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Seduta del 21/4/1999


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONINO MONTAGNINO

Audizione del vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dottoressa Rossella Pagliuchi, e del rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate dal Dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati dal Kosovo, dottor Marco Griffini.

PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori con l'audizione del vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dottoressa Rossella Pagliuchi, e del rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate dal Dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati dal Kosovo, dottor Marco Griffini. Mi scuso con la dottoressa Pagliuchi e con il dottor Griffini per la presenza di pochi colleghi, ma ciò deriva dalla coincidenza di queste audizioni con un'importante riunione della Commissione affari sociali della Camera e con i lavori dell'Assemblea del Senato il cui inizio è stato anticipato alle 15,30.
Secondo i dati dell'Alto commissariato aggiornati al 18 aprile 1999, il numero stimato di rifugiati dal Kosovo è di 365 mila in Albania, 132 mila 500 in Macedonia, 73 mila 500 in Montenegro; è stato inoltre rilevato che la situazione più critica è quella di Kukes, che deve fronteggiare più di 100 mila rifugiati ed un flusso in arrivo imponente e non ancora stimabile. L'Alto commissariato è già impegnato nella città con un gruppo di coordinamento per le necessità sanitarie ed igieniche; in Macedonia ha inviato un delegato per discussioni di alto livello sulla situazione dei rifugiati; parimenti ha preso contatti per garantire un supporto logistico per i rifugiati del Kosovo ed ha monitorato i trasferimenti umanitari verso altri paesi, svolgendo anche attività operativa in tal senso.
In questo quadro non si può non prendere atto di quanto di utile ed importante viene svolto dall'Alto commissariato, ma anche delle polemiche sollevate in ordine ad una insufficienza degli aiuti prestati, in particolare rispetto all'opera svolta dal Governo italiano. È quindi necessario avere indicazioni circa la situazione dei profughi minori di età e le iniziative intraprese dall'ONU in loro favore, nonché riguardo all'integrazione ed al coordinamento dell'attività svolta a favore dei profughi dal Governo italiano.
I nostri interlocutori di oggi sono la dottoressa Rossella Pagliuchi, vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ed il dottor Marco


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Griffini, rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate dal dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati del Kosovo. Vi pregherei di fornirci le notizie più dettagliate possibile per quanto riguarda i vostri interventi e soprattutto di darci suggerimenti su quanto potremmo fare. Do senz'altro la parola alla dottoressa Pagliuchi.

ROSSELLA PAGLIUCHI, Vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Innanzitutto vorrei ringraziarvi per averci dato questa possibilità di parlare di un argomento che ci sta molto a cuore, come quello dei bambini rifugiati. Data l'ora tarda, non ripeterò considerazioni di carattere generale e mi riallaccio direttamente alle cifre ricordate dal presidente. Esse sono importanti perché spiegano in grande misura la ragione per cui ci troviamo al punto in cui siamo: abbiamo una popolazione di rifugiati di circa 650 mila persone nei paesi vicini, senza contare quelle che hanno già lasciato i Balcani in direzione di altri paesi; questi rifugiati si trovano in paesi che hanno già gravissime tensioni di carattere politico ed economico. Tutti abbiamo potuto seguire in televisione lo stillicidio che ancora prosegue per quanto riguarda, per esempio, gli ingressi in Macedonia.
Parlavo recentemente con un collega che ha negoziato con il Governo macedone l'ingresso dei disperati della valletta di Blaze, che sono stati giorni e giorni senza alcun tipo di assistenza nel fango e nei rifiuti senza un tetto sulla testa, nemmeno i «ceratoni» che di solito siamo in grado di distribuire: mi ha descritto scene dantesche. Alla fine sono entrati e dopo una lunghissima trattativa è stato dato il permesso di stabilire l'insediamento dei campi a Stankovic, poi di nuovo ci sono stati ritardi e chiusure di confini; nelle ultime quarantotto ore ci è stato consentito di aprire un nuovo campo a Tetovo e di aprire un campo di transito breve per 5 mila persone a Drasda, poi di nuovo alcuni rifugiati sono stati rispediti indietro; ieri sera siamo riusciti a farne entrare altri 3 mila mentre altri 200 con un treno sono stati costretti a rientrare in Kosovo. Dico questo per darvi un'idea delle difficoltà in cui si svolge l'assistenza umanitaria.
Non mi dilungherò sui motivi per cui questo avviene e sulle tensioni politiche ed etniche della Macedonia, però è un fattore importante. In Albania, dove la situazione è politicamente di più facile gestione perché gli albanesi si sono dichiarati favorevoli all'accoglienza di profughi ed hanno dimostrato grande generosità, le strutture sono praticamente inesistenti. La grande preoccupazione adesso è la strada di Kukes, l'unico accesso a quella zona, che era già pessima prima ma ora è completamente distrutta dal continuo passaggio di camion di generi alimentari da una parte e di rifugiati che l'Alto commissariato sta spostando verso il sud dall'altra. C'è il rischio che la strada si disintegri totalmente ed a quel punto saremo davvero in una situazione drammatica perché Kukes, una cittadina di 15-20 mila abitanti, al momento ospita circa 80 mila persone in case locali, 30 mila in centri collettivi (cioè strutture in muratura in qualche modo riadattate), 12 mila nei campi e 13 mila 500 che ancora vivono sui trattori. E questo nonostante il fatto che stiamo portando via gente da Kukes verso il sud ad una media di 10 mila al giorno.
Tutto questo va tenuto in considerazione, perché non si può parlare della situazione dei bambini al di fuori del contesto in cui vivono le loro famiglie, un contesto estremamente difficile. Gli ultimi arrivati sembrano essere in condizioni psicofisiche ancora più provate, l'aprirsi e chiudersi delle frontiere per cui un giorno non arriva nessuno (ieri a Morini, in Albania, sono arrivate solo 15 persone, poi improvvisamente ne arrivano 10-15 mila) sta provocando un'incapacità di gestire il medio termine perché dobbiamo sempre inseguire l'emergenza. Credo non ci sia dubbio che questo venga fatto anche intenzionalmente, allo scopo di destabilizzare


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i paesi vicini e di rendere più complessa la gestione degli aiuti di emergenza.
Dei minori ci si può occupare nel medio termine, quando la situazione consente quel minimo di stabilità indispensabile per cominciare ad affrontare certe problematiche importanti. Per ora, tra l'altro, temo di non potervi fornire nemmeno cifre esatte: ancora infatti non sappiamo esattamente quanti sono i minori, anche perché non è stato possibile avere una registrazione totale dell'intera popolazione. Le cifre che vi abbiamo dato sono frutto di stime, sappiamo però che i minori sono approssimativamente il 65 per cento della popolazione kosovara, quindi parliamo di numeri molto grandi.
Le modalità della fuga o dell'espulsione sono interessanti perché forniscono dati ulteriori. La maggior parte delle persone ha lasciato il paese con una deportazione sistematica ed organizzata, ciò significa che intere comunità sono venute via insieme. Questo da una parte è positivo, poiché non ci sono molti minori non accompagnati nel senso che viaggiano proprio da soli, mentre per esempio in Ruanda erano moltissimi; dall'altra parte, però, il fatto che la cultura kosovara in genere prediliga la famiglia in senso esteso ed i rapporti stretti di vicinato, quindi il minore non accompagnato è facilmente preso in carico dai suoi vicini o dai suoi parenti, comporta che i bambini separati dalle famiglie non siano facilmente identificabili perché si presentano comunque come parte di un nucleo. Ci sono infatti buoni motivi per pensare che soprattutto nello stadio iniziale, in cui ci è stata pochissima registrazione, alcuni di questi bambini siano sfuggiti all'identificazione essenziale poi per i rintracci.
Una stima del comitato internazionale della Croce rossa in un particolare sito ha parlato di circa 200 minori separati, che cioè avevano qualcuno con loro ma non le stesse persone che si prendevano cura di loro prima della fuga. È circa il 10 per cento, un numero importante. D'altra parte vi sono problemi relativi al fatto che le milizie serbe hanno separato gli uomini dai bambini e dalle donne; vi sono state ulteriori complicazioni quando alcune persone sono state arbitrariamente spostate, a volte spezzando il nucleo familiare, per essere spedite dalla Macedonia in Albania; si è anche saputo di gruppi di persone imbarcati per la Turchia spesso contro il loro volere, e anche in questo caso è stato spezzato qualche nucleo familiare. Presumo che tutto ciò sia avvenuto in base ad accordi bilaterali ma si tratta, comunque, di fenomeni gravissimi che, ci auguriamo, non si ripetano più. Lo stesso Alto commissario ha fatto dichiarazioni molto forti in tal senso e sono state effettuate pressioni su tutte le persone coinvolte affinché la volontarietà dell'evacuazione e il principio dell'unificazione familiare siano rispettati.
La registrazione continua e, al momento, in Macedonia è quasi completata (in Albania dovrà cominciare nella prossime settimane). Si stanno creando strumenti per facilitare l'identificazione, la riunificazione dei minori separati e la riunificazione familiare. Alcuni progetti sono già stati avviati in collaborazione con la Croce rossa internazionale. Mi dispiace di non potervi offrire dati precisi per tutti i luoghi perché, come probabilmente saprete, uno dei grossi problemi di questa operazione è la coordinazione, che ha anche a che vedere con quanto sta facendo l'ONU.
Al riguardo permettetemi un inciso: la funzione dell'ACNUR non è tanto quella di venire in prima persona con i picchetti e con le tende, quanto quella di coordinamento e di accertarsi che certi standard vengano rispettati. Se i programmi dovessero essere implementati direttamente dall'ACNUR in prima persona, dovremmo avere, su una popolazione di 23 milioni di rifugiati, uno staff di qualche milione di persone, rispetto alle tremila o quattromila unità attuali. Il grosso problema, quindi, attiene al coordinamento e alla necessità di stabilire standard minimi che sia poi possibile implementare con l'aiuto di tutti.
Per il momento la coordinazione non è al meglio. Le dimensioni del fenomeno


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hanno spiazzato tutti, noi inclusi, ma ci stiamo organizzando a poco a poco, pur con le difficoltà di cui parlavo.
Tornando ai programmi di riunificazione familiare, aggiungo che in paesi che hanno ricevuto un numero importante di kosovari sono stati istituiti i numeri verdi (cito la Germania, la Svizzera e la Francia) ai quali possono rivolgersi le persone che cercano la propria famiglia. Credo, visto che parlavamo di cose che potremmo fare anche noi, che questo potrebbe essere un servizio utile, considerato che abbiamo ricevuto moltissime telefonate di persone che cercano i propri familiari. Abbiamo una comunità kosovara abbastanza consistente e sappiamo che molte famiglie sono sperse tra l'Albania, la Macedonia e il Montenegro.
Per quanto riguarda i minori separati, vorrei dire che nelle emergenze le adozioni non sono possibili. Non mi riferisco alle adozioni a distanza, di cui parlerà il dottor Griffini, ma a quelle vere e proprie. In questo stadio non si può dire che i bambini siano orfani. È quindi importante che vengano identificati e che si creino gli strumenti per la ricerca dei genitori, quando ciò sia possibile.
Per i bambini che al momento risultino completamente separati, l'ACNUR favorisce il collocamento in famiglie possibilmente già conosciute dal bambino ed è decisamente contro l'uso di istituzioni quali orfanotrofi, per esempio, ad eccezione dei casi in cui ciò sia assolutamente necessario.
La registrazione delle nascite è un problema che nel corso dell'emergenza viene spesso sottovalutato in quanto si ritiene che vi siano cose più urgenti da fare. La registrazione delle nascite è invece essenziale perché consente poi di avvalersi della propria cittadinanza e di avere dei diritti. Molte persone che hanno lasciato il Kosovo sono state addirittura private dei loro documenti e ciò rende ancora più essenziale una registrazione puntuale delle nascite e delle morti. Se possibile, le registrazioni dovrebbero essere attuate dallo Stato ospite tramite le sue strutture nazionali, altrimenti si può far ricorso ad un sistema parallelo. È comunque importante che vi sia un registro centralizzato delle nascite, a proposito del quale abbiamo una serie di istruzioni e di standard da seguire circa il modo in cui deve essere fatto, incluso il genere di dati da registrare affinché in futuro possa esserci la possibilità di riavvalersi di fatto della propria cittadinanza.
Un punto dolente è il trauma, che probabilmente è inevitabile nell'esperienza del rifugiato, sia esso bambino sia adulto. Però lo sradicamento dal proprio territorio tocca più i bambini e gli anziani, perché sono in uno stadio della vita in cui, per motivi diversi, la stabilità e la prevedibilità del proprio contesto sono essenziali. La grande maggioranza dei bambini kosovari nei Balcani porta segni evidenti di trauma: vi sono bambini che piangono continuamente o che piangono per un nonnulla, mentre altri non reagiscono a stimoli esterni e altri ancora giocano nei campi, sebbene siano talmente pieni di gente che per loro non c'è nemmeno lo spazio per correre, e, durante il giorno, sembrano normali ma di notte si svegliano con gli incubi. Questo perché forse hanno vissuto una delle esperienze più drammatiche nello stesso contesto della fuga già di per sé drammatico. In molti casi, infatti, vi sono famiglie che non hanno soltanto lasciato la casa per trovarsi in Macedonia o in Albania il giorno dopo, ma da un anno si spostano all'interno del loro paese; da un anno vivono con la borsa da viaggio vicino alla porta; hanno lasciato la loro casa più di una volta cercando la relativa sicurezza in un villaggio vicino. La stabilità, quindi, non esiste più già da molto tempo.
Per non parlare poi del fatto che la deportazione è stata accompagnata da episodi di violenza: alcuni bambini hanno visto cadaveri, hanno assistito all'uccisione di persone che conoscevano, hanno visto bruciare le loro case. Questo è il genere di esperienza che hanno vissuto molti bambini e che resterà sempre come una cicatrice nella loro vita. Ed è difficile trattare questo genere di esperienza se non si ha una situazione minimamente


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stabile. Sia all'interno di un campo sia di una famiglia deve esserci un minimo di stabilità.
Il trattamento dei bambini traumatizzati va al di là della goccia di valium, che in una emergenza è spesso l'unico palliativo disponibile. Sono già partiti alcuni programmi, che purtroppo interessano ancora una minoranza rispetto a coloro che ne hanno bisogno, volti al reclutamento e all'addestramento di personale specializzato, quindi in grado di offrire almeno le cure di base e di parlare la lingua locale. Il reclutamento riguarda sia gli albanesi sia i rifugiati kosovari, presso i quali vi sono persone che spesso hanno un livello di istruzione abbastanza alto e sono in grado e disposte ad aiutare. Alcuni programmi sono stati invece messi in attesa, per esempio quello di riabilitazione attraverso la musica, che al momento è assolutamente non implementabile per ovvi motivi.
Vi è comunque il tentativo di ricreare un certo legame con il passato e una certa stabilità. Nei campi si stanno distribuendo kit scolastici e, ove possibile, si sta cercando di riaprire scuole dove iniziare le lezioni, cosa che già accade nella maggior parte dei siti. Si cerca di raccogliere e distribuire giocattoli e di costituire gruppi di gioco anche in funzione terapeutica. È stato già avviato un programma radiofonico in lingua albanese, di intrattenimento, di informazione e di educazione alla pace, mirato ai bambini.
Vorrei solo citare, perché non sono sicura di quanto sia stato possibile fare fin qui, il problema degli handicappati, che riguarda moltissimi bambini e adulti: in molti casi sono stati lasciati indietro, perché non potevano essere spostati, ma ho anche sentito storie raccapriccianti di persone alle quali è stata tolta la sedia a rotelle. Mi agghiacciano questi atti di crudeltà totalmente gratuita. Vi sono persone, quindi, che non hanno nemmeno quei mezzi che permettano loro un minimo di funzionalità. Vi sono alcune organizzazioni, quali l'OCSFAM, che hanno cominciato a guardare a questo problema, per cui si sta cercando di coordinare gli interventi per vedere ciò che può essere fatto. Non so quanto siamo stati in grado di fare, però cito come problema quello degli handicappati.
Dal nostro punto di vista, come Alto commissariato vi è un'altra questione di estrema importanza, quella del reclutamento e della sicurezza fisica. Come sapete, le attività dell'UCK si svolgono spesso nei campi o vicino ad essi, quindi c'è il reclutamento. Fin qui non abbiamo trovato segni inquietanti di reclutamento di minorenni, ma che ciò accada non può essere escluso, per cui bisogna vigilare. Queste sono infatti situazioni in cui il ragazzo quindicenne o sedicenne spesso vuole arruolarsi o è sotto pressione affinché lo faccia. Anche se la Convenzione per i diritti del fanciullo al momento fissa il limite per il reclutamento a quindici anni, noi siamo perché ciò sia possibile non prima dei diciotto anni, soprattutto in situazioni di guerra quando reclutamento significa combattere.
Va sottolineato, inoltre, che il campo profughi è deve essere, per definizione, un insediamento civile, non militare. Questo principio, consono al diritto internazionale, per cui ci sforziamo di sostenerlo in tutte le situazioni, anche se non sempre con successo, ha anche una implicazione nel senso della sicurezza dei rifugiati, perché nel momento in cui il campo diventa un campo di reclutamento e di addestramento diviene anche un obiettivo militare. A Kukes abbiamo avuto dei problemi, come avrete sentito, e ci sono segni che altri possano essercene. Anche per questo l'ACNUR ha trascinato i piedi, per così dire, all'idea che si possano realizzare grossi campi a Kukes, in quanto questa località non è obiettivamente sicura. Vogliamo che Kukes sia un posto di transito dove la gente si fermi il meno possibile. È per questo che grossa parte dello sforzo è stata proprio nell'organizzare il trasporto da Kukes verso il sud, piuttosto che nell'ingrandirsi delle tendopoli in quella zona. Il motivo per cui l'ACNUR è stata denunciata per non aver realizzato la famosa tendopoli è che il governo albanese non voleva darci il


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terreno (vi sono state lunghe questioni sulla scelta del sito e dell'assegnazione). Comunque, a parte questo, resta il fatto che, in generale, non vogliamo i campi vicino ai confini.
Come ultima questione vorrei citare il problema, di cui ancora non conosciamo l'esatta entità, dello sfruttamento e della violenza sessuale, che non colpisce solo i minorenni ma molto anche i minorenni. Vi sono indicazioni di una crescente presenza di giovani kosovare sul mercato della prostituzione. Non sappiamo esattamente come questo succeda, ma è chiaro che le giovani kosovare separate dagli uomini della famiglia sono più facilmente oggetto di pressioni e violenze per costringerle alla prostituzione. Purtroppo sapete che in questo mercato vi è una forte componente albanese, anche in Italia. Oltre alle violenze che si sa sono state fatte prima della partenza dal paese di origine, vi sono anche resoconti di violenze che si stanno esercitando all'interno dei paesi di accoglienza, da parte di altri rifugiati o da parte di uomini della comunità locale. Anche questa è una questione che deve essere vista con grande attenzione e richiede quel lavoro capillare che si può fare con successo solo su una comunità stabile.
Mi rendo conto che il tempo trascorre e vorrei quindi concludere per lasciare spazio alle domande che sicuramente i commissari vorranno rivolgere. È difficile fare delle conclusioni perché non sappiamo veramente dove stiamo andando. Si pensava che questa sarebbe stata una crisi di brevissima durata. Debbo dire però che i segni non mi sembra giustifichino molto ottimismo. Le notizie di questa mattina dal Montenegro sembrano indicare segnali veramente molto pericolosi. La macchina umanitaria si sta muovendo; piano piano ci arriveremo, stiamo migliorando. Vi sono molti mezzi ed un problema di coordinamento, forse proprio perché vi sono tanti rifugiati, tanti mezzi e tante organizzazioni. Il problema è innanzi tutto il fattore tempo. Per quanto tempo tutto questo può andare avanti? Come gestire la crisi se andrà avanti molto tempo? Lascio il quesito come tema su cui riflettere. Il problema non è solo quello di rifornire i campi, ma anche di rafforzare le infrastrutture di questi paesi e probabilmente di cominciare a pensare a qualcosa che fin qui non abbiamo voluto veramente considerare. Il Governo italiano ha fatto delle dichiarazioni molto forti nel senso che si sarebbe impegnato, e lo sta facendo con molto alacrità e generosità in Albania, ma che non avrebbe accettato trasferimenti di rifugiati qui. Francamente non so se ciò sarà possibile nel lungo periodo perché, anche se l'Albania fosse disponibile a tenersi tutti i rifugiati, le infrastrutture sono quelle che sono e nel lungo periodo potrebbe risultare effettivamente molto difficile per quel paese «digerire» questa enorme popolazione di rifugiati. Anche questo, dunque, è un problema da considerare.
Al di là della questione delle quote - che, come sapete, sono state offerte, in risposta all'appello dell'Alto commissario, da diversi paesi per i rifugiati kosovari in Macedonia per cercare di decongestionare la situazione e quindi, si spera, ottenere una migliore collaborazione dal governo macedone - vi sono però alcuni interventi che potremmo fare subito. Mi riferisco al problema dei ricongiungimenti familiari. In teoria il ricongiungimento familiare con un rifugiato è possibile ed anche relativamente facile; nella pratica siamo subissati di telefonate, alle quali francamente non sappiamo cosa rispondere, da parte di gente che si trova qui, ha un permesso di soggiorno come rifugiato o più spesso per motivi umanitari. Come forse saprete, infatti, la commissione centrale è dell'avviso che la maggior parte dei rifugiati kosovari non sia tale ai sensi della convenzione; quindi ottenere un permesso umanitario che permette di rimanere in Italia e di lavorare, ma che non dà il diritto al ricongiungimento familiare alle stesse condizioni di un rifugiato. Poi ci sono quelli che hanno un permesso di soggiorno di altro tipo, per cui se non possono dimostrare di avere i mezzi di sostentamento non possono riunirsi alla


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famiglia. Inoltre, un ricongiungimento familiare richiede un passaporto ed un visto, il che francamente è al di là della possibilità della maggior parte di queste famiglie.
A questo punto, al di là degli enormi problemi della Macedonia e dell'Albania, di qualcosa che sarebbe veramente necessario fare e che sarebbe al tempo stesso fattibile, direi che occorrerebbe pensare ad un modo - forse attraverso un decreto - per prevedere procedure e criteri più flessibili per il ricongiungimento familiare, magari anche al di là della famiglia nucleare, se possibile, in modo da consentire a molte di queste persone di ottenere intanto un minimo di pace di spirito. Non credo sia molto facile pensare alla propria famiglia in un campo profughi o peggio ancora semplicemente in un campo, all'aperto, nel fango della Macedonia. Mi sembra che questo sarebbe davvero un atto di civiltà dovuto. Questa è una proposta che vorrei avanzarvi come qualcosa che si può fare.
Come ho detto, mi fermerei qui per lasciare spazio ad eventuali domande.

PRESIDENTE. Ringrazio innanzitutto, a nome della Commissione, la dottoressa Pagliuchi e credo di poterla rassicurare dicendo che i problemi derivano non certo dal suo italiano, che è perfetto, ma dalle dimensioni di questa tragedia; dimensioni enormi, non prevedibili ed impreviste, nelle quali si pongono i problemi di coordinamento già richiamati e nelle quali tutti gli interventi rischiano di risultare inadeguati, anche quelli che si presuppongono efficaci. Questo credo coinvolga la consapevolezza e la responsabilità di ciascuna istituzione.
La ringrazio anche per i suggerimenti che ci ha dato e non solo per lo scenario drammatico che ha esposto e che probabilmente dalle notizie della stampa e della televisione era apparso di dimensioni inferiori a quelle qui rappresentate.
Se i colleghi sono d'accordo, direi ora di ascoltare il dottor Griffini per passare poi alle domande.

MARCO GRIFFINI, Rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate dal Dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati del Kosovo. Sarò breve anche perché il contesto è stato già illustrato dalla dottoressa Pagliuchi e il ministro Turco avrà senz'altro riferito ampiamente su quanto sta accadendo.
Sono presidente dell'Associazione amici dei bambini (AiBi) e sono il portavoce del programma «Emergenza bambini Kosovo», di cui al documento già a disposizione della Commissione, che illustrerò brevemente e per grandi linee.
Il presidente chiedeva cosa si può fare. Le dimensioni del fenomeno sono state indicate: noi delle organizzazioni non governative siamo abituati spesso non a pensare ma a lavorare, nel senso che siamo sempre in una situazione di emergenza. L'emergenza è il nostro mestiere e con le altre organizzazioni lavoriamo sempre su drammi umani. Un dramma può essere più grande di un altro, ma proprio perché siamo organizzazioni non governative siamo abituati a considerare il dramma individuale, anche quando riguarda un milione di bambini; è sempre il bambino al centro della nostra attenzione.
In questo caso le dimensioni sono enormi. Noi siamo abituati ad essere «gocce del mare»; cosa stiamo cercando di fare? In questo dramma la fortuna è stata quella di essere presenti in Albania da molti anni. Alcune delle organizzazioni che partecipano al programma sono presenti dal 1991, quindi dal primo dramma albanese. Ora siamo al terzo. In occasione del secondo dramma, nel 1994-1995, proprio noi del volontariato internazionale abbiamo pensato di non affrontare l'emergenza in maniera sporadica, bensì di unire le forze. Sono così nati per la prima volta dei programmi-paese. Che cosa vuol dire? Abbiamo costruito dei mosaici: non facciamo interventi singoli ma mettiamo insieme le energie. Sono così nati tre programmi, uno per le donne, uno per i minori e l'altro per i disabili. Per cercare di «rammendare» la società albanese, che


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era proprio alla deriva, sono state create delle strutture che si sono rivelate utilissime quando è scoppiata l'emergenza del Kosovo. A quel punto, quando hanno cominciato ad arrivare migliaia di profughi, abbiamo messo a disposizione queste strutture; poi qualcosa ci ha fatto pensare; abbiamo infatti visto la situazione nei campi di accoglienza allestiti all'inizio. Ricordo l'esperienza drammatica del primo, quello di Tirana: duemila persone ospitate e due servizi igienici. Le famiglie albanesi andavano al campo e dicevano: non potete stare in queste condizioni, venite a casa nostra; anche se avevano il gabinetto in cortile ed erano in cento ad utilizzarlo, era preferibile; così hanno cominciato a portare a casa i kosovari. Tre giorni dopo abbiamo fatto un primo monitoraggio ed abbiamo visto che in novanta famiglie c'erano novecento kosovari e ci siamo resi conto che non era possibile andare avanti così. Si tratta di famiglie poverissime. Chi è stato in Albania si rende conto di quale sia la situazione: dopo i primi viali principali, se si gira l'angolo si piomba in una situazione da sud America. Non potete continuare così - abbiamo detto - altrimenti tra qualche giorno o tra una settimana sarete costretti a rimandare per strada questi profughi, con l'aggravante che i campi sono pieni, per cui non sapranno dove andare, se non in mezzo alla strada.
Vediamo ora i dati contenuti nella tabellina che abbiamo distribuito. Il Governo albanese stima che siano arrivati 370 mila profughi; ne stanno monitorando 200 mila, per cui già 170 mila sono fuori controllo. Sui 200 mila monitorati, 121 mila, cioè il 60 per cento, sono già alloggiati presso le famiglie. Secondo altre stime siamo addirittura all'80 per cento. L'accoglienza presso le famiglie è quindi diventata la principale e ciò è positivo perché è inumano lasciare queste persone, soprattutto i bambini, sotto le tende. Mi hanno riferito che con gli ultimi due acquazzoni di sabato e domenica hanno dovuto sloggiare due tendopoli; molte tende infatti hanno solo il tetto e sotto non c'è nulla, solo la terra e le loro povere coperte, per cui quando piove arriva il fango e scappano tutti.
L'accoglienza nelle famiglie è più umana, anche in previsione dell'inverno, perché. tempi brevi non sono pensabili. Chi ha fatto l'esperienza della pulizia etnica della Kraina e della Bosnia sa cosa questo voglia dire: nelle ore di viaggio necessarie per andare da Trieste in Bosnia, non si incontrava una casa in piedi. Si sta costruendo qualcosa solo adesso. Intendo dire che occorre pensare ad una accoglienza lunga, e non so come si possa fare. Così si è detto: sosteniamo le famiglie albanesi. È nato quindi il progetto che ha come obiettivo quello di aiutare le famiglie albanesi perché riescano a dare una accoglienza sostenibile e vivibile a quelle kosovare. È tornata proprio ieri mattina la professoressa Iole Oberti, una psicoterapeuta di Genova dell'associazione Nissim Momigliano, in cui opera personale esperto nel post traumatic stress disorder, disturbo che purtroppo colpisce i bambini ma anche gli adulti affetti da trauma da guerra; è importante curarli subito. In Bosnia vi sono tuttora mamme che non escono di casa perché sono ancora convinte che la guerra non sia finita; è difficile convincerle. Questi sono gli effetti di un trauma non affrontato fin dall'inizio. È importante quindi prevenire. Questa responsabile scientifica del progetto ha svolto dei monitoraggi, cercando tra l'altro di rispondere alla domanda: perché le famiglie albanesi ospitano le famiglie kosovare? Anche le motivazioni infatti sono importanti. Il responso è stato: nei paesi prevale il buonismo, cioè le famiglie albanesi accolgono quelle kosovare perché sanno cosa significhi essere genitori. Questo rende loro merito, anche se noi italiani non stimiamo molto gli albanesi. L'anno scorso quando come AiBi abbiamo lanciato una campagna di sostegno a distanza per i bambini albanesi, abbiamo avuto moltissime difficoltà a chiudere il progetto. Nelle città, invece, vi è un interesse, nel senso che la famiglia albanese pensa che ospitando una famiglia kosovara avrà qualche beneficio. Ciò non


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ci scandalizza. Anch'io sono figlio di uno sfollato, perché mio padre da Milano si è trasferito in un paese della Campania dove pagava una famiglia contadina affinché ospitasse lui e i suoi figli.
L'intervento ha l'obiettivo di creare le condizioni di sostenibilità dell'accoglienza, che si sta rivelando molto importante. Negli anni di attività abbiamo creato diverse strutture alle quali ne abbiamo aggiunte altre, tanto che ad oggi abbiamo aperto sul territorio albanese 20 «osservatori minori», ognuno dei quali è dotato di un magazzino specializzato per minori, in contatto con i magazzini centrali (ne abbiamo due a Tirana).
In Bosnia ho visto bambini di sei mesi che mangiavano la carne in scatola Simmenthal, perché molte volte gli aiuti alimentari non sono mirati. Noi invece abbiamo mirato gli aiuti (alimenti per minori, pannolini, vestiti per bambini) e abbiamo predisposto dei kit. Se il materiale che arriva viene depositato in un magazzino, individuare un vestito per un bambino di cinque anni è praticamente impossibile. Quindi, anche i magazzini sono specializzati per alimenti, giocattoli (nei campi non ci sono giocattoli, mentre i bambini devono giocare altrimenti non recuperano più la propria serenità), eccetera.
Gli «osservatori minori» sono dotati di operatori sociali (250) formati in questi anni (ne stiamo formando altri) che, con un rapporto di un tutor per dieci famiglie albanesi (ogni osservatorio lavorerà con 240 bambini), devono accompagnare quotidianamente le famiglie per verificare quali siano i loro bisogni. Non possiamo dimenticare che vi sono anche problemi di convivenza, perché le famiglie sono albanesi, però i kosovari sono albanesi della Macedonia e non dell'Albania. Il tutor, quindi, svolge anche una funzione di mediatore culturale.
Vi sono situazioni di famiglie kosovare i cui componenti dormono tutti in una stanza, mentre quella a fianco è vuota: il fatto è che vogliono stare uniti. Il tutor, che è un operatore sociale, col tempo deve cercare di creare condizioni di vita più accettabili per entrambe le famiglie, quella ospitante e quella ospitata.
Ogni «osservatorio minori» dispone di un'équipe composta da uno psicologo italiano, un pediatra (il coordinamento è stato affidato al Fatebenefratelli) e un animatore, figura molto importante perché deve far giocare i bambini. Nel nostro campo a Tirana da lunedì è cominciata la scuola con insegnanti kosovari, alla quale è stata destinata una tenda.
Gli «osservatori minori» sono delle piccole ASL e devono essere in grado di erogare servizi di assistenza psico-sociale e di animazione.
L'ultimo intervento è basato su un programma di riunificazione. In proposito esistono già progetti delle CS su Internet, e il nostro, che coinvolgerà 20-25 minori e le rispettive famiglie. Tutti gli osservatori sono dotati di computer e stanno per essere dotati di fotocamera digitale in modo che chiunque entra nel programma sia in grado di sapere chi c'è, perché in questo caso, a differenza di quanto avvenne in Bosnia, vi è stata la distruzione dell'identità delle persone.
Si tratta di una goccia nel mare magnum dell'emergenza, ma noi siamo abituati a fare umilmente ciò che possiamo. Cosa potete fare voi? Moltissimo, sostenendo le attività di volontariato. Proprio ieri abbiamo pregato la ministra Turco di diffondere degli spot perché vi è bisogno di solidarietà. Stiamo raccogliendo fondi e in due settimane abbiamo raggiunto quasi due miliardi. Il progetto è finanziato nel seguente modo: per la parte del sostegno a distanza, tutto quanto raccogliamo viene dato ai beneficiari; poi abbiamo presentato alla Missione arcobaleno un progetto per il pagamento delle strutture (professionisti, tutor locali, gestione degli osservatori, carburanti).

PRESIDENTE. Grazie, dottor Griffini, anche per il lavoro che state facendo.

MARCO GRIFFINI, Rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate


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dal Dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati dal Kosovo. Che stiamo tentando di fare!

PRESIDENTE. Speriamo che si riescano a lenire le sofferenze e che questo grande dramma abbia fine il più presto possibile.

PIERA CAPITELLI. Mi scuso perché tra pochi minuti dovrò assentarmi per partecipare ad un'altra riunione, ma purtroppo le audizioni odierne si sono protratte più a lungo di quanto avevamo calcolato.
Oltre ad ascoltare con angoscia quanto ci viene detto, ho la preoccupazione di capire che ruolo possiamo svolgere. Come ho già detto in altre occasioni, sono convinta che ciascuno di noi debba porsi questo problema, perché non dobbiamo pensare che ci si possa muovere sull'onda dell'emotività, ma dobbiamo calcolare e coordinare qualsiasi intervento individuale o collettivo.
In base alle informazioni che abbiamo avuto anche dal ministro Turco, mi pare che possiamo esercitare un grosso ruolo, anche individualmente. Una collega mi ha suggerito prima l'ipotesi di svolgere un ruolo politico sul territorio, anche per mantenere viva l'attenzione su questa tragedia con tutti i mezzi possibili. D'altro canto, ciascuno di noi sul territorio rappresenta dei cittadini e ha una credibilità.
Se da un lato vi è il bisogno di interventi tempestivi, di sapere cosa serve oggi per poterci appellare a tamburo battente alla popolazione, dall'altro vi sarà da fare anche in futuro, perché ci troviamo di fronte ad una tragedia che continuerà, anche se - spero - in modo meno traumatico.
Credo che voi potrete esserci di aiuto anche inviandoci successivamente richieste, appelli e informazioni.

MARIA PIA VALETTO BITELLI. Vorrei porre due questioni, rivolgendomi in primo luogo al dottor Griffini per quanto riguarda il tema dell'adozione a distanza. Da un lato vorrei sapere quali siano i canali di informazione per i cittadini per conoscere i modi di attivazione dei contributi alle adozioni a distanza di famiglie kosovare da parte di famiglie albanesi e come ciascuno di noi può attivarsi per fungere da ripetitore di queste informazioni e per stimolare interventi dei cittadini su iniziative di questo tipo. Vorrei inoltre sapere se, sempre per il sostegno a distanza, sia possibile dare non solo contributi alle famiglie albanesi ma anche sostegno diretto alle famiglie kosovare che sono nei campi. Vorremmo capire se vi sia l'intenzione di attivare progetti in questo senso e in che modo.
Quanto alla questione dei rifugiati, in questi giorni di dibattito con i colleghi mi è stato segnalato un dato drammatico, cioè che a cinque anni dal termine della crisi bosniaca solo il 25 per cento dei rifugiati bosniaci è rientrato nel loro paese. Come la dottoressa Pagliuchi sottolineava, il nostro Governo ha sostenuto la tendenza a non allontanare in modo significativo i kosovari dal loro territorio, e questo a prescindere dall'opportunità di evitare che i campi profughi per i civili diventino centri di reclutamento e possano quindi diventare bersagli militari.
Dopo una prima fase in cui è opportuno auspicare una rapida soluzione della crisi ed una riduzione delle difficoltà per i profughi di tornare definitivamente nel loro paese, se questo non si verificasse, come sembra dagli sviluppi delle operazioni militari, cosa si può fare per la soluzione del problema, tenuto conto che il territorio in cui oggi si trovano i profughi non consente una loro stabilizzazione?
I dati che abbiamo dai mezzi di informazione - mai di prima mano - sono molto vaghi e discontinui sul rapporto tra popolazioni residenti in Albania e in Macedonia e profughi che vengono ad insistere su quelle popolazioni e sulle situazioni economiche e sociali di quei paesi. Il problema è cosa succederà. Non pretendo da lei una risposta adesso, ma credo si dovranno trovare degli aggiustamenti di posizione e far procedere la riflessione su questo tema in relazione


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alla durata e alla tipologia delle operazioni militari, altrimenti si rischia di assumere posizioni che poi non sono sostenibili nel lungo periodo per gli stessi profughi, che sono l'oggetto e il soggetto dei nostri interventi umanitari.

TEODORO BUONTEMPO. Vorrei sapere quanto tempo ho a disposizione.

PRESIDENTE. Non abbiamo contingentato i tempi: al suo buon cuore.

TEODORO BUONTEMPO. Da questi spaccati di realtà, anche dal linguaggio formale emerge una situazione drammatica e vi ringrazio per la vostra sincerità sugli eventi.
La prima domanda che vi rivolgo è come mai tra le attrezzature previste nel progetto che ci avete consegnato, in cui si parla di computer, stampante, modem, fotocamera digitale, fax, connessione a Internet, non sia previsto un mezzo di comunicazione. Il primo problema per i ricongiungimenti, infatti, è come comunicare da campo a campo, per non parlare di come far comunicare i campi con i disperati che girano per i boschi senza sapere più chi sia il nemico. Il fatto che queste comunità ad oggi non abbiano ancora strutture per mettersi in contatto mi pare grave, vi chiedo quindi se non sia il caso di inserire in questo elenco anche strumenti di comunicazione.
Secondo i dati disponibili, i bambini ospiti delle famiglie albanesi sono 8.227. Vi prego di interpretare le mie parole senza pregiudizio, perché sto formulando un quesito: conoscendo la realtà albanese, avendo sentito cosa accade lì per quanto riguarda l'infanzia, avendo prova che la prostituzione anche minorile a volte è addirittura accompagnata dalla famiglia per emergenze superiori a quella del rispetto della dignità della persona, sapendo a quale rischio si sottopongono i bambini che nel corso di questi anni sono scappati per cercare un mondo migliore, mi diventa difficile capire come chi non cura i propri figli e la propria comunità possa essere in grado di curare ospiti provenienti dal Kosovo. Questa preoccupazione è confermata dalla notizia che abbiamo appena sentito secondo cui l'Albania aveva negato il terreno per insediare un campo.
Non vorrei che nell'emergenza si imboccasse la strada del contributo economico alle famiglie e che questo per gran parte dell'Albania diventasse un modo per fare affari sulla disperazione. Vi chiedo scusa per la brutalità, ma con il buonismo non si va da nessuna parte, anche se mi auguro che la mia sia una preoccupazione del tutto sbagliata.
Anche per quanto riguarda l'adozione a distanza, bisogna definire bene l'intervento a breve, medio e lungo termine, altrimenti non avrà alcuna efficacia. Parlare di adozioni a distanza nei campi in questi giorni mi pare una cosa campata in aria: non si conosce nemmeno l'identità delle persone, non c'è un censimento dei bambini, come si fa a sapere chi adottare e con quali garanzie? Questa non mi sembra una strada percorribile, almeno a breve termine; quando finirà l'emergenza sarà possibile perché si potranno effettuare controlli. Credo che in questa fase sia preferibile la ricostruzione di una comunità più che l'assistenza alla famiglia; ricostruire una comunità, infatti, significa protezione, comunicazione e la possibilità di dare nuovamente vita ad un tessuto in cui la persona possa riconoscersi, anche istintivamente: quando un bambino non reagisce a stimoli esterni, per esempio, si ha bisogno di ricostruire una comunità, perché è da essa che può averli.
Quando parlo di 8.227 bambini mi riferisco ad una realtà albanese che non registra chi nasce. Quale controllo hanno il Governo italiano o altre organizzazioni su 8.227 bambini in 5 mila famiglie, se ad oggi nessuno è stato in grado di censire nome e cognome dei bambini e delle famiglie in cerca dei propri figli? Anche da questo punto di vista, quindi, occorre definire con più precisione ciò che tutto questo significa.


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Vorrei anche capire cosa fare affinché non si ripeta quanto sta accadendo. Per me è inquietante quanto è successo in Macedonia, perché nonostante lì ci fosse la NATO, 20 mila, 30 mila, 40 mila o 50 mila persone sono state portate via, caricate su pullman e su camion senza badare ai legami di famiglia, al villaggio o al paese di appartenenza. A voi risulta che lì sia stato visto tutto questo? C'erano gli osservatori umanitari? Come mai nulla è stato fatto? Perché non è stata data immediata comunicazione, visto che per tre giorni si sono avute false notizie su quegli avvenimenti? Se è potuto accadere lì per 50 mila persone, mi terrorizza il fatto che osservatori NATO o della Croce rossa o dell'UNICEF o dell'ONU siano rimasti a guardare impotenti, magari non per loro volontà ma per condizioni oggettive.
È vero o è un'invenzione che la Macedonia ha ricevuto fiumi di denaro dagli Stati Uniti e dalla Germania per assistere i profughi? Se risponde a verità, perché la Macedonia, che ha forti legami con la NATO e con i paesi dell'Europa, prende i soldi ma non rispetta i patti? Anzi, se è vero è ferocemente razzista, perché non so in che altro modo definire chi dice che non può fare entrare i profughi perché ciò altererebbe il rapporto tra le etnie. In questo caso il razzismo non è quello della Serbia ma è quello dell'amica Macedonia, nel cui territorio vi sono, se non vado errato, almeno 8 mila soldati NATO, tra cui circa 2 mila soldati italiani.
Se non cerchiamo di sciogliere certi nodi, rischiamo di stare qui solo per dire che i bambini soffrono. E chi può dire il contrario?
Non ritenete che lo Stato italiano debba creare una sua struttura per il riconoscimento delle identità? Se si deciderà a favore di una visita della Commissione, dovremo certo parlare con il Governo albanese, ma una cosa è parlare, un'altra è trovare un'intesa. Dobbiamo delegare la ricerca dell'identità ad autorità che non iscrivono all'anagrafe chi nasce?
La schiavitù dei bambini e quella mirata alla prostituzione nascono nel momento in cui si costituisce uno stato legale che non corrisponde alla realtà. È da lì che nasce la schiavitù. Dunque bisogna stare attenti per fare in modo che gli interventi umanitari, nonostante tutta la nostra buona volontà, non contribuiscano a moltiplicare l'uso dei bambini per il trapianto degli organi, per la schiavitù, per le adozioni a pagamento e per le tante nefandezze che questa società esprime.
L'utilità di questa Commissione non può essere quella, a mio avviso, di ammucchiare altre carte, grazie ai nostri cortesissimi funzionari e stenografi, a tutto quello che già c'è, che si legge e che si sa. La nostra è una funzione di controllo e di indirizzo sugli interventi del Governo, per cui vorremmo essere utili sul serio, anziché ripetere ciò che sentiamo dire qua e là. Tra i compiti di questa Commissione, quindi, credo possa esservi quello di offrire un contributo reale, magari raccogliendo direttamente fondi, per il censimento, che deve considerarsi senz'altro il problema fondamentale.

ATHOS DE LUCA. Desidero ringraziare gli ospiti per le importanti informazioni che ci hanno fornito e voglio anche esprimere il mio apprezzamento per lo sforzo e l'esperienza dimostrati, in quanto hanno messo a punto una conoscenza dei problemi che permette loro di poter insegnare ad altri come ci si deve comportare.
Da questa audizione, però, è emersa anche una certa inadeguatezza rispetto a questa grande tragedia. È stato detto, del resto, che ci si è mossi in ritardo, e che nel momento in cui si profilava un intervento di emergenza umanitaria bisognava predisporre tutto per tempo al fine di fronteggiare meglio la situazione. Comunque, considerato che lo scopo di queste audizioni è anche quello di far sì che la Commissione possa svolgere un ruolo concreto ed efficace e che abbiamo in animo di compiere una missione specifica sul territorio, quanto ci è stato detto è molto importante: almeno per quanto mi riguarda, sono tante le informazioni che ho


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acquisito, per cui mi auguro che insieme ai colleghi sia possibile organizzare al meglio un'eventuale missione.
Senz'altro alcuni degli interrogativi formulati dal collega che mi ha preceduto dovranno essere posti ad altri soggetti, quali il ministro degli affari esteri, in quanto vi è bisogno di grande trasparenza in questa operazione.
Ringraziando i nostri ospiti per il contributo che ci hanno offerto, chiedo loro se possano darci, in sede di replica, qualche ulteriore informazione circa il modo in cui organizzare la nostra missione.

ROSSELLA PAGLIUCHI, Vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Cercherò di non lasciare fuori nessuno degli argomenti trattati. Inizierò dalla domanda dell'onorevole Valetto Bitelli riguardante la questione dei ritorni.
È vero, in Bosnia Erzegovina il tasso dei ritorni è stato piuttosto ridotto ed è anche vero che quei ritorni sono avvenuti per lo più in zone in cui i rifugiati che tornavano appartenevano alla maggioranza etnica (in effetti non abbiamo avuto grandi ritorni su zone in cui rappresentavano una minoranza). Questa è una conseguenza purtroppo inevitabile del fatto che l'accordo di pace non ha veramente risolto i problemi. Ormai non si parla più della Bosnia ma vi sono ancora tensioni e zone in cui persone che appartengono al gruppo etnico sbagliato, di minoranza, non possono ritornare con sufficiente sicurezza. Sarà il caso del Kosovo? Temo che ciò non si possa dire se non si sa come finirà questa storia. Sapete che si parla sulla stampa di varie ipotesi, tra cui quella di un protettorato internazionale, di indipendenza o meno, eccetera. Ora possiamo discutere solo di ipotesi. Indubbiamente tra i rifugiati kosovari c'è una forte motivazione al rientro e quindi credo sia realistico dire che, se la situazione si normalizzasse, la maggior parte delle persone vorrebbe tornare nel Kosovo. Significa che tutti torneranno e immediatamente? Non credo. Il Kosovo è praticamente distrutto. Questa gente non ha più una casa. Vi saranno mine, per cui fintanto che non esisteranno le condizioni per rientrare con un minimo di possibilità di sopravvivenza, non vi sarà un grande ritorno. È anche vero che i kosovari fin qui hanno dimostrato di avere grandi doti di resistenza personale e motivazione. I nostri progetti in Kosovo prevedevano non il nostro intervento diretto, ma il fatto di dare loro il necessario affinché potessero intervenire. C'è effettivamente molta motivazione e molto dinamismo.
Secondo me è possibile che la maggior parte delle famiglie tornerà in Kosovo, ma le famiglie stesse cercheranno di tenere almeno un loro membro fuori del paese, semplicemente perché vi sarà bisogno di denaro per la ricostruzione e chi vive al di fuori è molto spesso in grado di mandare indietro del denaro. È importante però tener presente che questa non è la fine del discorso. Qui mi riallaccerei a quanto si diceva prima circa la necessità di sostenere l'impegno. Adesso vediamo i kosovari in televisione ogni giorno all'ora di cena; ci fanno tanto pena e così mandiamo i contributi alle varie organizzazioni, ma quando il Kosovo non sarà più parte dei nostri telegiornali quotidiani vi sarà una situazione di rischio. I bisogni infatti continueranno. Anche il medio ed il lungo termine costano e probabilmente, come vediamo in tutte le altre situazioni, in futuro si registrerà un calo di interesse e quindi di fondi. Occorre quindi pensare per il lungo termine perché questo non sarà un discorso che si risolverà nel giro di due mesi.
Problema delle comunicazioni e dei telefoni: in diversi campi vi sono già sistemi di comunicazione. Abbiamo una specie di servizio di postini che scambiano le lettere fra le diverse localizzazioni; vi sono telefoni; alcune ditte ci hanno promesso una donazione in apparecchi e linee telefoniche da mettere a disposizione dei rifugiati. Questo ovviamente non copre tutte le necessità, ma un tentativo si sta facendo, onorevole Buontempo. Per quanto riguarda la lista di materiale cui si è riferito, lascio la risposta al dottor


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Griffini; credo comunque di sapere di cosa si tratti e so che la questione è leggermente diversa.
Partenze coatte dalla Macedonia: lei sa che una mattina ci svegliammo domandandoci tutti che fine avessero fatte quei 40-50 mila rifugiati. Improvvisamente non si sapeva più dove fossero. Erano scomparsi. Non tutti sono stati portati fuori dalla regione; la maggior parte sono finiti in Albania, prima con un piccolo detours verso la Grecia e poi indietro in Albania. In questi casi, sia pure con qualche difficoltà, il ricongiungimento è fattibile. Problemi possiamo averne per quei rifugiati che sono stati portati fuori dal paese. Avrà sentito che alcuni sono stati fatti salire su aerei per la Turchia, dicendo loro fra l'altro che andavano in Germania.

TEODORO BUONTEMPO. 30 mila sono scomparsi!

ROSSELLA PAGLIUCHI, Vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. No, sono di meno. Le persone di cui non si sapeva dove fossero finite erano in un primo momento tra 40 e 50 mila, ma la stragrande maggioranza di queste sono state poi ri-identificate in Albania. Quelle che sono uscite dalla zona sono probabilmente intorno alle 1.500-2.000, che sono sempre un numero consistente. Le organizzazioni internazionali hanno infatti sollevato grandi proteste e questo non si verifica più, ma nel caos della Macedonia di quei giorni è stato fatto il possibile intanto per scoprire cosa stava succedendo, perché non è che fosse stato comunicato ad alcuno.
Quanto alle registrazioni e alla ricostruzione dell'identità, come dicevo prima, la registrazione in Macedonia è quasi completata, ma in quel caso avevamo un vantaggio: un sistema preesistente sin dal 1991 in collaborazione con la Croce rossa. In Albania i numeri sono molto più grandi e vi è una maggiore diffusione sul territorio; vi è comunque un progetto di registrazione e documentazione già in fase avanzata. Si prevede di entrare nella fase di attuazione nel giro di tre o quattro settimane, con l'aiuto della OIM. La registrazione è prevista in circa 150 luoghi. Ovviamente l'operazione non è facile perché, come si è fatto giustamente notare, in molti casi vi è il problema della distruzione dei documenti originali e la circostanza oggettiva che i rifugiati e la popolazione ospite appartengono alla stessa etnia. Vi è quindi un sistema di riscontri incrociati che tendono a ricostruire esattamente l'identità anagrafica, cercando di evitare di identificare persone che non appartengono....

TEODORO BUONTEMPO. Questo è un progetto?

ROSSELLA PAGLIUCHI, Vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. La registrazione vera non è ancora iniziata. Il piano è quasi completato. Il personale è in fase di reclutamento e di addestramento; l'operazione dovrebbe partire nelle prossime settimane. Una buona parte del progetto ha ricevuto fondi dal Governo italiano ed è chiaro che un'attività di questo genere non può essere fatta solo da un paese; questo deve essere un progetto di tipo più complessivo, che dia poi luogo ad una documentazione riconoscibile un po' dappertutto. Tra l'altro si prevede che la documentazione che verrà rilasciata avrà caratteristiche di sicurezza, inclusi la fotografia, le impronte digitali, l'uso di carta filigranata, eccetera. Tutto questo sta arrivando.
Per quanto riguarda le strumentalizzazioni, lo sfruttamento, eccetera, non condividerei necessariamente il pessimismo manifestato sull'Albania. Indubbiamente vi sono delle gang all'opera. Questo credo sia innegabile. Vi saranno indubbiamente dei fenomeni di sfruttamento da una parte e dall'altra e questo è giustamente un punto essenziale per noi tutti; per l'Alto commissariato, la protezione e sicurezza dei rifugiati sono parte del suo mandato. È necessario che tutto ciò sia monitorato; a questo non si può sfuggire. Bisogna però anche dire che la maggior parte dei rifugiati (anche l'Alto commissariato


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ha un programma di sostegno per le famiglie albanesi che ospitano i kosovari) è ospitata non come individui, ma come gruppi familiari, che inoltre sono piuttosto grandi. In questo senso c'è già una difesa da parte del gruppo. Non si pone un bambino o una donna kosovara in una famiglia albanese che non ha mai visto prima; si tratta sempre di famiglia kosovara ospitata da famiglia albanese. I rischi quindi sono già ridotti perché il gruppo è insieme. Il monitoraggio comunque sarà necessario non solo per questo aspetto ma anche per accertare che gli aiuti vengano divisi equamente con la famiglia ospite.
Ancora due parole sulla questione del campo. È vero che abbiamo avuto problemi per l'identificazione di siti in Albania, però non vorrei fare commenti di natura politica sulle motivazioni che possono aver causato i ritardi e i ripensamenti del Governo albanese rispetto all'assegnazione dei terreni: ci saranno stati ottimi motivi. Io ponevo solo una questione oggettiva di fatto. D'altro canto, non si può andare lì e piantare 5 mila tende su un terreno che non è stato assegnato e appartiene a chissà chi senza aspettarsi le ruspe o un gruppo di contadini che vengono con zappe e picconi ad aggredire i rifugiati.
Per quanto riguarda l'eventuale afflusso di denaro alla Macedonia, per i profughi francamente non lo so.

PRESIDENTE. La ringrazio e rinnovo a nome dei colleghi la richiesta di ulteriori informazioni e suggerimenti.

ROSSELLA PAGLIUCHI, Vice delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Siamo senz'altro a disposizione.

MARCO GRIFFINI, Rappresentante delle associazioni del volontariato coordinate dal Dipartimento affari sociali per gli interventi a sostegno dei rifugiati dal Kosovo. Come diceva la dottoressa Pagliuchi, siamo sull'effetto onda e non abbiamo ancora raggiunto la cima: gli aiuti stanno arrivando, c'è la comunicazione, i giornali danno spazio gratuito ai progetti autorizzati o sponsorizzati dalla Missione arcobaleno; basta telefonare ai numeri verdi per avere informazioni sui progetti autorizzati, come quello del sostegno a distanza rispetto al quale, per il momento, il nostro è l'unico autorizzato, però possono esservene molti altri, perché è aperto a tutte le organizzazioni operanti in Albania (attualmente le organizzazioni aderenti sono 16).
Il problema sarà quello di garantire la continuità nel tempo degli aiuti, perché quando l'onda scende vi è un pauroso «piattume» ed è qui che cominciano i problemi, perché purtroppo l'emergenza sarà lunga.
Il sostegno a distanza è rivolto alla famiglia e non al minore; fra l'altro noi usiamo il termine «sostegno» e non «adozione», riservando quest'ultimo all'adozione giuridica attraverso la quale (sono un genitore adottivo) si diventa padri e figli. Nel nostro caso il sostegno è rivolto alla famiglia albanese affinché sostenga a sua volta quella kosovara ed anche ai centri di accoglienza, tant'è vero che nell'ultima pagina del progetto che abbiamo consegnato alla Commissione vi è una scheda, che costituisce l'elemento di un primo monitoraggio, che contiene l'indicazione della famiglia che ospita, con tutti i componenti, e quella della famiglia kosovara ospitata. Se dobbiamo dare un giocattolo, lo diamo a tutti e non solo ai kosovari; se dobbiamo portare una tutina la diamo a tutti i bambini. Come dicevo, bisogna porre le condizioni di sostenibilità del progetto senza creare privilegi, figli e figliastri.
Chi ha ospitato in casa le famiglie lo ha fatto anche per ottenerne qualche beneficio ed è un bene che si ragioni in questo modo. Però, conoscendo le miserie della povertà, sappiamo che vi sono i soprusi, per cui il nostro progetto prevede un rigido sistema di tutoraggio. Ecco perché vi è un tutor ogni dieci famiglie, sopra il tutor vi è un espatriato ed è stata istituita la Commissione di consulenza psico-sociale. Bisogna cercare in ogni


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modo di evitare gli abusi e probabilmente occorrerà promuovere delle commissioni d'inchiesta. Abbiamo voluto l'istituzione di una commissione di controllo composta dai Ministeri per gli affari sociali italiano e albanese, dall'Unicef e dalla Croce rossa, proprio per evitare gli abusi che purtroppo ci saranno non perché ci troviamo in Albania ma perché siamo nella miseria. Si sono già verificati alcuni casi e abbiamo sentito parlare di persone che hanno minacciato i kosovari dicendo: «Se non pagate vi facciamo rapire i figli». Proprio perché lo sappiamo, cerchiamo di stare con gli occhi ben aperti.
La settimana prossima attraverso una conferenza stampa vorremmo lanciare un messaggio per mettere in guardia chi intenda contribuire con il sostegno a distanza. Noi non diamo soldi alle famiglie se non è necessario ed in questo caso diamo dieci mila lire alla settimana controllando come vengono spese e chiedendo ai kosovari (molti tutor saranno kosovari) come gli albanesi le abbiano utilizzate.
Gli aiuti servono anche per pagare gli affitti; stiamo cercando disperatamente di ristrutturare vecchie case per insediarvi le famiglie kosovare, specialmente quelle patriarcali composte di 30-40 membri.
Quello del riconoscimento dell'identità è un punto dolente. Il nostro è un ente autorizzato all'adozione internazionale in base alla Convenzione dell'Aja - ringrazio ancora il Parlamento per questo successo -, che stiamo tentando di far ratificare dall'Albania. Le richieste di adozione sono numerosissime e nel nostro centro di accoglienza, ad esempio, su 300 bambini, 58 hanno perso i genitori; però per ora non si può ricorrere all'adozione, perché può darsi che tra un anno vengano ritrovati e per un genitore, adottare un bambino e sapere che in giro vi sono il padre o la madre è una tragedia. Figuriamoci poi per i bambini! Allora bisogna accogliere i bambini soli in piccoli centri o in case famiglia e sostenerli; se dopo un certo lasso di tempo non viene individuato alcun genitore o parente, si può ricorrere all'adozione internazionale.
Ho chiesto al comitato per le adozioni albanesi quanti bambini avessero registrato nel 1998: mi è stato risposto «20». È chiaro che non vi è un censimento.
Suggerirò al ministro Jervolino che tutti i progetti prevedano la riunificazione.
Non abbiamo inserito il telefono nel progetto che avete visto perché in Albania esso è compreso nel contratto di affitto delle case; si sta però creando un problema rilevante perché gli albanesi, per far vendere gli apparecchi per la loro rete in Albania, hanno dato la disdetta dei contratti roaming. Il sottosegretario Minniti, a nome del Governo italiano, ha assunto l'impegno a convincere gli albanesi a ripristinare questi contratti e qualcuno ha pensato anche di convincere Tim e Omnitel a fare gratis i collegamenti roaming per gli apparecchi dati ai volontari inseriti nei progetti.
Quanto ad un consiglio sul da farsi, la prima cosa necessaria per organizzare una missione è il sostegno alle istituzioni locali. Non so se nel Parlamento albanese esista una commissione per l'infanzia, ma se ci fosse potrebbe essere il vostro interlocutore sulle tematiche della difesa dei diritti dei minori, per la quale bisogna fare ancora molta strada; c'è poi da spingere per la Convenzione dell'Aja sull'adozione internazionale e si può pensare ad un accordo bilaterale sugli aiuti ai profughi.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Griffini in particolare per la chiarezza degli argomenti utilizzati.

La seduta termina alle 17.45.

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