Seduta n. 103 del 27/11/1996

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Discussione del disegno di legge: S. 1399. - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale (approvato dal Senato) (2698) (ore 9,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale.
Ricordo che ieri la Camera ha deliberato in senso favorevole sull'esistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione per l'adozione del decreto-legge n. 510 del 1996, di cui al disegno di legge di conversione n. 2698.
Avverto altresì che, se non vi sono obiezioni, l'XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari di forza Italia e di alleanza nazionale ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Il relatore, onorevole Stelluti, ha facoltà di svolgere la relazione.

CARLO STELLUTI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 510 reca disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale. Il decreto-legge in esame è stato approvato dal Senato dopo ben sedici successive reiterazioni. Non riteniamo quindi in questa sede di ricostruire puntualmente i vari passaggi e le innumerevoli modifiche cui è stato sottoposto questo complesso provvedimento. Vale solo la pena di ricordare che questo decreto ebbe origine l'8 agosto 1994 e, alla nona reiterazione, il 4 dicembre 1995 il decreto-legge n. 515, data la complessità, l'articolazione delle tematiche trattate e l'entità che il provvedimento via via assunse, il Governo ritenne opportuno dividere il testo in due diversi decreti, anche per attribuire a ciascuno un contenuto più omogeneo.
Il primo recava norme relative all'attivazione dei lavori socialmente utili, disposizioni in materia di cassa integrazione e mobilità, di contratti di riallineamento contributivo, di finanziamento dei patronati. Nel secondo decreto vennero inseriti provvedimenti relativi al collocamento, al lavoro agricolo, ai tirocini formativi, alla promozione del lavoro autonomo nel Mezzogiorno, ai piani di inserimento dei giovani nelle aree ad alto tasso di disoccupazione, al reimpiego del personale con qualifica dirigenziale, alla cooperazione. Alcuni articoli di quest'ultimo decreto - il decreto-legge n. 511 del 1996 - ancora vigente e di improbabile approvazione prima della scadenza, sono stati inseriti dal Senato nel provvedimento in discussione, il decreto-legge n. 510 del 1996.
L'articolo 1 contiene disposizioni per l'attivazione dei lavori socialmente utili e l'integrazione della dotazione finanziaria del fondo per l'occupazione, disposizioni che, in attesa di una più organica disciplina in materia, mirano a rendere più agevole e snello il ricorso all'istituto che, come è noto, prevede che le commissioni regionali per l'impiego possano utilizzare temporaneamente i lavoratori in cassa integrazione speciale o in mobilità per opere o servizi di pubblica utilità, ponendo a carico della pubblica amministrazione la differenza fra trattamento di integrazione e retribuzione piena.
L'articolo 2 contiene una serie di misure di carattere previdenziale, relative ad alcuni fondi particolari (come, ad esempio, il fondo degli spedizionieri doganali), il differimento dei termini dei prepensionamenti del settore siderurgico, dei lavoratori dell'amianto e misure di carattere assicurativo, come quelle per i mandatari


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della SIAE, del personale dell'Ente ferrovie società per azioni ed altri provvedimenti ancora.
L'articolo 3 provvede a garantire una nuova proroga della cassa integrazione speciale per i dipendenti GEPI e INSAR, ampliando la tipologia delle iniziative assumibili dalle due società finalizzate ad un miglior perseguimento dei propri compiti istituzionali di reimpiego del personale.
L'articolo 4 contiene, tra l'altro, una lunga serie di disposizioni in materia di interventi a sostegno del reddito, emanate in attuazione delle intese tra le parti sociali ed il Governo nel novembre del 1994 e la prosecuzione temporanea di interventi a difesa del salario, giunti a scadenza, per favorire la possibilità di rioccupazione.
L'articolo 5 riapre invece i termini per la stipula dei contratti di riallineamento contributivo, stabilendo un piano graduale di elevazione delle retribuzioni basse fino al raggiungimento dei livelli contrattuali previsti.
L'articolo 6 stabilisce norme in ordine ai trattamenti di cassa integrazione speciale per crisi aziendale, disponendo che possa essere corrisposta in un'unica soluzione in coincidenza con l'utilizzo di strumenti di gestione degli esuberi alternativi alla mobilità; modifica la disciplina dei contratti di solidarietà, in modo da allargarne la platea dei fornitori; detta disposizioni relative ai contratti di lavoro a tempo parziale, incentivandone l'utilizzo.
L'articolo 7 proroga il termine della gestione temporanea delle miniere carbonifere del Sulcis da parte della società del gruppo ENI, attribuendo ad essa le risorse per l'attuazione del programma di riattivazione del bacino carbonifero.
L'articolo 8 reca norme in materia di ripartizione del finanziamento degli istituti di patronato, autorizzati ad esercitare gratuitamente l'assistenza e il patrocinio dei lavoratori per il conseguimento delle prestazioni previdenziali.
L'articolo 9 contiene disposizioni diverse in materia di personale ed in materia previdenziale, portando a soluzione una serie di problemi sorti in una difficile fase di riforma degli strumenti di gestione del mercato del lavoro e del sistema previdenziale.
L'articolo 9-bis recepisce, con modifiche, l'articolo 1 del decreto-legge n. 511, che modifica la disciplina del collocamento ordinario, dando la facoltà al datore di lavoro di procedere all'assunzione, sostituendo il nulla osta preventivo con una comunicazione da farsi entro cinque giorni alla sezione circoscrizionale per l'impiego e portando a conoscenza del lavoratore i contenuti del contratto stipulato che risultano dal libro matricola.
L'articolo 9-ter riproduce integralmente l'articolo 2 del decreto-legge n. 511, che definisce per il settore agricolo una specifica e più semplice disciplina in materia di assunzioni, di comunicazione e di registrazione nel libro matricola.
L'articolo 9-quater definisce i criteri e le modalità di tenuta del registro di impresa nel settore agricolo, al fine di registrare i dati relativi ai lavoratori assunti, fornendo così indicazioni utili all'accertamento dei contributi previdenziali versati, come contenuto nell'articolo 3 del decreto-legge n. 511.
L'articolo 9-quinquies riproduce l'articolo 4 del decreto-legge n. 511, introducendo un sistema di rilevazione della manodopera occupata in agricoltura mediante elenchi nominativi predisposti dall'INPS sulla base delle dichiarazioni fatte dalle imprese; reca poi disposizioni relative alla piccola colonia e alla compartecipazione familiare.
L'articolo 9-sexies riprende l'articolo 6 del decreto-legge n. 511 e definisce le procedure, l'organizzazione e l'assegnazione del personale relativamente alla soppressione del Servizio per i contributi agricoli unificati.
L'articolo 9-septies riproduce l'articolo 8 del decreto-legge n. 511 e prevede, al fine di favorire il lavoro autonomo nel Mezzogiorno, di affidare alla Società per l'imprenditorialità giovanile la selezione, il finanziamento e l'assistenza tecnica di progetti posti in essere da lavoratori in


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cerca di prima occupazione o da disoccupati, autorizzandone la relativa spesa.
L'articolo 9-octies, riproducendo l'articolo 9 del decreto-legge n. 511, prevede la realizzazione da parte del Ministero del lavoro di piani mirati all'inserimento professionale di giovani iscritti nelle liste di collocamento nelle aree ad alto tasso di disoccupazione.
Infine, l'articolo 9-novies riproduce l'articolo 7 del decreto-legge n. 449 del 1996 e ridetermina le unità ammesse al prepensionamento nel settore siderurgico, utilizzando le risorse accantonate nella legge finanziaria dello scorso anno.
Data la particolarità di questo decreto-legge, caratterizzato da una notevole quantità di provvedimenti che ormai hanno da tempo esplicato i loro effetti, e date anche le scadenze temporali contenute in molti di essi, dopo l'approvazione del Senato il presupposto di urgenza dell'approvazione definitiva ne risulta esaltato, tenuto conto altresì che la scadenza è prevista per il 1 dicembre prossimo venturo.
Ben tre Governi si sono cimentati con questo provvedimento, cioè il Governo Berlusconi, il Governo Dini ed ora il Governo Prodi, utilizzandolo spesso come strumento per interventi di emergenza in una fase molto travagliata della vita economico-produttiva ed occupazionale del paese. Dopo la giusta sentenza della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l'illegittimità della reiterazione dei decreti-legge, il provvedimento in discussione potrebbe sembrare ancor più in controtendenza. Tuttavia, nel nostro ordinamento, in assenza di strumenti e regole efficaci per legiferare in tempo reale, il decreto-legge in esame ha svolto una funzione sociale di indiscutibile rilevanza, fornendo strumenti per la gestione di una profonda crisi occupazionale legata ad un'altrettanto intensa fase di cambiamento della struttura produttiva.
Il presente decreto recepisce e consolida intese tra le parti realizzate durante la vigenza dei Governi già citati. Vi è quindi un obbligo morale di portare a termine l'iter del provvedimento, che coinvolge la vita di centinaia di migliaia di lavoratori e di qualche migliaia di imprese. Noi tutti ci auguriamo, per il senso di responsabilità che contraddistingue questo Parlamento, che in futuro si superi la logica di provvedimenti di emergenza e che il Parlamento possa essere messo in condizioni di svolgere appieno il proprio ruolo con efficacia, rapidità e profondità di analisi. Ci auguriamo, infine, che si possa addivenire in tempi ragionevolmente brevi ad una significativa semplificazione e ad un riordino di tutta la materia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO PIZZINATO, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido le considerazioni svolte dal relatore, onorevole Stelluti, e mi limiterò pertanto a fare alcune brevi osservazioni solo per sottolineare l'esigenza di convertire definitivamente in legge il decreto-legge n. 510, che è giunto alla sua sedicesima reiterazione.
In primo luogo, con tale decreto-legge si consolidano i contenuti di pattuizioni tra le parti sociali avvenute con la partecipazione del Governo e riguardanti processi di riorganizzazione, ristrutturazione e crisi aziendali, industriali e settoriali che hanno coinvolto, con varie misure di sostegno al reddito, centinaia di migliaia di lavoratori e migliaia di imprese. In secondo luogo, si consolidano l'architettura di riforma del collocamento in agricoltura ed il superamento del nulla osta per l'avvio al lavoro, misure che hanno già riguardato l'avvio al lavoro di milioni di lavoratori e che hanno portato a modificare le strutture dei servizi dell'impiego del Ministero del lavoro.
In terzo luogo, il decreto-legge al nostro esame consolida la normativa riguardante i lavori socialmente utili, che vede nel solo corrente anno circa 100 mila giovani disoccupati di lunga durata o lavoratori in cassa integrazione e mobilità impegnati nella realizzazione di alcune migliaia di progetti di lavori socialmente utili.


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In quarto luogo, il provvedimento contiene numerose norme di carattere previdenziale o relative a vari aspetti inerenti ai rapporti di lavoro e previdenziali che, se non consolidate, renderebbero di nuovo incerte le posizioni e i rapporti previdenziali e di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori.
Si tratta, in conclusione, di un insieme di norme frutto dell'azione svolta dai Governi nei negoziati tra le parti sociali negli ultimi quattro anni, all'epoca in cui erano Presidenti del Consiglio Ciampi, Berlusconi, Dini e, da ultimo, Prodi. Nel corso dell'esame del decreto-legge al Senato, la Commissione lavoro ha approvato all'unanimità un ordine del giorno con cui si proponevano sei modifiche tenendo conto dei suggerimenti e delle proposte sia della maggioranza sia della minoranza; cinque di tali modifiche sono state recepite nel testo attualmente in esame, al quale sono stati apportati anche dei miglioramenti. Infine, anche sulla base di una proposta che era stata avanzata dai gruppi di opposizione al Senato, si è introdotta una norma che impegna il Governo a presentare entro un anno una nuova legge quadro che ridefinisca complessivamente le attività dei lavori socialmente utili e di pubblica utilità.
Per l'insieme di queste considerazioni, onorevoli deputati, il Governo auspica l'approvazione del provvedimento nel testo pervenuto dal Senato affinché, alla sedicesima reiterazione, sia finalmente convertito in legge.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Strambi. Ne ha facoltà.

ALFREDO STRAMBI. Svolgerò alcune brevi considerazioni per esprimere il parere favorevole del gruppo di rifondazione comunista all'approvazione del provvedimento. Ciò detto, non è possibile sottacere perplessità e riserve sia di metodo sia di merito su singoli punti del provvedimento, del resto già espresse in Commissione.
Le riserve di metodo sono legate al fatto che, come ha già detto il relatore, siamo in presenza della riproposizione di una pratica legislativa che in nome dell'urgenza giustappone norme sacrosante ed ineludibili con altre che a parer nostro meriterebbero una discussione ed un percorso più meditati, un confronto di merito più approfondito. Il problema che dobbiamo affrontare è che con questo provvedimento stiamo decidendo della vita e delle condizioni di lavoro (o, in alcuni casi, di non lavoro) di centinaia, se non migliaia, di cassintegrati, di lavoratori in mobilità, di disoccupati di lunga durata, vale a dire quei settori più deboli del mondo del lavoro di cui rifondazione comunista vuole rappresentare esigenze ed interessi.
La discussione che si è svolta finora mi ha dato l'impressione che spesso non si abbia piena consapevolezza di ciò di cui si sta parlando. Si è parlato, per esempio, di assistenzialismo; ricordo che ai programmi di lavoro socialmente utile accedono lavoratori cassintegrati o in mobilità diffusi in tutta Italia, la cui percezione di reddito più favorevole ammonta per il 1996 al massimo ad un milione 300 mila lire. A tali lavoratori si permette, lavorando, di integrare la differenza tra quanto percepiscono e quanto riceverebbero se lavorassero. Questo dato, a nostro parere, fa premio su tutto. È evidente - lo ha già ricordato il sottosegretario Pizzinato - che tutta la materia dei lavori socialmente utili andrà ripensata e rivista. In proposito il Governo si è impegnato a presentare entro un anno un provvedimento di riordino complessivo.
È vero che nel decreto-legge n. 510 già approvato dal Senato, noto come decreto sui lavori socialmente utili, sono stati inseriti, con un'operazione discutibile, anche spezzoni dell'ex decreto-legge n. 499 (nella parte relativa al settore siderurgico) e parti consistenti dell'ex decreto-legge n. 511 (articoli 1, 2, 3, 4, 6 e 8, corrispondenti oggi all'articolo 9-bis). È soprattutto con riferimento alla parte relativa all'ex decreto-legge n. 511 sui contributi in agricoltura che vorrei esprimere qualche rilievo.
In Commissione lavoro su queste disposizioni si era registrato, attraverso un


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notevole impegno, un accordo significativo fra tutte le parti politiche per apportare modifiche che, a parere dei commissari, rappresentavano un punto di equilibrio ed una soluzione quanto meno meritevole di attenzione. Quello che va sottolineato in termini negativi è che di tutto questo lavoro nel testo presentatoci dal Governo non c'è traccia e che il Governo non ha tenuto in alcun conto la necessità di un approdo comune, il che lascia quanto meno perplessi.
Detto questo, espresse le riserve del caso e con l'auspicio, come è già stato detto, che venga a cessare definitivamente la pratica di provvedimenti di questo tipo, per la quantità dei lavoratori interessati e per la rilevanza e l'urgenza di trovare soluzione a problemi per altra via insolubili, confermo la posizione favorevole del gruppo di rifondazione comunista all'approvazione del provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pampo. Ne ha facoltà.

FEDELE PAMPO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, se mancasse la prova - e non credo manchi - che il Parlamento di fatto è espropriato delle sue prerogative, questo decreto offre tale prova; anzi, il decreto-legge n. 510 conferma la volontà della maggioranza di evitare utili confronti e quella del Governo di imporre le proprie scelte a colpi di voti di fiducia.
Al Senato, come si sa, sull'atto al nostro esame il Governo ha posto la questione di fiducia, evitando così il dibattito ed il confronto sulla complessa materia oggetto dalla nostra discussione. Siamo certi che se si fossero privilegiati il confronto e gli emendamenti dell'opposizione (e non solo dell'opposizione) al decreto-legge, lo stesso avrebbe potuto trovare il necessario miglioramento.
Così purtroppo non è stato. Sicché è quanto mai singolare affermare, come hanno sostenuto taluni esponenti della maggioranza al Senato, che alcuni emendamenti avrebbero potuto migliorare la sostanza, ma, ahimè, il Governo con la richiesta di fiducia non ha consentito che si perseguisse questo obiettivo. È veramente singolare l'atteggiamento della maggioranza che, pur riconoscendo la validità di talune modifiche, vota il decreto perché costretta dal voto di fiducia. Questa scelta in ogni caso conferma e comprova i limiti del provvedimento e la necessità, nonché l'utilità, che lo stesso sia emendato.
Con questa convinzione, signor Presidente e signor sottosegretario, abbiamo presentato alcuni emendamenti, convinti come siamo che il decreto-legge n. 510 nella sua complessità ed articolazione si limita soltanto a sanare situazioni pregresse, senza ipotizzare indicazioni valide per inserire la materia entro la più ampia sfera delle politiche di sviluppo.
Vogliamo sperare che le ventilate aperture poste in essere dalla maggioranza trovino in quest'aula e su questo decreto il necessario risvolto ed il conseguente atteggiamento del Governo. Allo stato attuale, siamo costretti a registrare la solita fretta, la consueta superficialità e confusione, nonché l'arroganza di sempre. Se è vero, infatti, che al Senato il Governo ha posto la questione di fiducia, alla Camera addirittura è mancato il solito iter: basti pensare che su una materia così complessa ed articolata la Commissione di merito non è stata posta nelle condizioni di approfondirne la sostanza, e non certamente, signor Presidente, per colpa della Commissione; così come i singoli gruppi sono stati costretti a presentare direttamente in aula i propri emendamenti senza alcun approfondimento. Qui sì, la maggioranza si è blindata, privilegiando la velocizzazione dell'iter per pervenire subito alla votazione anziché migliorare la sostanza del decreto.
Eccoci qui, quindi, solo per atto dovuto, giacché il decreto-legge rischia di decadere e guai a permettersi di chiedere qualche modifica, pena l'accusa di irresponsabilità e di sabotaggio di norme che, a sentire il sottosegretario Pizzinato, riguarderebbero milioni di famiglie. È vero, è un decreto che interessa molte famiglie; ma quelle famiglie si attendevano norme risolutrici dei loro problemi.


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Questo decreto-legge, signor rappresentante del Governo, alimenta le illusioni dei giovani, crea le delusioni dei cassaintegrati e l'amarezza dei lavoratori in mobilità.
La blindatura, se così sarà, di questo provvedimento non offenderà soltanto la dignità di quest'aula e il ruolo dei singoli parlamentari: lo stesso decreto è al limite della sua legalità per aver voluto assorbire in esso una serie di norme che niente hanno a che vedere tra loro. Leggendo la relazione della Commissione bilancio del Senato, le elargizioni - così come si intravedono nel decreto - non trovano coperture adeguate; per taluni articoli si chiede addirittura l'intervento del Governo al fine di chiarire diversi aspetti e coperture.
Nella recente discussione sulla manovra di bilancio molti emendamenti sono stati dichiarati irricevibili per estraneità di materia; avremmo voluto che analogo comportamento fosse stato riservato a questo decreto.
Certo, non trascuriamo la sentenza della Corte costituzionale, che impone precise scelte, ma avremmo voluto che su tutti i decreti a rischio ci fosse stato un utile confronto per ricercare assieme - maggioranza ed opposizione - le necessarie ed indispensabili corsie preferenziali. Così non è stato: per volontà, scelta, presunzione ed arroganza della stessa maggioranza. Ed eccoci allora in presenza di un decreto omnibus, che tenta di sanare il pregresso senza dare esaurienti risposte ai soggetti ed ai comparti interessati.
C'è però nel decreto un preciso filo conduttore, quello che porta all'assistenzialismo: prerogativa di ben individuate forze politiche della maggioranza. Non è difficile infatti scoprire la mancanza di una pur semplice traccia di un disegno strategico mirato a combattere per davvero il dramma della disoccupazione; non si rileva inoltre alcuna valida scelta di sviluppo a sostegno della sempre più pressante richiesta di occupazione.
In questi giorni troppo spesso, e a volte a sproposito, si è parlato di ingresso in Europa; anzi, il Governo ha addirittura inventato l'eurotassa, ancor prima di pensare ad ammodernare le istituzioni, a renderle efficienti, a costruire il necessario per consentire al nostro paese di reggere il confronto.
La strada imboccata dalla maggioranza non creerà sviluppo, anzi alimenterà la spesa assistenziale a danno di quella sociale e ci porterà all'aumento della già pesante pressione fiscale, non più sopportabile dalle imprese e dalle famiglie italiane.
È una strada - quella scelta dalla maggioranza - che influirà e non poco sul lento ma inesorabile processo di recessione che il nostro paese sta subendo a causa di scelte sbagliate, di impegni non mantenuti e di comportamenti, che oserei indicare come delinquenziali, di una certa classe dirigente del passato.
Le forze deboli del paese, i giovani disoccupati, i cassaintegrati e coloro i quali subiscono la mobilità (anticamera del licenziamento) sono oltre un milione 500 mila ed hanno bisogno di ben altro che l'umile sussidio previsto da questo decreto. Signor Presidente, ritorna in auge un vecchio quanto mortificante termine che ci riporta ai primi mesi del dopoguerra, quasi si volesse confermare lo stato di enorme crisi in cui si dibatte il paese.
Il sussidio previsto, però, conferma la scelta assistenzialistica della maggioranza, che è peraltro limitata e mirata a soddisfare solo ed esclusivamente residue e limitate esigenze. Questa scelta conferma che il provvedimento, almeno nella parte relativa ai lavori socialmente utili, è un provvedimento tampone e dunque inutile, ma che finirà per alimentare ulteriormente il disagio sociale del paese.
Non è con le proroghe o con il ripristinare vecchie, sterili e superate norme e nemmeno con provvedimenti tampone che si risolvono gli atavici problemi sociali dell'Italia, ed ancor meno quelli dei giovani disoccupati, cassaintegrati o in mobilità! Al contrario, certe scelte determinano stati di attesa, di ansia,


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che purtroppo si trasformano in gravi delusioni per chi è poi costretto a ritrovarsi sempre e soltanto disoccupato.
A nulla sembra sia servita l'esperienza della legge n. 285, se le vie che si scelgono sono sempre quelle della provvisorietà!
Per tali ragioni siamo convinti che la norma riguardante i lavori socialmente utili deluderà ancora. Vorremmo sbagliarci, ma la nostra convinzione è comprovata dal fatto che gli enti locali, chiamati a costruire progetti in tempi di tagli ai bilanci, oltre alla scarsa disponibilità risentono anche della mancanza di interconnessione tra i lavori socialmente utili e la stessa formazione.
A parte tale considerazione, c'è da rilevare che il processo di occupazione di soggetti in lavori socialmente utili è circoscritto a posti di netturbini, giardinieri, custodi di musei. Queste e non altre le occupazioni offerte attraverso i lavori socialmente utili ai circa 80 mila lavoratori distribuiti su tutto il territorio nazionale, comprese le zone floride del paese.
Nel decreto al nostro esame, poi, manca la necessaria spinta a superare la farraginosità di certe norme ed il provvedimento risente anche dei tagli che il Governo ha operato, tant'è che molti progetti di legge approvati dalle apposite commissioni regionali non trovano soluzione a causa dei ritardi accumulati dagli enti locali.
Peraltro, signor rappresentante del Governo, tali ritardi non si superano prevedendo ulteriori errori come quello contenuto nel decreto-legge e che consiste nel demandare alle giunte degli enti locali operazioni di competenza di altri organismi.
È difficile - mi creda, signor Presidente - intervenire in poco tempo sulla vasta materia racchiusa nel decreto, ma, pur sentendone la necessità, utilizzerò i minuti a mia disposizione per confermare un giudizio critico sulle norme relative ai contratti di riallineamento. Si tratta di norme, indicazioni e scelte che, se non modificate, produrranno effetti devastanti sulle migliaia di aziende operanti nelle aree depresse del paese, che hanno il torto di lavorare à fa|$$|Accon, contribuendo così ad arricchire certi leader del settore dell'abbigliamento che impongono le regole del mercato, di voler dare onestamente lavoro, alla luce del sole, nel rispetto delle norme contrattuali e di sollecitare le istituzioni ad emanare norme volte ad evitare l'evasione.
Non si possono sopportare oneri previdenziali, sostenere le retribuzioni previste dai contratti collettivi nazionali, i costi energetici ed altro, guadagnando su un capo, che in commercio costa 150 mila lire, la misera somma di 10 mila lire.
Quello che migliaia di aziende hanno chiesto e chiedono dalle norme regolamentari dei contratti di riallineamento è esattamente l'opposto di quanto prevedono le norme alla nostra attenzione.
A che serve, allora, signor Presidente, ipotizzare un sussidio per cassintegrati e lavoratori in mobilità se si agisce poi in modo tale da creare nuovi disoccupati e da far chiudere migliaia di aziende? Ecco allora i limiti di un modello che non ci piace, di scelte che non ci convincono e di soluzioni che non risultano adeguate ai problemi emergenti nel paese.
Un modello, quello scelto dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene, che persiste nella discriminazione e che continua a legiferare tutelando il privilegio, come chiaramente emerge dall'articolo 8 del decreto n. 510. È assurdo liquidare competenze agli enti di patronato e quel sistema era tanto discriminatorio che, finalmente, con una legge di pochi mesi addietro, si è provveduto a superarlo. Vedremo prossimamente dall'attività liquidata agli enti di patronato quali e quanti sono stati i privilegi di cui hanno goduto ben individuati enti di patronato operanti in Italia.
Che dire, poi, delle norme sul collocamento agricolo e sui registri di impresa in agricoltura? Giornate intere non sarebbero sufficienti per dimostrare come e quanto le norme volute dal Governo e dalla maggioranza danneggino il comparto primario italiano.
I fatti e i comportamenti parlano chiaro e confermano la scelta del Governo di


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operare contro l'agricoltura, privilegiando altri settori che, allo stato attuale, sono costati alla collettività migliaia di migliaia di miliardi, elargiti attraverso fiscalizzazioni, contributi a fondo perduto, prepensionamenti e cassa integrazione. Con quale risultato, signori del Governo? Non credo si debbano spendere molte parole per confermare il totale fallimento di questi indirizzi.
Ecco dunque alcune delle ragioni che ci inducono ad essere critici sul provvedimento. Siamo sensibili verso le materie ed i soggetti interessati da questo decreto-legge e sappiamo anche che esso è chiamato a sanare gli effetti prodotti da sedici decreti non convertiti in legge nei tempi previsti.
Per queste ragioni non abbiamo voluto bollare il decreto con l'accusa di illegittimità e, al contrario, abbiamo contribuito a migliorarne il testo con la presentazione di emendamenti che ci auguriamo l'Assemblea approvi.
Ci attendiamo, quindi, un utile confronto con il Governo e, proprio dall'atteggiamento della maggioranza, scaturirà il nostro giudizio finale (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Guidi, iscritto a parlare.
È iscritto a parlare l'onorevole Santori. Ne ha facoltà.

ANGELO SANTORI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la ristrettezza dei tempi di approvazione del decreto-legge n. 510 non consente, purtroppo, un'ampia ed articolata discussione: eventuali modifiche richiederebbero l'approvazione del Senato della Repubblica e causerebbero, probabilmente, la decadenza del decreto. Ritengo però che le procedure parlamentari e i tempi tecnici non possano condizionare la possibilità di incidere e migliorare una normativa importante quale è quella sui lavori socialmente utili, sugli interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale.
La disciplina contenuta nel decreto-legge n. 510 tocca materie e aspetti diversi tra loro. Considerando tale ampiezza ed eterogeneità, vorrei soffermarmi e richiamare la vostra attenzione sulle disposizioni concernenti il lavoro agricolo, di cui agli articoli 9-ter, 9-quater e 9-sexies.
Ho ritenuto opportuno, insieme con altri colleghi, presentare una serie di emendamenti al fine di garantire l'effettiva applicabilità delle disposizioni legislative, tenendo presenti i problemi pratici di coloro i quali dovranno osservarle: gli operatori agricoli. Vorrei esporre pertanto le motivazioni sottese ai singoli emendamenti affinché comprendiate la necessità degli stessi.
L'articolo 9-ter delinea per il settore dell'agricoltura una specifica e forse cavillosa normativa relativa agli adempimenti connessi all'assunzione, in materia di comunicazione e di registrazione nel libro matricola. È opportuno innanzi tutto, viste le importanti innovazioni, che la nuova disciplina decorra da una data successiva alla conversione del decreto-legge.
Il primo comma dell'articolo 9-ter estende parzialmente ai datori di lavoro agricolo l'obbligo di riserva nelle assunzioni previste dall'articolo 25, secondo comma, della legge n. 223 del 1991. Vorrei che voi rifletteste sul fatto che l'onere della riserva nelle assunzioni non è adatto alle modalità di svolgimento del lavoro in agricoltura ed alle caratteristiche dell'azienda agricola. Si osserva, inoltre, che il limite occupazionale previsto affinché scatti l'obbligo della riserva (1.350 giornate di lavoro corrispondenti a cinque lavoratori) è proporzionalmente più basso rispetto a quello fissato per gli altri settori (dieci lavoratori). Occorre quindi sopprimere tale norma o quantomeno portare il limite a 2.700 giornate, che corrispondono ai dieci lavoratori previsti negli altri settori.
Il comma terzo dell'articolo 9-ter interviene sulle norme da abrogare o modificare in conseguenza delle nuove disposizioni dettate dall'articolo in esame. In particolare, la nuova formulazione del comma 3 dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 375 del 1993 non elimina il


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metodo induttivo di accertamento che si basa su presunzioni e approssimazioni, fonti di contenzioso e di ingiuste imposizioni contributive. Sarebbe opportuno eliminare tale strumento di controllo, il quale ha già dimostrato la sua inadeguatezza e pericolosità in campo fiscale.
L'articolo 9-quater provvede a disciplinare direttamente la materia relativa agli obblighi di documentazione ed accertamento delle giornate di lavoro del settore agricolo. Difficoltà di applicazione dovrebbero indurre a protrarre i termini di vari adempimenti. Si pensi, ad esempio, alle modalità della compilazione del registro d'impresa di cui al comma 4 dell'articolo 9-quater, atteso che l'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 375 consente la tenuta del registro stesso presso le organizzazioni sindacali di categoria anche nella provincia in cui ha sede l'azienda. Risulta necessario prevedere un termine più congruo, cinque giorni dall'assunzione per la consegna al lavoratore, data la possibile e obiettiva distanza fisica tra i soggetti abilitati.
Il comma 16 dell'articolo 9-quater detta alcune modalità procedurali concernenti l'assunzione del lavoratore. Viene inopportunamente posta a carico del datore di lavoro una serie di incombenze di stretta pertinenza del lavoratore.
Vorrei infine soffermarmi sull'articolo 9-sexies, il quale detta disposizioni di natura procedimentale ed organizzativa, ritenute necessarie in relazione alla soppressione dello SCAU.
Occorre considerare che il trasferimento delle funzioni dello SCAU all'INPS non ha comportato la creazione di strutture centrali che si occupano di agricoltura a livello di altre direzioni centrali; la loro creazione è una necessità avvertita dal mondo agricolo per avere un interlocutore adeguato in tema di prestazioni previdenziali.
Un'ultima considerazione riguarda la riforma previdenziale che nel settore agricolo, invece di equiparare il carico contributivo con quello delle aziende europee concorrenti, fa riferimento in modo inaccettabile agli altri settori produttivi nazionali. Ritengo che questo stato di cose debba venire meno.
Pur essendo consapevole della ristrettezza dei tempi assegnati per la conversione in legge di questo decreto, con il mio intervento ho inteso sottolineare la necessità di modificare una normativa lacunosa e in alcuni casi difficilmente applicabile. Il Governo, imponendo la conversione del decreto-legge nella sua interezza e dopo averlo più volte reiterato, emana una disciplina incompleta e nello stesso tempo non consente ai parlamentari dell'opposizione di partecipare ad un confronto costruttivo sul tema.
Infine, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi sia consentita una considerazione di carattere personale. Sono un deputato neoeletto e mi sono avvicinato all'esperienza parlamentare con una grande voglia di fare, ma soprattutto con la consapevolezza e la responsabilità di rispondere alle esigenze della gente. Mi sto rendendo conto invece che le cose non stanno esattamente come io pensavo. In particolare il comportamento del Governo, sia in occasione della discussione della legge finanziaria sia in riferimento al decreto-legge oggi in esame, riduce di fatto le prerogative del singolo parlamentare ponendolo nella condizione di essere solo un numero.
Mi rifaccio all'ultima parte dell'intervento del collega Strambi che condivido pienamente perché, a mio parere, la Commissione lavoro ha esaminato in maniera attenta e approfondita il decreto-legge n. 511, che poi parzialmente è stato trasferito nel decreto-legge n. 510. Con grande impegno, e superando taluni ostacoli di natura politica, il Comitato ristretto ha svolto un ottimo lavoro e risolto molti problemi tanto da migliorare, senza ombra di dubbio, il testo del decreto n. 511. Purtroppo debbo amaramente constatare che il Governo, nella presentazione del disegno di legge di conversione al Senato, non ha tenuto minimamente conto del lavoro compiuto dal Comitato ristretto della XI Commissione della Camera. Da


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qui nasce l'amarezza di un neodeputato che ha profuso tanto impegno nei lavori parlamentari, in particolare in Commissione, mentre il Governo non ha tenuto conto del lavoro delle forze politiche per migliorare un decreto-legge che necessitava di alcune modifiche (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.

MARA MALAVENDA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 510 è un pessimo provvedimento, pieno di articoli e di commi tra i quali è difficile, quasi impossibile, districarsi.
Quello che viene immediatamente in evidenza è che si tratta di un tassello che si inserisce perfettamente nella logica dello stesso patto per il lavoro. Quest'ultimo - che è il frutto di un'opera di concertazione tra Governo, sindacati confederali e Confindustria - altro non è che la deregolamentazione del mercato del lavoro per quanto riguarda orario, salario, flessibilità massima e precarizzazione. Con il provvedimento al nostro esame si supera praticamente qualunque forma di contrattazione, in una logica che dà sempre più libertà al padronato di muoversi a suo piacimento: con le sue leggi, con le sue regole e senza rendere conto a nessuno.
In effetti, nel nostro paese, dove quel poco lavoro che ancora vi è e dove esistono poche fabbriche che ancora lavorano, ci si permette di adottare orari flessibili, straordinari, in notturno, di sabato e di domenica; tutto ciò mentre altre fabbriche vengono addirittura chiuse ed altre - come avviene a Pomigliano e ad Arese - lavorano solamente due giorni su sette o una settimana su quattro!
Sottolineo che anche questo Governo, in perfetta sintonia con i precedenti, ha continuato a garantire nuova cassa integrazione al padronato senza alcuna verifica del loro operato. Nella sostanza, il poco lavoro ancora esistente viene ulteriormente precarizzato. Nello stesso tempo, naturalmente, si disattendono gli accordi, le leggi - anzi, queste ultime vengono il più delle volte completamente calpestate - e i diritti dei lavoratori non sono tutelati fino al punto che le leggi che valgono sul territorio italiano rischiano di non contare all'interno delle fabbriche e di essere praticamente carta straccia.
Non si sa per quale motivo si voglia penalizzare i lavoratori con questo tipo di provvedimento, ritenendoli quasi responsabili di quella che è oggi la precarizzazione e lo stato del lavoro in Italia. I lavoratori vengono poi messi nelle condizioni di accontentarsi e di accettare la logica del "meno peggio", che si configura nella seguente maniera: è meglio questo oggi, che chissà quali altri provvedimenti ancora peggiori domani!
Non è possibile continuare sulla via della precarizzazione: siamo arrivati al punto di dire basta. Non è possibile accettare il decreto-legge n. 510 del 1996, che percorre con grande convinzione - risultando pienamente conforme ai patti per il lavoro - questa via, nel modo in cui è attualmente stato predisposto. È un provvedimento, infatti, che penalizza e precarizza: oggi tutti i lavoratori - compresa la sottoscritta - sono candidati ai lavori socialmente utili; e questo si verifica dalla sera al mattino, quando il padrone decide che non serviamo più e ci butta fuori dalla fabbrica con la legge n. 223, che rappresenta un altro "capolavoro" di questi ultimi anni. Nella sostanza, dal lavoro di fabbrica, dal lavoro regolamentato, dalla contrattazione si è passati e si passa alla grande precarietà e al non avere idea di che cosa accadrà domani. Tutto ciò non coinvolge solamente e direttamente la vita del lavoratore, ma anche l'intera famiglia e i figli. Proprio negli anni in cui vi sarebbe un maggiore bisogno di assicurare il sostegno necessario alle famiglie, questi provvedimenti colpiscono i lavoratori nell'età più precaria, tra i quaranta e cinquant'anni, quando i figli non sono ancora indipendenti essendo ancora bisognosi del sostegno della famiglia. In questa situazione praticamente nessuno è disponibile ad assorbire questi lavoratori in altre attività.


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Che cosa prevede il decreto-legge sui lavori socialmente utili? Nella sostanza, prevede ulteriore precarizzazione; praticamente con tale provvedimento vengono negati tutti i diritti, compresi quelli fondamentali che valgono per tutti i lavoratori: mi riferisco a quelli relativi alle ferie, alle festività ed alla malattia. Come si può legiferare in un modo simile? Ma, quel che è peggio, come si può pensare di legiferare assicurando un salario da fame alle famiglie che sono e saranno sempre più coinvolte da questo decreto?
Signor Presidente, un salario di 800 mila lire in Italia, dove solo la casa porta via un milione al mese, non può garantire una vita dignitosa a chi il lavoro lo ha avuto o a chi probabilmente non lo avrà mai, soprattutto nelle nostre regioni del Mezzogiorno! E come si fa poi a stabilire - come prevede il comma 3 dell'articolo 6 - che il sostegno per i contratti di solidarietà è pari al 60 per cento anziché al 75 per cento come era prima?
Ma è forse colpa degli operai se non si lavora, se si lavora due giorni su sette? Non sono forse gli operai che si svegliano alle quattro del mattino per andare in fabbrica, per poi essere costretti a tornare a casa pagando anche il trasporto il cui costo rimane invariato ed assorbe altri soldi? È forse colpa di questi operai se non si lavora più, se non c'è lavoro, se si precarizza? Io credo proprio di no. Chi si sveglia alle quattro del mattino per passare otto ore alla catena di montaggio, signor Presidente, colleghi, ha diritto ad un salario dignitoso per sé e per la sua famiglia. Credo che un Parlamento non possa non assumere questo come un bisogno fondamentale, come un minimo di giustizia sociale da assicurare.
Tutto questo poi accade mentre i profitti per i padroni restano inalterati, mentre l'evasione fiscale continua a toccare il tetto dei 220 mila miliardi l'anno. Ma è possibile ripercorrere sempre la stessa via: sacrifici per i più deboli che sono costretti a sborsare, che sono costretti a rinunciare e a veder calpestati i propri diritti, a non avere assicurata una vita dignitosa per loro stessi e per le loro famiglie? Io credo di no. Non è colpa degli operai se i padroni non sanno fare neanche la loro parte e se si limitano a gestire le aziende come magari farebbe il più piccolo dei nostri figli, senza alcuna strategia, senza alcuna volontà di mantener fede anche quel minimo di accordi che pure stipulano in linea di massima con i sindacati! Tutti gli accordi, infatti, vengono sistematicamente disattesi, per poi scaricare sui lavoratori le loro responsabilità.
Ebbene, in questo decreto si va anche oltre, sino al punto da arrivare al comma 21 dell'articolo 9 che è una vera vergogna. Come si fa a pretendere l'intervento del Governo su questioni già decise dalla magistratura? Viene stabilito infatti, con effetto dalla data di costituzione dell'ente poste, che in nessun caso i contratti di lavoro a tempo determinato possono dar luogo a contratti di lavoro a tempo indeterminato. Si tratta di circa duemila lavoratori assunti dall'ente poste che hanno lavorato e sono soprattutto giovani del nord ma moltissimi anche del sud. È questa la risposta che si dà alla sete e alla fame di lavoro che c'è nel nostro meridione? Credo che questi giovani abbiano tutti diritto al lavoro perché hanno lavorato per le poste ed è questo stesso ente che oggi dichiara di aver bisogno di nuove assunzioni (si parla di cinquemila nuove assunzioni). Allora perché non assumere innanzitutto chi ha già lavorato in una situazione di precarietà? Credo che a questi lavoratori vadano assicurati gli stessi diritti. Purtroppo, però, siamo di fronte all'ennesimo caso di prepotente ingerenza del Governo in questioni già decise dalla magistratura. Vi è stato il precedente delle mense dell'Alfa Romeo, a proposito del quale io stessa ed i miei compagni di lavoro abbiamo visto un diritto sacrosanto, riconosciuto da tutte le magistrature d'Italia, cancellato con un colpo di spugna, così come sta accadendo oggi, dal Parlamento.
Tanti lavoratori, che ritengono di vivere in uno Stato di diritto e che quindi si rivolgono al giudice per ottenere giustizia, dopo averla ottenuta in base alle leggi dello Stato, si trovano di fronte al nemico


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Governo, che li deruba dei diritti loro riconosciuti e delle sentenze pretorili, riducendo queste ultime a carta straccia. Ciò che è più grave, come nel caso presente, è che vengono privati del posto di lavoro. Non credo che questo sia un buon esempio per i nostri giovani, che credono nel Parlamento e vogliono andare avanti. Non possiamo dare loro un esempio di questo tipo; è una bruttura che va cancellata ed invece è stata inserita nel provvedimento in discussione.
A tanti tale decreto-legge sembra equo, giusto, necessario ed urgente. Ma quale urgenza? Vi è forse tanta urgenza di precarizzare ancora di più, di licenziare, di privare del lavoro coloro i quali già hanno lavorato?
Per tutti questi motivi ritengo che il decreto-legge n. 510 concernente i lavori socialmente utili possa essere definito come la legalizzazione del lavoro nero nel nostro paese. E Dio sa quanto ne abbiamo già! Poi, moltissimi, la maggior parte di coloro che siedono in Parlamento, si scandalizzano - primi fra tutti i sindacati - quando si viene a conoscenza del fatto che spesso nei sottoscala si svolge, come a Pomigliano d'Arco, per opera addirittura della FIAT, lavoro nero a 30 mila lire alla settimana: ragazze che lavorano senza regole, senza leggi, senza diritti. Allora non possiamo scandalizzarci di tali situazioni se riteniamo che il decreto-legge in discussione possa essere utile al mondo del lavoro, a chi un lavoro lo ha o lo cerca o lo aspetta e forse lo aspetterà per tutta la vita.
In definitiva, non possiamo che affermare che si tratta di un pessimo decreto-legge; quando dico "possiamo" mi riferisco a tutti quei lavoratori, ai disoccupati, ai cassaintegrati, ai precari, ai giovani, a tutti coloro che, insieme a me, nello SLAI-COBAS portano avanti una battaglia di libertà, di garanzie, di rispetto dei diritti, della parola, della democrazia nel mondo del lavoro e fuori. Mi riferisco, dunque, a tutti quelli con i quali conduco tali battaglie.
Se determinati lavori sono realmente socialmente utili per le nostre città così degradate - e che sono la testimonianza di quanto vi sia necessità di tali lavori - allora dobbiamo avere il coraggio di renderli definitivi e soprattutto, signor Presidente, di prevedere un salario, garanzie ed una contrattazione che tutelino - come ancora avviene nel nostro paese - i lavoratori, tutti i lavoratori. Dunque, un lavoro definitivo con regole certe e con garanzie uguali per tutti coloro che lavorano.

PRESIDENTE. Constato, per la seconda volta, l'assenza dell'onorevole Guidi, iscritto a parlare: s'intende, pertanto, che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Polizzi. Ne ha facoltà.

ROSARIO POLIZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, è già stato ampiamente sottolineato quanto la crisi occupazionale in Italia abbia toccato, negli ultimi anni, picchi di portata storica, raggiungendo livelli non più sostenibili. Ciò anche in ragione del disagio sociale provocato dalla congiuntura sfavorevole. A tutto questo aggiungiamo un tipo di politica del Governo nel settore dell'occupazione veramente disastrosa e bene ha fatto adesso l'esecutivo a presentare il disegno di legge in esame sul lavoro socialmente utile.
Il problema però - e chi parla ha avuto anche esperienze di governo regionale - è che si sarebbe dovuto trattare di un progetto e di un programma molto meglio articolati, che avrebbero dovuto presentare una profondità operativa differente che potesse poi essere gestita in maniera più organica.
Va sottolineata in questa sede la complessità e l'articolazione delle tematiche trattate, nonché l'entità che il provvedimento originale ha assunto nel corso delle successive reiterazioni, tanto che si sarebbe potuto facilmente dar luogo ad una serie di distinti provvedimenti. Sarebbe stato meglio e più chiaro per chi poi deve provvedere a progettare.
Tutto ciò conferma che i Governi che finora si sono succeduti hanno affrontato il problema con estrema superficialità.


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Il provvedimento in esame, in sostanza, pur muovendo da buone intenzioni, ha carattere frammentario, disorganico e determinato solo da mere illusioni. Esso non produrrà un rilancio dell'occupazione, poiché si limita a perseguire la strada dell'assistenzialismo, tipica di certe forze politiche.
Si tratta di interventi di sostegno al reddito parziali e limitati. Il Governo avrebbe invece il dovere di presentare al Parlamento un disegno organico, per dare concrete speranze di rilancio all'occupazione. Noi riteniamo dunque un itinerario assolutamente obbligato intervenire per fronteggiare una vera e propria emergenza sociale.
È opportuno altresì porre fine alla politica assistenzialistica e passare finalmente ad un'articolata politica programmatoria. Tale politica deve giungere, in maniera molto chiara ed univoca, soprattutto agli enti locali, perché possano attivarsi in una progettualità ad ampio respiro. Da parte degli enti locali capire quale sia l'importanza del progetto lavori socialmente utili è fondamentale, ma poterlo rendere operativo è ancora più importante. Ciò assume grande rilievo perché noi riteniamo che così si possa realmente combattere il lavoro nero.
È costume pensare che l'utilizzo dei lavoratori in impieghi socialmente utili determini l'instaurazione di un lavoro subordinato e ciò è più accentuato nelle regioni del Mezzogiorno. Il lavoro socialmente utile, come peraltro è dimostrato ampiamente dalla letteratura in materia, non rappresenta la soluzione del dramma occupazione, anche se costituisce un elemento di novità che potrà consentire di impiegare un elevato numero di soggetti iscritti nelle liste di collocamento. Ma le caratterizzazioni che noi chiediamo sono in primo luogo la previsione, nell'ambito del progetto, di un'attività formativa volta alla qualificazione professionale di soggetti impiegati. Tale attività, oltre ad essere un arricchimento personale di grande rilevanza sociale, è finalizzata a consentire al lavoratore l'inserimento successivo nel mercato del lavoro attraverso forme di autoimpiego: lavoro socialmente utile, formazione professionale e, quindi, reinserimento nel meccanismo del mondo del lavoro.
Chiediamo inoltre la definizione delle priorità in base alle quali si stabilisce un punteggio nella formazione della graduatoria dei progetti proposti e l'attuazione riservata a determinati settori di attività (per esempio, servizio e cura della persona, risanamento e valorizzazione ambientale, tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali). In tal senso ed operando in questa maniera, riusciremmo a reinserire, attraverso un meccanismo di formazione qualificata, quei lavoratori collocati momentaneamente nel progetto dei lavori socialmente utili.
Riteniamo la previsione dell'assistenza tecnica nella fase di predisposizione per l'avvio e la realizzazione di progetti molto importante, con la valorizzazione dell'agenzia per l'impiego e della commissione regionale per l'impiego.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Tringali, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli. Ne ha facoltà.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel motivare la mia contrarietà al decreto-legge n. 510 del 1 ottobre, oggi al nostro esame, desidero partire innanzitutto dall'abuso che con il presente atto il Governo compie nei confronti dello spirito e della lettera della Costituzione, che prevede il ricorso al decreto-legge in casi straordinari, in maniera limitata e per occasioni imprevedibili rispetto alle quali sia impossibile provvedere attraverso l'attività legislativa ordinaria del Parlamento.
Si sa che nei fatti il decreto-legge è diventato strumento abituale dell'attività governativa, non per atti straordinariamente necessari ed urgenti, ma per assicurare celerità ad atti governativi che si vuole vedere approvare rapidamente.
L'attuale Governo viene sempre più spesso meno anche ad altri principi previsti


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per i decreti-legge: mi riferisco, per esempio, alla legge n. 400, che stabilisce l'obbligo di dichiarare esplicitamente le motivazioni nel preambolo nonché la necessità di evitare decreti-omnibus, cioè decreti che toccano settori diversi e disparati. Nelle intenzioni del legislatore, quindi, si voleva un decreto-legge per ogni argomento, il divieto di disposizioni in settori eterogenei e il divieto di titoli non corrispondenti a contenuti discordanti.
Con il decreto-legge n. 510 il Governo si è, per l'ennesima volta, sperimentato nel misurare la propria capacità di evitare qualunque rispetto della Costituzione, della legge, del Parlamento, e a tirare diritto in quella sfida con le istituzioni che finirà per travolgerlo.
Prima di entrare nel merito dei contenuti, in via preliminare ritengo giusto sottolineare il carattere inopportuno ed inadeguato di una normativa sui lavori socialmente utili in mancanza a tutt'oggi nel nostro diritto di un atto legislativo che definisca questa categoria astratta.
Quali sono i lavori socialmente utili in mancanza di una specifica definizione, senza una precisa elencazione dei medesimi? Nel caso in esame mancano addirittura i requisiti e i criteri per qualificare un intervento quale espressione di lavoro socialmente utile. Ma - lo ripeto - ci troviamo di fronte ad un Governo sordo e cieco e purtroppo anche socialmente inutile! Infatti, con il decreto-legge n. 510 le intenzioni, gli obiettivi e gli interessi in campo occupazionale e di rilancio si vanificheranno tutti, rientrando questo provvedimento nel filone classico e cronico dell'assistenzialismo che, perseguito in tutti questi anni da tutti i Governi del centro-sinistra, ha dimostrato di essere una scelta fallimentare per l'economia del paese e per il bilancio dello Stato.
Possiamo aggiungere che si tratta di assistenzialismo interessato e di un utile strumento di manovra elettorale e di controllo sociale che incentiva migliaia di persone alla passività e alla ricerca dell'aiuto "materno" dello Stato; si tratta di un intervento che dimentica totalmente il blocco sociale dominante nel paese, che è attivo e non passivo, e che attende dallo Stato non aiuti assistenziali ma scelte politiche coraggiose nonché l'abbattimento di quelle barriere che ostacolano lo sviluppo, come sono tutti i vincoli esistenti in Italia in materia di lavoro.
Per troppi anni si è ricorso all'intervento pubblico in interi settori sociali, causando tutte le degenerazioni possibili di tipo clientelare per poter oggi accettare che un Governo, che dice di voler entrare in Europa, riproponga queste misure che non sono previste in nessun paese d'Europa.
Ciò che emerge chiaramente è la totale mancanza di un disegno strategico complessivo diretto a combattere la disoccupazione attraverso i meccanismi di mercato. Questi sono gli unici che possono ridurre il disagio sociale senza gravare sulle casse dello Stato e senza appesantire ulteriormente la pressione fiscale che finirà per alimentare sempre di più la recessione.
La disoccupazione è un fatto reale e non fittizio, che si risolve o meglio si diminuisce sviluppando processi produttivi adeguati e ai quali ci si riconduce grazie ad un sistema di collocamento privato efficiente, e non utilizzando un sistema di collocamento pubblico inadeguato a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
L'orientamento politico del presente provvedimento è quello di tamponare il disagio sociale con proroghe che non risolvono in maniera definitiva la situazione dei lavoratori disoccupati e, in più, incidono negativamente sulla possibilità di mettere in moto meccanismi seri di sviluppo del mercato. Si continua ad intervenire in senso solidaristico, senza rendersi conto che la solidarietà è parte di una medaglia che deve prevedere anche proposte normative per privatizzare il collocamento e per rendere più flessibile il mercato del lavoro. A Firenze si dice "senza lilleri non si lallera", ma la serietà del momento non ci permette di usare questo tipo di riferimento; è più consono dire che il piatto piange e, con esso, tutti i disoccupati che da anni credono ancora


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alle parole e alle scelte di Governi di centro-sinistra che si consultano solo con i sindacati e mortificano il mondo del lavoro, che ha bisogno invece di ricreare quel circolo virtuoso nel quale le imprese siano in grado di assumere attraverso contratti a tempo parziale o a tempo determinato e con un costo e rischi inferiori a quelli attuali. Soltanto in questo modo chi non ha lavoro può sperare di rientrare nel circolo produttivo.
I contratti meno impegnativi per le imprese non rappresentano solo un'opportunità per i disoccupati per riacquistare una capacità di produrre reddito, ma sono anche una forma di riqualificazione professionale acquisita direttamente sul campo. I benefici di questa impostazione sono largamente superiori a quelli conseguenti alle soluzioni prospettate dal decreto-legge n. 510, che tra l'altro prevede corsi di formazione organizzati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale: si tratta dei corsi già più volte criticati dai più prestigiosi centri di ricerca del settore, come quelli dell'OCSE o del McKinsey Institute. Da tali analisi risulta evidente che, a fronte del fallimento in termini di posti di lavoro dei corsi di formazione organizzati dall'Unione europea, grandi risultati si sono invece ottenuti laddove sono state create misure di liberalizzazione non solo del mercato del lavoro ma anche di quello dei beni e dei servizi.
L'intenzione di chi ha scritto e difende il provvedimento in esame non è quella di emancipare gli individui permettendo loro di contare su se stessi, ma quella di mantenerli asserviti al potere pubblico in un sistema di protezione sociale fuori dal mondo. I lavori socialmente utili e la formazione risultano con il provvedimento in questione semplici espedienti per mascherare obiettivi di tipo ideologico più profondo, con i quali si vuole ancora una volta affermare un ruolo assistenzialistico di questo Stato sfasciato. Si tratta di un assistenzialismo che peraltro compie scelte precise e non va incontro alla generalità dei bisognosi, come dovrebbe fare un vero Stato sociale. Al contrario, i beneficiati da questo provvedimento hanno nome e cognome; si creano disagiati per i quali si deve intervenire, mentre altri sono totalmente esclusi ed emarginati e non potranno accedere al sistema degli aiuti e della protezione assistenzialistico-clientelare e nello stesso tempo non potranno contare sulle proprie forze a causa di un sistema sovraregolamentato, che impedisce la sana competizione tra gli individui e nel quale è esclusa una flessibilità effettiva di sviluppo.
Un brutto provvedimento, dunque, incapace di risolvere i problemi del lavoro e dell'occupazione, che si colloca nel filone classico e cronico della concezione statalista più retriva, senza una strategia complessiva, scritto da menti sindacalizzate, che non affronta minimamente i gravi problemi che chi ci governa dovrebbe avere interesse quanto noi a vedere risolti.
Per tutti questi motivi e per tanti altri che sono scritti nero su bianco nel decreto-legge n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, voterò contro questo provvedimento governativo sottoposto all'approvazione dell'Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bergamo. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BERGAMO. Il disegno di legge di conversione n. 2698, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, è un'ulteriore e chiara conferma della linea di indirizzo del Governo dell'Ulivo. Quest'altra perla arriva a distanza di qualche giorno dalla discussione ed approvazione da parte della maggioranza, isolata in aula e nell'intero paese, della legge finanziaria per il 1997, definita "legge di Pinocchio" da tutti gli osservatori e purtroppo anche all'estero, perché di fatto contiene norme che sono l'opposto di quanto il Presidente del Consiglio Prodi, durante la campagna elettorale, decantava avrebbe fatto il suo Governo.


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Il percorso del Governo è del tutto evidente e manifesta molto chiaramente la volontà e l'essenza di questa maggioranza, che continua a perseverare nel legiferare in maniera contraria rispetto agli altri 14 paesi che si avvicinano all'Europa. Tutto ciò è visto con grande soddisfazione ed entusiasmo da parte dell'onorevole Bertinotti, il quale ha testualmente dichiarato che la nostra finanziaria costituisce l'unico approccio a Maastricht diverso, attento al sociale, lontano dai tagli operati dai governi di centro-destra negli altri paesi europei. Infatti non è difficile capire quanto siano diverse dalla nostra manovra quelle degli altri partner, che hanno cercato di raddrizzare i loro conti (senz'altro migliori dei nostri) tagliando spese inutili e privilegi, diminuendo il costo del lavoro, sollecitando l'iniziativa privata, favorendo gli investitori nei loro mercati. Del tutto evidenti sono anche sia la scarsa considerazione nei nostri confronti degli osservatori economici sia l'inesistente peso dei nostri ministri nelle trattative internazionali. Certo, non sono in discussione le affermazioni di Bertinotti, almeno oggi, ma desideravo rilevare la forte contraddizione esistente all'interno della coalizione che sostiene il Governo e la mancanza di coerenza rispetto a quando nel mese di giugno i ministri Ciampi e Dini affermavano, come linea di principio generale, al tavolo con gli altri ministri economici dei governi degli Stati membri dell'Unione europea, che l'avvicinamento a Maastricht non sarebbe stato perseguibile attraverso l'aumento della pressione fiscale e la penalizzazione dell'iniziativa privata. Ebbene, sono stati capaci di operare proprio e solo in questo modo.
Per ciò che riguarda i lavori socialmente utili si conferma, come ho già detto, l'andazzo incerto del Governo, il suo navigare a vista, senza una strategia di fondo, senza un progetto globale per la risoluzione del problema della disoccupazione. Eppure in campagna elettorale questa coalizione aveva garantito che la disoccupazione sarebbe stata l'obiettivo primario dell'Ulivo e sarebbe stata debellata entro i primi tre mesi di Governo. Grazie a questo forte interesse oggi non solo gli indici di disoccupazione sono notevolmente cresciuti, soprattutto nelle regioni meridionali, ma la forte contrazione dei consumi ha altresì creato, di fatto, una tendenza alla recessione, inevitabilmente già in atto in tutto il paese, tendenza che produce e produrrà ancora nuovi disoccupati. Ultimamente la televisione ha confermato che le città più povere sono quelle meridionali: in particolare, quelle della Calabria, che è considerata il sud del sud, si collocano all'ultimo drammatico gradino della graduatoria. Un bluff si è rivelato il famoso patto del lavoro sottoscritto a Napoli da Governo e sindacati, che prevedeva appunto che 1.500 dei 4 mila miliardi occorrenti per questo patto sarebbero stati reperiti nella finanziaria 1997. E invece, andando a spulciare il capitolo del lavoro, si riscontra che gli stanziamenti in favore di questo erano uguali alla somma di lire zero. Complimenti, Ulivo! E complimenti per la vostra demagogia e per le vostre bugie, coperte per lo più da una stampa di regime.
Con i lavori socialmente utili il Governo compie un'altra manovra elettoralistica, come quella che fece Dini qualche giorno prima del 21 aprile, quando inviò lettere a pensionati di mezza Italia, scrivendo loro che sarebbero arrivati ben presto alcuni rimborsi che la gente aspettava da anni. È inutile dire che quella gente aspetta ancora.
Il provvedimento oggi al nostro esame, signor Presidente, non è altro che un ombrello protettivo, è un intervento volto a rinviare il problema e a non considerare la drammaticità della situazione nelle regioni meridionali in particolare. Come parlamentare calabrese, non posso non essere d'accordo in questo momento sulla necessità di considerare, anche in modo sbagliato, all'opposto di quanto occorrerebbe, la tragedia delle famiglie meridionali, che in molti casi non hanno la possibilità non di fare le spese natalizie, professor Prodi, ma di acquistare i generi di prima necessità.
Ma i lavori socialmente utili sono anche un ombrello protettivo per tutti


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quelli che vi si trovano sotto, nel bene e nel male, a torto o a ragione, ombrello che a volte sottrae risorse a chi ha reali necessità ed a chi dispone investimenti per inventare lavoro vero.
E, in nome della tantissima gente disperata, che conosco personalmente, devo accettare questo intervento assistenziale del Governo, che è contrario ai miei principi e all'ideologia che ho sposato facendo parte del gruppo politico di forza Italia. Devo accettare questo osso che oggi il Governo ci butta, perché altri interventi non vi sono, altre possibilità di sopravvivenza in molte aree della mia terra non esistono.
Non mi imbarazza tutto questo. Mi preoccupano invece il silenzio, l'indifferenza verso i problemi del meridione da parte del Governo. Mi infastidiscono il sorriso sciocco e le rassicurazioni che tutto è tranquillo e tutto va bene da parte di chi ha la responsabilità di questo degrado. Mi stupiscono l'immobilismo e la semplice osservazione di ciò che accade da parte dei colleghi parlamentari calabresi dell'Ulivo, che non sollecitano anch'essi la preparazione di un disegno strategico, un disegno complessivo, volto a combattere la disoccupazione attraverso i meccanismi di mercato.
Se non si interviene sulla flessibilità del costo del lavoro, sulla privatizzazione degli uffici di collocamento, sui corsi di formazione e qualificazione professionale all'interno dei cicli produttivi delle aziende, se non si procede al varo dell'unica impostazione culturale che può dare beneficio e creare posti di lavoro veri, e cioè il libero mercato, allora continueremo per sempre con questi "governicchi", che emanano provvedimenti di carattere assistenziale mascherati, per l'appunto, proprio dai lavori socialmente utili, e corsi di formazione professionale avulsi dalle realtà economico-produttive.
In conclusione, sono d'accordo con quanto al Senato ha affermato il collega Filograna, relatore di minoranza: è evidente ormai che non è interesse di alcune parti politiche (e sindacali, aggiungo io) emancipare migliaia di individui da un sistema di protezione sociale e permettere loro di contare su se stessi, in una situazione di piena opportunità che si può realizzare in un mercato del lavoro svincolato da legacci e condizionamenti di varia natura. Questo concetto è confortato da tanti esempi nel meridione: le industrie decotte, che attraverso gli ammortizzatori sociali, attraverso la strumentalizzazione da parte dei sindacati vivacchiano da decenni senza voler cercare o ricercare una soluzione di riconversione valida. È evidente che il mantenimento dello stato di povertà, e quindi di malessere, crea quel tipo di tensione sociale che sfocia nella protesta e nel condizionamento di parti politiche e sociali. Fin quando non si azzererà il gioco vizioso operato da chi condiziona la politica e i carrozzoni di Stato (e vale come esempio solo la GEPI Spa), sarà impossibile capire quale sia lo stato vero della realtà del meridione.
Il disegno di legge in discussione oggi non è altro che un semplice espediente, lo abbiamo detto prima: è il classico pannicello caldo che viene messo su un grande dramma che vive il popolo meridionale, alle prese con la triste realtà della mancanza di posti di lavoro e della perdita costante di quelli esistenti. Il sud però ha bisogno anche di questo e non ci si può vergognare di chiedere aiuto quando vi sono la necessità e l'esasperazione.
Il meridione chiede da anni di potersi emancipare per mezzo di un chiaro indirizzo di sviluppo economico e sociale che non può essere ovviamente anticulturale; abbiamo bisogno di un progetto che avvicini questo sud al resto d'Italia e all'Europa in termini reali e non virtuali, con semplici dichiarazioni demagogiche senza fondamento.
Noi oggi continuiamo a scontrarci con l'ottusità dimostrata dal Governo che massacra l'iniziativa privata e il ceto medio, schiaccia la fantasia ed il genio imprenditoriale italiano per cui non resta altro che protestare con forza e con rabbia, così come abbiamo fatto, denunciando il ripercorrere la stessa strada, le stesse intenzioni e volontà politiche degli stessi personaggi che, come in passato,


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governano anche oggi l'Italia ammazzandone l'economia e lo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, deve esserci un equivoco: io non mi ero iscritto a parlare.

PRESIDENTE. Ne prendo atto.
Constato l'assenza dell'onorevole Taradash, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Michielon. Ne ha facoltà.

MAURO MICHIELON. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, prima di addentrarci nella vera e propria discussione generale, la lega nord per l'indipendenza della Padania ritiene che si debba fare una premessa importante.
La scorsa settimana l'onorevole Berlusconi, nel corso della trasmissione Porta a porta, ha accusato gli italiani di aver regalato 4 milioni di voti alla lega, voti che hanno permesso a Bertinotti di essere al Governo. Alla fine è sempre colpa della lega! Sono bugie, lo sanno tutti, ma purtroppo l'onorevole Berlusconi è un artista come teleimbonitore, anche se ai parlamentari le bugie non le può dire.
Se l'onorevole Berlusconi ha perso le elezioni, lo deve all'amico Fini che gli ha fatto calare le "braghe" e l'ha mandato a votare subito, imponendogli, nella scorsa legislatura, il non accordo con il PDS. Questa è la verità! L'onorevole Berlusconi ha perso per tale motivo ed allora non cerchi sempre di dare colpa alla lega, ma si guardi intorno.
L'onorevole Berlusconi è probabilmente un grande manager ma è un pessimo politico; questo lo dimostra.
La cosa peggiore è che in questa legislatura forza Italia è organica all'Ulivo; forza Italia sta facendo la politica dell'Ulivo e gli sta dando una mano, e il decreto in esame è l'ultimo esempio. Ormai non sanno più a quali escamotage ricorrere; sono arrivati alla prova del nove. Sfido i rappresentanti di forza Italia a dire che ciò non è vero. L'aver presentato 300 emendamenti vuol dire dare una mano al Governo affinché ponga la fiducia su questo decreto, che è vergognoso ed è un insulto all'intelligenza. Forza Italia non è - come noi diciamo da sempre - un partito sociale ma un partito assistenziale ed ha bisogno di voti anche in Sicilia e in Campania. Questa è la realtà! E i 300 emendamenti hanno solo questo significato. C'è il pericolo, visto che il decreto scade il 2 dicembre, che qualsiasi tipo di emendamento approvato e migliorativo di questo decreto (ed il decreto ha bisogno di miglioramenti: spiegherò poi per quali motivi), costringa il decreto a tornare al Senato; e, se non sarà convertito in tempo utile, decadrà. È questo il problema di forza Italia, la quale sta facendo la politica dell'Ulivo. L'ha fatta sul Banco di Napoli; dice di aver votato contro, ma noi abbiamo la lista dei deputati che erano assenti. La realtà è che, pur di non votare contro, moltissimi deputati di forza Italia e anche del Polo non si sono fatti vedere in aula, oppure c'erano e non votavano. Allora bisogna smetterla di prenderci in giro.
Se l'onorevole Berlusconi ha problemi con le televisioni e con la giustizia, faccia accordi con chi vuole - è legittimo - però lo dica chiaramente e non prenda in giro i cittadini italiani attraverso i mezzi di informazione, raccontando bugie. Purtroppo in questo caso non ha potuto dire: forza Italia ha presentato 300 emendamenti ostruzionistici - questa è la realtà - per indurre il Governo a porre la questione di fiducia e per fare in modo che esca sui giornali di Berlusconi la notizia che il Polo fa opposizione. No, il Polo è organico all'Ulivo! Il Polo è lo stesso che durante l'esame della legge finanziaria ha dichiarato, per bocca del presidente Pisanu: trattiamo con il Governo sulle deleghe. E però si trattava con gli emendamenti presentati dalla lega! Neanche durante l'esame della legge finanziaria forza Italia ha brillato quanto a


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numero di emendamenti presentati: gli emendamenti li presentava la lega ed il signor Pisanu andava a trattare con il Governo! Siamo arrivati all'assurdo!
Questa è la realtà e perciò io invito formalmente forza Italia a continuare a fare ostruzionismo, come sta facendo, ma ad essere anche onesta: questo ostruzionismo è fatto in maniera scientifica affinché si arrivi al voto di fiducia e non si tocchi affatto il decreto-legge che a voi di forza Italia va bene, va molto bene. Questa è la realtà! Ed è questo che si deve sapere e che noi faremo sapere. Voi, con tutte le chiacchiere che state facendo adesso sull'assistenzialismo, presentando 300 emendamenti dite al Governo: poni la questione di fiducia, noi voteremo contro ma ci metteremo d'accordo e comunque il decreto passerà. Questa è una vergogna che bisogna denunciare! Voi siete organici all'Ulivo e, se c'è qualcuno che sta dando una mano a Bertinotti, siete proprio voi.
Passiamo adesso a vedere perché i deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania hanno presentato pochi emendamenti rispetto al peso di questo decreto-legge, che è importante e complesso. Sono pochi, ma a nostro giudizio importanti e sicuramente migliorativi del testo.
Il primo problema che ci siamo posti è quello di fornire una definizione di lavori socialmente utili: quali sono, cosa vuol dire questa espressione? A distanza di due anni non sappiamo ancora a cosa ci riferiamo e del problema è cosciente anche il Governo, il quale, guarda caso, ha fatto presente che le giunte approvavano i progetti relativi ai lavori socialmente utili di concerto con i prefetti, senza andare in consiglio comunale. È chiaro, infatti, che, non sapendo con precisione quali siano i lavori socialmente utili, l'unico modo per aggirare l'ostacolo era quello di accordarsi con il prefetto: questi signori devono lavorare, facciamogli fare di tutto, l'importante è che si trovi una giustificazione.
Visto che tutti parlano di federalismo, noi pensiamo sia giusto che il prefetto intervenga rapidamente su questo, ma la ratifica finale spetta al consiglio comunale. Se i progetti devono essere approvati velocemente, ci va bene che intervenga il prefetto, il quale peraltro è la massima espressione del centralismo romano, ma riteniamo indispensabile la ratifica successiva del consiglio comunale, che però non c'è. E questo va contro ogni logica, contro il federalismo, contro l'autonomia degli enti locali. La legge n. 142 l'avete redatta voi, signori! Ed anche la modifica dell'articolo 81 l'avete fatta voi! L'articolo 32, poi, parla di indirizzo e di controllo del consiglio comunale: erano gli unici due poteri che gli erano rimasti ed ora glieli avete tolti! Complimenti!
Dopo due anni che si parla di lavori socialmente utili, ora si legge dell'attivazione dei progetti ad essi relativi: probabilmente sarebbe più corretto parlare di regolarizzazione di tali progetti, perché sicuramente sono già stati attivati. Occorrerebbe un po' di amor proprio: non prendiamoci in giro, visto che sono due anni che si va avanti con le reiterazioni!
Era poi importante sapere in quali aree si dovevano realizzare questi progetti: noi avevamo chiesto che fossero chiare e precise.
A tal fine abbiamo fatto riferimento alla normativa CEE che già stabilisce quali sono le aree a declino industriale. Questa scelta però non va bene perché, su 83 mila unità impiegate su lavori socialmente utili, 59 mila sono concentrate in Campania e Sicilia. Si è deciso di non stabilire e in maniera definita quali siano le aree, perché altrimenti non si possono fare operazioni che noi riteniamo assistenziali.
La relazione del Governo tra l'altro ci fornisce numerosi dati, il che è un bene. Però alla fine viene da chiedersi quanti posti di lavoro siano stati creati. Si parla tanto di cooperative, di no profit - un'espressione che va molto di moda adesso -, ma in realtà quanta gente su queste 83 mila unità è riuscita a trovare un'occupazione stabile negli ultimi due anni? Non viene detto. Io spero che vi siano persone occupate stabilmente, ma ho i miei dubbi. Ad ogni modo vorremmo saperlo perché il nuovo accordo e patto


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sul lavoro, che sembra debba risolvere tutti i mali del mondo, non prenderà l'avvio il 1 gennaio 1997 se queste persone, o almeno una parte delle stesse, non avrà trovato nel frattempo una collocazione certa. Ma allora il 1 gennaio 1997 ci troveremo queste persone fuori dalla porta di Montecitorio. Questo è chiaro e logico.
I dati fornitici, tra l'altro in fretta perché le cifre in merito ai lavori socialmente utili sono state messe a disposizione di questo ramo del Parlamento solamente la settimana scorsa, sono tali da non consentirci di comprendere la realtà dei fatti. Non si capisce infatti se i lavori socialmente utili sono stati un mezzo, un escamotage per dare una "paghetta" per due anni a gente che si trova in difficoltà o se in realtà abbiamo creato veramente lavoro, che penso fosse l'obiettivo che ci si prefiggeva visto che si utilizzavano i soldi del fondo per l'occupazione. Chiederei pertanto al sottosegretario, se è possibile, di fornirci i dati certi per capire come sono andate le cose.
Un altro aspetto eccezionale del decreto è rappresentato dalla norma che prevede che si paghino gli operai quando seguono i corsi di formazione professionale. Se un'industria è in difficoltà è giusto che l'operaio si riconverta e che venga anche pagato nel frattempo, perché ha una famiglia. Ci siamo permessi però di suggerire che l'erogazione dei sussidi venisse correlata alle giornate di effettiva frequenza dei corsi. A nostro avviso, infatti, non basta iscriversi al corso, bisogna anche frequentarlo. Non pretendiamo di sapere se gli operai hanno superato il corso o no perché sappiamo che sono tutti scienziati e superano tutti il corso, ma chiediamo almeno che venga certificata la frequenza. Ci vuole un po' di responsabilità da entrambe le parti.
Non mi sembra pertanto che questi emendamenti siano di carattere razzista come sento sempre dire in quest'aula, né di carattere antimeridionale. Sono cose che non esistono! I nostri emendamenti cercano di affermare un metodo.
Il comma 20 dell'articolo 1 è una perla. Ritengo che qualsiasi lavoratore che lo impugnerà davanti al TAR vincerà. Si arriva a dire che chi è impiegato per due anni in lavori socialmente utili vedrà riconosciuto questo periodo al fine dell'assegnazione di un posto di lavoro. Questo non può accadere perché la maturazione di anzianità su lavori socialmente utili, per due anni, non può assolutamente costituire punteggio per l'occupazione in enti pubblici. Lo spiego per chi non lo sapesse. Chi è iscritto all'ufficio di collocamento, per evitare di occupare l'ultimo posto nella graduatoria, lavora per sei mesi all'anno con un contratto a tempo determinato. Forse ho sbagliato il comma, ma comunque chi ha avuto la fortuna di ottenere un lavoro "socialmente utile" lavora per due anni con i quali acquisisce maggiore punteggio per avere un posto nel pubblico impiego; chi invece è sfortunato, se tutto gli va bene, deve aspettare quattro anni per raggiungere lo stesso risultato.
È questa una norma che va contro il principio di eguaglianza tra i lavoratori. Fra l'altro, chiunque impugni tale norma davanti al TAR è sicuro di ottenere ragione. Sfido chiunque a spiegarmi perché, se si lavora per più di sei mesi facendo riferimento all'ufficio di collocamento, si occupa l'ultimo posto in graduatoria, e quindi non si può aspirare ad una occupazione nel pubblico impiego, mentre chi si avvale della norma prevista in questo decreto-legge lavora per due anni consecutivamente ottenendo un ottimo punteggio. Si tratta di una vera e propria sperequazione. I colleghi della sinistra parlano spesso di giustizia, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse che tipo di giustizia sia questa.
Il provvedimento contiene altre "perle" una delle quali riguarda l'ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo il cui bilancio presenta un "buco" di entità nota a tutti. Da parte sua lo Stato continua a drenare denaro perché questo ente di assistenza non riesce a sostenersi da solo. Con logica e razionalità abbiamo chiesto l'accorpamento di tale ente all'INPS all'interno del


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quale sia organizzata una cassa speciale per i lavoratori dello spettacolo. A nostro giudizio è opportuno accorpare tra loro questi enti di assistenza perché consentono di organizzare meglio il personale. Non ha infatti senso continuare a mantenere in vita un ente che non riesce a pagare né le pensioni né gli stipendi dei suoi dipendenti. Il Governo dovrebbe spiegarci i motivi della sua contrarietà a questa nostra proposta che fra l'altro consente all'amministrazione pubblica di controllare maggiormente la spesa.
Un'altra "perla" è rappresentata dalla lettera f) dell'articolo 1 del decreto-legge con la quale si vogliono coinvolgere i ministri del lavoro e della previdenza sociale e dell'interno, mentre noi chiediamo che vi sia un coinvolgimento del presidente della giunta regionale al posto del ministro dell'interno. Poiché parliamo sempre di lavori "socialmente utili", riteniamo che il presidente della giunta regionale sia molto più vicino ai problemi del territorio e quindi possa dare una valutazione più adeguata rispetto al ministro dell'interno. In pratica non facciamo altro che chiedere provvedimenti che chi parla di federalismo, riempiendosi la bocca di questa parola, conosce meglio di noi. Non siamo venuti qui per insegnare nulla a nessuno ma vorremmo capire perché tutti parlano di federalismo e poi hanno predisposto un decreto-legge che è un insulto a questo concetto e a quello di autonomia locale. Questa è la realtà nota a tutti, compresi voi qui presenti!
Quanto al contenuto vero e proprio del decreto-legge n. 511, ricorderò che esso è stato oggetto di esame da parte della Commissione lavoro per sei mesi tanto che il relatore sapeva a memoria tutti gli emendamenti presentati e si è prodigato per trovare un accordo con tutte le forze politiche. Pur nel rispetto delle diverse posizioni eravamo riusciti ad accordarci sulla possibilità di convertire in aula il decreto. Invece il Governo non ha tenuto conto dell'accordo fra gentiluomini, ha accorpato i decreti-legge n. 510 e 511 e di fatto ha detto al presidente della Commissione lavoro e al relatore che non avevano capito niente e che il loro lavoro non era servito a niente. Si sono svolte riunioni della Commissione la mattina prima dell'inizio dei lavori dell'Assemblea e la sera al termine della seduta d'aula per portare a casa un risultato importante; e questa è stata la risposta! Ne prendo atto, tuttavia ormai - non per mancanza di rispetto nei confronti del presidente della Commissione, ma per una scelta operativa - ho deciso di non andare in Commissione e di presentare gli emendamenti direttamente in aula. È infatti evidente che, con l'attuale modo di procedere dei lavori della Camera, lavorare in Commissione non serve a nulla!
Per quanto riguarda l'articolo 9-bis in materia di collocamento, con il mio emendamento 9-bis.1 Si propone l'introduzione in agricoltura del part time. Mi pare che sia una richiesta legittima e logica, visto che questo "grandissimo" Governo, con il decreto in materia di cumulo delle pensioni, ha sostenuto un discorso del seguente tenore: "Signori, qui bisogna collocare la gente a part time". Ebbene, con il suddetto emendamento noi proponiamo - lo ripeto - l'introduzione del part time nel settore agricolo. Se questo emendamento verrà respinto dall'Assemblea, ce ne dovrete spiegare le ragioni. A meno che non emerga che gli emendamenti "buoni" ve li dobbiamo passare noi, perché se li presentate voi vanno bene e se li presentiamo noi, vanno male (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Poiché so che siete bravi a copiare gli emendamenti, ve li potrei preparare prima! Ricordo che anche durante l'esame della finanziaria si è verificato questo fenomeno: ci siamo trovati di fronte ad emendamenti che il Governo ha copiato. Ciò è avvenuto perché, evidentemente, non è giusto che gli emendamenti presentati dai deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania vengano approvati e che essi abbiano idee, bisogna copiare gli emendamenti perché, se vengono considerati accettabili, vengono ripresi apponendovi una diversa


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firma; altrimenti, non vengono considerati validi! Questa è la situazione in cui siamo ormai giunti.
Per quanto riguarda l'assunzione per chiamata nominativa dei dipendenti, il sottoscritto ed il collega Lembo hanno presentato l'emendamento 9-bis.2, che è del seguente tenore: "Contemporaneamente all'assunzione effettuata ai sensi del comma 1, il datore di lavoro deve inviare, via fax o a mezzo lettera raccomandata, alla sezione circoscrizionale per l'impiego una comunicazione contenente il nominativo del lavoratore assunto, la data dell'assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica ed il trattamento economico e normativo. È fatta eccezione per gli imprenditori singoli iscritti negli elenchi ex SCAU".
Perché abbiamo avanzato tale proposta? Perché i sindacalisti di sinistra non si sono resi conto che se non verranno accolti i contenuti di tale emendamento tutti i responsabili delle imprese che assumeranno del personale potranno dire all'ispettore dell'INPS o a quello del lavoro di averli assunti il giorno precedente e che quindi dispongono di cinque giorni per formalizzare tale atto. Bocciateci pure questo emendamento, ma in questo modo alimenterete il lavoro nero e lo legalizzerete, perché qualsiasi imprenditore si sentirebbe autorizzato ad assumere in nero, limitandosi a dire all'ispettore del lavoro o dell'INPS che tale assunzione è avvenuta ieri o oggi e che, disponendo di cinque giorni per la denuncia, quell'ispettore non ha nulla da obiettare.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 11,05)

MAURO MICHIELON. Questi sono gli emendamenti che stravolgono i bioritmi del Governo in carica! Vorrei ricordare al sottosegretario qui presente che io avevo sollevato questi problemi, proponendo di raggiungere un accordo affinché i contenuti di alcuni emendamenti - che raccoglievano il consenso dell'intera Commissione - potessero essere recepiti nei decreti. Mi avete risposto che ciò si può fare solamente se l'accordo viene formalizzato in Parlamento, cioè se il decreto viene licenziato da una parte del Parlamento. Prendo atto di ciò, ma ritengo che una volta approvato il decreto-legge n. 510 del 1996, incontrerete grossi problemi. Quando sento esprimere la volontà di perseguire il lavoro nero e di combattere chi non paga i contributi all'INPS, mi viene da ridere perché voi non vi accorgete di che cosa state facendo; anzi, pur essendo stati avvertiti dei rischi che si correrebbero, preferite comunque continuare sulla stessa strada, perché gli emendamenti che abbiamo presentato giacciono da sei mesi in Commissione lavoro: sarebbe stato sufficiente prenderli e copiarli. Dico questo non perché ci consideriamo bravi, ma semplicemente per darvi una mano a risolvere i problemi.
Ho presentato poi l'emendamento 9-bis.4, che è del seguente tenore: "Qualora i soggetti beneficiari dei trattamenti ordinari e straordinari di integrazione salariale, di disoccupazione e di mobilità siano chiamati al lavoro ai sensi del comma 1 e rifiutino l'offerta, l'erogazione del trattamento è sospesa". L'emendamento in questione aggiunge poi: "È fatto obbligo ai datori di lavoro privati (...) di informare del rifiuto i competenti organi di collocamento". Ho inteso includere quest'ultima previsione perché ben sappiamo che anche al nord - non abbiamo paura di nasconderci dietro ad un dito - numerosissimi lavoratori preferiscono restare in mobilità, percepire i "soldini" della mobilità e svolgere il doppio lavoro e, con estrema serenità, quando vengono chiamati dai datori di lavoro, rifiutano di lavorare. Il datore di lavoro non è obbligato ad avvertirli e quindi mantengono la mobilità.
Sono questi gli emendamenti volti a migliorare il provvedimento. Non li volete approvare? Una mano vi viene data anche da forza Italia. Trattandosi di circa 300 emendamenti con una bella questione di fiducia risolvete il problema! L'importante è che poi non si legga che forza Italia fa opposizione! Forza Italia dà una


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mano al Governo (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!
Abbiamo presentato un emendamento anche sugli apprendisti. Ci rendiamo conto che il ministro Treu da circa sei mesi continua a parlare di riforma dell'apprendistato. Noi ci siamo permessi di anticipare una soluzione. Se volete, potete accogliere l'emendamento, anche perché il problema dell'apprendistato è piuttosto complesso. Infatti, se si esaminano i contratti nazionali di alcuni settori, si può verificare come gli apprendisti non possano comunque operare per più di sei mesi.
Abbiamo poi proposto un nuovo testo dell'articolo 9-ter recante norme in materia di lavoro agricolo occasionale. Si tratta a nostro avviso di una proposta interessante per il mondo dell'agricoltura dove, come ben sappiamo, durante i periodi di vendemmia o di raccolta delle olive è attualmente molto difficile trovare manodopera. Una volta gli studenti si prestavano a tale lavoro, ora sembra si faccia troppa fatica. I pensionati non si fidano più a svolgere tale opera a causa dei controlli che vengono giustamente effettuati nelle vigne, nelle campagne. È vero che quei controlli non vengono effettuati dappertutto, ma sicuramente ciò si verifica nelle nostre zone.
Abbiamo quindi proposto per lo svolgimento di tali lavori l'assunzione anche delle casalinghe, regolarizzando il rapporto di lavoro con l'INAIL e l'INPS, senza però vincolarlo a tutti quei marchingegni dell'ufficio di collocamento. Il nostro emendamento, peraltro, va nella direzione della politica del Governo. Si è parlato infatti di dare la pensione alle casalinghe; benissimo, ma queste lavoratrici devono però pagarsi i contributi almeno per cinque anni. Questo potrebbe essere un sistema per far sì che delle persone che lavorano al massimo venti giorni nell'arco di un anno, versando un po' di "soldini" al fondo per le casalinghe, riescano bene o male, con lavori saltuari, a pagare i contributi di cinque anni.
Anche questo emendamento, ripeto, va nella direzione del Governo, che ha parlato della famosa pensione per le casalinghe. Onestamente non ho ancora capito come le casalinghe possano pagarsela, sfido il Governo a spiegarmelo perché la questione è stata strombazzata molto bene, ma nessuno ha spiegato alle casalinghe che comunque devono andare a lavorare per pagarsi la pensione!
Inoltre, per dare una mano al settore agricolo, abbiamo proposto che il registro di impresa rilasciato dall'INPS possa essere rilasciato dalle sedi INPS territoriali. Questo perché nel testo del decreto sembra che ogni provincia debba fare riferimento alla sede INPS centrale e non a quella del territorio provinciale. Mi è stato risposto che si tratta di un aspetto banale, che era chiaro che fosse così. Ma chiaro non è, a meno che questo non sia il Governo delle circolari, cosa peraltro vera perché il ministro dell'interno, decaduto il decreto sugli immigrati (di solito si faceva una reitera dei decreti), ha emanato una circolare. Ciò vuol dire che ormai per questo Governo le circolari hanno valore di legge! Mi sembra però che non sia nello stile di uno Stato democratico un simile modo di procedere - di solito questa pratica si usa negli Stati totalitari! - in quanto si è di fatto esautorato il Parlamento delle proprie prerogative. Questa è la realtà. Comunque: volete fare il Governo delle circolari? Fatelo pure, non vi si verrà certo incontro.
Sempre per agevolare chi opera nel settore agricolo, avevamo proposto che i famosi due esemplari delle cedole da inviare sia all'INPS sia alla sezione della circoscrizione per l'impiego e per il collocamento in agricoltura, potessero essere mandati ad uno solo dei due uffici, il quale poi avrebbe dato comunicazione all'altro. Su tale punto avevamo trovato un accordo in Commissione nel senso che sarebbe stato opportuno inviare la cedola all'INPS e successivamente all'ufficio di collocamento. Mi auguro che tale nostra impostazione venga accolta.
Gli altri emendamenti sono di natura tecnica. Sottolineo solo l'emendamento


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volto a sostituire i commi 2, 3 e 4 dell'articolo 9-sexies. Dunque, è stato eliminato lo SCAU; tutti hanno riconosciuto che si trattava di un ente non solo inutile ma che costava molto denaro senza operare al meglio. Eliminato lo SCAU, per i vari ricorsi si è ritenuto, per logica e per omogeneità di territorio, giacché tutti affermano che l'Italia è unita...

PRESIDENTE. Onorevole Michielon, il tempo a sua disposizione è terminato.

MAURO MICHIELON. Concludo, dicendo che tutti conoscono bene gli emendamenti da noi presentati. Desidero solo ribadire che per l'ennesima volta forza Italia, il partito dell'onorevole Berlusconi, sta dando una mano a questo Governo, evidentemente perché ha problemi nei settori della giustizia e televisivo. Li ringraziamo, augurandoci però che il teleimbonitore la smetta di dire agli italiani...

PRESIDENTE. Onorevole Michielon, il suo tempo è esaurito.

MAURO MICHIELON. La ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarebbe un grave errore se ritenessimo di dibattere in questa sede solo di ciò che il decreto-legge in discussione appare, cioè la sommatoria di interventi, alcuni opportuni e necessari, altri inutili, assistenziali e clientelari.
Credo che tale provvedimento, che riguarda migliaia di lavoratori, rappresenti anche, per la lunga storia di cui è il prodotto, l'esempio di come i Governi degli ultimi anni hanno risposto a molteplici situazioni di crisi che si sono presentate nel sistema economico italiano. Si tratta di una risposta che non si discosta, oggi come ieri, dal modello assistenziale; un modello assistenziale, peraltro, non omogeneo né organico ma frammentato, all'interno del quale esistono aree forti ed aree deboli. Le aree forti sono quelle legate al sistema del lavoro e dello scudo sindacale e si concretizzano da un lato con la cassa integrazione e dall'altro con le tutele del pubblico impiego; le aree deboli ruotano invece attorno al mondo delle pensioni sociali e di invalidità. In entrambi i casi, data appunto la parcellizzazione degli interventi e la sostanziale nominatività dei benefici, alta è la possibilità che l'erogazione dell'assistenza possa diventare strumento di acquisizione o mantenimento del consenso.
Il sistema, peraltro, da un lato enfatizza la penalizzazione di chi nel mercato del lavoro non è mai entrato, soprattutto giovani e donne; dall'altro altera lo stesso mercato del lavoro finendo per utilizzare, allo scopo di mantenere posti di lavoro improduttivi, risorse che potrebbero essere impiegate per avviare nuove dinamiche imprenditoriali ed occupazionali.
Questo dibattito che rischia, a tratti, di diventare una disordinata discussione su una poco ordinata raccolta di provvedimenti molto diversi fra loro, potrebbe e dovrebbe rappresentare l'occasione per un approfondimento reale nell'Assemblea che all'elaborazione legislativa è deputata, sull'uso e l'abuso dei sistemi di ammortizzazione sociale e sul loro rapporto con il mercato del lavoro.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 11,15)

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Questo dibattito potrebbe e dovrebbe diventare il luogo di una riflessione seria sull'utilità di strumenti come i progetti socialmente utili o i corsi di formazione. Ciò anche per chiarire se stiamo parlando di forme di sussidio personale a cui cerchiamo di dare un nuovo nome, più dignitoso, o se, invece, si tratta di mezzi dotati di una qualche valenza sul mercato del lavoro.
Naturalmente, è difficile discutere serenamente di questi temi, mentre migliaia di persone attendono dal Parlamento una


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risposta sul loro prossimo futuro lavorativo. Anzi, è importante sottolineare preventivamente che questa parte politica ha piena coscienza che alcune misure contenute nel decreto sono opportune e necessarie. L'essere all'opposizione non ci impedisce di riconoscere che in taluni casi specifici si è ben operato al fine di approntare soluzioni adeguate per situazioni che avevano bisogno di un intervento pubblico. Sono nella maggior parte dei casi realtà in cui l'utilizzo di un ammortizzatore sociale per un tempo definito può consentire di superare un momento di transizione, oltre il quale già si intravvedono progetti e prospettive di ripresa.
Il dibattito su un decreto così articolato e farraginoso non può però essere limitato a dire "sì" alle poche misure doverose e "no" alle molte discutibili. Attraverso questo provvedimento non passa infatti solo una congerie di interventi concreti, alcuni dei quali, lo ripeto, opportuni e che condividiamo in pieno. I termini della questione sono altri e molto più profondi. Questo decreto configura un metodo di approccio alle tematiche dell'emergenza nel settore del lavoro ed è di questo metodo e delle sue implicazioni che dobbiamo discutere; è del sistema che questo decreto contribuisce a costruire che dobbiamo verificare la congruità rispetto agli obiettivi generali della lotta alla disoccupazione e del sostegno dell'imprenditoria del paese. È in quest'ottica generale ed ampia che il provvedimento evidenzia tutte le sue carenze e la sua intrinseca pericolosità per lo sviluppo e per la crescita dell'occupazione.
Ciò che il Governo ci chiede oggi è infatti di approvare un provvedimento che rappresenta la summa della logica assistenzialista che questa maggioranza ha deciso di perpetuare, ampliare, fare assurgere a sistema organico per il mantenimento di privilegi ed arbitri. Una logica dannosa ed inutile anche per quelle 10 mila e passa persone, identificabili con nome e cognome, che questo decreto intenderebbe aiutare. Qui si contrabbanda come incentivo per persone che si trovano in una situazione lavorativa precaria o disagiata quello che, in effetti, è lo sperpero di denaro pubblico finalizzato alla clientela. Il Governo dovrebbe dire con onestà ai 10 mila destinatari di queste misure che ciò che si sta attivando non è un meccanismo che in qualche modo agevola l'ampliamento della base occupazionale, che stimola nuovo lavoro; viene configurato anzi un meccanismo pericoloso.
I lavori socialmente utili, di cui non si dà una definizione precisa e per i quali non vengono apposti i necessari e rigidissimi paletti di contenimento, rischiano di diventare un serbatoio per alimentare a livello locale sacche di lavoro clientelare, pagato con soldi pubblici, che, lungi dal riqualificare gli operatori, finisce per erogare assistenza mascherata in cambio di consenso politico.
In Sicilia è accaduto in questi anni qualcosa del genere, che ha prodotto un mostro, i cosiddetti "articolisti", assunti a suo tempo dalla regione per compiere lavori socialmente utili con contratti a termine, e che poi, di proroga in proroga, di reiterazione in reiterazione, sono diventati un esercito di 30 mila persone che oggi chiedono alla regione un posto pubblico, dopo avere ricevuto per anni promesse e sovvenzioni.
Questo "decreto-marmellata", che è il frutto di una stratificazione di provvedimenti a partire dal 1994, in cui a ciascuna delle numerose reiterazioni veniva aggiunto qualcosa - e soprattutto qualcuno -, rischia di configurare una situazione in cui migliaia di persone vengono illuse per anni e diventano una massa che alla fine il settore pubblico dovrà in qualche modo collocare al di fuori di qualsiasi progetto di impiego economicamente utile.
Ciò non significa, naturalmente, che all'interno del provvedimento non vi siano situazioni degne di tutela, che non vi siano interventi giustificati da situazioni di momentanea precarietà, con chiare prospettive di ripresa e di sviluppo. Questo è il tipo di misura che condividiamo, perché delinea il ruolo di uno Stato che inter


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viene laddove il mercato ha già in sé le risorse e necessita solo di un incentivo per superare una strettoia congiunturale.
Ma questo decreto-legge è ben altro, molto di più, ed è per questo pericoloso. Infatti, troviamo in esso mescolati pochi provvedimenti urgenti e veramente necessari per il tessuto produttivo e molte norme che hanno nell'assistenzialismo la loro unica ragione d'essere.
Il quadro complessivo che emerge è quello di un esecutivo che procede a tentoni, che non seleziona le diverse posizioni, che mette nello stesso calderone operai in cassa integrazione e assistiti storici dalla mano pubblica.
Viene confermata da questa impostazione la linea di un progetto che ha fatto una scelta di campo, quella di proteggere i già protetti, di alimentare le speranze di reingresso al lavoro di chi è stato già occupato, di difendere chi resta sotto l'"ombrello" del grande sindacato degli occupati. Per perseguire questa linea si adottano anche provvedimenti come questo, che impegnano ingenti risorse pubbliche per interventi tampone senza prospettiva, con il risultato di non affrontare i problemi di fondo dei 10 mila lavoratori interessati e di ricacciare ancora più indietro l'esercito dei mai occupati, di rendere ancora più difficile l'emancipazione di quella underclass fatta di giovani che non hanno mai lavorato e che di questo passo rischiano di arrivare alla pensione sociale di anzianità senza aver mai avuto un'occupazione.
Ci saremmo aspettati che il Governo, nel chiedere al Parlamento di ratificare questi due anni di provvedimenti tampone, questo centone di assistenze in cui l'intervento mirato ed economicamente ragionevole e la clientela tout court vengono mescolati e resi inscindibili, proponesse anche una normativa in grado di ridare elasticità al mercato del lavoro, misure che si muovessero nella direzione della privatizzazione degli uffici di collocamento, che è una delle strettoie su cui si infrangono le speranze di migliaia di disoccupati. Come non citare, ancora una volta in questo senso, il caso dell'ufficio di collocamento della città di Napoli, in cui sono bloccati da mesi 1.500 contratti di formazione lavoro!
Ci saremmo aspettati che il Governo, per fare intendere chiaramente che la sua è un'azione non assistenziale che mira a ridare dinamicità al mercato del lavoro, adottasse misure per incentivare le assunzioni a tempo parziale o determinato da parte delle imprese, un sistema in grado da un lato di dare ossigeno all'imprenditoria, specie quella del sud, spesso soffocata da un costo del lavoro superiore alle sue possibilità, e dall'altro di creare le condizioni per una riqualificazione professionale da acquisire sul campo, in fabbrica, nelle officine, nelle botteghe artigianali, negli uffici.
Invece, si continua a perseguire la linea della formazione professionale avulsa dal contesto produttivo; una linea che è stata aspramente criticata da organismi internazionali come l'OCSE ed il McKinsey Institute, che hanno rilevato come i corsi finanziati dall'Unione europea siano stati un fallimento in termini sia di posti di lavoro prodotti sia di collocamento con le aziende; corsi che, come sappiamo, spesso si autoalimentano. I corsi con finanziamenti europei sono diventati imprese in sé, costruite e lasciate crescere non per creare nuove professionalità, ma solo al fine di rastrellare soldi comunitari inventando corsi per i mestieri più fantasiosi e inutili, assolutamente slegati da qualsivoglia prospettiva occupazionale reale. I corsi sono diventati un impiego, anche se l'unico lavoro che hanno creato è quello delle società che li gestiscono, sorte come funghi che si alimentano con le risorse comunitarie. È uno scandalo che forse meriterebbe un'indagine approfondita per verificare meccanismi e compiacenze a livello delle pubbliche istituzioni preposte ai controlli. Ma purtroppo anche questi meccanismi di sperpero del denaro pubblico sembrano omogenei alla strategia del Governo, che non punta ad indurre l'uscita dal sistema di assistenza di migliaia di persone stimolando l'iniziativa privata, la fantasia, il coraggio della nuova intrapresa. Lavori socialmente utili e meccanismi


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di formazione si muovono nella logica della perpetuazione dell'assistenza, che viene qui contrabbandata per solidarietà.
Il decreto-legge in esame, colleghi, è una sorta di kasbah legislativa, dove anche la minima organicità è andata perduta negli anni e nelle sovrapposizioni, nelle moltiplicazioni e riduzioni degli articoli, negli scorpori e nelle riunificazioni. Un decreto "elastico", che conteneva sette articoli quando lo propose il Governo Berlusconi e prevedeva, come era logico, da un lato, una quota di interventi di ammortizzazione sociale, con inizio e fine certi, per situazioni ben definite nel numero e nel tempo, e dall'altro lato misure per la riforma del collocamento. Andavano di pari passo gli interventi di emergenza (pochi e chiaramente delineati, non una manna diretta a 10 mila persone) e gli interventi che puntavano a snellire e modernizzare per tutti il sistema del collocamento.
Oggi queste due tematiche non viaggiano più assieme e sono state divise in due decreti. Da quei sette articoli sono nati due provvedimenti; solo uno, quello che stiamo discutendo oggi, di articoli ne contiene 17! Le questioni del collocamento, così intimamente connesse ai nodi del lavoro socialmente utile e della formazione, seguono una strada diversa. In questi 17 enciclopedici articoli convivono le esigenze previdenziali per gli addetti ai lavori di forestazione assunti dalle pubbliche amministrazioni e quelle pensionistiche degli spedizionieri doganali; si mescolano l'esigenza di estendere all'Unione nazionale incremento razze equine la normativa sullo scambio dei dati a fini fiscali e il diniego di estendere alle aziende di trasporto viaggiatori a mezzo fune le norme della cassa integrazione per i lavoratori dell'industria. Il dramma di 70 operai nell'area della Val Basento è contiguo alle misure sulla crisi delle imprese di spedizione internazionale e non lontano dal comma che trasferisce al comune di Genova il personale dell'ente Colombo 1992.
Il Governo chiede all'opposizione atti di responsabilità per interventi che vengono ritenuti essenziali per migliaia di lavoratori, e noi non siamo certo insensibili a queste problematiche. Chi, come me, viene dalla Sicilia e in particolare da un'area come quella siracusana, che sta vivendo con profonde lacerazioni, anche sociali, la crisi del settore industriale (che, da imprenditore, in passato ho vissuto in prima persona), si rende ben conto di quanto in alcuni specifici casi i meccanismi di ammortizzazione sociale siano non solo necessari, ma utili a consentire una ripresa più rapida ed efficace del sistema produttivo. Sia chiaro quindi che da parte nostra, e mia personale, non vi è alcuna preconcetta e generica avversione a questi paracadute sociali, che anzi mi sono battuta in taluni casi per ottenere nella mia Sicilia. Ciò che noi critichiamo in maniera ferma è l'abuso del metodo; ciò che noi critichiamo è trasformare la solidarietà in assistenza, tramutare l'intervento tampone dello Stato in una congiuntura particolare per salvare posti di lavoro vitali, in elargizioni di clientele per mantenere fittiziamente posti che sul mercato del lavoro non hanno ragione d'essere. In questa commistione (che, mettendo tutto nello stesso calderone e sullo stesso piano, finisce per premiare i privilegiati e penalizzare le realtà lavorative realmente produttive), in questa compilation scriteriata sta l'intollerabilità del metodo usato dal Governo.
E certo non aiuta alla chiarificazione, in questa tanto intricata e contraddittoria materia, la decisione adottata dalla Presidenza della Camera di non far esaminare il provvedimento in Commissione affrontandolo direttamente in aula. Una scelta che tradisce la volontà di non dare vita ad un vero dibattito; un'impostazione che, accompagnata dalla indisponibilità a discutere modifiche al provvedimento, consente a noi dell'opposizione di esprimere le nostre critiche solo come mero esercizio retorico. Il provvedimento deve essere approvato entro il 1 dicembre nel testo pervenuto dal Senato ove peraltro, non a caso, è stata posta la questione di


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fiducia. Non è questa la prassi che dovrebbe essere osservata da un Governo rispettoso delle prerogative del Parlamento: non è utilizzando le Assemblee elettive come luoghi deputati alla sola ratifica di provvedimenti - come in questo caso - raffazzonati e raccogliticci che si fanno passi avanti sulla strada della democrazia. Né è questo il sistema per affrontare le molte e giustificate emergenze occupazionali che pure in questo decreto sono contenute. Questa prassi svilisce il Parlamento e - quel che forse è peggio - le speranze di chi in questa sede cerca di non perdere tempo in un esercizio retorico.
Colleghi, rimandiamo la nostra decisione sul provvedimento alla dichiarazione di voto. Detto questo, desidero brevemente rispondere ai numerosi riferimenti fatti dal collega Michielon del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania. Forse voi avreste voluto presentare un numero cospicuo di emendamenti e non ne siete stati capaci; in questo caso il gruppo di forza Italia ha ritenuto di ripresentare gli emendamenti già proposti al Senato e si riserva di assumere decisioni nel corso dell'esame del provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Colombo. Ne ha facoltà.

PAOLO COLOMBO. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziarla per aver consentito la nostra iscrizione a parlare nella discussione generale al di fuori dei termini previsti dal regolamento. Ritengo che lei abbia tenuto conto del rischio che il Governo ponga la questione di fiducia su questo provvedimento; proprio considerando questo rischio abbiamo avanzato la nostra richiesta di iscrizione, alla luce della decisione del gruppo di forza Italia di presentare all'ultimo momento quella grande quantità di emendamenti che, per l'appunto, pone il pericolo di una richiesta di fiducia da parte del Governo. Sono queste le motivazioni che ci hanno indotto a chiedere di intervenire anche oltre i termini previsti.
Con riferimento all'ultima osservazione della collega Prestigiacomo, desidero spiegare come il nostro problema non sia quello di non saper presentare emendamenti. Nel corso di questa breve esperienza ritengo che il nostro gruppo abbia saputo ampiamente dimostrare la propria capacità di presentare un numero notevole di emendamenti. Il problema non è dunque questo. Il problema, in relazione a questo provvedimento, è proprio quello di evitare di dare giustificazioni e di dare copertura al Governo, e di costringerlo invece ad entrare nel merito delle questioni per analizzare singolarmente tutti gli emendamenti che sono stati presentati, i quali non sono di carattere ostruzionistico, non hanno la funzione di opporsi in maniera preconcetta sic et simpliciter al provvedimento, ma servono proprio ad eliminare quelle storture che a volte sono anche palesi e che rappresentano un grave rischio qualora il decreto-legge venisse approvato così com'è.
A questo punto devo esprimere un'osservazione su questo tipo di pericolo, cioè sull'eventualità che il provvedimento venga approvato nel testo attuale. Se da un lato esiste il rischio di richiesta di fiducia, e quindi l'invito, in via molto amichevole, al gruppo di forza Italia di ritirare tutti gli emendamenti ostruzionistici, dall'altro abbiamo il rischio che, a fronte della mancata posizione della questione di fiducia, cioè della possibilità di discutere tutti gli emendamenti, i gruppi di maggioranza decidano comunque di non accogliere nessun emendamento perché altrimenti il provvedimento sarebbe rinviato al Senato; quindi ci troveremmo di fronte all'impossibilità di emendare il testo e di risolvere così tutti quei problemi che sono emersi chiaramente in Commissione e che anche i gruppi di maggioranza hanno riconosciuto come problemi veri.
Pertanto, se da un lato c'è un invito amichevole a ritirare gli emendamenti ostruzionistici che potrebbero rappresentare per il Governo il pretesto per porre la questione di fiducia, dall'altro il nostro gruppo vorrebbe chiedere al presidente


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della Commissione lavoro di adoperarsi presso il Governo affinché si comprenda la necessità di accogliere quegli emendamenti che sono validi, fondamentali, tesi a correggere le storture cui accennavo prima. Capisco che il sottosegretario Pizzinato è sempre molto restio a recepire le istanze provenienti dal Parlamento, però in questo momento ci troviamo di fronte ad un problema molto grave.
La sentenza della Corte costituzionale sul divieto di reiterare decreti-legge pone di fatto il Parlamento di fronte ad un blocco istituzionale. Noi siamo bloccati; il nostro potere di legiferare è sospeso. Da un lato, la Corte costituzionale sancisce il divieto di reiterare i decreti-legge perché questa possibilità espropria il Parlamento delle sue funzioni; dall'altro lato, la stessa sentenza impedisce al Parlamento di modificare gli stessi decreti, per cui il Parlamento si limita a svolgere una funzione di ratifica dei provvedimenti, i quali possono essere solo accolti o respinti. In questo modo di fatto si svuota il Parlamento delle sue funzioni.
Questo mi sembra un segnale lampante e chiaro del blocco delle funzioni istituzionali nel quale attualmente si trova il nostro paese (il nostro ... quello che per alcuni è ritenuto ancora uno Stato unitario). Dobbiamo pertanto considerare che le riforme istituzionali nel paese-Stato italiano sono fondamentali e che bisogna trovare in tempi brevissimi una via d'uscita a questa situazione di paralisi delle istituzioni, per evitare che la stessa crisi che sta distruggendo lo Stato italiano porti con sé anche la crisi e la distruzione di tutte le attività sociali che vivono di vita propria. È quindi indispensabile in tempi brevi dare nuova forma alle istituzioni affinché non distruggano quelle realtà vitali della nostra società che hanno sempre mantenuto in piedi le istituzioni stesse.
Tornando al merito del provvedimento, facciamo rilevare che è molto difficile e problematico fare un discorso di carattere generale su di esso, proprio perché, come hanno già evidenziato molti colleghi, si tratta di un'infinità di norme che regolano aspetti diversi fra loro, che nascono da successive reitere di altri provvedimenti, da accorpamenti di diversi decreti, da aggiunte agli stessi decreti.
Sostanzialmente si tratta di un provvedimento che disciplina aspetti assai diversi tra loro e che andrebbero affrontati puntualmente e in maniera differenziata.
L'espressione "lavori socialmente utili", contenuta nel titolo del decreto, individua solo parzialmente quanto intende normare il presente provvedimento.
Nel decreto ci sono diverse disposizioni normative concernenti il lavoro agricolo, oltre ad una serie assai variegata di norme che trattano altri problemi, quali quello dell'industria carbonifera del Sulcis, quello dei prepensionamenti nel settore siderurgico e via dicendo. Signor Presidente, se lei avrà la bontà di scorrere l'indice del provvedimento potrà rendersi conto di quale razza di problemi si toccano con questo decreto. Da qui dunque la necessità emergente di approfondire il provvedimento e di scongiurare il rischio della fiducia.
Quanto ai dubbi su come vengono normate e regolate tutte le attività di lavori socialmente utili, mi rifaccio alle considerazioni che sono state già espresse e che qui non voglio ripetere per evitare all'aula di perdere tempo prezioso. In ogni caso, da un punto di vista generale, ritengo che non sia corretto "coprire" i problemi del mancato sviluppo dell'economia con dei finanziamenti di sostegno al reddito personale, che non producono sviluppo economico. Finanziamenti che danno solo la possibilità, e per un limitatissimo periodo di tempo, a qualche decina di migliaia di famiglie, soprattutto nell'area del Mezzogiorno, di sopravvivere ma senza eliminare alla radice i problemi; non mettono cioè in moto quei meccanismi di sviluppo dell'economia che potrebbero consentire a quelle famiglie di garantirsi in futuro un reddito certo.
Mi sembra che questo discorso non meriti approfondimenti e che sia all'attenzione di tutti; un discorso comprensibile anche alla luce di tutte le iniziative che si sono susseguite nel corso degli


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ultimi cinquant'anni. Interventi straordinari di sostegno al reddito non hanno prodotto, soprattutto nelle regioni meridionali, lo sviluppo del Mezzogiorno. È quindi da respingere anche in questa sede l'ipotesi di continuare con questa logica.
La mancanza di garanzie nella distribuzione di queste prebende, di queste regalie, di questi finanziamenti incontrollati (di fatto è impossibile individuare criteri corretti per l'assegnazione delle risorse da destinare ai lavori socialmente utili) è l'aspetto più inquietante e che fa pensare che ci sia la possibilità di andare a privilegiare solo gli amici di chi decide a chi andranno le risorse. C'è dunque il rischio evidente che si ponga il famoso problema del voto di scambio, della coltivazione di clientele personali, delle garanzie di alcuni potenti signori politici, o collegati ai politici, che utilizzano tali strumenti per costruirsi un consenso, un potere esclusivamente a fini personali. Questo probabilmente è un aspetto ancora più deleterio dell'altro che prima citavo.
Purtroppo con i nostri emendamenti non possiamo scongiurare tale pericolo, ma almeno cerchiamo di correggere gli elementi più distorti e di porre le istituzioni in condizione di individuare le responsabilità, evitando situazioni vergognosamente scandalose, atteggiamenti clientelari e gestioni malaffaristiche dei finanziamenti per i lavori socialmente utili. Ripeto, peraltro, che i tre quarti di queste risorse vanno al sud e quindi nelle regioni che al riguardo sono a più alto rischio.
Per cercare di affrontare i problemi del mondo agricolo abbiamo presentato una serie di emendamenti che mirano a ridurre i punti più dolorosi del decreto-legge. Tuttavia essi afferiscono solo ad una parte dei disagi che il mondo agricolo si trova ad affrontare e a cui il Parlamento ed il Governo non sempre riescono a dare soluzione.
Voglio fare solo alcuni esempi dei problemi più eclatanti che il mondo agricolo deve attualmente fronteggiare. Mi riferisco alla questione delle quote latte ed anche a quella della scadenza dei contratti di affitto dei fondi agricoli. Decine di migliaia di piccoli imprenditori agricoli si trovano in questo periodo in una condizione di estrema incertezza, alla mercé dei grandi proprietari terrieri che potrebbero rovinarli avendo la facoltà di decidere in modo assolutamente discrezionale se consentire ancora l'utilizzo dei fondi agricoli. È evidente che in tal modo potrebbe essere messa a repentaglio l'attività di moltissime famiglie di agricoltori che da decenni lavorano i medesimi suoli e ne traggono il sostentamento.
Anche se questa non è materia di stretta competenza del sottosegretario presente in aula, penso che il Governo dovrebbe farsi carico di fornire una risposta a tali problemi che creano grave disagio.
Segnatamente il decreto-legge al nostro esame mira a regolarizzare una serie di aspetti, da quelli previdenziali a quelli del lavoro. Abbiamo presentato alcuni emendamenti volti ad evitare che il provvedimento finisca per garantire il lavoro nero: nel settore agricolo i lavoratori sono meno tutelati rispetto ad altri che sono meglio disciplinati.
Il problema del lavoro nero è, ancora una volta, più allarmante al sud, dove oltre alla mano d'opera locale impiegata in modo irregolare si registra la presenza di lavoratori extracomunitari provenienti dal nord o dal centro dell'Africa, che ancora oggi vengono sfruttati come schiavi per garantire la concorrenza sleale delle aziende agricole del sud rispetto a quelle della Padania. Bisogna eliminare i meccanismi che consentono alle aziende di avvalersi del lavoro nero. Infatti ciò distrugge l'economia sana di aziende, anche di piccole dimensioni, presenti in altre parti del paese dove per cultura, storia, tradizione o perché i controlli funzionano meglio non è consentito il ricorso al lavoro nero o lo è in misura molto meno marcata.
Signor sottosegretario, bisogna avere il coraggio di discutere di questi problemi accettando gli emendamenti presentati. Infatti, il nostro gruppo non ha presentato neanche un emendamento di carattere ostruzionistico. Da mesi si sta svolgendo


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in Commissione un lavoro molto serio tendente a risolvere questi problemi e a consentire ai lavoratori ed agli imprenditori del mondo agricolo di operare in regime di normale concorrenza, eliminando gli aspetti deleteri e di sfruttamento dei lavoratori.
L'ultimo problema sul quale desidero soffermarmi è quello del ricorso ai prepensionamenti nel settore siderurgico previsto dal decreto-legge al nostro esame. Ogni singola disposizione meriterebbe un approfondimento, ma il tempo non mi consente di farlo. Mi soffermerò pertanto solo su uno degli aspetti più importanti sul quale la Commissione lavoro si è espressa in modo unanime; ed anche questo è un messaggio che il Governo deve recepire. Si deve evitare il ricorso ai prepensionamenti come strumento di ristrutturazione dei comparti industriali in crisi. L'esperienza storica dimostra che i prepensionamenti sono uno strumento di cui si avvalgono le grosse imprese per risolvere i loro problemi interni senza confrontarsi con il mercato. Il costo di una simile operazione ricade sulla società, nonché sui lavoratori ed imprenditori che producono reddito.
Anche questa è una gravissima forma di ingiustizia sociale perché rappresenta una forma di concorrenza sleale poiché privilegia alcune aziende, danneggiandone altre. Le aziende che vengono privilegiate sovente sono proprio quelle che hanno collegamenti molto stretti con il mondo politico e che possono restituire in termini politici i favori che vengono loro concessi sul piano economico. Queste sono aziende privilegiate che possono ridurre i loro costi e modificare il loro sistema produttivo. Ci sono invece aziende che sono sempre più penalizzate perché non solo devono ridurre autonomamente i costi superflui per essere efficienti, competitive ed in grado di reggere la concorrenza, senza ricorrere ad interventi assistenziali e straordinari, ma devono anche, insieme con i loro lavoratori, che alla fine sono quelli che pagano sempre di più, sobbarcarsi l'onore di mantenere le inefficienze, gli sprechi e gli sperperi delle altre aziende e degli altri sistemi produttivi che richiedono degli interventi straordinari da parte dello Stato. A tale proposito la Commissione si è espressa in modo unanime.
Il problema, che ormai si trascina da anni, non è risolvibile specie quando si è fatto ricorso ai prepensionamenti; bisogna però scongiurare nel modo più assoluto il pericolo di avvalersi ancora di tale strumento per ristrutturare le grosse aziende.
Vorrei ora fare riferimento a due emendamenti da noi presentati che spero vengano sottoposti al giudizio dell'Assemblea. Essi si allontanano dal tema del decreto perché riguardano, il primo, il settore dell'apprendistato che necessita di una nuova regolamentazione e, il secondo, la copertura previdenziale ed assistenziale per i lavoratori frontalieri che lavorano nella Confederazione elvetica.
Il tema dell'apprendistato è stato già ampiamente trattato dal collega Michielon. In sostanza noi chiediamo che al momento dell'assunzione di un giovane apprendista venga tolto l'impedimento rappresentato dall'attestato di frequenza di un corso professionale. Vogliamo che sia chiaro che la formazione non è solo di carattere scolastico ma si sviluppa attraverso l'esperienza diretta nelle aziende. Impedire ad un giovane assunto in un'azienda di poter svolgere attività di apprendistato significa di fatto togliergli la possibilità di lavorare. Chi conosce la realtà delle nostre regioni della Padania sa quali problematiche si nascondano dietro tutto questo. Se un imprenditore ha la necessità e la volontà di assumere, spesso non vuole che sul libretto di lavoro sia riportata l'attestazione di frequenza di corsi perché altrimenti non può fare un contratto di apprendistato.
Come lei avrà notato, signor sottosegretario, il nostro emendamento mira ad una nuova regolamentazione del sistema e prevede comunque la possibilità di svolgere apprendistato in azienda anche in presenza di un titolo professionale purché la durata totale del corso e del periodo di lavoro in azienda sia pari a cinque anni. Chiediamo al Governo di Roma di recepire


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tale soluzione che è stata concordata tra le associazioni di categoria dei lavoratori e degli imprenditori delle regioni della Padania.
L'altro tema vicino alla nostra realtà è quello dei frontalieri. Probabilmente, al di fuori delle regioni confinanti con i paesi europei, il resto d'Italia non sa neppure che esiste il problema dei frontalieri ed è per questo che lo spiego brevemente. Un lavoratore lombardo che presti continuativamente la propria opera nella Confederazione elvetica versa il 3 per cento della propria retribuzione lorda in un fondo speciale che viene accantonato per coprire il reddito del lavoratore stesso nei primi sei mesi dal licenziamento. In Svizzera, soprattutto nel canton Ticino, in questi ultimi anni si è registrata una crisi molto forte nei settori nei quali lavorano abitualmente i nostri frontalieri. Il problema è che la percentuale di risorse che il lavoratore ha accantonato viene ristornata dallo Stato svizzero al nostro istituto previdenziale il quale, nei mesi di licenziamento di quel lavoratore, non restituisce la sua indennità di disoccupazione, costruita nel tempo. L'INPS oggi ha un capitolo vincolato per una cifra di circa 110 miliardi riservato ai lavoratori frontalieri disoccupati; ciò nonostante tale istituto non restituisce a quei lavoratori quanto dovuto nel momento del bisogno.
In mancanza di una regolamentazione di tale aspetto, da alcune parti viene sostenuta la necessità di presentare una legge - a mio avviso, sarebbe superflua - che metta l'INPS nelle condizioni di corrispondere ai lavoratori frontalieri quanto a loro dovuto; tuttavia, poiché pare necessario obbligare l'INPS a farlo, abbiamo presentato un emendamento al decreto-legge in esame che, appunto, obbliga l'INPS a restituire ai lavoratori frontalieri la quota percentuale di indennità di disoccupazione che si sono costruiti nel tempo e che ora è necessaria al loro sostentamento a causa della grave crisi lavorativa esistente in questo momento nella Federazione elvetica e nel Canton Ticino. Chiediamo al Governo di non essere sordo rispetto a tali istanze e ai gruppi di maggioranza che conoscono il problema di accogliere questo emendamento perché la sua approvazione consentirebbe di risolvere alcune situazioni nelle quali sono implicate migliaia di famiglie della Lombardia, del Piemonte e delle altre regioni della Padania (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roscia. Ne ha facoltà.

DANIELE ROSCIA. Signor Presidente, oggi ci troviamo a discutere nel merito un provvedimento molto sostanzioso. Esso contiene infatti numerosissime norme e tantissime modifiche di disposizioni già esistenti ed introduce una nuova normativa riguardante aspetti che sono stati codificati anche nel titolo del decreto-legge n. 510 del 1996, che reca testualmente: "Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e" - terzo aspetto - "nel settore previdenziale". Già il titolo del provvedimento dà la misura della volontà del Governo di "abbellire" la sostanza e i contenuti del decreto-legge in esame.
Ricordo che nella seduta di ieri la collega Parenti, nel suo intervento sulla esistenza dei requisiti di necessità ed urgenza per tale provvedimento, aveva sottolineato che i due aspetti fondamentali del provvedimento fossero invece sulla falsa riga del più bieco clientelismo e di grande infrazione alle normative di tutela previdenziale di tanti lavoratori.
Io vorrei arricchire - magari in forma più colorita - l'indicazione fornita ieri dalla collega Parenti. Proporrei di sostituire le parole "disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili", con le seguenti: "Disposizioni e proroga di bieco clientelismo alla Cirino Pomicino o alla Craxi, che abbiamo già visto e constatato nelle norme e negli effetti" (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Per quanto riguarda la seconda parte del titolo, che prevede "interventi a sostegno


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del reddito", proporrei una formulazione del genere: "Come ripetere azioni di sostegno al reddito già viste nel passato". In quest'ultimo caso non mi riferisco soltanto all'Italia, ma anche agli Stati Uniti d'America quando, durante il periodo della grande depressione, l'allora Presidente faceva aprire e chiudere le buche tanto per tenere occupati dei lavoratori; ma almeno quelli aprivano e riempivano le buche: in questo caso, invece, si danno sussidi a persone che logicamente, se "sussidiate", non hanno bisogno di impegnare la propria capacità lavorativa.
Il terzo punto concerne gli interventi nel settore previdenziale. Anche in questo caso si vede l'impronta del sindacalista, e non lo dico perché è presente Pizzinato, il quale nella sua grande carriera, prima di artista cinematografico e poi di sindacalista, si trova ora a dover assumere responsabilità ben più pregnanti. Nella mia analisi sull'attività di eminenti sindacalisti ho notato sindacalisti molto "proficui" e "profittevoli" quando magari sono passati dalle parti del cosiddetto patronato; quando invece passano dal ruolo del sindacalista a quella di governante ne combinano peggio di Bertoldo! Non è questo il primo provvedimento in cui ciò accade: lo abbiamo già visto per la finanziaria e nel cumulo delle pensioni ed ora lo vediamo per il settore previdenziale.
Sembra veramente assurdo che un sindacalista, così sensibile agli interessi dei lavoratori - soprattutto quelli dipendenti perché poi in questo provvedimento troviamo anche grandi provvidenze di natura "salesiana" per i lavoratori autonomi e chi conosce il sottosegretario Sales magari ne sa qualcosa di più - tenti di spacciare questo per un provvedimento proficuo per il settore previdenziale, mentre io ritengo attui il disfacimento di quel settore. Infatti, se richiedessimo un'analisi, non all'ufficio studi della lega o di qualche altro gruppo, ma all'ufficio studi dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, capiremmo da quel documento con chiarezza come questo provvedimento introduca una concorrenzialità che è nemica del gettito contributivo. E allora ci stiamo avviando ad una situazione, o meglio si potrebbe dire che staremmo abbandonando le spiagge del socialismo reale; tuttavia, con questo provvedimento, certamente con l'apporto oggettivo e sostenuto di rifondazione comunista, stiamo tornando verso quelle spiagge!
Un altro aspetto saliente si evince sotto il profilo finanziario. Basta scorrere il dossier fornito dal Servizio del bilancio dello Stato per vedere come le cifre che andranno ad incidere nel bilancio del 1996, ma che hanno già inciso anche su quello del 1994 e del 1995 in quanto si tratta di sanare effetti finanziari già prodotti, siano in termini assoluti per l'intero articolato pari a 1.745 miliardi nel 1996, 1.581 miliardi nel 1997 e 1.596 miliardi nel 1998. Questa programmazione triennale la dice lunga sulla portata del provvedimento! Non si tratta di un provvedimento recante disposizioni urgenti per risolvere una situazione transitoria: questo è un provvedimento che reitera volontà che si ritenevano ormai scalzate, volte a mantenere il più bieco assistenzialismo nel nostro paese!
Se poi esaminiamo tutti gli articoli del provvedimento, ci accorgiamo come da quelle norme, anche sotto il profilo nominale, non si cerchi neppure di celare dove i soldi verranno impiegati. Sbagliereste se consideraste il mio intervento nei canoni classici, come se io dicessi: "Guardate che in Padania questi soldi saranno delle briciole, alla faccia di qualche cooperativa di qualche grossa città che sbandiera il provvedimento come il toccasana per i lavori socialmente utili nel nord!" Vi dico con piena convinzione che, specialmente dalle mie parti, di questi provvedimenti non c'è assolutamente bisogno perché da noi non servono sostegni straordinari, c'è solo bisogno di chiarezza legislativa sulle tematiche del lavoro e su quelle previdenziali. Queste sì che sarebbero norme urgentissime da codificare in nuove leggi!
Poiché questi soldi vengono spesi nella quasi totalità al sud, mi rivolgo proprio ai colleghi meridionali. Voi che avete con


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dannato per tanti anni le frazioni e la dissipazione di ingenti risorse, non credete che quelle stanziate vadano a rimpinguare le casse o meglio le clientele, anche se controllate dalle amministrazioni locali? Ma forse non avete ancora acquisito lo stile della bassa e bieca amministrazione delle passate gestioni democristiane, che da questi metodi traevano il loro consenso.
Non pensate di tagliare le gambe ai vostri concittadini, alle vostre aziende, introducendo in forma surrettizia sostegni previsti ad hoc - guarda caso - per gli amici degli amici, per la mafia?
Signori miei, occorre fare una riflessione sia a destra che a sinistra: votando questo provvedimento non risolverete assolutamente niente, andrete anzi ad aggravare pesantemente i problemi del lavoro. Sappiamo tutti che l'Unione europea ci sta tirando le orecchie perché non siamo in grado neppure di utilizzare i fondi europei per la promozione e la formazione professionale. Tali corsi vengono organizzati per gli insegnanti, amici dei soliti amici, e non per i lavoratori che devono acquisire professionalità. Su tale aspetto non vi è stato un dibattito abbastanza approfondito; vorrei, per esempio, comprendere la posizione di nuove formazioni politiche che hanno illuso e stanno illudendo i cittadini dicendo di avere modelli diversi. Pensate forse di poter inseguire il modello adriatico, sbandierato dal super ministro del bilancio e del tesoro, Ciampi? Egli vuole esportare il modello emiliano nel sud d'Italia, ammesso e concesso che ciò possa essere attuato. Personalmente non credo che tale modello possa essere esportato tout court, come è stato fatto e come si intende fare. La dimostrazione del fatto che tale modello non sia esportabile è proprio nei provvedimenti adottati. Al di là delle dichiarazioni di intenti, questi sono i provvedimenti e la dicono lunga sull'entità e sulla qualità degli interventi che si intendono attuare.
Allora, signori miei, la riflessione va fatta a tutto campo. Noi riteniamo che nel caso in questione vengano lesi gli interessi dell'intera nazione, ma soprattutto della nostra Padania, che dal provvedimento in discussione non trarrà alcun beneficio se non in forma marginale. Purtroppo, fino a quando rientreremo nei confini nazionali italiani e la nostra indipendenza ed autonomia non verrà riconosciuta, resteremo sullo stesso barcone; siamo quindi preoccupati della presentazione di determinati provvedimenti che vengono spacciati come nuovi modelli di intervento. In effetti sono modelli di dissipazione di risorse pubbliche immani. Vengono redatti documenti che, al di là delle osservazioni del Servizio del bilancio, approfondiscono la materia. Per esempio, sarebbe sufficiente leggere il dossier predisposto, che forse non interessa la Commissione lavoro ma che dovrebbe riguardare almeno i membri della Commissione bilancio, per comprendere quanto i provvedimenti del passato almeno potessero contare su condizioni migliori, quando cioè non ci si trovava nell'attuale situazione di difficoltà nazionale.
Vengono adottati strumenti scalcinati e raffazzonati nell'ingorgo legislativo determinato dalla sentenza della Corte costituzionale, con risultati pessimi anche alla luce dell'incapacità - che abbiamo ormai più volte constatato - dei rappresentanti del Governo e soprattutto del Ministero del lavoro, il quale non è stato in grado di incidere profondamente con strumenti idonei a favorire un reale aumento dell'occupazione.
State certi, dunque, che nel prossimo anno al fallimento dell'ex Capo del Governo Berlusconi, in merito alla crescita occupazionale, si aggiungerà quello del Governo attuale e della sua maggioranza, che vuole mistificare la situazione ed introdurre nuove regole che sono tali solo nominalmente, poiché nel contenuto sono le peggiori anche rispetto al passato.
Su tutto ciò il confronto non viene deliberatamente effettuato; abbiamo infatti ascoltato interventi di autorevoli colleghi, ma abbiamo assistito al silenzio della maggioranza, che - guarda caso - evita di aprire i dossier. Se infatti si legge la documentazione, si può verificare -


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anche noi padani, e credo tutti voi, sappiamo leggere! - quanto i contenuti del provvedimento in discussione rappresentino il massimo dell'insipienza e dell'incapacità. Certo, dipende anche dalla carriera professionale seguita in passato!
Mi rendo conto che per creare lavoro non servono i sindacalisti, ma i datori di lavoro, i quali non devono essere quotidianamente "strozzati" da norme impervie ed assurde, che sono penalizzanti - guarda caso - anche e soprattutto dalle nostre parti, dove si mandano i carabinieri ad effettuare verifiche nelle piccole e medie aziende, perché le grandi magari vengono avvisate da un amico dell'arrivo dei controlli.
Si parla poi di sostenere il sistema previdenziale, già caratterizzato da buchi enormi. Mi chiedo dove stia il nuovo modello di sostegno all'occupazione. Nel nord non riusciamo nemmeno a sostenere l'occupazione e se un domani volessimo accettare una nuova ondata di emigrazione - mi auguro di no - dal sud, non potremmo neppure accogliere questa soluzione, che non è una soluzione, perché al nord ormai vi è il taglieggio, vi è una situazione spietata, ci sono i comitati di napoleonica memoria; meglio ancora, durante la rivoluzione francese, prima di Napoleone, c'erano i commissari, che sul posto facevano il bello ed il cattivo tempo, cosa che ora avviene costantemente.
Molti imprenditori, anche del nord, in condizioni sfavorevoli di recessione, in una situazione economica molto negativa come l'attuale, sono inevitabilmente costretti ad andare all'estero a chiedere la fiscalizzazione degli oneri sociali, interventi di natura differenziata per sostenere l'occupazione. È chiaro che in questo modo la disoccupazione nel nostro paese aumenterà e non scenderà sicuramente sotto le spurie cifre indicate dai documenti economico-finanziari che abbiamo approvato anche recentemente.
A conclusione del mio intervento, vorrei avanzare alcune proposte conseguenti alle riflessioni svolte. Mi rendo conto che ci troviamo in una fase particolare della storia del paese, che mette in seria difficoltà anche le proposte più sane ed oggettivamente praticabili.
Dobbiamo, però, dare un segnale, almeno iniziale, di svolta, di correzione o meglio di accantonamento delle classiche politiche assistenzialiste, quali vengono riproposte in questo provvedimento; una svolta - lo dico a chiare lettere perché non si creino confusioni - in termini di riduzione degli oneri contributivi, quindi di riduzione del costo del lavoro, intervento che, peraltro, deve essere attuato in forma differenziata. Certamente, infatti, il costo di struttura delle aziende del sud non è identico a quello delle aziende del nord, in quanto vi sono obiettive condizioni economiche che mettono gli imprenditori del sud, da questo punto di vista, in gravi difficoltà.
Occorre quindi un'inversione di tendenza che veda contestualmente una riduzione dei costi che parta dai differenziali salariali, che poi nascondono i contratti d'area, perché si sa solamente abbellire con un nuovo nome quello che noi, forse in maniera non troppo diplomatica, abbiamo chiamato gabbie salariali, differenziali salariali.
Dunque, riduzione dei contributi previdenziali, degli oneri e quindi delle aliquote, perché questo è l'unico modo serio per lottare contro l'evasione previdenziale. Sono infatti convinto che moltissime aziende, piccole, medie e grandi, si troverebbero nelle condizioni di poter assumere nuova mano d'opera garantendo lo stesso gettito contributivo, nel contempo essendo concorrenziali ed assicurando in quel contesto un equilibrio finanziario, ma, guarda caso, anche maggiore occupazione; un'occupazione, però, non temporanea come quella garantita da questi improvvidi provvedimenti, che poi non sono straordinari. Ricordo il famoso provvedimento di sostegno alle cooperative di ex detenuti di Napoli, oppure i lavori socialmente utili di Palermo, camuffati nel provvedimento in esame.
Già negli anni scorsi abbiamo contestato sia al Governo che all'opposizione simili provvedimenti, dicendo che essi si


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risolvevano in uno spreco delle risorse pubbliche; a partire dal 1986 fino ai giorni nostri questi decreti sono stati approvati all'ultimo momento.
Ci si viene a parlare del modello mediterraneo, formato da tante cooperative che garantiscono l'impunità, il consenso elettorale e politico in cambio del posto di lavoro, magari sottopagato. Ma se andassimo a verificare anche le condizioni di lavoro, i livelli retributivi dei lavoratori emiliani e modenesi, utilizzando strumenti e parametri obiettivi, ci accorgeremmo che quelle imprese non sono tanto più brave da garantire ai lavoratori livelli di vita migliori.
Si vuole esportare un modello che però ha già dimostrato il modo in cui i lavoratori sono stati tutelati nei modelli nazionali ed economici dei paesi del cosiddetto socialismo reale. Li abbiamo visti tutti occupati, ma costretti a mettersi tutti in fila per comprare un tozzo di pane. Questa è la realtà!
Tale situazione si è innestata in un sistema di libero mercato, sfruttandone le possibilità, come fanno Agnelli e De Benedetti: essi socializzano i costi, cercano di non pagare i tributi, perché si tratta di cooperative che non distribuiscono dividendi, e tengono i benefici lasciando i costi all'intera collettività.
Vorrei fare una breve riflessione anche su quanto detto già in precedenza a proposito del sostegno al lavoro autonomo. Tutti sappiamo che è l'intrapresa che crea occupazione stabile; è giusto che a questa siano rivolti tutti gli sforzi possibili. Nelle Azzorre, nel sud d'Italia o in Padania, in Svezia, ovunque, le regole economiche devono avere lo stesso valore. Ebbene, in proposito, in questo decreto-legge si introduce uno stanziamento di circa 50 miliardi, così da dare 30 milioni a chiunque decida di intraprendere una attività autonoma.
Benissimo, ma badate bene che chi inizia una attività - posso dirlo per esperienza personale - con una prebenda di 30 milioni, può fare il ciabattino, il barbiere e tante altre attività che sicuramente creano occupazione, ma difficilmente riesce a creare imprese stabili in grado di occupare altre persone.
Se poi prevediamo anche il tutor, così come viene definito, posso pensare che quei 30 milioni se li "pappi" questo tutor, mentre l'imprenditore non sarà in grado di utilizzare niente. Badate che i meccanismi che cominciate a sperimentare al sud sono già stati sperimentati in Lombardia; sappiate che si è trattato di esperimenti tutti falliti! Infatti, salvo rare eccezioni, l'imprenditore, che magari non conosce le regole della libera impresa, si rende successivamente conto delle difficoltà e dei taglieggi quotidiani - non mensili! - che vi sono sulla via dell'intrapresa, di tutti i tipi, non solo contributivi e fiscali, ma anche dal punto di vista della sicurezza sul lavoro.
Vedrete l'anno prossimo la falcidia delle piccole e medie imprese che non saranno in grado di affrontare le prescrizioni e gli oneri finanziari di questa normativa! Vedrete che cosa succederà! Certo, nessun controllo verrà effettuato sulle cooperative rosse in Emilia, perché esse fanno "pappa e ciccia" con le strutture amministrative di controllo. Ecco perché spingono in questo senso! Bisogna svegliarsi, però, perché non vorrei che ci ritrovassimo di fronte ad una implosione di un modello che parte con caratteristiche puramente amministrative e diventa un modello politico nazionale, magari ancora con la Padania all'interno del confine nazionale. Questa sarebbe una cosa aberrante per noi e per tutte le nostre genti, ma anche - presumo - per la gente del sud.
Questo modello va fermato; è un modello gestito da persone che, d'altra parte, vedono solo il mondo del lavoro e non hanno ancora dimenticato l'aspetto ideologico. L'impresa, l'imprenditore è ancora visto come un nemico da abbattere! L'unico imprenditore che deve essere sostenuto è quello cooperativo, del funzionario di partito, dei delegati di partito! È un modello che abbiamo già visto in tante parti del mondo e adesso lo si vuole riproporre. Laddove non siamo riusciti ad


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avere una maggioranza sul territorio nazionale ci stiamo infiltrando e strategicamente riusciremo ad ottenerla, anche grazie all'apporto di alcune forze integraliste che hanno superato le posizioni più o meno di centro all'interno del quadro politico. L'unica forza legittimata è rifondazione comunista, la quale afferma a chiare lettere di voler abbattere il sistema del libero mercato, i liberi imprenditori privati, perché essi pensano solo al loro profitto, ad evadere le tasse, a non pagare i contributi. Tali imprenditori, secondo gli esponenti di rifondazione comunista, pensano solo a fare queste nefandezze, mentre loro vogliono invece la piena occupazione, anche se pagata con un tozzo di pane e con servizi che non costano niente ma di cui non si può usufruire.
Queste sono le condizioni verso le quali stiamo andando. Dobbiamo fare attenzione a non farci illudere dal PDS, dal PPI o da rinnovamento italiano (non so nemmeno se quest'ultimo esista ancora come formazione politica e comunque, non avendo né testa né coda, non si può interloquire con essa, come invece avviene con le forze più rappresentative di posizioni storiche ben codificate). Attenzione, perché ci stiamo arenando e stiamo procedendo verso un'evoluzione nefanda, che tutti dobbiamo cercare di ostacolare. Bisogna allora ostacolare il cammino del provvedimento in esame, perché costituisce un modo poco serio di affrontare i problemi del lavoro. Ho già fornito moltissime motivazioni a questo riguardo ed ho rilevato che i maggiori responsabili, il Ministero del lavoro e il Governo intero, affrontano ancora tali problemi con un taglio ideologico che comporta una lotta ideologica all'impresa privata e alla proprietà privata. A questo punto, la posizione di rifondazione comunista è anche quella del partito popolare, del PDS e forse anche di rinnovamento italiano.
Su questi provvedimenti si scontrano le diverse posizioni e a tale riguardo voglio fare un'osservazione. So che nelle formazioni del Polo ormai risaltano principalmente le posizioni dei rappresentanti del sud, forse di maggiore intelligenza e scaltrezza politica; e sappiamo chi sono coloro i quali intervengono su queste tematiche. È facile che in questo trasversalismo si innesti un processo di tacita acquiescenza.

ALESSANDRO BERGAMO. Non hai capito bene!

DANIELE ROSCIA. Non avrò capito bene, ma mi sembra che i fatti portino verso questa soluzione! Mi auguro che così non sia; comunque, se avremo modo di discutere sui singoli emendamenti, vedremo dall'esito delle votazioni se quanto ho detto sarà smentito. Io, purtroppo, sono come San Tommaso e, finché non vedo, non credo! Questa è una delle regole dalle quali, sinceramente, non ho mai avuto alcuna delusione!
Torno all'invito che ho rivolto ai colleghi del Polo, i quali magari si lasciano incantare dalle Cassandre e dallo scontro e dal confronto politico. Non è facile cassare provvedimenti che portano soldi al sud. Attenzione, perché non state facendo un'opposizione che risolve i vostri problemi, ma state aggravando ancora di più la vostra situazione disastrata, state cercando di gettare i semi di una politica precedente alla prima Repubblica, che aveva senso nelle condizioni successive alla seconda guerra mondiale; quelle erano condizioni straordinarie, che mi sembrano anacronistiche in questo contesto. Mi auguro che possiate comprendere la nostra posizione, che è una posizione radicale perché, forse egoisticamente, guarda più, se non esclusivamente, agli interessi della Padania, della gente e delle aziende del nord, dei nostri cittadini del nord. Vi comportereste in maniera autolesionistica se sosteneste una posizione che magari non è esplicitamente ma implicitamente connivente e verreste sicuramente indicati come correi in relazione ad un orientamento che tutti noi dovremmo respingere con estrema fermezza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).


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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Stelluti.

CARLO STELLUTI, Relatore. Ringraziando tutti i colleghi intervenuti nella discussione, non mi resta che ribadire alcune osservazioni molto sintetiche. Giudico comprensibili le aspettative di molti colleghi di ravvisare nel corpo di questo provvedimento tracce di riforma, in particolare su temi importanti come la gestione del mercato del lavoro. Non si tratta, tuttavia, di un provvedimento di riforma, ma di un decreto, la cui indiscutibile caratteristica è quella di raccogliere alcune sollecitazioni urgenti per gestire una fase travagliata per i problemi occupazionali e per la tenuta del sistema produttivo. Tutti ci auguriamo che anche questo provvedimento contribuisca a sancire la chiusura di tale fase.
Il Governo è impegnato a dare seguito al patto per il lavoro. Noi riteniamo importante che in questo contesto si possa rispondere alle sollecitazioni ed alle aspettative per realizzare una riforma seria di tutti i temi relativi al mercato del lavoro. In particolare, considero importante sottolineare che i lavori socialmente utili sono stati un'intuizione che ha dato seguito ad una sperimentazione, che è stata regolata da questo provvedimento, sia pure soggetta a continui aggiustamenti. A questo punto esiste la necessità di dare certezza normativa.
Alcune delle regole contenute nel testo danno risposta a talune osservazioni svolte in quest'aula; si tratta di regole che tentano di arginare le connotazioni clientelari che questo provvedimento potrebbe assumere in situazioni del tutto particolari. Molti rilievi ragionevoli sono stati sollevati dall'opposizione sia in Commissione sia in aula. Vi è l'esigenza di raccogliere tali sollecitazioni, in parte avanzate dalla stessa maggioranza. Ricordo, in particolare, i problemi del part-time in agricoltura, della riforma degli strumenti di gestione del mercato del lavoro, della riforma degli ammortizzatori sociali. Avremmo voluto accogliere taluni emendamenti che avrebbero significativamente migliorato il provvedimento, ma è diffusa la consapevolezza che qualora modificassimo il testo, l'impossibilità per il Senato di esaminare il decreto-legge in tempi utili ne provocherebbe la decadenza, con gravi conseguenze per migliaia di lavoratori e di imprese che attendono certezza normativa.
Concludo questa breve replica invitando il Governo a raccogliere le sollecitazioni emerse dal dibattito in aula e in Commissione, nonché quelle parti dei decreti-legge nn. 499 e 511 che non sono state inserite nel provvedimento al nostro esame, in modo da garantire certezza normativa, riordino e semplificazione della materia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANTONIO PIZZINATO, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Onorevoli deputati, condivido le considerazioni di carattere generale svolte nella replica dall'onorevole Stelluti, che colgo l'occasione per ringraziare del lavoro puntuale e paziente svolto in Commissione in occasione tanto dell'esame del decreto-legge n. 511, quanto, successivamente, dell'inserimento di parte di esso nel decreto-legge n. 510. Condivido le sue considerazioni accogliendo, come preciserò in seguito, anche il suo suggerimento in merito alle parti non recepite di alcuni decreti in scadenza.
Vorrei rapidamente soffermarmi solo su alcuni problemi posti nel corso della discussione per indicare quali soluzioni sono state adottate e quale percorso il Governo intende seguire per dare ad essi risposte positive, ben sapendo che con riferimento a taluni aspetti, alcuni suggerimenti provenienti dall'opposizione, nel corso dell'esame presso il Senato, sono stati recepiti e tradotti in norme.
In particolare, da parte degli onorevoli Santori e Tortoli è stata sottolineata l'esigenza di un rapporto forte tra lavori


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socialmente utili e realizzazione di formazione. Noi pensiamo che attraverso la costituzione di società miste, che fra l'altro prevedono contemporaneamente lo svolgimento di lavori socialmente utili strettamente collegati con corsi di formazione adeguati ai lavori in atto ma tanto più a quelli in prospettiva, si risponda in questo senso. Mi si consenta di ricordare gli ultimi tre progetti approvati. Il "progetto Polis" riguarda circa 1.500 tecnici, ingegneri, geometri; anche il progetto interregionale si muove in questa direzione; penso inoltre al progetto realizzato dalla protezione civile per gli interventi per le aree a rischio sismico, che vedrà impegnati al termine del corso di formazione 800 architetti, ingegneri e geometri. Potrei continuare negli esempi; è questo il salto qualitativo proprio nella direzione indicata.
Noi abbiamo accolto - ed è contenuta nel decreto - la proposta che veniva dalle minoranze al Senato, secondo cui entro un anno il Governo presenterà una legge-quadro in tema di lavori socialmente utili. Ci impegniamo in un confronto con tutte le forze affinché i suggerimenti che sono venuti nel corso del dibattito (e ringraziamo coloro che li hanno avanzati) siano recepiti.
Una seconda osservazione era quella dell'onorevole Michielon circa l'esigenza di introdurre norme nei confronti dei lavoratori in mobilità o in cassa integrazione che, qualora rifiutassero di partecipare a lavori socialmente utili, perdessero il diritto all'integrazione salariale. Questa norma è già stata introdotta con la legge finanziaria del 1996. Accogliendo un emendamento al Senato si è inoltre introdotta un'altra disposizione che suggeriva l'onorevole Michielon, secondo cui per i lavoratori in mobilità che vengono chiamati a svolgere attività a tempo determinato vi è la sospensione della mobilità, che poi riprende nel momento in cui essi cessano il lavoro a tempo determinato presso l'azienda. Anche in questo caso la norma è molto precisa. Nella legge-quadro alla quale prima facevo riferimento e che ci apprestiamo ad elaborare potremmo rispondere più puntualmente a questi aspetti, anche se il regolamento del Ministero del lavoro di attuazione delle norme già indica i suggerimenti che venivano sottolineati.
Vi è un terzo aspetto. È stata rilevata l'esigenza che la corresponsione del sussidio di 800 mila lire sia subordinata all'effettiva presenza. Questo vale sia per la partecipazione al lavoro sia per i corsi di formazione professionale; è già nelle norme.
Infine, esiste un ulteriore aspetto. Abbiamo introdotto, anche in questo caso accogliendo un suggerimento proveniente dal Senato, una norma con cui semestralmente si impegna il Governo a presentare in Parlamento un rapporto sui progetti di lavori socialmente utili, sui partecipanti suddivisi per età, regione e così via. Il primo rapporto è già stato presentato lo scorso ottobre e fornisce i seguenti dati: 83 mila fra giovani disoccupati di lunga durata o lavoratori in cassa integrazione o mobilità partecipano ai progetti territoriali e regionali, 13 mila ai progetti nazionali. Una sola notazione. È vero che al primo posto vi è la Campania, ma al quarto vi è il Piemonte per numero di lavoratori impegnati e in particolare di giovani disoccupati e tecnici impegnati nei progetti di lavori socialmente utili.
Prima di concludere vorrei fare un'ultima considerazione. Essa attiene alle osservazioni inerenti l'inserimento in questo decreto della parte di riforma del collocamento per quanto concerne il venir meno della necessità del rilascio del nulla osta e il collocamento in agricoltura. Lo si è fatto per salvaguardare l'architettura di queste misure che sono state adottate dal Governo nel corso del 1994, perché le strutture degli uffici di collocamento ed anche le modalità con le quali si pratica l'avviamento al lavoro in agricoltura sono profondamente mutate; sarebbe stato impossibile porci nelle condizioni ante l'adozione di queste misure, nel 1994.
A tale riguardo vorrei fare una sola riflessione ad alta voce. Ieri, ascoltando l'intervento dell'onorevole Tiziana Parenti (l'argomento è stato ripreso oggi dall'onorevole


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Roscia nel suo intervento) ho sentito che le misure adottate nel 1994 sono state definite come misure clientelari e per favorire il lavoro nero. Si può convenire o dissentire sulle stesse, ma credo che sia profondamente errato considerarle tali. Non sono norme né di natura clientelare, né volte a favorire il lavoro nero. Vi è un processo di innovazione che va completato; il Governo intende completarlo, presentando una legge di riforma del collocamento, nel corso del 1998, e contemporaneamente dando attuazione alla parte che riguarda gli avviamenti al lavoro, le flessibilità contrattate e regolate del lavoro previste dal patto per il lavoro.
In questo senso il Governo si impegna - ed era questo il suggerimento del relatore - nella prossima o nella successiva riunione del Consiglio dei ministri a recepire in un unico disegno di legge ordinario l'insieme di norme che riguardano il lavoro, norme che decadranno perché non recepite in questo decreto oppure inserite in decreti che sono in scadenza. Tra tali norme vi sono quelle relative al collocamento e al collocamento in agricoltura. Credo che in tale sede con l'apporto dei deputati e dei senatori di tutti i gruppi parlamentari sia possibile pervenire con leggi ordinarie a ridefinire le materie alle quali con questo decreto certamente non si poteva dare risposte complessive.
È con questo spirito, e ringraziando per gli apporti che sono venuti dal dibattito, che io mi permetto di riformulare la proposta all'aula di esprimere il proprio consenso sul disegno di legge nel testo approvato dal Senato, consentendo così la conversione in legge del decreto in esame. A partire dalle prossime settimane, il Governo si impegna ad operare affinché i giusti suggerimenti che ci sono stati ed altri che saranno necessari, collegati al patto per il lavoro, si concretizzino in una normativa attraverso la legislazione ordinaria.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione bilancio ha espresso, in data 26 novembre 1996, il seguente parere:

PARERE FAVOREVOLE

a condizione che sia risolta l'incongruenza derivante dalla previsione nell'articolo 9-septies della disposizione già contenuta nell'articolo 8 del decreto-legge n. 511 del 1996, recante un onere di 30 miliardi per il 1995 e di 50 miliardi per il 1996 per la promozione del lavoro nel Mezzogiorno, senza che sia contemporaneamente riprodotta la disposizione già contenuta nell'articolo 11, comma 5, del citato decreto-legge, recante la copertura finanziaria dei suddetti oneri.

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti Malavenda 1.8, Cappella 4.01, Poli Bortone 5.1, Pampo 5.2, Malavenda 6.1 e 9.2, Pampo 9-ter.4 e Santori 9-ter.8, identici, Michielon 9-quater.13 e 9-quinquies.1, Pampo 9-quater.6, 9-sexies.02 e 9-sexies.03, Santori 9-sexies.05, 9-sexies.07 e 9-sexies.08, Pampo 9-septies.1, 9-septies.2 e 9-septies.3 e Michielon 9-novies.01, in quanto suscettibili di recare maggiori oneri non quantificati né coperti.

NULLA OSTA

sui restanti emendamenti.

Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
Avverto che gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi presentati sono riferiti agli articoli del decreto-legge, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
Avverto altresì che non sono stati presentati emendamenti riferiti all'articolo unico del disegno di legge di conversione (per gli articoli, gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi, vedi l'allegato A).
Onorevoli colleghi, dovremmo ora passare agli interventi sul complesso degli emendamenti e degli articoli aggiuntivi riferiti agli articoli del decreto-legge e all'articolo unico del disegno di legge di


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conversione. Alla Presidenza risulta che abbiano chiesto di parlare gli onorevoli Caruso, Bastianoni e Armani.
Per ragioni tecniche tra tre minuti dovremo sospendere la seduta. Se vi fosse stata una minore "intensità" nelle repliche avremmo potuto consentire a questi colleghi di intervenire prima della sospensione. Poiché tuttavia questo non è accaduto, e giustamente non lo si poteva far rilevare più di tanto al relatore ed al Governo, che avevano tante cose intelligenti e importanti da dire, prendo atto che non vi sono altri colleghi che chiedono di parlare sul complesso degli emendamenti e degli articoli aggiuntivi e sospendo la seduta fino alle 16,30, ricordando che alle 13 è convocato il Parlamento in seduta comune.

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