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Doc. XXIII n. 63


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RELAZIONE FINALE AL PARLAMENTO

(relatori: Presidente on. Scalia, Vicepresidente on. Gerardini per l'allegato n. 1 e Vicepresidente sen. Specchia per il punto 4).


Premessa.

La Commissione aveva - con il doc. XXIII n. 35 - già riferito alle Camere sull'attività svolta nel primo biennio di lavori. Come previsto dalla legge istitutiva della Commissione - la legge n. 97 del 1997 come modificata dalla legge n. 184 del 1999 -, al termine dei lavori della legislatura, con questa relazione si riferisce alle Camere sul complesso dell'attività svolta, fornendo valutazioni generali sul ciclo dei rifiuti così come affrontato nel corso dei lavori.
La relazione sul primo biennio di attività è stata inoltre oggetto di un dibattito generale nell'Assemblea della Camera dei deputati, dibattito concluso con la votazione di una risoluzione, l'11 gennaio 2000, approvata all'unanimità, - che impegnava il Governo ad una serie di obiettivi, quali la facilitazione dell'Environmental Management Audit Scheme (EMAS), l'attivazione di un sistema di incentivi per le imprese per favorire l'adozione di tali sistemi, nonché l'individuazione di soluzioni per sostenere il mercato dei prodotti in materiale da riciclo.
Successivamente all'approvazione di quella relazione, la Commissione ha proseguito i suoi lavori, seguendo queste direttrici principali: missioni conoscitive nelle varie realtà territoriali italiane, indagini specifiche su argomenti particolarmente rilevanti, organizzazione di momenti di confronto pubblico su singole tematiche del ciclo dei rifiuti.
Sono pertanto state effettuate missioni di delegazioni della Commissione in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Lombardia, Basilicata, Toscana, Umbria, Sardegna e Marche: per tutte queste realtà territoriali sono state in seguito elaborate specifiche relazioni alle Camere, come si vedrà in un successivo capitolo di questa relazione. Sono inoltre state effettuate indagini sugli assetti societari delle imprese operanti nel ciclo dei rifiuti, sulla produzione e sulla gestione dei rifiuti nelle aziende a rischio di incidente rilevante, sui rifiuti speciali sanitari, sui traffici illeciti e le ecomafie, sullo smaltimento dell'amianto, sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti, sui traffici transfrontalieri di rifiuti, sullo smaltimento degli scarti da macellazione e delle farine animali, sulle tecnologie relative allo smaltimento dei rifiuti ed alla bonifica dei siti contaminati.


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Una delegazione della Commissione si è inoltre recata in alcuni Paesi dell'Europa settentrionale per valutare lo sviluppo e l'applicazione di nuove tecnologie dedicate al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti: la delegazione si è quindi recata presso l'ex sito minerario di Teutschenthal (Germania) per osservare il sistema di inertizzazione e confinamento di rifiuti speciali e pericolosi; a Rijmaki, in Finlandia, all'impianto di termodistruzione con recupero energetico di rifiuti pericolosi; a Goteborg, in Svezia, ad osservare l'impianto sperimentale per la termovalorizzazione presso la locale università; a Aarhus, in Danimarca, per osservare il sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani, che ha consentito di ridurre al cinque per cento del totale della produzione il conferimento in discarica.
Come detto, inoltre, sono stati organizzati momenti pubblici di confronto su argomenti specifici del ciclo dei rifiuti. In particolare è stato organizzato un ciclo di quattro seminari sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti, che hanno avuto come sede Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo (1), vale a dire i capoluoghi delle regioni tuttora in stato d'emergenza per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti. In collaborazione con lo Iefe dell'università Bocconi di Milano, inoltre, è stato organizzato un convegno sul tema «Verso un sistema industriale per la gestione dei rifiuti» (2); con la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e le altre attività criminali similari è stato organizzato un convegno sul tema «Le rotte delle ecomafie» (3); in collaborazione con «La Sapienza» si è dato vita ad un seminario su: «L'economia dei rifiuti: dimensioni, qualità ambientale e opportunità occupazionali» (4); sono infine stati organizzati convegni su «I rifiuti dalle bonifiche: che fare?» (5), «Illeciti ambientali ed ecomafie» (6) e sul tema «Sistemi di rilevazione e controllo» (7).
Come si vede, un complesso di attività assai ampio, e di tutto questo lavoro si intende qui fornire una lettura organica con valutazioni finali, nonché proposte per una gestione sempre più efficiente del ciclo dei rifiuti, e parallelamente la realizzazione di un sistema di controlli sempre più efficace e penetrante.
In questo secondo biennio uno degli obiettivi prioritari della Commissione è stato «accendere il riflettore» sulla situazione dei rifiuti speciali, quelli cioè provenienti da attività industriali, che costituiscono più del doppio dei rsu e che presentano problemi di impatto ambientale e sanitario, specie quando non sono gestiti correttamente, assai più rilevanti. Tra i rifiuti speciali ci sono infatti quelli pericolosi, per i quali si hanno solo stime sui quantitativi prodotti, tra i 4 ed i 6 milioni di tonnellate/anno: di circa la metà di questi non si ha un controllo completo.

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1. Verso una strategia industriale per il ciclo integrato dei rifiuti.

1.1. Il documento sulla certificazione Emas ed i convegni di Milano e Roma.
Già nel primo biennio di attività la Commissione aveva avuto modo di affrontare con documenti tematici il tema della necessarietà dello sviluppo di un sistema industriale per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti. In particolare, il documento sulle proposte per la realizzazione di un sistema industriale nella gestione dei rifiuti per una nuova politica ambientale 
(8) aveva messo in evidenza come, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti solidi urbani, il ricorso ad una raccolta differenziata «spinta», con obiettivi di recupero di materiale intorno al 50 per cento, è il sistema che offre le migliori performances sia in termini di ecoefficienza sia in termini di nuova occupazione. Nel periodo successivo all'approvazione della relazione sul primo biennio di attività, la Commissione ha continuato ad osservare con grande attenzione la situazione connessa allo sviluppo di attività industriali nel ciclo dei rifiuti, non solo con riferimento al ciclo dei rifiuti solidi urbani ma anche a quello - più rilevante sia in termini quantitativi che in termini qualitativi, dato il loro maggior impatto ambientale - dei rifiuti speciali e pericolosi.
Per quanto riguarda sempre il ciclo dei rifiuti solidi urbani, la Commissione ha avuto modo di occuparsi - con uno specifica relazione - del documento di lavoro della direzione generale XI della Commissione europea, dedicato alla gestione dei rifiuti da imballaggio; nel testo (9) la Commissione ha evidenziato l'eccessiva rigidità delle strutture comunitarie che, programmando in astratto obiettivi e limiti, senza alcun effettivo confronto con la realtà della gestione del ciclo dei rifiuti, rischiano di emanare direttive inapplicabili o, peggio, fattore di disaffezione per i necessari investitori nel settore.
Più in generale, la Commissione ha organizzato due momenti di confronto pubblico sul tema dello sviluppo di un sistema industriale per la gestione integrata dei rifiuti, e più nel dettaglio sulla necessità che tale sviluppo abbia luogo: solo così sarà infatti possibile gestire le ingenti quantità di rifiuti che ogni anno vengono prodotte nel nostro Paese. Secondo una stima della Commissione - basata sulle più recenti indagini ufficiali nazionali, integrate dai risultati di inchieste territoriali poi spalmate sull'intero territorio nazionale - in Italia vengono prodotte complessivamente ogni anno circa 108 milioni di tonnellate di rifiuti. A causa anche dell'evidente deficit impiantistico e gestionale, circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti vanno ad alimentare il circuito dell'illecito, dando vita ad un mercato illegale che fattura circa 12 mila miliardi l'anno e sottrae all'erario imposte per circa 2 mila miliardi l'anno.
Attribuire la responsabilità di tale situazione al solo deficit impiantistico sarebbe una considerazione miope; va da sé comunque che l'assenza di impianti determina l'assenza di un mercato dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti; l'assenza del mercato determina


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prezzi per queste operazioni difficilmente sostenibili per chi deve disfarsi dei propri rifiuti, e la ricerca di soluzioni a più buon mercato, che spesso si traducono in alimentazione dell'attività illecita, posto che il produttore di rifiuti non è in alcun modo responsabile penalmente per eventuali illeciti commessi nella gestione dei residui della sua attività. Ci sono evidentemente altri motivi che foraggiano l'attività illecita (e saranno diffusamente trattati nel capitolo di questa relazione dedicato a tale specifico aspetto): tali elementi meritavano però un richiamo già in questa parte della relazione.
Si è detto che la Commissione ha dedicato a tali specifici aspetti due momenti pubblici di incontro. Il primo si è tenuto a Milano, organizzato in collaborazione con lo IEFE dell'università Bocconi, il 29 giugno 2000, ed ha avuto come relatori Massimo Scalia (Presidente della Commissione), Giuseppe Specchia (Vicepresidente della Commissione), Cesare De Piccoli (sottosegretario di Stato all'industria), Severino Salvemini (prorettore dell'Università commerciale Luigi Bocconi), Giorgio Giorgetti (docente di organizzazione aziendale presso l'università di Genova), Andrea Sbandati (CRS-PROACQUA), Sergio Vacca (direttore dello IEFE della università Bocconi), Pietro Capodieci (presidente del CONAI), Nicolò Dubini (amministratore delegato di PIRELLI AMBIENTE), Claudio Levorato (presidente di MANUTENCOOP), Giuliana Ferrofino (presidente di FISE-ASSOAMBIENTE), Andrea Lolli (presidente di AMAV Venezia), Roberto Potì (amministratore delegato di ETR), Paolo Togni (presidente di WASTE MANAGEMENT), Andrea Cirelli (direttore di FEDERAMBIENTE), Rosario Calandruccio (Consorzio obbligatorio oli usati), Cesare Spreafico (direttore generale di COREPLA), Domenico Zampaglione (assessore all'ambiente del comune di Milano), Antonio Massarutto (IEFE-università Bocconi), Emilio Roldani (ASSOPROGE), Marco Frey (università di Cassino), Carlo Rosario Noto La Diega (presidente del Consorzio italiano compostatori), Guido Venturini (direttore generale di FEDERCHIMICA), Bruno Menini (vicepresidente della CNA), Gloria Domenichini (rappresentante di ASSOLOMBARDA), Franco Corazzari (direttore generale di FENICE), Giuseppe Natta (consigliere delegato di ECODECO), Walter Ganapini (presidente dell'Anpa), Enrico Bobbio (presidente di POLIECO). A tale convegno hanno partecipato oltre 200 rappresentanti di imprese operanti nel settore.
In tale occasione si era rilevato come la forma di recupero che appare di gran lunga più appetibile per l'imprenditoria sia quella energetica, grazie al meccanismo del cosiddetto Cip 6 e quindi alla vendita dell'energia prodotta con una tariffa assai remunerativa; si era quindi nuovamente evidenziato il ritardo negli investimenti nel settore del recupero di materiale. Ma non venivano solo evidenziati i ritardi imprenditoriali, giacché veniva rilevato come anche diverse amministrazioni pubbliche non abbiano ancora emanato gli strumenti di pianificazione necessari ad una corretta gestione del ciclo dei rifiuti. Infine, grande rilevanza era stata data al tema della gestione dei rifiuti speciali, che pure risente di carenze tecnologiche e di investimenti. Da parte dei rappresentanti dell'imprenditoria presenti erano venute critiche e suggerimenti, alcuni dei quali recepiti dalla Commissione e presentati nel successivo documento sulle tecnologie, recentemente approvato.

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Il secondo momento pubblico specificatamente dedicato a tali aspetti del ciclo dei rifiuti si è tenuto a Roma, presso l'università La Sapienza, lo scorso 14 dicembre, e vi hanno partecipato Massimo Scalia (Presidente della Commissione), Franco Gerardini (Vicepresidente della Commissione), Franco Asciutti (componente della Commissione), Raimondo Cagiano de Azevedo (preside della facoltà di economia e commercio dell'università La Sapienza di Roma), Giulio Querini (docente di economia dell'ambiente all'università di Roma), Ernesto Chiacchierini (docente di tecnologia dei processi produttivi all'università di Roma), Mauro Mellano (docente di cooperazione allo sviluppo all'università di Roma), Guido Berro (presidente di FEDERAMBIENTE), Roberto Cetera (amministratore delegato di ECOLOG), Claudio Galli (direttore generale di AMIA Rimini), Mariella Maffini (responsabile di dipartimento Anpa), Roberto Potì (amministratore delegato di ETR), Roberto Sarcinelli (amministratore delegato GRUPPO MONTELLO), Domenico Tudini (amministratore delegato di AMA), Alberto Volkan (presidente di ECOSELECTA).
Nel corso del seminario pubblico sono stati principalmente messe in evidenza le opportunità occupazionali derivanti dallo sviluppo di un settore industriale per la gestione integrata dei rifiuti, opportunità che aumentano tanto maggiore è la quota destinata alla raccolta differenziata con recupero di materiale. Sono in tale occasione stati presentati anche i progetti specifici ed i risultati ottenuti in alcune importanti realtà grazie proprio all'adozione di sistemi di gestione integrata, nonché presentate soluzioni per il recupero del materiale che possono porre l'Italia all'avanguardia in questo settore, nonostante - com'è stato ricordato - il nostro Paese si presenti ancora a tre velocità per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti: le regioni settentrionali (fatta eccezione per la Liguria) su livelli in linea con gli obiettivi di legge, le regioni centrali che (a parte Toscana ed Umbria) risultano tuttora in ritardo con gli obiettivi di pianificazione ed il meridione (esclusa la Basilicata) in una situazione di prolungata emergenza per quanto riguarda la gestione dei rifiuti.

1.2. Le tecnologie di trattamento e di smaltimento dei rifiuti.
Si è detto che la produzione nazionale di rifiuti viene stimata dalla Commissione in circa 108 milioni di tonnellate, di cui circa 28 di rifiuti solidi urbani ed il rimanente di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. La Commissione inoltre valuta che circa il 30 per cento dei rifiuti speciali industriali non sia gestito correttamente o lo sia in maniera illecita per cui, di almeno 35 milioni di tonnellate, non si conosce il destino finale. Per quanto riguarda i sistemi di smaltimento o trattamento ancora oggi, nel nostro Paese, il ricorso alla discarica rimane la soluzione per il 78 per cento circa dei rifiuti prodotti, la termodistruzione riguarda il 6,6 per cento dei rifiuti mentre la rimanente quota viene recuperata o riusata. Per quanto concerne in particolare la termodistruzione, il parco impiantistico italiano mostra ormai i suoi anni ed è pressoché inadeguato, se si escludono alcuni casi di eccellenza, per cui è sempre più difficile e costoso contenere le emissioni entro i limiti di legge. La presa di coscienza, da parte della


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Commissione, di tale situazione deficitaria a livello nazionale ha stimolato i commissari ad effettuare confronti con le altre realtà gestionali dei Paesi del nord Europa recandosi in visita, nel settembre 2000, presso alcuni siti di trattamento della Germania, Finlandia, Svezia e Danimarca, al fine anche di verificare l'esistenza di un sistema industriale per la gestione integrata dei rifiuti.
Anche il sistema delle filiere, apprezzabile per certi versi per i risultati raggiunti sul versante degli imballaggi derivanti dal sistema produttivo, non è ancora ad un livello adeguato sul versante delle filiere da raccolte differenziate comunali, risentendo delle difficoltà iniziali per organizzare il Conai e soffrendo la mancanza di un mercato consistente del recupero dei materiali. Il confronto con i Paesi nord europei ci vede, al momento e per quanto sopra detto, perdenti non solo in riferimento alla quantità degli impianti in esercizio ma anche alla qualità tecnologica.

1.2.1. Il recupero ed il riciclo dei materiali.
Il recupero dei materiali viene realizzato con le cosiddette «raccolte differenziate». I rifiuti solidi urbani possono essere già separati in casa per singole tipologie, immessi in appositi contenitori di vario colore per la plastica, carta, vetro, metalli, frazione umida e conferiti quindi in piattaforme attrezzate dalle autorità comunali oppure essere raccolti in casa per frazione secca (carta, plastica, vetro, metallo) e frazione umida, e conferiti a cassonetti per multimateriale (secca) e frazione umida. O ancora conferiti tal quali nei cassonetti con separazione a valle da parte di appositi impianti di cernita e separazione realizzati dai comuni o da consorzi misti (pubblico-privato). Le frazioni secche, invece, vengono avviate ad impianti di riciclo (le cosiddette filiere) in cui la carta, la plastica, il vetro, il metallo, il legno vengono rilavorati, ossia immessi in un ciclo produttivo (riciclaggio) che li trasforma nuovamente in materiali riutilizzabili. La frazione umida è invece avviata agli impianti di compostaggio per ottenere compost da riutilizzare per ripristini ambientali (quali i riempimenti di cave abbandonate) se ottenuto dai rifiuti tal quali, o come ammendante agricolo nei terreni o come fertilizzante se ottenuto da frazioni organiche selezionate (es. sfalci di giardini, residui verdi da mercatali, etc).
Il nostro Paese, tradizionalmente povero di materie prime, ha da tempo sviluppato tecnologie e tecniche di riciclaggio delle materie residuali dai cicli produttivi per mezzo di una serie di circuiti di raccolta e di valorizzazione dei rifiuti. Tali sistemi di recupero sono stati, ed in parte lo sono ancora, legati all'attività di singoli soggetti sia nelle fasi di raccolta, che in quelle di selezione, trattamento, commercializzazione e reimpiego. A seguito dell'emanazione del decreto legislativo n.22 del 5 febbraio 1997, si è costituito il Consorzio Nazionale Imballaggi (Conai) ai sensi dell'articolo 41 dello stesso decreto. Il Conai opera utilizzando l'esistenza dei circuiti già attivi di cui sopra, integrandosi ed inserendosi nelle strutture esistenti con il compito di adempiere alla raccolta dei rifiuti da imballaggio e per garantire il raccordo con l'attività di raccolta differenziata (frazioni


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secche ed umide) dei rifiuti raccolti dalla pubblica amministrazione. Il Conai ed i sei consorzi hanno, rispetto ai tradizionali circuiti di raccolta e valorizzazione, una peculiarità che consiste nel profilo istituzionale del sistema Conai-consorzi di filiera che, per legge, è costituito dai produttori e dagli utilizzatori di imballaggi secondo il principio della «responsabilità condivisa». Vale però la pena notare che il decollo del Consorzio Nazionale Imballaggi è avvenuto dopo che con la legge n. 426/98 si è stabilita l'obbligatorietà dell'adesione al Conai, peraltro su indicazione del sistema delle imprese. La normativa ha fissato obiettivi di recupero e di riciclaggio. I sei consorzi per il recupero e riciclo riguardano l'acciaio (Cna), l'alluminio (Cial), la carta (Comieco), il legno (Rilegno), la plastica (Corepla), il vetro (Coreve).
Occorre tenere presente che il riciclo, indicato all'interno dell'attività di recupero dal decreto legislativo n. 22/97, è da intendersi come l'insieme delle attività e delle operazioni che, a partire dalla selezione e dal trattamento dei rifiuti raccolti, comportano l'impiego della materia prima secondaria attraverso i processi di riciclaggio. Il riciclaggio invece è da intendersi come un processo di produzione in cui vengono utilizzati i rifiuti come materia prima per ottenere un nuovo prodotto finito. In tal senso si parla di processi di riciclaggio. Va quindi chiarito che vi sono due filoni industriali: uno è quello dell'industria del riciclo in senso stretto che si riferisce ai processi di riciclaggio in cui la materia prima seconda, per come sopra detto, è trasformata in un nuovo prodotto finito (che quindi esclude tutte le fasi a monte di tale processo: quelle, per esempio, svolte dagli operatori che esercitano attività di raccolta e selezione) ed un altro che attiene all'industria del riciclo in senso più ampio, che si riferisce alle attività successive alla raccolta che vanno dalla selezione, al trasporto, al trattamento, finalizzate alle operazioni di riciclaggio ed in più ai processi di riciclaggio in senso proprio. Nel documento della Commissione relativamente alle tecnologie di smaltimento e di bonifica sono riportati dati e tabelle delle filiere di riciclo.
Il compostaggio: consiste in un processo biologico aerobico con il quale la componente organica del rifiuto solido urbano, detta anche frazione umida, da sola o insieme ai fanghi di depurazione delle acque civili, viene trasformata in un prodotto con caratteristiche di ammendante dei terreni, dopo maturazione in impianti idonei. La tecnologia in tale campo ha registrato numerosi progressi negli ultimi anni ed ora il «sistema Italia», pur dipendendo ancora dall'estero per il compost di qualità, si avvia a percorrere la strada del compostaggio con sempre maggiore convinzione. Gli esempi sul territorio nazionale, per come risulta alla Commissione, si riferiscono generalmente ad impianti di compostaggio della frazione umida da rsu tal quali come quello di Colfelice nel Lazio, di Sambatello a Reggio Calabria, del Consorzio Milano pulita di Segrate (MI), di Udine, di Tempio Pausania, di Perugia. Sono però in fase di programmazione e realizzazione, sul territorio nazionale, impianti che utilizzano la frazione umida dei mercatali, in grado di produrre compost di qualità e di garantire una minore dipendenza dalle importazioni.
Il recupero di energia: tutti quei materiali che, pur se si attua la raccolta differenziata, non possono essere riciclati e che comunque costituiscono ancora una buona percentuale utilizzabile, vengono

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avviati ad impianti di termovalorizzazione per il recupero di energia che verrà utilizzata per produrre vapore o energia elettrica. In tal caso il materiale di alimentazione degli impianti, viene chiamato cdr, ossia combustibile derivato dai rifiuti, ha un suo potere calorifico e una precisa composizione prevista e fissata per legge. Tale cdr è preparato in appositi impianti in cui viene vagliato, selezionato, triturato, omogeneizzato e ridotto sotto forma di cilindretti a basso contenuto di umidità o in forma «coriandolata». La termodistruzione con recupero di energia (o termovalorizzazione con produzione di energia elettrica e/o calore utilizzabile per riscaldamento o altri usi), ossia il trattamento dei rifiuti ad alta temperatura, secondo la normativa vigente, va inquadrata nell'ambito del cosiddetto «sistema integrato di gestione dei rifiuti» in linea con le direttive comunitarie. La termovalorizzazione, non solo consente di ridurre drasticamente il volume dei rifiuti da conferire in discarica, di smaltire più facilmente i residui della combustione ma anche di recuperare quantità consistenti di energia come si può desumere da uno studio effettuato dal politecnico di Milano nel 1997. Tante le ragioni che si possono addurre sul ritardo del nostro Paese ad adeguarsi ai principi della gestione integrata dei rifiuti e, tra questi, la cosiddetta «sindrome di Seveso» mentre, nell'ultimo decennio, sono state messe a disposizione degli operatori del settore tecnologie ed impianti per la termodistruzione più sicuri ed affidabili non solo per i rifiuti solidi urbani ma anche per i rifiuti speciali di origine industriale a prevalente componente organica. Il nuovo modello di gestione integrata deve caratterizzarsi quindi con la centralità del recupero e della valorizzazione delle componenti merceologiche presenti nei rifiuti solidi urbani sia sotto forma di materia che di energia, relegando il ricorso alla discarica solo per quei rifiuti che residuano dal trattamento e che non sono suscettibili di ulteriori valorizzazioni. Un rapporto Federambiente del 1998 riporta un quadro assai aggiornato della situazione nazionale dei termodistruttori e confronta i dati con il rapporto Anpa del 1998 con studi del 1995 effettuati da Ausitra e Assoambiente, con una ricerca Anida del 1997, con un rapporto Federambiente-Amia Verona del 1995 e con una ricerca Enea del 1995. Risulta dal rapporto che il parco nazionale dei termodistruttori di Rsu è costituito da 60 impianti di cui il 23,3 per cento (ossia 14 impianti) non sono ancora in esercizio (progettati o in fase avanzata di costruzione), e il 68 per cento (41 impianti) sono operativi; di questi ultimi, 5 impianti (8,3 per cento) sono temporaneamente inattivi. Relativamente ai limiti imposti dalla normativa (DM 97/503, DM 5 febbraio 1998) per le diossine (0.1 nanogrammi/Nmc), vi è da rilevare che solo 8 impianti (cioè il 25 per cento) degli impianti Federambiente rispetta tali limiti.
La discarica controllata: nella filosofia europea della gestione dei rifiuti, recepita dagli Stati membri, la discarica assume, com'è noto, un ruolo marginale e residuale. Essa, infatti, può accogliere rifiuti inerti o resi inerti o derivanti dai trattamenti di recupero e comunque a bassissima matrice organica per minimizzare, se non eliminare, la possibilità che si formi il percolato. La deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 contiene le disposizioni per la prima applicazione dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, e concerne lo smaltimento dei

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rifiuti in discarica o per termodistruzione. In tale deliberazione sono contenuti i criteri tecnico-scientifici, quelli amministrativi, le procedure di autorizzazione, le tecniche di smaltimento, nonché i criteri classificatori dei rifiuti. Tale norma secondaria, da innovare in alcune sue parti, rimane ancora (in attesa dell'emanazione del decreto di attuazione dell'articolo 5, comma 6, previsto dal decreto legislativo del febbraio 1997, n. 22) lo strumento tecnico che regolamenta la materia dello smaltimento in discarica dettandone i criteri per la distanza di sicurezza dai punti di approvvigionamento delle acque destinate ad uso potabile, dall'alveo di piena di laghi, fiumi, torrenti, dai centri abitati e dai sistemi viari di grande comunicazione; i criteri per l'ubicazione in suoli stabili, tali da evitare rischi di frane o cedimenti della struttura di smaltimento; i criteri di gestione (compattazione, rimozione del percolato, captazione del biogas, ripristino ambientale del sito dopo coltivazione ecc.). Tutto ciò a seconda che si tratti di discariche di prima categoria, di seconda categoria di tipo A, di tipo B e di tipo C, e di terza categoria. Per ciò che riguarda lo smaltimento dei rifiuti pericolosi in discarica, il decreto del Ministero dell'ambiente n. 141 dell'11marzo 1998 cataloga e identifica tali rifiuti in attuazione dell'articolo 28, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. La normativa comunitaria recepita dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, proprio nell'ottica di una gestione integrata dei rifiuti, all'articolo 6, prevede che dal 1o gennaio 2001 sia consentito smaltire in discarica solo rifiuti inerti, rifiuti individuati da specifiche norme tecniche e rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento il che, tradotto nella pratica del conferimento, significa espresso divieto di smaltimento di rifiuti a componente organica. Nel caso dei rifiuti urbani ciò significherà avviare tali matrici organiche al compostaggio mentre relativamente ai rifiuti speciali si tratterà di avviarli o alla termodistruzione o ai processi di inertizzazione che immobilizzino i contaminanti nei materiali usati per i processi di fissazione chimica. Le discariche di oggi dovranno quindi accogliere i rifiuti inerti, quelli derivanti dai processi di recupero delle frazioni secche ed umide delle raccolte differenziate e saranno asservite agli impianti di termodistruzione per accogliere le ceneri tal quali o rese inerti. Purtroppo, dati i ritardi nell'attuazione della normativa vigente e il lento adeguamento ad essa di numerosi piani regionali, si deve oggi constatare che il termine del gennaio 2001 fissato dalla norma è scaduto.
Impianti di stoccaggio, di riciclo, di trattamento dei rifiuti: relativamente allo stoccaggio di rifiuti, questi vanno considerati alla stessa stregua delle sostanze pericolose per le quali esistono ben precise norme derivate da quella primaria sulla etichettatura. Per minimizzare l'impatto ambientale per l'atmosfera l'acqua e il suolo, una delle prime regole da rispettare è quella di evitare il superamento delle quantità da stoccare e da trattare autorizzate nonché i tempi di permanenza. Durante le operazioni di trattamento (volumetrico, di inertizzazione, di miscelazione, vanno evitate operazioni che comportino incompatibilità chimiche che potrebbero comportare i rischi di sviluppo eccessivo di calore, reazioni esotermiche con conseguenti esplosioni e incendi. I contenitori dei rifiuti debbono essere ermeticamente sigillati e ispezionabili, integri e non debbono presentare segni di corrosione

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con perdita di liquidi nel suolo. Le condizioni di aerazione debbono essere garantite e gli eventuali odori presenti debbono essere captati da un sistema in leggera depressione con assorbimento su mezzi assorbenti (ad esempio i carboni attivi) nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di qualità dell'aria. Debbono essere disponibili piani di pronto intervento di emergenza e di antincendio. In caso di incendi, la combustione di rifiuti pericolosi può avere gravi conseguenze sull'ambiente e sulla salute dei cittadini.

1.2.2. Il trattamento dei rifiuti solidi urbani.
I rifiuti solidi urbani sono sottoposti a procedure diverse a seconda della loro destinazione. Nel caso dell'avviamento in discarica o alla termodistruzione tal quali (tale pratica è ancora in uso, nonostante la normativa vigente imponga la raccolta differenziata, il recupero e la limitazione dell'utilizzo delle discariche dall'1 gennaio 2001), il rifiuto raccolto dai servizi comunali, viene avviato alle stazioni di trasferenza nelle quali viene pressato in macchine compattatrici, regettato e avviato allo smaltimento. Una volta abbancato in discarica viene deodorizzato utilizzando opportuni agenti chimici o poliuretani sotto forma di spray, ricoperto con inerte e successivamente compattato. Il percolato prodotto dai processi fermentativi e dal dilavamento delle piogge viene periodicamente raccolto e avviato agli impianti di depurazione o riciclato in testa alla discarica. Se invece il rifiuto urbano viene sottoposto a raccolta differenziata sia con il sistema di raccolta porta a porta in contenitori separati messi a disposizione dei cittadini, sia per mezzo di cassonetti di colore diverso per la raccolta singola o multimateriale, allora i trattamenti sono di due tipi: selezione manuale o meccanica della frazione secca (comprensiva di deferrizzazione dei materiali metallici per mezzo di elettrocalamite) da avviare successivamente alle filiere di recupero di legno, carta, alluminio e metalli, vetro, plastica e compostaggio della frazione umida da rifiuto urbano tal quale per l'ottenimento di un compost di bassa qualità o dai residui dei mercatali e delle operazioni di sfalcio e giardinaggio per ottenere invece un compost di qualità.
Mentre per il recupero della frazione secca i singoli materiali vengono avviati alle filiere delle aziende di produzione di plastica, vetro, carta, alluminio, etc., nel caso del compostaggio la frazione umida in alcune regioni viene compostata in idonei compostatori in legno aerati a cura delle stesse famiglie che la producono (es. Trentino) o conferita ad operatori che la avviano ad impianti di compostaggio. I problemi che si pongono con tali impianti sono essenzialmente quelli dei cattivi odori (che non favoriscono il consenso delle popolazioni esposte), ove questi non siano provvisti di idonei biofiltri a letto torbiero o a microrganismi supportati su anelli ceramici.

1.2.3. Il trattamento dei rifiuti di origine sanitaria.
Ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n.22 del 5 febbraio 1997, i rifiuti di origine sanitaria subiscono un trattamento di smaltimento


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definito per termodistruzione, preceduto per alcune tipologie da disinfezione. Il decreto attuativo dell'articolo 45, da poco emanato, dà la possibilità di avviare tali rifiuti alla discarica controllata previa sterilizzazione, ove il fabbisogno degli impianti di termodistruzione non risulti adeguato. In tal caso però la procedura del conferimento in discarica è subordinata all'autorizzazione del presidente della regione interessata, d'intesa con i ministri della sanità e dell'ambiente. Impianti con tecnologia accettabile sono quelli della ditta Mengozzi a Forlì e dell'Ama a Ponte Malmone (Roma), che tuttavia richiedono una più accurata gestione, soprattutto per ciò che riguarda le emissioni di mercurio.

1.2.4. Il trattamento del percolato di discarica.
Il percolato, com'è noto, si forma a seguito delle degradazione fermentativa dei rifiuti organici collocati nella discarica e del dilavamento della superficie esposta dei rifiuti causato dalle piogge che, infiltrandosi nel corpo della discarica, percolano e permeano il corpo stesso raggiungendo poi il fondo. Periodicamente è previsto che il percolato venga allontanato prelevandolo, a mezzo pompe, dai pozzi appositamente installati nella discarica e che vengono alimentati dalla rete di drenaggio presente sul fondo stesso della discarica. Data la composizione chimica del liquido (alti valori di Cod e Bod), esso va trattato in impianti di depurazione biologici possibilmente muniti di sezione di denitrificazione, in considerazione della concentrazione di ammoniaca presente nel percolato stesso.

1.2.5. Il trattamento dei rifiuti speciali.
I rifiuti speciali comprendono un'ampia gamma di tipologie, che va dai rifiuti inerti ai rifiuti speciali pericolosi di origine industriale. Nel caso dei rifiuti inerti, i trattamenti sono limitati alla frantumazione (seguita in qualche caso da vagliatura e separazione per pezzatura), al bagnamento per minimizzare i problemi di polverosità durante il trasporto e durante l'abbancamento in discarica. Un particolare trattamento subiscono le lastre di eternit che sono miscele di cemento-amianto. Tali lastre una volta, rimosse dai capannoni o da altri manufatti, vengono bagnate, avvolte con teli di plastica, sigillate e conferite nelle discariche, avendo cura di non provocare rotture durante le fasi di abbancamento. Ciò al fine di evitare la dispersione di fibre libere di amianto cancerogeno in atmosfera. I rifiuti speciali possono essere trattati ai fini di un loro corretto smaltimento o di un loro recupero. Con le operazioni di centrifugazione o filtropressatura effettuate per es. su fanghi della industria petrolifera, chimica, farmaceutica, vengono recuperati prodotti ancora utilizzabili separandoli dalle torte - filter cake - che, dopo successivo trattamento di inertizzazione, vengono avviate alla discarica controllata.
Nel settore farmaceutico, dai brodi di cultura o dai liquidi biologici esausti, è possibile recuperare i principi attivi o comunque le specie chimiche ancora utilizzabili, tramite processi di evaporazione, refrigerazione,


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distillazione azeotropica, cristallizzazione, filtrazione. Nel settore della galvanotecnica e della elettrometallurgia o delle concerie, trovano buona applicazione i processi di neutralizzazione acido-base, della riduzione con agenti riducenti seguita da precipitazione dei sali insolubili, come nel caso dei cromati che sottoposti a trattamento con bisolfito sodico vengono precipitati dalla soluzione come idrossido di cromo trivalente insolubile. Nel settore della galvanotecnica sono anche utilizzati trattamenti di ossidazione con cloro o ipoclorito sodico sui rifiuti che contengono cianuri. Nel settore della metallurgia sono applicati i trattamenti di cementazione ed elettrolisi. Nell'industria chimica il recupero dei solventi dai rifiuti avviene, se economicamente praticabile, per distillazione, strippaggio. Alcuni componenti pregiati di natura organica presenti nei rifiuti possono essere recuperati per estrazione con solventi selettivi.
Nel settore dei metalli pregiati si possono utilizzare le membrane osmotiche o lo scambio ionico per il recupero di alcune specie ioniche di particolare interesse. Promettente sembra la via dell'essiccamento seguito dalla calcinazione di alcuni fanghi inorganici contenenti calce, alluminio, ecc. nel settore del recupero dei metalli pregiati (oro, argento, etc) dai rifiuti esistono realtà industriali nazionali come la Chimet di Prato (specializzata nel recupero dell'oro) e la Engitec di Milano che ha sviluppato un processo di recupero dei metalli dalle schede e dalla componentistica dei computers, dei televisori e dalle apparecchiature elettroniche e un altro processo di recupero dello zinco dalle ferriti di zinco componenti principali dei fumi della metallurgia dello zinco.
Un particolare settore dei trattamenti è quello dei processi di inertizzazione. L'inertizzazione ha lo scopo di ridurre o eliminare la cessione dei componenti inquinanti presenti nel rifiuto. In tal modo si ottengono due risultati: il primo è quello di declassare il rifiuto permettendone lo smaltimento in discariche di categoria meno severa (es. 2B anziché 2C) e a costi più bassi, il secondo è quello di ridurre sensibilmente la pericolosità nel tempo nei confronti delle popolazioni esposte e dell'ambiente. Nei processi di inertizzazione si può fare ricorso al cemento o alla bentonite associata all'idrossido di calcio, che facilitano i fenomeni di precipitazione e complessazione degli ioni metallici presenti nel rifiuto, rendendoli insolubili. A Modena, presso la piattaforma polifunzionale gestita dal comune, viene impiegato il processo Soliroc brevettato in Belgio e che rientra nei processi cosiddetti a base acida adatto per i rifiuti della galvanica, della fotografia, dei metalli pesanti in genere. Altri brevetti fanno ricorso alla calce (Envirosafe Usa, Petrifix francese), alle argille (Biobrick-Usa), o a sostanze termoplastiche, o a incapsulamento in polietilene o polimeri organici.
In Italia, sono state sviluppate e consolidate esperienze di inertizzazione dei fondami di serbatoi del settore petrolifero (tecnologia Ecotec utilizzata nelle raffinerie Agip di San Nazzaro dei Burgondi, Saras di Sarroch, Agip di Livorno) con impianti che prevedono una centrifugazione preliminare con centrifughe orizzontali o verticali a due o tre vie, per mezzo delle quali, dal fondame si separa quasi tutto l'olio libero che viene rilavorato in raffineria (tale olio contiene non più dell'uno per cento di acqua) e una «torta» prevalentemente

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costituita da inorganico con una parte minima di olio assorbito che viene sottoposta a trattamenti di inertizzazione con silicati solubili. Il prodotto dell'inertizzazione, dopo un periodo di maturazione all'aria, viene sottoposto a test di cessione ed avviato in discarica di tipo 2B.
La Commissione ha avuto modo di appurare che presso la Saras viene impiegata un'altra tecnologia Ecotec, detta tor, che è molto simile a quella di inertizzazione dei fondami oleosi ma fa anche ricorso a particolari additivi chimici per il trattamento, tra l'altro, dei catalizzatori esausti a base di metalli come il cobalto e il molibdeno. Recentemente è stato realizzato dalla società Ecoservice di Macerata un impianto di inertizzazione a servizio di terzi. In tale impianto, già operativo da circa un anno con ottimi risultati, si utilizza il processo Inertix elaborato e progettato dall'università di Roma «La Sapienza» presso l'Istituto di chimica organica. Per ciò che riguarda il trattamento delle acque di falda contaminate da Btx (benzene, toluene, xilene) è da anni operativo presso la raffinera Agip di Sannazzaro dei Burgondi un sistema ad ossidazione con ozono denominato Taf e un altro di ossidazione delle sode esauste (classificate come rifiuti pericolosi) ricche di solfuri, mercaptani e fenoli (rifiuti pericolosi) denominato Iso entrambi con tecnologia Ecotec.

1.2.6. Gli impianti mobili Enea per il trattamento dei rifiuti.
Il dipartimento ambiente, divisione tecnologie, ingegneria e servizi ambientali dell'Enea di Roma ha sviluppato una serie di prototipi di impianti mobili utili non solo a sostegno degli impianti fissi ma anche per altri impieghi quali lo smaltimento di rifiuti speciali (teloni di plastica utilizzati in agricoltura e contaminati da antiparassitari, sacchi di plastica sporchi di diserbanti, rifiuti infetti ospedalieri, percolati di discarica etc). Tali impianti, alcuni dei quali ancora in sperimentazione, sono anche utilizzabili nelle operazioni di bonifica dei siti contaminati anche da amianto e per il trattamento in situ quando i contaminanti da rimuovere non ne consigliano il trasporto e lo smaltimento in altri siti più o meno lontani. L'utilizzo di unità mobili per il trattamento dei rifiuti o per la bonifica dei siti contaminati è previsto anche dal decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997.

1.2.7. Il processo Cnr per l'inertizzazione dell'amianto in fibre.
Con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997 ed in particolare con il decreto legislativo n. 389 del 1997 di modifica, tutti i rifiuti contenenti amianto (rca) possono essere avviati sia in discariche controllate di adeguata tipologia sia in impianti di trattamento e inertizzazione. I trattamenti di inertizzazione hanno lo scopo di bloccare le fibre libere di amianto, di eliminare la pericolosità e quindi quello di declassificare i rca in maniera da poterli smaltire in discariche di categoria inferiore alla 2C, a costi più contenuti. I processi di trattamento di inertizzazione dell'amianto sono vari e numerosi e vanno da quelli di stabilizzazione e solidificazione a trattamenti chimico-fisici (vetrificazione, vetroceramizzazione etc). Di


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ciò ha riferito alla Commissione la dottoressa Marabini del Cnr (audizione del 3 febbraio 2000). Tali processi intervengono sulla natura cristallo-chimica dei minerali di amianto e rendono inerte, in quanto la trasformano, la matrice di amianto. I sistemi chimico-fisici, offrono quindi la possibilità di reimpiego e/o riciclo dell'amianto.
Al momento, però, non essendo stati recepiti i disciplinari tecnici nazionali in sede europea, non si può attivare il meccanismo di trattamento ai fini del recupero, ma solo il trattamento al fine di eliminazione della pericolosità con conseguente smaltimento in discarica controllata. Con l'emanazione del decreto attuativo dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22/97, ossia del DM n. 471/99 sulle bonifiche dei siti contaminati, assumono un ruolo assai importante i trattamenti di inertizzazione o quelli di tipo chimico-fisico i disciplinari tecnici di cui sopra, sono ancora fermi presso i Ministeri ambiente e sanità per la concertazione. La Commissione ritiene che ulteriori ritardi in materia non solo fanno aumentare i costi di smaltimento, ma inducono gli operatori senza scrupoli a commettere illeciti lucrosi in un mercato che peraltro appare assai carente di idonei impianti di discarica di tipo 2B e 2C. Tali ritardi, negli ultimi anni, hanno favorito sempre più il ricorso ad impianti di smaltimento esteri europei, come quello della Inertam in Francia o le discariche in Austria e Germania.

1.2.8. L'impianto sperimentale Pirelli per la produzione di cdr.
In Italia non si è ancora sviluppato concretamente il settore della produzione e utilizzo del cdr ma sono interessanti alcune iniziative come quella della società Pirelli di Milano il cui progetto fa ricorso ai pneumatici usati per ottenere un cdr. Il progetto, in fase sperimentale, prevede l'ottenimento del combustibile partendo da una miscela di 500/ton/giorno di rsu tal quale, di 60 ton/giorno di pneumatici fuori uso e di 50 ton/giorno di plastica non riciclabile. La sperimentazione è stata condotta da Enea nel luglio 1997 e garantisce anche il rispetto delle emissioni di microinquinanti in atmosfera.

1.2.9. Trattamento delle carcasse e delle farine animali.
Il ben noto fenomeno della Bse, o della «mucca pazza», su cui la Commissione ha effettuato un'apposita indagine ha notevoli risvolti relativamente allo smaltimento delle carcasse animali e delle farine infette che, per legge, debbono essere avviate alla distruzione. Vi è nel nostro Paese un sistema di termodistruttori in numero tale e con tecnologia consolidata in grado di far fronte all'emergenza scatenatasi sul fenomeno Bse. Alternative alla termodistruzione sono state prese in considerazione nella legge n. 3 del 2001, che converte il decreto-legge 11 gennaio 2001, n. 1, in cui l'ossidodistruzione è considerata un'alternativa valida.
A tale proposito, una delegazione della Commissione ha effettuato un sopralluogo presso l'università di Messina nel corso del quale è


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stato mostrato un impianto in funzione che utilizza una promettente tecnologia messa a punto dal professor Giacomo Dugo dell'istituto di chimica organica in collaborazione con l'ingegner Di Giovanni di Trapani. Si tratta del «Sistema di smaltimento Polimass - carne» della società Ecoenergy che consiste di un processo di ossidodistruzione. La carcassa animale, posta in apposito cassone, viene triturata fino ad una pezzatura di 10 centimetri ed ulteriormente triturata a pezzature più fini. Il materiale triturato, viene quindi immesso in un reattore di ossidodistruzione a bagno ossidante, in cui si innesca un processo di depolimerizzazione che si completa in circa 50 secondi. Il prodotto della polimerizzazione è un poliglicol. Il poliglicol viene quindi mescolato con biomasse a grandi superfici e fatto reagire con un additivo denominato mdi.
La Commissione, dopo un'attenta lettura della documentazione tecnica e dopo aver assistito alla sperimentazione sul campo, ha espresso un parere tecnico favorevole a che il processo possa essere considerato un'alternativa alla termodistruzione delle carcasse animali infette, alle farine, ai grassi ed agli oli derivanti dalla lavorazione delle carcasse animali. Si è potuto altresì verificare, durante la discussione tecnica con il team del professor Dugo seguìta alla sperimentazione sul campo, che anche il costo dell'operazione di ossidodistruzione risulta più basso della termodistruzione.
Il chimismo completo della reazione di ossidistruzione consiste (per come si è potuto verificare durante la sperimentazione sul campo presso l'università di Messina dalla delegazione della Commissione condotta dal senatore Asciutti) in un'ossidazione con miscela ossidante a prevalente contenuto di acqua ossigenata, seguìta da una polimerizzazione con il dmi (isocianato), che è uno scarto industriale e quindi viene valorizzato. Il prodotto finale è simile al poliuretano espanso. Il materiale ancora in fase di reazione, detto polixano espanso, viene depositato in cassoni metallici e si solidifica. Il prodotto finale è sterile e può essere utilizzato in campo industriale nella fabbricazione di materie plastiche. Un impianto di ossidodistruzione può essere fisso o carrellabile ed ha una potenzialità di trattamento di 15 tonnellate/ora. L'applicazione dell'ossidodistruzione può essere estesa al risanamento delle discariche ed ai siti contaminati.

1.3. I necessari corollari allo sviluppo di un sistema industriale.
1.3.1. Un sistema di controlli efficiente ed adeguato alle necessità del sistema
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La Commissione nel corso dei suoi lavori ha naturalmente prestato grande attenzione allo sviluppo di nuove tecnologie dedicate oltre che alla gestione del ciclo dei rifiuti anche al controllo - inteso nel suo senso più ampio - dello stesso. Il controllo non può essere infatti solo inteso in senso repressivo, data la grande rilevanza che ha - e che in prospettiva deve avere sempre più - il controllo amministrativo. Un sistema efficiente in questo senso è la migliore garanzia preventiva alla commissione di illeciti anche nel ciclo dei rifiuti.


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Si pensi ad esempio agli impianti per il trattamento ed il recupero dei rifiuti aperti in base alle cosiddette procedure semplificate previste dal decreto legislativo n. 22 del 1997: secondo tale procedura per avviare l'attività di cui sopra è sufficiente una comunicazione all'autorità provinciale che - entro 90 giorni - deve esaminare e dare l'approvazione definitiva al progetto. Come la Commissione ha più volte avuto modo di sottolineare, tale norma aveva il lodevole intento di favorire lo sviluppo di imprese dedicate appunto al recupero e al trattamento dei materiali; imprescindibile al corretto funzionamento della norma però era, ed è, l'esistenza di una pubblica amministrazione efficiente, in grado di fornire risposte immediate e concrete. Poiché, nei fatti, così ancora non è per l'intero Paese le norme per le procedure semplificate sono state utilizzate da quanti intendevano realizzare traffici illeciti per creare vere e proprie discariche abusive, e lasciare in eredità al territorio non già impianti fonte di sviluppo ma nuove occasioni di degrado.
È noto che il controllo amministrativo della gestione dei rifiuti, ed in modo particolare del loro flusso, è centrato essenzialmente sul modello unico di dichiarazione ambientale (il Mud), che deve essere compilato dal produttore del rifiuto. Per quanto riguarda invece la movimentazione, il controllo cartolare si effettua mediante il formulario di identificazione del rifiuto, che sostituisce in questo specifico settore il documento di trasporto. Si tratta di due sistemi di controllo che dovrebbero in parte integrarsi, ma in realtà finiscono col non riuscire ad incrociarsi e soprattutto hanno tempi di verifica talmente ampi (si pensi che i dati sulla produzione dei rifiuti, basati sul Mud, sono noti due anni dopo il periodo di interesse, mentre i formulari di identificazione devono tornare al mittente in un arco di tempo di 90 giorni dall'effettiva spedizione) che non consentono alcun tipo di effettivo controllo. Senza considerare che non tutti quanti ne hanno l'obbligo compilano il Mud e che gli stessi formulari sono in realtà delle autocertificazioni.
Per tali motivi la Commissione ha seguito con grande attenzione lo sviluppo del sistema denominato check-rif, studiato e brevettato dall'Anpa, che punta da un lato a semplificare le attività di denuncia da parte delle imprese sia produttrici di rifiuti che operanti in questo ciclo; e dall'altro consente di avere in tempo reale il controllo dei flussi di rifiuti. Il sistema funziona grazie all'installazione presso i produttori e gli impianti di smaltimento e/o trattamento rifiuti di apparecchi mutuati dal sistema di pagamento Pos con il bancomat; agli operatori del ciclo (produttori, trasportatori, smaltitori) viene invece consegnata una tessera con banda magnetica da inserire nell'apparecchio «Pos». Ogni operazione viene così registrata dal sistema centrale - esattamente come accade per il bancomat - ed i flussi vengono seguiti in tempo reale. Per gli operatori del ciclo, inoltre, la facilitazione riguarda il fatto che non saranno più tenuti alla compilazione del Mud ma sarà la stessa autorità di gestione del check-rif ad inviare loro una sorta di estratto conto della produzione, o delle movimentazioni o degli smaltimenti effettuati, a seconda del ruolo giocato nel ciclo dei rifiuti.
Se quindi chi opera nel ciclo dei rifiuti grazie a questa semplificazione eviterebbe la compilazione di una serie a volte infinita di moduli, nonché i costi a questa correlati, l'autorità di controllo - in

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tal caso l'Osservatorio nazionale sui rifiuti - grazie al sistema check-rif potrebbe conoscere costantemente i volumi di rifiuti prodotti, la loro tipologia e le loro caratteristiche. Sarebbero così evitate situazioni tali per cui ad oggi, marzo 2001, non sono ancora noti i dati sulla produzione di rifiuti speciali nel 1998; ed anche quando saranno noti, questi non saranno in effetti dati bensì delle stime, poiché circa la metà di coloro che sono tenuti a compilare il Mud non lo presenta. Per cui, come la Commissione ha sottolineato in diverse occasioni, quando sono stati verificate «sul campo» le stime Mud (10) è emerso che per avere un quadro esatto della produzione si dovevano moltiplicare tali stime per un fattore di 2,16.
Esistono anche altri sistemi di controllo che possono essere utilizzati nel ciclo dei rifiuti, e a questo tema la Commissione ha dedicato un seminario pubblico che si è tenuto a Roma il 19 febbraio 2001 e al quale hanno partecipato Massimo Scalia (Presidente della Commissione), Franco Asciutti (componente della Commissione), Willer Bordon (Ministro dell'ambiente), Salvatore Mistretta (responsabile del comando aeronavale di Roma della Guardia di finanza), Ilio Ciceri (capo ufficio operazioni del comando generale dell'Arma dei carabinieri), Giuseppe Di Croce (direttore del Corpo forestale dello Stato), Walter Ganapini (presidente dell'Anpa), Gaetano Tedeschi (direttore generale dell'Enea), Carlo Maria Marino (responsabile scientifico del progetto Lara del Cnr), Marco Marchetti (ricercatore presso l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), Sergio De Julio (presidente dell'Agenzia spaziale italiana), Vittorio Di Trapani (direttore delle relazioni esterne di Ibm Italia), Enzo Boschi (presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), Gianniantonio Petruzzelli (dirigente di ricerca del Cnr).
Sono stati in questa sede presentati i risultati raggiunti dalle tecnologie di rilevazione e controllo sperimentati e brevettati in Italia, che consentono una lettura approfondita del territorio (grazie in particolare ai sistemi Lara e Daedalus) ed in prospettiva potranno garantire nel breve-medio periodo una capacità di lettura costante e assai precisa della produzione e delle movimentazioni dei rifiuti (grazie al sistema check-rif, del quale si è già fatto cenno in altra parte di questa relazione).

1.3.2. Un sistema sanzionatorio efficace e con aspetti di vera deterrenza.
Si tratta di un tema che verrà affrontato in maniera più specifica e dettagliata in altra parte di questa relazione. Qui è tuttavia necessaria anche solo un breve richiamo per evidenziare come sia lo stesso sistema delle imprese che operano correttamente nel ciclo dei rifiuti ad avere bisogno di un complesso organico di norme tale per cui sia possibile estromettere chi opera in maniera illecita. Non solo: le stesse strutture amministrative debbono trovare sistemi che potremmo definire di «autotutela». Da questo punto di vista l'organismo che si potrebbe definire di «autogoverno» è l'Albo nazionale delle imprese


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che gestiscono rifiuti, che però risente tuttora di ritardi tecnologici tali per cui le diverse sedi regionali non sono raccordate telematicamente con la sede nazionale e quindi, come ha rilevato lo stesso presidente nazionale dell'Albo, avvocato Maurizio Pernice, davanti alla Commissione, se una ditta opera contra legem in una regione e viene dunque sospesa, si rischia che questa medesima ditta cacciata dalla porta in una regione possa rientrare dalla finestra in un'altra perché non esiste tuttora un archivio unico nazionale.

1.4. Aspetti di distorsione del mercato: gli assetti societari e le situazioni di monopolio.
Il ciclo dei rifiuti, per come studiato dalla Commissione nel corso di questa legislatura, offre una situazione imprenditoriale parcellizzata, con evidenti anomalie già segnalate nella relazione sugli assetti societari delle imprese operanti nel ciclo dei rifiuti (11). Il primo elemento che questa Commissione ritiene di dover nuovamente segnalare alle Camere riguarda l'arretratezza tecnologica del ciclo dei rifiuti in Italia; l'80 per cento circa di tutti i rifiuti prodotti - siano essi urbani o speciali (pericolosi e non pericolosi) - trova tuttora destinazione solo in discarica. L'industria del recupero, pur vantando l'Italia interessanti brevetti a livello internazionale, resta ferma a livelli di nicchia, fatta eccezione per il recupero della carta, che anzi per soddisfare il proprio fabbisogno deve rivolgersi all'estero, giacché la raccolta italiana non opera a livelli sufficienti.
L'imprenditoria italiana guarda al ciclo dei rifiuti - quando vi guarda - con attenzione solo dove può realizzare impianti di termodistruzione o di termovalorizzazione, o sistemi di trattamento a questo destinati. A giudizio della Commissione sembra esistere l'errata convinzione che solo il trattamento termico dei rifiuti sia «degno» di essere considerato dall'imprenditoria. Ciò fa sì che il recupero dei vari materiali raccolti in maniera differenziata o il recupero dei rifiuti speciali non ha ancora assunto quel carattere di ciclo industriale che invece presenta in altri Paesi europei.
Non solo: come questa Commissione ha avuto modo da ultimo di evidenziare nella relazione territoriale su Toscana e Umbria (12), la normativa nazionale consente di presentare richieste per la realizzazione di impianti di termovalorizzazione indicandolo sotto due distinte vesti: o impianto per lo smaltimento di rifiuti con generazione di energia o impianto per la produzione di energia alimentato a rifiuti. Ciò che appare esattamente la stessa cosa a livello normativo non lo è affatto. Il primo, infatti, deve soggiacere oltre che alla normativa di protezione ambientale anche agli strumenti di pianificazione regionale in materia di rifiuti; il secondo non deve rispettare questo vincolo. Ecco quindi che - come la Commissione ha potuto osservare - tale soluzione è stata individuata (a Terni, ad esempio) per la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione del tutto extra piano; ciò che


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risulta ancor più singolare è che la pianificazione successiva non fa alcun cenno a questo impianto, ma prevede - senza localizzarlo - la realizzazione di un termovalorizzatore delle stesse caratteristiche di quello in realizzazione. Ma sarebbe invero singolare se si decidesse la creazione di un nuovo impianto di termovalorizzazione quando ce n'è già uno che può soddisfare il fabbisogno regionale.
Passando agli aspetti societari, la situazione che questa Commissione aveva illustrato nella citata relazione è rimasta pressoché la medesima nel periodo intercorso tra l'approvazione di quel testo ed oggi. Il giudizio - in termini proprio di assetti societari - che allora si formulava a proposito del significativo «spaccato» osservato dalla Commissione può quindi qui essere riproposto, con alcune ulteriori considerazioni. L'Ufficio di Presidenza della Commissione ha infatti avuto modo di ascoltare i rappresentanti di alcuni dei gruppi imprenditoriali citati nella relazione sugli assetti societari, non ricavando tuttavia elementi diversi rispetto a quelli già acquisiti nel documento citato, se non, per qualcuno degli intervenuti, l'esigenza positiva di mostrare un impegno per una modalità sempre più trasparente ed efficiente del settore di attività, come anche una maggiore introiezione dell'innovazione tecnologica nella gestione.
Dunque, si evidenziava in quel documento come molti dei gruppi operanti erano riconducibili ad aziende o società finanziarie svizzere, lussemburghesi o del Liechtenstein, con ricadute in termini di scarsa trasparenza sull'effettiva titolarità delle imprese. Era inoltre emerso che società con capitale di centinaia di milioni (quando non di miliardi) sono controllate da società con il minimo capitale sociale previsto dalla legge per le società a responsabilità limitata (20 milioni). Ciò si accompagna al meccanismo delle cosiddette «scatole cinesi», per cui una società è controllata da una seconda, questa da una terza e così via, senza arrivare mai ad un effettivo soggetto credibile e solvibile. Infine, in un mercato come quello del ciclo dei rifiuti in Italia, che si presenta asfittico e povero di risorse, finisce per essere norma il fatto che i maggiori gruppi imprenditoriali agiscano spesso in condizioni di «partenariato» nel controllo di realtà locali; la Commissione ha a questo proposito già osservato che le ragioni delle cointeressenze possono prevalere su quelle della concorrenza, con evidenti svantaggi per quelle società che sono al di fuori di questo panorama, e soprattutto per il settore pubblico ed i cittadini, che invece hanno tutto da guadagnare in un corretto sistema di mercato.
Ma va sottolineato come in realtà il mercato attinente al ciclo dei rifiuti solidi urbani in Italia sia distorto in partenza, ove si consideri che Roma - che da sola rappresenta il dieci per cento della produzione di rsu italiani - vive sostanzialmente in una situazione di monopolio, sia per quanto riguarda le fasi della raccolta e del trasporto che quella dello smaltimento. L'ex azienda municipalizzata - Ama, ora trasformata in spa - agisce solo a Roma, ma ciò solo le consente di essere la maggiore azienda del settore in Italia. Lo smaltimento avviene quasi integralmente nella discarica di Malagrotta (che non a caso è la più grande d'Europa). Inoltre, lo stesso gestore della discarica di Malagrotta controlla gli impianti per la selezione della raccolta differenziata ed ha naturalmente presentato un progetto per la realizzazione di un termodistruttore.

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Questa situazione di sostanziale assenza di concorrenza fa sì che la raccolta differenziata non riesca a superare il sette per cento e che il resto dei rifiuti finisca tutto nella citata discarica, a prezzi - nell'ordine delle 50 lire al chilo - che rendono di fatto non competitiva qualsiasi altra soluzione. Sarebbe quindi auspicabile un'apertura anche di Roma al mercato, sulla scia di quanto avviene in altre grandi metropoli straniere: la suddivisione cioè in lotti dell'area cittadina, da assegnare tutti mediante appalti e ciascuno con proprie soluzioni per la raccolta, il recupero e lo smaltimento.

2. Il risanamento ambientale e le bonifiche.

Negli ultimi anni la problematica del risanamento ambientale e della bonifica dei siti contaminati è divenuta una delle questioni di preminente interesse nazionale sia perché la bonifica è uno strumento di salvaguardia delle risorse ambientali e di tutela della salute, sia perché essa costituisce un fenomeno caratterizzato da specifici aspetti tecnici e proporzioni economiche rilevanti. La Commissione parlamentare ha rivolto sempre una particolare attenzione alla questione delle aree inquinate e della loro bonifica analizzando il problema generale nei molteplici aspetti che lo caratterizzano (tecnico, economico, giuridico, sanitario, politico, giudiziario) e dedicando un'attenzione specifica al tema delle bonifiche in ciascuna delle relazioni territoriali approvate. Nel dicembre del 2000 la Commissione ha inoltre organizzato a Roma il convegno «I rifiuti dalle bonifiche: che fare?», che ha visto la partecipazione di esperti del settore e di rappresentanti di enti e istituzioni interessati al problema.
Il dato che immediatamente emerge quando si affronta il problema delle bonifiche è che non se ne conoscono se non in modo approssimativo gli aspetti quantitativi. La dimensione del problema è comunque rilevante: si pensa che i quantitativi di rifiuti residuanti dalle bonifiche avranno come unità di misura i milioni di tonnellate e che l'impegno economico avrà come ordine di grandezza quello di migliaia e migliaia di miliardi.

2.1. Il quadro normativo.
Com'è noto, l'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 recita: «bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati». Altri punti dell'articolato del decreto riguardano le competenze dello stato, della regione, delle province e del comune (articoli 18-21), i piani regionali di bonifica (articolo 22), il sistema autorizzatorio degli impianti mobili di bonifica (articolo 28), l'iscrizione all'albo per le imprese che intendono effettuare bonifiche (articolo 30), il sistema sanzionatorio per i soggetti che provocano contaminazione o concreto pericolo di contaminazione. Il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, anche se in maniera non omogenea, ha costituito un passo avanti rispetto alla precedente legge n. 441/87 che imponeva alle regioni di approvare piani di bonifica delle aree contaminate sulla base anche dei censimenti previsti dal successivo decreto del Ministero dell'ambiente


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del 16 maggio 1989. Furono poche allora (soltanto 8) le regioni che ottemperarono a quanto previsto dalla legge n. 441/87, con criteri tra loro non uniformi, in assenza di una norma tecnica nazionale.
Dai censimenti di cui al decreto ministeriale sopra richiamato, le regioni avrebbero dovuto poi ricavare indicazioni per interventi di bonifica a breve e medio termine. L'articolo 17 del decreto legilsativo n. 22/97, pur se con ritardo, è stato attuato con decreto del Ministero dell'ambiente n. 471 del 25 ottobre del 1999 che detta i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, per la bonifica e per il ripristino dei siti contaminati. È da rilevare, inoltre, che il censimento regionale dei siti contaminati delle aree esterne ai siti produttivi, previsto dal decreto ministeriale del 16 maggio 1989 è stato esteso tramite il comma 1-bis dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22/97 alle «aree interne ai luoghi di produzione, raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare agli impianti a rischio di incidente rilevante di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988, n. 175 e successive modificazioni».
Le iniziative del legislatore, per come visto sopra, mostrano l'interesse a mettere ordine in una materia assai complessa per la quale è prevedibile che il nostro paese debba impegnare, nell'immediato futuro, risorse economiche ed umane notevoli. La legge 9 dicembre 1998, n. 426, ha inoltre introdotto nell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, il comma 15-bis secondo il quale «il ministro dell'ambiente, di concerto con il ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e con il ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, emana un decreto recante indicazioni ed informazioni per le imprese industriali ed artigiane che intendano accedere a incentivi e finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica previsti dalla vigente legislazione».
Tale legge come è noto ha disciplinato gli accordi di programma di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 22/97 ed il concorso pubblico nella realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati e che ha individuato, in fase di prima attuazione, come interventi di bonifica di interesse nazionale quelli compresi nelle aree industriali e nei siti ad alto rischio ambientale. Ai siti di Porto Marghera, Napoli orientale, Gela e Priolo, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Cengio e Saliceto, Piombino, Massa e Carrara, Casale Monferrato, Balangero, Pieve Vergonte, litorale Domizio-Flegreo, agro aversano, Pitelli (La Spezia), si è aggiunto di recente anche quello della ex raffinerie Esso ed Aquila di Trieste. Per la gran parte di tali siti sono stati già emanati i decreti di perimetrazione, per una superficie che il Ministero dell'ambiente nella sua relazione stima in circa 300.000 ettari.

2.2. Il censimento dei siti contaminati in Italia.
I dati dei censimenti regionali dei siti contaminati finora ottenuti a seguito dell'applicazione del decreto ministeriale 16 maggio 1989, si sono rivelati incompleti (alcune regioni non hanno ancora effettuato i censimenti, esempio Calabria, Lazio, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia), sottostimati (esempio quelli della regione Puglia, troppo teorici e non supportati da evidenze sperimentali, carotaggi, analisi chimiche, e


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quelli della regione Campania), con il risultato che appare sempre più drammatico lo scenario che si profila all'orizzonte, relativamente ai reali costi di bonifica di intere porzioni del nostro territorio. Lo scopo del censimento ai sensi del decreto ministeriale del 16 maggio 1989 era quello di individuare le aree contaminate su cui intervenire con programmi di bonifica a breve e medio termine. La mancanza, allora, di precise norme tecniche per individuare e per bonificare i siti contaminati faceva si che, tranne alcuni casi, difficilmente l'entità della contaminazione veniva ben evidenziata.
Non ha dato ancora i risultati sperati quanto previsto dal comma 1-bis del decreto legislativo n. 22/97 che estendeva il censimento, tra l'altro, ai siti operativi a rischio di incidente rilevante. Infatti pochissimi sono i casi di accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente con gli enti provvisti delle tecnologie di rilevazione più avanzate (esempio Cnr, Enea), per realizzare la mappatura nazionale dei siti oggetto dei censimenti e la loro verifica con le regioni.
A tutt'oggi, nonostante gli sforzi del legislatore, risulta tuttavia incompleto il quadro nazionale dei siti contaminati e preoccupano assai la Commissione i recenti casi di aree contaminate all'interno di siti industriali di aziende importanti a livello nazionale, mai denunciati, e per i quali la magistratura ha condotto indagini con le forze di polizia giudiziaria (esempio Enichem di Porto Marghera) o ha posto sotto sequestro (esempio Enichem di Brindisi e raffineria Esso di Augusta) ampie zone dei siti produttivi per la presenza di aree interne contaminate da rifiuti pericolosi (polveri di pvc, catalizzatori, solventi clorurati, etc) interrati.
Il recente differimento dei termini temporali per l'autodenuncia dei siti contaminati, al 31 marzo 2001, da parte dei soggetti interessati, non favorisce certamente la soluzione dei problemi connessi alle bonifiche e all'impatto negativo che i siti contaminati possono comportare non solo sull'ambiente ma anche sulla salute della popolazione esposta.
Destano anche preoccupazione i dati rilevati da questa Commissione sugli impianti di marketing e della rete vendita carburanti del settore petrolifero. La ristrutturazione della rete vendita (si ipotizzano interventi su circa 25000 punti vendita), ai sensi del decreto legislativo n. 32/98 e nel rispetto del decreto ministeriale n. 246/99 sui serbatoi interrati, fa prevedere notevoli interventi di bonifica e ripristino ambientale una volta rimossi i serbatoi che nel tempo hanno causato la contaminazione delle falde da idrocarburi, tra cui il benzene, e da MTBE, sostanza cancerogena già oggetto di indagine specifica negli USA in tempi assai recenti.

2.3. Le tecnologie di bonifica.
Nei paesi per i quali le attività di bonifica rappresentano ormai una tipica attività imprenditoriale, si sono sviluppate tecnologie di avanguardia finalizzate alla ricerca di soluzioni di elevata compatibilità ambientale. Un ruolo di avanguardia lo giocano certamente gli Stati Uniti: infatti, nell'ambito del Superfund innovative technology evaluation program sono state sviluppate numerose tecnologie per lo smaltimento


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dei rifiuti derivanti dalle operazioni di bonifica e per la bonifica stessa effettuata in tre modi: in situ ossia all'interno del sito contaminato, on site ossia nell'area contaminata, e off site ossia al di fuori e comunque all'esterno dell'area contaminata. Le tecnologie sviluppate inoltre sono applicate sia in cantieri fissi con apparecchiature fisse, sia con impianti mobili installati su trailers. Il rapporto EPA/540/R-97/502 del dicembre 1996 da la situazione aggiornata dei profili tecnologici dei sistemi di bonifica.
Il Site program relativo alle bonifiche è lungi dal considerarsi concluso: infatti, al suo interno sono contenuti programmi dimostrativi di nuove tecnologie, programmi tecnologici per le emergenze, programmi di caratterizzazione e monitoraggio dei siti contaminati o dopo bonifica, programmi inerenti al trasferimento di tecnologia. Alla data del dicembre 1996 risultavano presentati all'Epa 80 progetti dimostrativi riguardanti la termodistruzione, la bioremediation in situ, la bioremediation on pile, il soil washing, l'estrazione con solvente, la fitoremediation (processo di bonifica dei suoli attraverso l'apparato radicale delle piante, molto efficace per rimuovere i metalli pesanti), la solidificazione e la stabilizzazione, l'ossidazione catalitica, l'iniezione di vapore in situ, la termoessiccazione, la declorinizzazione, la stabilizzazione in situ, la vetrificazione in situ, il riscaldamento a radiofrequenze, la thermal desorption, il trattamento biologico con funghi, il pump and treat, il bioventing in situ, lo steam stripping, la vetrificazione ad arco, l'estrazione in situ e on site sotto vuoto, la gassificazione, l'ossidazione con raggi ultravioletti.
In Canada sono state sviluppate tecnologie analoghe a quelle sperimentate negli Stati Uniti d'America. È stato attivato un buon mercato di operatori del settore. Le tecnologie sviluppate riguardano la bioremediation dei suoli contaminati da idrocarburi, e da pentacloro fenoli, il lavaggio dei suoli con unità mobili, impianti pilota per la demercurizzazione dei suoli inquinati, la decontaminazione dei terreni contaminati da pcb, il trattamento di bioremediation con biopile, la bioremediation dei terreni contaminati da benzina a seguito della foratura dei serbatoi interrati, l'inertizzazione dei metalli pesanti presenti nei terreni e nei fanghi, il landfarming (bioremediation) di terreni contaminati da idrocarburi policiclici aromatici. È stato anche sviluppato e brevettato un progetto di termodistruzione denominato Eco-logic capace di trattare rifiuti pericolosi con un costo di investimento di circa 1 miliardo di lire a tonnellata.
In Australia, nel piano regionale rifiuti del 1998 Inner Sydney Waste Board: Regional Waste Plan 1998 viene data grande enfasi ai programmi di minimizzazione dei rifiuti ed al riciclo per quanto possibile, con una serie di raccomandazioni per la gestione delle bonifiche dei suoli contaminati. Le tecnologie che sono più ricorrenti sono quelle di bioremediation. È stato sperimentato un impianto di termodistruzione, il Plascon, capace di trattare 250 tonnellate di rifiuti al giorno con un costo di investimento di 2.5 miliardi.

2.4. Il risanamento dei siti contaminati.
Il problema del risanamento dei siti contaminati è particolarmente complesso a causa dei molteplici e specifici fattori che intervengono nel


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processo di inquinamento e che vanno analizzati sito per sito. Essi dipendono essenzialmente dalla varietà dei contaminanti, dalla presenza contemporanea di inquinanti con differenti caratteristiche, dalle modalità di contaminazione e così via; inoltre il processo è dinamico in quanto gli inquinanti interagiscono con il suolo modificandone nel tempo le caratteristiche (biodegradabilità, biodisponibilità, mobilità eccetera) e fortemente dipendente dal sito che può presentare differenti caratteristiche del terreno (tessitura, porosità, ph, contenuto di argilla, presenze di sostanze organiche, conducibiltà idraulica ecc.) o differenti aspetti idrogeologici (presenza di corsi d'acqua, profondità della falda, permeabilità del terreno ecc.).
L'analisi della situazione del sito è quindi fondamentale per la scelta degli interventi da attuare; la scelta della metodologia determina in particolare la quantità e la tipologia dei rifiuti che saranno prodotti dal processo di risanamento. È evidente che la complessità del problema induce costi rilevanti, tanto più elevati se al concetto di risanamento si sostituisce quello più restrittivo di ripristino legato ai limiti di concentrazione accettabile previsti nell'allegato 1 del decreto ministeriale 471/99 ed è impensabile che tali costi siano sostenuti in modo generalizzato dallo Stato.
Negli Stati Uniti d'America, il Comprehensive environmental response, compensation and liability act (Cercla) o Superfund, entrato in vigore nel 1980, conferisce all'Epa l'autorità di perseguire i responsabili della contaminazione di un sito, costringendoli a provvedere al suo risanamento. Qualora i responsabili non siano reperibili, o in caso d'urgenza, l'Epa provvede, in proprio, al risanamento con i fondi fiduciari, ferma restando la sua facoltà di rivalsa verso i responsabili per il recupero delle spese sostenute. Il problema dei rifiuti e del risanamento dei siti contaminati è molto sentito negli Stati Uniti d'America, come evidenziato dai notevoli stanziamenti (circa 2 miliardi di dollari nel 1999) destinati dal governo a questo problema. Si è accertato infatti che conseguenza del non corretto smaltimento dei rifiuti è la contaminazione delle falde acquifere, che rappresentano la sorgente di acqua potabile per la metà del popolo americano. Una volta identificato il sito contaminato, viene effettuata una valutazione preliminare, l'hazard ranking system (hrs), per determinare se lo stesso meriti l'inclusione nella national priority list (npl), ovvero la lista dei siti peggiori, che comprende oltre 1400 siti, il cui risanamento è previsto (almeno nella maggior parte dei casi) per il 2001. Le perdite dai serbatoi interrati rappresentano una delle principali sorgenti di contaminazione delle falde acquifere (circa il 20 per cento delle falde acquifere degli Stati Uniti risulta contaminato da MTBE (metilterziariobutiletere), un composto ossigenato che si aggiunge alle benzine riformulate per ridurre le emissioni di un certo numero di inquinanti dell'aria presenti nei gas di scarico delle automobili).
Al fine di garantire un'adeguata protezione contro questi eventi e la predisposizione di adeguate misure di emergenza, è prevista una stretta collaborazione tra l'Epa, i governi dei singoli Stati e le amministrazioni locali. L'Hazard Ranking System (HRS) è il principale meccanismo di cui l'Epa dispone per inserire i siti di rifiuti incontrollati nella lista di priorità nazionale. È un sistema di vaglio che utilizza le informazioni ottenute dalle indagini preliminari e dall'ispezione

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in loco per valutare il potenziale del rischio del sito per la salute umana e l'ambiente. Un esame comparativo delle tecnologie di biorisanamento in situ è stato presentato di recente dal Department of Defense - National Environmental Technology Test Site, con riferimento all'attenuazione naturale, all'iniezione d'ossigeno ed aria ed all'iniezione microbica, per la bonifica della falde contaminate da idrocarburi aromatici e da Mtbe.
Un'altra tecnologia USA assai promettente appare quella denominata in situ air sparging (IAS), che consiste nell'insufflare nel sottosuolo dell'aria mediante diffusori orizzontali. Tale sistema, rispetto al ex situ stripping, presenta il vantaggio di evitare i costi associati all'estrazione ed alla restituzione dell'acqua di falda. Un processo col quale è possibile ottenere l'eliminazione rapida di Mtbe e di composti aromatici è quello dell'ossidazione con microbolle di ozono. L'Europa ha per prima assorbito l'esperienza USA, metabolizzandola ed attivando, a sua volta, propri sistemi di intervento. Ne è derivato di conseguenza un interessante sviluppo di specifiche tecnologie (soil washing, bioremediation, inertizzazione, air sparging, air stripping, eccetera).
Il travaso di tecnologia dagli USA all'Europa, è stato accompagnato nel contempo da expertise professionale, anch'essa recepita ed integrata dai Paesi comunitari. Il risultato è che oggi in Europa esistono tecnologie e professionalità consolidate, in Francia, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Germania.

2.5. Lo scenario dei siti contaminati nella Comunità europea.
In considerazione della complessità della materia, la Comunità Europea non ha ancora emanato una specifica direttiva sui siti contaminati ma ha tuttavia finanziato studi sperimentali, progetti, interventi, premessa indispensabile per creare una cultura specifica di settore. Pur tuttavia, sono numerosi i Paesi comunitari che, singolarmente, anche dietro pressione dell'opinione pubblica e delle associazioni ambientaliste, si stanno cimentando, già da qualche tempo e con successo (i casi dell'Olanda, della Danimarca, della Germania lo dimostrano) nel settore degli interventi di bonifica dei siti contaminati, sviluppando, implementando, applicando e adattando alle proprie necessità tecnologie USA, non senza aver elaborato prioritariamente regole applicative ed amministrative.
Secondo stime accreditate, la quantità totale di terreni contaminati nei Paesi europei si aggirerebbe intorno a 150.000 siti, mentre quella relativa ai rifiuti della contaminazione si attesterebbe intorno ad un miliardo di metri cubi.

2.5.1. I rifiuti delle bonifiche ed il loro smaltimento: il caso della miniera di Teutschenthal in Germania.
Uno dei problemi più rilevanti negli interventi di risanamento delle aree inquinate è quello legato ai rifiuti provenienti dalle operazioni di bonifica. Come osservato dal professor Gianniantonio Petruzzelli,


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dirigente di ricerca del Cnr di Pisa, nel corso del già citato convegno «I rifiuti delle bonifiche: che fare?», «gli interventi di bonifica comportano la produzione di notevoli quantità di rifiuti, alcuni dei quali sicuramente pericolosi. Per tutte le tipologie di rifiuti che provengono dalle attività di bonifica, una parte di fondamentale importanza è quella della caratterizzazione analitica, perché le risultanze specifiche che ne derivano servono a individuare la loro pericolosità e quindi la loro destinazione finale».
La produzione di rifiuti da interventi di bonifica dipende fortemente dalla tecnologia scelta ma è anche condizionata dal quadro normativo di riferimento, non sempre chiaro in tutte le sue implicazioni. Il decreto ministeriale 471/99 indica come prioritarie la tecnica di trattamento in situ o on site con le quali si ha una ridotta movimentazione del terreno, al fine di ridurre i rischi connessi al trasporto del materiale inquinato.
Quando le tecnologie in situ o on site non sono applicabili, è necessario adottare una tecnologia extra situ e quindi trasportare il materiale inquinato ad impianti specializzati che utilizzano procedimenti chimici o termici per la distruzione degli inquinanti.
Particolarmente significativo, in merito al trattamento dei rifiuti provenienti dalle bonifiche, è il caso della miniera di Teutschenthal, che il Sidor - sindacato intercomunale gestore dell'impianto inceneritore di Laudelange - ha utilizzato per la messa a dimora dei rifiuti provenienti dal trattamento dei residui di filtrazione dei fumi provenienti dall'impianto di termocombustione per rsu e assimilabili di Leudelange in Lussemburgo. A tale proposito, è interessante riportare l'osservazione dell'ingegner Kurt Schmitz che, nel corso del già citato convegno organizzato dalla Commissione nel dicembre 2000, ha affermato che esistono rifiuti pericolosi che hanno bisogno di un sito sicuro per essere smaltiti ma che esistono anche siti che hanno bisogno dei rifiuti come nel caso della miniera di Teutschenthal.
Questa miniera di potassa, dismessa, presentava una situazione di rischio perché al suo interno si erano verificati dei crolli dovuti alla presenza delle cavità generate dall'attività di estrazione. Dopo un attento studio di fattibilità, iniziato nel 1996, le cavità della miniera sono state riempite con rifiuti inerti, anche pericolosi, provenienti dall'impianto del Sidor; tali rifiuti si stabilizzano nelle cavità ed eliminano il pericolo di crolli. Nella miniera è stato possibile inserire anche rifiuti pericolosi perché essa presenta una formazione geologica favorevole in quanto, gli strati superiori della miniera sono rappresentati da massicci strati di salgemma e argilla che possono ospitare i rifiuti pericolosi in condizioni di sicurezza; una volta chiusa la miniera, con operazioni di messa in sicurezza, i rifiuti vengono confinati per tempi lunghissimi, e non per 50-100 anni come accade per le discariche e non possono più entrare in contatto con la biosfera.
Questa miniera è stata approvata ufficialmente come impianto di recupero ed ha ottenuto l'approvazione anche delle organizzazioni ambientaliste tedesche. Attualmente ha ancora la possibilità di accogliere oltre 4 milioni di tonnellate di rifiuti. Vengono risolti così due problemi: mettere in sicurezza un sito geologico a rischio e mettere a dimora rifiuti pericolosi con un processo di recupero e non di solo smaltimento. Il trasporto dei materiali è stato inoltre fatto in condizioni

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di sicurezza con carri ferroviari dedicati. La Commissione parlamentare, nel settembre 2000 si è recata in visita alla miniera di Teutschenthal che si è candidata ad ospitare i fanghi essiccati dell'Acna di Cengio. È un significativo esempio di come un problema ambientale possa trasformarsi in una vera e propria risorsa sotto molteplici aspetti.

2.6. Gli interventi di bonifica nazionali.
Il Ministero dell'ambiente, nel dicembre 2000, ha siglato l'integrazione dell'accordo di programma sulla chimica di Porto Marghera e l'accordo di programma relativo alla bonifica dello stabilimento Acna di Cengio. Per entrambi gli interventi (il primo operativo, il secondo in attesa di approvazione da parte dello stesso Ministero) si farà ricorso al ricordato sito ex minerario di Teutschenthal ed i rifiuti verranno trasportati per modalità ferroviaria, il che consentirà di ridurre l'impatto ambientale della stessa fase di trasporto, oltre ad accrescere le garanzie di sicurezza, indispensabili nella gestione di milioni di tonnellate di terre e materiali altamente contaminati.
Nell'ambito delle conferenze dei servizi (cui spetta l'approvazione del progetto definitivo di bonifica,con decreto del ministro dell'ambiente di concerto con i ministri dell'industria e della sanità, d'intesa con la regione territorialmente competente), il Ministero ha approvato i piani di caratterizzazione dell'area compresa nel parco di S. Giuliano (lotti A1 e A2) per il sito di Venezia-Porto Marghera, di tutte le aree comprese nello stabilimento petrolchimico di Gela, di parte delle aree comprese nel sito di Priolo, dell'area dello stabilimento Agricoltura spa e dell'area di proprietà dell'Enel comprese nel sito di Manfredonia, dell'area dello stabilimento Acna, delle aree di competenza pubblica comprese nel sito di Cengio e Saliceto, i progetti di bonifica e ripristino ambientale delle aree «Enichem - td 12» e «Corti Femminili» nel sito nazionale di Venezia, alcuni progetti e piani per la messa in sicurezza del sito nazionale di Manfredonia e per il sito nazionale di Cengio e Saliceto.
Nonostante l'attenzione mostrata dal Ministero, nel nostro Paese il settore degli interventi di bonifica risulta ancora in forte ritardo, in considerazione anche dei forti costi economici associati. Non tutti i piani regionali di gestione dei rifiuti comprendono la programmazione degli interventi di bonifica, come invece previsto dall'articolo 22, punto 5, del decreto legislativo n. 22/97. A fronte di una disomogeneità dei piani regionali di gestione dei rifiuti, vi è tuttavia da prendere in considerazione anche il fatto che l'imprenditoria nazionale non è stata ancora in grado di sviluppare un'azione tendente a ricercare tecnologie d'intervento autoctone, come è dimostrato dal fatto che i pochi operatori presenti sul mercato spesso si avvalgono di expertise nord europea o d'oltre oceano.
Vi è però da rilevare che, nel nostro Paese, cominciano a profilarsi all'orizzonte iniziative di privati e di enti di ricerca in grado di mettere a disposizione impianti e innovazioni tecnologiche la cui ricaduta applicativa comunque è prevista non prima dei prossimi due o tre anni. In alcuni casi si è assistito ad interventi di «pseudo bonifica»


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consistenti in un semplice trasferimento di rifiuti da discariche abusive a discariche controllate autorizzate, senza tentare interventi in situ che hanno indubbi vantaggi sia in termini di costi sia di minor impatto ambientale. Negli ultimi tempi, la Commissione ha verificato altresì il verificarsi del fenomeno per cui, chi è chiamato ad intervenire, privilegia sempre più la filosofia dell'intervento di messa in sicurezza permanente di un sito contaminato (previsto dalla norma tecnica solo quando l'applicazione della best available technology non è sufficiente o ha costi altissimi), piuttosto che un intervento più radicale e definitivo di bonifica e ripristino ambientale.
A questo punto occorre però rilevare che una norma rigida basata solo sulla fissazione di limiti di concentrazione dei contaminanti nei suoli, avulsi da una valutazione di rischio ha senz'altro sfavorito il ricorso alle operazioni di bonifica come peraltro ha mostrato l'esperienza dei limiti tabellari che in alcuni Paesi si sono rivelati inefficaci in assenza di riferimenti scientifici certi ed affidabili per definire gli obiettivi di qualità sia per la componente inorganica del siti e a maggior ragione per quella organica. Il criterio di accettabilità di un sito non può non considerare prioritariamente la riduzione del rischio per la salute umana fino a livelli accettabili. Non è detto, infatti, che per due suoli, differenti per caratteristiche geologiche e idrogeologiche, una concentrazione residua di un determinato inquinante, fissata per legge, sia cautelativa per entrambi i siti e che non sia necessario in qualche caso intervenire con operazioni di clean-up al di sotto del limite di soglia fissato dal legislatore. Ciò significa che, dato l'alto impatto delle bonifiche sulle risorse economiche del Paese, si deve privilegiare, nel pieno rispetto del rapporto costi/benefici per la comunità, un criterio misto che assegni ai suoli limiti di accettabilità generici e limiti di clean-up realistici da raggiungere sulla base delle valutazioni di rischio, caso per caso, quasi una sorta di negoziazione fondata su progetti di bonifica in cui sia ampiamente riportato e dimostrato il criterio di valutazione scelto per quel sito specifico, supportato ovviamente e obbligatoriamente da dati sperimentali incontrovertibili.
È questa la strada, riteniamo, da percorrere come sembra peraltro auspicabile con il ricorso agli «accordi di programma di risanamento» ambientale ad ampio respiro. Con tale ottica, le autorità locali non dovranno sentirsi in un certo senso costrette a traguardare in maniera rigida e asettica la concentrazione di un determinato inquinante, avulsa dal contesto di risanamento ambientale globale. In tale contesto deve essere invece vista la valutazione del rischio come prioritaria ad ogni intervento. È questa, forse, la chiave di lettura per spiegare i pochi esempi di iniziative autonome orientate soprattutto al settore della messa in sicurezza (vedi il caso dell'Acna di Cengio), alla bioremediation (siti Montedison), ed a un impianto sperimentale di estrazione dei suoli contaminati con solvente, in corso di costruzione a Roma e frutto della esperienza della società Ecotec e di Enitecnologie.
Tale situazione, per certi versi paradossale, per come sopra detto, ha ingenerato finora, una forte dipendenza dalle tecnologie di importazione e dagli operatori esperti stranieri. Né sono sufficienti le iniziative che negli ultimi due anni si sono timidamente affacciate all'orizzonte da parte di alcune aziende private, dell'Enea, dell'università

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di Pisa presso l'istituto del professor Petruzzelli, dell'università di Roma presso l'istituto di chimica organica del professor Ortaggi, del Cnr di Bari che sta perfezionando studi sulla fitoremediation. È giunto il momento che le iniziative, sia nel settore privato che in quello della ricerca pubblica, data la posta in palio (i numerosissimi interventi di risanamento), siano supportate da un forte e coraggioso investimento di risorse da parte dello Stato, o da finanziamenti pubblico-privati, sulla falsariga del modello americano che mette alla prova, aiutandoli, i soggetti che vogliono sperimentare nuove tecnologie sia nel settore delle smaltimento che delle bonifiche, se non altro per accelerare i tempi di crescita dell'azienda Italia e rendere il nostro sistema, competitivo ed autosufficiente.
Sono ancora lunghi i tempi di recupero richiesti per realizzare il sistema integrato dei rifiuti che soffre ancora di problemi strutturali, di ritardi dovuti alla emanazione della normativa secondaria e alla difficoltà di adeguamento di quella regionale a quella nazionale. Sarà altrettanto necessario, per recuperare il gap che ci separa dall'Europa e dagli USA, promuovere, con maggiore efficacia di quanto finora fatto, la formazione professionale specifica sulla materia dedicata a coloro che negli uffici tecnici comunali saranno chiamati ad esprimere valutazioni e quindi approvare progetti di bonifica, messa in sicurezza, ripristino ambientale presentati da terzi. Tale formazione dovrebbe essere centrata su conoscenze di base di idrogeologia e geologia del territorio, chimismo dei contaminanti nel suolo e nelle falde, valutazione dei rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente, migliori tecnologie disponibili a costi praticabili. Non si potrà nemmeno prescindere dal promuovere l'adozione, negli atenei nazionali, di corsi di laurea specifici e mirati alla problematica delle bonifiche e della messa in sicurezza e dall'incentivare il ricorso alla certificazione ambientale e alla dichiarazione di bonifica ultimata per tutti quei siti destinati ad usi alternativi, specie nelle aree delle periferie urbane.
In quest'ottica il problema del risanamento ambientale e delle bonifiche potrebbe essere trasformato in un'opportunità per il paese sotto molti punti di vista: ambientale, con il recupero di ampie aree del nostro territorio; sanitario, con l'eliminazione dei rischi per la popolazione; occupazionale, con la nascita di soggetti imprenditoriali con competenza specifica nel settore e la creazione o la salvaguardia di posti di lavoro; scientifico e tecnologico, con la spinta a introdurre tecnologie economicamente competitive e a basso impatto ambientale e la creazione di figure professionali, caratterizzate da particolare competenza scientifica. Solo un radicale cambio culturale nella direzione dello sviluppo sostenibile e di una maggiore coscienza ecologica della popolazione potrà contrastare una sempre più crescente sindrome nimby (not in my backyard) che, alimentando oltre misura la sensibilità della popolazione, esaspera i toni di un ambientalismo catastrofista - fortunatamente marginale in Italia - che non incoraggia e non aiuta l'imprenditoria ma favorisce solo il malaffare sempre pronto a rendere i propri servigi a bassi costi, negando ogni competetitività del sistema dell'imprenditoria. Un ruolo importante di supporto all'attuazione dei principi dello sviluppo sostenibile dovrà giocarlo la scuola con programmi di educazione e sensibilizzazione ecologica.

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3. Il contrasto alle ecomafie.

3.1. I delitti contro l'ambiente.
3.1.1. Alcune considerazioni sulla normativa vigente
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Al termine dei suoi lavori, la Commissione deve ribadire come la normativa in materia ambientale varata nel corso degli ultimi anni abbia determinato un quadro interpretativo ed applicativo non omogeneo e spesso mal coordinato, oltre che inadeguato a fronteggiare le dimensioni e la complessità del fenomeno.
Il «decreto Ronchi» - che pure ha rappresentato un'importante tappa evolutiva e di adeguamento alle direttive comunitarie, rispetto al quadro delineato dalla vecchia normativa sui rifiuti - presenta spesso l'enunciazione di una regola cui seguono numerose eccezioni, subeccezioni ed eccezioni alle eccezioni, a volte disperse in più articoli (il tutto nell'ambito di un testo che si compone di 58 articoli, quasi tutti divisi in numerosi commi, e sei allegati). Da ciò discendono inevitabilmente difficoltà di comprensione e, quindi, di concreta applicazione delle regole da parte degli operatori del settore, senza contare poi i «vuoti» normativi determinati dalla mancata emanazione dei previsti strumenti attuativi.
Inoltre, il decreto ha eliminato alcune previsioni fondamentali per il controllo sui movimenti dei rifiuti «dalla culla alla tomba», necessario per contrastare i fenomeni di illegalità diffusa e - come vedremo meglio avanti - la cosiddetta ecomafia. Basta ricordare, a titolo esemplificativo, che il trasportatore professionale di rifiuti ha l'obbligo di inserire nel registro le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti e non anche quelle sulla loro origine e destinazione, laddove invece, recependo le direttive comunitarie, l'articolo 20 del decreto impone alle province che i controlli sulla raccolta ed il trasporto dei rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l'origine e la destinazione dei rifiuti. Tale insufficienza del formulario di identificazione favorisce i traffici illeciti di rifiuti e rende, invece, necessaria l'introduzione di un sistema di identificazione del singolo rifiuto che ne segua l'intera vita dal luogo di produzione a quello di destinazione finale (sia esso di recupero e/o di smaltimento).
Altro aspetto negativo generale attiene ad una «semplificazione» che rischia di risolversi, in taluni casi, in una libertà di inquinamento. Le vicende riguardanti la raccolta differenziata e le attività di recupero hanno messo in evidenza il pericolo insito nel regime della sola comunicazione di inizio attività da parte di coloro che svolgono tali attività, cui dovrebbe seguire un sopralluogo da parte dell'organo provinciale entro novanta giorni dalla comunicazione.
Del ruolo decisivo dei centri di stoccaggio provvisorio nei casi di traffici illeciti la Commissione si è ampiamente occupata, rilevando come - anche in questo caso - la previsione del regime della mera comunicazione alla regione e il successivo controllo della provincia, consentano l'utilizzo del centro di stoccaggio, regolarmente denunciato, come centro di smistamento del materiale da smaltire illecitamente o addirittura come sito finale dello smaltimento. Va inoltre sottolineato che la mancata imposizione della prestazione di garanzia fideiussoria


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per le imprese sottoposte al regime della sola comunicazione favorisce la creazione di numerose società nullatenenti.
È evidente allora che occorre una diversa attivazione da parte degli enti locali, abolendo il meccanismo della semplice comunicazione e prevedendo un controllo della regione o dell'Arpa, prima di rilasciare il nullaosta, e successivi controlli periodici da parte delle province per verificare il corretto esercizio dell'attività dichiarata.
Limitando l'attenzione alle norme penali, va poi osservato che solo alcune di esse sono dichiaratamente finalizzate a regolare la materia ambientale, come quelle sulla repressione dell'inquinamento, mentre altre possono esservi ricondotte solo accogliendo una nozione allargata di «ambiente»: si pensi alla legislazione in materia urbanistica o alle contravvenzioni in materia sia di danneggiamento del patrimonio archeologico, storico e artistico (articolo 733 c.p.), sia di distruzione e deturpamento di bellezze naturali (articolo 734 c.p.); ovvero, ad altre fattispecie penali che potrebbero considerarsi anch'esse poste a tutela dell'ambiente, seppure con un ambito operativo residuale ed eventuale. A titolo esemplificativo, basta ricordare i reati di incendio (articoli 423-424 c.p.), inondazione, frana o valanga (articoli 426-427 c.p.), avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (articoli 439-440-452 c.p.) ed altre.
Tale impostazione seguita dal legislatore non rileva soltanto sotto il profilo sistematico, poiché essa ed i rapporti intercorrenti tra i vari settori normativi segnalati sono sintomatici di una determinata volontà legislativa e refluiscono immediatamente sullo stesso significato da attribuire al concetto di «ambiente» e sulle possibilità espansive del concetto stesso, tutte le volte che esso compare in una fattispecie incriminatrice. Se a ciò si aggiunge il carattere disorganico della normativa extra codicem, specie nei settori caratterizzati dalla continua stratificazione di testi legislativi tra loro disomogenei, si comprendono le difficoltà che tuttora si oppongono alla costruzione di un bene giuridico di categoria.
In realtà, la legislazione penale in materia ambientale è spesso solo rafforzativa di discipline di natura amministrativa. Si utilizza la sanzione penale a tutela prevalente del momento autorizzativo o del provvedimento amministrativo, affidando, in sostanza, la tutela dell'ambiente al rapporto di collaborazione tra privato e pubblica amministrazione - diversamente modulato a seconda dei casi - ed al controllo da quest'ultima effettuato sulle attività (di emissione, di scarico, di smaltimento). In tal modo, ciò che si sanziona penalmente è - in prevalenza - la rottura di questo rapporto di collaborazione che, peraltro, spesso non viene assolutamente assicurato. Lo stesso controllo amministrativo è insufficiente, quando addirittura non esistente che sulla carta per mancanza di strutture ovvero perché, quando ci sono, di frequente non funzionano o tardano ad attivarsi.
È chiaro che secondo lo schema descritto, il modello di illecito tipico utilizzato è quello in cui la norma penale è servente al provvedimento amministrativo e l'essenza della condotta consiste nella «inottemperanza». Ciò spiega perché il legislatore italiano abbia utilizzato in materia ambientale essenzialmente il modulo contravvenzionale, la cui origine è - come è noto - quella di illecito amministrativo.

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Il vero problema di tale modello rimane, però, legato alla sua ridotta efficacia, sia generale che special-preventiva. In particolare, nel caso dei reati ambientali, il ricorso generalizzato allo strumento contravvenzionale fa emergere il suo ridotto carico sanzionatorio, soprattutto se rapportato al rango primario dell'interesse tutelato - ulteriormente ridotto anche dalla possibilità del ricorso all'oblazione - ed al conseguenziale, esiguo termine prescrizionale non compatibile con la durata del processo, che certo non incentiva le autorità inquirenti nella repressione degli illeciti.
Inoltre, la natura contravvenzionale delle condotte punite non consente a magistratura e forze dell'ordine di adoperare tutto lo strumentario investigativo e repressivo penale, che consegue, invece, alla ricorrenza di fattispecie delittuose (misure cautelari coercitive e interdittive, intercettazioni telefoniche o ambientali, eccetera).
La ridotta efficacia delle fattispecie contravvenzionali è aggravata - come si è detto - dalla dispersione delle norme a tutela dell'ambiente in una miriade di leggi, che ne rende più difficile l'esatta conoscenza e, dunque, l'osservanza, solo «mitigata» dal fatto che, trattandosi appunto di illeciti contravvenzionali, come suol dirsi «basta la colpa» per l'affermazione del giudizio di responsabilità. Questo discorso si rende ancora più evidente nel «decreto Ronchi», che ha riordinato ex novo la materia attinente ai rifiuti, in attuazione delle direttive comunitarie (la 91/156/Cee sui rifiuti, la 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e la 94/62/Ce sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi).
Limitandoci ai profili attinenti alla natura degli illeciti ed alle relative sanzioni, va detto che il decreto in oggetto non si discosta, in linea generale, dai due modelli d'illecito tipiche della materia ambientale, e cioè l'illecito amministrativo e la contravvenzione, con l'unica eccezione del trasporto illecito dei rifiuti, in quanto l'articolo 52 rende applicabile il reato di cui all'articolo 483 cp. Una tale evoluzione non ha tuttavia coinvolto anche il traffico illecito dei rifiuti, fattispecie ontologicamente più grave della precedente, sia perché comporta sicuramente una sistematicità operativa ed un'organizzazione stabile, sia perché può, conseguentemente, ricomprendere attività più di frequente gestite dalla cosiddetta ecomafia.
La realtà emergente dalle indagini svolte dalla Commissione, in particolare nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa, rende evidente come, a fronte di attività illecite nel contesto delle quali si è inserita la criminalità organizzata, l'effetto della normativa ambientale vigente è praticamente nullo, giacché le modeste sanzioni previste sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari che determinano. Paradossalmente, in alcune situazioni l'azione di contrasto è resa possibile non perché l'oggetto dell'indagine è il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, ma le operazioni finanziarie che stanno a monte e che configurano fattispecie di delitti (si pensi al reato fiscale, al falso in bilancio); fuori dai casi, poi, in cui da subito emergono elementi che facciano ipotizzare i reati di falso, truffa, o di casi - di difficile configurazione e dimostrazione probatoria - di un disastro ambientale o dell'avvelenamento di acque, la Commissione ha dovuto registrare lo sforzo degli operatori di giustizia di ricercare ipotesi di reato «collaterali», che consentano di colpire la gestione illecita dei rifiuti. Ciò vale ancor più quando ricorrono gli

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estremi dell'associazione per delinquere, che - per la sua natura di delitto - non può essere contestata rispetto a sanzioni amministrative o reati contravvenzionali, nonostante che la complessità del fenomeno criminale descritto richieda di essere posto prevalentemente in relazione all'esistenza di strutture criminali create allo scopo.
Lo sforzo effettuato nell'utilizzazione normativa non può surrogare l'esigenza di una norma precisa per ciò che attiene alle prassi applicative ed investigative. La semplificazione normativa e l'individuazione di meccanismi sanzionatori semplici, chiari ed efficaci, farebbero accrescere, invece, sia i livelli di deterrenza nei confronti dei soggetti destinatari delle norme che i livelli di efficacia dell'azione degli uffici requirenti e di polizia.

3.1.2. Il delitto ambientale. Proposte normative.
La Commissione è ben consapevole che la sola via della repressione penale non è la panacea per gli illeciti nel ciclo dei rifiuti, essendo prioritario e comunque indispensabile un adeguamento e rafforzamento del sistema dei controlli amministrativi ed altre forme di intervento preventive.
Sotto questo profilo, deve rilevarsi che il sistema complessivo di funzionamento del sistema è senz'altro migliorato nel corso degli anni, ma rimane ancora insufficiente ed inadeguato, specie a fronte delle nuove emergenze della criminalità organizzata. Di certo un corretto funzionamento dell'intero ciclo dei rifiuti rappresenta la migliore garanzie contro l'incidenza degli illeciti, ma si è ancora lontani nel nostro Paese dalla realizzazione di certi standard di condotta degli operatori e di qualità dei servizi e delle attività di controllo amministrative, sicché l'introduzione nel codice penale di alcune tipologie di illecito ambientale rappresenterebbe un chiaro segnale di volontà politica. Infatti, tale inserimento, oltre che rispondere ad una esigenza di chiarezza metodologica - superando le diverse norme attualmente sparse in più testi - avrebbe un chiaro valore simbolico di riconoscimento del valore fondamentale del bene ambiente e della sua tutela nella società attuale.
In tal senso si sono levate le voci unanimi dei magistrati maggiormente impegnati nel settore, anche in occasione del recente Forum organizzato dalla Commissione su «Illeciti ambientali ed ecomafie. Riflessione sulle problematiche connesse ai delitti contro l'ambiente» 
(13), cui hanno preso parte il Presidente della Commissione, Massimo Scalia, il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, il procuratore distrettuale antimafia di Palermo Pietro Grasso, il sostituto procuratore antimafia di Napoli Giovanni Russo, il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere Donato Ceglie, il sostituto procuratore antimafia di Reggio Calabria Alberto Cisterna, il sostituto procuratore di Venezia Felice Casson, il sostituto procuratore distrettuale di Genova Silvio Franz, il procuratore aggiunto di Torino Mario Laudi.


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Per queste ragioni, già la Commissione monocamerale istituita nella XII legislatura, raccogliendo le indicazioni della conferenza ONU del Cairo del settembre 1995, aveva posto nel dovuto rilievo la necessità di un più adeguato impianto sanzionatorio, non già a titolo di mero inasprimento delle pene, ma per consentire all'autorità giudiziaria e alle forze di contrasto di dotarsi di strumenti adeguati nella repressione di tali fenomeni e, al contempo, rafforzare l'efficacia deterrente del sistema complessivo delle norme poste a presidio dell'ambiente. Del resto, in questa direzione, l'utilizzazione del modello delittuoso costituisce una costante nei principali codici penali europei, accanto ad ipotesi criminose minori (codici penali tedesco, portoghese, francese, spagnolo).
Anche in Italia, verso la prospettiva del delitto in materia ambientale (pur con notevoli inconvenienti nella formulazione delle norme) si sono succedute diverse proposte di legge sin dal 1992. Lo schema di disegno di legge-delega per la riforma del codice penale, elaborato dalla «commissione Pagliaro» e pubblicato per la prima volta nel 1992; il «progetto di una legge generale sull'ambiente», elaborato da una commissione nominata dall'allora ministro dell'ambiente, Valdo Spini, e pubblicato nel 1994; le proposte provenienti dalle associazioni, tra cui merita di essere ricordata quella di Legambiente, che prevede l'inserimento nel codice penale dei delitti contro l'ambiente, sulla falsariga della risoluzione conclusiva del citato congresso mondiale dell'ONU sulla criminalità e la giustizia, svoltosi al Cairo nel maggio 1995; il progetto di una legge generale sull'ambiente (n. 1878, presentato il 15 luglio 1996); la bozza di disegno di legge finalizzato all'introduzione, nel codice penale, dei delitti contro l'ambiente, elaborata nel 1997 dalla «sottocommissione diritto sostanziale» della commissione ecomafia, nominata dal ministro dell'ambiente Ronchi.
In conclusione, dall'esame non solo comparatistico, ma anche dei numerosi progetti elaborati in Italia, può evincersi una presa d'atto, ormai da tempo, dell'insufficienza del modello sinora utilizzato per tutelare l'ambiente, cioè quello di carattere contravvenzionale e di «inottemperanza», soprattutto a causa della sua ridotta efficacia lato sensu di carattere sanzionatorio.
Uno dei primissimi impegni della Commissione in questa legislatura è stato perciò la redazione del documento XXIII n. 5 approvato nella seduta del 26 marzo 1998, «Introduzione nel codice penale del titolo VI-bis, «Delitti contro l'ambiente», e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell'ecomafia», con il quale si formulava una proposta d'inserimento nel codice penale di un concetto unitario del bene ambiente e di alcune figure delittuose dalla cornice edittale non indifferente, aggressive o pericolose per il bene stesso.
Viene previsto, infatti, l'inserimento nel titolo VI del libro II del codice penale di un capo relativo ai delitti ambientali, con ciò riconoscendo alle aggressioni al bene ambiente lo stesso disvalore giuridico che connota le condotte lesive dell'incolumità pubblica e della salute pubblica.
Di rilievo sono la previsione del delitto di traffico illecito di sostanze dannose per l'ambiente e la salute, nonché la previsione di due aggravanti speciali per i delitti di associazione per delinquere

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semplice e di stampo mafioso, ogni volta che i delitti-scopo siano, rispettivamente, delitti contro l'ambiente ovvero quando le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo siano finanziate con i proventi di attività illecite contro l'ambiente.
Fra le previsioni di carattere procedurale, in particolare merita segnalare che la proposta prevede espressamente la confisca obbligatoria anche in caso di patteggiamento per illeciti ai danni dell'ambiente. L'introduzione di tale principio sortirebbe effetti assolutamente salutari in senso preventivo, generale e speciale, poiché consentirebbe di colpire in modo incisivo e definitivo il patrimonio economico ed operativo dei responsabili delle condotte illegali.
L'impostazione che la Commissione auspica sia assunta a livello legislativo è pertanto quella di unificare, sotto il profilo della tutela penale, il concetto di aggressione all'ambiente, contemporaneamente abrogando tutte le norme sanzionatorie di minor rilevo sparse nella legislazione e prevalentemente ispirate a controlli formali. Del resto appare proprio questo il senso dell'abbinamento al disegno di legge governativo AS 3960 allo stralcio del provvedimento sulla depenalizzazione (AS 2570-bis).
D'altra parte, proprio allo scopo di elaborare un progetto di legge in materia ambientale, è stata istituita una commissione di studio in seno al Ministero dell'ambiente, il cui lavoro - dopo il concerto del Ministero della giustizia - ha portato al disegno di legge varato lo scorso mese di aprile dal Governo. Soprattutto, sollecitazioni in questo senso sono giunte all'Italia da organismi sovranazionali quali l'ONU (alla conferenza sulla criminalità svoltasi al Cairo nel 1995) ed il Consiglio d'Europa, che ha predisposto una «Convenzione per la tutela dell'ambiente attraverso il diritto penale» nel novembre 1998.
Le osservazioni sopra riportate hanno, di recente, trovato una conferma nell'inizio della discussione in sede di Commissioni riunite giustizia ed ambiente del Senato del disegno di legge 2570-bis (deputati Bonito ed altri, contenente delega al Governo per il riordino e la semplificazione del sistema sanzionatorio in materia di salvaguardia dell'ambiente e del territorio, risultante dallo stralcio, deliberato il 2 marzo 1999, dell'articolo 9 del testo proposto dalla Commissione giustizia per il disegno di legge n. 2570, approvato dalla Camera dei deputati), del disegno di legge 3282 (Lubrano di Ricco ed altri, Revisione della legislazione vigente, anche in previsione dell'introduzione della figura del «delitto ambientale», con riferimento alla legislazione comparata) e del disegno di legge 3960 (Introduzione nel codice penale di disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente). L'approvazione dei disegni di legge innanzi indicati contribuirebbe, certamente, a risolvere le discrasie già poste in evidenza dalla Commissione in altri documenti e ad adeguare la legislazione alla nuova sensibilità ambientale che, come detto, emerge in maniera chiara, forte ed univoca dalla realtà del Paese.
Purtroppo, si deve rilevare con rammarico che, a fronte delle spinte in questa direzione che vengono da formazioni sociali ed organi istituzionali, i disegni di legge per l'introduzione dei delitti ambientali nel codice penale giacciono da quasi due anni all'esame del Senato. Queste incertezze del legislatore, con l'eccessiva dilatazione dei tempi

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di approvazione dei nuovi strumenti di prevenzione e di contrasto, non soltanto sono produttivi di effetti assai negativi rispetto alle situazioni già in atto, ma - è bene dirlo - a causa del forte impatto che esse hanno sulla società civile, ad ogni livello, rischiano di minare anche l'azione tenace e caparbia di coloro che sono impegnati da anni nella difesa di un bene prezioso per tutti e che richiede uno sforzo comune, la cui tutela, invece, rimane ancora in larga parte affidata all'iniziativa volenterosa del singolo magistrato o del singolo rappresentante delle forze dell'ordine, oppure alla denuncia di un'associazione ambientalista.
Sulla base di queste valutazioni e tenendo conto delle numerose e chiare indicazioni provenienti dagli operatori di giustizia in merito all'irrisorietà delle sanzioni attualmente vigenti - con le connesse difficoltà investigative e probatorie, nonché di condanna dei responsabili che si sono esposte - ed alla necessità di introdurre figure di delitti a protezione del bene primario dell'ambiente, l'Ufficio di Presidenza della Commissione ha richiesto un incontro al Capo dello Stato, cui ha fatto presente la gravità della situazione e la distanza tra le gravi e ripetute aggressioni criminali all'ambiente, il comune sentire di forte condanna rispetto a tali atti ed un codice penale che mostra di essere ancora assai arretrato ed inadeguato.
La Commissione ha certamente colto il segnale positivo rappresentato dall'introduzione - da parte del Senato - del delitto di traffico illecito di rifiuti nell'ambito del disegno di legge 3833, finalmente approvato in via definitiva l'8 marzo 2001(3833-B): la norma mira a colpire, con una pena che va da un anno a sei anni (aumentata da tre a otto anni per il caso di rifiuti radioattivi), coloro che - spesso affiliati o conniventi con le organizzazioni criminali mafiose e non - cedono, ricevono, trasportano, esportano, importano o comunque gestiscono ingenti quantitativi di rifiuti senza le necessarie autorizzazioni, conseguendo profitti ingiustificati.
Va però ribadito che i necessari connotati di organicità della riforma passano inevitabilmente attraverso l'introduzione delle fattispecie di delitto ambientale. Interventi ed innovazioni richiesti peraltro anche da organismi sovranazionali, come il Consiglio d'Europa, che oltre tre anni fa ha varato una convenzione sulla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale, che il nostro Paese - date le insufficienze normative sopra sinteticamente rappresentate - avrebbe attualmente difficoltà a sottoscrivere. L'auspicio è che gli esiti del lavoro svolto da parte della Commissione, l'unanimità di consensi registrata e la grande tensione nella direzione dell'introduzione del delitto ambientale rilevata tra gli operatori del settore, vengano fruttuosamente elaborati dagli organi di governo della prossima legislatura.

3.2. Il documento sui traffici illeciti e le ecomafie.
Nella relazione sul biennio dell'attività, la Commissione aveva già evidenziato la gravità e la diffusione, soprattutto nelle regioni meridionali, di traffici illegali di rifiuti, anche pericolosi, e le connessioni esistenti tra queste attività illecite e gli interessi della criminalità organizzata.


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Si tratta di una delle tematiche cui la Commissione ha continuato a prestare un'attenzione costante sia attraverso l'attivazione di propri poteri d'indagine, che mediante documenti, audizioni ed incontri.
Il lavoro svolto si è concluso con l'approvazione nella seduta del 25 ottobre 2000 del «Documento sui traffici illeciti e le ecomafie» (14), che delinea con maggiore precisione e completezza gli elementi di conoscenza acquisiti in sede giudiziaria, la dinamica e l'estensione di questi traffici, la forte penetrazione nel settore dei sodalizi criminali e le rotte anche internazionali talvolta seguite.
Già in occasione del forum nazionale «I crimini contro l'ambiente e la lotta alle ecomafie» (15), la Commissione aveva evidenziato come fosse necessario, in materia di traffici illeciti di rifiuti, accrescere l'attenzione dedicata al settore dei rifiuti speciali e pericolosi, rappresentando - a significazione della gravità e della portata del fenomeno criminale - che secondo le stime ufficiali (Anpa, Osservatorio nazionale sui rifiuti) sono gestite in maniera non corretta o del tutto illecita circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno, con un business illegale pari a circa 12 miliardi di lire l'anno ed un danno erariale calcolabile in circa 2 mila miliardi di lire. Di fronte a tali cifre, è necessario comprendere quali siano le destinazioni che questa enorme massa di rifiuti prende ogni anno ed è stato questo l'obiettivo dei lavori della Commissione.

3.2.1. Insediamenti ed infiltrazioni delle organizzazioni di tipo mafioso.
Un primo dato preoccupante raccolto dalla Commissione è relativo al rapporto intercorrente fra traffico illegale di rifiuti e criminalità organizzata, soprattutto nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Lazio, Calabria e Sicilia).
Il classico modus operandi delle associazioni criminali per realizzare questi traffici è il sistema del cosiddetto «giro bolla», grazie al quale i rifiuti pericolosi vengono spediti da un soggetto ad un altro, il quale emette una ricevuta falsa, perché quei rifiuti non vengono né ricevuti né inertizzati. In realtà, i rifiuti sono stati spediti altrove illecitamente, per lo più presso cave abbandonate o discariche non autorizzate a ricevere rifiuti di provenienza extra-regionale, se non addirittura mescolati al terriccio ed interrati per essere utilizzati nella pavimentazione di strade o nella costruzione di abitazioni civili. Eppure, formalmente la documentazione è regolare: vi è un mittente di rifiuti pericolosi e vi è un ricevente che dichiara sia la ricezione che il declassamento.
Esemplificativa di tale attività è l'inchiesta, di cui la Commissione si è già occupata, della direzione distrettuale antimafia di Napoli su alcuni traffici illeciti di rifiuti pericolosi provenienti da industrie del nord Italia, in specie dell'Emilia Romagna, e trasportati lungo le dorsali tirrenica ed adriatica, per essere abbandonati in aree del meridione controllate dalla criminalità organizzata (16).


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Sarebbe, però, un errore attribuire solo all'azione delle ecomafie l'intera responsabilità di tali fenomeni illeciti. Esistono, infatti, e prosperano società non riconducibili alla criminalità organizzata, che proprio sulla illecita gestione dei rifiuti sembrano fondare le loro attività. Si registrano inoltre fatti di microcriminalità assai diffusa sull'intero territorio nazionale. Ricondurre tutta l'illegalità alle ecomafie significherebbe, quindi, offrire una lettura distorta del fenomeno, dimenticando una grossa fetta delle attività illecite.

3.2.2. Gli interessi della 'ndrangheta.
In Calabria, le forti connessioni tra criminalità organizzata e traffici illegali di rifiuti sono emerse con chiarezza da numerose vicende giudiziarie. Facendo rinvio per una esposizione compiuta di tali vicende alla lettura del documento sulla regione, approvato dalla Commissione, basta qui solo qui citare la recente inchiesta della procura distrettuale di Reggio Calabria (17), che ha consentito l'arresto di esponenti della cosca Molè-Piromalli; quella relativa all'illecita gestione di circa 30 mila tonnellate di rifiuti pericolosi (ferriti di zinco) provenienti dalla Pertusola sud di Crotone e l'inchiesta sugli appalti per la realizzazione degli impianti per il trattamento o lo smaltimento dei rifiuti nei comuni di Catanzaro, Rossano e Reggio Calabria, per i quali la regione Calabria ha ottenuto cospicui finanziamenti statali (circa 100 miliardi complessivi), spesi, però, senza che gli impianti venissero realizzati. (nota: Solo di recente, infatti, gli impianti di Catanzaro Lido-Alli e di Rossano sono stati completati, mentre quello di Reggio Calabria è stato riattato, grazie all'intervento dell'ufficio del commissario per l'emergenza, potendo finalmente entrare in funzione).
Un allarmante spaccato del controllo operato dai gruppi criminali nel settore delle gare pubbliche è offerto dal procedimento pendente presso la procura di Catanzaro, relativo alla licitazione privata per l'affidamento del servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro negli anni 1995, 1996 e 1997. In questo caso, l'organizzazione criminale realizzava il controllo delle gare d'appalto, da un lato attraverso la creazione artificiosa di una serie di società satelliti, tutte riconducibili all'impresa capofila facente capo al gruppo criminale, in grado di proiettarsi nelle gare con diversi ribassi percentuali al fine di prevenire le cosiddette offerte «scheggia» o quelle provenienti da ditte non controllabili in anticipo; dall'altro, ponendo in essere un'attenta politica di contatti finalizzata all'imposizione delle offerte e dei ribassi, sfruttando la propria potenza economica e la propria posizione dominante.
Solo quando tale attività «preventiva» non consentiva di raggiungere gli esiti prefissati, si ricorreva alla coazione ed alla minaccia nei confronti degli altri imprenditori intervenuti alle gare, obbligandoli ad una partecipazione alle gare secondo le condizioni stabilite dall'organizzazione, ovvero al loro ritiro.


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3.2.3. Cosa nostra e l'affare rifiuti.
L'evoluzione «imprenditoriale» dei clan mafiosi trova riscontro, in Sicilia, anche nel ciclo dei rifiuti, dove l'interesse delle organizzazioni mafiose si è esteso - già a partire dai primi anni novanta - al controllo degli appalti ed alle stesse scelte delle pubbliche amministrazioni (18). Diverse sono le inchieste giudiziarie che dimostrano l'interesse delle cosche per il settore dei rifiuti: per una loro lettura completa si fa rinvio alla relazione sulla Sicilia.
Merita qui ricordare le vicende relative alla gestione delle discariche di Misilmeri e Pollina, che dimostrano il controllo completo del ciclo da parte dei sodalizi criminali.
In particolare, nell'inchiesta sulla gestione della discarica di Pollina sono coinvolti diversi sindaci di quel comune, che avrebbero contribuito alla realizzazione degli interessi illeciti di cosa nostra, affidando a Salvatore Butticè, «appoggiato» dalle famiglie mafiose locali, la gestione di una discarica comunale per la raccolta di rsu su un terreno, destinato in precedenza alla raccolta di materiali inerti e sottoposto a vincoli. Secondo la ricostruzione dell'organo inquirente, i soggetti coinvolti imponevano, inoltre, ai comuni ed alle imprese che scaricavano i loro rifiuti nella discarica abusiva prezzi superiori a quelli stabiliti dalla conferenza dei servizi. Peraltro, l'affare della discarica era solo un tassello di un più ampio mosaico affaristico, costituito da appalti e subappalti pilotati in favore di soggetti legati a cosa nostra (19).
Inquietante è, poi, l'inchiesta relativa alla realizzazione dell'impianto di smaltimento e compostaggio di Trapani, gestito dal maggio 1988 al maggio 1993 dall'impresa De Bartolomeis di Milano, che - secondo quanto rilevabile dalla documentazione disponibile alla Commissione - fin dal 1989 si è mostrata permeabile all'influenza di cosa nostra, ponendosi a capo di un gruppo di imprese, tra cui ditte legate a soggetti mafiosi, con buone entrature presso l'amministrazione regionale, in grado di facilitare l'ottenimento di autorizzazioni e di altri provvedimenti abilitatori. L'azienda, fatto ancor più significativo, utilizzava regolarmente per la raccolta dei rifiuti automezzi noleggiati da società legate alla famiglia mafiosa trapanese di Vincenzo Virga.
Ebbene, la gestione De Bartolomeis termina nel 1993 e l'impresa fallisce nel 1996, non prima di aver ceduto un ramo d'azienda ad una società denominata Rot, riconducibile ad esponenti mafiosi. Nel luglio 1993, si aggiudica il nuovo appalto la società cooperativa Lex, «gradita» peraltro alla famiglia Virga. Sul finire del 1994, però, vince a sorpresa l'appalto la società Dusty di Catania, la quale, subito dopo l'aggiudicazione, si rende conto che non ha i mezzi idonei per assicurare il trasporto dei rifiuti, probabilmente «consigliata» a ciò dai furti nei cantieri e da qualche piccolo danneggiamento: perciò deve ricorrere a subappalti, rivolgendosi a quelle stesse ditte che precedentemente, per motivi unicamente giudiziari, non avevano potuto aggiudicarsi la gara e che sono in qualche modo collegate alla famiglia Virga.


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3.2.4. Il controllo criminale in Campania - Il clan dei casalesi.
In questa regione, tuttora in fase emergenziale per quanto concerne lo smaltimento dei rifiuti, sono univoci inoltre i segnali in merito alla riconducibilità di molte imprese del ciclo dei rifiuti all'azione delle organizzazioni camorristiche.
Si tratta in molti casi di società d'intermediazione, trasporto e smaltimento di rifiuti, che dispongono di notevoli mezzi finanziari, possono imporre tariffari controllati per la trattazione di materiali ed hanno la capacità di gestire i traffici con efficienza e mobilità sull'intero territorio nazionale.
Certo, la gestione commissariale ha contribuito ad un miglioramento della situazione almeno per il settore delle discariche, grazie all'affidamento diretto delle stesse al commissario delegato, ma la situazione rimane ancora assai critica negli altri settori, specie quello del trattamento dei rifiuti industriali, che si offre in particolar modo all'attività di declassificazione dei rifiuti pericolosi in rifiuti non pericolosi, per finire poi in cave e discariche abusive disseminate sul territorio. Le informazioni a disposizione della Commissione mostrano un sensibile incremento di tali attività illecite, al punto che oggi il territorio campano sembra essere saturo e si registra quel fenomeno per cui i rifiuti vengono smaltiti illegalmente in altre regioni, come il Lazio, la Basilicata e soprattutto l'Abruzzo.
Emblematica l'indagine sui traffici di rifiuti, anche tossico - nocivi, gestiti dal clan dei casalesi: tali rifiuti, provenienti in gran parte dal nord Italia, venivano declassificati in appositi centri di stoccaggio ed immessi nel casertano, soprattutto nelle zone di Villa Literno e Baia Verde.
Già la Commissione d'inchiesta operante nella XII legislatura aveva indicato la provincia di Caserta come «il territorio dell'ecomafia», sotto il totale controllo, infatti, del clan dei casalesi. Da questo punto di vista, emblematiche sono le vicende giudiziarie - illustrate dalla Commissione nel citato documento - sull'appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti a Mondragone (Caserta) e quelle condotte dalla procura di Santa Maria Capua Vetere sull'area di Sant'Angelo in Formis dove erano presenti sia i macchinari per l'attività estrattiva (che nel frattempo aveva rotto la falda creando uno dei noti «laghetti»), sia migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni tipologia smaltiti ovviamente in maniera illecita.
Gli interessi ed il ruolo dei clan camorristici sono di ancora più chiara evidenza nelle risultanze investigative dell'inchiesta «Eco», condotta dalla procura distrettuale di Napoli e ormai prossima alla chiusura della fase delle indagini, che ha ad oggetto proprio il controllo sul territorio nazionale delle attività di smaltimento di rifiuti da parte del clan dei casalesi, nel periodo 1994 - 1997. L'attività investigativa svolta ha consentito di ricostruire gli ingenti flussi economici e finanziari derivanti dai profitti dell'attività illecita consumata da parte di numerosi soggetti (101) e società sia commerciali (13) che di trasporto (21), nonché aziende produttrici di rifiuti (9), centri di stoccaggio intermedi (6) e società di smaltimento rifiuti (8). Il flusso illecito di scorie movimentate sul territorio nazionale nel periodo compreso tra il giugno 1994 ed il marzo 1996 si aggira intorno agli 11


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milioni di chilogrammi di rifiuti pericolosi tra il 1994 ed il 1996 (oltre un milione di chilogrammi di rsu risultano movimentati nel solo periodo marzo 1996 - giugno 1997).
In siffatto contesto, è peraltro mutato l'approccio dei gruppi criminali rispetto ai tradizionali metodi violenti. Le industrie produttrici di rifiuti - in particolare nei processi industriali legati all'alluminio, oggetto prevalente delle investigazioni della dda di Napoli - nel corso della lavorazione dei metalli devono farsi carico di costi elevati per lo smaltimento del materiale di scarto prodotto, costituito da rifiuti speciali e tossico-nocivi (polveri di macinazione delle schiumature di alluminio e polveri di abbattimento dei fumi). Inoltre, sul territorio nazionale sono poche le discariche attrezzate ed autorizzate allo smaltimento di tale materiale. Ebbene, l'organizzazione criminale offre un efficiente servizio alternativo che abbatte i costi e garantisce la continuità nello smaltimento dei rifiuti, poiché assicura il superamento di qualunque ostacolo di tipo burocratico e consente l'immediato deflusso degli scarti di produzione, senza andare troppo per il sottile nel rispetto della normativa vigente.

3.2.5. Le infiltrazioni delle organizzazioni criminali di tipo mafioso nelle aree non tradizionali - Il caso del Piemonte.
La Commissione ritiene di dover sottolineare come tali traffici illegali di rifiuti siano significativi non solo dal punto di vista della gestione illecita dei rifiuti, ma soprattutto per ciò che rappresentano in termini di infiltrazioni mafiose nelle aree «non tradizionali». Infatti, l'ingresso delle società mafiose nell'affare, o comunque l'utilizzo di metodiche e strumenti tipici della cultura mafiosa, ingenera inevitabilmente la nascita di gruppi criminali organizzati satelliti che operano nel nord Italia, magari non ancora classificabili come veri e propri sodalizi delinquenziali di stampo mafioso, ma che possono avviarsi a diventarlo, e le vicende piemontesi e lombarde più recenti illustrate ampiamente nella relazione sui traffici illeciti e le ecomafie, a cui si fa rinvio per una loro compiuta trattazione, sono un segnale evidente di tale pericolo.
Del resto, la Commissione aveva già da tempo evidenziato l'allarme lanciato dalla magistratura antimafia di Roma su località quali Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno e Ardea dove, dalla fine degli anni settanta, si sono insediati gruppi appartenenti alla criminalità organizzata calabrese, siciliana e, in particolare, campana, che operano anche nel ciclo dei rifiuti. Infiltrazioni di personaggi vicini alla criminalità organizzata campana erano emersi anche nella vicenda della discarica di Pitelli e in quella della cava rinvenuta a Borghetto Santo Spirito.
La diffusione di tali traffici illegali in aree non tradizionali è dimostrata dal percorso che rifiuti speciali e pericolosi stoccati presso vari centri della Lombardia effettuavano verso discariche autorizzate lucane, dove, in realtà, non sono mai pervenuti. Le difficoltà investigative non hanno reso sempre possibile l'individuazione dei siti finali di smaltimento ed il ritrovamento dei rifiuti, ma secondo l'organo inquirente vi è la certezza che lo smaltimento sia avvenuto nel


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territorio della Basilicata o, al più, in territori limitrofi, e che i ricettori finali dei rifiuti siano nella stessa regione. Una conferma viene dai numerosi sequestri di discariche abusive, in specie nei comuni di Pisticci, Ferrandina e Policoro, dove giacevano peraltro anche materiali contenenti amianto (20).
Venendo ad un'inchiesta più recente in carico alla procura di Torino, relativa ad alcuni smaltimenti illeciti di rifiuti anche pericolosi, va posto all'attenzione che essa conferma l'interesse della criminalità organizzata per il settore già emerso in passato e rivela l'esistenza di un circuito criminale tra le regioni Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Campania, che opera avvalendosi dei rapporti tra alcune società produttrici di rifiuti, ubicate prevalentemente nel nord Italia, e società dedite allo stoccaggio e smaltimento illecito, nonché società «fantasma», che vengono costituite fittiziamente, al solo scopo di giustificare l'avvenuto smaltimento e riciclaggio previsto dalla legge. In ciascuna di queste società (vuoi di smaltimento, vuoi di autotrasporto dei rifiuti) interessate alle diverse fasi dell'attività illecita, gravitano, poi, soggetti collegati o comunque vicini alla criminalità organizzata, adusi a regolare i loro rapporti interni facendo ricorso sistematico all'intimidazione violenta ed armata (21).

3.2.6. La rotta adriatica.
Uno spaccato del traffico transregionale di rifiuti è offerto dal procedimento in carico alla procura di Rimini di cui la Commissione si è ampiamente occupata nella relazione sulla regione, a cui si rinvia (22). Si vuole qui solo sottolineare che il suddetto traffico, finalizzato prevalentemente allo smaltimento di rifiuti solidi urbani, ha interessato anche rifiuti speciali e/o tossico-nocivi provenienti dalle aree del nord-est e veniva realizzato mediante il consueto meccanismo del «giro bolla», valendosi dell'attività di un centro di stoccaggio. È risultato che i rifiuti convogliati presso il centro finivano in gran parte in discariche abusive della Puglia e dell'Emilia Romagna, ma anche dell'Abruzzo e della Calabria, né sono mancati coinvolgimenti da parte delle amministrazioni locali.
In Puglia, nel territorio del comune di Troia, sono state rinvenute tonnellate di rifiuti provenienti da diverse regioni, stoccate illegalmente. Traffici illegali di rifiuti, per lo più residui di industrie siderurgiche del nord, sono stati scoperti in Abruzzo (23). In Lombardia, il fenomeno è così diffuso sul territorio da essere praticato addirittura ai caselli autostradali, dove gli autisti dei camion effettuano vere e proprie trasformazioni cartolari del rifiuto con riferimento sia al codice, sia alla quantità. Nel solo distretto di Milano sono stati sequestrati quattro capannoni-discariche, ma altri analoghi siti di


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conferimento di rifiuti sono stati sequestrati dall'autorità giudiziaria di Bergamo e Vigevano.
Le rotte dei traffici di rifiuti toccano - come la Commissione ha potuto osservare direttamente - anche i territori limitrofi a Roma. Negli ultimi anni, infatti, il Lazio ha funzionato come collettore di rifiuti prodotti nell'Italia settentrionale ed in particolare in Lombardia. Grazie al noto meccanismo del «giro bolla», alcune imprese hanno falsamente garantito lo smaltimento ad enti locali produttori dei rifiuti, assicurando che gli stessi sarebbero stati trasferiti in impianti di recupero e trattamento (nella specie, nel Lazio) in realtà nati solo per trarre vantaggio da tale operazione, non avendo mezzi e manodopera per praticare alcuna attività di recupero e trattamento. La stessa Commissione ha preso diretta visione del fenomeno nei territori di Pomezia, Monterotondo, Latina e, soprattutto, nell'area pontina dove sono stati rinvenuti altri capannoni colmi di tali rifiuti (24).

3.3. Le attività illecite ed il ruolo della pubblica amministrazione.
Appare necessario sottolineare, a questo punto, come l'incremento delle possibilità di influenza delle organizzazioni criminose nella complessiva attività di gestione dei rifiuti sia favorito dall'atteggiamento non sempre limpido e corretto della pubblica amministrazione. Le vicende calabresi e siciliane che si sono sopra sinteticamente illustrate ne sono un chiaro esempio per le regioni meridionali, ma dal fenomeno non sono risultate affatto immuni regioni del centro e del nord del Paese: si passa dai comportamenti disinvolti o di mera compiacenza di alcuni amministratori ai casi in cui la loro attività è pesantemente condizionata dalla forte carica intimidatoria che promana dalle organizzazioni criminali operanti sul territorio, sino alle ipotesi di vere e proprie attività corruttive.
Tra le numerose inchieste giudiziarie di cui la Commissione si è occupata, ne sono un chiaro le vicende legate alla gestione della discarica di Pitelli - cui la Commissione ha dedicato un apposito documento (25); l'inchiesta sulla cava di Borghetto Santo Spirito (Liguria); l'indagine in corso presso la procura di Novara, relativa ad attività illecite che vanno dalla raccolta di rifiuti prodotti in Lombardia ed avviati illecitamente in discariche del Piemonte, alla gestione illecita di impianti di incenerimento e depurazione delle acque; le inchieste sulla gestione delle discariche di Peschici e di Cagnano Varano (Puglia). Così in Sicilia, si è fatto un uso abnorme dell'autorizzazione di discariche in emergenza, che le amministrazioni comunali hanno spesso affidato a ditte non autorizzate, prive dei requisiti di legge ed avvalendosi di trattative private, come testimoniano i numerosi sequestri effettuati dalla magistratura (26).


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L'attività giudiziaria, in sostanza, ha fatto registrare l'esistenza di numerosissime violazioni aventi ad oggetto reati commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in relazione ad appalti per lavori di pulizia, raccolta, trasporto e smaltimento di rsu; in relazione ad autorizzazioni rilasciate per l'impianto, la gestione e l'ampliamento di discariche; nonché per il rilascio di ordinanze contingibili ed urgenti emesse in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge e, conseguentemente, in relazione agli illeciti penali conseguenti al monopolio di fatto costituito in materia.
Il punto di contatto tra queste tipologie e quelle in cui appare evidente l'attività crescente delle organizzazioni criminali anche di stampo mafioso sembra potersi individuare nella gestione del sistema amministrativo locale che, dovendo funzionare come controllo autorizzatorio, in realtà sembra non svolgere con la dovuta intensità tale compito. Proprio l'assenza dei dovuti, necessari controlli delle amministrazioni pubbliche favorisce e rafforza l'intromissione delle organizzazioni criminali, aprendo il campo alla possibile attività di imprese prive di specifica organizzazione ed esperienza nel settore dei rifiuti e magari costituite artatamente, per lucrare gli enormi guadagni connessi agli smaltimenti illeciti.
La grave situazione descritta condiziona, inevitabilmente, le possibilità di sviluppo di un mercato legale in grado di rispondere positivamente alla necessità di garantire un efficiente servizio ai cittadini e alle imprese (27).
È necessario, pertanto, andare avanti in un'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, le quali in molti casi appaiono, purtroppo, più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e, pertanto, più oneroso; nonché di recupero del controllo del territorio da parte degli enti locali, dotati di uffici e servizi qualificati, adeguati all'ampiezza del territorio ed alla popolazione, poiché la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.

3.4. Le grandi imprese e gli illeciti nel ciclo dei rifiuti.
Il gravissimo stato di inquinamento della laguna veneziana è l'emblema delle conseguenze connesse agli smaltimenti illeciti di rifiuti tossico-nocivi, ad opera peraltro di alcune imprese di rilevanza nazionale che hanno operato al di fuori della legalità.
È in fase dibattimentale presso il tribunale di Venezia il procedimento che vede coinvolte le società del petrolchimico di Porto Marghera, per condotte illecite commesse tra il 1970 e il 1988, che vanno dagli smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi di rifiuti assai pericolosi, i quali hanno causato danni irreparabili sull'ecosistema lagunare veneziano; ai delitti di strage e di disastro per i concreti pericoli cagionati alla pubblica incolumità, tanto che ne sono derivate la morte e la malattia di un numero «allo stato ancora imprecisabile


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di persone» (così si legge testualmente nella richiesta di rinvio a giudizio) che prestavano la propria opera presso lo stabilimento petrolchimico (28).
Più di recente, vanno segnalati i gravi episodi accaduti presso lo stesso petrolchimico, culminati nel sequestro dello scarico Sm 15 di Porto Marghera, a causa dello scarico non autorizzato in acque lagunari di reflui pericolosi provenienti dall'impianto di depurazione biologico della ditta Ambiente spa.
La Commissione deve purtroppo rilevare che quelli evidenziati per Porto Marghera non sono gli unici episodi che vedono coinvolte aziende del gruppo Eni per quanto concerne la non corretta gestione dei rifiuti. Basta ricordare, al riguardo, le vicende sulla Pertucola Sud di Crotone o sull'attività scorretta dell'Agip a Matera, ovvero l'inchiesta pendente presso la procura di Monza in relazione al sequestro di circa 120 mila metri cubi di rifiuti pericolosi della società Ecobat, che assorbe circa il sessanta per cento del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste, nonché la vicenda dell'Enirisorse, azienda del gruppo Eni. Ancora, a Scurcola Marsicana si scaricavano fanghi che sarebbero dovuti derivare da insediamenti civili, ma che in realtà erano prevalentemente di provenienza da impianti produttivi, da industrie anche farmaceutiche come la Refem di Rovereto e l'Abbot di Latina; sempre in Abruzzo, presso il depuratore di Montesilvano, sono stati smaltiti rifiuti industriali provenienti da diverse zone del nord Italia; nella cava di Borghetto Santo Spirito (Liguria) sono stati rinvenuti anche fusti provenienti da importanti aziende pubbliche, come la Snam, e da aziende private di rilevanza nazionale, come la Farmitalia e la Stoppani.
Interessante è, ancora, la vicenda scaturita dalla denuncia dell'organizzazione sindacale Fiom-Cgil, relativa alle morti per cancro di alcuni dipendenti delle società Beraud Santino & Mauro e Beraud Sud spa operanti nel polo chimico di Brindisi, che ha portato al sequestro dei cantieri delle citate società nonché all'emissione di avvisi di garanzia nei confronti di dieci amministratori delle ditte coinvolte.
Da ultimo, è opportuno citare la vicenda relativa all'attività di produzione di amianto in Sicilia fino a tutti gli anni ottanta, per la quale è attualmente in fase dibattimentale presso il tribunale di Siracusa un processo che vede coinvolti amministratori e dirigenti dello stabilimento Eternit siracusano, imputati per l'omicidio colposo di numerosi operai deceduti per asbestosi contratta nel trattamento dell'amianto.

3.5. I traffici internazionali.
Già la Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituita nella precedente legislatura si era occupata del fenomeno dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi, anche radioattivi.
In particolare, l'inchiesta condotta dalla procura di Lecce aveva individuato il cosiddetto «progetto Urano», finalizzato all'illecito smaltimento


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in alcune aree del Sahara di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei, con il coinvolgimento di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui tale Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia ed all'illecita gestione degli aiuti del Fai (oggi direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo).
Le inchieste, poi, delle procure di Matera, Reggio Calabria e Napoli avevano portato all'attenzione il fenomeno dell'affondamento di navi cariche di scorie e rifiuti radioattivi, principalmente nel mar Mediterraneo, cui si accompagnava - secondo l'ipotesi formulata dagli organi inquirenti - la consumazione di una serie di truffe alle compagnie assicurative con la riscossione dei premi previsti per i sinistri marittimi. Si profilava, peraltro, del tutto verosimile anche una relazione fra tale fenomeno e quello relativo al traffico internazionale di alcune tecnologie militari avanzate, che, del resto, già l'inchiesta sul «progetto Urano» (vedi sopra), aveva messo in luce.
La Commissione ha ritenuto opportuno mantenere costante la sua attenzione rispetto ad ogni elemento di novità che emergesse in relazione a tale tipologia di smaltimenti illegali, che si presenta senz'altro come la più grave ed allarmante.
In particolare, l'indagine calabrese ha presentato profili di grande interesse, anche in considerazione degli elementi che essa ha offerto sulle relazioni con presunti traffici illegali di armi su scala internazionale, che hanno determinato l'avvio di ulteriori indagini, tuttora in corso, presso le procure competenti di Milano e Brescia.
L'inchiesta, avviata nel 1994 su alcuni affondamenti sospetti di navi nel Mediterraneo, al largo delle coste ioniche calabresi (le cosiddette «navi a perdere», utilizzate per l'affondamento di rifiuti radioattivi), vede in un ruolo chiave Giorgio Comerio, personaggio in contatto con noti trafficanti di armi e coinvolto anche nella fabbricazione di telemine destinate a diversi Paesi, come l'Argentina. Dalle indagini era emerso che il Comerio (che tendeva ad accreditare come del tutto lecito anche su Internet il progetto Overseas Disposal Management (Odm) per la gestione di depositi marini ove smaltire rifiuti radioattivi e tossico-nocivi ricorrendo ai penetratori) aveva indicato sulla sua agenda personale la data di affondamento di una delle «navi a perdere» (la Rigel), al centro dell'inchiesta giudiziaria di Reggio Calabria. Era stata altresì rinvenuta nella borsa di un personaggio molto vicino al Comerio una mappa con i siti di affondamento di altre navi sospette.
Il progetto prevedeva, in sostanza, l'acquisizione di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi da smaltire presso Paesi extraeuropei e l'individuazione dei siti di affondamento, per lo più in tratti di mare antistanti Paesi africani, quali la Somalia, la Guinea e la Sierra Leone, secondo una strategia ricorrente nell'ambito dei traffici internazionali di rifiuti.
Gli accertamenti giudiziari, resi assai complessi e difficili anche per le oggettive difficoltà nelle operazioni di rilevamento della presenza di rifiuti radioattivi in tratti di mare con fondali particolarmente profondi, sono stati portati a termine di recente senza esiti positivi.
Ma al di là di questi esiti sotto il profilo squisitamente penale, permane la più viva preoccupazione per una serie di episodi evidenziati

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dalla stessa inchiesta giudiziaria e da altri dati acquisiti, come la natura del carico della motonave Rigel, il dato numerico relativo ad affondamenti sospetti di navi verificatisi nei mari italiani (ben trentanove risultano i casi per il solo periodo tra il 1979 ed il 1995), le forti analogie che la vicenda rasenta con altri casi assai sospetti di affondamento di navi ed il recupero, in alcuni casi, dei relativi carichi inquinanti. Sul punto, si fa rinvio alla lettura dell'apposita sezione del documento sui traffici illeciti e le ecomafie (29).

3.5.1. I traffici verso l'Africa.
È proprio dalle inchieste sulle «navi a perdere» che la Commissione ha inteso avviare i lavori per una migliore comprensione della reale portata e dell'attualità del fenomeno illegale.
L'analisi dei dati emersi da due inchieste riguardanti tali traffici - inchieste tuttora in corso presso la procura di Asti e la procura distrettuale di Milano - nonché il riscontro incrociato con materiale acquisito dalla Commissione e quanto già emerso in passato fa ritenere che essi siano ancora in corso, che alcuni Paesi, specie dell'Africa, siano ancora mete di destinazione «privilegiate» di tali rifiuti pericolosi e che l'intero traffico, pur con qualche alternanza, ruoti attorno agli stessi soggetti che in passato sono rimasti coinvolti.
Va detto che le inchieste - giudiziarie e della Commissione - si rivelano particolarmente delicate e difficili, muovendosi tra mille difficoltà sia di ordine burocratico che connesse alle difficoltà di accertamento di operazioni di smaltimento realizzate da pochi soggetti, i quali si avvalgono di una fitta rete di intermediari e società anche straniere spesso costituite artatamente, muovendosi su Paesi che a volte non hanno un organo di governo riconosciuto e con i quali comunque non esistono protocolli d'intesa. Diventa quindi assai difficile, se non impossibile, condurre un'attività di verifica dell'effettivo compimento dei traffici e dell'esistenza di siti contaminati da depositi di rifiuti pericolosi e radioattivi. Ma al di là dell'esito processuale che tali inchieste giudiziarie avranno e nel rispetto del segreto a tutela delle indagini, la Commissione ha ritenuto opportuno mettere in luce i dati certi acquisiti e che tutti univocamente conducono a ritenere persistenti traffici così pericolosi ed allarmanti.
Le indagini in corso presso la procura di Asti riguardano traffici internazionali di rifiuti pericolosi provenienti dal territorio italiano e destinati alla Somalia, di cui si sarebbero fatti promotori, in particolare, alcuni soggetti già interessati nel 1992 al «progetto Urano». Dalle carte acquisite dalla Commissione, è emerso con chiarezza che i personaggi interessati agli smaltimenti illeciti ricoprono compiti analoghi a quelli che avevano in passato; di particolare interesse l'intermediario che opera in Italia per l'esportazione dei rifiuti in una località somala dove era stata ottenuta una «concessione» dal noto faccendiere italiano di cui si è detto a proposito del «progetto Urano»;


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e il titolare di una ditta che funge da spedizioniere presso il porto di Livorno e risulta essere in stretti rapporti con Faduma Aidid (figlia del generale «uomo forte» di Mogadiscio), accreditata in Italia negli anni ottanta come diplomatica e addetta al consolato somalo di Milano durante il regime di Siad Barre. Un'ulteriore documentazione acquisita dalla Commissione riscontra nomi, ruoli, rapporti e destinazioni illegali dei rifiuti pericolosi e radioattivi, nonché la tipologia degli stessi. Né mancano acquisizioni fotografiche che confermano l'esistenza di questo porto e riferimenti all'organizzazione di una nuova esportazione di rifiuti pericolosi e radioattivi verso la Somalia ed a traffici illegali di rifiuti spediti in passato (anni 1988-1990) in Somalia, Malawi e Zaire; nonché documenti relativi a spedizioni di merce da Livorno a Mogadiscio, via El Maan, in cui ricorrono spedizionieri e mittenti che emergono anche negli altri casi di trasporti assai «sospetti» i quali - unitamente ad circostanze - lasciano ipotizzare si trattasse di rifiuti pericolosi, come la Commissione ha illustrato nel documento citato, cui si fa rinvio per un'esposizione analitica.
La Commissione, poi, ha cercato di approfondire se il movente possibile dell'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sia da ricercare proprio nella scoperta di tali traffici illegali di rifiuti. A tal fine, in particolare, ha sentito dinanzi all'Ufficio di presidenza alcuni cittadini somali che, pur non confermando informazioni in possesso della Commissione, hanno tuttavia reso dichiarazioni inquietanti riguardo alcune patologie gravissime e diffuse, da connettere a forme di avvelenamento dei suoli e delle acque.
Insomma, gli elementi evidenziati sembrano davvero troppo numerosi e concordanti, almeno su taluni aspetti fondamentali del fenomeno illegale, perché essi - al di là del giudizio di responsabilità penale e di ciò che esso richiede - possano ritenersi frutto di mera fantasia o di un allarmismo che si alimenta di fantasmi.
Ciò senza considerare gli ulteriori dati di conforto emersi nell'ambito dell'inchiesta in corso presso la procura di Milano: la tipologia dei rifiuti pericolosi e radioattivi e la loro prevalente destinazione in Africa; società e personaggi coinvolti, tra cui compaiono nominativi degli attuali indagati ed alcuni organismi internazionali. I soggetti indagati nella vicenda di Asti sono peraltro coinvolti in altre inchieste delle procure di Pistoia e Venezia, relative ad una complessa serie di reati che vanno dall'attività di contrabbando, alla truffa in danno di privati e dello Stato, all'associazione a delinquere finalizzata all'attività di movimentazione e riciclaggio di valuta e di denaro di illecita provenienza.
Come si vede, si tratta di fatti gravissimi, significativi della complessiva dimensione criminale in cui si collocano i traffici internazionali di rifiuti, che sono soltanto una tra le tante, complesse operazioni economiche illegali da cui si possono trarre profitti, peraltro elevatissimi. Non solo: l'intersezione talvolta con vicende belliche di risalto internazionale, che hanno portato organismi sovranazionali ad intervenire in maniera diretta, fanno ritenere che alcune di queste operazioni siano gestite, coordinate o comunque conosciute da apparati governativi.

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3.5.2. Le nuove rotte dei traffici.
Le nuove informazioni assunte dalla Commissione riguardano attività di smaltimento di rifiuti tossici in vari Stati, in particolare l'organizzazione di spedizioni verso Maputo, in Mozambico, a partire dal 1997. Va da subito precisato che le attività di illecito smaltimento in quello Stato non riguardano solo l'Italia ma molti altri Paesi, anche extraeuropei, in particolare la Corea.
Nell'ambito del progetto un ruolo chiave viene ad assumere un faccendiere italiano, contattato proprio perché già protagonista di spedizioni di rifiuti verso l'Africa (in particolare di dodici navi cariche di rifiuti partite negli anni ottanta da Amburgo verso la Guinea), e coinvolto nel già citato «progetto Urano». Nella realizzazione dei traffici l'organizzazione si avvale di società di copertura, tra le quali ricompare una delle società al centro dell'indagine della procura di Asti. Anche qui si conferma, inoltre, la disponibilità di navi idonee al trasporto dei rifiuti verso Paesi in via di sviluppo. Non solo: i personaggi italiani coinvolti risultano essere noti a soggetti affiliati alla criminalità organizzata.
L'idea degli smaltimenti illeciti in Mozambico nasce nell'ambito di una cooperazione tra l'Argentina e quella nazione africana, che riguardava anche lo sviluppo di attività industriali nei pressi di Maputo, come dimostra numerosa documentazione comprensiva, peraltro, degli atti di costituzione di alcune società impegnate nel progetto e delle autorizzazioni relative all'utilizzo di una vasta area del Paese, da parte del governo mozambicano. Facendosi rinvio all'ampia esposizione della vicenda contenuta nel documento approvato dalla Commissione, merita qui ricordare, in particolare, l'autorizzazione del Ministero del bilancio e delle finanze della Repubblica del Mozambico (1996), a favore del progetto di investimento denominato «smaltimento dei rifiuti», concesso a due società coinvolte nell'inchiesta, relativo all'installazione di unità industriali per la raccolta, il trattamento ed il riciclaggio di scorie e rifiuti domestici, ospedalieri e industriali, nonché per l'installazione e l'utilizzo di inceneritori. Ebbene, a tal fine addirittura dato in concessione un terreno (a Boane) dove, in realtà, nessun impianto è stato realizzato, mentre esiste un'enorme discarica a cielo aperto destinata ad accogliere rifiuti di ogni genere e provenienti da ogni parte del mondo.
I rifiuti italiani non sarebbero comunque arrivati per primi in quell'area, giacché gli elementi acquisiti tendono a dimostrare l'avvenuto smaltimento di materiali provenienti dalla Corea e da Taiwan, grazie a traffici gestiti dalla medesima organizzazione criminale. Altro luogo di provenienza dei rifiuti da smaltire in Mozambico risultano essere gli Stati Uniti d'America, sempre con modalità curate - a partire dal 1998 - dall'organizzazione con «sede» in Argentina.
Se non esistono allo stato accertamenti sull'avvenuto smaltimento illecito di rifiuti italiani a Maputo, la documentazione acquisita dalla Commissione fa invece ritenere - per la sua precisione e la sua provenienza - come del tutto verosimile l'avvenuto smaltimento di circa 600 mila tonnellate di rifiuti nel Sahara spagnolo, probabilmente nell'ambito del «progetto Urano».


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È opportuno evidenziare come dietro tali traffici illegali di rifiuti si mascherino altre attività illecite: anzitutto operazioni di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, come il traffico internazionale di armi e di stupefacenti. Il coinvolgimento, in particolare, nell'attività di un soggetto indicato da diverse polizie come appartenente ad organizzazioni attive in quei settori e coinvolto in vicende terroristiche di risonanza mondiale (l'attentato di Lockerbie e il sequestro dell'Achille Lauro), dà la misura del livello criminale. E indica come il traffico internazionale di rifiuti sia uno snodo di più attività illecite: ripulitura di denaro sporco, metodo di pagamento per forniture di materiale bellico e forma illegale di realizzazione di ingenti guadagni per ulteriori investimenti leciti ed illeciti. Una conferma a quanto si è detto viene dall'abilità e dagli «importanti» legami che l'organizzazione criminale riesce a mantenere in diversi ambienti, leciti e illeciti. Le stesse modalità operative sono indicative in tal senso: l'operazione di smaltimento dei rifiuti è coperta da una «facciata» legale che risulta essere l'investimento nazionale ed internazionale per la realizzazione di unità industriali al fine del trattamento dei rifiuti, ottenuta con autorizzazioni avute anche tramite un'attività se non corruttiva quanto meno «compiacente» di esponenti legati al potere politico in Mozambico.
A fronte di un simile livello criminale e di forza economica - ogni nave carica di rifiuti porterebbe un guadagno di circa 10 miliardi di lire - è evidente che non è pensabile una risposta solo nazionale, ma è necessario un coordinamento internazionale delle forze di contrasto, come quello che si è ormai avviato per affrontare il fenomeno della criminalità organizzata.
Del resto, anche nelle relazioni sulla politica informativa e della sicurezza del primo e secondo semestre 1999 (30), è esplicito e preoccupante il riferimento all'attualità delle problematiche ambientali relative ai traffici internazionali di sostanze tossiche e radioattive, in particolare ponendosi l'accento sulla tendenza che si va consolidando anche in questo settore ad operare in una dimensione transnazionale, modulando le progettualità operative sulla globalizzazione dei mercati e sull'evoluzione dei sistemi di comunicazione.

3.6. Il forum di Palermo sulle rotte delle ecomafie. Una strategia di contrasto globale.
Come detto, dal documento approvato dalla Commissione sui traffici di rifiuti e le ecomafie emerge uno scenario davvero allarmante: il Mediterraneo, da est ad ovest, da nord a sud e viceversa, è attraversato da navi, spesso vere e proprie «carrette del mare», che trasportano di tutto, assoggettate a controlli casuali ed inconsistenti. L'affondamento, al largo delle coste italiane, di almeno 39 navi (le cosiddette «navi a perdere»), nonostante la carenza di riscontri giudiziari definitivi, non costituisce mera ipotesi. Si tratta di fatti attendibili suffragati da indagini giudiziarie ed accertamenti effettuati


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dai Lloyds di Londra che hanno dovuto corrispondere ingenti indennizzi assicurativi. Nonostante l'eccezionale impegno di alcune procure e la costante attenzione della Commissione, non è stato ritrovato alcun relitto.
Su questo e su altri fatti la Commissione ha raccolto numerosa documentazione e materiale, pervenendo alla conclusione che le modalità operative del fenomeno si ritrovano in comportamenti diffusi, in virtù dei quali i Paesi più poveri, talvolta con lo stesso consenso dei governi interessati a conseguire commesse di armi, divengono discariche dei Paesi più ricchi. Per tutti si ricorda il caso della Somalia, dove lavori per la realizzazione di una massicciata sono stati effettuati con rifiuti pericolosi trattati, senza nessuna misura di sicurezza, da operai somali le cui famiglie, in caso di morte, venivano indennizzate con ben cento dollari. Ancora, di recente, ingenti quantitativi di pesticidi scaduti, prodotti in Germania, sono stati rinvenuti in vagoni ferroviari abbandonati in territorio albanese. Da Paesi industrializzati quali la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, e dalla stessa Italia, partono ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti verso Paesi dell'Africa e dell'Asia. Le nazioni più povere costituiscono una sorta di «cortile di casa», dove viene gettato ciò che è troppo costoso smaltire altrimenti.
Le rotte mafiose dei rifiuti pericolosi hanno fatto coniare un altro appellativo al mare nostrum che, per quei popoli ed anche per le nostre coscienze, è diventato il mare monstrum, geologicamente configurabile come un grandissimo lago che necessita di ben ottant'anni per giungere ad un ricambio completo delle proprie acque e che, quindi, rischia di diventare un'enorme discarica permanente di rifiuti di ogni tipo. Il nostro Paese è interessato da movimenti illegali, sia di importazione che di esportazione, di rifiuti speciali pericolosi. I traffici interni riguardano soprattutto trasferimenti di rifiuti dal nord alle regioni più depresse del sud della penisola.
Su questo quadro di conoscenze, e su questi interessi che sembrano avere assunto dimensioni sempre più inquietanti, la Commissione ha ritenuto di dover promuovere un'ulteriore iniziativa diretta soprattutto a far prendere coscienza del preoccupante fenomeno in atto, a rompere i silenzi e le indifferenze che di fatto proteggono la spregiudicata imprenditoria internazionale che percorre le rotte dei rifiuti. Ha promosso, pertanto, di concerto con la Commissione parlamentare antimafia, un forum nazionale tenutosi a Palermo il 20 novembre 2000.
Si è trattato, come anche hanno sottolineato i Presidenti della Camera e del Senato, di un momento particolarmente significativo per l'attività complessiva del Parlamento, in quanto è stata posta in essere un'azione di sintesi tra le esperienze maturate dalle due Commissioni d'inchiesta, con un interessante scambio di informazioni non solo sui risultati delle rispettive attività conoscitive, ma anche sulle metodologie e procedure d'indagine. Ancora è da porre in rilievo come una così peculiare esperienza sia stata attuata proprio sul terreno delle cosiddette «ecomafie», su un terreno, cioè, che costituisce fonte di grandi interessi per la criminalità organizzata e, nel contempo, colpisce beni fondamentali del vivere civile, quali quelli della salute e dell'ambiente. Peraltro, le gravissime alterazioni del mercato, registrate soprattutto

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nel nuovo «affare rifiuti», condizionano fortemente l'operare dell'imprenditoria di settore, che stenta a reggere la concorrenza con un'imprenditoria deviata che abbatte i costi di gestione con l'illegalità e, talvolta, con la collusione con settori delle amministrazioni locali per l'ottenimento degli appalti.
La rilevanza dell'iniziativa e la delicatezza delle tematiche sollevate non è sfuggita alle istituzioni ed agli organismi impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata che sono intervenuti ai massimi livelli. Il forum, infatti, ha registrato la presenza, oltre che di rappresentanti di Governo, di numerosi parlamentari nazionali e locali nonché di magistrati di procure investite di delicate indagini; sono intervenuti anche rappresentanti di vertice della polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, delle capitanerie di porto, dell'Europol. Non sono mancate significative presenze di amministratori locali, di organismi di controllo, di organi di stampa, di associazioni ambientaliste e della società civile.
L'incontro di Palermo si è mosso attorno a due grandi tematiche. Per un verso, sono state sviluppate le analisi sul fenomeno delle ecomafie, indicate come un esempio dei caratteri strutturali della moderna criminalità organizzata che, oggi, dispone di una grande capacità di muoversi dentro gli Stati nazionali e di attraversarne i confini; che dispone di ingenti capitali da investire in più settori; che, mediante il riciclaggio del denaro proveniente da reato, persegue tenacemente la strategia dell'ingresso nell'economia e nel mercato legale. È emerso che ricostruire le rotte nazionali ed internazionali del traffico dei rifiuti significa non solo sanare questo particolare settore, ma anche colpire al cuore l'organizzazione criminale che oggi investe nell'ambiente, negli appalti delle opere pubbliche, nell'edilizia, nei servizi, con un fortissimo impegno ed enormi interessi. Il mercato dei rifiuti costituisce, all'attualità, il segnale più evidente di come la globalizzazione dell'economia sia seguìta dalla globalizzazione del crimine.
Per altro verso, e questo è apparso il profilo di maggiore novità dell'incontro, le realtà intervenute nel forum, in accoglimento dello spirito dell'iniziativa e dell'invito rivolto sia dal Presidente della Commissione antimafia, sia dal Presidente della Commissione sul ciclo dei rifiuti, hanno affrontato problemi operativi e si sono interrogate sul fare. Sono stati esaminati e proposti nuovi strumenti di contrasto. È stata sottolineata l'esigenza di una convinta strategia di collaborazione, sia a livello nazionale che internazionale. Vari contributi propositivi hanno rivendicato la reale e spedita operatività delle rogatorie internazionali, nonché la creazione di un pubblico ministero europeo, l'individuazione di forme di cooperazione giudiziaria tra Stati, la messa a punto dei coordinamenti interni ed internazionali tra forze dell'ordine. Ancora, sono state denunciate le lacune attualmente esistenti, quali la debolezza dell'azione fiscale e del sistema dei controlli, l'insufficienza dell'azione di vigilanza sull'operato dei poteri territoriali, l'ignoranza sulle tecnologie produttive che non consente di controllare le varie fasi del ciclo, in particolare quella dell'inertizzazione e dello smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi.
Sul piano più strettamente interno, è stata raccolta la denuncia e la preoccupazione per la mancata previsione nell'ordinamento penale

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di una fattispecie di reato ambientale. Questo punto ha fatto registrare la contraddizione in atto esistente tra il riconoscimento da parte di tutte le forze politiche che l'ambiente, essendo tra le risorse non disponibili dell'umanità, richiede ogni attenzione ed intervento di carattere legislativo, amministrativo, economico e politico, e l'incapacità da parte del Parlamento di approvare la norma necessaria ad introdurre il reato ambientale nel sistema penale.
Tra le proposte di maggiore spessore e più autorevoli perché proveniente dagli osservatori più accreditati della lotta alla mafia (le Commissioni parlamentari promotrici del forum e la direzione nazionale antimafia), va ricordata quella di inserire lo specifico sistema penale dei rifiuti nell'ambito della normativa antimafia, sì da consentire agli inquirenti di rompere i troppo rigidi schemi dell'indagine penale, che mal si addicono ad inchieste che richiedono complessi accertamenti su soggetti che, se pur operanti in settori diversi delle fasi del ciclo, di fatto sono collegati e fanno capo allo stesso gruppo od interessi.
Ma il valore dell'iniziativa si è risolto soprattutto nella più forte acquisita coscienza che, per poter offrire un adeguato contrasto a questo nuovo inquietante agire della criminalità organizzata, a questa cultura imprenditoriale che ignora, nel nome del maggiore profitto, beni fondamentali della vita, quali la salute e l'ambiente, non si può agire isolatamente, ma occorre una forte e convinta collaborazione tra Stati e tra i vari organismi preposti alle attività di contrasto e controllo. Ancora occorre, mediante la promozione di una nuova cultura di contrasto da esercitare nei confronti anche delle forze sociali e culturali, anticipare i percorsi dei traffici illegali per poter così isolare quelli che, con grande lucidità ed efficacia, sono stati indicati come i «ladri del futuro».
Sul tema centrale della collaborazione, con l'iniziativa qui ricordata, il Parlamento ha indicato una strada. Ora spetta agli organi operativi dare un fattivo contributo, rompendo definitivamente gli schemi delle prerogative e delle competenze, che talvolta impediscono la piena e migliore utilizzazione di tutte le risorse disponibili.

4. Le indagini della Commissione su alcune tematiche rilevanti.

4.1. Il documento sull'amianto.
Anche in tema di amianto la Commissione 
(31) ha avuto modo di rappresentare il quadro italiano sia dal punto di vista della gestione dei rifiuti sia da quello igienico-sanitario e della prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Preso atto, infatti, che dal 1983 si è assistito alla progressiva, ma continua, produzione di norme comunitarie e nazionali volte alla dismissione dell'uso di amianto, in applicazione a spruzzo ed all'interno di manufatti, fino alla situazione attuale che ne vieta qualunque


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uso, e che la produzione normativa si è accompagnata, poi, ad una sempre maggiore sensibilità alla problematica da parte dei titolari di un «rischio amianto», dei media e degli organismi preposti al controllo, si deve dire che oggi, parallelamente all'interdizione all'uso dell'amianto, esiste una serie di obblighi nei confronti dei detentori d'amianto, a questi spesso non noti, verso i quali, per contro, gli organismi di controllo hanno maturato un livello di competenza e d'attenzione sicuramente importante.
Appare, pertanto, evidente come, nel corso del tempo, le problematiche collegate all'utilizzo dell'amianto siano transitate dall'aspetto medico-legale a quello medico generale, a quello ambientale, fino ad incidere, allo stato attuale, sulla vivibilità delle città ed in genere sulla qualità della vita di ciascun cittadino. In questa prospettiva la Commissione, ribadendo quando già affermato nella XII legislatura dalla Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha focalizzato un fenomeno del tutto nuovo nel campo della prevenzione degli infortuni sul lavoro, cioè quello della trasmigrazione dall'aspetto medico-legale all'aspetto ambientale delle malattie asbesto correlate. Per queste ultime, il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, compie un passaggio dalla semplice fenomenologia della malattia connessa all'amianto agli aspetti di prevenzione delle patologie professionali, predisponendo una struttura completa delle protezioni necessarie al lavoratore; configurazione e mezzi di protezione ancora validi ed efficaci che, forse, sono quelli che hanno portato alle maggiori conoscenze in materia di «rischio» da amianto.
Un ulteriore aspetto della normativa sull'amianto che la Commissione ritiene di porre in evidenza è quello relativo all'informazione: interessante è, infatti, osservare come il legislatore, forse per la prima volta nel campo degli infortuni sul lavoro, si sia preoccupato, all'articolo 26 del citato decreto legislativo, di predisporre un'adeguata «Informazione dei lavoratori», facendone carico ai datori di lavoro; tale informazione non si limita alla semplice segnalazione dei rischi, ma si snoda attraverso un'adeguata, preventiva, illustrazione: «a) sui rischi per la salute dovuti all'esposizione alla polvere proveniente dall'amianto o dei materiali contenenti amianto; b) sulle specifiche norme igieniche da osservare, ivi compresa la necessità di non fumare; c) sulle modalità di pulitura e di uso degli indumenti protettivi e dei mezzi individuali di protezione; d) sulle misure di precauzione particolari da prendere per ridurre al minimo l'esposizione», e si completa attraverso una sua «periodicità triennale e in ogni caso ogni qualvolta vi siano delle modifiche nelle lavorazioni che comportino un mutamento indicativo dell'esposizione».
A fronte delle dichiarazioni di principio contenute nel decreto legislativo n. 277 del 1991, la Commissione ha potuto accertare che la legge è stata in larga parte disattesa, poiché un vero registro di tutte le patologie asbesto correlate non è stato predisposto, neppure nelle regioni che hanno definito il piano di dismissione dall'amianto e neppure rispetto alle patologie minime. La previsione dell'articolo 36, infatti, non solo non è stata allargata a tutte le patologie asbesto correlate (secondo l'auspicio espresso dalle Commissioni parlamentari all'unanimità), ma in molte regioni italiane anche il semplice registro dei soli mesoteliomi non è stato ancora attivato e resta pertanto

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insoluta la questione del monitoraggio sanitario dei lavoratori esposti all'amianto.
Per quanto concerne poi gli aspetti ambientali, la Commissione ha dato atto come gli stessi siano stati collegati, prima alla lavorazione dell'amianto e dei suoi derivati, poi alla dismissione del prodotto, imposta dalla legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), e, riguardo a quest'ultima, ha posto in evidenza come il fenomeno dello smaltimento illecito dei rifiuti di amianto non si differenzi da quello relativo agli altri rifiuti e venga, per così dire, aggravato dalla normativa particolare. Infatti la Commissione ha avuto notizia di procedimenti penali concernenti l'illecita decontaminazione di carrozze ferroviarie e, più recentemente, di procedimenti in corso concernenti, rispettivamente, il ritrovamento di amianto presso lo stabilimento Avis di Castellammare di Stabia e la bonifica del siti industriali dismessi delle aree ex Eternit ed ex Ilva-Italsider di Bagnoli.
Il fenomeno cui si è avuto modo di assistere è del tutto peculiare, «si può inquinare mentre formalmente si decontamina»: tale fatto ha, come è stato testimoniato da più parti alla Commissione, provocato situazioni praticamente poco controllabili in tutto il Paese.
Altro fenomeno comune agli altri tipi di rifiuti è quello relativo alla pratica non conoscenza della quantità di amianto presente sul territorio nazionale: dal «Documento sulla produzione e sulla gestione dei rifiuti nelle aziende a rischio di incidente rilevante», pure approvato dalla Commissione ed al quale si rinvia, si evince con tutta evidenza l'approssimazione dei numeri forniti da più parti, atteso che solo una minima percentuale delle industrie che hanno risposto al questionario hanno affermato di possedere la mappa dell'amianto.
Altro problema emerso nel corso dell'esame degli aspetti ambientali della dismissione dell'amianto è quello relativo alla risarcibilità del danno provocato ai singoli: al riguardo, la polemica connessa alla risarcibilità del danno per i lavoratori sembra essere stata risolta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2000, mentre rimane del tutto irrisolto il problema relativo alla risarcibilità del danno provocato ai soggetti esposti per motivi diversi da quelli di lavoro e non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo del 1992, problematica non marginale atteso che rappresenta un impatto notevole calcolato su alcuni milioni di esposti, dal punto di vista dell'insorgenza di mesoteliomi della pleura e di tumori polmonari.
Per quanto concerne: le problematiche relative alla definizione ed alla classificazione dei rifiuti contenenti amianto e lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto, nonché lo stato di fatto accertato dalla Commissione, si rinvia a quanto già affermato nel documento relativo all'amianto, qui, invece, occorre porre in evidenza e dare atto ancora una volta, qualora ve ne fosse la necessità, la stretta correlazione esistente tra coltivazione di cave, traffici di rifiuti, smaltimenti illeciti e non, dimostrando come, al di là dell'individuazione delle responsabilità per il passato, il futuro di una corretta gestione del poliedrico mondo dei rifiuti passi necessariamente attraverso una ricognizione della situazione delle cave e delle altre estrazioni, nonché attraverso la predisposizione di un piano integrato di riqualificazione delle cave stesse, ripristino del territorio e smaltimento dei rifiuti.

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Il quadro complessivo tracciato - sebbene necessiti di ulteriori approfondimenti sia sugli impegni di spesa che sull'effettività di tali impegni e sulla loro ricaduta ai fini della soluzione del problema - consente comunque di affermare che rispetto alla messa al bando dell'amianto, a livello europeo (che si deve concludere nel 2005), sotto l'aspetto legislativo l'Italia è stata tra le prime nazioni ad affrontare il problema in termini corretti, mentre si è in corsa per recuperare i ritardi operativi accumulati dall'emanazione della legge ad oggi. Tale attività è appena avviata e sta tenendo in debito conto gli errori e le negligenze accumulate nel passato, per le quali, però, non tutti gli aspetti sono stati ancora chiariti ed alcuni meritano approfondimenti perché possono recuperarsi ritardi sia tecnici scientifici che normativi contabili. Inoltre, dal Ministero della sanità sono stati stanziati fondi stanziati per la bonifica dei siti contaminati dall'amianto, pari a 115 miliardi per il 2000, 125 per il 2001 e 55 per il 2002. Tali finanziamenti riguardano anche l'Ispesl per la ricerca in materia di sostituti dell'amianto.
La Commissione ritiene che dall'indagine conoscitiva svolta sia emersa da una parte un'attenzione adeguata al problema, che finalmente è stato inquadrato sotto tutti gli aspetti siano essi sanitari preventivi o risarcitori che ambientali o di prevenzione generale della salute del cittadino, mentre dall'altra ancora necessiti una pratica attuazione dei dettati normativi che non può non passare attraverso l'approfondimento di casi emblematici e di allarme sociale dai quali si deve desumere il canone operativo per il futuro.
In punto di fatto, invero, la necessità di approfondire situazioni emblematiche come quella dell'area ex Italsider di Bagnoli o quella della ex Fibronit di Bari o dell'amianto contenuto nei vagoni ferroviari e, in genere, gli aspetti oscuri o di contrasto emersi nel corso delle audizioni, non può che essere auspicio della Commissione stessa che si possa tracciare, nella prossima legislatura, un quadro analitico approfondito di tali situazioni all'esito di ulteriori necessarie indagini. Sono emerse, infatti: a) discrepanze in ordine allo smaltimento ed alla decontaminazione dell'amianto del materiale rotabile fra quanto affermato dalle ferrovie dello Stato ed altri soggetti; va anche considerato il fatto che le FS hanno gestito e continuano a gestire, nonostante la privatizzazione, denaro pubblico; b) la decontaminazione e, in genere, la restituzione di alcune aree fortemente interessate all'inquinamento da amianto, quali la Fibronit di Bari, la Eternit di Casale Monferrato, la situazione di Broni e l'Italsider di Bagnoli, hanno avuto vicende giudiziarie e destato allarme nei cittadini; c) le procedure di controllo sulle spese per la decontaminazione dall'amianto non hanno trovato alcun riscontro in quanto i piani regionali sono stati approvati da poco tempo e non sono stati accertati i flussi economici ed i beneficiari di tali flussi; d) rimane ancora insoluto il problema e non sufficientemente chiara la classificazione dei materiali contenenti amianto, atteso che non sembra risolta la querelle tra il Ministero dell'ambiente e quello della sanità in ordine alla classificazione di tale rifiuto fra i nocivi; e) la volontà di un maggiore approfondimento dello studio dei materiali sostitutivi, manifestata nel corso della conferenza nazionale, abbisogna di concrete iniziative di finanziamento della ricerca e dello studio, anche perché le deroghe all'espulsione dell'amianto, giustificate

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proprio in funzione della mancanza di risultati certi in ordine alla non nocività dei materiali sostitutivi stessi, non possono protrarsi all'infinito e non sempre le esigenze industriali possono ripercuotersi così drasticamente, come nel caso dell'amianto, sulla salute dei cittadini; f) un discorso a parte meritano i materiali sostitutivi, i quali abbisognano di una maggiore attenzione scientifica e su tale punto la Commissione auspica un impegno finanziario tale da agevolare ed incrementare la ricerca stessa; g) ritiene, infine, la Commissione che le problematiche emerse nel corso dell'indagine e la complessità della materia, coinvolgente sia aspetti di tutela dei lavoratori, di tutela sanitaria degli stessi e dei cittadini esposti, nonché di corretta gestione dei rifiuti provenienti dalla decontaminazione e di individuazione dei materiali sostitutivi, imponga una rivisitazione dell'intero argomento, eventualmente integrando le competenze della commissione nazionale amianto, previa delega al Governo per la predisposizione di un testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia, attesa la pletora di disposizioni esistenti in materia e le palesi posizioni di disparità che possono verificarsi in concreto rispetto a lavoratori, non formalmente esposti al rischio amianto, ma che dalla presenza di questo nel luogo di lavoro possono aver contratto una delle patologie amianto-dipendenti; h) va, infine, osservato come la scheda di accertamenti sanitari, semestrali o annuali, secondo le cadenze della legge n. 626 del 1994 vada, in concreto, adeguatamente calibrata non alle tipologie formali di lavoro, ma all'ambiente stesso in cui il lavoratore si trovi ad operare e, in tal senso, la Commissione auspica un intervento chiarificatore da parte del Ministero competente.
Da ultimo si deve osservare come con il recentissimo provvedimento legislativo contenente «Disposizioni in campo ambientale» il Parlamento abbia, all'articolo 20 (Censimento dell'amianto e interventi di bonifica), dettato disposizioni operative in materia di amianto, in parte recependo le osservazioni contenute nel documento XXIII n. 51 approvato dalla Commissione. Infatti, si è autorizzata la spesa di lire 6.000 milioni per l'anno 2000 e di lire 8.000 milioni per gli anni 2001 e 2002, per la realizzazione di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale e degli interventi di bonifica urgente.

4.2. I rifiuti di origine ospedaliera.
La Commissione parlamentare, ha deciso di procedere al monitoraggio del ciclo dei rifiuti di origine sanitaria, motivando tale indagine con il fatto che in Italia non esistono, studi nazionali di settore. La variegata tipologia e la supposta pericolosità di questi rifiuti richiedono attenti procedimenti gestionali che, in passato, erano stati talvolta disattesi.
La normativa di riferimento è quella indicata dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni ed in particolare l'articolo 45.
Il regolamento attuativo di tale articolo, le cui novità saranno riportate in seguito, è stato emanato nel giugno 2000 (decreto ministeriale


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26 giugno 2000 n. 219) dopo che la Commissione aveva concluso la sua inchiesta ed approvato il documento XXIII n. 44.
L'indagine della Commissione si è proposta di quantificare la produzione dei diversi tipi di rifiuto, analizzare le procedure relative alla movimentazione interna (raccolta, trattamento, confezionamento e deposito) ed esterna (conferimento alla ditta autorizzata, trasporto, smaltimento), indagare le successive fasi gestionali, analizzare i costi relativi e individuare probabili irregolarità nonché segnalare eventuali attività illecite e proporre soluzioni per rimuovere le eventuali disfunzioni accertate.
L'indagine è stata finalizzata anche ad acquisire le informazioni che riguardavano i costi di gestione, le società di raccolta, le modalità di smaltimento e il destino finale di tali rifiuti. La percentuale di risposte ottenute è stata del 90 per cento; la Commissione ha limitato il campo di indagine a tre grandi centri urbani, Napoli, Roma e Milano, alla regione Sicilia ed ai policlinici universitari; tuttavia le estrapolazioni effettuate sono statisticamente valide anche a livello nazionale.
I questionari, spesso compilati con evidenti e diffuse carenze sono stati integrati da indagini sul campo volte da una parte a verificare l'attendibilità dei dati e dall'altra a chiarire alcuni meccanismi di gestione che il dato numerico non permette di evidenziare. Per tale motivo, sono state effettuate visite ad alcune strutture nosocomiali e a diverse società ed enti che si occupano dello smaltimento dei rifiuti sanitari e sono stati contattati esperti del Ministero della sanità, del Ministero dell'ambiente, dell'Anpa e dell'università.
L'indagine effettuata limitatamente alle strutture nosocomiali pubbliche (aziende sanitarie locali ed aziende ospedaliere) ha evidenziato che la quantità di rifiuto ospedaliero prodotto annualmente da tali strutture è circa 100.000 tonnellate, mentre per la totalità delle strutture pubbliche e private è stata stimata in 200.000 tonnellate (pari a circa 2.000.000 di m3); questa cifra comprende i rifiuti speciali infettivi, i rifiuti chimici pericolosi provenienti da attività di laboratorio o dalla radiologia, i farmaci scaduti ed i rifiuti derivanti dai reparti di medicina nucleare mentre vengono esclusi tutti gli altri rifiuti che benché prodotti nella struttura ospedaliera, trovano collocazione in altri censimenti (oli usati, batterie esauste, rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani eccetera).
La quantità media prodotta per giornata di ricovero, prendendo il 1997 come anno di riferimento è di circa 1,2 Kg e non si è evidenziata alcuna strategia messa in atto dalle strutture sanitarie volta a minimizzare la produzione dei rifiuti all'origine.
I dati raccolti dalla Commissione parlamentare in merito ai rifiuti sanitari sono stati successivamente utilizzati dall'Istituto superiore di sanità.
L'Istituto ha elaborato i dati relativi alla sola quantità di rifiuto prodotta dalle strutture monitorate, estendendo l'analisi alle strutture pubbliche di tutto il territorio nazionale ottenendo risultati confrontabili con quelli riportati nel documento della Commissione.
Dalle visite effettuate emerge che le modalità di movimentazione dei rifiuti sia nel luogo di produzione sia nella fase di trasporto verso lo smaltimento definitivo presentano delle anomalie.

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Infatti, lo stoccaggio temporaneo dei contenitori, di norma, avviene in container scarrabili, forniti dalle ditte appaltatrici, e collocati in luogo aperto o in ambienti dedicati non sufficientemente isolati; le condizioni igienico-sanitarie di tali depositi sono raramente controllate con puntuale periodicità. La maggior parte del personale addetto non ha seguito idonei corsi di formazione. I direttori sanitari, in molti casi, si limitano ad emettere circolari esplicative del servizio e delegano il controllo al personale ausiliario; la bolla di consegna alla ditta, di norma, è compilata dal personale ausiliario e sottoposta alla firma del responsabile delegato dal direttore sanitario quasi sempre senza alcuna verifica. Il numero totale dei contenitori che risultano prodotti da ogni reparto o presidio ospedaliero è apparso talvolta in eccesso rispetto alla reale quantità di rifiuto prodotto ed al numero delle giornate di ricovero, inoltre la pesata dei contenitori nella quasi totalità dei casi non è eseguita all'interno del nosocomio ma è effettuata dagli operatori delle società di trasporto o presso i termodistruttori.
Da sottolineare che, nonostante l'esistenza di numerose norme, la carenza di controlli all'interno della struttura ospedaliera, nonché della modulistica e degli stessi vettori durante il trasporto su strada o per via ferroviaria, e presso il forno inceneritore, facilita la pratica di un servizio non sempre rispettoso della buona gestione. Le gare di appalto assegnate per volume possono facilitare per un verso rapporti non corretti tra le strutture sanitarie e l'impresa e per l'altro innescare processi elusivi da parte delle imprese che si avvalgono della possibilità di utilizzare le società di intermediazione commerciale. Il fatto che la maggior parte delle strutture sanitarie non dispongono di una pesa o di bilance e che quindi effettuano il pagamento «a misura» cioè secondo il numero dei colli prodotti per anno, si può ripercuotere negativamente su tutti i passaggi dell'iter economico.
Pertanto la Commissione è dell'opinione che sarebbe opportuno dotare tutte le strutture sanitarie di strumenti idonei alla determinazione del peso e che la stipulazione dei contratti venisse rapportata al peso dei rifiuti prodotti e non già al volume dei contenitori. Questo accorgimento può contribuire a ridurre il costo complessivo del servizio sanitario.
Da segnalare inoltre che le diverse voci che concorrono a costruire il costo del servizio di smaltimento, la molteplicità delle modalità di appalto, la mancanza di un «capitolato tipo», hanno determinato una vasta gamma di prezzi la cui entità non sempre ha trovato un'adeguata giustificazione nel servizio reso dalla categoria dei trasportatori autorizzati; infine negli ultimi due anni, l'agguerrita concorrenza tra ditte specializzate nel trasporto dei rifiuti speciali, ed il maggior numero di termodistruttori disponibili hanno contribuito a calmierare il mercato determinando una riduzione dei prezzi del servizio sino a limiti che, talora, appaiono non più ragionevoli. Al di sotto di un certo costo, l'affidabilità del servizio può risultare seriamente compromessa.
Si ravvisa quindi l'esigenza di intensificare i controlli in tutte le fasi del ciclo gestionale anche per scoraggiare atteggiamenti professionali non sempre in linea con le esigenze igieniche, sanitarie ed economiche.

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4.2.1. Le novità introdotte in materia dal DM 26 giugno 2000, n. 219.
Il decreto regolatorio dell'articolo 45 suddivide i rifiuti sanitari nelle seguenti classi:
rifiuti sanitari non pericolosi; rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo; rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo; rifiuti da esumazione e estumulazione; rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali; rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani; rifiuti sanitari che richiedono particolari sistemi di gestione.

Secondo l'articolo 2, comma 1, lettera l), la sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo è una facoltà esercitabile dalla struttura sanitaria volta a semplificare le modalità di gestione dei rifiuti stessi. Qualora questa facoltà venisse esercitata, la sterilizzazione permetterebbe la declassificazione del rifiuto ed il passaggio al regime giuridico dei rifiuti urbani soltanto se la pericolosità del rifiuto sanitario tal quale fosse dovuta al solo rischio infettivo.
Inoltre la possibilità di assimilare il rifiuto sanitario al rifiuto urbano è condizionata oltre che dalla sterilizzazione anche dalla presenza nell'Ambito Territoriale Ottimale (Ato) di un impianto di incenerimento per rifiuti urbani, oppure che esista un'autorizzazione regionale allo smaltimento in discarica secondo quanto previsto all'articolo 45, comma 3), del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22.
L'assimilazione ex lege è considerata piena a tutti gli effetti, nel senso che, una volta che il rifiuto sanitario a solo rischio infettivo è qualificato e considerato «urbano, esso è assoggettato al regime giuridico proprio di quest'ultimo nel senso che è sottoposto alle norme amministrative, fiscali e penali del rifiuto urbano.
Ciò vuol dire che questi rifiuti, proprio come i rsu, sono gestiti dai comuni, che sono soggetti alla Tarsu e che non c'è obbligo da parte del produttore di registri né di Mud (vedi articoli 11, comma 3, e 12, comma 1, del decreto legislativo 22/1997).
Secondo la Commissione parlamentare la condizione aggiunta al criterio oggettivo della sterilizzazione limita fortemente la possibilità di assimilare i rifiuti pericolosi a solo rischio infettivo ai rifiuti urbani sia per la carenza di termodistruttori in esercizio nell'Ato sia per la difficoltà di realizzare l'intesa prevista tra la regione ed i Ministeri di sanità ed ambiente per l'eventuale smaltimento in discarica.
La gestione di tali rifiuti è quindi ricondotta , nella maggior parte dei casi, a quella degli altri rifiuti sanitari per i quali la principale forma di smaltimento prevista è la termodistruzione in impianti dedicati.
La Commissione ritiene che, in questo caso, le disposizioni del decreto ministeriale non vadano certo nella direzione di una politica di economicità della gestione dei rifiuti. Pur avendo presente le motivazioni che hanno indotto le regioni a esprimere parere negativo in merito all'articolo 2, comma1, lettera g) del decreto ministeriale (conferenza Stato-Regioni, seduta del 4 aprile 2000) se non accompagnato dalle condizioni sopra indicate, la Commissione ritiene che tali condizioni attengano più alla successiva fase gestionale del rifiuto che non a quella della sua caratterizzazione come urbano, che è tecnicamente e oggettivamente conseguente al fatto che esso sia stato sottoposto al processo di sterilizzazione.


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Vale la pena di sottolineare, infine, come nel decreto ministeriale sia specificato che i rifiuti a solo rischio infettivo, insieme ad altre categorie, sono assimilati e non assimilabili ai rifiuti urbani. Ciò significa che non è lasciata ai comuni alcuna discrezionalità per definire i criteri di assimilabilità ma che questi vengono definiti per legge e stabiliti dallo stesso decreto; in tal senso si potrebbe registrare un contrasto con l'articolo 7, comma 2, lettera b, del decreto 22/97, anche se in detto articolo si fa riferimento ai rifiuti non pericolosi assimilabili ai rifiuti urbani e non a quelli assimilati.
Ai fini di un recupero energetico e di materia la Commissione osserva, infine, che il rifiuto sanitario a solo rischio infettivo, che sia stato sottoposto al processo di sterilizzazione secondo l'articolo 2, punto 8, lettera l, del decreto ministeriale 219/2000, potrebbe essere utilizzato come cdr, purché possieda i requisiti di cui all'articolo 4 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
Un'ulteriore novità che introduce il decreto riguarda gli impianti di sterilizzazione collocati all'interno del perimetro della struttura sanitaria (articolo 7, comma 2). Contrariamente a quanto prevedono gli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 22/97, questi impianti non devono essere autorizzati dalla regione purché sterilizzino solo rifiuti provenienti dalla stessa struttura sanitaria. Per rifiuti provenienti dalla stessa struttura sanitaria il decreto intende anche i rifiuti prodotti dalle strutture sanitarie decentrate purché dipendenti funzionalmente e organizzativamente dalla stessa struttura al cui interno si trova lo sterilizzatore. Per quanto attiene alla disinfezione dei rifiuti sanitari, sono stati abrogati i punti 1.1.3 e 2.2 della delibera del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale e pertanto questa pratica può essere disattesa.

4.2.2. Le attività di indagine presso le strutture sanitarie e gli operatori del settore.
La preliminare indagine condotta dalla Commissione, mediante l'invio di un questionario ai direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere di tutte le regioni italiane, è stata seguita da numerosi sopralluoghi effettuati dai consulenti della Commissione, sia presso le strutture sanitarie che presso gli operatori del settore. L'indagine si è sviluppata sia mediante visite ai vari reparti ospedalieri, sia tramite la acquisizione di documentazione amministrativo-contabile prelevata direttamente negli uffici dei nosocomi e presso le società di servizio che effettuano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti sanitari.
Le indagini sono proseguite per un approfondimento delle situazioni che alla Commissione erano apparse meritevoli di ulteriori approfondimenti. In particolare, le inchieste hanno riguardato: il policlinico Federico II di Napoli; la società Pescatore srl di Mercogliano (AV); l'ospedale Spallanzani di Roma; la società Ecotras srl di Frascati (RM); i presidi ospedalieri abruzzesi della asl 106, Ente ospedali ed istituti riuniti di Teramo, ospedale Maria SS dello Splendore di Giulianova, ospedale Val Vibrata di S. Omero.
La convinzione di carattere generale che la Commissione si è fatta è che la gestione dei rifiuti non rappresenta per i vertici delle asl, e


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dei responsabili delle strutture sanitarie, una questione di primaria importanza.
I sopralluoghi hanno, anche, messo in luce un'altra realtà - per la verità già ben nota alla Commissione - e cioè che le autorità preposte ai controlli non sempre esercitano questa funzione in modo assiduo e soprattutto efficace.
Il fatto che al direttore sanitario compete la sorveglianza soltanto fino al conferimento dei rifiuti all'operatore autorizzato al trasporto, e che non sia obbligato ad un controllo puntuale sulla restituzione dei formulari, può essere motivo di un non corretto e trasparente rapporto tra le strutture sanitarie, tecnico-amministrative e le imprese.
Anomalo risulta il fatto che i capitolati di appalto, aventi ad oggetto prelievo, trasporto e smaltimento dei rifiuti ospedalieri, non seguano un contratto tipo; tale carenza, dovuta alla mancanza di direttive univoche da parte del Ministero della sanità porta in pratica difformità anche significative di prezzo da regione a regione
Nel corso delle indagini non si sono accertati smaltimenti impropri o illeciti di rifiuti sanitari; qui di seguito si riferisce dei risultati di alcuni sopralluoghi.

Policlinico Federico II di Napoli.

La prima fase degli accertamenti ha riguardato direttamente il policlinico Federico II, presso il quale si è constatato che la gestione dei rifiuti ospedalieri e il loro stoccaggio sono alquanto deficitarie, sia dal punto di vista organizzativo che da quello igenico-sanitario.
Sono state poi effettuate visite presso tutti i soggetti cointeressati allo smaltimento dei rifiuti ospedalieri prodotti dal predetto policlinico, cioè la società Pescatore srl di Mercogliano (Av), la società Italtecno srl di Mercogliano (Av), facente capo ai titolari della Pescatore, la società Battellieri sas di Cagliari, presso la quale vengono inceneriti parte dei rifiuti ospedalieri ritirati dal Federico II, la società Set srl di Campi Bisenzio (FI) e la società Chimet spa di Badia al Pino (AR), proprietaria di un altro inceneritore, presso la quale, con l'intermediazione della Italtecno e della Set, viene portata la restante parte dei rifiuti ospedalieri ritirati presso il policlinico Federico II.
Dall'esame della documentazione acquisita e dai sopralluoghi, è emerso che il rapporto contrattuale tra il policlinico Federico II e la Pescatore srl è disatteso alla luce del fatto che, nonostante il contratto preveda che il servizio debba essere svolto direttamente dal contraente, la Pescatore fa svolgere parte dello stesso da altre società. Tale procedimento viene attuato quindi secondo la Commissione, in violazione delle norme contrattuali; inoltre, la Italtecnoambiente srl ha una gestione deficitaria, considerando che risulta aver avuto ricavi minori delle spese sostenute per l'incenerimento dei rifiuti movimentati.
La Set srl effettua, per il contratto in argomento, operazioni di intermediazione commerciale tra la Italtecno srl e la Chimet spa, avvalendosi per il trasporto dei rifiuti della Mas srl, realizzando un profitto apparentemente così basso da non coprire i costi di gestione, come quelli per il personale utilizzato, per gli adempimenti amministrativi, per l'ammortamento del mezzo di trasporto e per il costo del carburante.


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Nel corso del sopralluogo presso la società Battellieri di Cagliari si è avuto modo di notare che l'inceneritore da essa gestito non era al momento in esercizio e le sue basse potenziali capacità di carico non giustificavano le quantità di rifiuti ivi inviate. Infatti, per stessa ammissione del direttore tecnico dell'inceneritore, parte dei rifiuti venivano termodistrutti presso un altro impianto di Cagliari.
Presso l'inceneritore Chimet, a specifica richiesta, non sono stati forniti gli scontrini di peso dei carichi dei rifiuti sanitari in trattazione perché, a detta del titolare della società, gli stessi rifiuti non vengono pesati ma avviati allo smaltimento, prendendo come riferimento la pesatura indicata sul formulario e sulle lettere di vetture delle Ferrovie dello Stato. Di contro, nel corso del sopralluogo, è stato riscontrato che i mezzi contenenti colli di rifiuti sanitari venivano, invece, pesati presso la pesa elettronica interna. Questo fatto lascia serie perplessità sull'attendibilità dei dati forniti alla Commissione.

Istituto sperimentale Spallanzani di Roma.
Anche in questo Istituto sono state riscontrate, nel corso delle visite, situazioni anomale. L'appalto era stato vinto dalla società Pescatore srl di Mercogliano (AV), alla quale non è stata aggiudicata la gara in quanto non è stata in grado di dimostrare la congruità dei costi. L'appalto è stato così vinto da un'associazione temporanea d'impresa costituita dalle società Fisia spa, Ecoraccolta srl, Ecotras srl.
La prima anomalia riscontrata consiste nel fatto che, nonostante sia stata costituita la Ati, il servizio viene svolto solo dalla Ecotras; tuttavia quest'ultima riconosce, apparentemente senza giustificato motivo, un compenso alla Fisia spa per ogni chilogrammo di rifiuto incenerito.
È stato inoltre accertato che, a fronte di un capitolato d'appalto che definisce precisamente quali e quante operazioni devono essere effettuate, la società Ecotras svolge alcune di queste operazioni con una frequenza più bassa rispetto a quella prevista dal contratto, con conseguente sensibile diminuzione di costi per la società. Questa circostanza mette in evidenza che, se la società rispettasse alla lettera le clausole contrattuali, lavorerebbe senza utili e probabilmente anche in perdita.
Si è inoltre verificato che il personale impiegato dalla società è stato assunto con contratto nazionale collettivo di categoria diversa (più svantaggiosa per i lavoratori) rispetto a quella per la quale il servizio viene prestato.
Anche per questo appalto, come per il precedente, l'azienda ospedaliera non effettua in maniera adeguata i controlli di merito per verificare la corretta applicazione del contratto. Tale scarsa attenzione va sicuramente censurata, in quanto, se è vero che non sono state riscontrate procedure anomale di smaltimento dei rifiuti, il nosocomio, con maggiori e più accurati controlli avrebbe potuto tenere più bassi i costi dell'appalto.

Presidi ospedalieri della asl 106 di Teramo.
Nel gennaio 2000, sono stati visitati l'Ente ospedali ed istituti riuniti di Teramo, l'ospedale Maria SS dello Splendore di Giulianova,


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l'ospedale Val Vibrata di Sant'Omero. Anche in questa circostanza sono state verificate alcune irregolarità che hanno riguardato sia il modo di gestire alcune tipologie di rifiuti sanitari, sia le condizioni igienico-sanitarie dei depositi temporanei, sia la scarsa conoscenza degli obblighi contabili e di registrazione dei rifiuti; in particolare, è da segnalare l'atteggiamento poco collaborativo del direttore sanitario dell'ospedale di Sant'Omero, il quale, tra l'altro, ha delegato il controllo e gli obblighi di registrazione a personale non adeguatamente istruito.

4.3. Le emergenze rifiuti e l'istituto del commissariamento.
Nel settembre 1999, la Commissione rilevava che, nonostante una maggiore «tensione» di natura ambientale riscontrata in molte regioni dopo l'entrata in vigore del «decreto Ronchi», le situazioni di emergenza connesse al ciclo dei rifiuti andavano progressivamente moltiplicandosi e che, in alcune situazioni, le emergenze di natura ambientale andavano assumendo formule sempre più stabili, fino a rappresentare modalità di governo caratterizzate da una sorta di «straordinaria normalità» delle gestioni. Deliberava, pertanto, di procedere ad un'analisi delle realtà territoriali colpite da provvedimenti di commissariamento, disposti in relazione ad eventi connessi alla produzione, raccolta, trasporto o smaltimento dei rifiuti solidi urbani o speciali.
L'attività conoscitiva è stata diretta ad accertare le cause generatrici delle singole situazioni di allarme ed a fare emergere le eventuali connesse responsabilità di carattere amministrativo e di natura politica; a controllare se i rimedi adottati avessero effettivamente inciso sulle situazioni a rischio, eliminando le cause che avevano determinato le emergenze; a valutare l'impatto nell'ambiente e nel tessuto economico e sociale di ogni singola emergenza; a verificare la congruità della normativa che disciplina l'istituto del commissariamento e ad analizzare l'idoneità e l'attualità dello strumento; a formulare proposte per eventuali modifiche di carattere normativo ed amministrativo.
Le realtà esaminate hanno riguardato le regioni Campania, commissariata nel febbraio 1994; Puglia, commissariata (novembre 1994); Calabria, commissariata (settembre 1997); Sicilia, (gennaio 1999). Nessuno dei citati regimi commissariati a tutt'oggi risulta essere cessato. Sono state anche esaminate due altre realtà oggetto di provvedimento di commissariamento: quella della città di Milano e quella della provincia di Roma, la prima legata alla situazione della discarica di Cerro Maggiore e conclusasi con l'adozione di misure per la raccolta differenziata che, per taluni profili, hanno anticipato alcune previsioni del «decreto Ronchi»; la seconda occasionata dalla previsione dello straordinario afflusso di visitatori nella capitale per il Giubileo del 2000.
La Commissione ha organizzato sullo specifico tema quattro seminari di medesimo contenuto sull'«Istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti». In ciascuna delle iniziative - tenutesi rispettivamente nelle città di Napoli (18 febbraio 2000), Bari (7 marzo 2000), Reggio Calabria (1 giugno 2000), Palermo (19 ottobre 2000) - sono stati


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approfonditi, unitamente ad aspetti specifici delle singole emergenze, peculiari profili del problema; esso coinvolge delicate e complesse questioni attinenti, sia alla pertinenza dello strumento normativo su cui poggiano i commissariamenti ed ai poteri e prerogative delle varie articolazioni del Governo che concorrono alla dichiarazione dello stato di emergenza nonché a disporre il regime commissariale, sia ai vari profili relativi al sostanziale regime di concertazione da cui hanno preso il via i vari commissariamenti; inoltre profili attinenti ai contenuti delle ordinanze, alle figure ed ai poteri dei commissari delegati, alla durata dei singoli provvedimenti ed alla legittimazione dei continui rinnovi (fino oltre i sette anni) in un sistema normativo legittimato dalla straordinarietà, eccezionalità ed urgenza del provvedimento.
È stata posta all'attenzione la delicatezza del provvedimento, che di fatto altera il sistema costituzionalmente garantito delle prerogative e delle competenze delle regioni e degli enti locali, venendo ad investire in responsabilità di gestione un soggetto diverso da quello prescelto mediante il sistema delle rappresentanze elettive. Sono state poi esaminati anche in apposite sessioni, ed in specifiche audizioni, gli intrecci di competenze tra il Ministero dell'ambiente e quello dell'interno.
I seminari sono scesi nel dettaglio di ciascuna realtà interessata, approfondito le cause contingenti e strutturali che hanno portato ad ogni singolo commissariamento, esaminato i risultati di ciascuna gestione, valutato l'attività dei vari commissari e degli altri soggetti investiti di responsabilità di gestione, valutato responsabilità e ragioni degli amministratori e delle strutture organizzative degli enti territoriali, rapportate anche al sistema produttivo locale, all'azione ed agli impulsi provenienti dall'associazionismo ambientalista e dalla società civile.
In esito alla complessa e lunga attività d'inchiesta è scaturito un quadro strutturale ed operativo che denuncia, in primo luogo, come lo strumento normativo utilizzato dal Governo per dare vita all'istituto del commissariamento (articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Istituzione del servizio nazionale della protezione civile) sia improprio e scarsamente aderente alle peculiarità scaturenti dalle emergenze rifiuti. Si tratta, è bene ricordarlo, del ricorso ad uno strumento ideato per gli accadimenti inquadrabili nella «protezione civile» e governati da sistemi giuridici che pongono il Ministero dell'interno al centro di poteri decisori e di intervento; poteri che invece, nei casi di specie, non vengono esercitati da quel dicastero perché privo di competenze funzionali. A parte il contenzioso giuridico sorto e le evidenti forzature ermeneutiche risolte con un certo imbarazzo dalla Corte costituzionale (sarebbe interessante verificare in che modo la Consulta valuterebbe il ricorso alla decretazione ex legge n. 225/1992 nel caso della «emergenza preventiva» di Roma), è certamente fuori dubbio che l'attuale articolazione delle attribuzioni ministeriali non consente al ministro dell'interno di svolgere le funzioni ed i compiti propri del Ministero dell'ambiente. I rappresentanti del Ministero dell'interno e della protezione civile hanno denunciato come l'attuale sistema dell'emergenza rifiuti releghi quegli organi a funzioni meramente notarili di emanazione di provvedimenti ideati ed istruiti da altri. Peraltro, il Ministero dell'interno, non avendo né attribuzioni funzionali né compiti, non si

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sente neppure coinvolto nelle responsabilità che conseguono l'espletamento della funzione. Allo stato attuale, sembra rappresentare un mero passaggio procedurale che deve solo impegnarsi a non costituire occasione di ritardo nell'emanazione dei pareri e provvedimenti di competenza.
Ancora, il frazionamento (o, meglio, il sovrapporsi) delle competenze in capo ai due dicasteri non indica con chiarezza a quali organi spetti la valutazione dell'operato dei commissari e sulla base di quali parametri debbano essere misurati i risultati, anche al fine della cessazione dello stato di emergenza ovvero della sua proroga. Infatti, il perpetuarsi del regime di proroga, che per alcune regioni dura ormai da ben sette anni, denuncia in modo evidente come sia inconsistente il ricorso allo strumento straordinario di cui all'articolo 5 della legge n. 225/1992. È da aggiungere, poi, che lo stesso articolarsi dei compiti affidati ai commissari delegati (soprattutto ai commissari presidenti delle giunte regionali) sembra confliggere con attività caratterizzate dalla necessità ed urgenza. Si tratta, come è emerso nel corso dell'inchiesta, per di più di compiti di programmazione e di predisposizione di piani; di compiti quindi assai complessi, che prevedono concertazioni e lunghi iter procedurali e che appartengono all'attività di programmazione e di amministrazione complessiva della giunta e del consiglio regionale. Non a caso, i poteri straordinari sono stati assegnati a quegli stessi soggetti che avrebbero dovuto provvedere in base alle ordinarie competenze istituzionali.
In presenza di tali anomalie che, come sopra è stato dimostrato, non si risolvono in meri aspetti formali ma generano vere e proprie disfunzioni nella stessa gestione e controllo delle crisi sulle quali si è intervenuti, la Commissione è del parere che il Governo debba procedere ad un'approfondita verifica sulla congruità dello strumento normativo cui finora ha fatto ricorso, richiedendo, laddove lo ritenga necessario, che il Parlamento fornisca uno strumento più rispondente alle emergenze rifiuti del tipo di quelle citate. Peraltro, il nuovo impianto, nel conferire i poteri straordinari ad organi monocratici, non potrà non ispirarsi ai modelli istituzionali esistenti ed alterare in modo traumatico il regime delle competenze e delle prerogative istituzionali presenti nelle realtà locali. Occorrerà, a parere della Commissione, ancora privilegiare i presidenti delle regioni e coinvolgere nelle responsabilità commissariali i presidenti delle province ed i sindaci secondo lo schema del «decreto Ronchi». Nel contempo, il nuovo modello dovrà considerare, per ogni singola realtà interessata, con la massima attenzione i problemi di consenso che, realisticamente, gravano sugli organi elettivi, perché tali problemi non finiscano con il condizionare le delicatissime ed a volte impopolari scelte che debbono porre in essere i commissari. Parallelamente, dovrà contemplare precisi momenti di verifica ed indicare parametri oggettivi per misurare i risultati delle gestioni, contemplando anche adeguate misure (non ultima quella di revoca degli incarichi) per il mancato conseguimento degli obiettivi.
Nelle singole ordinanze, poi, occorrerà procedere, caso per caso, ad un'accurata ricognizione del patrimonio impiantistico presente in ogni realtà commissariata e, quindi, attivare adeguate risorse tecniche e finanziarie per promuovere, coinvolgendo anche risorse, iniziative e

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responsabilità dei produttori e dell'imprenditoria privati, tecnologie complesse che coprano, nello spirito del «decreto Ronchi», le varie tipologie e le varie fasi del ciclo dei rifiuti. A tale proposito, la Commissione ritiene che dovranno riconsiderarsi le scelte finora effettuate nell'esercizio del potere di ordinanza, che attualmente esclude l'imprenditoria privata dal concorrere nella realizzazione e nella gestione degli impianti connessi al ciclo dei rifiuti. Una tematica assai delicata se rapportata alle note capacità di controllo del settore da parte della criminalità organizzata nelle regioni a rischio. Ma, proprio in quelle difficilissime realtà, non possono essere ulteriormente penalizzati l'imprenditoria sana ed il libero mercato.
Da ultimo, il nuovo impianto legislativo non potrà prevedere la possibilità, di fatto oggi presente, di protrarre sine die il regime commissariale, mediante il meccanismo dei rinnovi. Su tale punto occorre che vi sia un costante monitoraggio da parte del Governo sulle gestioni, nonché capacità e forza per sanzionare ritardi e gestioni inconcludenti.
Sotto altro profilo, l'analisi del sistema giuridico improprio sul quale sono state fatte poggiare le emergenze rifiuti esaminate dalla Commissione ha portato anche ad alcune considerazioni di natura politica. Indubbiamente, ferma restando sempre la necessità di tenere distinti i due piani dell'efficacia dello strumento commissariale e della capacità di saperlo gestire, è indubbio che il regime commissariale, con le sue deroghe e con il conferimento di poteri straordinari, rappresenta una grave anomalia al sistema delle attribuzioni costituzionali e delle autonomie. Pur essendo generate come si è visto in un regime di sostanziale concertazione, rimane fermo il fatto che regioni ed autonomie locali risultano espropriate (con tale termine la regione Puglia ha censurato i provvedimenti governativi) di competenze e prerogative istituzionali. Non è in dubbio che le soluzioni adottate hanno creato preoccupanti alterazioni al sistema istituzionale della ripartizione delle competenze hanno sviato i riferimenti della responsabilità dell'attività amministrativa, hanno generato risultati a volte deludenti ed in tempi così lunghi da non potere essere considerati quali prodotti della straordinarietà e dell'emergenza, ed hanno creato imbarazzanti intrecci di competenze all'interno della struttura governativa.
Peraltro, in tutte le realtà visitate la Commissione ha riscontrato (tanto risulta dalla lettura dei singoli decreti presidenziali) che le amministrazioni regionali che hanno richiesto lo stato di emergenza, di fatto, più che sollecitare una verifica del ricorrere degli oggettivi presupposti per l'avvio del regime commissariale, denunciano ritardi e carenze delle passate gestioni nell'adozione di strumenti programmatori adeguati, nonché rigidità ed inadeguatezze del sistema normativo generale che impediscono la corretta gestione del servizio. Ancora, denunciano le difficoltà a localizzare impianti di smaltimento nei territori comunali, a causa delle resistenze opposte dalla popolazione locale e dalle rappresentanze ambientaliste.
In tale situazione, risulta del tutto evidente che lo stato di crisi che determina l'emergenza non sembra possa ascriversi a fatti eccezionali che superano le competenze e la normalità delle gestioni amministrative. Si tratta di vere e proprie crisi politiche, causate da problemi antichissimi ai quali gli amministratori locali non hanno saputo o

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potuto dare risposte adeguate. Nel corso delle iniziative seminariali, è stato efficacemente affermato che i commissariamenti delle regioni interessate sono intervenuti dopo che, nel settore rifiuti, per decenni ha governato un vero e proprio «regime di far west»; ed in tale chiave di lettura debbono essere valutati i ritardi, le connivenze, le disattenzioni e le omissioni evitando di concentrare sulle sole amministrazioni commissariate le responsabilità che hanno portato al regime commissariale.
A ben vedere - fermi restando i problemi connessi all'annoso problema delle discariche, per lungo tempo amministrate con provvedimenti contingibili ed urgenti, ovvero in un regime di tolleranza degli abusi generalizzati che hanno caratterizzato tutte le regioni commissariate - le crisi governate dalla legislazione d'emergenza paradossalmente (ancorché più antiche) sono divenute più acute e più manifeste quando finalmente è intervenuto il «decreto Ronchi», che ha dettato parametri e criteri per stabilire i confini tra l'autorizzabile ed il non autorizzabile; tra il lecito e l'illecito; tra il compatibile ed il non compatibile e tra questo ed il possibile. In presenza di tali parametri, sono saltati gli equilibri precedenti, fondati in gran parte sull'improvvisazione nonché sugli interessi dei privati (spesso imprenditori collegati alla criminalità organizzata), sull'ignoranza dei problemi gestionali da parte delle amministrazioni locali, sull'impossibilità e sull'inesistenza di controlli
Le dichiarazioni d'emergenza ed i connessi commissariamenti, dunque, non hanno fatto altro che far emergere le crisi politiche delle gestioni passate e presenti e l'incapacità di governarle con gli ordinari strumenti. Per uscire da tale preoccupante situazione, certamente non addebitabile interamente a questa o quella amministrazione, lo strumento che è sembrato più agevole da adottare, perché non comportante giudizi o responsabilità, né di natura politica, né amministrativa, è parso essere quello del commissariamento. Il regime di concertazione tra amministrazioni regionali, Ministeri dell'interno e dell'ambiente, Presidenza del Consiglio dei ministri, ha evitato che i provvedimenti correlati all'emergenza assumessero natura sanzionatoria o surrogatoria e, quindi, implicassero giudizi di natura politica sull'operato delle amministrazioni. Di qui il sostanziale accordo sulle procedure ed il regime di concertazione. Ciò, tuttavia, non esonera il Governo dalle responsabilità di controllo e dall'onere di valutare i risultati delle gestioni. Il regime di concertazione non può esaurirsi nella dichiarazione d'emergenza e nella nomina del commissario; occorre anche seguire le gestioni, impegnare adeguate risorse finanziarie ed impiantistiche, valutare l'azione dei commissari, verificare i risultati ed adottare, ove necessario, altri provvedimenti, ivi compresa la revoca del mandato per i delegati troppo deboli o incapaci.
A conclusione dell'inchiesta, la Commissione nel proprio articolato documento su «L'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti» (32) ha riconosciuto che complessivamente l'operato del Governo sia stato responsabile, non strumentale e quindi da condividere.

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L'obbiettivo perseguito era quello di porre le basi per dare un assetto ad un settore trascurato, compromesso da interessi non sempre leciti, particolarmente delicato per le implicazioni sulla salute pubblica e per la tutela del territorio. La straordinarietà delle singole situazioni è sembrata, allora, giustificare la straordinarietà dei poteri. Tuttavia, è fuori dubbio che l'emergenza deve ora essere avviata verso l'ordinarietà della gestione. Consegnando il problema a soggetti monocratici straordinari, sono state indubbiamente alleggerite le responsabilità collegiali degli organi regionali e delle amministrazioni locali ma deve essere dato avvio a significative fasi di superamento dei delicati problemi a suo tempo posti. Ancora all'attualità mancano concreti segnali di superamento.
In tale stato di cose, sembra alla Commissione che occorra portare sostanziali cambiamenti di rotta all'attuale sistema, che non solo risolve la straordinarietà in ordinarietà, ma che priva, sine die, le assemblee elettive delle prerogative connesse al mandato ricevuto. Se vuole mantenersi un regime di «concertazione» per contrastare le emergenze del tipo esaminato, occorre che tale sistema trovi un'adeguata disciplina che, quantomeno, contempli anche i parametri e le responsabilità di verifica, i tempi della straordinarietà delle gestioni e gli eventuali ulteriori rimedi, nel caso le misure adottate non abbiano raggiunto gli obiettivi proposti.
Se, poi, un più complessivo esame della situazione generale e delle cause che hanno portato una così significativa parte del territorio nazionale a porre la questione dell'emergenza rifiuti dovesse portare a concludere che le procedure e gli adempimenti legislativamente previsti per la redazione e l'approvazione dei piani di programma risultano eccessivamente onerosi, tali da non consentire il rapido espletamento, occorre ancora che il legislatore intraprenda una paziente azione diretta a superare alcune rigidità e appesantimenti burocratici che rendono più difficile la piena attuazione del «decreto Ronchi».
Resta però fermo il convincimento della Commissione che la vicenda dei commissariamenti costituisce un chiaro segnale, non solo dei gravissimi ritardi di cultura ambientale nelle amministrazioni locali, ma anche un inequivoco allarme sui fortissimi condizionamenti che gravano sui settori imprenditoriali che si occupano delle varie fasi del ciclo. Inoltre, la carenza e l'inconsistenza dei controlli rappresentano una riprova di come quei condizionamenti pesino anche sulle amministrazioni locali e di come, nelle realtà esaminate, sia vero e presente quell'intreccio tra criminalità, politica ed imprenditoria cui i magistrati più volte hanno fatto riferimento.
Gli enormi profitti che derivano dalle gestioni di tutte le fasi del ciclo dei rifiuti costituiscono infine elementi fortissimi di resistenza a cambiamenti ed alla ricerca di soluzioni. Le alterazioni di mercato che conseguono tale modo di operare finiscono inevitabilmente, come la Commissione ha avuto in più occasioni modo di denunciare, col procurare l'allontanamento dell'imprenditoria sana dal settore e, quindi, con il rappresentare un ulteriore elemento di rigidità del sistema.
Quale valutazione finale, nel proprio documento conclusivo la Commissione ha considerato che se pure i dati e gli elementi raccolti

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offrono un panorama assai poco rassicurante, sul punto non possono certamente tirarsi troppo pessimistiche conclusioni perché, nonostante i problemi tuttora irrisolti, in tutte le realtà esaminate, è stato possibile trarre, la convinzione che l'azione dei pubblici poteri locali, dopo l'esperienza commissariale sia ora animata da una più forte tensione di contrasto all'operare mafioso e che sia in atto una più attiva e cosciente azione di governo per la tutela del bene dell'ambiente e della salute pubblica mediante una sempre più cosciente gestione dei servizi connessi al ciclo dei rifiuti. Per tali profili può affermarsi che, in disparte ogni altra valutazione e misurazione di risultati, i regimi commissariali hanno certamente prodotto una maggiore attenzione sui temi dell'ambiente.

4.4. I traffici transfrontalieri di rifiuti.
Nell'esercizio delle funzioni attribuitele dalla legge istitutiva, la Commissione ha ritenuto necessario avviare un'indagine specifica sul problema dei traffici di rifiuti, intesi come attività di raccolta e trasporto dei rifiuti.
In particolare riguardo al traffico transfrontaliero di rifiuti e i connessi problemi normativi e di controllo, oltre alla predisposizione di apposita relazione, è stata effettuata una indagine conoscitiva prendendo in esame dati forniti da vari enti ed effettuando conseguenti visite presso ditte interessate a tali traffici.
Le prime informazioni sono state fornite dalle regioni e dalle province, dall'amministrazione doganale, dall'Istituto per il commercio con l'estero (Ice), dal Ministero dell'ambiente.
Nella prima fase dell'indagine sono stati chiesti alle regioni ed alle province autonome i dati relativi alle importazioni ed alle esportazioni di rifiuti effettuate dalle società poste nell'ambito della propria giurisdizione negli anni 1997 e 1998.
Successivamente, è stato chiesto alle amministrazioni provinciali il numero e l'esito dei controlli effettuati in merito negli anni 1997-1998 (quindi ancora in regime di vigenza del decreto ministeriale n. 457 del 1988).
Dall'esame delle risposte fornite dalle regioni sono risultati principalmente, come rifiuti importati negli anni 1997 e 1998 notevoli quantitativi di legno trattato (circa 1.800.000 tonnellate), ceneri e residui di alluminio (circa 160.000 tonnellate), accumulatori al piombo e altri; come esportato, miscele di vario tipo, ceneri e scorie metalliche varie.
Per una verifica incrociata dei dati forniti da regioni e province, sono stati chiesti all'Ice i dati relativi all'import/export di alcune tipologie di rifiuti inseriti nella lista ambra (in quanto soggetti ad autorizzazione da parte delle autorità competenti), per gli anni 1997 e 1998, restringendo il campo di informazione alle sole tipologie di rifiuti - di seguito riportate - per cui esiste l'armonizzazione tra il codice doganale e il codice OCSE, come specificato nelle liste allegate al regolamento n. 259/93: rifiuti da metallurgia dello zinco; rifiuti da metallurgia dell'alluminio; rifiuti da metallurgia del rame; rifiuti da metallurgia del piombo.


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Dal raffronto dei dati forniti dall'Ice con quelli trasmessi dalle regioni sono state riscontrate significative differenze per varie tipologie di rifiuti. In particolare, prendendo ad esempio il caso più eclatante, per quanto riguarda le importazioni, le regioni hanno comunicato di aver autorizzato l'ingresso in Italia di circa 150.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio a fronte di un quantitativo notevolmente inferiore - circa 21.000 tonnellate - comunicato dall'Ice; per le esportazioni, si nota la stessa situazione riscontrata per le importazioni. Infatti a fronte di circa 120.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio esportate secondo le regioni, l'Ice comunica che sono state esportate circa 20.000 tonnellate degli stessi rifiuti.
Al fine di individuare il motivo di un così evidente divario tra i dati forniti dalle regioni e quelli ricevuti dall'Ice, in special modo relativamente ai rifiuti di alluminio, sono stati presi in considerazione anche i dati in possesso del Ministero dell'ambiente, desunti dai certificati di avvenuto recupero relativi ai 2 anni in esame, considerato che, come noto, i rifiuti appartenenti alla lista ambra sono soggetti alla presentazione di una garanzia finanziaria che fino al novembre 1998 veniva accettata da quel Ministero e liberata dopo aver ricevuto dal destinatario i certificati di avvenuto smaltimento o recupero. Al Ministero dell'ambiente risultano esportate 38.100 tonnellate di ceneri di alluminio; un ulteriore dato diverso rispetto a quello delle regioni e dell'Ice.
Da quanto emerso sin qui, è agevole comprendere come fosse necessario un supplemento d'indagine, che non si limitasse al controllo cartolare. È per questo che la Commissione ha deliberato lo svolgimento di talune visite ispettive che sono state eseguite presso società che trattano rifiuti di alluminio e che lavorano gli scarti del legno. In alcuni degli stabilimenti visitati sono stati prelevati dei campioni, che poi la Commissione ha fatto analizzare.

4.4.1. Le imprese che trattano alluminio.
Dall'analisi dei dati doganali e regionali (per la parte relativa alle esportazioni), risultava che la società Fonderie Riva di Parabiago (Mi) importava ed esportava la stessa tipologia di rifiuto contraddistinto dal codice doganale 26204000.
Dalle informazioni avute dalla società Fonderie Riva, sono risultate importate dalla Slovenia schiumature di alluminio (individuate nella lista verde dei rifiuti e quindi non soggette ad autorizzazione) ed esportate ceneri di alluminio (inserite nella lista ambra e soggette quindi ad autorizzazione), entrambe col codice doganale 26204000.
Poiché le schiumature di alluminio sono sprovviste di un corrispondente codice doganale, la società ha ritenuto di utilizzare il codice doganale più affine ai rifiuti importati, come è risultato anche dai formulari prodotti.
Quindi, ciò che si sarebbe potuto configurare come traffico illecito in mancanza della richiesta di autorizzazione alla regione Lombardia e una non giustificata importazione/esportazioni della stessa tipologia di rifiuto, si configura invece come un utilizzo improprio del codice doganale giustificato dalla impossibilità di disporre dell'equivalente specifico codice doganale.


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4.4.2. Le imprese che trattano legno.
Il controllo presso le società che riciclano legno è stato effettuato al fine di conoscere la tipologia e le tecnologie di trattamento di tali rifiuti che - dai dati forniti dalle regioni - sono stati importati negli anni 1997 e 1998 per una quantità massiccia (circa 1.800.000 tonnellate).
Sono state visitate tre società che producono pannelli truciolari. La maggior parte del legno utilizzato è costituito da rifiuti di legno non trattato (lista verde). Il legno trattato (lista ambra) - autorizzato ad essere importato dalle regioni competenti - è costituito da rifiuti di costruzioni e demolizioni. Sono state effettuate anche analisi di tale legno trattato rinvenuto presso le predette ditte che confermano la non pericolosità del rifiuto da sottoporre a recupero.
Nel corso delle visite di cui sopra sono stati prelevati alcuni campioni sia di legno che di residui di alluminio, ambedue tipologie provenienti dall'estero. Dalle risultanze analitiche si è constatato che tali rifiuti sono da classificarsi speciali non pericolosi e come tali possono, quindi, essere riciclati nelle aziende sopracitate ai sensi del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
In qualche caso, parte dei materiali legnosi o di sfridi di lavorazione del truciolare viene adoperata come combustibile per la alimentazione di un termodistruttore per la generazione di vapore, utilizzato dalla azienda. Le ceneri di tale combustione sono da classificarsi come rifiuti pericolosi e, come tali, dati i valori di cessione dei metalli nell'eluato, devono essere adeguatamente sottoposti a processi di inertizzazione prima di essere conferiti in discarica di tipo 2B, oppure possono essere avviati, con costi più elevati, a discarica di tipo 2C senza subire trattamenti di inertizzazione.
A seguito dell'esame della documentazione acquisita e delle visite effettuate, questa Commissione ha riscontrato che: la mancanza di armonizzazione tra i codici doganali, Ocse, Cer e Basilea, non permette un'adeguata conoscenza dei flussi in ingresso ed in uscita dei rifiuti dal nostro Paese, né dalla Comunità europea; tra gli organi di controllo precedentemente menzionati (regioni, Ministero dell'ambiente, eccetera) le attività ispettive e di analisi, secondo la normativa vigente, vengono attribuite alle province, che possono utilizzare le strutture Arpa.
Dall'esame dei documenti pervenuti in Commissione, dalle informazioni ottenute per le vie brevi e dai sopralluoghi effettuati presso le diverse aziende, sono state riscontrate le seguenti problematiche: le informazioni che sarebbero dovute pervenire alle province da parte delle regioni, o dei notificatori, non giungevano a queste a causa della poca chiarezza della normativa di riferimento (decreto ministeriale n. 457 del 1988); le poche informazioni giunte non erano sufficientemente tempestive da consentire un efficace controllo; quando il controllo veniva effettuato, in rari casi, quasi sempre si trattava di controlli cartacei, basandosi quasi esclusivamente sull'esame della documentazione disponibile presso le ditte, in particolare sui registri di carico e scarico.


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Attualmente, con l'introduzione del decreto ministeriale n. 370 del 1998 - che attribuisce alle autorità regionali tutte le competenze sull'importazione e sull'esportazione dei rifiuti - dovrebbero essere superati i problemi legati al flusso di informazioni ed alla tempestività delle stesse, in considerazione del fatto che le province potrebbero a loro volta attivare le Arpa.

4.5. Gli impianti Orim e Loro srl (ex Bonfranceschi) nella regione Marche.
4.5.1. L'impianto Loro srl (ex Bonfranceschi) di Loro Piceno (Mc).
La titolarità dell'impianto dall'1 agosto 2000 è passata dalla Bonfranceschi alla società Loro srl. Alla Bonfranceschi rimane una quota di minoranza intorno al dodici per cento. Si tratta di un'area di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. A tale area i rifiuti pervengono da altre aree di stoccaggio, dislocate prevalentemente in zone del nord Italia e da un'area della stessa ditta situata a circa venti chilometri, in località Colbuccaro, e considerata area di pre-stoccaggio. Il sito di Colbuccaro non sarebbe munito di alcuna autorizzazione allo stoccaggio. Si è rilevato, durante il sopralluogo, che le condizioni di rispetto della legge n. 626 sono quasi del tutto assenti. Il trattamento di inertizzazione di rifiuti pericolosi avviene sin dal 1999 miscelando, di norma, segatura di legno (che assorbe i solventi, ma non può evitare il rilascio in caso di piogge in discarica) ed idrato di calcio.
Tali condizioni di trattamento non danno alcuna garanzia di stabilizzazione del rifiuto. Inoltre, la segatura in cui possono concentrarsi i solventi può costituire veicolo di innesco di incendi nella discarica. Le condizioni di housekeeping del piazzale lasciano molto a desiderare.
Le aree di stoccaggio dei fusti non sono ben accessibili per eventuali ispezioni e mancano del tutto di un sistema di captazione di odori ed emissioni. Ciò è stato oggetto di ripetute lamentele da parte delle popolazioni locali.
Le acque di dilavamento dei piazzali pervengono in due pozzi costruiti con anelli in cemento sovrapposti, in maniera tale che gli spazi tra due anelli successivi non assicurano una perfetta sigillatura dei volumi di liquido in essi immesso, con la conseguente possibilità che questo possa migrare nel suolo e successivamente nella falda. L'impianto non è dotato di sistema di depurazione. I rifiuti pericolosi, una volta trattati come detto, vengono avviati nelle discariche del centro-sud Italia (immobildaunia di Foggia, Sogenus di Ancona, Geta di Ascoli Piceno) e in qualche caso in impianti di recupero (Recuperi Pugliesi di Modugno). Quest'ultimo caso appare assai strano e merita ulteriori approfondimenti.
I collegamenti di tale impianto con altre aree di stoccaggio e trattamento (Eurocom di Capalbio, Vallesabbia di Brescia, Sev di Treviso, Sem di Isernia, Vidori di Motta di Livenza, Nuova Esa di Treviso, Servizi Costieri di Porto Marghera), coordinati dalla ditta di intermediazione commerciale Rossi di Garate, mostrano ancora una


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volta che è molto difficile risalire al produttore iniziale del rifiuto, una volta che questo sia stato conferito al primo detentore.
I contratti di smaltimento vengono perfezionati dal produttore del rifiuto con la commerciale Rossi di Garate che poi lo smista, a seconda delle necessità del momento, in uno dei predetti centri di stoccaggio e trattamento. I rifiuti liquidi che pervengono allo stoccaggio ex Bonfranceschi sono avviati ad Ascoli presso la Uniced, o ad Isernia presso la Sim, o alla Sea di Ancona. In qualche caso i solventi esausti sono inviati alla Nitrol Chimica. Recentemente, dopo la visita della Commissione, l'impianto è stato sottoposto a chiusura temporanea a seguito di una doppia ordinanza del sindaco di Loro Piceno e della provincia, finché l'impianto non sarà messo a norma secondo le prescrizioni delle autorizzazioni, con particolare riferimento alle emissioni maleodoranti.

4.5.2. L'impianto di stoccaggio della società ORIM (Mc).
Tale società ha come oggetto sociale il trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. Nel corso della visita, i consulenti riscontravano diverse violazioni sia di carattere ambientale che relativamente alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Veniva effettuata così, qualche giorno dopo, una seconda visita (luglio 2000), alla quale prendevano parte il Presidente della Commissione, consulenti della stessa ed il dottor Siddi, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Macerata. Nel corso di tale visita, veniva riscontrato che alla società era stata rilasciata un'autorizzazione molto ampia, che consente l'effettuazione di moltissime attività di trattamento di rifiuti.
A fronte di tale autorizzazione, a seguito della visita presso i magazzini dove la società svolge le proprie attività, veniva riscontrato che la stessa non dispone di macchinari adeguati per l'effettuazione di alcune delle numerose attività elencate nell'autorizzazione.
A specifica richiesta di mostrare il funzionamento dell'apparecchiatura che serve a recuperare ed a trattare oli nei trasformatori, il titolare della Orim comunicava di non essere in grado di farla funzionare, perché la stessa era stata acquistata di recente. Nel corso del sopralluogo veniva notata la presenza nei magazzini di stoccaggio provvisorio di notevoli quantità di trasformatori.
Inoltre, i rifiuti, gran parte dei quali pericolosi, in attesa di eventuale trattamento erano contenuti in fusti che erano stati stoccati in maniera caotica, non consentendo un facile accesso nei loro pressi. Veniva riscontrato che la fotocopia del formulario di identificazione di taluni di tali rifiuti riportava la data di consegna alla Orim antecedente i sei mesi, consentiti dalla normativa vigente in tema di stoccaggi provvisori. Infine, gli impianti di aerazione dei capannoni non erano funzionanti. Nonostante ciò, i dipendenti della Orim lavoravano all'interno degli stessi, non utilizzando alcun sistema di precauzione. Quanto sopra esposto induceva il sostituto dottor Siddi ad emettere un decreto di sequestro preventivo della ditta della durata di novanta giorni, nel corso dei quali veniva fatto obbligo alla società di predisporre i locali ed i rifiuti in essi contenuti in normali condizioni di utilizzo.


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Va fatto presente che in un capannone all'aperto della Orim, circa tre mesi prima della visita della Commissione, era scoppiato un incendio (giugno 2000) che aveva distrutto alcuni rifiuti pericolosi. In particolare, l'incendio aveva interessato diversi big-bags contenenti rifiuti pericolosi, computers obsoleti, fusti di fanghi provenienti da cabine di verniciatura contenenti vari solventi organici, filtri di macchinari industriali impregnati d'olio e diversi altri materiali pericolosi. Già in quell'occasione, peraltro, gli accertamenti compiuti dalle forze di polizia giudiziaria avevano riscontrato una scorretta gestione di tali attività da parte dell'azienda, in violazione delle prescrizioni regionali, oltre che la non rispondenza al progetto di alcuni capannoni in fase di realizzazione, destinati alla gestione dei rifiuti.
Elemento caratterizzante, sia di tale episodio che della situazione riscontrata successivamente dalla stessa Commissione, è la totale assenza di controlli efficaci da parte degli organi deputati. Infatti, quanto evidenziato dalla Commissione non è dovuto a situazioni contingenti ed impreviste. Non si comprende che tipo di controllo sia stato effettuato presso gli impianti della Orim prima di concedere l'autorizzazione e, successivamente a questa, se sia mai stata controllata l'attività della società. Ciò, a parere della Commissione ed alla luce di quanto si è dovuto registrare nel corso delle visite all'impianto, quand'anche avvenuto, non ha certamente sortito risultati efficaci. Non risulta alla Commissione che relativamente ai fumi di combustione dei rifiuti pericolosi, a seguito dell'incendio sopra detto, siano state effettuate, da parte dell'Arpa, analisi chimiche relative alla presenza di diossine, idrocarburi policiclici aromatici, furani, metalli tossici nel particolato, sostanze organiche tipiche di combustioni incontrollate. Non risulta poi al momento tecnicamente credibile il trattamento adottato per i residui di caprolattame Enichem provenienti da impianti della regione Puglia e che ha comportato successivamente lo smaltimento presso la discarica Sogenus di Ancona.
La Commissione rileva comunque positivamente che nel corso dell'ulteriore visita all'impianto, effettuata il 26 febbraio 2001, la situazione è apparsa molto migliorata sotto il profilo delle modalità di gestione dei rifiuti nel sito.

4.6. Le relazioni territoriali del secondo biennio di attività.
Successivamente all'approvazione della relazione sul primo biennio di attività, la Commissione ha proseguito il suo lavoro di analisi e conoscenza del ciclo dei rifiuti nelle diverse realtà territoriali italiane. È pertanto proseguita l'elaborazione e la predisposizione di relazioni territoriali, così come sono proseguite le missioni e i sopralluoghi che le delegazioni della Commissione hanno svolto nelle diverse regioni italiane.
Il 16 dicembre 1999 è stata approvata, all'unanimità, la relazione territoriale sulla Lombardia (33) nella quale è stato rilevato che


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questa regione presenta una situazione conforme alla legislazione vigente, pur avendo attraversato nel recente passato situazioni di emergenza, la più rilevante delle quali ha riguardato la città di Milano, determinata dalla chiusura della discarica di Cerro Maggiore. Proprio tale evento ha rappresentato lo stimolo per l'avvio di una nuova fase nel ciclo dei rifiuti nel capoluogo lombardo, contrassegnata dalla raccolta separata secco/umido e dalla raccolta differenziata «porta a porta» delle frazioni secche. In città è stato poi realizzato un impianto per la stabilizzazione della frazione umida, con produzione di compost per riempimento, nonché una rete di piccole riciclerie che hanno soddisfatto il fabbisogno della raccolta. Interventi d'emergenza che hanno tuttavia dimostrato sinora la validità di quelle scelte, in attesa che entrino a regime i nuovi impianti di smaltimento programmati nella stessa città. Non si può tuttavia dimenticare che nella realizzazione di tale progetto una parte consistente dei rifiuti milanesi ha imboccato strade illecite, come la Commissione ha potuto direttamente constatare nel corso di sopralluoghi fatti in capannoni dismessi localizzati in provincia di Roma e di Latina, dove erano state abusivamente stoccate centinaia di tonnellate di rifiuti provenienti da Milano. Inoltre la Commissione ha seguito l'indagine condotta dalla Procura di Ravenna relativa all'incendio che ha distrutto centinaia di tonnellate di rifiuti provenienti da Milano, là stoccate in attesa dell'invio alla centrale Enel di Fusina per mai programmati esperimenti di bruciatura.
La Commissione nella sua relazione sulla Lombardia ha comunque voluto sottolineare la necessità di difendere gli obiettivi positivi raggiunti e di impegnarsi per il loro miglioramento. Si tratta di appelli che ad oggi appaiono non sufficientemente ascoltati, giacché non vi è stato un effettivo impulso alla strategia del ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani, mentre si è privilegiata la strada della termodistruzione, con difficoltà che fanno temere un prossimo ritorno della città di Milano alla stagione dell'emergenza.
Il 19 gennaio 2000 è stata approvata, all'unanimità, la relazione territoriale sulla Calabria (34), una delle quattro regioni tuttora in stato d'emergenza per quanto concerne il ciclo dei rifiuti. Nel testo la Commissione ha evidenziato l'esistenza di una serie di elementi concorrenti che finiscono per rappresentare un serio ostacolo alla realizzazione di una corretta politica di gestione dei rifiuti: l'arretrato stato di attuazione della pianificazione relativa all'individuazione dei siti di smaltimento (il primo strumento pianificatorio è giunto solo con il commissariamento della regione!); l'inadeguatezza del sistema dei controlli (l'Agenzia regionale per l'ambiente è tuttora una struttura più virtuale che reale); la fitta rete di collusioni di esponenti di amministrazioni pubbliche e imprenditori del settore con le organizzazioni criminali operanti sul territorio.
Nel corso di un successivo seminario pubblico svoltosi a Reggio Calabria, proprio sull'istituto del commissariamento, si è tuttavia avuto modo di apprendere come gli interventi programmati dalle strutture

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commissariali siano in corso di realizzazione, e come siano anche state superate - con una difficile ma produttiva «strategia del consenso» - molte delle opposizioni che gli enti locali, i cittadini e i comitati in cui questi si raccolgono avevano mostrato non solo nei confronti degli impianti di termodistruzione (notoriamente i più difficili da localizzare sul territorio) ma anche di più semplici impianti di compostaggio. La Calabria pare quindi avviata, in tempi più rapidi rispetto alle altre regioni in emergenza, ad un ritorno alla normalità, benché anche per questo territorio lo stato di emergenza sia stato prorogato sino al 31 dicembre 2002.
Da rilevare, in particolare, come le strutture commissariali abbiano individuato per il superamento dell'emergenza la scelta della separazione «a monte» secco-umido, privilegiando la strada della produzione di compost di qualità, così rispondendo in maniera positiva ad un territorio ancora a forte vocazione agricola e che - anche grazie a una riduzione dell'uso di additivi chimici - può trovare una sua collocazione nel mercato di qualità. In qualche modo collegato a quest'aspetto vi è il lato negativo delle tante discariche «provvisorie» aperte nel corso degli anni dai sindaci calabresi, che di fatto inquinano il territorio della regione. Le strutture commissariali hanno individuato e chiuso oltre 350 discariche aperte ex articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 915 del 1982, successivamente ex articolo 13 del decreto legislativo 22 del 1997. Il dato più rilevante è che gli stessi enti locali hanno in diversi casi «rotto i sigilli» e continuato ad utilizzare siti inadeguati per il loro impatto sul territorio, vuoi per un non condivisibile (in tal caso) istinto al risparmio, vuoi perché a questo obbligati dai proprietari effettivi delle aree adibite a discarica, spesso legati alla criminalità organizzata.
Il 12 luglio 2000, sempre all'unanimità, è stata approvata la relazione sulla Basilicata (35), unica tra le regioni meridionali a non essere in stato d'emergenza per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti, al punto da essere, oggi, in condizioni di offrire un aiuto alla Campania alle prese invece con una drammatica fase di emergenza nell'emergenza, come si vedrà in altra parte di questa relazione. Secondo quanto rilevato dalla Commissione, in Basilicata si registra una buona capacità di lettura dei fenomeni connessi al ciclo dei rifiuti da parte di tutte le istituzioni interessate, al di là di ritardi (comuni peraltro ad altre regioni italiane) nell'adeguamento della pianificazione regionale alla normativa nazionale.
La Commissione ha comunque rilevato la congruità del piano regionale in discussione - sempre che le province attuino in tempi rapidi la programmazione sul territorio - nonché il fatto che in Basilicata sia stata attivata l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente prima di tutte le altre regioni meridionali e prima di importanti realtà territoriali del Settentrione (ad esempio la Lombardia). Inoltre, la Regione Basilicata ha istituito, e rinnovato, un Osservatorio su ambiente e legalità che - al di là dell'attività operativa quotidiana - si presenta come importante momento di raccordo tra

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le diverse istituzioni preposte al controllo e alla vigilanza nel ciclo dei rifiuti.
Esistono naturalmente temi di grande rilevanza che attendono ancora una loro soluzione, com'è il caso dei rifiuti radioattivi presenti presso il centro Enea della Trisaia o com'è il caso della vulnerabilità dei pozzi per le prospezioni petrolifere in alcuni casi utilizzati per lo sversamento illecito di rifiuti, anche pericolosi.
Il 7 febbraio 2001 è stata approvata, all'unanimità, la relazione sul Veneto e sul Friuli-Venezia Giulia (36); nel testo si è sottolineato come - dal punto di vista della pianificazione e della programmazione - il Veneto si ponga in posizioni di avanguardia a livello nazionale relativamente al ciclo dei rifiuti solidi urbani, che mostra significative performances in materia di raccolta differenziata e recupero del materiale, grazie ad un'attività anche precedente all'introduzione del decreto legislativo 22 del 1997. Una situazione complessivamente buona, che tuttavia fa registrare situazioni di sofferenza in particolare in provincia di Rovigo. Il Friuli-Venezia Giulia, invece, sempre in merito al ciclo dei rifiuti solidi urbani, presenta una situazione più omogenea e tuttavia lontana dagli obiettivi imposti dalla legge. Per quanto riguarda invece i rifiuti speciali, entrambe le regioni sono dotate di soluzioni di smaltimento e trattamento idonee a soddisfare i rispettivi fabbisogni ed anche a ricevere rifiuti prodotti in altre regioni italiane. Il che, peraltro, fa nascere anche situazioni di sofferenza, come quella registrata a Premariacco, in Friuli-Venezia Giulia, dove si registra un'elevata concentrazione di discariche per rifiuti speciali.
La Commissione ha voluto inoltre mettere in evidenza come anche questi territori siano sempre più interessati da fattispecie criminali, nell'ambito di traffici illeciti che negli ultimi anni hanno cominciato a seguire la direttrice nord-nord, e ai quali non sono estranei elementi contigui alla criminalità organizzata. Sono stati infine segnalati rilevanti casi di inquinamento, quali le aree utilizzare per interramenti di rifiuti a Porto Marghera ed il sito ex Esso di via Errera a Trieste.
In data 20 febbraio 2001 è stata approvata, all'unanimità, la relazione su Toscana ed Umbria (37) che ha evidenziato - per quanto riguarda la Toscana - il buon grado di lettura del territorio e delle sue esigenze nell'ambito delle attività di pianificazione. La regione ha infatti disposto una attenta verifica dei dati stimati in merito alla produzione di rifiuti, soprattutto gli speciali, grazie alla quale è pervenuta a disegnare un quadro di fabbisogno impiantistico effettivamente tarato sulle esigenze del territorio di competenza. Allo stesso modo, la pianificazione per i rifiuti solidi urbani, riscontra i principi cui si ispira la normativa nazionale, anche se si deve registrare un ritardo in merito all'effettiva applicazione di detti principi in concrete soluzioni. Lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda la regione Umbria, che tuttavia solo in tempi molto recenti ha predisposto

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uno strumento di pianificazione per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti. Va detto comunque che gli enti locali di questa regione hanno da tempo attuato politiche di gestione in grado di rispondere in maniera positiva agli obiettivi imposti dalla legge.
Sia in Toscana che in Umbria, comunque, la Commissione ha dovuto constatare la presenza di impianti di termovalorizzazione di rifiuti realizzati (o in corso di realizzazione) al di fuori di qualsiasi pianificazione, perché presentati come impianti per la produzione di energia alimentati con rifiuti, dunque richiedendo le autorizzazioni ad altri uffici regionali. Appare necessario, quindi, un maggior coordinamento anche tra gli stessi uffici regionali, tale per cui non si debbano verificare situazioni paradossali quali un sovradimensionamento nell'impiantistica, o - peggio - il vanificarsi dell'attività di pianificazione.
Per quanto riguarda la Toscana, infine, la Commissione ha registrato l'intento di associazioni criminali di stampo camorristico di riciclare gli utili derivanti da attività nel ciclo dei rifiuti in strutture turistiche; a questo proposito è stato comunque rilevato come le attività d'indagine delle direzioni distrettuali antimafia di Firenze e Napoli abbiano consentito di trarre in arresto sei soggetti affiliati alla camorra, e di confiscare i beni di cui si è detto. Resta naturalmente la necessità di mantenere un attento controllo sul territorio e sulle attività economiche, per impedire che nuovi, possibili, tentativi di infiltrazione criminale possano avere successo.
Il 28 febbraio 2001, all'unanimità, la Commissione ha approvato la relazione sulla Sardegna (38), dove si è rilevata la presenza di uno strumento di pianificazione regionale in linea con il dettato della normativa nazionale, che però non ha ancora trovato concreta applicazione sul territorio; la dimostrazione è data dal fatto che la raccolta differenziata ed il recupero di materiale riguardano ancora una quota assai marginale della produzione dei rifiuti. Più soddisfacente è la situazione connessa allo smaltimento dei rifiuti speciali, grazie soprattutto alla presenza di impianti «in contro proprio» delle aziende produttrici. Si deve tuttavia registrare una situazione pregressa di micro e macro inquinamenti, risalenti al periodo in cui la progressiva industrializzazione dell'isola ha tenuto in scarso conto le tematiche ambientali in generale, e quelle connesse al ciclo dei rifiuti in particolare.
La Sardegna, inoltre, è insieme alla Sicilia l'unica a non essersi ancora dotata di un'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, il che evidentemente comporta problemi sia in ordine ad un efficace sistema di controllo amministrativo, sia in ordine al monitoraggio costante delle attività che hanno impatto sul territorio, nonostante l'attività svolta in questo campo dalla stessa regione.
Alla luce anche di recenti fenomeni illeciti (traffici di rifiuti diretti allo smaltimento abusivo in Sardegna), la presenza di un'Agenzia regionale di protezione dell'ambiente efficace ed efficiente appare davvero una priorità.

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5. Le situazioni di emergenza esaminate dalla Commissione.

5.1. Le problematiche connesse alla Bse.
5.1.1. La Bse e gli scarti da macellazione
.
La Commissione, in relazione all'allarme Bse, ha approfondito quegli aspetti della filiera delle carni relativi allo smaltimento degli scarti da macellazione e delle farine animali (materiale specifico a rischio), pervenendo all'approvazione del «Documento sullo smaltimento degli scarti da macellazione e delle farine animali. Prime indagini e riflessioni sull'attuale sistema normativo e sul funzionamento del mercato» 
(39).
Il documento è frutto di una serie di attività conoscitive e di analisi condotte su un campione rappresentativo della situazione nazionale nel settore. Sono stati presi in considerazione, infatti, i mattatoi che - secondo i dati forniti dal Ministero della sanità - lavorano i maggiori quantitativi di carne bovina prodotta nell'intero territorio; gli stabilimenti di pretrattamento autorizzati e l'impianto d'incenerimento di Brescia che, insieme a quello di Cagliari, risulta abilitato ad oggi alla distruzione delle farine animali ottenute dal materiale specifico a rischio e ad alto rischio prodotto in ambito nazionale.
Sono stati sentiti il ministro per le politiche agricole e forestali, il sottosegretario di Stato alla sanità ed il commissario straordinario per l'emergenza Bse, i rappresentanti delle associazioni di categoria (Assograssi e Assalzoo), il responsabile dell'Istituto superiore di sanità, il presidente dell'Agea ed il direttore dell'Anpa.

5.1.2. Le principali problematiche riguardanti le attività di trasformazione e distruzione dei rifiuti di origine animale.
Dalle visite effettuate, è risultato che la procedura per lo smaltimento del materiale specifico a rischio utilizzata dalla quasi totalità degli operatori, è quella dell'incenerimento del materiale specifico a rischio previo pretrattamento del medesimo, essendo peraltro quella diretta assai più costosa.
Secondo i dati del censimento effettuato dall'Anpa degli impianti d'incenerimento di rifiuti solidi urbani, sanitari e speciali, nonché degli impianti di coincenerimento presenti sul territorio, in Italia vi sono circa 99 impianti di incenerimento il 20 per cento dei quali, tuttavia, non è ancora disponibile, spesso a causa di problemi tecnici di adeguamento delle emissioni alla normativa vigente. Inoltre, secondo il dato fornito dal commissario per l'emergenza Bse, dei predetti 99 impianti d'incenerimento disponibili, 42 sono gli inceneritori per rifiuti urbani.
Per la termodistruzione delle farine animali possono essere utilizzati anche i cementifici, la cui omogenea dislocazione geografica sul territorio (circa 61) risolverebbe anche diversi problemi di tipo organizzativo e di trasporto del materiale specifico a rischio, oltre che di remunerazione del servizio. Si pensi solo che nelle regioni meridionali


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non vi sono stabilimenti d'incenerimento, mentre sono presenti 15 cementifici.
Certo, anche per i cementifici si pone un problema di idoneità alle operazioni di smaltimento ma, secondo calcoli attendibili forniti dal commissario straordinario per l'emergenza Bse, la loro capacità dovrebbe essere più che sufficiente a coprire il fabbisogno prevedibile di mercato. Occorre prestare per essi una particolare attenzione alla fase di carico e di alimentazione, come avviene in altri paesi europei: lo smaltimento, infatti, avviene a temperature che assicurano la distruzione del «prione», ma il cosiddetto «sporco di filiera» determina livelli di contaminazione nell'area, attraverso le farine, oltre che nei sistemi filtro, facendo ritrovare materiale contaminato (amminoacidi) persino nelle ceneri, nonostante esse abbiano subito temperature molto elevate.

5.1.3. I problemi di smaltimento del grasso e del sangue bovino.
Problemi particolari si pongono per lo smaltimento del grasso e del sangue bovino. Per quanto concerne il primo, seri motivi di preoccupazione derivano dalla giacenza presso gli impianti di pretrattamento di notevoli quantitativi di grassi risultanti dal processo di colatura degli scarti animali, in attesa che vengano chiarite le destinazioni di tali grassi.
Al riguardo, la Commissione auspica un sollecito intervento dell'organo esecutivo, che ponga fine all'attuale stato di blocco del settore (con costante e preoccupante aumento dei quantitativi in deposito presso le aziende), prevedendo, anzitutto, un ammasso pubblico anche per i grassi animali, al fine di consentire alle imprese di continuare il ciclo di lavorazione e di tutelare un corretto smaltimento; in secondo luogo, chiarendo le possibilità di utilizzo di tali grassi ed, in particolare, predisponendo norme che consentano l'uso come combustibile, presso le centrali termiche, dei grassi ottenuti dal materiale a rischio specifico.
Quanto allo smaltimento del sangue, i problemi derivanti dall'esistenza in Italia soltanto di due impianti tecnologicamente attrezzati, disponibili in Italia, sono stati affrontati positivamente dalla recente circolare del Ministero della sanità 16 febbraio 2001, che ha previsto la distruzione mediante incenerimento o coincenerimento del sangue proveniente da animali abbattuti ai sensi del regolamento 2777/2000 Ce, autorizzando il trattamento presso gli impianti autorizzati al basso ed all'alto rischio.

5.1.4. Il funzionamento del mercato dei rifiuti di origine animale ed i costi elevati di smaltimento.
I lavori della Commissione hanno evidenziato anzitutto il costo elevato dello smaltimento del materiale specifico a rischio tal quale per le ragioni sopra esposte. A determinare una lievitazione dei costi di mercato nella procedura d'incenerimento previo trattamento concorre, invece, la dislocazione non omogenea sul territorio nazionale delle


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poche aziende autorizzate alle attività di pretrattamento, che determina altresì l'esposizione a possibili attività illecite da parte di operatori attratti dal facile business, secondo quanto la stessa Commissione ha potuto verificare ed hanno altresì rappresentato gli operatori del settore.
Un altro profilo da evidenziare riguarda i pericoli insiti nell'inidoneità dei processi di pretrattamento ad eliminare con certezza il «prione» agente della Bse e, di conseguenza, il pericolo per la diffusione dello stesso nell'ambiente, rischio rilevante anche per le grandi quantità di materiali da trattare.
D'altra parte, proprio la scarsa presenza di aziende abilitate alle attività di lavorazione e trasformazione degli scarti da macellazione e la loro non funzionale dislocazione geografica, ha determinato una proliferazione delle strutture di stoccaggio temporaneo degli scarti tal quali, sì da ovviare all'eccessiva distanza degli impianti di pretrattamento dalle zone di produzione, ma con costi aggiuntivi notevoli nella filiera e grosse difficoltà per l'attività di controllo sulla movimentazione delle carni bovine e dei prodotti derivati. La filiera, così come strutturata ad oggi, dipende anche dalla convenienza del produttore ad inviare il materiale specifico a rischio agli operatori intermedi (vedi stoccaggi provvisori), al fine di ridurre i propri costi di smaltimento.
Tale situazione, se non sarà modificata nel breve periodo, oltre ad agire sui prezzi di mercato - facilmente condizionabili da parte di coloro che assicurano la distruzione del materiale a rischio previo trattamento - è altresì foriera di facili violazioni da parte di operatori senza scrupoli. La scarsa chiarezza della normativa d'emergenza circa i soggetti destinatari dell'indennità per la distruzione del materiale specifico a rischio, ingenera ulteriore confusione e possibilità di speculazione. Un'equa ripartizione delle indennità fra tutti coloro che concorrono al processo sembra essere comunque la soluzione generalmente accolta dagli operatori del settore, oltre che la più corretta perché evita che sui produttori dei materiali a rischio finiscano col gravare costi esosi di smaltimento, spingendoli ad affidare i materiali ai centri di stoccaggio temporaneo al fine di ridurre i propri costi di smaltimento. Sarebbe comunque opportuno sul punto un intervento chiarificatore da parte del governo.
Da ultimo, la Commissione deve rilevare la necessità di chiarire al più presto alcune modalità di eliminazione dei rifiuti di origine animale, ponendo la distinzione su quanto va effettivamente distrutto mediante incenerimento o coincenerimento e quanto, invece, può essere riutilizzato in zootecnia, nell'industria farmaceutica e altro. L'orientamento, sia a livello comunitario che governativo, sembra quello di favorire la distruzione anche del materiale a basso rischio, prevedendone un utilizzo esclusivamente per la produzione di alimenti per animali familiari, prodotti tecnici e farmaceutici. Anche il recente decreto legge 14 febbraio 2001, n. 8 - che ha introdotto ulteriori interventi urgenti ed agevolazioni per operatori chiamati a fronteggiare l'emergenza Bse - pare muoversi in questa direzione, laddove ha previsto che l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura provveda all'incenerimento o coincenerimento delle proteine animali trasformate finora destinate all'ammasso pubblico.

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La decisione, pur se non risolutiva della crisi del mercato, interviene finalmente in una situazione di mercato in forte crisi ed appare ispirata all'esigenza, del tutto condivisibile, di evitare ogni rischio di contaminazione fra tipi di farine diverse, nonché il pericolo di una distribuzione della farina ottenuta dal materiale a basso rischio, che rimane comunque vietata per l'alimentazione animale.

5.1.5. I rapporti tra alcune imprese della filiera.
La Commissione ha dovuto registrare l'esistenza di collegamenti diretti o indiretti tra alcune delle società di pretrattamento con altre aziende che operano nel settore e che, in molti casi, hanno rilevanza nazionale, di cui ha dato ampio conto nella relazione citata, alla cui lettura si fa rinvio.
Tale situazione legittima le perplessità della Commissione in ordine alle concrete possibilità che si realizzi un equilibrio del mercato e la trasparenza dei servizi, tenuto anche conto di altri fattori di disturbo come la scarsità ed inadeguatezza degli impianti, il crollo delle vendite nel settore, le incertezze sulle possibilità di utilizzo di taluni materiali a rischio ed altro. Né possono sottovalutarsi le possibili conseguenze negative che potrebbero derivare dalla registrata proliferazione di attività intermedie nel ciclo produttivo delle carni bovine: il riferimento, nel caso di specie, è ai numerosi centri di stoccaggio temporaneo del materiale specifico a rischio e ad alto rischio, che si prestano ad operazioni di smistamento incontrollato ed illegale degli scarti stoccati. Inoltre, le suddette attività intermedie non aiutano a ricostruire i vari passaggi della filiera e, quindi, a risalire ai quantitativi prodotti e smaltiti; occorre che, almeno, vengano intensificati i controlli su tali attività, al fine di ridurre il pericolo della commissione di violazioni pericolose per la salute collettiva.

5.1.6. Il problema dei controlli.
La proliferazione delle fasi di stoccaggio e dei conseguenti trasporti favorisce - come si è detto - la commissione di violazioni, poiché aumenta la possibilità di sottrarsi ai controlli previsti dalla normativa vigente, con conseguenze negative sia per il mercato che per la tutela della salute pubblica.
La situazione è complicata dal fatto che al materiale a rischio, da smaltire secondo i criteri dettati dalla normativa d'emergenza, si aggiunge quello degli animali deceduti per cause naturali, in quantitativi che sono, purtroppo, difficilmente stimabili, secondo quanto la Commissione ha registrato nel corso dell'inchiesta. Da ciò consegue l'estrema difficoltà di verifica delle violazioni: il permanere di destinazioni finali diverse delle farine animali prodotte dal materiale a basso rischio ed a rischio specifico, e la possibilità di ottenere indennità per lo smaltimento delle seconde (ai sensi del decreto-legge 11 gennaio 2001, n. 1), consentirebbe facili spostamenti di grosse quantità da una categoria all'altra, in funzione dei maggiori profitti, nonché un aumento dei quantitativi mediante false dichiarazioni attestanti operazioni


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mai effettuate o non rispondenti al vero e difficilmente riscontrabili. Gioverebbe al sistema che venissero al più presto chiarite alcune modalità di eliminazione dei rifiuti di origine animale e si operasse la distinzione tra quanto va effettivamente distrutto e quanto, invece, può essere riutilizzato in zootecnia, nell'industria farmaceutica ed altro.
Tornando all'analisi della filiera, l'intero sistema rivela la necessità di potenziare i controlli sulla movimentazione dei bovini, in modo da assicurare la loro rintracciabilità e quella delle loro carni, dalla macellazione allo smaltimento finale degli scarti e delle farine animali, passando attraverso le fasi intermedie del trasporto, stoccaggio e pretrattamento.
A tal fine, occorre dotare anzitutto la banca dati per l'identificazione e la registrazione del bestiame, che non opera ancora a regime, dei mezzi e delle risorse necessarie. Vanno, poi, definite le modalità di controllo dell'intero sistema, compresa la predisposizione di un protocollo di monitoraggio specifico per le attività di trasformazione e gli impianti d'incenerimento con i loro prodotti finali (le ceneri).
Bisogna in ogni caso garantire che le operazioni di pretrattamento avvengano con le più rigorose garanzie ed i più rigorosi controlli sanitari ed ambientali. Ciò soprattutto in relazione al fatto che il «prione» può sopravvivere alle temperature che si raggiungono nei processi industriali di pretrattamento e pertanto potrebbe essere rilasciato nelle acque e, peggio, finire nei fanghi di depurazione che vengono poi usati come fertilizzanti e concimi.

5.1.7. Brevi cenni sulla natura degli scarti da macellazione e delle farine proteiche.
La Commissione europea ha ritenuto che le attività di raccolta, trasporto, trasformazione e commercializzazione dei rifiuti di origine animale ricadessero nell'ambito della direttiva 90/667/Ce, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 508 del 1992, muovendo, sostanzialmente dalla considerazione che tali rifiuti non destinati al consumo umano non possono considerarsi «rifiuti» ed essere assoggettati alla relativa disciplina, quando vengono soltanto trasformati per essere immessi nel ciclo produttivo.
I recenti interventi per fronteggiare l'emergenza Bse (nazionali e comunitari) sembrano, però, aver indotto la Commissione europea a porsi nuovamente il problema della natura e di una corretta ed omogenea classificazione degli scarti e delle farine animali. La recente proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, infatti, prevede che i prodotti di origine animale, trasformati e non, sono da considerare rifiuti, sia quando essi sono destinati ad operazioni di eliminazione (come l'incenerimento), che nel caso in cui vengano avviati al recupero (coincenerimento) o immessi sul mercato a determinate condizioni. I controlli su tali attività saranno pertanto finalizzati a garantire che i rifiuti siano eliminati o recuperati in modo tale da proteggere la salute umana e l'ambiente, ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti. La Commissione valuta altresì favorevolmente l'orientamento verso una codificazione Cer di tali rifiuti espressa sempre in sede comunitaria.


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Quanto si è esposto sull'evoluzione della normativa comunitaria, avvalora la tesi - condivisa dalla Commissione - che la materia de qua è assoggettata alla disciplina del «decreto Ronchi», tranne nell'attuale fase di emergenza (cioè fino al 31 dicembre 2001), in cui la normativa speciale d'emergenza si pone come deroga alla norma generale («decreto Ronchi» e successivi decreti ministeriali attuativi), trattandosi sempre di rifiuti di origine animale. Va, però, rimarcato che anche nell'attuale fase di emergenza le operazioni d'incenerimento dei rifiuti di origine animale devono ritenersi soggette alla disciplina del «decreto Ronchi», con tutte le conseguenze che ne discendono in tema di autorizzazioni ed organi deputati ai controlli (Arpa, asl).
La Commissione valuta favorevolemente la risposta tempestiva da parte dei dicasteri preposti (sanità, ambiente, e politiche agricole e forestali) a fronteggiare la situazione di emergenza Bse, ma non può trascurare, per un verso le numerose difficoltà che permangono a livello organizzativo e di coordinamento fra le strutture delegate ai controlli, nonché di rafforzamento dei controlli stessi; dall'altro, i problemi di pratica attuazione della normativa esistente con le conseguenze sul meccanismo di funzionamento della filiera che si sono viste sopra.

5.2. I rifiuti radioattivi.
Come già riferito nel documento XXIII n. 27 del 29 aprile 1999, i rifiuti radioattivi hanno origine sia dalle pregresse attività degli impianti nucleari (reattori elettronucleari, reattori di ricerca, impianti sperimentali del ciclo del combustibile, laboratori nucleari di ricerca, ecc) sia dall'impiego di radioisotopi in campo medico, radiodiagnostico e radioterapico, nella ricerca scientifica, nonché dall'uso di sorgenti radioattive sigillate, nel settore tecnologico, laboratori ed in edifici civili (misure di livello, di umidità, di elettricità statica, parafulmini, rivelatori di incendio ecc). Altri rifiuti radioattivi, per centinaia di metri cubi, sono la conseguenza di bonifiche effettuate in impianti industriali che per eventi incidentali sono rimasti coinvolti in episodi di contaminazione radioattiva. Anche particolari processi industriali, come per esempio quelli impiegati per la produzione di acido fosforico negli stabilimenti petrolchimici di Gela e di Porto Marghera, possono generare, nei residui di lavorazione, sostanze contaminate da Radio 226 (fosfogessi ed apparecchiature di processo) perché utilizzano materie prime (ad esempio fosforite) contenenti piccole quantità di uranio naturale (da 20 a 100 ppm).
Altri rifiuti radioattivi (in termini volumetrici, oltre 100.000 m3) verranno prodotti dallo smantellamento di tutti gli impianti nucleari e dal riprocessamento all'estero degli elementi di combustibile irraggiato ed altri ancora continueranno ad essere prodotti dall'impiego di radioisotopi e dall'uso di sorgenti radioattive.
Attualmente la maggior parte dei rifiuti radioattivi sono immagazzinati negli stessi siti in cui sono stati prodotti, mentre altri, per esempio quelli provenienti dall'impiego di radioisotopi e dall'uso di sorgenti radioattive, vengono raccolti da operatori autorizzati e, successivamente, in parte, trasportati, trattati ed immagazzinati nei depositi


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del centro ricerche dell'Enea Casaccia gestito dalla Nucleco spa (40% Enea, 60% Ambiente spa).
Considerando la situazione logistica e l'inventario dei rifiuti italiani, così come è emersa dalle audizioni e dai documenti forniti alla Commissione, è apparso evidente che l'intera problematica andava affrontata in temini globali mediante una pianificazione nazionale che, oltre a responsabilizzare gli attori principali, doveva vedere impegnato il Parlamento in atti normativi volti ad identificare e regolamentare la strategia degli esiti del nucleare.
Questa posizione, già enunciata nel 1995 nella XII legislatura dalla Commissione monocamerale (doc. XXII bis 21 dicembre 1995) , è stata ampiamente trattata da questa Commissione nel doc. XXIII n. 27 del 1999.
Allo scopo di fornire al Parlamento le informazioni fondamentali dell'intera problematica, la Commissione, dopo aver ascoltato per gli aspetti tecnici i rappresentanti degli esercenti e delle autorità di controllo per gli obiettivi strategico-programmatici Pier Luigi Bersani, ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, ed Edo Ronchi, ministro dell'ambiente, nonché Franco Barberi, sottosegretario di Stato per il coordinamento della protezione civile, e Pippo Ranci, presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e per il gas, ha elaborato il documento di cui si è detto completandolo con un articolato per l'istituzione di un'agenzia nazionale di diritto pubblico, deputata, in sintesi, a realizzare e gestire il sito di smaltimento e ad assicurare, mediante un'adeguata politica di coordinamento, la definitiva sistemazione in sicurezza dei rifiuti radioattivi e di tutte le materie nucleari.
Nel corso della seconda audizione svoltasi il 24 febbraio 1999, il ministro Bersani informava la Commissione di aver avviato una fase di concertazione tra Governo, regioni ed altri organismi, e di aver istituito un tavolo nazionale per la gestione degli esiti del nucleare con il compito di presentare al più presto «all'attenzione del Parlamento un documento contenente il quadro degli indirizzi strategici con indicazione degli obiettivi da conseguire, delle linee di intervento prioritarie e relativi tempi di realizzazione delle risorse da impegnare, delle previsioni normative volte ad integrare le norme vigenti ed i compiti affidati ai diversi soggetti».
Il ministro Bersani si è poi impegnato con la Commissione a presentare entro l'anno 1999 un piano di gestione degli esiti del nucleare, documento presentato ai presidenti della Camera e del Senato il 21 dicembre 1999.
Tale documento contiene tre obiettivi da perseguire nell'arco di venti anni.
Primo obiettivo: il trattamento ed il condizionamento di tutti i rifiuti ancora oggi stoccati allo stato originale. Secondo obiettivo: la selezione e qualificazione di un sito e la realizzazione del deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività condizionati, nonché di una struttura ingegneristica per l'immagazzinamento temporaneo del combustibile irraggiato e dei rifiuti ad alta attività condizionati; l'immagazzinamento temporaneo non dovrà superare alcune decine di anni. Terzo obiettivo: lo smantellamento degli impianti nucleari.

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Il primo ed il secondo obiettivo potranno procedere parallelamente ed essere raggiunti in un arco di tempo di dieci anni (entro il 2009).
Il terzo obiettivo comporta la scelta della disattivazione accelerata degli impianti nucleari nella loro globalità ed è ragionevole stimare che tale operazione possa avvenire in un arco di tempo complessivo di circa venti anni (entro il 2030).
Mentre gli obiettivi primo e terzo costituiscono attività di natura prevalentemente tecnica che dovranno essere svolte dagli esercenti sotto la propria responsabilità, il secondo obiettivo rappresenta un nodo che soltanto una chiara collaborazione tra tutte le forze politiche e sociali può far divenire realtà.
Nell'ambito dell'accordo sottoscritto tra Governo e regioni, è stato istituito un gruppo di lavoro incaricato di sottoporre alla conferenza dei presidenti delle regioni, entro il 31 dicembre 2000 (successivamente prorogato al 31 marzo 2001), un documento contenente analisi, proposte e suggerimenti finalizzati alle procedure per la scelta del sito dove realizzare il deposito nazionale, nonché soluzioni e strumenti strategici per l'armonico inserimento del deposito nel contesto territoriale.
La Commissione ha ascoltato il 29 novembre 2000 il dottor Massimo Cenerini, coordinatore del gruppo di lavoro, il quale, dopo aver tracciato una sintesi dei lavori svolti, lavori che hanno seguito lo stesso percorso e gli stessi contenuti trattati dalla Commissione, si è soffermato sul fatto che «la localizzazione del deposito incide su diverse materie, come l'assetto del territorio, lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali, la tutela dell'ambiente, e la salute. Tutto ciò depone a favore di un approccio volto a privilegiare i momenti di confronto e di cooperazione dei diversi enti pubblici di livello costituzionale, e di conseguenza a sollecitare uno o più regioni ad autocandidarsi sulla base di prefissati parametri di indirizzo e di pianificazione territoriale approvati dalla conferenza unificata».
Per andare nel concreto, secondo Cenerini, «dar vita ad un'agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi rappresenta uno strumento essenziale che va sostenuto a tutti i livelli»; l'agenzia potrà svolgere più efficacemente i propri compiti soltanto se si sarà riusciti a depotenziare alcuni elementi conflittuali mediante un'informazione trasparente che dia coscienza delle dimensioni nazionali del problema, ricordando che i rifiuti radioattivi vengono ancor oggi prodotti in tutte le regioni italiane e che quindi nessuna di esse può esimersi dal contribuire alla risoluzione della loro sistemazione definitiva.
L'Enea, tra la fine degli anni cinquanta e la fine degli anni sessanta, ha realizzato due impianti sperimentali di trattamento per elementi di combustibile irraggiato: l'impianto Itrec nel comune di Rotondella (Matera) e l'impianto Eurex nel comune di Saluggia (Vercelli).
L'impianto ITREC è nato come impianto pilota per il riprocessamento e la rifabbricazione remotizzata del combustibile ad ossidi misti UO2 - ThO2 ed è stato realizzato nell'ambito di una collaborazione stipulata nel 1959 tra l'Enea (ex Cnen) e l'Usaec (ente per le ricerche nucleari statunitensi), per dimostrare la fattibilità tecnico - economica del ciclo del combustibile torio - uranio rispetto a quello uranio - plutonio. Il programma comprendeva la progettazione, la

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costruzione e l'esercizio di un impianto combinato di riprocessamento e rifabbricazione di combustibile a uranio - torio irraggiato nel reattore americano di Elk River. La realizzazione dell'impianto fu completata nel 1970. Negli anni 1970-1975 sono state effettuate le prove funzionali.
Poiché all'inizio degli anni settanta è stato annullato il programma uranio - torio, è stato deciso di utilizzare l'impianto Itrec come facility sperimentale per lo sviluppo e prova di componenti avanzati di ritrattamento. In quest'ottica sono state effettuate, nel periodo 1975-1978, le cosiddette «prove nucleari» ritrattando 20 elementi di combustibile Elk River degli 84 immagazzinati nella piscina dell'impianto stesso.
Il riprocessamento di questi elementi di combustibile ha dato luogo a 3,3 m3 di prodotto (non riutilizzabile perché inquinato da alcuni prodotti di fissione), 3 m3 di rifiuti liquidi ad alta attività, naturalmente rifiuti liquidi acquosi ed organici a bassa attività e rifiuti solidi ad alta e bassa attività.
L'impianto Eurex (Enriched Uranium Extraction) Enea realizzato alla fine degli anni sessanta, ha riprocessato, in una prima fase, gli elementi di combustibile nucleare esauriti provenienti dai reattori di ricerca mtr e successivamente elementi di combustibile di reattori di tipo Candu (Canadian Deuterium Uranium Reactor).
Le attività di riprocessamento sono durate circa nove anni, dal 1975 fino al 1984; da allora l'Enea ha svolto esclusivamente attività finalizzate al mantenimento dell'impianto in condizioni di sicurezza, ed in particolare attività di manutenzione dei sistemi rilevati e gestione dei rifiuti radioattivi prodotti nei pregressi periodi di esercizio.
Presso l'impianto sono custoditi circa 109 m3 di rifiuti liquidi di bassa attività e 112 m3 di più alta attività. Sono presenti 1142 m3 di residui solidi di bassa attività e 200 m3 di alta attività; sono inoltre presenti circa 28 m3 di solventi organici contaminati. Nell'impianto è presente anche altro materiale radioattivo, i cui lotti più significativi sono costituiti da:
52 elementi della centrale di Trino, con contenuto di uranio pari a circa 2000 Kg e plutonio pari a circa 22 Kg, elementi custoditi nella piscina dell'impianto;
parte di un elemento della centrale di Garigliano, con contenuto di uranio pari a circa 60 Kg e di plutonio pari a circa 300 g, elemento custodito nella piscina dell'impianto;
rifiuti radioattivi liquidi, prodotti dalle attività di riprocessamento del combustibile nel periodo sopraindicato e custoditi in serbatoi di acciaio inox situati all'interno di celle di calcestruzzo con impermeabilizzazione all'interno. Il volume dei rifiuti liquidi ammonta a circa 112 m3 per i rifiuti a più alta attività con un quantitativo complessivo di radioattività di circa 5.7E+3 TBq (150.000 Ci) e di un pari volume di rifiuti liquidi a più bassa attività pari a circa 59 TBq (1.500 Ci). A queste quantità devono aggiungersi 25 m3 circa di rifiuti liquidi organici con un'attività pari a circa 900 GBq (25 Ci);
rifiuti solidi radioattivi, pari a circa 1345 m3, con un'attività complessiva pari a circa 36 TBq (1000); detti rifiuti, che in parte sono stati sottoposti ad un processo di condizionamento al fine di immobilizzare

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i nuclidi radioattivi presenti nei rifiuti stessi, sono collocati in un apposito edificio posto ad una quota di sicurezza a fronte di inondazioni del sito;
all'interno dell'edificio di processo in celle di calcestruzzo sono altresì presenti circa 7 Kg di uranio altamente arricchito (20%) e circa 5 Kg di plutonio proveniente dal riprocessamento degli elementi di combustibile Candu e successivamente convertito in microsfere di ossidi misti uranio-plutonio. Questo materiale nucleare deriva dalla pregressa attività di riprocessamento del combustibile, di cui costituisce il prodotto.

Per poter solidificare i rifiuti liquidi ad alta attività, l'Enea nel 1997 ha avviato l'iter autorizativo per la realizzazione, in quattro delle celle dell'impianto Eurex preventivamente smantellate, del sistema di vetrificazione dei rifiuti radioattivi liquidi acquosi denominato Cora (condizionamento rifiuti attivi). Tale sistema è stato sinteticamente illustrato dal dottor Rolandi, responsabile del dipartimento Erg dell'Enea, alla Commissione nel corso di una visita effettuata agli impianti di Saluggia il 20 novembre 1997.
Il processo di vetrificazione del rifiuto liquido adotta la tecnologia innovativa sviluppata dall'ente francese Cea; si tratta di una tecnologia molto avanzata detta a «crogiolo freddo», lungamente sperimentata con soluzioni non radioattive, per conto della Cogema, gestore degli impianti di Cap la Haugue, nel centro di Marcoule.
In seguito ad una gara, il 9 gennaio 1997 il consiglio di amministrazione dell'Enea ha aggiudicato l'appalto per la vetrificazione ad un consorzio italo-francese del quale è capofila Techint spa.
I manufatti finali di III categoria provenienti dalla vetrificazione saranno un centinaio di «pot» di vetro (contenitori di acciaio inossidabile contenenti circa 150 litri di vetro ognuno) inglobanti la quasi totalità degli ossidi dei radionuclidi presenti nel rifiuto radioattivo. La realizzazione dell'impianto è prevista per il 2001 ed entro il 2005 dovrebbe essere completato il trattamento di tutti i rifiuti liquidi.
L'Enea, in assenza di una struttura nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi, da circa quindici anni, su invito del Ministero della sanità, svolge un ruolo di collettore nazionale limitatamente a quei rifiuti radioattivi, per la massima parte di natura sanitaria, il cui mancato trasferimento dal luogo di produzione porrebbe problemi di sicurezza per la popolazione o, comunque, di impedimento allo svolgimento di attività di interesse collettivo.
L'ente svolge tale ruolo attraverso un suo servizio (Gerif) ed una convenzione stipulata con la società Nucleco spa, dotata di impianti di trattamento per rifiuti radioattivi solidi e liquidi e di depositi adatti allo scopo.
È del tutto evidente che lo spazio messo a disposizione della Nucleco non poteva costituire un centro di raccolta nazionale generalizzato per rifiuti radioattivi, ma solo una pronta risposta ad un problema urgente mettendo a disposizione del Paese esperienze e capacità operative, in attesa della realizzazione di una struttura di gestione istituzionalmente definita ma soprattutto in attesa della realizzazione di un deposito nazionale di smaltimento.


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Recentemente l'Enea ha posto in essere criteri di accettazione sempre più restrittivi, verificando di volta in volta l'effettiva e dimostrabile necessità ed urgenza di allontanare il rifiuto radioattivo dal luogo di produzione. Questo, se da un lato consente di diminuire i problemi legati agli spazi residuali dei depositi, dall'altro contrasta con l'obiettiva esigenza sociale e con i criteri più generali di corretta gestione dei rifiuti in ambito nazionale.
Pur rispettando le autonome decisioni dell'Enea, la Commissione non può non evidenziare al Parlamento questa circostanza perché in un contesto generale e nazionale rappresenta un disagio in più per il Paese con possibili ricadute sulla protezione sanitaria della popolazione.
L'impianto Sorin Biomedica spa, situato a Saluggia, è gestito dalla Sorin Biomedica spa.
L'impianto è autorizzato ai sensi dell'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 185/64 e produce sorgenti radioattive per impiego terapeutico ed industriale. Attualmente, il materiale radioattivo presente nel centro Sorin è costituito da circa 1500 sorgenti radioattive dismesse, per un'attività di 5,7 TBq, e da circa 1230 m3 di rifiuti radioattivi solidi, per un'attività di 50 GBq.
Il deposito Avogadro della Fiat Avio è stato realizzato alla fine degli anni settanta riadattando un reattore di ricerca, del tipo a piscina, non più in esercizio, costruito alla fine degli anni cinquanta. Nella piscina del deposito sono immagazzinati 371 elementi di combustibile irraggiato della Sogin.
Secondo i programmi nucleari dell'Enel dell'epoca, il deposito doveva servire per una decina di anni, come deposito temporaneo per il combustibile esaurito da inviare all'estero per il riprocessamento, in attesa che entrasse in servizio un sistema di piscine nazionali. Le caratteristiche di sicurezza del deposito sono state condizionate dall'originario progetto del reattore, che era conforme agli standards degli anni cinquanta e che il riadattamento non ha potuto aggiornare a standards più attuali.
Per queste ragioni ed in conseguenza degli effetti sul deposito dell'evento alluvionale del 1994, l'Anpa in occasione del rinnovo della licenza di esercizio del deposito stesso (1995) ha espresso il parere che il quinquennio 1995-2000 fosse l'ultimo periodo di esercizio e che entro il termine di detto periodo venissero presentati i piani per l'allontanamento del combustibile di deposito. Sono attualmente presenti elementi di combustibile Sogin così suddivisi: 49 elementi della centrale di Trino, 260 elementi standards della centrale del Garigliano, 62 elementi della centrale del Garigliano del tipo ad ossidi misti (MOX).
Il suddetto combustibile presenta un contenuto in termini di radioattività pari a circa 355000 TBq (10 MCi) e, in termini di materie nucleari, circa 791 Kg di uranio e 660 Kg di plutonio.
Rispetto a quanto indicato al paragrafo 2 del documento XXIII, n.27, del 29 aprile 1999, i programmi della Sogin (ex Enel) e dell'Enea sono rimasti sostanzialmente immutati.
Entrambi gli esercenti hanno proseguito nell'attività di caratterizzazione e di condizionamento dei rifiuti radioattivi ed hanno predisposto documenti tecnici per la mappatura radiologica di quegli impianti per i quali è stata eseguita la decontaminazione radioattiva.

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Per quanto attiene alle centrali nucleari della Sogin, su 5250 m3 di rifiuti radioattivi, circa 2150 sono stati già posti in una forma adatta allo smaltimento, mentre la rimanente parte sarà completata, secondo la Sogin, entro il 2009.
Questa data per la Sogin è particolarmente significativa in quanto è l'obiettivo temporale indicato dal Ministero dell'industria per la realizzazione del deposito nazionale.
Analoghe operazioni sono state compiute dall'Enea presso l'impianto Itrec di Rotondella (Matera). In particolare sono stati condizionati, mediante cementazione, 3 m3 di rifiuti liquidi ad alta attività, dopo averli mescolati con liquidi di lavaggio di alcuni serbatoi. Sono stati prodotti circa 340 fusti, schermati con apposite conchiglie in acciaio e piombo.
Per quanto riguarda lo smantellamento degli impianti, la Sogin e l'Enea prevedono di avviare queste operazioni a partire dal 2009 e nel frattempo stanno elaborando i relativi progetti.
Secondo una stima complessiva dei materiali da conferire al deposito nazionale, la Sogin prevede che questi possano essere contenuti nella cifra massima 60.000/65.000 m3; sono in corso le operazioni relative alla caratterizzazione radiologica sia dei rifiuti che dei materiali, volte al completamento dell'inventario della radioattività residua contenuta nei rifiuti e presente negli impianti.
Tutto il combustibile del reattore nucleare immagazzinato nelle piscine della centrale di Caorso (1032 elementi a ossido di uranio) sarà immesso in particolari contenitori metallici a secco, questi ultimi idonei sia allo stoccaggio che al trasporto; le operazioni di trasferimento nei contenitori avverranno tra il 2003 ed il 2005.
Il combustibile del reattore nucleare di Trino, presente presso la centrale (39 elementi ad ossido di uranio più 8 elementi Mox), verrà trasferito in analoghi contenitori a secco a partire dall'ottobre 2002 sino al febbraio 2003.
In tutti i casi sopra descritti, i contenitori a secco rimarranno presso ogni singola centrale in attesa che si possa disporre di un deposito temporaneo centralizzato così come previsto dal documento, sopra ricordato, del Ministero dell'Industria.
Tra le varie tecnologie di stoccaggio a secco, secondo la Sogin, quella che fa ricorso a cask metallici è la più utilizzata al mondo.
Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi che dovrebbero ritornare dall'estero e precisamente dagli impianti di Sellafield (Regno Unito), sono in corso valutazioni e trattative con la società Bnfl ai fini di un'eventuale definizione di un contratto di sostituzione del quantitativo dei rifiuti di media attività con un quantitativo equivalente di rifiuti ad alta attività pari, in totale a circa 20 m3.
Per la messa in sicurezza dei 64 elementi di combustibile Elk River, attualmente immagazzinati nella piscina dell'impianto Itrec, l'Enea ha affidato la progettazione del contenitore di stoccaggio a secco alla società tedesca Transnucleaire. Il progetto sarà disponibile nel secondo trimestre 2001.

Il sito ed il deposito di smaltimento.
Nel paragrafo 3 del documento XXIII n. 27 del 29 aprile 1999 si è dato conto delle attività svolte dal gruppo di lavoro della sezione


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nucleare della commissione «Grandi Rischi», istituito presso il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio, e dalla Task force sito dell'Enea in ordine ai lavori diretti alla individuazione di un sito da destinare allo smaltimento dei rifiuti radioattivi di media radioattività ed alla scelta della tipologia di un deposito nazionale.
Nel febbraio 1999, il gruppo di lavoro della protezione civile, presieduto dal professor Franco Barberi, aveva adottato una risoluzione nella quale indicava la struttura ingegneristica superficiale come la tipologia del deposito da realizzare e riconosceva validi i criteri assunti dalla Task force sito per l'individuazione delle aree e dei siti potenzialmente idonei per la sua localizzazione.
Il 4 marzo 1999, il dottor Piero Risoluti, responsabile della Task force sito dell'Enea, aveva ampiamente documentato alla Commissione le attività svolte in un triennio di intenso lavoro, che aveva riguardato la caratterizzazione dell'inventario nazionale dei rifiuti e le barriere artificiali di confinamento, la progettazione concettuale del deposito e la metodologia di tipo geografico per l'individuazione e valutazione preliminare dei siti o aree geografiche.
Nella successiva audizione del 29 novembre 2000, il dottor Risoluti ha aggiornato la Commissione sullo stato di avanzamento dei lavori, soffermandosi sulle due attività più significative che il suo gruppo aveva sviluppato: la carta nazionale delle aree idonee ed il progetto concettuale e di sistema del deposito nazionale. Per quanto attiene la carta nazionale delle aree idonee, la sua realizzazione è stata possibile grazie all'applicazione della metodologia del cosiddetto sistema informatico geografico (Gis), che è uno strumento informatico ed analogico finalizzato alla ricerca di aree o di siti potenzialmente idonei per la costruzione del deposito nazionale. Per la realizzazione del Gis, l'Enea si è avvalsa della collaborazione di qualificate strutture private e pubbliche, tra cui il servizio sismico nazionale e il servizio geologico nazionale.
Attraverso livelli sempre più elaborati (elaborazione di terzo livello) ed usando parametri fisici ed antropici sempre più di dettaglio, la Task force è giunta ad identificare come idoneo ad ospitare un deposito nazionale di smaltimento l'1% del territorio nazionale.
Il dottor Risoluti ha poi consegnato alla Commissione il progetto concettuale e di sistema del deposito predisposto dal suo gruppo di lavoro; si tratta, in sintesi, del progetto di un deposito di tipo superficiale, modulare, nel quale i rifiuti radioattivi condizionati vengono messi a dimora con la tecnica della reversibilità; per reversibilità, secondo l'ingegner Mezzanotte dell'Anpa, non deve intendersi provvisorietà o recuperabilità; reversibilità , invece, «significa poter tornare indietro sulla base degli stessi criteri di protezione dalle radiazioni con i quali si è fatta l'operazione di smaltimento».
Questo progetto, pur non costituendo un documento formale ai sensi della normativa vigente in materia di autorizzazioni, è stato dall'Enea sottoposto all'Anpa per una valutazione preliminare sulle scelte operate dal progettista.
In effetti, constata la Commissione, anche se questi studi rappresentano un importante know-how per la scelta del sito e la costruzione del deposito, l'assenza di un soggetto giuridico indipendente

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deputato istituzionalmente alla costruzione ed all'esercizio di una simile opera non permette in concreto di avviare, presso le autorità competenti, un regolare processo autorizzativo.
A questo proposito, il dottor Cenerini è del parere che gli studi progettuali condotti dalla Task force potranno essere affidati alla futura Agenzia nazionale affinché «compiute eventuali ulteriori ed autonome valutazioni di merito, essa possa procedere alla scelta dei siti candidati ed avviare i necessari confronti con gli enti locali per ricercare le basi di un'intesa che deve essere percepita come una prospettiva di sviluppo duraturo».
Questa ipotesi di sviluppo, avanzata anche dalla Commissione, potrebbe essere costituito da un progresso ecocompatibile, economico ed industriale dell'area con valenza e spessore tecnologico di portata europea.
Basti pensare alla realizzazione di poli di sviluppo a contenuto ecologico, a laboratori di ricerca e di misure ambientali altamente specializzati ed alla ricaduta di nuove iniziative che potrebbero condurre ad un indotto di notevole interesse economico e culturale.

Particolari situazioni a rischio radiologico.
La Commissione, nel novembre e dicembre 2000, ha proseguito le audizioni ascoltando i responsabili dell'ente di controllo (Anpa), il presidente della commissione tecnica per la sicurezza e la radioprotezione, il direttore generale dell'Enea. Sono state evidenziate le seguenti problematiche.

Sorgenti radioattive obsolete.
Meritano una particolare attenzione, per la loro pericolosità, gli aghi, tubi e placche di radio 226, ormai non più utilizzati in terapia medica, e le cosiddette grandi sorgenti sigillate radioattive di cesio 137 e di cobalto 60 impiegate anch'esse in campo medico per uso radioterapico. Molte di queste sorgenti, nonostante siano ormai considerate obsolete o siano state dismesse, ancora oggi sono immagazzinate (alcune di loro da circa trent'anni) negli stessi locali dove hanno operato. Solo alcune di queste sono state trasportate ed immagazzinate nei depositi del centro Enea Casaccia. Le attività associate ad ogni apparecchiatura di questo tipo varia mediamente da 3.000 TBq a 40.000 TBq, a seconda che si tratti di cobalto 60 o di cesio 137.
Visto l'elevato rischio radiologico associato a questo tipo di apparecchiature ed in considerazione del fatto che non sempre le stesse sono oculatamente custodite, la Commissione ha richiesto all'Anpa nel marzo 1999 di effettuare accertamenti sul loro stato di conservazione. Nonostante che i risultati degli accertamenti abbiano evidenziato che nell'immediato non vi è motivo di specifica preoccupazione sotto il profilo radioprotezionistico, l'Anpa tiene a precisare che «le sorgenti sigillate di cesio 137 e di cobalto 60, sono prodotte con un certificato di tenuta e sigillo valido per dieci anni e che quindi la loro detenzione ed il loro l'impiego oltre tale termine può presentare aspetti problematici che possono divenire più seri nel caso di sorgenti sigillate di cesio 137 a causa della natura friabile delle pastiglie radioattive (cloruro di cesio). Nel caso poi di smaltimento illegale di una sorgente sigillata obsoleta (casi di questo genere si sono già verificati all'estero),


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la stessa può provocare gravi conseguenze sanitarie a causa di eventuali notevoli dosi indebite ai cittadini e agli addetti alle operazioni di recupero».
L'Anpa sollecita quindi l'individuazione di strumenti tecnici e normativi volti a risolvere questo problema.
Nonostante la Commissione abbia fatto presente questa situazione sin dal 1995 alle autorità competenti, ancora oggi non risulta che siano stati presi provvedimenti risolutivi in tal senso.

Rifiuti radioattivi interrati.
In passato, tra gli anni sessanta e settanta, secondo una prassi allora in uso l'Enea, l'Enel ed il Centro Euratom di Ispra hanno intombato rifiuti solidi e fangosi altamente radioattivi in strutture sotterranee (vasche o fosse di contenimento in cemento, pozzetti in acciaio, eccetera). Si tratta, in genere, di rifiuti costituiti da parti metalliche attivate o contaminate, di spezzoni di elementi di combustibile irraggiato, di filtri di depurazione, di fluidi contaminati, di materiale fissile proveniente da celle e laboratori caldi ( cioè laboratori in cui si utilizza materiale altamente radioattivo).
Situazioni di questo genere si trovano presso l'impianto Itrec di Rotondella dell'Enea, presso l'ex reattore nucleare di Latina della Sogin, presso il centro Euratom di Ispra. Altri rifiuti radioattivi a bassa attività, interrati in trincee impermeabilizzate, sono stati, nella maggior parte dei casi, già recuperati e riconfezionati in fusti metallici e, dopo trattamento, immagazzinati in depositi temporanei.
Nel Centro Euratom di Ispra, riferisce l'ingegner Mezzanotte, si trovano fusti di rifiuti a bassa attività collocati in trincee ricavate direttamente dal terreno.
Situazione analoga si trova a tutt'oggi presso il reattore spento del Garigliano, dove da oltre trent'anni, sono stati interrati in tre trincee impermeabilizzate rifiuti tecnologici a bassissima attività.
Per queste situazioni anomale, l'Anpa ha richiesto ai rispettivi esercenti di presentare un progetto di recupero da attuare in tempi ravvicinati.

Il comprensorio nucleare di Saluggia.
L'alluvione dell'ottobre 2000 ha riproposto in termini allarmanti il problema dei rischi associati agli impianti ed ai rifiuti radioattivi presenti nella provincia di Vercelli, in particolare nel comune di Saluggia, centro Enea e centro Sorin uno dei siti nucleari italiani più critici dal punto di vista idrogeologico, antropico e della sicurezza radiologica.
Nel centro Enea sono immagazzinati materiali nucleari fissili e rifiuti solidi e liquidi ad alta attività contaminati da plutonio prodotti dall'esercizio dell'impianto Eurex, mentre nel centro Sorin sono immagazzinati, nella piscina del reattore Avogadro, 371 elementi di combustibile irraggiato provenienti dai reattori Garigliano e Trino della Sogin (ex Enel).
Il centro Sorin ospita anche alcuni laboratori, in parte proprietà della stessa Sorin, che producono radiofarmaci e prodotti radiodiagnostici;


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queste attività hanno prodotto sino ad oggi circa 1250 m3 di rifiuti radioattivi.
L'evento alluvionale del 15-17 ottobre 2000, che ha ricalcato in gran parte la dinamica degli eventi alluvionali dell'ottobre 1993 e novembre 1994 ma con intensità maggiore, ha dato luogo a dissesti idrogeologici e ad allagamenti dovuti allo straripamento di alcuni corsi d'acqua che hanno coinvolto, in parte, le infrastrutture sia dell'impianto Eurex che del deposito Avogadro.
Purtroppo i valori di massima piena della Dora Baltea, ipotizzati nel rapporto di sicurezza dell'impianto Eurex di Saluggia e sulla base dei quali erano stati approntati i lavori di difesa idraulica del sito, sono stati sfiorati nelle due precedenti alluvioni e raggiunti (4050 m3 al secondo) nell'ottobre 2000.
L'evento alluvionale ha decisamente peggiorato la situazione delle protezioni spondali ed i fenomeni di allagamento, riproponendo con priorità assoluta la necessità di provvedere alla sistemazione definitiva, in sicurezza, delle materie nucleari di cui si è detto sopra.
Questo argomento è stato ampiamente affrontato con i responsabili dell'Anpa nell'audizione del 5 dicembre 2000. Sono stati ascoltati il presidente Walter Ganapini e l'ingegner Roberto Mezzanotte, direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico. L'evento esondativo, ed il ripetersi a così breve distanza di più eventi dello stesso tipo, hanno drammatizzato un problema che l'autorità di sicurezza nucleare aveva ben presente.
Il problema che oggi si deve risolvere con una certa urgenza è certamente dovuto alla particolare collocazione geografica del sito di Saluggia, ma è anche connesso al fatto che la costruzione dell'impianto Cora, voluto dall'Enea, per la solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività secondo un processo a crogiolo freddo, innovativo e sperimentale, non si sta verificando nei tempi programmati.
Poiché è nella percezione dell'Anpa che l'Enea, di fatto, registra una forte difficoltà nel padroneggiare la filiera tecnologica individuata, l'Anpa ha richiesto al Ministero dell'industria di emanare una prescrizione cogente.
L'Anpa, a fronte degli eventi alluvionali e di altri fattori problematici dell'impianto Cora, ha dovuto necessariamente considerare il fattore tempo come elemento determinante e guida per il raggiungimento di condizioni di assoluta sicurezza: quindi, attraverso il Ministero dell'industria, ha imposto all'Enea di solidificare i rifiuti liquidi ad alta attività entro il 31 dicembre 2005.
Secondo l'Enea, il fatto che oggi ci si trovi di fronte ad una realtà diversa da quella progettuale significa che i corretti processi di verifica devono essere attuati non più con strumenti di normalità ma con procedure di emergenza, nel senso che i processi autorizzativi devono avere una rapidità confacente alla gravità della situazione .Secondo i vertici dell'Enea, l'ente non può affrontare da solo un problema che invece interessa, a suo avviso, l'intero Paese e questi processi accelerati devono riguardare non solo la sistemazione del bacino della provincia di Vercelli e quella idraulica del sito prima dell' eventuale ripetersi dell'evento alluvionale, ma anche quelle procedure autorizzative che sono determinanti per il prosieguo delle attività di costruzione dell'impianto di solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività Cora.

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A tale proposito, l'Enea fa presente che l'iter autorizzativo ha già subìto, per motivi contingenti, un cammino notevolmente più lento di quanto si era ipotizzato inizialmente; infatti tra il 1998 ed il 2000, a seguito di richieste dell'Anpa è stato necessario predisporre «numerose integrazioni e modifiche al progetto iniziale, prevalentemente tese a verificare l'adeguatezza del sito di Saluggia e dell'impianto Eurex ad accogliere l'unità di condizionamento Cora, che hanno allungato notevolmente il cronogramma previsto in sede di attuazione».
In questo confronto tra il controllore Anpa e l'esercente Enea è indubbio che la tempistica connessa alle procedure autorizzative gioca un ruolo di grande importanza e quindi un'accelerazione all'intero processo non può che avvenire se non da un confronto serrato tra tutte le autorità che sono coinvolte in questo iter.
Secondo la Commissione, uno degli strumenti che potrebbe essere utilizzato per accelerare i tempi procedurali è la conferenza dei servizi, strumento di concertazione che già in passato si è rivelato alquanto efficace.
Tuttavia la Commissione, in considerazione del fatto che già nel 1997 il sito di Saluggia aveva subìto le conseguenze di due alluvioni, esprime un forte dissenso con la politica adottata dall'Enea di proporre soluzioni non ancora sperimentate e ricorda che nel corso della visita effettuata presso l'impianto Eurex nel novembre 1997, i caratteri di sperimentazione innovativa del progetto Cora non erano stati palesemente evidenziati.
Nella precedente legislatura, la Commissione monocamerale, nella relazione conclusiva, aveva avanzato l'ipotesi che l'avvio all'estero, per esempio in Francia, dei rifiuti liquidi ad alta attività potesse essere una soluzione che l'Enea avrebbe potuto esplorare sino in fondo.
La Commissione dinanzi alla gravità degli eventi verificatisi ed alla vetustà dei serbatoi che contengono liquidi ad alta attività, chiede al Governo di prendere i necessari accordi a livello internazionale per garantire il trasferimento dei rifiuti liquidi in un Paese che, verosimilmente, è in grado di garantire il condizionamento e la custodia.
Per quanto attiene al deposito Avogadro, la Commissione esprime la propria preoccupazione sia per la vetustà dell'impianto e per la precarietà delle strutture della piscina, che si palesano con le perdite continue di acqua dalla piscina stessa, sia per il fatto che l'impianto si trova in un'area golenale della Dora Baltea ove si sono verificate tre alluvioni negli ultimi sette anni.
In ordine all'allontanamento del combustibile irraggiato dal deposito Avogadro, il programma della Sogin prevede di inviare in Inghilterra 259 elementi di combustibile del Garigliano, pari a 53,5 tonnellate di combustibile, che saranno destinati ad essere riprocessati negli impianti di Sellafield della Bnfl. Ma ciò non potrà avvenire prima dell'ottobre 2002.
Infatti, i tempi di attuazione del programma prevedono tredici viaggi con cadenza bimestrale a partire dall'ottobre 2002 fino al 2004. La data di inizio delle operazioni di trasporto è dovuta al fatto che la Bnfl deve fornire due contenitori, appositamente realizzati nel rispetto della più recente normativa per i trasporti di materiali radioattivi irraggiati, la cui omologazione dovrà essere anche valida nei Paesi dell'Unione europea che dovranno essere attraversati.

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I rimanenti elementi di combustibile irraggiato - 49 elementi del reattore nucleare di Trino (15,1 tonnellate di combustibile) e 63 elementi del reattore del Garigliano ad ossidi misti di uranio e plutonio (12,9 tonnellate di combustibile) - secondo la Sogin dovrebbero essere trasferiti nel sito di Trino per mezzo di sette contenitori a secco ed essere immagazzinati, provvisoriamente, in un deposito da realizzare all'interno dell'area nucleare.
Altri tre contenitori serviranno per immagazzinare a secco il rimanente combustibile ancora presente nella piscina del reattore di Trino (47 elementi di combustibile irraggiato).
L'operazione di trasferimento da Saluggia a Trino, secondo una prima pianificazione, non potrà avvenire prima del gennaio 2003 e concludersi presumibilmente entro lo stesso anno. Rimane comunque il fatto che il deposito, per cui la Sorin ha già avviato l'iter progettuale, dovrà essere sottoposto ad un iter autorizzativo piuttosto complesso che vede impegnati la regione Piemonte ed il comune di Vercelli, con i quali la Sogin ha già avviato incontri preliminari; tutto ciò in un'ottica di totale trasparenza nei confronti delle autorità regionali e locali, le quali dovranno essere coinvolte nelle procedura di via.
La Commissione esprime perplessità sul rispetto dei tempi del cronogramma realizzativo, vista la complessità delle procedure autorizzative e la frammentazione del processo attraverso il quale sarà necessario acquisire il consenso delle autorità locali. Anche in questo caso, una preordinata attività di concertazione tra l'esercente e gli enti decisori potrebbe portare ad una riduzione di tempi nell'attuazione dei trasferimenti.

5.3. Le regioni in emergenza e le recenti missioni della Commissione.
5.3.1. La Puglia
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Al fine di approfondire ed aggiornare la documentazione e le informazioni precedentemente acquisite, la Commissione inviava al presidente della regione Puglia, con lettera del 18 dicembre 2000, una richiesta di documentazione in merito alla gestione dell'emergenza ambientale in quella regione. A tale lettera veniva data risposta il 7 febbraio 2001. Inoltre, in tempi diversi, alcuni membri e consulenti della Commissione si recavano in Puglia per effettuare sopralluoghi mirati presso alcuni impianti. Ulteriori elementi venivano pertanto acquisiti relativamente all'area dell'ex gazometro di Bari, alle discariche Ines Sud ed Smd di Brindisi, all'Enichem ed all'Enel di Brindisi, nonché al consorzio Sisri di Brindisi. In occasione delle visite si aveva altresì modo di ascoltare i dirigenti delle aziende, la procura di Brindisi e le istituzioni locali di Bari e Brindisi.
Dalla nuova documentazione prodotta risulta che il commissariato è oggi impegnato nella definizione del piano di gestione dei rifiuti nella regione Puglia, che costituisce il primo adempimento ai sensi dell'articolo 1 dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3077/2000. Tuttavia, nelle more della definizione del piano rifiuti, la struttura del commissariato ha dovuto far fronte ad una serie di situazioni di crisi determinatesi in alcuni ambiti territoriali in ordine


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alla gestione dei rsu, per intervenuto esaurimento degli impianti di discarica controllata posti a servizio di bacini di utenza sovracomunali così come definiti dal piano regionale per lo smaltimento dei rsu risalente al 1993. Il commissariato ha dovuto inoltre far fronte a rischi di contaminazione, a seguito di abbandono di rifiuti anche pericolosi ed alla gestione dei rifiuti sanitari, anche in considerazione della emanazione del DM 219/2000.

5.3.1.1. La gestione dei rifiuti solidi urbani.
La gestione in emergenza dello smaltimento dei rsu ha assicurato un corretto smaltimento nelle province pugliesi, se si escludono alcuni comuni dell'area garganica nel foggiano che, per motivi di ordine economico, hanno fatto ricorso all'articolo 13 del decreto legislativo n. 22/97. La situazione generale nella regione appare comunque precaria fino a quando non sarà completata la realizzazione degli impianti di recupero e riutilizzo già iniziata. Inoltre, sarà decisiva l'attuazione del piano regionale di gestione dei rifiuti, tuttora in fase di elaborazione e perfezionamento. Nonostante il recente avvio della raccolta differenziata, che si attesta mediamente su valori del cinque per cento e che dovrebbe favorire il recupero, si fa ancora largo uso della discarica controllata quale mezzo di smaltimento ritenuto più economico, nonostante il consumo eccessivo di territorio ed i risvolti igienico-sanitari. In ogni provincia della regione, il ricorso alle discariche è causa di diffuse emergenze e ciò ha fatto sì che la struttura del commissario avviasse un'intensa attività di monitoraggio e di sopralluoghi per verificare fino a che livello si spinga l'efficienza gestionale degli impianti operativi.

5.3.1.2. L'emergenza nella provincia di Foggia.
Sono attualmente in esercizio quattro discariche controllate (Deliceto, Vieste, Manfredonia, Cerignola), mentre si stanno realizzando con finanziamento commissariale tre impianti pubblici a Deliceto, Foggia e Cerignola per la raccolta differenziata e la selezione dei rifiuti. Problemi si sono verificati in sede di stipula del contratto, in ordine ad una gara esperita per la realizzazione di un impianto di compostaggio a Foggia. Vi è da rilevare che le discariche di Deliceto e Vieste, date le dimensioni limitate, possono ospitare solo rifiuti di zone viciniori, mentre la discarica di Manfredonia che serve 14 comuni ha un'autonomia massima di ulteriori dieci settimane. La discarica di Cerignola, infine, riceve un carico eccessivo di rifiuti anche dal comune di Foggia, che ne compromette il futuro esercizio. Al fine di alleggerire una situazione che via via sta facendosi pesante, ed in attesa che si realizzino gli impianti di raccolta differenziata, sono all'esame della struttura commissariale un progetto complesso a Lesina per la raccolta differenziata e per la selezione comprensivo di un lotto di discarica asservita ai sovvalli, uno studio di fattibilità per realizzare una discarica comunale a Manfredonia nelle vicinanze di quella in prossimo esaurimento, un impianto di discarica a Foggia che ha già


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ottenuto l'approvazione del prefetto di Foggia ed infine la possibilità di utilizzo di impianti esistenti in territorio provinciale diversi dalle discariche per il trattamento dei rifiuti.

5.3.1.3. L'emergenza nella provincia di Bari.
Operano attualmente sul territorio sei discariche controllate ad Andria, Trani, Bitonto, Giovinazzo, Altamura e Conversano. Sono inoltre in fase di realizzazione con finanziamento commissariale quattro impianti pubblici per la raccolta differenziata e la selezione a Trani, Molfetta, Acquaviva delle Fonti e Conversano. Un impianto di compostaggio è operativo a Molfetta, ma è sottoutilizzato per mancanza di alimentazione di rifiuti da parte dei comuni obbligati a conferire. Infine è stata esperita una gara per la realizzazione di un impianto di compostaggio a Gioia del Colle. Si fa rilevare che nell'area nord barese (BA/1) la discarica di Trani è attualmente sotto sequestro giudiziario; in attesa della definizione del contenzioso, i rifiuti vengono conferiti nei volumi residui della discarica di Andria o presso la discarica di Molfetta, previa verifica tecnica.
Nell'area BA/2 la discarica di Bitonto è in fase di rapido esaurimento ed i rifiuti potrebbero essere conferiti nella discarica di Giovinazzo, da poco entrata in esercizio. La discarica di Conversano nel bacino BA/3 risulta praticamente esaurita. Si può affermare che rischi igienico-sanitari si profilano per le aree BA/3 e BA/1, ove si teme l'abbandono di rifiuti lungo le strade. Le iniziative attivate dalla struttura del commissario sono volte, in attesa che si realizzino gli impianti di raccolta differenziata e selezione, ad una maggiore utilizzazione della discarica di Andria, all'ottimizzazione dell'esercizio dell'impianto di compostaggio di Molfetta, al perfezionamento della stipula contrattuale dell'impianto di compostaggio di Gioia del Colle e ad una verifica di soluzioni tecniche per la discarica di Conversano.

5.3.1.4. L'emergenza nella provincia di Brindisi.
Nel mese di febbraio 2001 a Brindisi operava una discarica controllata oltre alle tre piccole discariche comunali di Villa Castelli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo. Risultavano inoltre in fase di realizzazione con finanziamento commissariale, due impianti pubblici per la raccolta differenziata e selezione a Brindisi e Francavilla Fontana. L'impianto di compostaggio di Brindisi risultava inoltre sottoutilizzato per mancanza di conferimenti da parte dei comuni obbligati a conferire. Si prevede che l'intera provincia utilizzerà la discarica di Brindisi, fermata per un breve periodo, per dare la possibilità di effettuare i lavori di ampliamento. Al momento del sopralluogo della Commissione del 6 febbraio scorso presso le discariche Smd e Ines Sud, ha destato una certa preoccupazione tra i membri della Commissione il fatto che il percolato della discarica Ines sud venisse avviato a smaltimento in Basilicata (impianto del consorzio basentano), pur essendovi possibilità di depurazione negli impianti


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della regione Puglia. Si è anche venuti a conoscenza che la gestione di tale percolato fosse affidata a società già note alla Commissione per attività e traffico illecito di rifiuti.

5.3.1.5. La gestione dei rifiuti nella provincia di Taranto.
Sono in attività, in tale provincia, tre discariche controllate a Castellaneta, Massafra e Manduria. Con finanziamento commissariale, si stanno realizzando due impianti pubblici per la raccolta differenziata e la selezione a Castellaneta e Taranto. L'impianto di compostaggio di Taranto è attualmente sottoutilizzato per mancanza di rifiuti da conferirsi a cura dei comuni obbligati. Un nuovo lotto di discarica, già autorizzato dal prefetto di Taranto, è in attesa dell'autorizzazione all'esercizio. Nel territorio di Statte è presente un impianto comunale di termodistruzione, che potrebbe essere operativo in tempi brevi. A Manduria è in fase di approvazione un progetto per una nuova discarica, per la raccolta differenziata e per la selezione dei rsu. Se non si intraprenderanno ulteriori iniziative, il rischio che le discariche di Manduria e Castellaneta si esauriscano in breve tempo non è da sottovalutare.

5.3.1.6. La gestione dei rifiuti nella provincia di Lecce.
Sono attualmente in esercizio quattro discariche controllate a Cavallino, Nardò, Poggiardo ed Ugento. La struttura del Commissariamento ha finanziato e sta realizzando quattro impianti per la selezione e la raccolta differenziata a Campi Salentina, Lecce, Melpignano ed Ugento. La situazione in provincia appare tranquilla, salvo un caso di tensione registrato a Nardò. Vi sono numerose iniziative anche di privati, che propongono la realizzazione di impianti di termodistruzione sul territorio della provincia e del comune di Lecce.

5.3.2. Il caso Enichem.
Nel corso di una precedente visita della Commissione sul sito Enichem di Brindisi era stato evidenziato un problema di smaltimento di residui della lavorazione di caprolattame. Le ipotesi allora evidenziate dal management aziendale propendevano per una soluzione tecnica di smaltimento in impianti americani o tedeschi. Le quantità in gioco dei residui non erano trascurabili e preoccupazioni si evincevano in ordine alla tenuta dei serbatoi di stoccaggio a causa dell'azione corrosiva del rifiuto, costituito da un mix di sali sodici e di acidi organici. Non è dato sapere alla Commissione, nemmeno dietro specifica richiesta alla struttura del commissariamento, quale sia oggi la situazione reale dei residui di caprolattame e dove esattamente essi si trovino.
Risulta poi alla Commissione (vedi paragrafo 4.5.2) che una parte di tali residui è stata smaltita presso la società Orim di Macerata, con un trattamento per cui valgono le perplessità in quella sede avanzate.


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La Commissione su tale argomento sta approfondendo l'indagine sulla base della documentazione richiesta alla Orim ed alla Sogenus. Una recente ispezione sul sito Enichem da parte del Ministero dell'ambiente ha evidenziato una serie di problematiche che fanno pensare ad una probabile chiusura di alcune sezioni operative del sito, in particolare di una parte degli impianti che producono pvc nell'impianto Evc.
Anche il procuratore della Repubblica di Brindisi ha riferito, in merito alle indagini sul sito Evc, presso la prefettura di Brindisi il 6 febbraio scorso alla Commissione, evidenziando situazioni di rischio e pericoli per la salute pubblica che starebbero emergendo. Risulta che sul sito Enichem, in località chiamata Micorosa, vi sarebbero ingenti quantità di fanghi scaricati a cielo aperto senza particolari precauzioni. Risulta altresì che nella zona delle «saline» sono ormai evidentissime ampie zone (quasi 3 Km quadrati) di terreni desertificati a causa di continui sversamenti di rifiuti nel corso degli anni. È ormai accertato che la falda al di sotto del sito Enichem, nel suo complesso, versa in preoccupanti livelli di degrado e contaminazione, forse irreversibile.
La Enichem spa (ex Enichem Polimeri) ha gestito, compreso il proprio stabilimento di Brindisi, sulla base di autorizzazioni rilasciate dalla provincia di Brindisi sin dal 1993, una discarica di tipo 2B e 2C (autorizzazione n. 240/99) ed una discarica di tipo 2C (autorizzazione n. 100/99) per lo smaltimento definitivo di fanghi oleosi, fanghi clorurati, residui contaminati da ammine, difenilmetano, monoclorobenzene, metildietilisocianato, di catrami, ceneri, resine, etc. Tali residui erano originati dalle aziende del gruppo operanti nel sito e cioè Enichem spa, Evc Italia, Frene, Polimeri Europa, Chemgas. I provvedimenti autorizzativi risultano scaduti nel 2000 e per essi è in corso una richiesta di aggiornamento.
Nell'area dell'attività petrolchimica, Enichem ha già progettato un intervento di bonifica delle zone sud e sud-est, dove insistono discariche pregresse esaurite della ex Montedison e che sono state inserite nel piano di risanamento dell'area a rischio di Brindisi. La Chemgas ha inoltre presentato alla regione, ai sensi del DM n. 471/99, un piano di caratterizzazione geologica, idrogeologica e chimica del suolo e del sottosuolo, nonché delle acque freatiche sotterranee. Il commissariato è chiamato ad intervenire in caso di inerzia dei soggetti pubblici competenti. Attualmente è istituito un tavolo tecnico istituzionale tra Ministero dell'ambiente, Ministero dell'industria, regione, provincia e comuni interessati, che sta operando per definire un accordo di programma che consenta il contestuale risanamento e la messa in sicurezza delle aree critiche, che sia compatibile con il mantenimento dei livelli occupazionali esistenti.

5.3.3. La piattaforma della Termomeccanica.
La discarica di categoria 2C gestita dalla Termomeccanica spa è parte di una piattaforma di smaltimento/trattamento di rifiuti industriali di proprietà del consorzio Sisri di Brindisi, realizzato con finanziamento della Casmez. L'impianto di termodistruzione di rifiuti


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speciali pericolosi è stato oggetto di visita da parte della Commissione, che ha ricavato una buona impressione, auspicando l'immediato utilizzo oltre che per i rifiuti industriali anche per la distruzione delle carcasse, delle farine, degli oli e grassi animali contaminati dal «prione» (morbo Bse o della «mucca pazza»).

5.3.4. La bonifica dei siti contaminati.
Il commissariato per l'emergenza ambientale è stato investito di compiti in materia di bonifica dei siti contaminati a partire dal 1998 con opcm n. 2776/98. In collaborazione con enti di ricerca, prefetture ed istituzioni locali, è stata redatta un mappa aggiornata dei siti contaminati rispetto a quella precedentemente elaborata dall'Enea nel 1993-1994 per conto della regione, sulla base delle indicazioni del DM 16 maggio 1989. Il commissario delegato pro-tempore ha rappresentato al Ministero dell'ambiente nell'ambito delle attività per la definizione del programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale ai sensi dell'articolo1 della legge n. 426/98, l'esigenza di un fabbisogno di circa 650 miliardi. Al commissario è stata finora accordata una cifra di 20 miliardi.
Nella regione sono state finanziate numerose iniziative di bonifica usufruendo dei fondi qcs 1994/99 e, in parte, dei fondi per l'emergenza. In particolare, sono da segnalare 19 iniziative di bonifica utilizzando i fondi pop Puglia 1994-1999, con compartecipazione delle province, per un investimento complessivo di 30 miliardi di lire. Un ulteriore finanziamento di 6 miliardi di lire è stato erogato dall'ufficio del commissario per una bonifica a Molfetta in località Coda di Volpe. La struttura commissariale ha inoltre dovuto affrontare un'emergenza nel novembre-dicembre 2000 a causa di una contaminazione da oli pcb (policlorobifenili) nell'area dei comuni di Acquarica del Capo, Presicce, Ugento e Taurisano.
Il rischio di contaminazione della falda idrica ha comportato un immediato intervento di messa in sicurezza da parte della struttura commissariale. L'azione commissariale per la bonifica dei siti contaminati nei prossimi mesi dovrà individuare le priorità di intervento per circa 400 situazioni di contaminazione, nonostante si prefiguri sin d'ora un'evidente esiguità di risorse finanziarie assegnate dallo Stato al commissario per tale tipologia di interventi.

5.3.5. Bari: la bonifica dell'area ex Gazometro e dell'area ex Fibronit.
Le attività di messa in sicurezza del sito sono state avviate dal comune di Bari a partire dal 1998.Tali attività sono relative alla bonifica dell'amianto, alla rimozione degli edifici e dei serbatoi esistenti, alla rimozione e trasporto dei rifiuti solidi e liquidi presso idonei impianti di smaltimento. Il completamento delle operazioni di bonifica è in corso di verifica da parte del commissariamento tramite la caratterizzazione del sottosuolo, affidata a suo tempo al laboratorio del PMP di Bari.


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Relativamente all'area ex Fibronit, si rileva che il comune di Bari ha presentato nell'ambito del Prusst un progetto, successivamente approvato dal Ministero dei lavori pubblici, per la «riqualificazione» dell'area, previa bonifica dell'amianto. In attesa dell'attivazione dei procedimenti necessari alla realizzazione dell'intervento inserito nei finanziamenti del Prusst, il comune ha provveduto ad affidare al pmp di Bari la verifica dell'attuale eventuale rischio per la salute pubblica in considerazione dello stato di grave degrado dei manufatti dell'impianto ex Fibronit.
Le operazioni di verifica, completate di recente, non hanno evidenziato inquinamento in atto nelle aree esterne, a causa della presenza di fibre di amianto aerodisperse, né all'interno dei capannoni. Si è rilevata però la presenza all'interno dello stabilimento di polveri depositate contenenti fibre libere, con la presenza di manufatti in amianto fortemente degradati. Tale situazione impone quindi un'immediata messa in sicurezza del sito con avvio a smaltimento dei manufatti degradati. La richiesta del commissario al comune di Bari di provvedere in tale senso è stata avanzata di recente.

5.3.6. Il caso della centrale Enel di Brindisi.
Un caso singolare è quello che riguarda lo smaltimento illecito di rifiuti provenienti dalla centrale termoelettrica di Brindisi. Tali rifiuti (fanghi alcalini di abbattimento dell'anidride solforosa con sali di calcio) avrebbero dovuto essere conferiti ad una discarica della Calabria dopo il trattamento di solidificazione. È risultato invece dalle indagini ancora in corso che i rifiuti venivano scaricati in un territorio della provincia di Taranto. Ciò che appare strano è che la ditta di trasporto dei fanghi è la stessa che produce i chemicals per il trattamento del rifiuto e che, nonostante quanto avvenuto, non è stata sospesa dall'attività da parte del management della centrale Enel. Dall'Enel, se non altro per una questione di immagine aziendale, si sarebbe aspettato un maggiore controllo delle operazioni, una qualifica del fornitore di servizi più attenta, una maggiore vigilanza sui contratti che vengono stipulati operando ribassi che non giustificano tecnicamente le operazioni di smaltimento, nonché la sospensione della ditta fornitrice del servizio di smaltimento almeno fino al chiarimento dei fatti accaduti.

5.4. Il caso Campania: l'emergenza nell'emergenza.
La Commissione, in data 12 dicembre 2000, aveva convocato in sede di audizione plenaria a Roma tutti i soggetti delegati a gestire l'emergenza rifiuti nella regione Campania: il prefetto di Napoli Carlo Ferrigno, il prefetto di Salerno Enrico Laudanna, il vice-commissario all'emergenza Raffaele Vanoli ed il sub-commissario all'emergenza Giulio Facchi. Tale convocazione era stata ritenuta necessaria alla luce delle informazioni giunte in Commissione circa il rischio di una non saldatura tra i tempi di realizzazione degli interventi previsti per la gestione del ciclo (impianti di produzione Cdr ed impianti di compostaggio)


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e i tempi previsti di esaurimento delle discariche di Tufino e Parapoti a servizio, rispettivamente, della provincia di Napoli (escluso il comune capoluogo) e della provincia di Salerno (compreso il comune capoluogo). In tale occasione i soggetti auditi evidenziarono come il rischio era più che reale e che per scongiurare un'ulteriore aggravamento dell'emergenza era stata decisa la realizzazione di impianti di vagliatura meccanica delle frazioni secca ed umida dei rifiuti solidi urbani ed il loro conferimento presso impianti siti in altre regioni italiane, in attesa dell'apertura di una discarica per la frazione secca degli rsu prevista in località Roccarainola.
Nelle more della realizzazione di questi interventi, però, la magistratura a fine gennaio 2001 ha disposto il sequestro delle discariche di Tufino e di Parapoti a causa del mancato rispetto della normativa di protezione ambientale. Ciò ha determinato l'impossibilità di smaltire i rifiuti prodotti nei comuni interessati - per una produzione valutata intorno alle 3.200 tonnellate quotidiane - e l'individuazione di nuove soluzioni di emergenza.
La regione Campania ha pertanto siglato accordi di programma con la regione Umbria, con la regione Emilia-Romagna, con la regione Toscana e con la regione Basilicata per il conferimento di quantitativi contingentati di rifiuti solidi urbani in discariche di quelle aree. La struttura commissariale della Campania, con specifica ordinanza, ha inoltre affidato ad una società di Trenitalia - la Ecolog spa - il compito di curare il trasporto ed il conferimento di tali rifiuti verso le discariche interessate.
Dall'1 febbraio è quindi cominciata l'attività di trasporto di rifiuti solidi urbani dalla Campania verso queste regioni: le disponibilità delle discariche extra-regionali, tuttavia, coprono circa un terzo della produzione quotidiana, e dunque i comuni in emergenza hanno dovuto realizzare aree di stoccaggio provvisorio sul loro territorio per evitare il cumulo dei rifiuti lungo le strade con i conseguenti rischi di carattere sanitario.
Nonostante l'inizio di questa nuova fase - che si ritiene di dover definire l'emergenza nell'emergenza - la Commissione deve riscontrare come non siano venute meno le condizioni per cui la medesima fase ha avuto inizio: si assiste, cioè, da parte delle strutture commissariali ad una giusta ricerca del consenso da parte degli enti locali nella programmazione degli impianti. Da parte degli enti locali, invece, vi è una generale indisponibilità ad accogliere impianti, di bassissimo impatto ambientale, come sono le vagliature meccaniche o gli impianti di riduzione volumetrica per la produzione di ecoballe, sul loro territorio. Pertanto, a due mesi dal sequestro della discarica di Tufino, è stato possibile impiantare una sola linea di vagliatura (della potenzialità di 400 tonnellate/giorno) a Caivano, una linea di riduzione volumetrica dei rsu a Napoli, una linea a Salerno e due linee a Striano, per una potenzialità di ulteriori 400 tonnellate/giorno. Si è pertanto ancora lontani dalla gestione dei quantitativi prodotti e dell'enorme arretrato accumulato.
A tale proposito, appare sconcertante aver oggi riaperto discariche tradizionali già nel passato esaurite, finora non bonificate né messe in sicurezza. Il disappunto cresce se si pensa che questa soluzione di emergenza è stata assunta dopo che per 68 lunghi giorni migliaia di

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tonnellate di rifiuti hanno invaso le strade ed i siti improvvisati di stoccaggio.
Vi è inoltre la disponibilità di impianti di termodistruzione tedeschi a ricevere ulteriori ed ingenti quantitativi di rifiuti. Ma la Commissione non può che rilevare che è del tutto evidente che non possono essere gli aiuti di altri territori a risolvere l'emergenza della Campania; i rifiuti solidi urbani sono un problema di chi li produce e dunque ciascuno deve essere chiamato a fornire il proprio contributo.
Inoltre, delegazioni della Commissione hanno effettuato due diverse missioni per incontrare i delegati del Governo presso le prefetture di Napoli e di Salerno, per osservare l'evoluzione degli eventi. È emersa la chiara volontà, condivisa da questa Commissione, di non utilizzare questa fase per l'apertura di nuove discariche, soluzione che rappresenterebbe un sensibile passo indietro. Inoltre è emersa, ed è il dato che la Commissione intende mettere particolarmente in evidenza, una sorta di concorrenza tra l'azione degli enti locali e quella delle strutture commissariali: in sostanza, enti locali che si dichiarano indisponibili ad ospitare gli impianti previsti dalle strutture commissariali a loro volta si autopropongono per ospitare altro tipo di impianti, non previsti e non programmati, ma questa volta inspiegabilmente accettati dalle autorità locali. Si tratta di un atteggiamento che rischia di rendere quanto mai lunga e difficile l'attuale fase, giacché non si riesce davvero a comprendere la differenza tra l'una e l'altra soluzione, e dunque perché la prima debba essere respinta e la seconda invece accettata.
La Commissione intende esprimere con forza la propria opinione su questo punto: non è questo falso atteggiamento propositivo che consentirà alla Campania di superare l'attuale fase emergenziale. È invece necessaria la collaborazione, costante, tra tutti i soggetti perché la Campania riesca a superare la lunga stagione dell'emergenza (in corso ormai da sette anni).
Infine, la Commissione ritiene di dover sottolineare un dato che rischia di passare inosservato nell'attuale fase emergenziale: molti comuni campani hanno avviato progetti di raccolta differenziata, che hanno raggiunto in pochi giorni percentuali rilevanti.
Ma anche su questo punto alcuni interrogativi debbono essere posti: il primo riguarda, nuovamente, l'attività degli enti locali interessati dall'attuale fase emergenziale. Vi è infatti da chiedersi per quale motivo si sia dovuta attendere la chiusura delle discariche per attivare, ovviamente in maniera non puntuale, la raccolta differenziata. Qualora la stessa fosse stata attivata per tempo, con ogni probabilità le aree attualmente in stato di maggiore emergenza non sarebbero in simili condizioni. A ciò va aggiunto un ulteriore elemento da considerare: attivare il servizio di raccolta differenziata per tutti i comuni italiani rappresenta un onere (acquisto dei macchinari, dei cassonetti, eccetera): in Campania tale fase di start-up è pagata in generale dal commissariato, tranne vari comuni, che hanno inserito la raccolta differenziata nel budget dei bilanci comunali. Sorge allora la domanda di che cosa abbia ostato all'avvio della raccolta differenziata da parte delle amministrazioni comunali, quelle magari in prima linea nel non voler ospitare sul loro

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territorio impianti per il trattamento (si badi trattamento, non smaltimento) dei rifiuti.
Non esistono, è bene sottolinearlo, evidenze per cui le manifestazioni abbiano in qualche modo referenti nella criminalità organizzata. Semmai è evidente come tali manifestazioni risentano anche di ciò che è accaduto a partire dagli anni ottanta, quando la Campania divenne lo «sversatoio» illegale d'Italia. La Commissione monocamerale che operò nella passata legislatura propose, a questo proposito, il riconoscimento a favore di questi territori di una sorta di risarcimento ambientale da parte dello Stato: questo è arrivato con il finanziamento dei primi interventi di bonifica per le aree maggiormente colpite. Il fatto però che tale bonifiche non siano state avviate nel concreto ha senz'altro contribuito a rendere per i cittadini campani inaccettabile l'apertura sul loro territorio di impianti di trattamento rifiuti o la riapertura di impianti di smaltimento.
Gioverebbe ad una maggior pace sociale una più capillare informazione che spieghi nel concreto cosa si farà in un'area piuttosto che in un'altra, se una soluzione è temporanea o meno. E soprattutto è opportuno che tutti gli impianti (siano essi temporanei o meno) vengano localizzati presso aree industriali, il più lontano possibile dalle civili abitazioni.
Ma su un punto la Commissione ritiene di dover essere particolarmente chiara: da parte della maggioranza delle amministrazioni locali il problema rifiuti è stato semplicemente delegato a qualcun altro (nella fattispecie il commissariato di governo), dimenticando le prerogative comunque spettanti ai comuni, quali i piani per la raccolta differenziata. Oggi, quello stesso atteggiamento mentale si riflette nell'indisponibilità ad accogliere gli impianti, anche quando gli stessi sono localizzati presso aree industriali, distanti alcuni chilometri dagli insediamenti urbani (è il caso dell'area di trasferenza di Marcianise, dell'impianto di vagliatura di Caivano o dell'impianto di riduzione volumetrica di Striano, tutti operativi ma tutti aperti in presenza di manifestazioni popolari di protesta).
Pare, a tale proposito, necessario pensare a specifiche indagini epidemiologiche che, con criteri scientifici, caratterizzino l'incidenza delle patologie ed accertino le cause degli eventuali anomali incrementi statistici.
Il rischio, è bene evidenziarlo, è che la stessa soluzione dei conferimenti extraregionali (che, non va dimenticato, presenta rilevanti costi per la collettività) finisca per essere individuata da cittadini e amministrazioni locali come «la» soluzione. Deve essere invece evidente che questa può essere una soluzione transitoria, ma dovrà essere la Campania stessa ad individuare il sistema per la gestione dei propri rifiuti. Degli impianti di produzione cdr solo quello di Caivano potrà essere operativo nei prossimi mesi. Gli altri avranno tempi leggermente più lunghi, salvo nuove manifestazioni contrarie. A questo punto, ed anche per ridare fiducia alle popolazioni, il primario obiettivo di ogni seria azione di tutela ambientale passa per la bonifica di quei luoghi, presupposto indispensabile per ogni ulteriore valutazione successiva. A quel punto per la Campania si potrà intravvedere la fine dell'emergenza.

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5.4.1. L'emergenza in Campania e l'attività delle ecomafie.
L'emergenza rifiuti in Campania è sempre stata caratterizzata da una presenza invasiva della camorra che, al pari delle altre attività economiche alle quali è interessata, considera il traffico illegale di rifiuti un business molto remunerativo e penalmente irrilevante.
Sin dal 1988, la criminalità organizzata in Campania ha gestito il traffico illegale di rifiuti con grande dispiegamento di uomini e mezzi, come confermato da Nunzio Perrella, primo pentito che ha raccontato i retroscena del patto scellerato tra camorra ed imprenditoria deviata.
Sulla base delle dichiarazioni del citato camorrista, la procura della repubblica di Napoli, nel 1993, ha richiesto ed ottenuto l'emissione di provvedimenti restrittivi a carico di esponenti della criminalità organizzata ed imprenditori operanti nel settore del ciclo dei rifiuti: gli elementi accusatori raccolti dai magistrati di Napoli non hanno, però, retto in sede di riesame, per cui molti dei capi di accusa sono decaduti nell'istruttoria preliminare e, di conseguenza, la maggior parte degli indagati, imprenditori o camorristi, sono stati prosciolti dalle accuse.
Da allora non molto è cambiato e, nonostante una normativa più puntuale («decreto Ronchi»), la criminalità organizzata è riuscita ad assumere le sembianze di classe imprenditoriale evoluta sotto l'aspetto delle tecnologie ed in possesso di personale specializzato.
Gli esponenti mafiosi, infatti, in questi ultimi anni hanno acquistato o compartecipano in società già introdotte nel mondo dei rifiuti, in possesso di tutte le autorizzazioni richieste, sfruttando così un vantaggio che consente di essere subito presenti sul mercato in modo regolare e, solo in caso di assoluta necessità, pongono in essere tutte quelle modalità di gestione, tipiche dell'agire camorristico, per imporre le proprie regole, aumentare i profitti ed eliminare l'eventuale concorrenza.
Le vicissitudini dei primi anni novanta hanno indotto la camorra ad evitare l'esposizione di soggetti criminali, già individuati da magistratura e forze di polizia nel corso di precedenti inchieste, utilizzando prestanomi o elementi apparentemente estranei al mondo mafioso, ma in possesso di quelle cognizioni tecniche indispensabili agli operatori del settore.
In siffatto contesto, anche quest'ultima emergenza rifiuti potrebbe prestarsi a quei meccanismi di infiltrazione subdola di società in odore di camorra che, offrendosi ai rappresentanti delle istituzioni per favorire la soluzione del problema, perseguono il solito obiettivo di coniugare il massimo del profitto con la riaffermazione di una incontrastata egemonia sul territorio
Invero, la Commissione deve rilevare come alcune aziende che hanno contattato l'ufficio del commissario all'emergenza rifiuti, operino tutte nel napoletano e nel casertano e presentino, negli organigrammi societari, anche soggetti con esperienza nel settore che appaiono però, in qualche modo, collegati a personaggi coinvolti in vicende giudiziarie anche attinenti al ciclo dei rifiuti o, comunque, personaggi noti alle forze dell'ordine.
In particolare, meritano approfondimenti quelle posizioni societarie che, in passato, sono risultate - da procedimenti penali o attività


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di indagine delle forze di polizia - collegate, sia pure indirettamente, ad attività del clan Nuvoletta; come pure meritano approfondimenti gli organigrammi di alcune società che sembrano concatenate in un gioco di scatole cinesi.
A riguardo la Commissione deve rimarcare, dunque, la necessità a che le future ma urgenti iniziative nel ciclo dei rifiuti vengano assunte con grande cautela e con l'impegno convergente delle istituzioni ad essere d'appoggio per coloro che, in un clima siffatto, vogliono fornire un contributo positivo per uscire dall'emergenza.

6. Valutazioni conclusive.

La Commissione ha avviato i suoi lavori nel giugno 1997, quattro mesi dopo cioè l'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, il «decreto Ronchi», che, recependo le direttive comunitarie in materia, ha riorganizzato normativamente il ciclo dei rifiuti in Italia, fissando obblighi ed obiettivi ai diversi soggetti amministrativi (regioni, province e comuni). In quattro anni di attività la Commissione ha quindi potuto osservare e valutare direttamente l'evoluzione del ciclo dei rifiuti in Italia, ascoltare tutti i soggetti interessati, seguire le principali vicende giudiziarie che hanno riguardato tale settore, prendere visione in tempo reale delle principali emergenze che lo hanno colpito, suggerire modifiche alla normativa di riferimento.
Già con il documento XXIII n. 35 aveva riferito alle Camere sull'attività svolta nel primo biennio. Dall'approvazione di tale documento la Commissione, continuando la sua attività sulle tematiche già sollevate in quel testo, ha rivolto grande attenzione al settore dei rifiuti speciali che - come detto - in termini quantitativi ed in termini qualitativi rappresentano la parte più rilevante di tale settore. Tale attenzione si è manifestata sia nei documenti tematici citati in questa relazione, sia nell'organizzazione dei già ricordati momenti di dibattito pubblici con gli operatori del settore.
La Commissione deve constatare come nel corso di questi anni, a livello normativo, siano emersi due elementi di segno contrapposto: uno positivo, con l'inserimento, nell'ultima legge finanziaria, di incentivi alle imprese più virtuose nell'ambito degli adempimenti e delle autocertificazioni ambientali; uno negativo, con la mancata emanazione del decreto attuativo relativo ai rifiuti pericolosi.
Rimane tuttavia una situazione per cui secondo le stime della Commissione ogni anno in Italia vengono prodotte almeno 80 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (compresi gli inerti), ma vi è una soluzione di smaltimento solo per 45 milioni di esse. C'è un deficit drammatico, che solo investimenti ed applicazione delle migliori tecnologie disponibili potranno colmare. La Commissione ha valutato e studiato anche le migliori tecnologie in materia, approfondendo in particolare le questioni legate all'impatto ambientale e sanitario dei diversi tipi di impianto. Ha svolto anche un confronto comparativo a livello europeo, in particolare con alcuni procedimenti e tecnologie di Paesi del nord Europa, ed ha prodotto su queste tematiche un documento ad hoc, nel quale, tra l'altro, si riscontra come esistano soluzioni tecniche possibili - molte delle quali di concezione italiana - che tuttavia risentono dell'assenza di investimenti in tale settore.


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Per quanto attiene il ciclo dei rifiuti solidi urbani, la Commissione non può che esprimere rammarico perché al momento del suo insediamento vi erano due regioni in emergenza (la Campania e la Puglia); trascorsi quattro anni non solo queste due regioni sono tuttora nella medesima situazione (ed anzi è ancora difficile immaginare una data per l'uscita dall'emergenza), ma per altre due regioni - Calabria e Sicilia - si è aperta la fase del commissariamento. Per quanto riguarda le indicazioni generali su questo istituto, la Commissione rimanda alle ipotesi ed alle indicazioni avanzate nel documento approvato in materia, che tiene conto anche del migliaio circa di operatori - amministratori, magistrati, organi di polizia giudiziaria, associazioni imprenditoriali, associazioni ambientaliste - che ha avuto modo di ascoltare nei quattro seminari dedicati al tema, svolti nelle quattro regioni commissariate.
È senz'altro poi il caso di notare che si tratta delle quattro aree a tradizionale presenza mafiosa ed è quindi opportuno evidenziare che vi deve essere un collegamento tra questi due elementi: vi sono forze in questi territori che ostacolano l'avvio di una gestione industriale dei rifiuti in un'ottica di ciclo integrato (raccolta differenziata, riciclaggio, recupero anche energetico). Supporre che vi sia solo una correlazione casuale (e non causale, come invece la Commissione ritiene) non consente di valutare con esattezza i termini della questione.
Più in generale, il ciclo dei rifiuti solidi urbani mostra un Paese che tuttora viaggia a tre velocità; del meridione si è detto, anche se una menzione merita il caso della Basilicata, unica area del sud non in emergenza e dove invece la programmazione e la capacità di lettura del territorio evidenzia un lavoro della pubblica amministrazione davvero al passo con ciò che un settore così complesso richiede. Nell'Italia centrale la situazione è più complessa: se Toscana ed Umbria mostrano di aver intrapreso con decisione la strada indicata dalla normativa comunitaria e nazionale (pur con situazioni di crisi legate alla creazione di impianti non pianificati ma comunque autorizzati), nel resto delle regioni il panorama non è ancora soddisfacente. La programmazione stenta a decollare ed anche l'impiantistica non consente di rispondere ai fabbisogni delle aree di riferimento, in particolare laddove la gestione avviene in modo quasi monopolistico, il che non giova né al progredire della raccolta differenziata, né all'abbandono della soluzione discarica (ad esempio la città di Roma, che rappresenta il dieci per cento della produzione di rsu italiani). Nell'Italia del nord, fatta eccezione per Liguria e Friuli-Venezia Giulia, si nota invece una situazione al passo con la media dell'Europa settentrionale, sia in termini di gestione che in termini di trattamento.
Il ciclo dei rifiuti solidi urbani risente tuttavia di povertà di investimenti, di scarsa attenzione da parte dell'imprenditoria: la Commissione ha più volte rilevato, e vuole qui riconfermare, che da parte delle imprese sembra esservi attenzione per il ciclo dei rifiuti solo quando la discussione verte sulla termodistruzione, nella speranza di rientrare nelle previsioni della delibera Cip 6 del 1992, che consente una rilevante remunerazione per l'energia elettrica ceduta all'Enel. Non vi è volontà di rischio di impresa per quanto attiene il compostaggio o il recupero di materiale: eppure si tratta di settori che

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evidenziano la presenza - anche in Italia - di esempi assai avanzati e con buone redditività.
Inoltre, il panorama delle società che operano in questo settore presenta elementi di distorsione (compartecipazioni tra grandi gruppi, potenziali partners in realtà alleati) e di scarsa trasparenza (società con 20 milioni di capitale sociale che controllano aziende con miliardi di capitale sociale, giochi di «scatole cinesi» che riconducono a società con sede in Svizzera o Liechtenstein).
La Commissione deve nuovamente denunciare come il mercato dell'illecito fatturi allo stato attuale circa 15 mila miliardi di lire l'anno, provocando danni all'erario per circa 2 mila miliardi di lire l'anno. Una parte di tali rifiuti viene smaltita illegalmente all'estero, nei Paesi in via di sviluppo. A tale proposito la Commissione, dopo l'approvazione del documento XXIII n. 47 sui traffici illeciti e sulle ecomafie, ha continuato a cercare di verificare le notizie in merito a smaltimenti illeciti avvenuti in Somalia ed il collegamento tra tali fatti e l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Sono anche stati sentiti in audizione segreta cittadini somali, i quali hanno fornito informazioni in merito a sintomatologie mortali quasi certamente ascrivibili a fenomeni di avvelenamento e di intossicazione da rifiuti di origine industriale; ma hanno anche destato la netta impressione di non poter riferire in merito a fatti specifici, peraltro già deposti davanti alla magistratura, a causa delle pressioni subite.
Contro questo business illegale, nonostante recentissime innovazioni normative, lo Stato si presenta tuttora debole. Si è detto che è stato introdotto il reato di traffico illecito di rifiuti pericolosi, che prevede soglie minime di pena tali per cui sarà possibile finalmente utilizzare strumenti di indagine più avanzati (dalle intercettazioni telefoniche a quelle ambientali). Si tratta di un intervento importante - anche se non con i necessari connotati di organicità - richiesto anche nel citato recente seminario organizzato dalla Commissione sul tema dei delitti contro l'ambiente. Ma, nonostante le sollecitazioni e gli stimoli che anche questa Commissione ha più volte, e in tutte le forme istituzionali possibili, avanzato, non si è riusciti ad emanare una normativa organica, penalmente rilevante, in tema di delitti contro l'ambiente. La Commissione ha approvato un documento in materia nel marzo 1998; nell'aprile 1999 il Governo ha presentato un proprio disegno di legge, che tuttavia non è stato mai discusso in sede di Commissioni ambiente e giustizia del Senato, cui era stato assegnato. E ciò nonostante le sollecitazioni che anche a livello internazionale (Onu e Consiglio d'Europa) vengono mosse al nostro Paese in tema di protezione dell'ambiente con la normativa penale.
Si tratta di un passaggio importante, ma non può essere l'unico; la Commissione ha sempre ricordato di non condividere una concezione panpenalistica, tale per cui sia l'autorità giudiziaria a dover tutelare l'ambiente (peraltro a danno avvenuto). Prioritario è l'adeguamento del sistema Anpa/Arpa (con le modifiche già introdotte) ai compiti che la protezione dell'ambiente richiede; va completato l'adeguamento in termini di personale, così come va completato l'adeguamento sul territorio. In due regioni (Sardegna e Sicilia) l'Arpa non esiste ed in troppe aree (dalla Lombardia alla Calabria) questa esiste solo formalmente ma non è ancora operativa.

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Parallelamente a tale sviluppo, occorre dotare il controllo amministrativo di strumenti tecnologici in grado di saper leggere in tempo reale ciò che accade sul territorio. Da questo punto di vista l'introduzione del sistema check-rif, sviluppato e brevettato dall'Anpa, consentirà di superare la parzialità dell'attuale sistema di certificazione basato sui Mud, e di avere nel contempo una visione aggiornata all'istante della situazione e l'eliminazione dei tanti certificati cartacei che rappresentano - la Commissione ne è convinta - un aggravio di costi burocratici per tutti gli operatori. La Commissione è tuttavia altrettanto convinta che esistono operatori che proprio sulla farraginosità del Mud prosperano in maniera illecita; è quindi necessario che i tanti operatori onesti mostrino la loro volontà di andare nella direzione di una semplificazione burocratica accompagnata da una maggiore efficacia nel controllo.
Secondo la Commissione, solo una maggiore efficacia ed efficienza dei controlli amministrativi, una normativa penale con reali funzioni di deterrenza e l'adozione delle tecnologie migliori per l'abbattimento degli inquinanti consentiranno di marginalizzare le attività illecite nel ciclo dei rifiuti e di aprire la strada ad una gestione integrata del ciclo dei rifiuti. E consentirà di evitare il degrado ambientale di rilevanti porzioni di territorio. A questo proposito, si evidenzia positivamente come in questi anni si sia data grande evidenza agli aspetti di bonifica dei territori inquinati, sia da attività industriali decennali che da fenomeni di illecito smaltimento. I finanziamenti stanziati con le leggi sui nuovi interventi in campo ambientale consentiranno di avviare le bonifiche, tema cui la Commissione si è interessata con documenti e convegni specifici di cui si è detto. È opinione della Commissione che proprio le bonifiche del territorio dovranno essere uno dei più rilevanti capitoli delle opere pubbliche dei prossimi anni, per restituire ai cittadini ed alle attività produttive aree oggi non disponibili. Va evidenziato come siano finalmente stati avviati i lavori per la bonifica di alcune aree del petrolchimico di Porto Marghera e come risulti prossimo l'avvio per la bonifica dei lagoons dell'Acna di Cengio. Per tali interventi, comunque, va sottolineato come sarà solo parzialmente realizzato il principio del «chi inquina paga», essendo questi ricompresi nei siti di interesse nazionale per i quali lo Stato (attraverso norme approvate nel corso della legislatura) ha previsto rilevanti finanziamenti pubblici. Deve essere anche sottolineata l'esigenza di programmare ed avviare la bonifica delle aree su cui insistono quelle stazioni di rifornimento dei carburanti che, nell'indirizzo generale delineato dal Governo, dovranno essere dismesse.
In merito poi alla situazione dei rifiuti radioattivi, la Commissione deve evidenziare il caso di Saluggia; nelle conclusioni della Commissione d'inchiesta della precedente legislatura si evidenziò come rientrasse allora (1995) tra le ipotesi operative dell'Enea la rimozione dei liquidi radioattivi dal sito di Eurex ed il loro trasporto in Paesi, come la Francia, attrezzati per il loro condizionamento e disponibili anche per la custodia definitiva. Si decise invece di mantenerli nel sito, con conseguenze particolarmente negative. Saluggia si trova infatti in area di esondazione (ed è stata recentemente colpita da fenomeni alluvionali), inoltre i contenitori di tali rifiuti sono ormai verso la fine del loro ciclo di vita e non offrono quindi più idonee garanzie di tenuta. I

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progetti illustrati alla Commissione in merito alla gestione di tali rifiuti non evidenziavano le caratteristiche di sperimentazione del processo di vetrificazione a crogiolo freddo che in realtà essi hanno, determinando quindi un allungamento dei tempi per la soluzione del problema, che sottovaluta in maniera non accettabile il precario stato di conservazione dei contenitori, nonché i rischi connessi all'intensificarsi dei fenomeni alluvionali.
Tenendo conto delle prescrizioni dell'Anpa, che dimezzano i tempi operativi in rapporto alle esigenze legate ai fenomeni alluvionali, appare opportuno che il Governo italiano verifichi le possibilità di realizzare accordi con altri Paesi per la rimozione ed il trasporto dei liquidi radioattivi verso siti idonei al loro condizionamento e stoccaggio definitivo, con tempi inferiori a quanto prospettato con il «progetto Cora» ed a costi del tutto confrontabili. La Commissione ritiene poi che vada svolta una rapida verifica in sede tecnica se all'accorciamento dei tempi prescritto dall'Anpa non possa concorrere una tecnologia di solidificazione dei liquidi radioattivi analoga a quella già operata presso l'Itrec di Trisaia (Mt).
In questi anni di lavoro la Commissione - per come si è visto sin qui - ha affrontato le molteplici tematiche attinenti al ciclo dei rifiuti, ha riscontrato avanzamenti e ritardi nelle attività della pubblica amministrazione, ha svolto efficaci attività di stimolo in tema di rifiuti ospedalieri e radioattivi, ha sollecitato l'introduzione di un'efficace normativa penale, ha seguìto numerosi casi segnalati da cittadini o associazioni in tema di smaltimenti illeciti, è stata direttamente presente sul territorio per osservare e valutare situazioni di degrado o positivi esempi di gestione del ciclo.
Il ricordato documento sulla gestione dei rifiuti ospedalieri è stato lo spunto per ulteriori verifiche da parte dei soggetti preposti ai controlli amministrativi (dall'Anpa all'Istituto superiore di sanità) e per ulteriori verifiche dirette compiute dalla Commissione, che hanno evidenziato le ricordate numerose anomalie che si registrano in tale particolare settore del ciclo dei rifiuti, al quale la Commissione ritiene si debba porre la massima attenzione a causa delle ampie irregolarità da essa riscontrate.
La Commissione ha inoltre compiuto un'indagine sui problemi derivanti dall'eliminazione dell'amianto, verificando i risultati raggiunti ed i ritardi da superare a nove anni dalla legge che ha imposto la cessazione dell'impiego di tale materiale. Alle Camere sono state quindi fornite per la prima volta informazioni in merito alle quantità tuttora presenti, alla contaminazione dei siti, nonché in ordine ai rischi che possono derivare anche dai materiali sostitutivi dell'amianto.
Si può sicuramente affermare che l'indagine sull'amianto condotta dalla Commissione rappresenta l'up to date delle conoscenze nel settore da parte del Parlamento, anche in riferimento ai risultati relativi alla conferenza nazionale sull'amianto promossa dal Ministero della sanità, svoltasi nel 1999.
La Commissione ha sempre mantenuto un rapporto diretto con tutte le aree per le quali era già stata presentata alle Camere la relazione territoriale. Ciò vale in particolare per le regioni in emergenza, come hanno dimostrato le recentissime missioni in Puglia ed in Campania. Delegazioni della Commissione si sono recate nel Salento

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ed in provincia di Brindisi, dove grande allarme suscita la situazione dello stabilimento ex Evc, che presenta caratteristiche di inquinamento del tutto simili a quelle di Porto Marghera, per il quale inoltre si sospetta l'inquinamento delle falde idriche a servizio della città di Brindisi.
Per quanto riguarda in particolare la Campania, va sottolineato come alla Commissione non risultino correlazioni tra le proteste popolari e l'attività della criminalità organizzata. Ciò che risulta evidente è lo scontro in atto tra chi tende ad una gestione integrata del ciclo dei rifiuti e chi invece non intende rassegnarsi all'abbandono della discarica come soluzione. Risulta inoltre alla Commissione che la criminalità organizzata, da sempre interessata fautrice del 'tutto in discarica', sta cercando anche di proporsi (dietro società prestanome) come fornitrice di impianti diversi dalla discarica e terreni privati: su questo tema occorre la massima vigilanza da parte di tutti i soggetti istituzionali della Campania.
Le proteste popolari in atto in Campania non hanno come origine solo l'attuale fase di emergenza: sono anche il frutto di ciò che è accaduto a partire dagli anni ottanta, quando questa regione - a causa dell'attività delle ecomafie - è divenuta lo sversatoio d'Italia. Va qui ricordato che anche nel percolato della discarica per rifiuti solidi urbani di Tufino, recentemente sequestrata dall'autorità giudiziaria, sono state riscontrate tracce di cromo, indice di sversamenti di rifiuti di origine industriale. Ciò ha determinato un anticipato esaurimento dell'impianto, nonché una truffa ai danni dei comuni che pagavano per il conferimento presso tale discarica. Per tali fatti già la Commissione che operò nella passata legislatura richiese (ottenendolo, con le leggi approvate in questa legislatura) una sorta di «risarcimento ambientale» sotto forma di fondi per le bonifiche delle aree colpite da tali fenomeni di inquinamento. Il punto è che tale attività di bonifica non è ancora avviata ed anche ciò contribuisce ad aumentare il dissenso nei confronti delle soluzioni oggi adottate.
Ad avviso della Commissione, tale situazione potrà essere superata solo con un'informazione adeguata (un impianto di vagliatura non è davvero un «godzilla» e non prelude alla localizzazione di un termodistruttore): va ricordato che il piano di emergenza per la Campania di Enea del 1995 prevedeva 12 termodistruttori; il successivo piano regionale ne prevedeva 5 e poi, con un dibattito avvenuto proprio nella Commissione, il numero dei termodistruttori si è ridotto a 2. È fondamentale che la scelta dei siti avvenga con la migliore qualificazione tecnica ed assuma quindi un carattere di «oggettività» e di «indiscutibilità», sia cioè chiaro che le determinazioni non sono avvenute per pressioni politiche o favoritismi municipalistici. Secondo tale orientamento si dovranno quindi individuare per la collocazione degli impianti di trattamento e di smaltimento dei rifiuti aree industriali il più possibile lontane dalle abitazioni civili.
In conclusione, si può senz'altro affermare che la stagione del far-west è senz'altro conclusa, ma non è completata la fase di transizione verso un sistema industriale di gestione integrata del ciclo. Saranno necessari ancora alcuni anni, ma sulla base del lavoro svolto

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in questi anni la Commissione ritiene di dover concludere la sua attività proponendo i seguenti indirizzi:
il Ministero dell'ambiente ed i suoi organi (Anpa, Osservatorio nazionale sui rifiuti) nonché il Ministero dell'industria procedano ad un'ampia e stringente indagine sui rifiuti speciali, la loro quantità complessiva, i loro flussi, le loro modalità di smaltimento secondo le tipologie e l'accertamento delle quantità realmente smaltite e/o recuperate, con particolare attenzione ai rifiuti pericolosi;
il Ministero dell'ambiente ed il Ministero dell'industria - ricorrendo anche all'Enea, al Cnr ed alla disponibilità di istituti universitari - curino programmi di education nei confronti del sistema delle imprese e mettano a disposizione sportelli che interfaccino le imprese con le migliori tecnologie disponibili per la gestione dei rifiuti e per le bonifiche, nonché per l'adozione di sistemi di autocertificazione ambientale (Emas);
le regioni e le province completino e potenzino il sistema dei controlli Anpa-Arpa-Appa come elemento di prevenzione e tutela per l'ambiente e la salute, ma anche di tutela per il corretto operare del mercato;
il prossimo Parlamento ed il prossimo Governo diano assoluta priorità ad una legislazione organica per introdurre le fattispecie dei delitti contro l'ambiente nel codice penale; il prossimo Governo proponga al Parlamento un testo unico in materia di legislazione dei rifiuti per fornire un quadro di riferimento certo e meno farraginoso a tutti gli operatori del settore, alle amministrazioni, alle imprese ed agli organi giudiziari;
il prossimo Governo curi con particolare attenzione il coordinamento tra tutte le forze addette al contrasto ed alla repressione delle ecomafie in campo nazionale, favorendo lo sviluppo di appositi settori di intelligence e di analisi economica; nel settore dei traffici internazionali illeciti di rifiuti, siano migliorati e potenziati gli strumenti di raccordo con gli organismi di polizia sovranazionali (Europol).

La Commissione poi ritiene di suggerire al prossimo Parlamento l'istituzione di analoga Commissione d'inchiesta, soprattutto per quanto in termini di stimolo, attenzione e sollecitazione è possibile fare, per ridurre i tempi che separano l'Italia dall'obiettivo di modernizzare il ciclo dei rifiuti. I compiti di tale Commissione potrebbero inoltre essere ampliati con i poteri di inchiesta su tutto il territorio nazionale in ordine alle questioni dell'attività estrattiva abusiva, dell'abusivismo edilizio, del dissesto idrogeologico e della depurazione delle acque. Questa ipotesi di più ampi poteri di inchiesta potrebbe fornire un significativo contributo a ridurre sempre più i rischi di crisi nelle singole aree territoriali e ad accompagnare le regioni oggi in emergenza - per i rifiuti, come per la depurazione delle acque e come per il dissesto idrogeologico - verso una più piena efficienza del settore e come tassello fondamentale per la modernizzazione del Paese ed uno sviluppo sostenibile.


(1) Il seminario di Napoli si è svolto il 18 febbraio 2000; l'incontro di Bari si è tenuto il 7 marzo 2000; a Reggio Calabria l'iniziativa si è svolta l'1 giugno 2000; il seminario di Palermo, infine, si è svolto il 19 ottobre 2000.
(2) Milano, 29 giugno 2000.
(3) Palermo, 20 novembre 2000.
(4) Roma, 14 dicembre 2000.
(5) Roma, 4 dicembre 2000.
(6) Roma, 5 febbraio 2001.
(7) Roma, 19 febbraio 2001.
(8) Doc. XXIII n. 9, approvato nella seduta del 28 maggio 1998.
(9) Doc. XXIII n. 36, approvato nella seduta del 21 ottobre 1999.
(10) Vedi indagine della regione Toscana.
(11) Doc. XXIII n. 40, approvato nella seduta del 29 marzo 2000.
(12) Doc. XXIII n. 55, approvato nella seduta del 20 febbraio 2001.
(13) Roma, 5 febbraio 2001.
(14) Doc. XXIII n. 47, approvato nella seduta del 25 ottobre 2000.
(15) Napoli, 26 febbraio 1999.
(16) Vedi doc. XXXII n. 12, relazione sulla Campania, doc. XXIII n. 23, relazione sull'Abruzzo, e doc. XXIII n. 32, relazione sull'Emilia Romagna.
(17) Vedi doc. XXIII n. 38, relazione sulla Calabria.
(18) Vedi doc. XXIII n. 34, relazione sulla Sicilia.
(19) Sul punto vedi anche l'audizione del procuratore distrettuale di Palermo, dottor Pietro Grasso, del 13 giugno 2000.
(20) Vedi doc. XXIII n. 43, relazione sulla Basilicata.
(21) Vedi audizione del procuratore distrettuale di Torino, dottor Marcello Maddalena, del 21 giugno 2000.
(22) Vedi doc. XXIII n. 32, relazione sull'Emilia Romagna.
(23) Vedi doc. XXIII, relazione sulla Puglia, e doc. XXIII n. 19, relazione sull'Abruzzo.
(24) Vedi doc. XXIII n. 16, relazione sul Lazio.
(25) Vedi doc. XXIII n. 28.
(26) I procedimenti principali hanno riguardato le discariche di Acireale, Paternò, Mascali, Giarre, Nicolosi, Cesarò, Belpasso, Motta S. Anastasia, Randazzo, Grotte di San Giorgio e Portella Arena; cfr. sul punto relazione sulla Sicilia, in doc. cit.
(27) Vedi doc. XXIII n. 40, approvato nella seduta del 29 marzo 2000.
(28) Vedi doc. XXIII n. 54, relazione sul Veneto.
(29) Vedi doc. XXIII n. 47, citato.
(30) Vedi Camera dei deputati, XIII legislatura, doc. XXXIII nn. 7 e 8.
(31) Vedi doc. XXIII n. 51.
(32) Doc. XXIII n. 52, approvato nella seduta del 21 dicembre 2000.
(33) Doc. XXIII n. 39.
(34) Doc. XXIII n. 38.
(35) Doc. XXIII n. 43.
(36) Doc. XXIII n. 54.
(37) Doc. XXIII n. 55.
(38) Doc. XXIII n. 58.
(39) Doc. XXIII n. 60, approvato nella seduta del 7 marzo 2001.

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