuisce
sviluppando processi produttivi adeguati e ai quali ci si riconduce grazie ad un sistema
di collocamento privato efficiente, e non utilizzando un sistema di collocamento pubblico
inadeguato a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
L'orientamento politico del presente provvedimento è quello di tamponare il disagio
sociale con proroghe che non risolvono in maniera definitiva la situazione dei lavoratori
disoccupati e, in più, incidono negativamente sulla possibilità di mettere in moto
meccanismi seri di sviluppo del mercato. Si continua ad intervenire in senso
solidaristico, senza rendersi conto che la solidarietà è parte di una medaglia che deve
prevedere anche proposte normative per privatizzare il collocamento e per rendere più
flessibile il mercato del lavoro. A Firenze si dice "senza lilleri non si lallera", ma
la serietà del momento non ci permette di usare questo tipo di riferimento; è più
consono dire che il piatto piange e, con esso, tutti i disoccupati che da anni credono
ancora
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alle parole e alle scelte di Governi di centro-sinistra che si consultano solo con i
sindacati e mortificano il mondo del lavoro, che ha bisogno invece di ricreare quel
circolo virtuoso nel quale le imprese siano in grado di assumere attraverso contratti a
tempo parziale o a tempo determinato e con un costo e rischi inferiori a quelli attuali.
Soltanto in questo modo chi non ha lavoro può sperare di rientrare nel circolo
produttivo.
I contratti meno impegnativi per le imprese non rappresentano solo un'opportunità per i
disoccupati per riacquistare una capacità di produrre reddito, ma sono anche una forma di
riqualificazione professionale acquisita direttamente sul campo. I benefici di questa
impostazione sono largamente superiori a quelli conseguenti alle soluzioni prospettate dal
decreto-legge n. 510, che tra l'altro prevede corsi di formazione organizzati dal
Ministero del lavoro e della previdenza sociale: si tratta dei corsi già più volte
criticati dai più prestigiosi centri di ricerca del settore, come quelli dell'OCSE o del McKinsey
Institute. Da tali analisi risulta evidente che, a fronte del fallimento in termini di
posti di lavoro dei corsi di formazione organizzati dall'Unione europea, grandi risultati
si sono invece ottenuti laddove sono state create misure di liberalizzazione non solo del
mercato del lavoro ma anche di quello dei beni e dei servizi.
L'intenzione di chi ha scritto e difende il provvedimento in esame non è quella di
emancipare gli individui permettendo loro di contare su se stessi, ma quella di mantenerli
asserviti al potere pubblico in un sistema di protezione sociale fuori dal mondo. I lavori
socialmente utili e la formazione risultano con il provvedimento in questione semplici
espedienti per mascherare obiettivi di tipo ideologico più profondo, con i quali si vuole
ancora una volta affermare un ruolo assistenzialistico di questo Stato sfasciato. Si
tratta di un assistenzialismo che peraltro compie scelte precise e non va incontro alla
generalità dei bisognosi, come dovrebbe fare un vero Stato sociale. Al contrario, i
beneficiati da questo provvedimento hanno nome e cognome; si creano disagiati per i quali
si deve intervenire, mentre altri sono totalmente esclusi ed emarginati e non potranno
accedere al sistema degli aiuti e della protezione assistenzialistico-clientelare e nello
stesso tempo non potranno contare sulle proprie forze a causa di un sistema
sovraregolamentato, che impedisce la sana competizione tra gli individui e nel quale è
esclusa una flessibilità effettiva di sviluppo.
Un brutto provvedimento, dunque, incapace di risolvere i problemi del lavoro e
dell'occupazione, che si colloca nel filone classico e cronico della concezione statalista
più retriva, senza una strategia complessiva, scritto da menti sindacalizzate, che non
affronta minimamente i gravi problemi che chi ci governa dovrebbe avere interesse quanto
noi a vedere risolti.
Per tutti questi motivi e per tanti altri che sono scritti nero su bianco nel
decreto-legge n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili,
di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, voterò contro questo
provvedimento governativo sottoposto all'approvazione dell'Assemblea.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bergamo. Ne ha facoltà.
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Il percorso del Governo è del tutto evidente e manifesta molto chiaramente la volontà e
l'essenza di questa maggioranza, che continua a perseverare nel legiferare in maniera
contraria rispetto agli altri 14 paesi che si avvicinano all'Europa. Tutto ciò è visto
con grande soddisfazione ed entusiasmo da parte dell'onorevole Bertinotti, il quale ha
testualmente dichiarato che la nostra finanziaria costituisce l'unico approccio a
Maastricht diverso, attento al sociale, lontano dai tagli operati dai governi di
centro-destra negli altri paesi europei. Infatti non è difficile capire quanto siano
diverse dalla nostra manovra quelle degli altri partner, che hanno cercato di
raddrizzare i loro conti (senz'altro migliori dei nostri) tagliando spese inutili e
privilegi, diminuendo il costo del lavoro, sollecitando l'iniziativa privata, favorendo
gli investitori nei loro mercati. Del tutto evidenti sono anche sia la scarsa
considerazione nei nostri confronti degli osservatori economici sia l'inesistente peso dei
nostri ministri nelle trattative internazionali. Certo, non sono in discussione le
affermazioni di Bertinotti, almeno oggi, ma desideravo rilevare la forte contraddizione
esistente all'interno della coalizione che sostiene il Governo e la mancanza di coerenza
rispetto a quando nel mese di giugno i ministri Ciampi e Dini affermavano, come linea di
principio generale, al tavolo con gli altri ministri economici dei governi degli Stati
membri dell'Unione europea, che l'avvicinamento a Maastricht non sarebbe stato
perseguibile attraverso l'aumento della pressione fiscale e la penalizzazione
dell'iniziativa privata. Ebbene, sono stati capaci di operare proprio e solo in questo
modo.
Per ciò che riguarda i lavori socialmente utili si conferma, come ho già detto,
l'andazzo incerto del Governo, il suo navigare a vista, senza una strategia di fondo,
senza un progetto globale per la risoluzione del problema della disoccupazione. Eppure in
campagna elettorale questa coalizione aveva garantito che la disoccupazione sarebbe stata
l'obiettivo primario dell'Ulivo e sarebbe stata debellata entro i primi tre mesi di
Governo. Grazie a questo forte interesse oggi non solo gli indici di disoccupazione sono
notevolmente cresciuti, soprattutto nelle regioni meridionali, ma la forte contrazione dei
consumi ha altresì creato, di fatto, una tendenza alla recessione, inevitabilmente già
in atto in tutto il paese, tendenza che produce e produrrà ancora nuovi disoccupati.
Ultimamente la televisione ha confermato che le città più povere sono quelle
meridionali: in particolare, quelle della Calabria, che è considerata il sud del sud, si
collocano all'ultimo drammatico gradino della graduatoria. Un bluff si è rivelato
il famoso patto del lavoro sottoscritto a Napoli da Governo e sindacati, che prevedeva
appunto che 1.500 dei 4 mila miliardi occorrenti per questo patto sarebbero stati reperiti
nella finanziaria 1997. E invece, andando a spulciare il capitolo del lavoro, si riscontra
che gli stanziamenti in favore di questo erano uguali alla somma di lire zero.
Complimenti, Ulivo! E complimenti per la vostra demagogia e per le vostre bugie, coperte
per lo più da una stampa di regime.
Con i lavori socialmente utili il Governo compie un'altra manovra elettoralistica, come
quella che fece Dini qualche giorno prima del 21 aprile, quando inviò lettere a
pensionati di mezza Italia, scrivendo loro che sarebbero arrivati ben presto alcuni
rimborsi che la gente aspettava da anni. È inutile dire che quella gente aspetta ancora.
Il provvedimento oggi al nostro esame, signor Presidente, non è altro che un ombrello
protettivo, è un intervento volto a rinviare il problema e a non considerare la
drammaticità della situazione nelle regioni meridionali in particolare. Come parlamentare
calabrese, non posso non essere d'accordo in questo momento sulla necessità di
considerare, anche in modo sbagliato, all'opposto di quanto occorrerebbe, la tragedia
delle famiglie meridionali, che in molti casi non hanno la possibilità non di fare le
spese natalizie, professor Prodi, ma di acquistare i generi di prima necessità.
Ma i lavori socialmente utili sono anche un ombrello protettivo per tutti
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quelli che vi si trovano sotto, nel bene e nel male, a torto o a ragione, ombrello che
a volte sottrae risorse a chi ha reali necessità ed a chi dispone investimenti per
inventare lavoro vero.
E, in nome della tantissima gente disperata, che conosco personalmente, devo accettare
questo intervento assistenziale del Governo, che è contrario ai miei principi e
all'ideologia che ho sposato facendo parte del gruppo politico di forza Italia. Devo
accettare questo osso che oggi il Governo ci butta, perché altri interventi non vi sono,
altre possibilità di sopravvivenza in molte aree della mia terra non esistono.
Non mi imbarazza tutto questo. Mi preoccupano invece il silenzio, l'indifferenza verso i
problemi del meridione da parte del Governo. Mi infastidiscono il sorriso sciocco e le
rassicurazioni che tutto è tranquillo e tutto va bene da parte di chi ha la
responsabilità di questo degrado. Mi stupiscono l'immobilismo e la semplice osservazione
di ciò che accade da parte dei colleghi parlamentari calabresi dell'Ulivo, che non
sollecitano anch'essi la preparazione di un disegno strategico, un disegno complessivo,
volto a combattere la disoccupazione attraverso i meccanismi di mercato.
Se non si interviene sulla flessibilità del costo del lavoro, sulla privatizzazione degli
uffici di collocamento, sui corsi di formazione e qualificazione professionale all'interno
dei cicli produttivi delle aziende, se non si procede al varo dell'unica impostazione
culturale che può dare beneficio e creare posti di lavoro veri, e cioè il libero
mercato, allora continueremo per sempre con questi "governicchi", che emanano
provvedimenti di carattere assistenziale mascherati, per l'appunto, proprio dai lavori
socialmente utili, e corsi di formazione professionale avulsi dalle realtà
economico-produttive.
In conclusione, sono d'accordo con quanto al Senato ha affermato il collega Filograna,
relatore di minoranza: è evidente ormai che non è interesse di alcune parti politiche (e
sindacali, aggiungo io) emancipare migliaia di individui da un sistema di protezione
sociale e permettere loro di contare su se stessi, in una situazione di piena opportunità
che si può realizzare in un mercato del lavoro svincolato da legacci e condizionamenti di
varia natura. Questo concetto è confortato da tanti esempi nel meridione: le industrie
decotte, che attraverso gli ammortizzatori sociali, attraverso la strumentalizzazione da
parte dei sindacati vivacchiano da decenni senza voler cercare o ricercare una soluzione
di riconversione valida. È evidente che il mantenimento dello stato di povertà, e quindi
di malessere, crea quel tipo di tensione sociale che sfocia nella protesta e nel
condizionamento di parti politiche e sociali. Fin quando non si azzererà il gioco vizioso
operato da chi condiziona la politica e i carrozzoni di Stato (e vale come esempio solo la
GEPI Spa), sarà impossibile capire quale sia lo stato vero della realtà del meridione.
Il disegno di legge in discussione oggi non è altro che un semplice espediente, lo
abbiamo detto prima: è il classico pannicello caldo che viene messo su un grande dramma
che vive il popolo meridionale, alle prese con la triste realtà della mancanza di posti
di lavoro e della perdita costante di quelli esistenti. Il sud però ha bisogno anche di
questo e non ci si può vergognare di chiedere aiuto quando vi sono la necessità e
l'esasperazione.
Il meridione chiede da anni di potersi emancipare per mezzo di un chiaro indirizzo di
sviluppo economico e sociale che non può essere ovviamente anticulturale; abbiamo bisogno
di un progetto che avvicini questo sud al resto d'Italia e all'Europa in termini reali e
non virtuali, con semplici dichiarazioni demagogiche senza fondamento.
Noi oggi continuiamo a scontrarci con l'ottusità dimostrata dal Governo che massacra
l'iniziativa privata e il ceto medio, schiaccia la fantasia ed il genio imprenditoriale
italiano per cui non resta altro che protestare con forza e con rabbia, così come abbiamo
fatto, denunciando il ripercorrere la stessa strada, le stesse intenzioni e volontà
politiche degli stessi personaggi che, come in passato,
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governano anche oggi l'Italia ammazzandone l'economia e lo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, deve esserci un equivoco: io non mi ero iscritto a parlare.
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numero di emendamenti presentati: gli emendamenti li presentava la lega ed il signor
Pisanu andava a trattare con il Governo! Siamo arrivati all'assurdo!
Questa è la realtà e perciò io invito formalmente forza Italia a continuare a fare
ostruzionismo, come sta facendo, ma ad essere anche onesta: questo ostruzionismo è fatto
in maniera scientifica affinché si arrivi al voto di fiducia e non si tocchi affatto il
decreto-legge che a voi di forza Italia va bene, va molto bene. Questa è la realtà! Ed
è questo che si deve sapere e che noi faremo sapere. Voi, con tutte le chiacchiere che
state facendo adesso sull'assistenzialismo, presentando 300 emendamenti dite al Governo:
poni la questione di fiducia, noi voteremo contro ma ci metteremo d'accordo e comunque il
decreto passerà. Questa è una vergogna che bisogna denunciare! Voi siete organici
all'Ulivo e, se c'è qualcuno che sta dando una mano a Bertinotti, siete proprio voi.
Passiamo adesso a vedere perché i deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza
della Padania hanno presentato pochi emendamenti rispetto al peso di questo decreto-legge,
che è importante e complesso. Sono pochi, ma a nostro giudizio importanti e sicuramente
migliorativi del testo.
Il primo problema che ci siamo posti è quello di fornire una definizione di lavori
socialmente utili: quali sono, cosa vuol dire questa espressione? A distanza di due anni
non sappiamo ancora a cosa ci riferiamo e del problema è cosciente anche il Governo, il
quale, guarda caso, ha fatto presente che le giunte approvavano i progetti relativi ai
lavori socialmente utili di concerto con i prefetti, senza andare in consiglio comunale.
È chiaro, infatti, che, non sapendo con precisione quali siano i lavori socialmente
utili, l'unico modo per aggirare l'ostacolo era quello di accordarsi con il prefetto:
questi signori devono lavorare, facciamogli fare di tutto, l'importante è che si trovi
una giustificazione.
Visto che tutti parlano di federalismo, noi pensiamo sia giusto che il prefetto intervenga
rapidamente su questo, ma la ratifica finale spetta al consiglio comunale. Se i progetti
devono essere approvati velocemente, ci va bene che intervenga il prefetto, il quale
peraltro è la massima espressione del centralismo romano, ma riteniamo indispensabile la
ratifica successiva del consiglio comunale, che però non c'è. E questo va contro ogni
logica, contro il federalismo, contro l'autonomia degli enti locali. La legge n. 142
l'avete redatta voi, signori! Ed anche la modifica dell'articolo 81 l'avete fatta voi!
L'articolo 32, poi, parla di indirizzo e di controllo del consiglio comunale: erano gli
unici due poteri che gli erano rimasti ed ora glieli avete tolti! Complimenti!
Dopo due anni che si parla di lavori socialmente utili, ora si legge dell'attivazione dei
progetti ad essi relativi: probabilmente sarebbe più corretto parlare di regolarizzazione
di tali progetti, perché sicuramente sono già stati attivati. Occorrerebbe un po' di
amor proprio: non prendiamoci in giro, visto che sono due anni che si va avanti con le
reiterazioni!
Era poi importante sapere in quali aree si dovevano realizzare questi progetti: noi
avevamo chiesto che fossero chiare e precise.
A tal fine abbiamo fatto riferimento alla normativa CEE che già stabilisce quali sono le
aree a declino industriale. Questa scelta però non va bene perché, su 83 mila unità
impiegate su lavori socialmente utili, 59 mila sono concentrate in Campania e Sicilia. Si
è deciso di non stabilire e in maniera definita quali siano le aree, perché altrimenti
non si possono fare operazioni che noi riteniamo assistenziali.
La relazione del Governo tra l'altro ci fornisce numerosi dati, il che è un bene. Però
alla fine viene da chiedersi quanti posti di lavoro siano stati creati. Si parla tanto di
cooperative, di no profit - un'espressione che va molto di moda adesso -, ma in
realtà quanta gente su queste 83 mila unità è riuscita a trovare un'occupazione stabile
negli ultimi due anni? Non viene detto. Io spero che vi siano persone occupate
stabilmente, ma ho i miei dubbi. Ad ogni modo vorremmo saperlo perché il nuovo accordo e
patto
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sul lavoro, che sembra debba risolvere tutti i mali del mondo, non prenderà l'avvio il
1 gennaio 1997 se queste persone, o almeno una parte delle stesse, non avrà trovato nel
frattempo una collocazione certa. Ma allora il 1 gennaio 1997 ci troveremo queste persone
fuori dalla porta di Montecitorio. Questo è chiaro e logico.
I dati fornitici, tra l'altro in fretta perché le cifre in merito ai lavori socialmente
utili sono state messe a disposizione di questo ramo del Parlamento solamente la settimana
scorsa, sono tali da non consentirci di comprendere la realtà dei fatti. Non si capisce
infatti se i lavori socialmente utili sono stati un mezzo, un escamotage per dare
una "paghetta" per due anni a gente che si trova in difficoltà o se in realtà abbiamo
creato veramente lavoro, che penso fosse l'obiettivo che ci si prefiggeva visto che si
utilizzavano i soldi del fondo per l'occupazione. Chiederei pertanto al sottosegretario,
se è possibile, di fornirci i dati certi per capire come sono andate le cose.
Un altro aspetto eccezionale del decreto è rappresentato dalla norma che prevede che si
paghino gli operai quando seguono i corsi di formazione professionale. Se un'industria è
in difficoltà è giusto che l'operaio si riconverta e che venga anche pagato nel
frattempo, perché ha una famiglia. Ci siamo permessi però di suggerire che l'erogazione
dei sussidi venisse correlata alle giornate di effettiva frequenza dei corsi. A nostro
avviso, infatti, non basta iscriversi al corso, bisogna anche frequentarlo. Non
pretendiamo di sapere se gli operai hanno superato il corso o no perché sappiamo che sono
tutti scienziati e superano tutti il corso, ma chiediamo almeno che venga certificata la
frequenza. Ci vuole un po' di responsabilità da entrambe le parti.
Non mi sembra pertanto che questi emendamenti siano di carattere razzista come sento
sempre dire in quest'aula, né di carattere antimeridionale. Sono cose che non esistono! I
nostri emendamenti cercano di affermare un metodo.
Il comma 20 dell'articolo 1 è una perla. Ritengo che qualsiasi lavoratore che lo
impugnerà davanti al TAR vincerà. Si arriva a dire che chi è impiegato per due anni in
lavori socialmente utili vedrà riconosciuto questo periodo al fine dell'assegnazione di
un posto di lavoro. Questo non può accadere perché la maturazione di anzianità su
lavori socialmente utili, per due anni, non può assolutamente costituire punteggio per
l'occupazione in enti pubblici. Lo spiego per chi non lo sapesse. Chi è iscritto
all'ufficio di collocamento, per evitare di occupare l'ultimo posto nella graduatoria,
lavora per sei mesi all'anno con un contratto a tempo determinato. Forse ho sbagliato il
comma, ma comunque chi ha avuto la fortuna di ottenere un lavoro "socialmente utile"
lavora per due anni con i quali acquisisce maggiore punteggio per avere un posto nel
pubblico impiego; chi invece è sfortunato, se tutto gli va bene, deve aspettare quattro
anni per raggiungere lo stesso risultato.
È questa una norma che va contro il principio di eguaglianza tra i lavoratori. Fra
l'altro, chiunque impugni tale norma davanti al TAR è sicuro di ottenere ragione. Sfido
chiunque a spiegarmi perché, se si lavora per più di sei mesi facendo riferimento
all'ufficio di collocamento, si occupa l'ultimo posto in graduatoria, e quindi non si può
aspirare ad una occupazione nel pubblico impiego, mentre chi si avvale della norma
prevista in questo decreto-legge lavora per due anni consecutivamente ottenendo un ottimo
punteggio. Si tratta di una vera e propria sperequazione. I colleghi della sinistra
parlano spesso di giustizia, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse che tipo di giustizia sia
questa.
Il provvedimento contiene altre "perle" una delle quali riguarda l'ente nazionale di
previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo il cui bilancio presenta un
"buco" di entità nota a tutti. Da parte sua lo Stato continua a drenare denaro perché
questo ente di assistenza non riesce a sostenersi da solo. Con logica e razionalità
abbiamo chiesto l'accorpamento di tale ente all'INPS all'interno del
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quale sia organizzata una cassa speciale per i lavoratori dello spettacolo. A nostro
giudizio è opportuno accorpare tra loro questi enti di assistenza perché consentono di
organizzare meglio il personale. Non ha infatti senso continuare a mantenere in vita un
ente che non riesce a pagare né le pensioni né gli stipendi dei suoi dipendenti. Il
Governo dovrebbe spiegarci i motivi della sua contrarietà a questa nostra proposta che
fra l'altro consente all'amministrazione pubblica di controllare maggiormente la spesa.
Un'altra "perla" è rappresentata dalla lettera f) dell'articolo 1 del
decreto-legge con la quale si vogliono coinvolgere i ministri del lavoro e della
previdenza sociale e dell'interno, mentre noi chiediamo che vi sia un coinvolgimento del
presidente della giunta regionale al posto del ministro dell'interno. Poiché parliamo
sempre di lavori "socialmente utili", riteniamo che il presidente della giunta regionale
sia molto più vicino ai problemi del territorio e quindi possa dare una valutazione più
adeguata rispetto al ministro dell'interno. In pratica non facciamo altro che chiedere
provvedimenti che chi parla di federalismo, riempiendosi la bocca di questa parola,
conosce meglio di noi. Non siamo venuti qui per insegnare nulla a nessuno ma vorremmo
capire perché tutti parlano di federalismo e poi hanno predisposto un decreto-legge che
è un insulto a questo concetto e a quello di autonomia locale. Questa è la realtà nota
a tutti, compresi voi qui presenti!
Quanto al contenuto vero e proprio del decreto-legge n. 511, ricorderò che esso è stato
oggetto di esame da parte della Commissione lavoro per sei mesi tanto che il relatore
sapeva a memoria tutti gli emendamenti presentati e si è prodigato per trovare un accordo
con tutte le forze politiche. Pur nel rispetto delle diverse posizioni eravamo riusciti ad
accordarci sulla possibilità di convertire in aula il decreto. Invece il Governo non ha
tenuto conto dell'accordo fra gentiluomini, ha accorpato i decreti-legge n. 510 e 511 e di
fatto ha detto al presidente della Commissione lavoro e al relatore che non avevano capito
niente e che il loro lavoro non era servito a niente. Si sono svolte riunioni della
Commissione la mattina prima dell'inizio dei lavori dell'Assemblea e la sera al termine
della seduta d'aula per portare a casa un risultato importante; e questa è stata la
risposta! Ne prendo atto, tuttavia ormai - non per mancanza di rispetto nei confronti del
presidente della Commissione, ma per una scelta operativa - ho deciso di non andare in
Commissione e di presentare gli emendamenti direttamente in aula. È infatti evidente che,
con l'attuale modo di procedere dei lavori della Camera, lavorare in Commissione non serve
a nulla!
Per quanto riguarda l'articolo 9-bis in materia di collocamento, con il mio
emendamento 9-bis.1 Si propone l'introduzione in agricoltura del part time.
Mi pare che sia una richiesta legittima e logica, visto che questo "grandissimo"
Governo, con il decreto in materia di cumulo delle pensioni, ha sostenuto un discorso del
seguente tenore: "Signori, qui bisogna collocare la gente a part time". Ebbene,
con il suddetto emendamento noi proponiamo - lo ripeto - l'introduzione del part time
nel settore agricolo. Se questo emendamento verrà respinto dall'Assemblea, ce ne dovrete
spiegare le ragioni. A meno che non emerga che gli emendamenti "buoni" ve li dobbiamo
passare noi, perché se li presentate voi vanno bene e se li presentiamo noi, vanno male (Applausi
dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Poiché so
che siete bravi a copiare gli emendamenti, ve li potrei preparare prima! Ricordo che anche
durante l'esame della finanziaria si è verificato questo fenomeno: ci siamo trovati di
fronte ad emendamenti che il Governo ha copiato. Ciò è avvenuto perché, evidentemente,
non è giusto che gli emendamenti presentati dai deputati della lega nord per
l'indipendenza della Padania vengano approvati e che essi abbiano idee, bisogna copiare
gli emendamenti perché, se vengono considerati accettabili, vengono ripresi apponendovi
una diversa
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firma; altrimenti, non vengono considerati validi! Questa è la situazione in cui siamo
ormai giunti.
Per quanto riguarda l'assunzione per chiamata nominativa dei dipendenti, il sottoscritto
ed il collega Lembo hanno presentato l'emendamento 9-bis.2, che è del seguente
tenore: "Contemporaneamente all'assunzione effettuata ai sensi del comma 1, il datore di
lavoro deve inviare, via fax o a mezzo lettera raccomandata, alla sezione circoscrizionale
per l'impiego una comunicazione contenente il nominativo del lavoratore assunto, la data
dell'assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica ed il trattamento economico e
normativo. È fatta eccezione per gli imprenditori singoli iscritti negli elenchi ex
SCAU".
Perché abbiamo avanzato tale proposta? Perché i sindacalisti di sinistra non si sono
resi conto che se non verranno accolti i contenuti di tale emendamento tutti i
responsabili delle imprese che assumeranno del personale potranno dire all'ispettore
dell'INPS o a quello del lavoro di averli assunti il giorno precedente e che quindi
dispongono di cinque giorni per formalizzare tale atto. Bocciateci pure questo
emendamento, ma in questo modo alimenterete il lavoro nero e lo legalizzerete, perché
qualsiasi imprenditore si sentirebbe autorizzato ad assumere in nero, limitandosi a dire
all'ispettore del lavoro o dell'INPS che tale assunzione è avvenuta ieri o oggi e che,
disponendo di cinque giorni per la denuncia, quell'ispettore non ha nulla da obiettare.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 11,05)
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mano al Governo (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza
della Padania)!
Abbiamo presentato un emendamento anche sugli apprendisti. Ci rendiamo conto che il
ministro Treu da circa sei mesi continua a parlare di riforma dell'apprendistato. Noi ci
siamo permessi di anticipare una soluzione. Se volete, potete accogliere l'emendamento,
anche perché il problema dell'apprendistato è piuttosto complesso. Infatti, se si
esaminano i contratti nazionali di alcuni settori, si può verificare come gli apprendisti
non possano comunque operare per più di sei mesi.
Abbiamo poi proposto un nuovo testo dell'articolo 9-ter recante norme in materia di
lavoro agricolo occasionale. Si tratta a nostro avviso di una proposta interessante per il
mondo dell'agricoltura dove, come ben sappiamo, durante i periodi di vendemmia o di
raccolta delle olive è attualmente molto difficile trovare manodopera. Una volta gli
studenti si prestavano a tale lavoro, ora sembra si faccia troppa fatica. I pensionati non
si fidano più a svolgere tale opera a causa dei controlli che vengono giustamente
effettuati nelle vigne, nelle campagne. È vero che quei controlli non vengono effettuati
dappertutto, ma sicuramente ciò si verifica nelle nostre zone.
Abbiamo quindi proposto per lo svolgimento di tali lavori l'assunzione anche delle
casalinghe, regolarizzando il rapporto di lavoro con l'INAIL e l'INPS, senza però
vincolarlo a tutti quei marchingegni dell'ufficio di collocamento. Il nostro emendamento,
peraltro, va nella direzione della politica del Governo. Si è parlato infatti di dare la
pensione alle casalinghe; benissimo, ma queste lavoratrici devono però pagarsi i
contributi almeno per cinque anni. Questo potrebbe essere un sistema per far sì che delle
persone che lavorano al massimo venti giorni nell'arco di un anno, versando un po' di
"soldini" al fondo per le casalinghe, riescano bene o male, con lavori saltuari, a
pagare i contributi di cinque anni.
Anche questo emendamento, ripeto, va nella direzione del Governo, che ha parlato della
famosa pensione per le casalinghe. Onestamente non ho ancora capito come le casalinghe
possano pagarsela, sfido il Governo a spiegarmelo perché la questione è stata
strombazzata molto bene, ma nessuno ha spiegato alle casalinghe che comunque devono andare
a lavorare per pagarsi la pensione!
Inoltre, per dare una mano al settore agricolo, abbiamo proposto che il registro di
impresa rilasciato dall'INPS possa essere rilasciato dalle sedi INPS territoriali. Questo
perché nel testo del decreto sembra che ogni provincia debba fare riferimento alla sede
INPS centrale e non a quella del territorio provinciale. Mi è stato risposto che si
tratta di un aspetto banale, che era chiaro che fosse così. Ma chiaro non è, a meno che
questo non sia il Governo delle circolari, cosa peraltro vera perché il ministro
dell'interno, decaduto il decreto sugli immigrati (di solito si faceva una reitera dei
decreti), ha emanato una circolare. Ciò vuol dire che ormai per questo Governo le
circolari hanno valore di legge! Mi sembra però che non sia nello stile di uno Stato
democratico un simile modo di procedere - di solito questa pratica si usa negli Stati
totalitari! - in quanto si è di fatto esautorato il Parlamento delle proprie prerogative.
Questa è la realtà. Comunque: volete fare il Governo delle circolari? Fatelo pure, non
vi si verrà certo incontro.
Sempre per agevolare chi opera nel settore agricolo, avevamo proposto che i famosi due
esemplari delle cedole da inviare sia all'INPS sia alla sezione della circoscrizione per
l'impiego e per il collocamento in agricoltura, potessero essere mandati ad uno solo dei
due uffici, il quale poi avrebbe dato comunicazione all'altro. Su tale punto avevamo
trovato un accordo in Commissione nel senso che sarebbe stato opportuno inviare la cedola
all'INPS e successivamente all'ufficio di collocamento. Mi auguro che tale nostra
impostazione venga accolta.
Gli altri emendamenti sono di natura tecnica. Sottolineo solo l'emendamento
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volto a sostituire i commi 2, 3 e 4 dell'articolo 9-sexies. Dunque, è stato eliminato lo SCAU; tutti hanno riconosciuto che si trattava di un ente non solo inutile ma che costava molto denaro senza operare al meglio. Eliminato lo SCAU, per i vari ricorsi si è ritenuto, per logica e per omogeneità di territorio, giacché tutti affermano che l'Italia è unita...
PRESIDENTE. Onorevole Michielon, il tempo a sua disposizione è terminato.
PRESIDENTE. Onorevole Michielon, il suo tempo è esaurito.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 11,15)
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Questo dibattito potrebbe e dovrebbe diventare il luogo di una
riflessione seria sull'utilità di strumenti come i progetti socialmente utili o i corsi
di formazione. Ciò anche per chiarire se stiamo parlando di forme di sussidio personale a
cui cerchiamo di dare un nuovo nome, più dignitoso, o se, invece, si tratta di mezzi
dotati di una qualche valenza sul mercato del lavoro.
Naturalmente, è difficile discutere serenamente di questi temi, mentre migliaia di
persone attendono dal Parlamento una
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risposta sul loro prossimo futuro lavorativo. Anzi, è importante sottolineare
preventivamente che questa parte politica ha piena coscienza che alcune misure contenute
nel decreto sono opportune e necessarie. L'essere all'opposizione non ci impedisce di
riconoscere che in taluni casi specifici si è ben operato al fine di approntare soluzioni
adeguate per situazioni che avevano bisogno di un intervento pubblico. Sono nella maggior
parte dei casi realtà in cui l'utilizzo di un ammortizzatore sociale per un tempo
definito può consentire di superare un momento di transizione, oltre il quale già si
intravvedono progetti e prospettive di ripresa.
Il dibattito su un decreto così articolato e farraginoso non può però essere limitato a
dire "sì" alle poche misure doverose e "no" alle molte discutibili. Attraverso questo
provvedimento non passa infatti solo una congerie di interventi concreti, alcuni dei
quali, lo ripeto, opportuni e che condividiamo in pieno. I termini della questione sono
altri e molto più profondi. Questo decreto configura un metodo di approccio alle
tematiche dell'emergenza nel settore del lavoro ed è di questo metodo e delle sue
implicazioni che dobbiamo discutere; è del sistema che questo decreto contribuisce a
costruire che dobbiamo verificare la congruità rispetto agli obiettivi generali della
lotta alla disoccupazione e del sostegno dell'imprenditoria del paese. È in quest'ottica
generale ed ampia che il provvedimento evidenzia tutte le sue carenze e la sua intrinseca
pericolosità per lo sviluppo e per la crescita dell'occupazione.
Ciò che il Governo ci chiede oggi è infatti di approvare un provvedimento che
rappresenta la summa della logica assistenzialista che questa maggioranza ha deciso
di perpetuare, ampliare, fare assurgere a sistema organico per il mantenimento di
privilegi ed arbitri. Una logica dannosa ed inutile anche per quelle 10 mila e passa
persone, identificabili con nome e cognome, che questo decreto intenderebbe aiutare. Qui
si contrabbanda come incentivo per persone che si trovano in una situazione lavorativa
precaria o disagiata quello che, in effetti, è lo sperpero di denaro pubblico finalizzato
alla clientela. Il Governo dovrebbe dire con onestà ai 10 mila destinatari di queste
misure che ciò che si sta attivando non è un meccanismo che in qualche modo agevola
l'ampliamento della base occupazionale, che stimola nuovo lavoro; viene configurato anzi
un meccanismo pericoloso.
I lavori socialmente utili, di cui non si dà una definizione precisa e per i quali non
vengono apposti i necessari e rigidissimi paletti di contenimento, rischiano di diventare
un serbatoio per alimentare a livello locale sacche di lavoro clientelare, pagato con
soldi pubblici, che, lungi dal riqualificare gli operatori, finisce per erogare assistenza
mascherata in cambio di consenso politico.
In Sicilia è accaduto in questi anni qualcosa del genere, che ha prodotto un mostro, i
cosiddetti "articolisti", assunti a suo tempo dalla regione per compiere lavori
socialmente utili con contratti a termine, e che poi, di proroga in proroga, di
reiterazione in reiterazione, sono diventati un esercito di 30 mila persone che oggi
chiedono alla regione un posto pubblico, dopo avere ricevuto per anni promesse e
sovvenzioni.
Questo "decreto-marmellata", che è il frutto di una stratificazione di provvedimenti a
partire dal 1994, in cui a ciascuna delle numerose reiterazioni veniva aggiunto qualcosa -
e soprattutto qualcuno -, rischia di configurare una situazione in cui migliaia di persone
vengono illuse per anni e diventano una massa che alla fine il settore pubblico dovrà in
qualche modo collocare al di fuori di qualsiasi progetto di impiego economicamente utile.
Ciò non significa, naturalmente, che all'interno del provvedimento non vi siano
situazioni degne di tutela, che non vi siano interventi giustificati da situazioni di
momentanea precarietà, con chiare prospettive di ripresa e di sviluppo. Questo è il tipo
di misura che condividiamo, perché delinea il ruolo di uno Stato che inter
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viene laddove il mercato ha già in sé le risorse e necessita solo di un incentivo per
superare una strettoia congiunturale.
Ma questo decreto-legge è ben altro, molto di più, ed è per questo pericoloso. Infatti,
troviamo in esso mescolati pochi provvedimenti urgenti e veramente necessari per il
tessuto produttivo e molte norme che hanno nell'assistenzialismo la loro unica ragione
d'essere.
Il quadro complessivo che emerge è quello di un esecutivo che procede a tentoni, che non
seleziona le diverse posizioni, che mette nello stesso calderone operai in cassa
integrazione e assistiti storici dalla mano pubblica.
Viene confermata da questa impostazione la linea di un progetto che ha fatto una scelta di
campo, quella di proteggere i già protetti, di alimentare le speranze di reingresso al
lavoro di chi è stato già occupato, di difendere chi resta sotto l'"ombrello" del
grande sindacato degli occupati. Per perseguire questa linea si adottano anche
provvedimenti come questo, che impegnano ingenti risorse pubbliche per interventi tampone
senza prospettiva, con il risultato di non affrontare i problemi di fondo dei 10 mila
lavoratori interessati e di ricacciare ancora più indietro l'esercito dei mai occupati,
di rendere ancora più difficile l'emancipazione di quella underclass fatta di
giovani che non hanno mai lavorato e che di questo passo rischiano di arrivare alla
pensione sociale di anzianità senza aver mai avuto un'occupazione.
Ci saremmo aspettati che il Governo, nel chiedere al Parlamento di ratificare questi due
anni di provvedimenti tampone, questo centone di assistenze in cui l'intervento mirato ed
economicamente ragionevole e la clientela tout court vengono mescolati e resi
inscindibili, proponesse anche una normativa in grado di ridare elasticità al mercato del
lavoro, misure che si muovessero nella direzione della privatizzazione degli uffici di
collocamento, che è una delle strettoie su cui si infrangono le speranze di migliaia di
disoccupati. Come non citare, ancora una volta in questo senso, il caso dell'ufficio di
collocamento della città di Napoli, in cui sono bloccati da mesi 1.500 contratti di
formazione lavoro!
Ci saremmo aspettati che il Governo, per fare intendere chiaramente che la sua è
un'azione non assistenziale che mira a ridare dinamicità al mercato del lavoro, adottasse
misure per incentivare le assunzioni a tempo parziale o determinato da parte delle
imprese, un sistema in grado da un lato di dare ossigeno all'imprenditoria, specie quella
del sud, spesso soffocata da un costo del lavoro superiore alle sue possibilità, e
dall'altro di creare le condizioni per una riqualificazione professionale da acquisire sul
campo, in fabbrica, nelle officine, nelle botteghe artigianali, negli uffici.
Invece, si continua a perseguire la linea della formazione professionale avulsa dal
contesto produttivo; una linea che è stata aspramente criticata da organismi
internazionali come l'OCSE ed il McKinsey Institute, che hanno rilevato come i
corsi finanziati dall'Unione europea siano stati un fallimento in termini sia di posti di
lavoro prodotti sia di collocamento con le aziende; corsi che, come sappiamo, spesso si
autoalimentano. I corsi con finanziamenti europei sono diventati imprese in sé, costruite
e lasciate crescere non per creare nuove professionalità, ma solo al fine di rastrellare
soldi comunitari inventando corsi per i mestieri più fantasiosi e inutili, assolutamente
slegati da qualsivoglia prospettiva occupazionale reale. I corsi sono diventati un
impiego, anche se l'unico lavoro che hanno creato è quello delle società che li
gestiscono, sorte come funghi che si alimentano con le risorse comunitarie. È uno
scandalo che forse meriterebbe un'indagine approfondita per verificare meccanismi e
compiacenze a livello delle pubbliche istituzioni preposte ai controlli. Ma purtroppo
anche questi meccanismi di sperpero del denaro pubblico sembrano omogenei alla strategia
del Governo, che non punta ad indurre l'uscita dal sistema di assistenza di migliaia di
persone stimolando l'iniziativa privata, la fantasia, il coraggio della nuova intrapresa.
Lavori socialmente utili e meccanismi
Pag. 7831
di formazione si muovono nella logica della perpetuazione dell'assistenza, che viene
qui contrabbandata per solidarietà.
Il decreto-legge in esame, colleghi, è una sorta di kasbah legislativa, dove anche
la minima organicità è andata perduta negli anni e nelle sovrapposizioni, nelle
moltiplicazioni e riduzioni degli articoli, negli scorpori e nelle riunificazioni. Un
decreto "elastico", che conteneva sette articoli quando lo propose il Governo Berlusconi
e prevedeva, come era logico, da un lato, una quota di interventi di ammortizzazione
sociale, con inizio e fine certi, per situazioni ben definite nel numero e nel tempo, e
dall'altro lato misure per la riforma del collocamento. Andavano di pari passo gli
interventi di emergenza (pochi e chiaramente delineati, non una manna diretta a 10 mila
persone) e gli interventi che puntavano a snellire e modernizzare per tutti il sistema del
collocamento.
Oggi queste due tematiche non viaggiano più assieme e sono state divise in due decreti.
Da quei sette articoli sono nati due provvedimenti; solo uno, quello che stiamo discutendo
oggi, di articoli ne contiene 17! Le questioni del collocamento, così intimamente
connesse ai nodi del lavoro socialmente utile e della formazione, seguono una strada
diversa. In questi 17 enciclopedici articoli convivono le esigenze previdenziali per gli
addetti ai lavori di forestazione assunti dalle pubbliche amministrazioni e quelle
pensionistiche degli spedizionieri doganali; si mescolano l'esigenza di estendere
all'Unione nazionale incremento razze equine la normativa sullo scambio dei dati a fini
fiscali e il diniego di estendere alle aziende di trasporto viaggiatori a mezzo fune le
norme della cassa integrazione per i lavoratori dell'industria. Il dramma di 70 operai
nell'area della Val Basento è contiguo alle misure sulla crisi delle imprese di
spedizione internazionale e non lontano dal comma che trasferisce al comune di Genova il
personale dell'ente Colombo 1992.
Il Governo chiede all'opposizione atti di responsabilità per interventi che vengono
ritenuti essenziali per migliaia di lavoratori, e noi non siamo certo insensibili a queste
problematiche. Chi, come me, viene dalla Sicilia e in particolare da un'area come quella
siracusana, che sta vivendo con profonde lacerazioni, anche sociali, la crisi del settore
industriale (che, da imprenditore, in passato ho vissuto in prima persona), si rende ben
conto di quanto in alcuni specifici casi i meccanismi di ammortizzazione sociale siano non
solo necessari, ma utili a consentire una ripresa più rapida ed efficace del sistema
produttivo. Sia chiaro quindi che da parte nostra, e mia personale, non vi è alcuna
preconcetta e generica avversione a questi paracadute sociali, che anzi mi sono battuta in
taluni casi per ottenere nella mia Sicilia. Ciò che noi critichiamo in maniera ferma è
l'abuso del metodo; ciò che noi critichiamo è trasformare la solidarietà in assistenza,
tramutare l'intervento tampone dello Stato in una congiuntura particolare per salvare
posti di lavoro vitali, in elargizioni di clientele per mantenere fittiziamente posti che
sul mercato del lavoro non hanno ragione d'essere. In questa commistione (che, mettendo
tutto nello stesso calderone e sullo stesso piano, finisce per premiare i privilegiati e
penalizzare le realtà lavorative realmente produttive), in questa compilation
scriteriata sta l'intollerabilità del metodo usato dal Governo.
E certo non aiuta alla chiarificazione, in questa tanto intricata e contraddittoria
materia, la decisione adottata dalla Presidenza della Camera di non far esaminare il
provvedimento in Commissione affrontandolo direttamente in aula. Una scelta che tradisce
la volontà di non dare vita ad un vero dibattito; un'impostazione che, accompagnata dalla
indisponibilità a discutere modifiche al provvedimento, consente a noi dell'opposizione
di esprimere le nostre critiche solo come mero esercizio retorico. Il provvedimento deve
essere approvato entro il 1 dicembre nel testo pervenuto dal Senato ove peraltro, non a
caso, è stata posta la questione di
Pag. 7832
fiducia. Non è questa la prassi che dovrebbe essere osservata da un Governo rispettoso
delle prerogative del Parlamento: non è utilizzando le Assemblee elettive come luoghi
deputati alla sola ratifica di provvedimenti - come in questo caso - raffazzonati e
raccogliticci che si fanno passi avanti sulla strada della democrazia. Né è questo il
sistema per affrontare le molte e giustificate emergenze occupazionali che pure in questo
decreto sono contenute. Questa prassi svilisce il Parlamento e - quel che forse è peggio
- le speranze di chi in questa sede cerca di non perdere tempo in un esercizio retorico.
Colleghi, rimandiamo la nostra decisione sul provvedimento alla dichiarazione di voto.
Detto questo, desidero brevemente rispondere ai numerosi riferimenti fatti dal collega
Michielon del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania. Forse voi avreste
voluto presentare un numero cospicuo di emendamenti e non ne siete stati capaci; in questo
caso il gruppo di forza Italia ha ritenuto di ripresentare gli emendamenti già proposti
al Senato e si riserva di assumere decisioni nel corso dell'esame del provvedimento (Applausi
dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Colombo. Ne ha facoltà.
Pag. 7833
della Commissione lavoro di adoperarsi presso il Governo affinché si comprenda la
necessità di accogliere quegli emendamenti che sono validi, fondamentali, tesi a
correggere le storture cui accennavo prima. Capisco che il sottosegretario Pizzinato è
sempre molto restio a recepire le istanze provenienti dal Parlamento, però in questo
momento ci troviamo di fronte ad un problema molto grave.
La sentenza della Corte costituzionale sul divieto di reiterare decreti-legge pone di
fatto il Parlamento di fronte ad un blocco istituzionale. Noi siamo bloccati; il nostro
potere di legiferare è sospeso. Da un lato, la Corte costituzionale sancisce il divieto
di reiterare i decreti-legge perché questa possibilità espropria il Parlamento delle sue
funzioni; dall'altro lato, la stessa sentenza impedisce al Parlamento di modificare gli
stessi decreti, per cui il Parlamento si limita a svolgere una funzione di ratifica dei
provvedimenti, i quali possono essere solo accolti o respinti. In questo modo di fatto si
svuota il Parlamento delle sue funzioni.
Questo mi sembra un segnale lampante e chiaro del blocco delle funzioni istituzionali nel
quale attualmente si trova il nostro paese (il nostro ... quello che per alcuni è
ritenuto ancora uno Stato unitario). Dobbiamo pertanto considerare che le riforme
istituzionali nel paese-Stato italiano sono fondamentali e che bisogna trovare in tempi
brevissimi una via d'uscita a questa situazione di paralisi delle istituzioni, per evitare
che la stessa crisi che sta distruggendo lo Stato italiano porti con sé anche la crisi e
la distruzione di tutte le attività sociali che vivono di vita propria. È quindi
indispensabile in tempi brevi dare nuova forma alle istituzioni affinché non distruggano
quelle realtà vitali della nostra società che hanno sempre mantenuto in piedi le
istituzioni stesse.
Tornando al merito del provvedimento, facciamo rilevare che è molto difficile e
problematico fare un discorso di carattere generale su di esso, proprio perché, come
hanno già evidenziato molti colleghi, si tratta di un'infinità di norme che regolano
aspetti diversi fra loro, che nascono da successive reitere di altri provvedimenti, da
accorpamenti di diversi decreti, da aggiunte agli stessi decreti.
Sostanzialmente si tratta di un provvedimento che disciplina aspetti assai diversi tra
loro e che andrebbero affrontati puntualmente e in maniera differenziata.
L'espressione "lavori socialmente utili", contenuta nel titolo del decreto, individua
solo parzialmente quanto intende normare il presente provvedimento.
Nel decreto ci sono diverse disposizioni normative concernenti il lavoro agricolo, oltre
ad una serie assai variegata di norme che trattano altri problemi, quali quello
dell'industria carbonifera del Sulcis, quello dei prepensionamenti nel settore siderurgico
e via dicendo. Signor Presidente, se lei avrà la bontà di scorrere l'indice del
provvedimento potrà rendersi conto di quale razza di problemi si toccano con questo
decreto. Da qui dunque la necessità emergente di approfondire il provvedimento e di
scongiurare il rischio della fiducia.
Quanto ai dubbi su come vengono normate e regolate tutte le attività di lavori
socialmente utili, mi rifaccio alle considerazioni che sono state già espresse e che qui
non voglio ripetere per evitare all'aula di perdere tempo prezioso. In ogni caso, da un
punto di vista generale, ritengo che non sia corretto "coprire" i problemi del mancato
sviluppo dell'economia con dei finanziamenti di sostegno al reddito personale, che non
producono sviluppo economico. Finanziamenti che danno solo la possibilità, e per un
limitatissimo periodo di tempo, a qualche decina di migliaia di famiglie, soprattutto
nell'area del Mezzogiorno, di sopravvivere ma senza eliminare alla radice i problemi; non
mettono cioè in moto quei meccanismi di sviluppo dell'economia che potrebbero consentire
a quelle famiglie di garantirsi in futuro un reddito certo.
Mi sembra che questo discorso non meriti approfondimenti e che sia all'attenzione di
tutti; un discorso comprensibile anche alla luce di tutte le iniziative che si sono
susseguite nel corso degli
Pag. 7834
ultimi cinquant'anni. Interventi straordinari di sostegno al reddito non hanno
prodotto, soprattutto nelle regioni meridionali, lo sviluppo del Mezzogiorno. È quindi da
respingere anche in questa sede l'ipotesi di continuare con questa logica.
La mancanza di garanzie nella distribuzione di queste prebende, di queste regalie, di
questi finanziamenti incontrollati (di fatto è impossibile individuare criteri corretti
per l'assegnazione delle risorse da destinare ai lavori socialmente utili) è l'aspetto
più inquietante e che fa pensare che ci sia la possibilità di andare a privilegiare solo
gli amici di chi decide a chi andranno le risorse. C'è dunque il rischio evidente che si
ponga il famoso problema del voto di scambio, della coltivazione di clientele personali,
delle garanzie di alcuni potenti signori politici, o collegati ai politici, che utilizzano
tali strumenti per costruirsi un consenso, un potere esclusivamente a fini personali.
Questo probabilmente è un aspetto ancora più deleterio dell'altro che prima citavo.
Purtroppo con i nostri emendamenti non possiamo scongiurare tale pericolo, ma almeno
cerchiamo di correggere gli elementi più distorti e di porre le istituzioni in condizione
di individuare le responsabilità, evitando situazioni vergognosamente scandalose,
atteggiamenti clientelari e gestioni malaffaristiche dei finanziamenti per i lavori
socialmente utili. Ripeto, peraltro, che i tre quarti di queste risorse vanno al sud e
quindi nelle regioni che al riguardo sono a più alto rischio.
Per cercare di affrontare i problemi del mondo agricolo abbiamo presentato una serie di
emendamenti che mirano a ridurre i punti più dolorosi del decreto-legge. Tuttavia essi
afferiscono solo ad una parte dei disagi che il mondo agricolo si trova ad affrontare e a
cui il Parlamento ed il Governo non sempre riescono a dare soluzione.
Voglio fare solo alcuni esempi dei problemi più eclatanti che il mondo agricolo deve
attualmente fronteggiare. Mi riferisco alla questione delle quote latte ed anche a quella
della scadenza dei contratti di affitto dei fondi agricoli. Decine di migliaia di piccoli
imprenditori agricoli si trovano in questo periodo in una condizione di estrema
incertezza, alla mercé dei grandi proprietari terrieri che potrebbero rovinarli avendo la
facoltà di decidere in modo assolutamente discrezionale se consentire ancora l'utilizzo
dei fondi agricoli. È evidente che in tal modo potrebbe essere messa a repentaglio
l'attività di moltissime famiglie di agricoltori che da decenni lavorano i medesimi suoli
e ne traggono il sostentamento.
Anche se questa non è materia di stretta competenza del sottosegretario presente in aula,
penso che il Governo dovrebbe farsi carico di fornire una risposta a tali problemi che
creano grave disagio.
Segnatamente il decreto-legge al nostro esame mira a regolarizzare una serie di aspetti,
da quelli previdenziali a quelli del lavoro. Abbiamo presentato alcuni emendamenti volti
ad evitare che il provvedimento finisca per garantire il lavoro nero: nel settore agricolo
i lavoratori sono meno tutelati rispetto ad altri che sono meglio disciplinati.
Il problema del lavoro nero è, ancora una volta, più allarmante al sud, dove oltre alla
mano d'opera locale impiegata in modo irregolare si registra la presenza di lavoratori
extracomunitari provenienti dal nord o dal centro dell'Africa, che ancora oggi vengono
sfruttati come schiavi per garantire la concorrenza sleale delle aziende agricole del sud
rispetto a quelle della Padania. Bisogna eliminare i meccanismi che consentono alle
aziende di avvalersi del lavoro nero. Infatti ciò distrugge l'economia sana di aziende,
anche di piccole dimensioni, presenti in altre parti del paese dove per cultura, storia,
tradizione o perché i controlli funzionano meglio non è consentito il ricorso al lavoro
nero o lo è in misura molto meno marcata.
Signor sottosegretario, bisogna avere il coraggio di discutere di questi problemi
accettando gli emendamenti presentati. Infatti, il nostro gruppo non ha presentato neanche
un emendamento di carattere ostruzionistico. Da mesi si sta svolgendo
Pag. 7835
in Commissione un lavoro molto serio tendente a risolvere questi problemi e a
consentire ai lavoratori ed agli imprenditori del mondo agricolo di operare in regime di
normale concorrenza, eliminando gli aspetti deleteri e di sfruttamento dei lavoratori.
L'ultimo problema sul quale desidero soffermarmi è quello del ricorso ai prepensionamenti
nel settore siderurgico previsto dal decreto-legge al nostro esame. Ogni singola
disposizione meriterebbe un approfondimento, ma il tempo non mi consente di farlo. Mi
soffermerò pertanto solo su uno degli aspetti più importanti sul quale la Commissione
lavoro si è espressa in modo unanime; ed anche questo è un messaggio che il Governo deve
recepire. Si deve evitare il ricorso ai prepensionamenti come strumento di
ristrutturazione dei comparti industriali in crisi. L'esperienza storica dimostra che i
prepensionamenti sono uno strumento di cui si avvalgono le grosse imprese per risolvere i
loro problemi interni senza confrontarsi con il mercato. Il costo di una simile operazione
ricade sulla società, nonché sui lavoratori ed imprenditori che producono reddito.
Anche questa è una gravissima forma di ingiustizia sociale perché rappresenta una forma
di concorrenza sleale poiché privilegia alcune aziende, danneggiandone altre. Le aziende
che vengono privilegiate sovente sono proprio quelle che hanno collegamenti molto stretti
con il mondo politico e che possono restituire in termini politici i favori che vengono
loro concessi sul piano economico. Queste sono aziende privilegiate che possono ridurre i
loro costi e modificare il loro sistema produttivo. Ci sono invece aziende che sono sempre
più penalizzate perché non solo devono ridurre autonomamente i costi superflui per
essere efficienti, competitive ed in grado di reggere la concorrenza, senza ricorrere ad
interventi assistenziali e straordinari, ma devono anche, insieme con i loro lavoratori,
che alla fine sono quelli che pagano sempre di più, sobbarcarsi l'onore di mantenere le
inefficienze, gli sprechi e gli sperperi delle altre aziende e degli altri sistemi
produttivi che richiedono degli interventi straordinari da parte dello Stato. A tale
proposito la Commissione si è espressa in modo unanime.
Il problema, che ormai si trascina da anni, non è risolvibile specie quando si è fatto
ricorso ai prepensionamenti; bisogna però scongiurare nel modo più assoluto il pericolo
di avvalersi ancora di tale strumento per ristrutturare le grosse aziende.
Vorrei ora fare riferimento a due emendamenti da noi presentati che spero vengano
sottoposti al giudizio dell'Assemblea. Essi si allontanano dal tema del decreto perché
riguardano, il primo, il settore dell'apprendistato che necessita di una nuova
regolamentazione e, il secondo, la copertura previdenziale ed assistenziale per i
lavoratori frontalieri che lavorano nella Confederazione elvetica.
Il tema dell'apprendistato è stato già ampiamente trattato dal collega Michielon. In
sostanza noi chiediamo che al momento dell'assunzione di un giovane apprendista venga
tolto l'impedimento rappresentato dall'attestato di frequenza di un corso professionale.
Vogliamo che sia chiaro che la formazione non è solo di carattere scolastico ma si
sviluppa attraverso l'esperienza diretta nelle aziende. Impedire ad un giovane assunto in
un'azienda di poter svolgere attività di apprendistato significa di fatto togliergli la
possibilità di lavorare. Chi conosce la realtà delle nostre regioni della Padania sa
quali problematiche si nascondano dietro tutto questo. Se un imprenditore ha la necessità
e la volontà di assumere, spesso non vuole che sul libretto di lavoro sia riportata
l'attestazione di frequenza di corsi perché altrimenti non può fare un contratto di
apprendistato.
Come lei avrà notato, signor sottosegretario, il nostro emendamento mira ad una nuova
regolamentazione del sistema e prevede comunque la possibilità di svolgere apprendistato
in azienda anche in presenza di un titolo professionale purché la durata totale del corso
e del periodo di lavoro in azienda sia pari a cinque anni. Chiediamo al Governo di Roma di
recepire
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tale soluzione che è stata concordata tra le associazioni di categoria dei lavoratori
e degli imprenditori delle regioni della Padania.
L'altro tema vicino alla nostra realtà è quello dei frontalieri. Probabilmente, al di
fuori delle regioni confinanti con i paesi europei, il resto d'Italia non sa neppure che
esiste il problema dei frontalieri ed è per questo che lo spiego brevemente. Un
lavoratore lombardo che presti continuativamente la propria opera nella Confederazione
elvetica versa il 3 per cento della propria retribuzione lorda in un fondo speciale che
viene accantonato per coprire il reddito del lavoratore stesso nei primi sei mesi dal
licenziamento. In Svizzera, soprattutto nel canton Ticino, in questi ultimi anni si è
registrata una crisi molto forte nei settori nei quali lavorano abitualmente i nostri
frontalieri. Il problema è che la percentuale di risorse che il lavoratore ha accantonato
viene ristornata dallo Stato svizzero al nostro istituto previdenziale il quale, nei mesi
di licenziamento di quel lavoratore, non restituisce la sua indennità di disoccupazione,
costruita nel tempo. L'INPS oggi ha un capitolo vincolato per una cifra di circa 110
miliardi riservato ai lavoratori frontalieri disoccupati; ciò nonostante tale istituto
non restituisce a quei lavoratori quanto dovuto nel momento del bisogno.
In mancanza di una regolamentazione di tale aspetto, da alcune parti viene sostenuta la
necessità di presentare una legge - a mio avviso, sarebbe superflua - che metta l'INPS
nelle condizioni di corrispondere ai lavoratori frontalieri quanto a loro dovuto;
tuttavia, poiché pare necessario obbligare l'INPS a farlo, abbiamo presentato un
emendamento al decreto-legge in esame che, appunto, obbliga l'INPS a restituire ai
lavoratori frontalieri la quota percentuale di indennità di disoccupazione che si sono
costruiti nel tempo e che ora è necessaria al loro sostentamento a causa della grave
crisi lavorativa esistente in questo momento nella Federazione elvetica e nel Canton
Ticino. Chiediamo al Governo di non essere sordo rispetto a tali istanze e ai gruppi di
maggioranza che conoscono il problema di accogliere questo emendamento perché la sua
approvazione consentirebbe di risolvere alcune situazioni nelle quali sono implicate
migliaia di famiglie della Lombardia, del Piemonte e delle altre regioni della Padania (Applausi
dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roscia. Ne ha facoltà.
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del reddito", proporrei una formulazione del genere: "Come ripetere azioni di
sostegno al reddito già viste nel passato". In quest'ultimo caso non mi riferisco
soltanto all'Italia, ma anche agli Stati Uniti d'America quando, durante il periodo della
grande depressione, l'allora Presidente faceva aprire e chiudere le buche tanto per tenere
occupati dei lavoratori; ma almeno quelli aprivano e riempivano le buche: in questo caso,
invece, si danno sussidi a persone che logicamente, se "sussidiate", non hanno bisogno
di impegnare la propria capacità lavorativa.
Il terzo punto concerne gli interventi nel settore previdenziale. Anche in questo caso si
vede l'impronta del sindacalista, e non lo dico perché è presente Pizzinato, il quale
nella sua grande carriera, prima di artista cinematografico e poi di sindacalista, si
trova ora a dover assumere responsabilità ben più pregnanti. Nella mia analisi
sull'attività di eminenti sindacalisti ho notato sindacalisti molto "proficui" e
"profittevoli" quando magari sono passati dalle parti del cosiddetto patronato; quando
invece passano dal ruolo del sindacalista a quella di governante ne combinano peggio di
Bertoldo! Non è questo il primo provvedimento in cui ciò accade: lo abbiamo già visto
per la finanziaria e nel cumulo delle pensioni ed ora lo vediamo per il settore
previdenziale.
Sembra veramente assurdo che un sindacalista, così sensibile agli interessi dei
lavoratori - soprattutto quelli dipendenti perché poi in questo provvedimento troviamo
anche grandi provvidenze di natura "salesiana" per i lavoratori autonomi e chi conosce
il sottosegretario Sales magari ne sa qualcosa di più - tenti di spacciare questo per un
provvedimento proficuo per il settore previdenziale, mentre io ritengo attui il
disfacimento di quel settore. Infatti, se richiedessimo un'analisi, non all'ufficio studi
della lega o di qualche altro gruppo, ma all'ufficio studi dell'Istituto nazionale della
previdenza sociale, capiremmo da quel documento con chiarezza come questo provvedimento
introduca una concorrenzialità che è nemica del gettito contributivo. E allora ci stiamo
avviando ad una situazione, o meglio si potrebbe dire che staremmo abbandonando le spiagge
del socialismo reale; tuttavia, con questo provvedimento, certamente con l'apporto
oggettivo e sostenuto di rifondazione comunista, stiamo tornando verso quelle spiagge!
Un altro aspetto saliente si evince sotto il profilo finanziario. Basta scorrere il dossier
fornito dal Servizio del bilancio dello Stato per vedere come le cifre che andranno ad
incidere nel bilancio del 1996, ma che hanno già inciso anche su quello del 1994 e del
1995 in quanto si tratta di sanare effetti finanziari già prodotti, siano in termini
assoluti per l'intero articolato pari a 1.745 miliardi nel 1996, 1.581 miliardi nel 1997 e
1.596 miliardi nel 1998. Questa programmazione triennale la dice lunga sulla portata del
provvedimento! Non si tratta di un provvedimento recante disposizioni urgenti per
risolvere una situazione transitoria: questo è un provvedimento che reitera volontà che
si ritenevano ormai scalzate, volte a mantenere il più bieco assistenzialismo nel nostro
paese!
Se poi esaminiamo tutti gli articoli del provvedimento, ci accorgiamo come da quelle
norme, anche sotto il profilo nominale, non si cerchi neppure di celare dove i soldi
verranno impiegati. Sbagliereste se consideraste il mio intervento nei canoni classici,
come se io dicessi: "Guardate che in Padania questi soldi saranno delle briciole, alla
faccia di qualche cooperativa di qualche grossa città che sbandiera il provvedimento come
il toccasana per i lavori socialmente utili nel nord!" Vi dico con piena convinzione che,
specialmente dalle mie parti, di questi provvedimenti non c'è assolutamente bisogno
perché da noi non servono sostegni straordinari, c'è solo bisogno di chiarezza
legislativa sulle tematiche del lavoro e su quelle previdenziali. Queste sì che sarebbero
norme urgentissime da codificare in nuove leggi!
Poiché questi soldi vengono spesi nella quasi totalità al sud, mi rivolgo proprio ai
colleghi meridionali. Voi che avete con
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dannato per tanti anni le frazioni e la dissipazione di ingenti risorse, non credete
che quelle stanziate vadano a rimpinguare le casse o meglio le clientele, anche se
controllate dalle amministrazioni locali? Ma forse non avete ancora acquisito lo stile
della bassa e bieca amministrazione delle passate gestioni democristiane, che da questi
metodi traevano il loro consenso.
Non pensate di tagliare le gambe ai vostri concittadini, alle vostre aziende, introducendo
in forma surrettizia sostegni previsti ad hoc - guarda caso - per gli amici degli
amici, per la mafia?
Signori miei, occorre fare una riflessione sia a destra che a sinistra: votando questo
provvedimento non risolverete assolutamente niente, andrete anzi ad aggravare pesantemente
i problemi del lavoro. Sappiamo tutti che l'Unione europea ci sta tirando le orecchie
perché non siamo in grado neppure di utilizzare i fondi europei per la promozione e la
formazione professionale. Tali corsi vengono organizzati per gli insegnanti, amici dei
soliti amici, e non per i lavoratori che devono acquisire professionalità. Su tale
aspetto non vi è stato un dibattito abbastanza approfondito; vorrei, per esempio,
comprendere la posizione di nuove formazioni politiche che hanno illuso e stanno illudendo
i cittadini dicendo di avere modelli diversi. Pensate forse di poter inseguire il modello
adriatico, sbandierato dal super ministro del bilancio e del tesoro, Ciampi? Egli vuole
esportare il modello emiliano nel sud d'Italia, ammesso e concesso che ciò possa essere
attuato. Personalmente non credo che tale modello possa essere esportato tout court,
come è stato fatto e come si intende fare. La dimostrazione del fatto che tale modello
non sia esportabile è proprio nei provvedimenti adottati. Al di là delle dichiarazioni
di intenti, questi sono i provvedimenti e la dicono lunga sull'entità e sulla qualità
degli interventi che si intendono attuare.
Allora, signori miei, la riflessione va fatta a tutto campo. Noi riteniamo che nel caso in
questione vengano lesi gli interessi dell'intera nazione, ma soprattutto della nostra
Padania, che dal provvedimento in discussione non trarrà alcun beneficio se non in forma
marginale. Purtroppo, fino a quando rientreremo nei confini nazionali italiani e la nostra
indipendenza ed autonomia non verrà riconosciuta, resteremo sullo stesso barcone; siamo
quindi preoccupati della presentazione di determinati provvedimenti che vengono spacciati
come nuovi modelli di intervento. In effetti sono modelli di dissipazione di risorse
pubbliche immani. Vengono redatti documenti che, al di là delle osservazioni del Servizio
del bilancio, approfondiscono la materia. Per esempio, sarebbe sufficiente leggere il dossier
predisposto, che forse non interessa la Commissione lavoro ma che dovrebbe riguardare
almeno i membri della Commissione bilancio, per comprendere quanto i provvedimenti del
passato almeno potessero contare su condizioni migliori, quando cioè non ci si trovava
nell'attuale situazione di difficoltà nazionale.
Vengono adottati strumenti scalcinati e raffazzonati nell'ingorgo legislativo determinato
dalla sentenza della Corte costituzionale, con risultati pessimi anche alla luce
dell'incapacità - che abbiamo ormai più volte constatato - dei rappresentanti del
Governo e soprattutto del Ministero del lavoro, il quale non è stato in grado di incidere
profondamente con strumenti idonei a favorire un reale aumento dell'occupazione.
State certi, dunque, che nel prossimo anno al fallimento dell'ex Capo del Governo
Berlusconi, in merito alla crescita occupazionale, si aggiungerà quello del Governo
attuale e della sua maggioranza, che vuole mistificare la situazione ed introdurre nuove
regole che sono tali solo nominalmente, poiché nel contenuto sono le peggiori anche
rispetto al passato.
Su tutto ciò il confronto non viene deliberatamente effettuato; abbiamo infatti ascoltato
interventi di autorevoli colleghi, ma abbiamo assistito al silenzio della maggioranza, che
- guarda caso - evita di aprire i dossier. Se infatti si legge la documentazione,
si può verificare -
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anche noi padani, e credo tutti voi, sappiamo leggere! - quanto i contenuti del
provvedimento in discussione rappresentino il massimo dell'insipienza e dell'incapacità.
Certo, dipende anche dalla carriera professionale seguita in passato!
Mi rendo conto che per creare lavoro non servono i sindacalisti, ma i datori di lavoro, i
quali non devono essere quotidianamente "strozzati" da norme impervie ed assurde, che
sono penalizzanti - guarda caso - anche e soprattutto dalle nostre parti, dove si mandano
i carabinieri ad effettuare verifiche nelle piccole e medie aziende, perché le grandi
magari vengono avvisate da un amico dell'arrivo dei controlli.
Si parla poi di sostenere il sistema previdenziale, già caratterizzato da buchi enormi.
Mi chiedo dove stia il nuovo modello di sostegno all'occupazione. Nel nord non riusciamo
nemmeno a sostenere l'occupazione e se un domani volessimo accettare una nuova ondata di
emigrazione - mi auguro di no - dal sud, non potremmo neppure accogliere questa soluzione,
che non è una soluzione, perché al nord ormai vi è il taglieggio, vi è una situazione
spietata, ci sono i comitati di napoleonica memoria; meglio ancora, durante la rivoluzione
francese, prima di Napoleone, c'erano i commissari, che sul posto facevano il bello ed il
cattivo tempo, cosa che ora avviene costantemente.
Molti imprenditori, anche del nord, in condizioni sfavorevoli di recessione, in una
situazione economica molto negativa come l'attuale, sono inevitabilmente costretti ad
andare all'estero a chiedere la fiscalizzazione degli oneri sociali, interventi di natura
differenziata per sostenere l'occupazione. È chiaro che in questo modo la disoccupazione
nel nostro paese aumenterà e non scenderà sicuramente sotto le spurie cifre indicate dai
documenti economico-finanziari che abbiamo approvato anche recentemente.
A conclusione del mio intervento, vorrei avanzare alcune proposte conseguenti alle
riflessioni svolte. Mi rendo conto che ci troviamo in una fase particolare della storia
del paese, che mette in seria difficoltà anche le proposte più sane ed oggettivamente
praticabili.
Dobbiamo, però, dare un segnale, almeno iniziale, di svolta, di correzione o meglio di
accantonamento delle classiche politiche assistenzialiste, quali vengono riproposte in
questo provvedimento; una svolta - lo dico a chiare lettere perché non si creino
confusioni - in termini di riduzione degli oneri contributivi, quindi di riduzione del
costo del lavoro, intervento che, peraltro, deve essere attuato in forma differenziata.
Certamente, infatti, il costo di struttura delle aziende del sud non è identico a quello
delle aziende del nord, in quanto vi sono obiettive condizioni economiche che mettono gli
imprenditori del sud, da questo punto di vista, in gravi difficoltà.
Occorre quindi un'inversione di tendenza che veda contestualmente una riduzione dei costi
che parta dai differenziali salariali, che poi nascondono i contratti d'area, perché si
sa solamente abbellire con un nuovo nome quello che noi, forse in maniera non troppo
diplomatica, abbiamo chiamato gabbie salariali, differenziali salariali.
Dunque, riduzione dei contributi previdenziali, degli oneri e quindi delle aliquote,
perché questo è l'unico modo serio per lottare contro l'evasione previdenziale. Sono
infatti convinto che moltissime aziende, piccole, medie e grandi, si troverebbero nelle
condizioni di poter assumere nuova mano d'opera garantendo lo stesso gettito contributivo,
nel contempo essendo concorrenziali ed assicurando in quel contesto un equilibrio
finanziario, ma, guarda caso, anche maggiore occupazione; un'occupazione, però, non
temporanea come quella garantita da questi improvvidi provvedimenti, che poi non sono
straordinari. Ricordo il famoso provvedimento di sostegno alle cooperative di ex detenuti
di Napoli, oppure i lavori socialmente utili di Palermo, camuffati nel provvedimento in
esame.
Già negli anni scorsi abbiamo contestato sia al Governo che all'opposizione simili
provvedimenti, dicendo che essi si
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risolvevano in uno spreco delle risorse pubbliche; a partire dal 1986 fino ai giorni
nostri questi decreti sono stati approvati all'ultimo momento.
Ci si viene a parlare del modello mediterraneo, formato da tante cooperative che
garantiscono l'impunità, il consenso elettorale e politico in cambio del posto di lavoro,
magari sottopagato. Ma se andassimo a verificare anche le condizioni di lavoro, i livelli
retributivi dei lavoratori emiliani e modenesi, utilizzando strumenti e parametri
obiettivi, ci accorgeremmo che quelle imprese non sono tanto più brave da garantire ai
lavoratori livelli di vita migliori.
Si vuole esportare un modello che però ha già dimostrato il modo in cui i lavoratori
sono stati tutelati nei modelli nazionali ed economici dei paesi del cosiddetto socialismo
reale. Li abbiamo visti tutti occupati, ma costretti a mettersi tutti in fila per comprare
un tozzo di pane. Questa è la realtà!
Tale situazione si è innestata in un sistema di libero mercato, sfruttandone le
possibilità, come fanno Agnelli e De Benedetti: essi socializzano i costi, cercano di non
pagare i tributi, perché si tratta di cooperative che non distribuiscono dividendi, e
tengono i benefici lasciando i costi all'intera collettività.
Vorrei fare una breve riflessione anche su quanto detto già in precedenza a proposito del
sostegno al lavoro autonomo. Tutti sappiamo che è l'intrapresa che crea occupazione
stabile; è giusto che a questa siano rivolti tutti gli sforzi possibili. Nelle Azzorre,
nel sud d'Italia o in Padania, in Svezia, ovunque, le regole economiche devono avere lo
stesso valore. Ebbene, in proposito, in questo decreto-legge si introduce uno stanziamento
di circa 50 miliardi, così da dare 30 milioni a chiunque decida di intraprendere una
attività autonoma.
Benissimo, ma badate bene che chi inizia una attività - posso dirlo per esperienza
personale - con una prebenda di 30 milioni, può fare il ciabattino, il barbiere e tante
altre attività che sicuramente creano occupazione, ma difficilmente riesce a creare
imprese stabili in grado di occupare altre persone.
Se poi prevediamo anche il tutor, così come viene definito, posso pensare che quei
30 milioni se li "pappi" questo tutor, mentre l'imprenditore non sarà in grado
di utilizzare niente. Badate che i meccanismi che cominciate a sperimentare al sud sono
già stati sperimentati in Lombardia; sappiate che si è trattato di esperimenti tutti
falliti! Infatti, salvo rare eccezioni, l'imprenditore, che magari non conosce le regole
della libera impresa, si rende successivamente conto delle difficoltà e dei taglieggi
quotidiani - non mensili! - che vi sono sulla via dell'intrapresa, di tutti i tipi, non
solo contributivi e fiscali, ma anche dal punto di vista della sicurezza sul lavoro.
Vedrete l'anno prossimo la falcidia delle piccole e medie imprese che non saranno in grado
di affrontare le prescrizioni e gli oneri finanziari di questa normativa! Vedrete che cosa
succederà! Certo, nessun controllo verrà effettuato sulle cooperative rosse in Emilia,
perché esse fanno "pappa e ciccia" con le strutture amministrative di controllo. Ecco
perché spingono in questo senso! Bisogna svegliarsi, però, perché non vorrei che ci
ritrovassimo di fronte ad una implosione di un modello che parte con caratteristiche
puramente amministrative e diventa un modello politico nazionale, magari ancora con la
Padania all'interno del confine nazionale. Questa sarebbe una cosa aberrante per noi e per
tutte le nostre genti, ma anche - presumo - per la gente del sud.
Questo modello va fermato; è un modello gestito da persone che, d'altra parte, vedono
solo il mondo del lavoro e non hanno ancora dimenticato l'aspetto ideologico. L'impresa,
l'imprenditore è ancora visto come un nemico da abbattere! L'unico imprenditore che deve
essere sostenuto è quello cooperativo, del funzionario di partito, dei delegati di
partito! È un modello che abbiamo già visto in tante parti del mondo e adesso lo si
vuole riproporre. Laddove non siamo riusciti ad
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avere una maggioranza sul territorio nazionale ci stiamo infiltrando e strategicamente
riusciremo ad ottenerla, anche grazie all'apporto di alcune forze integraliste che hanno
superato le posizioni più o meno di centro all'interno del quadro politico. L'unica forza
legittimata è rifondazione comunista, la quale afferma a chiare lettere di voler
abbattere il sistema del libero mercato, i liberi imprenditori privati, perché essi
pensano solo al loro profitto, ad evadere le tasse, a non pagare i contributi. Tali
imprenditori, secondo gli esponenti di rifondazione comunista, pensano solo a fare queste
nefandezze, mentre loro vogliono invece la piena occupazione, anche se pagata con un tozzo
di pane e con servizi che non costano niente ma di cui non si può usufruire.
Queste sono le condizioni verso le quali stiamo andando. Dobbiamo fare attenzione a non
farci illudere dal PDS, dal PPI o da rinnovamento italiano (non so nemmeno se quest'ultimo
esista ancora come formazione politica e comunque, non avendo né testa né coda, non si
può interloquire con essa, come invece avviene con le forze più rappresentative di
posizioni storiche ben codificate). Attenzione, perché ci stiamo arenando e stiamo
procedendo verso un'evoluzione nefanda, che tutti dobbiamo cercare di ostacolare. Bisogna
allora ostacolare il cammino del provvedimento in esame, perché costituisce un modo poco
serio di affrontare i problemi del lavoro. Ho già fornito moltissime motivazioni a questo
riguardo ed ho rilevato che i maggiori responsabili, il Ministero del lavoro e il Governo
intero, affrontano ancora tali problemi con un taglio ideologico che comporta una lotta
ideologica all'impresa privata e alla proprietà privata. A questo punto, la posizione di
rifondazione comunista è anche quella del partito popolare, del PDS e forse anche di
rinnovamento italiano.
Su questi provvedimenti si scontrano le diverse posizioni e a tale riguardo voglio fare
un'osservazione. So che nelle formazioni del Polo ormai risaltano principalmente le
posizioni dei rappresentanti del sud, forse di maggiore intelligenza e scaltrezza
politica; e sappiamo chi sono coloro i quali intervengono su queste tematiche. È facile
che in questo trasversalismo si innesti un processo di tacita acquiescenza.
ALESSANDRO BERGAMO. Non hai capito bene!
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PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
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socialmente utili e realizzazione di formazione. Noi pensiamo che attraverso la
costituzione di società miste, che fra l'altro prevedono contemporaneamente lo
svolgimento di lavori socialmente utili strettamente collegati con corsi di formazione
adeguati ai lavori in atto ma tanto più a quelli in prospettiva, si risponda in questo
senso. Mi si consenta di ricordare gli ultimi tre progetti approvati. Il "progetto
Polis" riguarda circa 1.500 tecnici, ingegneri, geometri; anche il progetto
interregionale si muove in questa direzione; penso inoltre al progetto realizzato dalla
protezione civile per gli interventi per le aree a rischio sismico, che vedrà impegnati
al termine del corso di formazione 800 architetti, ingegneri e geometri. Potrei continuare
negli esempi; è questo il salto qualitativo proprio nella direzione indicata.
Noi abbiamo accolto - ed è contenuta nel decreto - la proposta che veniva dalle minoranze
al Senato, secondo cui entro un anno il Governo presenterà una legge-quadro in tema di
lavori socialmente utili. Ci impegniamo in un confronto con tutte le forze affinché i
suggerimenti che sono venuti nel corso del dibattito (e ringraziamo coloro che li hanno
avanzati) siano recepiti.
Una seconda osservazione era quella dell'onorevole Michielon circa l'esigenza di
introdurre norme nei confronti dei lavoratori in mobilità o in cassa integrazione che,
qualora rifiutassero di partecipare a lavori socialmente utili, perdessero il diritto
all'integrazione salariale. Questa norma è già stata introdotta con la legge finanziaria
del 1996. Accogliendo un emendamento al Senato si è inoltre introdotta un'altra
disposizione che suggeriva l'onorevole Michielon, secondo cui per i lavoratori in
mobilità che vengono chiamati a svolgere attività a tempo determinato vi è la
sospensione della mobilità, che poi riprende nel momento in cui essi cessano il lavoro a
tempo determinato presso l'azienda. Anche in questo caso la norma è molto precisa. Nella
legge-quadro alla quale prima facevo riferimento e che ci apprestiamo ad elaborare
potremmo rispondere più puntualmente a questi aspetti, anche se il regolamento del
Ministero del lavoro di attuazione delle norme già indica i suggerimenti che venivano
sottolineati.
Vi è un terzo aspetto. È stata rilevata l'esigenza che la corresponsione del sussidio di
800 mila lire sia subordinata all'effettiva presenza. Questo vale sia per la
partecipazione al lavoro sia per i corsi di formazione professionale; è già nelle norme.
Infine, esiste un ulteriore aspetto. Abbiamo introdotto, anche in questo caso accogliendo
un suggerimento proveniente dal Senato, una norma con cui semestralmente si impegna il
Governo a presentare in Parlamento un rapporto sui progetti di lavori socialmente utili,
sui partecipanti suddivisi per età, regione e così via. Il primo rapporto è già stato
presentato lo scorso ottobre e fornisce i seguenti dati: 83 mila fra giovani disoccupati
di lunga durata o lavoratori in cassa integrazione o mobilità partecipano ai progetti
territoriali e regionali, 13 mila ai progetti nazionali. Una sola notazione. È vero che
al primo posto vi è la Campania, ma al quarto vi è il Piemonte per numero di lavoratori
impegnati e in particolare di giovani disoccupati e tecnici impegnati nei progetti di
lavori socialmente utili.
Prima di concludere vorrei fare un'ultima considerazione. Essa attiene alle osservazioni
inerenti l'inserimento in questo decreto della parte di riforma del collocamento per
quanto concerne il venir meno della necessità del rilascio del nulla osta e il
collocamento in agricoltura. Lo si è fatto per salvaguardare l'architettura di queste
misure che sono state adottate dal Governo nel corso del 1994, perché le strutture degli
uffici di collocamento ed anche le modalità con le quali si pratica l'avviamento al
lavoro in agricoltura sono profondamente mutate; sarebbe stato impossibile porci nelle
condizioni ante l'adozione di queste misure, nel 1994.
A tale riguardo vorrei fare una sola riflessione ad alta voce. Ieri, ascoltando
l'intervento dell'onorevole Tiziana Parenti (l'argomento è stato ripreso oggi
dall'onorevole
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Roscia nel suo intervento) ho sentito che le misure adottate nel 1994 sono state
definite come misure clientelari e per favorire il lavoro nero. Si può convenire o
dissentire sulle stesse, ma credo che sia profondamente errato considerarle tali. Non sono
norme né di natura clientelare, né volte a favorire il lavoro nero. Vi è un processo di
innovazione che va completato; il Governo intende completarlo, presentando una legge di
riforma del collocamento, nel corso del 1998, e contemporaneamente dando attuazione alla
parte che riguarda gli avviamenti al lavoro, le flessibilità contrattate e regolate del
lavoro previste dal patto per il lavoro.
In questo senso il Governo si impegna - ed era questo il suggerimento del relatore - nella
prossima o nella successiva riunione del Consiglio dei ministri a recepire in un unico
disegno di legge ordinario l'insieme di norme che riguardano il lavoro, norme che
decadranno perché non recepite in questo decreto oppure inserite in decreti che sono in
scadenza. Tra tali norme vi sono quelle relative al collocamento e al collocamento in
agricoltura. Credo che in tale sede con l'apporto dei deputati e dei senatori di tutti i
gruppi parlamentari sia possibile pervenire con leggi ordinarie a ridefinire le materie
alle quali con questo decreto certamente non si poteva dare risposte complessive.
È con questo spirito, e ringraziando per gli apporti che sono venuti dal dibattito, che
io mi permetto di riformulare la proposta all'aula di esprimere il proprio consenso sul
disegno di legge nel testo approvato dal Senato, consentendo così la conversione in legge
del decreto in esame. A partire dalle prossime settimane, il Governo si impegna ad operare
affinché i giusti suggerimenti che ci sono stati ed altri che saranno necessari,
collegati al patto per il lavoro, si concretizzino in una normativa attraverso la
legislazione ordinaria.
PARERE FAVOREVOLE
a condizione che sia risolta l'incongruenza derivante dalla previsione nell'articolo 9-septies della disposizione già contenuta nell'articolo 8 del decreto-legge n. 511 del 1996, recante un onere di 30 miliardi per il 1995 e di 50 miliardi per il 1996 per la promozione del lavoro nel Mezzogiorno, senza che sia contemporaneamente riprodotta la disposizione già contenuta nell'articolo 11, comma 5, del citato decreto-legge, recante la copertura finanziaria dei suddetti oneri.
PARERE CONTRARIO
sugli emendamenti Malavenda 1.8, Cappella 4.01, Poli Bortone 5.1, Pampo 5.2, Malavenda 6.1 e 9.2, Pampo 9-ter.4 e Santori 9-ter.8, identici, Michielon 9-quater.13 e 9-quinquies.1, Pampo 9-quater.6, 9-sexies.02 e 9-sexies.03, Santori 9-sexies.05, 9-sexies.07 e 9-sexies.08, Pampo 9-septies.1, 9-septies.2 e 9-septies.3 e Michielon 9-novies.01, in quanto suscettibili di recare maggiori oneri non quantificati né coperti.
NULLA OSTA
sui restanti emendamenti.
Passiamo all'esame dell'articolo unico
del disegno di legge di conversione nel testo della Commissione, identico a quello
approvato dal Senato.
Avverto che gli emendamenti e gli articoli
aggiuntivi presentati sono riferiti agli articoli
del decreto-legge, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal
Senato.
Avverto altresì che non sono stati presentati emendamenti riferiti all'articolo unico del
disegno di legge di conversione (per gli articoli, gli emendamenti e gli articoli
aggiuntivi, vedi l'allegato A).
Onorevoli colleghi, dovremmo ora passare agli interventi sul complesso degli emendamenti e
degli articoli aggiuntivi riferiti agli articoli del decreto-legge e all'articolo unico
del disegno di legge di
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conversione. Alla Presidenza risulta che abbiano chiesto di parlare gli onorevoli
Caruso, Bastianoni e Armani.
Per ragioni tecniche tra tre minuti dovremo sospendere la seduta. Se vi fosse stata una
minore "intensità" nelle repliche avremmo potuto consentire a questi colleghi di
intervenire prima della sospensione. Poiché tuttavia questo non è accaduto, e
giustamente non lo si poteva far rilevare più di tanto al relatore ed al Governo, che
avevano tante cose intelligenti e importanti da dire, prendo atto che non vi sono altri
colleghi che chiedono di parlare sul complesso degli emendamenti e degli articoli
aggiuntivi e sospendo la seduta fino alle 16,30, ricordando che alle 13 è convocato il
Parlamento in seduta comune.