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4. Considerazioni sull'assetto normativo della materia e sulla prassi applicativa.
4.1 Il quadro normativo di riferimento.
Le considerazioni che il Comitato intende svolgere sul tema che dà il titolo alla presente relazione non possono che prendere le mosse dall'attuale assetto normativo della materia. Quest'ultimo può in realtà sintetizzarsi nei termini indicati ai paragrafi 1 e 2.1, con riferimento all'articolo 9 della legge n. 801 del 1977 ed alle norme della Costituzione e del codice di procedura penale che disciplinano i rapporti tra magistratura e polizia giudiziaria e sanciscono il vincolo del segreto, in termini generali, sugli atti posti in essere nel corso delle indagini preliminari.
ad organismi che dipendono direttamente dal potere esecutivo, è pertanto funzionale alla tutela degli interessi essenziali, ed anzitutto alla esistenza, della collettività organizzata nello Stato democratico.
Tuttavia, come visto ripetutamente, la legge si incarica di individuare l'indispensabile trait-de-union nella polizia giudiziaria. Ciò non vale ovviamente a compromettere la tenuta della «paratia stagna» sopra ricordata, consentendo, al contrario, di rafforzarne l'efficacia. Si è in proposito già rilevato in premessa il fatto che, mentre la cooperazione che intercorre tra servizi e polizia giudiziaria presenta un carattere eminentemente informativo, nel senso opposto gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria appaiono tenuti a cooperare con gli operatori dei servizi in maniera assai più intensa, stante l'obbligo gravante sui primi di garantire ai secondi «ogni possibile cooperazione». Ciò lascerebbe intendere dunque la possibilità di un supporto di natura tanto informativa quanto operativa. Al di là di tale ultimo profilo, è importante comunque sottolineare che l'unica relazione sancita esplicitamente dalla legge nella direzione servizi - polizia giudiziaria è quella di cui all'articolo 9 della legge n. 801 del 1977.
(4) A tale provvedimento è stata apposta la classifica «Riservato»; ad avviso del Comitato, tale classifica è stata apposta senza che ne sussistessero i presupposti, in linea con una prassi sulla quale il Comitato medesimo ha già avuto modo di esprimersi in maniera assai critica.
a comportamenti criminosi comunque ricollegabili alle associazioni medesime». Nella stessa sede si è inoltre ribadito, richiamando precedenti direttive emanate in proposito, che «le informazioni trasmesse dai Servizi di informazione e di sicurezza costituiscono di norma solo indizi, che necessitano di riscontri e conferme da parte della polizia giudiziaria, prima di essere utilizzate a fini di giustizia». Si è quindi precisato che, «nell'ipotesi in cui venga riscontrata la fondatezza delle informative ricevute, la polizia giudiziaria - ove ne ricorrano i presupposti di legge - presenta all'autorità giudiziaria competente un'autonoma comunicazione, basata su dati acquisiti attraverso la propria attività di investigazione, senza alcun riferimento alla notizia ed al Servizio che ha avviato l'attività di indagine».
4.2 La prassi applicativa.
4.2.1 Il fondamento della prassi.
Sulla base della rassegna svolta al paragrafo precedente, può affermarsi con sicurezza che, non esistendo alcuna disposizione normativa che disciplini ex professo il supporto tecnico-operativo prestato dai servizi di informazione e sicurezza in favore della polizia giudiziaria, esso viene effettuato in una situazione di carenza di specifici riferimenti normativi. Il Comitato ritiene dunque di poter affermare che l'attività di supporto si sia affermata progressivamente in via di prassi e che si sia consolidata nel tempo anche grazie all'emanazione, da parte dei direttori pro tempore del SISDE, di direttive adottate con lo specifico ed apprezzabile intento di ancorare l'attività in esame a
procedure operative formalizzate. Per altro, non vi è dubbio che i termini di riferimento cui occorre riportarsi per vagliare il fondamento, a monte, di tale prassi, e, a valle, delle direttive ricordate non possano che essere i princìpi generali che regolano la materia, siccome individuati al paragrafo 1.
SISDE, dal Vicepresidente del Consiglio il 30 novembre 1998, e che nel corso dell'audizione del 3 febbraio 1999 sempre il direttore del SISDE abbia esplicitamente richiamato il medesimo commento favorevole, a riprova del positivo intervento del Servizio nella vicenda. Tale atteggiamento costituisce, ad avviso del Comitato, indice significativo del fatto che addirittura al livello istituzionale la reiterazione di comportamenti in via di prassi, pur motivati da spirito di servizio e dall'esigenza di servire la verità, abbia finito con il far retrocedere sullo sfondo il dato normativo vigente, con il quale - come è ovvio - occorre invece continuare a confrontarsi.
(5) Quello del supporto tecnico, ovviamente.
diversamente si esprime inoltre il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1991, il quale, nel dettare le disposizioni necessarie per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata, ne individua il fondamento comune «nello spirito di reciproca collaborazione e interazione necessarie e indispensabili nella lotta contro la criminalità organizzata, nonché nel rispetto della distinzione dei ruoli e della unicità degli intenti».
visto tuttavia come tale argomentazione presti il fianco a considerazioni critiche di particolare rilevanza, efficacemente sintetizzate nelle impugnazioni del Procuratore generale della Corte di Cassazione e del Ministro della giustizia di cui si è detto al precedente paragrafo 3.3.
una esigenza di estrema cautela nella prestazione delle attività di supporto tecnico, tale da consigliarne l'attivazione in presenza di determinate condizioni e, comunque, a titolo di strumento residuale.
4.2.2 I problemi istituzionali
Ma non è solo la questione del fondamento delle attività menzionate sul piano dei princìpi che pone innegabili difficoltà. Né può dirsi che i problemi giuridico-istituzionali dell'attività di supporto siano stati in sé risolti dalla precisazione, contenuta nella citata direttiva del 23 febbraio 1998, secondo cui gli interventi richiesti dalla polizia giudiziaria si collocano «al di fuori di qualunque rapporto di
dipendenza del SISDE dall'autorità giudiziaria», in ciò riprendendo l'analogo disposto della direttiva del 30 agosto 1995.
Come tali prescrizioni possano conciliarsi con i princìpi generali che regolano l'attività della giurisdizione, nel caso di specie penale, è arduo prefigurare. Sembra in primo luogo singolare imporre all'autorità giudiziaria di adeguare la forma delle proprie determinazioni a specifici requisiti dettati da un atto amministrativo di indirizzo (promanante da un potere dello Stato distinto e separato), evitando ad esempio - nel caso che qui occupa - di fare menzione, nel decreto che dispone un atto investigativo, di determinate circostanze di fatto rilevanti ai fini del compimento del medesimo. Ma gli aspetti di maggiore criticità sono senza dubbio da individuare: a) nell'indirizzo che segnala l'«opportunità» che determinati provvedimenti dell'autorità giudiziaria, quale ad esempio il nulla osta in questione, rimangano riservati e non confluiscano nel fascicolo processuale del procedimento (non si comprende d'altronde in quale altro luogo tali atti dovrebbero confluire; tanto più se si richiama quanto osservato al paragrafo 2.2 a proposito dei seri dubbi di legittimità afferenti all'utilizzazione di impianti in dotazione ai servizi, il relativo provvedimento di autorizzazione non potrebbe che essere acquisito al fascicolo processuale per consentire, sul ricorso a tale dubbio strumento, un controllo giudiziario nel contraddittorio tra le parti); b) nell'esigenza di garantire prioritariamente l'anonimato degli operatori.
modalità di azione, sia esso quello del pieno esercizio della funzione giurisdizionale, cui potrebbe rimanere precluso quel settore della realtà dei fatti costituito, per l'appunto, dal «chi» ha effettuato un determinato atto di indagine e dal «come» esso sia stato condotto.
reparti scientifici ed operativi di altre forze dell'ordine; un semplice provvedimento di redistribuzione di risorse materiali e tecnologiche, assistito da indirizzi operativi emanati a livello politico e di alta amministrazione, potrebbe adeguatamente incontrare l'esigenza della minore esposizione possibile degli organismi informativi e garantire al tempo stesso il necessario livello di funzionalità delle attività investigative poste in essere nell'ambito del processo.
Alla luce delle considerazioni testé svolte, risulta evidente come anche gli indirizzi impartiti dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri nella due note dell'aprile e del giugno 1999 non valgono a superare le problematiche evidenziate dal Comitato.
Alla luce del complesso di disposizioni testé richiamato, il Comitato ritiene di poter affermare la piena e perdurante validità del principio istituzionale per cui tra autorità giudiziaria penale e servizi di informazione e sicurezza non possono intercorrere relazioni dirette di alcun genere. L'affermazione vale a maggior ragione per altri settori della magistratura, per i quali per altro il problema non si pone nemmeno. Pertanto è appena il caso di avvertire che, quando nel seguito si parlerà di autorità giudiziaria o magistratura, si farà riferimento agli organi o ai soggetti che esercitano la funzione giudiziaria penale.
In termini diversi, ma sostanzialmente coincidenti, sembra al Comitato che gli uffici del pubblico ministero, nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dalla legge, dovrebbero avvalersi necessariamente del supporto della sola polizia giudiziaria. In sostanza, come anticipato, la legge n. 801 del 1977 ha disciplinato il rapporto magistratura - organismi informativi edificando una vera e propria «paratia stagna» tra le due realtà, di cui ha inteso affermare in termini inequivocabili la pertinenza a due sfere istituzionali completamente differenti.
Differenti sono in primo luogo le rispettive funzioni e finalità istituzionali. Per ciò che riguarda in particolare la magistratura, essa si attiva, in posizione di autonomia e di indipendenza siccome sancita dall'articolo 104, primo comma, della Costituzione, in relazione all'asserito compimento di azioni o di omissioni tali da integrare comportamenti qualificati dalla legge come reato, allo scopo di individuarne i responsabili e di comminare loro le sanzioni adeguate al caso concreto. Diversamente, compito specifico degli organismi informativi è quello di acquisire notizie ed informazioni rilevanti sul piano della sicurezza nazionale, assicurando alle istanze decisionali politiche gli elementi necessari per adottare ex informata coscientia le determinazioni rimesse alle rispettive responsabilità. Tale attività, imputata
Differenti sono conseguentemente i canoni che guidano l'azione delle due istituzioni. La funzione giurisdizionale si muove nell'ambito del processo, nell'ambito cioè di norme, poste a garanzia di tutti i soggetti che in tale contesto agiscono, che individuano formalmente procedure, poteri, facoltà e responsabilità. Le modalità operative proprie degli organismi informativi sono invece necessariamente connotate da un maggior grado di elasticità, ineliminabile in considerazione del fine istituzionale in vista del quale esse vengono azionate.
Il proprium dell'attività giudiziaria è la trasparenza, che ne costituisce un connotato di civiltà (si vedano al riguardo gli articoli 10 e 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e l'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, salve le tassative eccezioni previste a tutela di interessi primari); mentre ne è principio cardine il contraddittorio, che postula che il giudice conosca tutti e solo gli atti e i documenti che le parti conoscono e che ciascuna di queste conosca tutti e solo gli atti che la controparte conosce, sì che nessuno dei soggetti nel processo abbia una zona di conoscenza sottratta agli altri. Il segreto, quando è previsto, è sempre temporaneo, limitato e destinato a cadere.
Il proprium dell'attività dei servizi di informazione e sicurezza è invece la riservatezza, quando non il segreto, in ragione degli interessi alla cui tutela tale attività è ordinata e della circostanza che essa è destinata a produrre effetti nella sfera interna del potere esecutivo, orientandone le scelte politico-discrezionali.
È in questo contesto che si individua la ragione primaria dell'esclusione, in capo agli operatori dei servizi, della qualifica di agenti o ufficiali di polizia giudiziaria e della loro esenzione dall'obbligo di rapporto diretto all'autorità giudiziaria. La pertinenza dell'attività di intelligence alla sicurezza dello Stato (ovviamente se esercitata negli ambiti suoi propri) è ciò che, da un lato, legittima la raccolta di notizie ed informazioni a prescindere dal fatto che esse siano connesse o meno ad ipotesi di reato; e che, dall'altro lato, è alla base della facoltà concessa dalla legge di non dare seguito alle informazioni raccolte se ritenute non affidabili e comunque di assumere rispetto ad esse un mero obbligo di risultato operativo in riferimento all'obiettivo programmato per la ricerca, senza alcun vincolo procedimentale o formale.
L'incomunicabilità tra questi due «mondi» vale ovviamente sul piano dei rapporti diretti: un magistrato del pubblico ministero non potrebbe avvalersi direttamente dell'operato di agenti degli organismi informativi per il compimento di atti di indagine, stante appunto il regime di maggiore elasticità e di minore garanzia che ne caratterizza il modus agendi; un operatore di un servizio di sicurezza non potrebbe fornire direttamente al magistrato inquirente notizie ed informazioni raccolte nell'esercizio della propria attività, essendo tenuto a riferirne preventivamente al proprio direttore, cui spetta di inoltrarle ai competenti organi della polizia giudiziaria.
Il fatto che i caratteri di tale rapporto, come dianzi descritti, siano ad esso praticamente connaturati trova significative conferme nel decreto-legge n. 345 del 1991, convertito dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, che ha esteso l'area di intervento dei servizi di informazione e sicurezza al settore del contrasto alla criminalità organizzata. Disponendo tale ampliamento delle competenze del SISMI e del SISDE rispetto alla configurazione originariamente prevista nella legge n. 801 del 1977, il legislatore non ha inteso modificare sotto alcun profilo la posizione istituzionale degli organismi informativi né, parimenti, le modalità operative caratteristiche della loro azione. Vale ricordare che l'articolo 2, comma 1, primo periodo, della legge citata dispone espressamente che «Nell'ambito delle attività per le informazioni e la sicurezza dello Stato previste dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ferme restando le attribuzioni e la disciplina degli ordinamenti ivi previsti, spetta al SISDE ed al SISMI, rispettivamente per l'area interna e per quella esterna, svolgere attività informativa e di sicurezza da ogni pericolo o forma di eversione dei gruppi criminali organizzati che minacciano le istituzioni e lo sviluppo della civile convivenza». La legge ha dunque inteso ribadire la specificità dei servizi di informazione e sicurezza anche nell'occasione in cui ha legittimato i medesimi ad operare in uno degli ambiti materiali di maggiore prossimità con l'attività degli organi della magistratura inquirente e della polizia giudiziaria. È opportuno altresì rammentare che, dando seguito ad espressa previsione del secondo periodo del medesimo comma, il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, nell'individuare con proprio decreto del 30 novembre 1991 (4) i criteri di adeguamento dell'attività informativa del SISDE e del SISMI alle specifiche finalità previste dal decreto-legge n. 345 del 1991, ha disposto che «i due Servizi forniscono ogni possibile contributo informativo alla attività di investigazione preventiva attinente ad associazioni di tipo mafioso o
Nella direzione opposta, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevedeva infine che l'Alto Commissario per la lotta alla criminalità organizzata, all'epoca ancora operativo, comunicasse al SISDE ed al SISMI i riscontri delle informazioni da questi ultimi acquisite, onde consentire loro di «trarre elementi di valutazione e approfondimento dell'attività informativa svolta» e di «disporre del quadro complessivo del fenomeno criminoso». Infine, richiamando espressamente il disposto dell'articolo 9 della legge n. 801 del 1977, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che «gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono, anche sulla base delle risultanze in atti, aderire ad ogni possibile richiesta di cooperazione da parte degli appartenenti ai Servizi nell'espletamento delle attribuzioni delineate dai paragrafi precedenti. Ciò nello spirito di reciproca collaborazione e interazione necessarie e indispensabili nella lotta contro la criminalità organizzata, nonché nel rispetto della distinzione dei ruoli e della unicità degli intenti».
In sostanza, intervenendo dopo quattordici anni dall'entrata in vigore della legge di riordino dei servizi di informazione e sicurezza, il legislatore del 1991 ha confermato pienamente i princìpi ispiratori della materia di cui ci si occupa in questa sede. Nessun dubbio può dunque sussistere circa il quadro normativo cui occorre fare riferimento per affrontare la problematica specifica del supporto tecnico prestato dai servizi a favore della polizia giudiziaria.
Alla luce di questi ultimi, il Comitato deve rilevare che la prassi in questione si è consolidata secondo forme e modalità ad essi non conformi e tali comunque da porre le premesse per una compromissione di quella «paratia stagna» di cui si è più volte detto. Il Comitato è in particolare dell'avviso che il consolidamento in via di prassi delle attività di supporto tecnico prestate dagli organismi informativi alla polizia giudiziaria sia da inquadrare in un contesto più ampio, ed in particolare nell'ambito di una concezione evolutiva degli ordinamenti dei servizi di informazione e sicurezza, tesa alla estensione delle tradizionali aree di intervento verso settori originariamente sottratti alle loro competenze, e ciò alla luce della maggiore efficacia delle modalità operative che ne caratterizzano l'azione rispetto ad altri organi che pure esercitano funzioni esecutive delle strategie nazionali di sicurezza e polizia.
Alla base di tale indirizzo può essere rinvenuta una pluralità di motivazioni.
In primo luogo, dal punto di vista della politica legislativa, un contributo in tale direzione è stato in qualche modo offerto, al di là delle intenzioni del legislatore, proprio dall'estensione della competenza dei servizi alla materia della criminalità organizzata operata con la legge n. 410 del 1991. Anche se a tale estensione si è proceduto, come visto sopra, confermando integralmente la validità dell'assetto originariamente definito dalla legge n. 801 del 1977, nondimeno il ricorso all'ausilio degli organismi informativi in un settore caratterizzato dalla presenza massiccia di inchieste condotte dalla magistratura con l'ausilio della polizia giudiziaria (che ha ovviamente indotto forme di più marcata integrazione delle rispettive attività) è stato senz'altro dettato dalla convinzione della particolare efficacia dei metodi operativi dei servizi, a prescindere dalla diversa natura e delle differenti finalità che l'ordinamento pone a fondamento e limite dei metodi medesimi.
Nella stessa direzione ha operato altresì l'opinione pubblica, anche sulla spinta dell'intervento legislativo testé ricordato. Si è in particolare diffuso un clima culturale connotato dal ripetuto invocare, ad ogni piè sospinto, l'intervento dei servizi di informazione e sicurezza nei settori più disparati, riconnettendo al loro intervento effetti quasi portentosi e salvifici. Non è inutile ricordare, proprio con riferimento al supporto tecnico prestato in merito alle indagini per l'omicidio di Marta Russo, come un autorevole quotidiano nazionale abbia ospitato, nel numero del 18 giugno 1997, un commento nel quale si afferma testualmente: «Finalmente, infatti, SISDE non è sinonimo di ambiguità e di deviazione, ma al contrario di rigorosa scienza applicata alle indagini». Ciò che appare rimarchevole in proposito non è soltanto la testimonianza che del clima culturale di cui si è detto tale articolo fornisce, ma anche, e forse soprattutto, il fatto che copia dell'articolo medesimo sia stata inviata in allegato all'appunto trasmesso, a richiesta del direttore del
Come è stato sottolineato con efficacia nell'ambito del dibattito svoltosi in Comitato, il fenomeno evidenziato può essere insomma rappresentato nei seguenti termini: malgrado sia evidente a tutti che l'elemento che differenzia i servizi di informazione e sicurezza dalla polizia giudiziaria e ne legittima i mezzi eccezionali è costituito dagli interessi superiori che tramite la loro attività si intende garantire, è invece accaduto in concreto che le modalità non convenzionali proprie dell'attività dei servizi abbiano fatto premio sulla preminenza dei fini. Tale situazione ha di fatto determinato una sorta di dissociazione: i mezzi straordinari vengono infatti impiegati per la tutela di altri interessi, anch'essi senza dubbio protetti dall'ordinamento, ma che non sempre hanno a che fare con i rischi cui può essere esposta la sicurezza del paese.
Deve tuttavia riconoscersi che l'esigenza di fondare le attività di supporto tecnico-operativo su una base maggiormente solida è stata fortemente avvertita. Ne costituiscono in primo luogo testimonianza le direttive emanate dai responsabili pro tempore del SISDE nella materia in argomento, nelle quali, oltre all'indicazione dei requisiti formali e sostanziali cui le richieste di supporto provenienti dalla polizia giudiziaria debbono conformarsi, si è inteso individuare proprio sul piano dei princìpi generali il fondamento giuridico-istituzionale degli interventi prestati a titolo di supporto.
Al riguardo, si è fatto ripetutamente riferimento ad un principio, variamente formulato, di cooperazione fra istituzioni dello Stato, finalizzata, in generale, alla tutela di quest'ultimo, e, più in particolare, dell'ordinamento costituzionale su cui esso si fonda. Tale è il contesto cui fa senz'altro riferimento la direttiva del direttore del SISDE del 30 agosto 1995, nella quale si afferma che «un atteggiamento di pronta disponibilità e fattiva cooperazione nel senso richiesto (5) corrisponde ad evidenti motivi di opportunità istituzionale, in linea con una prassi ormai consolidatasi negli anni e che vede le istituzioni democratiche unitariamente impegnate nella tutela dello Stato». Nel medesimo senso si muove ancora la direttiva del 23 febbraio 1998, che, ripetendo quasi testualmente il disposto della direttiva del 1995 e confermando la continuità della prassi consolidatasi in proposito nel corso degli anni, si richiama anch'essa alle «istituzioni unitariamente impegnate nella tutela dello Stato democratico e dell'ordine costituzionale». Non
Tale posizione è stata del resto rappresentata in seno allo stesso Comitato, essendosi rilevato come, sul piano dei princìpi generali, nel caso in cui un organo dello Stato disponga di uno strumento che un altro organo non possiede, sul primo gravi l'obbligo di condividerne l'utilizzo, sempre ovviamente per il perseguimento di fini tutelati dall'ordinamento. Si è tuttavia riconosciuto come, anche ammettendo tale fondamento nei princìpi, l'ausilio tecnico-operativo fornito in via mediata dai servizi di informazione e sicurezza al pubblico ministero nel corso di indagini pone comunque l'esigenza di rendere partecipe, nei casi e nelle forme previsti dalla legge, di tale circostanza la parte interessata, onde garantire il necessario equilibrio tra accusa e difesa.
Il Comitato ritiene pertanto necessario dare atto ai responsabili pro tempore del SISDE dello sforzo compiuto per costruire una base istituzionale più salda a fondamento delle attività di supporto tecnico prestate in favore della polizia giudiziaria. Tuttavia il Comitato ha dovuto rilevare come proprio tale sforzo, testimoniato da una pluralità di provvedimenti di indirizzo succedutisi a breve distanza, dia la misura - in maniera assai significativa - di una situazione di disagio avvertita proprio con riferimento alla riconducibilità delle attività di supporto alle prescrizioni legislative, disagio che nemmeno il riconosciuto consolidamento dei comportamenti posti in essere in via di prassi è stato evidentemente in grado di attenuare.
Sempre sotto il profilo della ricerca di un fondamento giuridico-formale alla prestazione degli interventi di supporto tecnico, appare inoltre opportuno dare conto di due ulteriori elementi, cui si è già fatto cenno in precedenza e che in questo contesto è utile richiamare più diffusamente, costituendo essi, tra l'altro, significativi indici proprio di quell'indirizzo di pensiero ispirato all'esigenza di allargare le maglie del diaframma posto dalla legge n. 801 del 1977 tra magistratura e organismi informativi. Si fa riferimento, sul piano dei princìpi, ad un passaggio (per altro già evidenziato al precedente paragrafo 3.2) della decisione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura resa sul «caso Salvini» nonché, con riferimento specifico al tema del supporto tecnico prestato dal SISDE in favore della polizia giudiziaria, a due note recentemente inviate al Comitato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri.
Quanto al primo aspetto, occorre rammentare che la Sezione disciplinare, a fronte di casi accertati e documentati di impiego diretto di appartenenti ad un servizio di informazione e sicurezza ha ritenuto di attribuire valore, per così dire, scriminante alla circostanza per cui tale impiego sarebbe stato posto in essere in condizioni di sostanziale necessità. Si è in tal modo individuata la possibilità di derogare al rigore della «paratia stagna» fissata dalla legge n. 801 del 1977 applicando un istituto non previsto dall'ordinamento vigente, in modo tale per altro da confinare la possibilità di ricorrere legittimamente alla deroga in questione in ambiti assai ridotti e marginali. Si è
In secondo luogo, rilievo assolutamente particolare rivestono - nel contesto esaminato - due note indirizzate al Comitato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri in data, rispettivamente, 26 aprile 1999 e 9 giugno 1999, relative proprio alla questione del supporto tecnico-operativo prestato dal SISDE in ambito giudiziario.
Nella prima missiva (già citata supra con riferimento alla ricostruzione storica delle operazioni di supporto richiesta dal Comitato nel gennaio del 1999), il Vicepresidente del Consiglio afferma che «la materia assume certamente aspetti di particolare delicatezza, considerata la necessaria distinzione istituzionale e funzionale fra la polizia giudiziaria e i Servizi informativi, per cui è da condividere l'esigenza di un atteggiamento di estrema prudenza nell'accedere a tale forma di collaborazione, il cui fondamento giuridico, per altro, necessiterebbe (...) di un'attenta verifica». Dopo avere quindi precisato, proprio alla luce di tali motivi, la necessità di riservare alla materia specifica attenzione in sede di riforma legislativa del settore informativo, il Vicepresidente del Consiglio comunica che, «nel frattempo, le attività in parola non verranno più effettuate, fatta eccezione per quelle relative ad ambiti investigativi concernenti la criminalità organizzata, materia per la quale la legge 410/91 attribuisce agli organismi di intelligence una specifica competenza informativa e di sicurezza, da svilupparsi in un rapporto di cooperazione con le Forze dell'ordine». Nella nota del 29 giugno 1999, proseguendo lungo l'indirizzo tracciato nella lettera del precedente mese di aprile, il Vicepresidente del Consiglio ha reso noto al Comitato che, «allo scopo di potenziare ogni forma di contrasto nei confronti del riemergente terrorismo», ha ritenuto opportuno disporre che l'attività di supporto tecnico fornita dal SISDE in ambito giudiziario «venga estesa - a richiesta dell'Autorità giudiziaria - ai contesti investigativi relativi ad inchieste per eversione e terrorismo».
Anche in tal caso, pertanto, il Comitato ha registrato, da un lato, un'ulteriore autorevole conferma circa la fondatezza delle valutazioni emerse nel corso dei suoi lavori, soprattutto in merito alla «necessaria distinzione istituzionale e funzionale fra la polizia giudiziaria e i Servizi informativi». Dall'altro lato, però, ha riscontrato un indirizzo interpretativo ed operativo che si discosta dal rigore dei principi che ispirano il dettato della legge n. 801 del 1977 sotto il profilo della separazione organismi informativi-polizia giudiziaria, motivato sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Sembra infatti desumersi che, ad avviso dell'Esecutivo, il supporto tecnico in favore della polizia giudiziaria possa comunque ritenersi consentito: a) nei settori per i quali la legge attribuisce ai servizi di informazione e sicurezza una specifica competenza (criminalità organizzata), che si sviluppano per loro stessa natura in un rapporto di collaborazione con le forze dell'ordine; b) nei casi in cui una minaccia al cui contrasto il Servizio sia istituzionalmente preposto (terrorismo) assuma caratteri di particolare gravità, in relazione a situazioni ed a fatti venutisi in concreto a determinare. In sostanza, come afferma testualmente lo stesso Vicepresidente del Consiglio dei ministri nella nota del 26 aprile 1999, ci si troverebbe dinanzi, piuttosto che ad un vero e proprio divieto, ad
Il Comitato ha senza dubbio apprezzato la circostanza che l'Esecutivo ha ritenuto necessario affrontare il problema del supporto tecnico, ponendosi tra l'altro proprio nella prospettiva di principio indicata in termini generali dallo stesso Comitato nel corso delle audizioni di cui si è detto al paragrafo 2. Tuttavia, non può esimersi dal rilevare come gli indirizzi recati dalle due note del Vicepresidente del Consiglio non valgono ad eliminare le perplessità ed i rischi connessi al ricorso in concreto alle attività di supporto, lasciando anzi irrisolta proprio la questione di maggiore delicatezza, di cui si darà conto nel paragrafo seguente.
Insomma, in estrema sintesi e salvi gli svolgimenti analitici di cui più avanti, il Comitato ritiene privi di base legale tanto la richiesta di supporto tecnico, quanto l'utilizzazione di personale dei servizi per accertamenti, quanto ancora l'acquisizione diretta presso il magistrato inquirente, da parte di un direttore dei servizi medesimi, di «valutazioni» sull'utilità processuale di una fonte, affinché alla stessa siano erogati dagli organismi informativi sostanziosi contributi in danaro in vista dei quali la fonte stessa si indurrebbe a rendere dichiarazioni processualmente utilizzabili.
Non va certo dimenticato che nel primo caso (quello cioè del supporto tecnico), alla mancanza di base legale fa riscontro - come si è visto diffusamente - una copiosa e minuziosa normativa interna, proveniente sia dal Governo sia dallo stesso SISDE, per altro più volte modificata, quasi a testimonianza di un disagio istituzionale che non riesce a trovare una soluzione soddisfacente e che anzi è aggravato dalla labilità normativa che i continui aggiustamenti finiscono per determinare. Mentre, nel secondo caso (quello dell'utilizzazione diretta di personale dei servizi di informazione e sicurezza o della prestazione di «affidavit» per erogazioni in favore di una fonte), pur difettando qualsiasi normativa interna, le generiche direttive dalle quali i comportamenti in esame discendevano («offrire alla magistratura inquirente ... tutta la nostra collaborazione») traducevano verosimilmente una posizione politica generale dei vari Governi che si sono succeduti dal 1992.
Nell'uno e nell'altro caso, insomma, si deve ragionevolmente escludere che ci si trovi in presenza di deviazioni. E tuttavia non sembra potersi negare che si sia di fronte a comportamenti che nascono da una quantomeno assai discutibile interpretazione dei princìpi stabiliti dalla legge n. 801 del 1977 e che concorrono a modificare la volontà espressa dal legislatore fondando prassi distanti dalle linee enunciate dall'organismo rappresentativo della sovranità popolare.
È opinione del Comitato che un aspetto non secondario del problema si evidenzi invece nel passaggio dall'individuazione dei fondamenti di principio sopra ricordati alla precisazione nel dettaglio delle modalità operative da seguire per l'effettuazione degli interventi di supporto. Affrontando tale aspetto, apparentemente secondario, le direttive in esame si sono venute infatti a confrontare con un ostacolo istituzionale che si è rivelato insormontabile.
Nell'ambito degli atti di indirizzo esaminati sono emerse due preoccupazioni ricorrenti: a) quella di fondare la prestazione del supporto sull'adozione di un provvedimento del pubblico ministero che autorizzasse preventivamente gli organi della polizia giudiziaria ad avvalersi del supporto del Servizio (atto per la cui documentazione le direttive hanno individuato nel tempo forme differenziate); b) quella di garantire inderogabilmente, sempre e comunque, la segretezza dell'identità degli operatori incaricati di effettuare gli interventi di supporto. Tuttavia, al di là della validità degli accorgimenti di volta in volta individuati a tal fine, è emersa con ogni evidenza l'impossibilità di conciliare adeguatamente, a livello amministrativo, due realtà ontologicamente irriducibili: da un lato, l'azione di agenti appartenenti ad un organismo informativo posta in essere secondo le modalità proprie dell'organismo medesimo, e dunque al riparo del massimo grado di riservatezza; dall'altro lato, il compimento di un atto processuale, destinato a contribuire alla ricostruzione della verità processuale, a confluire negli atti del dibattimento e, in ultima analisi, a ricevere la massima forma di pubblicità.
Significative appaiono in proposito le raccomandazioni dettate da ultimo dal direttore pro tempore del SISDE nella direttiva del 23 febbraio 1998. Si afferma in tale contesto, tra l'altro, che la denominazione del Servizio e i nominativi degli operatori non debbono comparire «in atti formali destinati a confluire nel carteggio processuale cui il supporto richiesto attiene», richiedendosi altresì che i decreti dell'autorità giudiziaria non rechino «menzione della circostanza che le attività delegate alla polizia giudiziaria vengono svolte con l'ausilio di personale tecnico e/o di apparecchiature del SISDE». Si precisa altresì che nessun intervento possa essere concesso «laddove, per le modalità esecutive, comporti la rivelazione dell'identità degli operatori del Servizio». Quanto ai requisiti formali di cui deve essere assistita ogni richiesta di supporto tecnico-operativo, da inoltrarsi per iscritto, la direttiva richiede che essa risulti corredata da copia del decreto emesso dall'autorità giudiziaria (ovvero di quest'ultimo indichi almeno gli estremi identificativi ed il contesto generale cui la richiesta di supporto si riferisce) nonché da nulla osta concesso dal magistrato procedente alla polizia giudiziaria a richiedere, per l'esecuzione del decreto, l'ausilio di personale e mezzi tecnici del SISDE. Si precisa al riguardo che il nulla osta potrà essere apposto direttamente in calce alla richiesta indirizzata al centro SISDE e «si ribadisce l'opportunità che tale atto rimanga riservato e non confluisca nel relativo fascicolo processuale».
In proposito, occorre rammentare che, alla luce della vigente legislazione processuale: a) al compimento di qualsiasi atto effettuato ai fini dell'accertamento della verità processuale deve corrispondere adeguata documentazione, che ne costituisca la veridica descrizione in termini sia di diritto sia di fatto; b) l'autorità giudiziaria, nello svolgimento delle funzioni ad essa attribuite, può avvalersi del contributo informativo - diversamente qualificato e disciplinato - di tutti i soggetti e di tutti i materiali che abbia ragione di ritenere possano concorrere all'accertamento della verità, senza esclusioni di sorta. Ciò significa che, ove un atto investigativo sia stato compiuto con la collaborazione tecnica di agenti appartenenti ad un organismo informativo ed il giudice ritenesse comunque rilevante accertare chi tale atto abbia materialmente effettuato e quali modalità siano state seguite nell'occasione, l'identità dei primi e le forme del loro operare verrebbero esposti concretamente e seriamente al rischio del disvelamento, con grave nocumento per la funzionalità del Servizio e per la stessa incolumità degli agenti. L'unico strumento che l'Esecutivo avrebbe a tal punto a disposizione per scongiurare tale eventualità sarebbe quello dell'opposizione del segreto di Stato. Ciò è del resto quanto avrebbe potuto senz'altro accadere - come detto - anche nel corso del dibattimento relativo al giudizio per l'omicidio di Marta Russo, solo che il Presidente del collegio giudicante avesse ritenuto rilevante esperire tutti gli accertamenti necessari per chiarire in ogni particolare le modalità operative che ebbero a caratterizzare la nota intercettazione ambientale.
Ne consegue che la partecipazione di agenti dei servizi ad attività di indagine comporta, sempre e comunque, le premesse per la compromissione di almeno un interesse costituzionalmente tutelato, sia esso quello della sicurezza del paese, che potrebbe essere sacrificato in caso di disvelamento dell'identità degli operatori e delle loro
Alla luce delle premesse indicate e delle argomentazioni svolte, il Comitato ritiene di poter affermare quanto segue:
a) la prassi, consolidata e risalente nel tempo, in base alla quale i servizi di informazione e sicurezza prestano il proprio supporto tecnico alla polizia giudiziaria nell'ambito di indagini svolte sotto la responsabilità della magistratura deve ritenersi non conforme alle norme che disciplinano i rapporti tra autorità giudiziaria, polizia giudiziaria ed organismi informativi; essa si è venuta a formare in una situazione di carenza di disciplina positiva, per colmare la quale sarebbe stato tuttavia necessario riferirsi con il massimo rigore ai princìpi generali della materia, ciò che - come detto - non è invece avvenuto;
b) è ben vero che l'attività di supporto è stata effettuata nella convinzione di corrispondere ad un obbligo istituzionale, fondato su un principio di doverosa collaborazione tra le istituzioni democratiche in vista della tutela dello Stato e del suo ordinamento; tale principio non appare tuttavia tale da prevalere sui princìpi che presiedono al rapporto tra magistratura, polizia giudiziaria e servizi di informazione e sicurezza, anch'essi - come si è detto - riferibili a specifici interessi costituzionalmente rilevanti; è infatti evidente che la doverosa e leale collaborazione cui si è fatto cenno può configurarsi e ritenersi tale esclusivamente nell'ambito del pieno rispetto dei princìpi che fondano la ragion d'essere delle singole istituzioni e determinano conseguentemente i modi ed i limiti delle relazioni che esse intrattengono vicendevolmente;
c) sul piano istituzionale, le direttive concernenti la prestazione del supporto da parte di agenti dei servizi di informazione e sicurezza risultano anzi in insanabile conflitto con i princìpi della pubblicità del processo e della garanzia della pienezza dei poteri cognitivi rimessi al giudice;
d) la prestazione del supporto tecnico-operativo costituisce inoltre un serio rischio per la tutela dell'identità degli operatori degli organismi informativi e per le loro metodologie operative, la cui difesa imporrebbe l'attivazione di uno dei procedimenti istituzionali di maggiore delicatezza e sensibilità, quale quello dell'opposizione del segreto di Stato, in cui verrebbero chiamati in causa, oltre che la magistratura, il Parlamento, il Governo e, in ipotesi, la Corte Costituzionale;
e) alla luce delle argomentazioni svolte, il supporto tecnico non appare inoltre giustificabile nemmeno sulla base della disponibilità, in capo ai soli servizi, di apparecchiature particolarmente sofisticate ed altrimenti irreperibili; il caso da cui ha tratto spunto tale relazione testimonia tra l'altro proprio del contrario, essendosi trattato dell'installazione di microfoni e di apparati di videoregistrazione comuni, i quali avrebbero potuto essere forniti con pari efficacia ed utilità dai
Tali note, nel disporre in termini generali il «blocco» delle attività di supporto tecnico, contemplano infatti due rilevanti eccezioni, consentendo l'effettuazione delle medesime attività - come detto - per gli ambiti investigativi concernenti la criminalità organizzata ed il terrorismo. Gli indirizzi ricordati hanno indubbiamente il pregio di limitare l'ambito del supporto tecnico a due settori istituzionalmente rimessi alla competenza del SISDE. Essi non valgono tuttavia a superare le considerazioni testé svolte, soprattutto quelle di cui alle precedenti lettere c) e d). In sintesi, consentire comunque l'effettuazione di operazioni di supporto - seppure in ambiti di intervento ridotti - non vale in alcun modo: 1) a risolvere la questione della difficoltà di conciliare i princìpi della massima pubblicità del processo e della riservatezza dell'azione degli operatori dei servizi di informazione e sicurezza; 2) a scongiurare o a ridurre il rischio del disvelamento dell'identità di questi ultimi; 3) ad evitare che, in ipotesi, l'Esecutivo possa essere costretto ad attivare rimedi sproporzionati (quali l'opposizione del segreto di Stato) in relazione ad operazioni che avrebbero potuto essere affidate ai reparti specializzati della polizia giudiziaria, ovviamente se attrezzati in maniera adeguata.