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Doc. XXIII n. 57


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CONCLUSIONI

Le pagine precedenti hanno dimostrato che le mafie non rappresentano solo un problema di carattere criminale ma un vulnus per la vita democratica del nostro Paese perché nel loro concreto operare esse attentano ai valori fondamentali della nostra società, quali la dignità umana, la libertà economica e morale, profondamente radicate nella coscienza civile e testualmente contemplati nella Carta costituzionale.
La storia del nostro Paese vede una democrazia costantemente ferita dal persistente attacco dei poteri mafiosi che non hanno mai mancato di far sentire la loro presenza. La nostra vita democratica, infatti, accanto alla straordinaria crescita dei diritti e delle forme di partecipazione, registra zone d'ombra dentro cui hanno trovato spazio diversi poteri occulti, tra cui quelli mafiosi.
Ancora oggi, ad esempio, abbiamo bisogno di ricostruire pienamente cosa avvenne nel periodo delle stragi per approfondire le ragioni che indussero la mafia a prendere in considerazione obiettivi mai attaccati prima. È una questione aperta, che solo un lavoro serio potrà chiarire, naturalmente in un clima politico compatto e deciso a fare seriamente i conti con la mafia.
Storicamente, la capacità delle mafie di insidiare la vita democratica di un Paese risiede nella connessione con i poteri economici e istituzionali, attraverso la quale si raggiunge, col tempo, una massiccia penetrazione nel tessuto sociale.
Questo rapporto con la realtà quotidiana è, peraltro, un dato di tutte le mafie che si sono succedute nel tempo: anche la mafia delle stragi, che puntava prevalentemente sul suo profilo "militare", non ha mai cessato di possedere questa natura.
Non è mai esistita, in definitiva, una mafia "buona", quella del passato, con il suo strutturato codice d'onore, da contrapporre a quella terroristica al punto da ipotizzare una sorta di "compatibilità" con la mafia qualora la si volesse considerare tornata nel suo alveo tradizionale. La mafia è stata sempre "cattiva": è stata sempre lutto e offesa per la dignità di cittadini, negazione e mai risorsa dello sviluppo e dell'occupazione.
È bene, pertanto, che la coscienza comune raggiunga la consapevolezza che la mafia delle stragi è figlia della mafia di sempre; gli stessi boss Provenzano e Riina, che hanno caratterizzato in modo diverso la loro leadership all'interno di "Cosa nostra", hanno "pacificamente" cooperato per tutti i decenni della loro latitanza. Le strategie mafiose possono senz'altro cambiare ma lo scopo rimane uno solo: inquinare la convivenza umana per stravolgerla in consorteria, in cosca, dove il dominio sostituisce il governo, i diritti si tramutano in favori, i doveri in vassallaggio, i cittadini in sudditi.
Politica e mafia si incrociano, quindi, fatalmente perché hanno di fronte a sé un unico territorio, un unico popolo; e allora, se il consenso si fa partecipazione democratica prevale la politica, se il consenso si fa prassi affaristico-spartitoria prevale la mafia.


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Il punto centrale della questione è che la mafia, quindi, fa politica, nel senso più letterale del termine: tenta di gestire la res publica attraverso una attività di "mediazione" che, ovviamente, ha natura, metodi, strumenti e scopi differenti da quelli della "politica", intesa, questa volta, come rappresentanza di ideali, di progetti e di interessi secondo metodi, strumenti e scopi da tutti riconoscibili e condivisibili.
La sfida è decisiva: se la politica sarà in grado di riformarsi fino al punto di vincere i poteri che la insidiano lo Stato sarà autorevole, perché in grado di produrre un'azione di contrasto efficace e decisivo.
In sostanza, non solo la politica deve difendersi ed evitare che la mafia possa inquinarla, ma è fondamentale che la politica sia in sé, nella sua essenza, nel suo modo di essere, nei suoi programmi, nella sua azione quotidiana, attacco sistemico alle mafie. Lo stesso conflitto politico tra le varie coalizioni e tra i vari soggetti politici deve generare legalità, non offrendo mai sponde, neanche per un voto, alla mafia.
Il momento elettorale è sempre quello più delicato e più esposto ai pericoli dei condizionamenti mafiosi.
Le mafie, soprattutto nella fase elettorale, cercano sempre di interferire. Per questo è importante conoscere i pericoli e sapere come contrastarli.
Ma non basta "resistere" e contrattaccare nel momento elettorale. Per la politica è prioritario un processo di riforma che non riguardi solo i meccanismi formali della decisione, ma anche e soprattutto la gestione del potere, il radicamento sul territorio, la gestione degli appalti e delle politiche di investimento soprattutto nei lavori pubblici, la proiezione internazionale nella consapevolezza dell'esistenza, ormai, di una mafia globalizzata.
È necessario, quindi, che la politica gestisca la cosa pubblica nelle forme del governo democratico evitando la tentazione dell'occupazione del potere; soprattutto, è necessario che la politica non diventi, neanche inconsapevolmente, sponda alle esigenze "legislative" dei boss mafiosi.
Nel radicamento sul territorio si gioca una partita decisiva per la vita democratica del nostro Paese. Proprio adesso, in una fase in cui si esalta giustamente l'autonomia locale e il federalismo, la politica deve contribuire alla crescita dell'autosviluppo e della legalità, evitando che la mafia, con l'usura, il racket, la gestione degli appalti possa diventare paradossalmente soggetto di regolazione delle vicende sociali ed economiche delle realtà territoriali. L'autonomia, trasformata in localismo asfittico, in comunità chiusa ed incapace di guardare all'impianto complessivo del Paese, corre più rischi ed è più vulnerabile.
Così, anche riguardo alla dimensione internazionale, la politica necessita di una nuova progettualità. La politica, nel mondo della globalizzazione, deve sapere contrastare le tendenze di spregiudicate finanze che ritengono le persone, le scorie radioattive, le armi, i rifiuti come un tutto indistinto che diventa indifferentemente merce, oggetto di traffici o di vera e propria tratta, come nel caso della riduzione in schiavitù di donne e bambini. Le mafie offrono il braccio armato a tale commercio: insieme a questo braccio c'è la "testa" pensante dei colletti bianchi, dei paradisi fiscali, dei poteri compiacenti. La mafia globalizzata

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è lo smacco delle nostre democrazie, incapaci di creare sviluppo senza essere soggiogate dal profitto fine a se stesso.
Di fronte a questi fenomeni va rilanciato il senso della convivenza civile dello Stato, inteso come bene comune, come Cosa pubblica, attraverso una riforma della politica capace di coniugare in sé responsabilità della decisione e passione della partecipazione.
Niente può essere più appassionante di un progetto comune tra politica e società civile in grado di riproporre un senso autentico di giustizia e il respiro della libertà.
La lotta alla mafia deve avere questo respiro, e intorno ad essa si può tornare a stringere quel patto sociale che ci ha visto diventare popolo e Paese. La politica in democrazia, è fondamentalmente la ricerca dell'attuazione pratica di tale patto. Così la politica nella sua essenza può diventare una forte azione antimafia.
Dobbiamo quindi avere chiara la portata della sfida della legalità.
La legalità non è una procedura asettica, non risiede solo nel testo della legge, ma soprattutto nell'anima di questo testo.
Non c'è legalità senza giustizia sociale, perché nella mancanza di giustizia si annidano tutti i presupposti del sopruso e dell'arbitrio, che costituiscono l'humus di ogni mafiosità e di ogni mafia. La legge è smentita in sé quando non è "uguale per tutti", la legalità è smentita in sé quando non diventa fattore propulsivo della massima integrazione sociale. La questione sociale è l'anima di ogni lotta per la legalità intesa come lotta per la democrazia.
La questione sociale va affrontata in modo integrale, sistemico, pena il suo sprofondare nel ghetto della spontaneità emotiva, che non aiuta a trovare soluzioni durature di ampio respiro. Pensare che per contrastare l'illegalità organizzata basti il solo sdegno sociale rischia, dunque, di non cogliere la portata devastante, a tutto campo, delle mafie che si strutturano in sistema organizzato dell'illegalità e così insidiano i nostri territori, il nostro Paese, le nostre democrazie.
L'attacco delle mafie è sistemico, è attacco alle stesse fondamenta della convivenza umana. Il contrattacco della legalità deve essere altrettanto sistemico: repressione e prevenzione devono marciare insieme.
Racket delle estorsioni, prostituzione, usura, appalti truccati, contrabbando, narcotraffico, tratta di clandestini e riciclaggio di tutti i conseguenti proventi illeciti non sono fenomeni criminali «caratteristici» di qualche territorio, ma i tratti di un architettonico accumulo economico realizzato con il crimine, l'illegalità, la violenza. A queste mafie si deve opporre l'azione intelligente di una legalità che sa snidarle in ciò che le nutre e le fa prolificare: i loro patrimoni riciclati in mille attività apparentemente "legali". È bene ripetere quanto detto nelle pagine precedenti: questi patrimoni vanno individuati, confiscati e riutilizzati per promuovere convivenza umana sul territorio e prevenzione sociale che sono ben simboleggiate nella destinazione ad uso sociale dei beni confiscati sancita dalla legge n. 109 del 1996, legge fortemente voluta e promossa proprio dal mondo dell'associazionismo, in particolare dall'associazione Libera.
Questa Commissione Antimafia e tante realtà dell'impegno sociale si sono ritrovate insieme, in quella che potremmo definire "la lunga

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marcia" della democrazia. Associazioni, gruppi di volontariato e scuole hanno convocato, potremmo dire, ogni giorno l'Antimafia per confrontarsi e progettare nuova territorialità e cultura della legalità.
La Commissione ha cercato di realizzare una consapevolezza sistematica e strategica contro le mafie, e in questa lotta integrata ha visto come prioritario il ruolo delle agenzie formative. Di qui, fra l'altro, l'impulso dato in Commissione allo Sportello Scuola e Volontariato, culminato con la redazione del volume "Conoscere le mafie. Costruire la legalità", inviato recentemente a tutte le scuole d'Italia nel presupposto che è nella trasmissione dei saperi, nel lavorare cultura, nel sedimentare coscienza che è riposto il cuore della legalità.
La Commissione consegna questo indirizzo, da arricchire e sviluppare, perché indagine, repressione, saperi e passione civile sappiano trovare insieme la strada lungo la quale coscienza personale e vita pubblica siano in grado di sradicare il fenomeno della mafia nelle sue fondamenta.
La prossima Commissione antimafia che sarà istituita dal nuovo Parlamento ha davanti a sé compiti molto impegnativi che derivano dai problemi irrisolti e dalle nuove sfide degli anni a venire.
Tradizionalmente, tra l'insediamento delle nuove Camere e l'elezione della Commissione antimafia sono sempre trascorsi alcuni mesi. Mesi di vuoto, di assenza di iniziativa parlamentare sul tema. Le cose fin qui dette ci spingono ad affermare che i vuoti sono un punto debole dell'azione contro le mafie.
Per questo è importante invertire la tendenza rispetto alle legislature precedenti mettendo subito al lavoro la nuova Commissione antimafia.
La proposta che avanziamo è che il Parlamento valuti tutti gli strumenti normativi e procedurali a sua disposizione per garantire un carattere sostanzialmente permanente alla Commissione antimafia; tale carattere permetterebbe al Parlamento di dotarsi ad inizio di ogni legislatura di un organo con funzioni di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata la cui azione, d'altronde, non conosce pause e che ancora oggi presenta caratteri strutturali e duraturi.

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