Doc. XXIII n. 57
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PARTE QUARTA
Capitolo primo
LA CRIMINALITÀ TRANSNAZIONALE: LE NUOVE MAFIE
1. La criminalità transnazionale: le nuove mafie.
Con l'espressione nuove mafie si definiscono comunemente i gruppi di criminalità organizzata costituiti su base etnica da cittadini non italiani che operano sul nostro territorio nazionale : tali gruppi costituiscono una manifestazione del più generale fenomeno della transnazionalità della criminalità organizzata.
Il tema delle nuove mafie e della criminalità transnazionale ha assunto da qualche anno, un rilievo centrale nell'analisi del fenomeno della criminalità organizzata e di tipo mafioso.
La Commissione Parlamentare Antimafia ha compiuto un attento lavoro di analisi di questa realtà - anche attraverso un apposito Comitato di lavoro sulla criminalità internazionale, coordinato dalla sen. Tana de Zulueta - ed ha proceduto ad un' approfondita inchiesta, con audizioni di esperti, acquisizioni di documenti e compiendo missioni all'estero.
Il tema della transnazionalità del crimine organizzato ha riguardato molte attività della Commissione. Alcune delle più impegnative inchieste - dal traffico egli esseri umani al contrabbando di tabacchi lavorati esteri - hanno avuto ad oggetto proprio fenomeni criminali ontologicamente transnazionali.
Tra le attività di studio e di analisi sui temi riguardanti la lotta alle nuove forme sovranazionali della criminalità organizzata, il Seminario su "La costruzione dello spazio giuridico europeo contro il crimine organizzato", promosso dalla Commissione in preparazione della Conferenza dell'ONU sul crimine organizzato tenutasi a Palermo dall'11 dicembre 2000, si pone quale importante contributo alla definizione di una strategia di contrasto integrata degli Stati della Unione Europea, strategia che si propone come modello per la comunità internazionale.
L'analisi della attuale realtà del crimine organizzato, per come si desume dai dati e dai documenti acquisiti, dagli esiti delle inchieste e degli accertamenti compiuti dalla Commissione in questa legislatura, consente di affermare che la transnazionalità del crimine organizzato e mafioso non costituisce solo un aspetto particolare ed eccezionale, seppur importante, del fenomeno della criminalità organizzata: il carattere transnazionale oramai connota di sé, in modo ordinario, ogni importante attività criminale organizzata.
Due sono i processi che hanno influito direttamente sul carattere transnazionale della criminalità organizzata: la globalizzazione della
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economia e le grandi migrazioni di persone dalle parti povere de mondo a quelle ricche.
La presenza operativa sul territorio nazionale di gruppi di criminalità straniera, l'incidenza della loro azione sulle condizioni di vita e sulla sicurezza dei cittadini italiani ha reso evidente che il mercato nel quale oggi si realizzano i profitti criminali è un mercato che travalica i confini nazionali
I beni che oggi sono trafficati dalla criminalità organizzata - droga, armi, esseri umani, denaro - sono ordinariamente soggetti a movimentazioni su scala mondiale: dai paesi di produzione, quei beni attraversano Paesi diversi, fino a giungere negli Stati in cui potranno essere utilizzati illecitamente
I pagamenti relativi a quei traffici illeciti si attuano anch'essi nel sistema finanziario internazionale e si giovano delle continue innovazioni tecnologiche che consentono di svincolarsi dai controlli.
Per realizzare queste attività le organizzazioni criminali dei diversi paesi stabiliscono delle alleanze tra di loro e, comunque, si pongono in condizione di operare nei Paesi nei quali le merci dovranno essere prodotte, acquistate, transitate, consumate.
Il fenomeno della globalizzazione che ha investito lo sviluppo delle economie legali incide direttamente sulla evoluzione del mondo del crimine. La realtà fenomenica è unica: e le dinamiche criminali seguono le medesime regole del mercato globalizzato.
La dimensione transnazionale del crimine organizzato costituisce oramai una condizione strutturale ordinaria dell'agire mafioso.
Nessuna delle attività illecite tipicamente realizzate sul territorio nazionale sfugge a quella regola: dal traffico di stupefacenti, alle armi, alla immigrazione clandestina.
E anche quelle attività illecite che sembrano esaurire il loro ciclo nell'ambito nazionale, rientrano nella regola transnazionale appena si pone il problema del riciclaggio degli ingenti profitti illeciti.
Nella fase contemporanea dello sviluppo delle mafie, la dimensione transnazionale è dunque, una caratteristica strutturale ordinaria di ciascuna di esse, dalla cosiddetta mafia russa, alla criminalità albanese, dalla mafia turca ai cartelli colombiani della cocaina.
I gruppi criminali stranieri che agiscono in Italia costituiscono a ben vedere la manifestazione concreta di una più generale trasformazione genetica che ha riguardato l'intero mondo del crimine.
La dimensione transnazionale peraltro non riguarda solo la criminalità organizzata dei cittadini stranieri. Quel processo riguarda, ovviamente, anche la criminalità organizzata italiana. Le associazioni criminali italiane hanno da tempo intrecciato rapporti sia con i gruppi stranieri insediati in Italia (a seconda del settore, in regime di monopolio, di compartecipazione o di subordinazione) sia con le mafie straniere operanti nei rispettivi paesi. La mafia italiana, prima e meglio di altri, ha sviluppato una propria dimensione internazionale: si pensi ai collegamenti per l'approvvigionamento dì stupefacenti, al numero dei latitanti italiani catturati all'estero o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, per dire di un settore in cui la criminalità italiana, nel contesto internazionale, ha una posizione di vertice.
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Come vedremo nella parte che riguarderà l'analisi dei gruppi criminali stranieri operanti in Italia, per il trasporto delle merci da un Paese all'altro e per la relativa regolamentazione finanziaria, le organizzazioni criminali dei diversi paesi entrano in rapporto tra loro ,a volte stabilmente oppure, secondo una logica commerciale, per la sola conclusione dell'affare illecito. E gli accordi e le attività criminali, spesso, sono favoriti dall'utilizzo di connazionali che agiscono stabilmente all'estero quali terminali di una rete che non conosce confini nazionali e si stende laddove è possibile realizzare profitti illeciti.
Per tali ragioni le mafie, oggi, devono essere analizzate e combattute, sul piano della disciplina legislativa e del contrasto operativo, come organizzazioni criminali transnazionali.
A fronte di tale realtà il compito storico cui è chiamata la Comunità internazionale degli Stati è di costruire le condizioni per una legalità globalizzata altrettanto organizzata quanto il crimine.
Al fine di realizzare questo obiettivo, la Commissione ritiene che l'attenzione degli Stati deve guardare alla globalizzazione come un processo che deve essere completato e deve interessare anche le regole e gli strumenti occorrenti per difendere i valori civili e le condizioni di sicurezza dei cittadini.
2. Immigrazione e criminalità.
Accanto alla globalizzazione della economia e dei mercati, l'altro grande processo che influenza direttamente i fenomeni criminali, è costituito dalle grandi migrazioni di esseri umani, originate dalla povertà, dalle guerre, dai conflitti etnici.
Appare dunque necessario soffermarsi sul rapporto tra questo fenomeno e quello della criminalità transnazionale.
Proprio il fenomeno della migrazione di milioni di uomini su scala mondiale verso le zone ricche del mondo, ha costituito la base su cui organizzazioni criminali transnazionali hanno impiantato un mercato criminale di tipo nuovo: il traffico degli esseri umani, tanto nella forma del c.d. smuggling (favoreggiamento organizzato della immigrazione clandestina) quanto nella forma del traffiking (traffico di esseri umani, specie donne e bambini, finalizzato allo sfruttamento sessuale ed economico dei migranti, ottenuto mediante violenza, inganno e ricatto).
In particolare il nostro Paese, frontiera dell'Europa per chi proviene dai Balcani, dall' Africa, dall'Est del mondo - è divenuto punto di arrivo o luogo di transito di una moltitudine di immigrati regolari ed irregolari.
Va subito detto quindi che la stragrande maggioranza degli immigrati è vittima delle organizzazioni criminali che li trafficano.
È oramai noto che il fenomeno della immigrazione soprattutto in alcune regioni del Paese e per determinate attività, un serbatoio di manodopera e una risorsa indispensabile allo sviluppo dell'economia italiana.
Il Parlamento italiano, con il D. Lgs. 25 luglio 1998 n.286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'emigrazione e norme sulla condizione dello straniero) ha dato vita ad una sorta di
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primo codice dell'immigrazione cercando di dare una disciplina organica alla materia: dall'istruzione all'assistenza agli immigrati, dalla sanità al regime di espulsione per gli immigrati clandestini.
Ma così come è accaduto in altre parti del mondo, il fenomeno della immigrazione per le sue crescenti dimensioni deborda, spesso, dagli argini tracciati per l'immigrazione regolare dalle leggi nazionali.
L'Italia, come del resto tutti i Paesi investiti dall'immigrazione, deve affrontare la questione non solo sul piano della regolamentazione della immigrazione regolare ma anche con riferimento al trattamento da riservare agli immigrati irregolari.
Sarebbe erroneo rappresentare la criminalità degli stranieri extracomunitari come una realtà indifferenziata, conseguenza naturale dell'immigrazione clandestina.
Si dirà dopo della obiettiva consistenza della criminalità organizzata degli stranieri insediatasi nel nostro Paese, delle sue forme della sua struttura delle sue attività.
Essa, tuttavia, va nettamente distinta dalle forme individuali di criminalità ascrivibili a cittadini extracomunitari.
Occorre poi avere consapevolezza della diversità dei fenomeni cui dà luogo la criminalità dei cittadini stranieri, singola od organizzata, onde pervenire a risposte differenziate ed articolate.
Non v'è dubbio che la criminalità individuale degli extracomunitari riguarda in specialmodo gli immigrati irregolari e costituisce un fenomeno reale e grave, dalle molteplici cause. La criminalità individuale di matrice straniera scaturisce da una pluralità di spinte diverse: la clandestinità, il bisogno economico, "una criminalità per così dire indotta dalle condizioni di bisogno, dall'incapacità di trovare un lavoro adeguato", ma anche in molti casi lo spirito predatorio e l'attitudine alla violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti.
Il fenomeno dunque non va sottovalutato ma, al contempo, necessita di rappresentazioni e interpretazioni fedeli alla realtà. E tuttavia l'impegno contro la immigrazione clandestina resta prioritario, così come decisive sono le politiche per favorire l'integrazione degli immigrati che vivono e lavorano onestamente nel nostro Paese.
3. Il traffico di esseri umani.
Nell'ambito dei poteri e dei compiti conferiti dalla legge istitutiva, la Commissione si è occupata del traffico degli esseri umani, definendolo "un nuovo mercato criminale consistente nel reclutamento, nell'illecito trasferimento - e nella successiva introduzione - prevalentemente per fini di lucro, di una o più persone, dal territorio di uno Stato ad un altro ovvero all'interno dello stesso Stato. [...] Al trasferimento da uno Stato di origine ad uno di destinazione possono seguire comportamenti finalizzati allo sfruttamento sessuale ed economico dei migranti, ottenuto attraverso l'utilizzo della violenza, del ricatto e dell'inganno".
Nessuna istituzione o altro organo parlamentare prima della Commissione ha mai svolto in precedenza un'inchiesta su questo
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fenomeno criminale in Italia. I lavori, durati tredici mesi, sono stati coordinati dalla senatrice Tana de Zulueta e si sono articolati in diverse fasi, nel corso delle quali si è provveduto a svolgere specifici sopralluoghi in Puglia e in Albania, a raccogliere materiale documentale, a effettuare audizioni di magistrati, di investigatori, di funzionari ministeriali e di rappresentanti delle associazioni del volontariato operanti nell'ambito dell'accoglienza e assistenza agli immigrati.
La Commissione ha deliberato di svolgere un'inchiesta sul traffico degli esseri umani per una serie di ragioni specifiche, tra le quali:
a) l'accertato coinvolgimento della criminalità organizzata nella organizzazione e nella gestione non solo dei flussi migratori illegali (smuggling of migrants), ma anche nel successivo sfruttamento economico e sessuale degli immigrati (trafficking in human beings);
b) la constatazione che, mediante il traffico degli esseri umani, nuove compagini mafiose straniere - denominate "altre mafie" o "nuove mafie" - sono penetrate nel territorio nazionale instaurando rapporti, in alcuni casi anche a livello paritetico, con le organizzazioni mafiose autoctone;
c) il fondato timore che la fase di penetrazione di cui al punto b) sia seguita da una situazione di progressivo radicamento sul territorio italiano, in particolare nelle regioni in cui le mafie autoctone sono più interessate ad una penetrazione nel tessuto economico-finanziario ovvero in zone in cui l'azione investigativa e giudiziaria di contrasto ha creato vuoti criminali non ancora occupati da sodalizi delinquenziali nazionali;
d) fornire al Parlamento un qualificato contributo di conoscenza di un fenomeno criminale che, se da una parte è stato per molto tempo sottovalutato dall'altra, in alcuni casi, è stato erroneamente rappresentato alimentando, in determinati casi, una errata equazione tra immigrazione e criminalità che, a sua volta, ha generato alcuni limitati casi di ingiustificati, quanto pericolosi, atteggiamenti razzisti e xenofobi, inaccettabili per un paese democratico come quello italiano.
L'inchiesta svolta dalla Commissione, interamente descritta nella relazione approvata all'unanimità il 5 dicembre 2000 (29), ha constatato che il traffico degli esseri umani coinvolge attualmente un numero stimato di persone nel mondo oscillante tra una cifra di ventisette e duecento milioni di persone, consentendo alla criminalità organizzata di realizzare un fatturato stimato tra i sette e i tredici miliardi di dollari l'anno.
I germi di questo mercato di carne umana si ritrovano nell'incontro tra una domanda di trasporto assistito da parte di milioni di persone in fuga da Paesi prevalentemente poveri e in guerra e l'offerta criminale di una serie di servizi illegali che consentono non solo lo spostamento, ma altresì l'introduzione illecita nei paesi sviluppati dell'Europa occidentale e dell'America del Nord, le cui legislazioni in
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materia di immigrazione si sono progressivamente caratterizzate per l'introduzione di norme finalizzate alla riduzione del numero di possibilità di entrata e soggiorno legali nei loro confini nazionali.
La Commissione ha messo in evidenza come il traffico degli esseri umani denoti in maniera molto chiara come la criminalità organizzata abbia assunto un carattere di transnazionalità. I trafficanti di persone sono criminali agenti contemporaneamente in più mercati illeciti e viventi in Paesi di origine, di transito e di destinazione dei flussi migratori illegali. Agendo su tre distinti livelli organizzativi (alto, medio e basso), in modo specializzato e flessibile e, avvalendosi dell'esercizio della violenza, del ricatto e dell'inganno, i trafficanti di persone non si limitano soltanto a fornire un servizio di trasporto illegale ma, sempre più spesso - come la Commissione ha avuto modo di rilevare direttamente - gli immigrati, soprattutto donne e bambini, una volta giunti sul territorio di destinazione e ridotti ad una condizione assimilabile alla schiavitù, vengono sfruttati nel mercato del lavoro nero, della prostituzione da strada e nell'accattonaggio. Nella peggiore delle ipotesi, come è stato riferito alla Commissione dal Procuratore della Repubblica di Trieste, lo sfruttamento, inteso come modalità di risarcimento del debito accumulato per aver usufruito di un trasporto illegale assistito, si sospetta possa consistere nell'espianto forzato di un organo, approfittando della non completa capacità di intendere e di volere delle vittime di questo turpe traffico.
La Commissione ha svolto la sua inchiesta sul traffico degli esseri umani prestando particolare attenzione al ruolo rivestito dall'Italia, mettendo in luce come il nostro Paese non sia soltanto la meta di flussi migratori illegali, ma costituisca anche un importante territorio di transito verso altri Paesi europei ed extraeuropei. I flussi migratori più consistenti provengono dall'Europa centro-orientale, dai Balcani, dalla Cina, dal Sud-Est asiatico, dal sub-continente indiano, dall'Africa e dall'America Latina. Migliaia di immigrati, di cui la Commissione ha fornito una dettagliata serie di cifre assolute e percentuali, raggiungono via mare le coste meridionali della penisola italiana a bordo di gommoni provenienti dall'Albania ovvero a bordo di vecchie ed insicure navi denominate "carrette del mare" salpate da porti turchi e libanesi; in altri casi, l'entrata illecita sul territorio italiano avviene attraverso i confini terrestri, in particolare quello italo-sloveno, avvalendosi di passeurs.
Dopo aver attentamente svolto un'analisi dell'evoluzione degli strumenti normativi internazionali, la Commissione ha focalizzato la sua attenzione sulla normativa nazionale vigente e sulle proposte di modifica a quel tempo all'esame delle Camere. Ritenendo di fondamentale importanza l'attuazione dell'articolo 18 del T.U. n. 286/1998 rilevando, in base ai dati del monitoraggio effettuato dalla Direzione nazionale antimafia, la ridotta operatività dell'articolo 600 c.p. e, infine, condividendo il punto di vista della relazione che accompagnava il disegno di legge governativo (A.C. 5839), a quel tempo all'esame delle Camere unitamente ad altre proposte di legge vertenti sulla stessa materia, in merito alla necessità di adottare uno specifico atto legislativo che inserisca nel codice penale italiano una fattispecie di reato specifica per il traffico degli esseri umani, la Commissione ha concluso
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la sua relazione con una serie di proposte specifiche per migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'azione repressiva e preventiva contro i trafficanti di persone. Tali proposte sono state:
1. ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale insieme ai due protocolli aggiuntivi relativi all'immigrazione clandestina e alla tratta;
2. approvare il testo unificato sul traffico degli esseri umani (il testo approvato dalla Camera dei deputati il 28 febbraio 2001, anche a causa dell'intervenuto scioglimento delle Camere, non è stato poi approvato definitivamente dal Senato);
3. istituire un National Rapporteur sul traffico degli esseri umani;
4. utilizzare tecniche di indagine già adoperate nei confronti dei trafficanti di droga, quali il ritardato arresto o fermo e le operazioni sotto copertura;
5. affidare le indagini sui reati associativi connessi al traffico degli esseri umani alle Direzioni distrettuali antimafia;
6. estendere le misure di prevenzione, in particolare la confisca dei beni, nei confronti dei trafficanti, al fine di costituire un fondo di solidarietà per le vittime;
7. adottare misure atte a garantire una maggiore tutela e sicurezza degli interpreti;
8. correggere la disciplina normativa in materia di immigrazione relativa ai ricongiungimenti familiari, al fine di consentire, in primo luogo ai figli, di poter lasciare rapidamente il Paese di origine per non divenire oggetto di un concreto pericolo in conseguenza della denuncia svolta all'autorità giudiziaria da parte della vittima diretta del traffico;
9. approvare la nuova legge sul diritto d'asilo;
10. curare adeguatamente la formazione delle forze dell'ordine in materia di traffico degli esseri umani e predisporre un testo contenente le linee sulla corretta applicazione dell'articolo 18 T.U. n. 286/1998, da inviare alle questure italiane;
11. ascoltare tutti gli immigrati intercettati e trasferiti nei centri di permanenza temporanea su moduli standardizzati per consentire, su base volontaria, l'acquisizione di fondamentali informazioni (rotte, modalità del viaggio, mezzi di trasporto, prezzo pagato) da inviare successivamente in una apposita banca dati centrale, al fine di attuare una efficace ed efficiente azione di intelligence.
La relazione sul traffico degli esseri umani prodotta dalla Commissione parlamentare antimafia ha riscontrato particolare apprezzamenti in ambito sia nazionale che internazionale. In particolare, nel corso della discussione sul testo unificato elaborato dalla Commissione Giustizia, avvenuta alla Camera dei deputati il 12 gennaio 2001, la relatrice del provvedimento, onorevole Anna Finocchiaro Fidelbo, ha citato parti della relazione della Commissione parlamentare antimafia
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per descrivere gli attori, le modalità ed i mercati di sfruttamento che caratterizzano il traffico degli esseri umani.
A livello internazionale, infine, il Presidente della Commissione ha illustrato il risultato dei lavori dell'inchiesta sul traffico degli esseri umani sia nel corso di un'apposita conferenza stampa con il mondo del giornalismo straniero presente in Italia sia nel corso della relazione svolta durante la Conferenza delle Nazioni Unite svoltasi a Palermo nel dicembre 2000. In entrambi i contesti è stata sottolineata la duplice necessità, da una parte, di sanzionare i trafficanti di esseri umani mediante l'applicazione delle misure sanzionatorie previste della legislazione antimafia e, dall'altra, di accogliere ed assistere le vittime del traffico, sia per garantire loro la dovuta protezione sia per indurre queste persone, in un secondo momento, a collaborare efficacemente con le forze dell'ordine e l'autorità giudiziaria, come si è verificato in quasi seicento casi alla data del 30 settembre 2000.
4. Il contrasto internazionale: l'ONU, l'Unione Europea e l'impegno italiano per una legalità organizzata sovranazionale.
Ad una criminalità che oramai non conosce frontiere di spazio e di diritto occorre dare una risposta globale. In questa prospettiva la Assemblea generale delle Nazioni Unite ha elaborato e varato a Palermo, nel dicembre dell'anno 2000, la Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale e i Protocolli aggiuntivi contro il Traffico di donne e bambini e contro il Traffico di migranti.
Lo strumento giuridico approvato ha un grande valore perché definisce un complesso di norme da tutti accettate, che risponde efficacemente alle esigenze di lotta al crimine organizzato ponendosi quale parametro di riferimento per tutti i futuri i strumenti giuridici internazionali.
La Convenzione definisce la figura comune di associazione criminale organizzata e ne precisa il carattere transnazionale, comprendendo i comportamenti criminali che non solo si compiono in più Paesi, ma che se anche realizzati in uno solo, abbiano avuto la preparazione o possano avere conseguenze in uno Stato diverso.
La Convenzione obbliga tutti i Paesi firmatari a punire i delitti di partecipazione ad associazione criminale, riciclaggio, corruzione, intralcio alla giustizia, oltreché i serious crime (delitti puniti con pena superiore a quattro anni nelle legislazione nazionali) che attengano al crimine organizzato transnazionale.
Anche sul piano delle procedure, la Convezione impegna gli Stati con norme che rendono più efficace le attività degli organi giudiziari nazionali e intensificano la cooperazione giudiziaria e di polizia, con l'invito a creare "squadre investigative congiunte" per indagare gravi attività criminali.
La linea dell'armonizzazione delle diverse norme penale e di procedura è dunque finalmente tracciata anche oltre l'Unione Europea, posto che la criminalità organizzata "sfrutta al meglio, con grande abilità, le differenze che esistono fra le leggi penali nazionali".
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Sotto questo profilo l'Unione Europea ha segnato importanti progressi anche con il significativo contributo dell'Italia.
L'obiettivo di uno spazio giuridico europeo nel quale trovi priorità la lotta alla criminalità organizzata transnazionale, appare di fondamentale importanza al fine di fornire adeguati strumenti agli operatori della giustizia europei.
A partire dal Piano d'azione contro la criminalità organizzata adottato dal Consiglio il 28 aprile 1997, numerosi sono stati i passi compiuti nella direzione del più efficace contrasto alla criminalità: dalla rete giudiziaria europea per la cooperazione giudiziaria, al meccanismo di valutazione reciproca dell'attuazione degli accordi, alle azioni comuni sul riciclaggio, sulla partecipazione ad un'associazione criminale, per citare solo alcune.
Il Consiglio Europeo di Tampere dell'ottobre del 1999 con l'istituzione della unità Eurojust che ha, tra l'altro, il compito di agevolare il buon coordinamento delle autorità nazionali competenti in materia di criminalità organizzata ha indicato la via del coordinamento.
I pericoli che corrono le nostre democrazie di fronte ad una criminalità organizzata transnazionale sempre più evoluta impongono di andare oltre i traguardi raggiunti con Tampere, impongono di andare verso forme di vera e propria integrazione processuale comunitaria.
La Commissione parlamentare Antimafia ritiene che la lotta al crimine organizzato transnazionale, debba proseguire sulla strada della più stretta collaborazione tra gli Stati realizzando il passaggio da una fase di cooperazione giudiziaria incentrata sulle rogatorie internazionali, strumento storicamente datato, ad una fase di integrazione incentrata sul sistema del coordinamento investigativo e giudiziario.
In questa direzione si muove la previsione delle squadre investigative comuni di cui all'articolo 13 dell'Accordo stabilito dal Consiglio europeo dei ministri di giustizia e affari interni del 29 maggio 2000.
Per la sua alta valenza simbolica va segnalata, poi, l'anticipazione a livello bilaterale, tra Spagna e Italia, di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia previsto dai Trattati di Maastricht e di Amsterdam. L'accordo tra i due Stati è mirato, da un lato a superare l'istituto della estradizione, sostituendolo con il semplice trasferimento tra i due paesi del ricercato per fatti di criminalità organizzata, terrorismo, traffico di esseri umani, armi, etc. Dall'altro lato, con il riconoscimento nei rispettivi ordinamenti dei provvedimenti di sequestro e confisca e con la creazione di squadre investigative comuni si punta di fatto al superamento delle rogatorie.
La realizzazione di pool formati da Pubblici Ministeri dei diversi Stati che svolgono le indagini per delitti di criminalità organizzata in uno o più Stati, nel rispetto delle condizioni e delle procedure previste dalle legislazioni nazionali, darebbe alle attività processuali quella rapidità ed efficacia sconosciuta alle rogatorie e indispensabile per essere al tempo e nello spazio della criminalità organizzata transnazionale.
Sul piano nazionale del contrasto operativo e della legislazione, non v'è dubbio che il fenomeno della criminalità transnazionale dovrà essere costantemente monitorato e letto nella sua evoluzione, sia sul
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piano delle investigazioni di polizia sia nella fase più strettamente giudiziaria, da strutture che abbiano una visione complessiva delle dinamiche criminali che alimentano i traffici su scala internazionale.
L'Italia ha sviluppato adeguatamente una politica di relazioni internazionali in materia di lotta la crimine organizzato: la rete fittissima di accordi bilaterali e multilaterali sanciti in tema di cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia nel corso di questi anni hanno reso efficienti e costanti le attività di prevenzione e di repressione realizzate congiuntamente agli organi di polizia di altri Stati. Specie a livello europeo, da Tampere a Nizza, sono stati compiuti significativi progressi nella attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che deve condurre alla "Europa dei cittadini".
La Commissione, ritiene poi che la Direzione Nazionale Antimafia, già individuata come punto di contatto nazionale per lo scambio di informazioni sul crimine organizzato, debba costituire nella materia del crimine transnazionale, un interlocutore privilegiato: la collaborazione e la cooperazione internazionale in questa materia richiedono che all'interno dello Stato, le indagini sul fenomeno non siano frammentate ma consentano una visione d'assieme.
Questa necessità può essere soddisfatta attribuendo la competenza in ordine ai delitti associativi concernenti gruppi transnazionali alle Direzioni distrettuali antimafia, coordinate dalla Direzione nazionale antimafia.
Una siffatta competenza con ottimi risultati, è già prevista allorquando l'associazione tratta stupefacenti. Nella medesima direzione si muove la riforma del contrabbando di tabacchi lavorati esteri che, nel testo approvato dalla Camera dei deputati, prevede un delitto associativo di competenza della direzione distrettuale antimafia. Anche il testo base approvato in materia di tratta degli esseri umani, prevede una ipotesi associativa di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia.
Non v'è dubbio che la dimensione transnazionale del delitto associativo, imponga di considerarne il carattere di speciale pericolosità e di prefigurare strumenti e procedure di contrasto adeguate a quella pericolosità.
Se l'accordo associativo o la esecuzione delle condotte o il perseguimento dei profitti sono realizzati in più Stati da una organizzazione criminale, ovvero da più organizzazioni criminali in accordo tra di loro, la cooperazione internazionale può essere efficace a condizione che all'interno di ciascuno vi sia tempestiva e appropriata conoscenza dei singoli fatti, dei contesti associativi e delle dinamiche criminali che quei fatti determinano.
In Italia, il sistema delle Direzioni distrettuali antimafia coordinate dalla Direzione nazionale antimafia, costituisce un modello (non a caso studiato negli altri Paesi) che può essere proficuamente utilizzato nell'azione di contrasto laddove le attività criminali associative si sviluppino oltre il livello nazionale.
Nello scenario internazionale, L'Europa e l'Italia hanno segnato la via dell'impegno della comunità degli Stati per la costruzione di una legalità transnazionale organizzata.
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Con le Relazioni presentate alle Camere, con i contributi di analisi e di proposta, con gli interventi e le iniziative dei suoi Organi rappresentativi presso il Governo e la Pubblica amministrazione italiana, ovvero presso gli Organismi internazionali ed Europei, la Commissione parlamentare antimafia ha inteso porsi nel solco di quell'impegno.
Per tal modo, mettendo a fuoco la connotazione transnazionale della criminalità organizzata, analizzandola nei comparti essenziali dei suoi traffici ( contrabbando, traffico degli esseri umani e sfruttamento della immigrazione clandestina, riciclaggio) (30) o nelle sue manifestazioni in aree di tradizionale radicamento mafioso (come è avvenuto con l'approvazione della Relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Campania, relatore il senatore Luigi Lombardi Satriani, e della Relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria, relatore il senatore Michele Figurelli), questa Commissione ha ritenuto di adempiere ai compiti previsti dalla legge istitutiva di accertare e valutare la natura e le caratteristiche delle trasformazioni e dei mutamenti del fenomeno mafioso" e formulare proposte per rendere «più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato .....e più adeguate le intese internazionali concernenti la prevenzione delle attività criminali, l'assistenza e la cooperazione giudiziaria".
Capitolo secondo
LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DEGLI STRANIERI IN ITALIA
1. La mafia albanese: premessa.
La criminalità albanese ha avuto negli ultimi anni una evoluzione rapidissima e, senza dubbio, oggi costituisce l'espressione più pericolosa nello scenario delle criminalità straniere presenti in Italia.
Una tale valutazione emerge dalle attività istruttorie e delle acquisizioni compiute nel corso di questa legislatura dalla Commissione parlamentare Antimafia, anche attraverso il Comitato di lavoro sulla criminalità internazionale.
L'analisi del fenomeno della criminalità albanese consente di avere certezza in ordine alla natura mafiosa delle organizzazioni criminali albanesi e alla loro spiccata capacità di realizzare le attività illecite secondo schemi tipicamente transnazionali.
Tale valutazione è confermata dal lavoro delle forze di polizia, dai risultati delle indagini e dalle sentenze della magistratura che hanno accertato come molte manifestazioni criminali delle associazioni albanesi operanti in Italia presentino le peculiari caratteristiche dei sodalizi mafiosi.
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In passato, occorre dire, non sempre sono stati colti appieno i segnali ricorrenti che indicavano la strutturazione mafiosa delle aggregazioni albanesi e le sue pericolose potenzialità espansive.
In breve tempo le organizzazioni criminali albanesi hanno raggiunto elevati livelli di specializzazione criminale e si sono dimostrate pienamente affidabili sul mercato mondiale del crimine, al punto da rapidamente divenire fondamentale punto di riferimento per i traffici illeciti internazionali.
Un siffatto processo è cresciuto oltre le pur allarmate previsioni degli analisti perché la criminalità albanese si è potuta giovare di due concomitanti fattori: da un lato la posizione geografica strategica del Paese d'origine e dall'altro il controllo del territorio albanese reso possibile anche dalla debolezza e dalla permeabilità delle pubbliche istituzioni, a cominciare da quelle deputate al contrasto del crimine.
I gruppi di criminali insediatati in Italia e negli altri Paesi dell'Europa, mantengono solidi rapporti con quelli della madre patria e, non di rado, rappresentano i terminali e i gestori locali di traffici organizzati su scala internazionale.
La vicinanza geografica e la generale diffusione della lingua e della cultura italiana in Albania, consentendo una più facile reciprocità nei rapporti, anche criminali, lasciano prevedere che nei prossimi anni il nostro Paese costituirà, comunque, un approdo privilegiato per i traffici di armi, stupefacenti ed esseri umani che la criminalità albanese dimostra sempre più di sapere gestire in un'ottica transnazionale.
Dalla consapevolezza della dimensione assunta dal fenomeno discende la necessità di sostenere e implementare l'azione di contrasto globale avviata negli ultimi anni dall'Italia. Accanto alle iniziative investigative e giudiziarie prettamente nazionali, la spiccata dimensione transnazionale della criminalità albanese impone, poi, di porre al centro dell'azione di contrasto lo sviluppo della cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia.
1.a La struttura delle mafie albanesi.
La criminalità albanese che opera in Italia non ha una organizzazione verticistica ma è strutturata in gruppi autonomi, caratterizzati dall'appartenenza etnica e costituiti su base "clanica", familiare o territoriale (nel senso della provenienza degli adepti dalla stessa zona dell'Albania). Caratteristiche sono, ancora, la forte coesione degli associati, la struttura cosiddetta "orizzontale" (nel senso che, come nella 'ndrangheta, all'interno del gruppo conta solo il capo, mentre tutti gli altri sono intercambiabili), la rigidità delle regole interne, la forza di intimidazione, l'omertà interna ed esterna, la tendenziale ricerca del controllo del territorio, anche attraverso eventuali accordi con le associazioni criminali locali.
I gruppi albanesi stanziati in Italia sono spesso in contatto tra loro, anche se non condividono necessariamente le medesime attività criminali; essi sono in rapporto con la criminalità residente in Albania, sempre disponibile per gli approvvigionamenti di droga, armi ed esseri
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umani, specialmente donne da destinare allo sfruttamento sessuale; sono altresì collegati con altri soggetti criminali albanesi - singoli o associati - residenti in altri Paesi dell'Europa, con i quali realizzano i traffici illeciti.
La progressiva capacità di interazione con la criminalità organizzata italiana ha riguardato, in particolare, le associazioni pugliesi, campane. Ma sono stati accertati rapporti continuativi anche con la criminalità comune italiana, spesso utilizzata in funzioni di "servizio".
Il radicamento di gruppi o singoli referenti albanesi è oramai diffuso nell'intero territorio nazionale, a volte con vere e proprie basi logistiche per l'arrivo, il transito o lo smercio dei beni (droga, armi, clandestini).
Infine, va ricordata la spregiudicatezza operativa, la violenza e la efferata aggressività delle manifestazioni individuali o associate della criminalità albanese che destano allarme grave nella collettività e impongono di dare priorità al contrasto di questo fenomeno.
1.b Le attività.
La fondatezza del giudizio di pericolosità del fenomeno criminale albanese è confermata dalla versatilità dimostrata da quelle organizzazioni nella gestione di una pluralità di interessi criminali.
I settori coltivati negli ultimi anni dalla criminalità albanese sono essenzialmente tre: il traffico della immigrazione clandestina, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di stupefacenti. A questi si aggiungono attività collaterali quali furti, rapine e ricettazione (in specie autovetture rubate in Italia e in Germania e inviate in Albania). Particolare rilievo, poi, assume il commercio di armi, anche di tipo bellico.
Il traffico di emigranti clandestini è gestito dalla criminalità albanese con professionale imprenditorialità.
Se all'inizio del fenomeno della migrazione dal Paese delle Aquile i traghettatori erano pugliesi, dal 1997 la mafia albanese ha assunto in prima persona il business impiantando una articolata organizzazione di gommoni - appartenenti ad associazioni o a singoli che ad esse fanno riferimento - che gestisce gli sbarchi in Italia dei clandestini di tutto il mondo diretti nell'Europa occidentale.
Dapprima utilizzati per i flussi di clandestini albanesi, i gommoni hanno poi trasportato schiere di migranti delle più disparate etnie, dai cinesi ai curdi dai cingalesi agli egiziani, ai pakistani, etc. in fuga dalla fame e dalla guerra.
Per porre le mani su siffatto esodo di massa, la malavita albanese, grazie ad una conquistata affidabilità criminale, si è inserita nel traffico di esseri umani intessendo rapporti di affari con le organizzazioni che gestiscono i flussi migratori sul piano internazionale.
Effettivamente i gruppi albanesi hanno dimostrato massima efficienza nella esecuzione del "servizio" sempre garantito con proditoria efferatezza ed assenza di scrupoli verso le vittime del traffico e da una
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spiccata capacità collusiva ed intimidatoria, anche rispetto alle autorità istituzionali albanesi.
Il traffico di clandestini ha costituito, storicamente, il volano economico delle altre attività illecite, sia perché i proventi di quel traffico sono stati investiti negli stupefacenti, sia perché le organizzazioni albanesi hanno realizzato, attraverso i referenti e i gruppi stanziati in Italia, il successivo sfruttamento sessuale delle ragazze trafficate.
Peraltro, la supremazia conquistata dalla criminalità albanese nel campo dello sfruttamento della prostituzione, ne ha consentito la gestione a livello monopolistico in diverse città italiane.
E mentre dapprima il racket riguardava solo le giovani di origine albanese - vittime in patria di soprusi e inganni se non di veri e propri sequestri di persona - negli ultimi tempi anche le ragazze trafficate dai Paesi dell'Est sono sfruttate in Italia sul mercato del sesso dalla malavita albanese.
Quanto agli stupefacenti, è dato oramai notorio che gli scafisti, oltre ai clandestini trasportano contestualmente anche altra merce (armi e droga), così alimentando la c.d. "rotta balcanica meridionale".
Inizialmente impiegati come corrieri, gli albanesi sono riusciti a stabilire importanti relazioni con le organizzazioni di narcotrafficanti delle aree di produzione, di transito, di stoccaggio e di consumo legittimandosi quali referenti capaci di assumere, ben presto, il controllo dell'intera area balcanica.
La crescente diffusività di tali organizzazioni ne ha accelerato il processo evolutivo, creando i presupposti per nuovi assetti di controllo territoriale, omologabili a quelli espressi dalle organizzazioni mafiose italiane: esse invero si caratterizzano per il ricorso sistematico alla violenza ed all'intimidazione, in un clima di conseguente omertà interna ed esterna alle organizzazioni.
L'analisi e i risultati dell'attività della magistratura italiana indicano come, in definitiva, la criminalità albanese abbia acquisito un decisivo ruolo nello scenario internazionale dei traffici di stupefacenti: non solo controllano le rotte dell'eroina per conto delle organizzazioni turche ma, grazie ad una inedita affidabilità loro riconosciuta dai cartelli colombiani, i gruppi albanesi e oggi la stessa terra di Albania (31), si pongono come testa di ponte per la preparazione, lo stoccaggio e la diffusione nei paesi europei della cocaina, della quale i criminali albanesi si apprestano a divenire i principali importatori.
L'esperienza compiuta in questi ultimissimi anni nel mondo dei traffici illeciti, ha consentito dunque ai criminali albanesi di maturare un modello associativo agile e ramificato, presente in posizione dominante in molti Paesi europei, così da ampliare la sfera d'influenza sui traffici di eroina e di hascisc e anche della cocaina, grazie ai cennati recenti accordi con i cartelli colombiani.
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Tra le altre attività illecite praticate dai criminali albanesi, va ricordato il traffico di armi, anche di tipo bellico, che ha particolarmente interessato il nostro territorio e, infine, per il suo rilievo macroscopico, il traffico di auto rubate.
1.c La diffusione in Italia della criminalità albanese.
La comunità regolare albanese, emigrata in Italia a seguito delle note vicende di quell'area, è stabilmente inserita nel territorio italiano.
Il Ministero dell'interno ha riferito che al 1o gennaio 2000 i cittadini albanesi muniti di permesso di soggiorno erano 133.018, con forte tasso di crescita negli ultimi quattro anni (32).
Nell'anno 2000 sono stati respinti o espulsi 30.175 cittadini albanesi (33).
La clandestinità di parte della comunità albanese in Italia la espone, per conseguente difetto di integrazione sociale, ad una criminosità potenziale che spesso assume forme di disperata aggressività. Le manifestazioni di criminalità che ne conseguono sembrano prive di un apprezzabile disegno criminogeno e riflettono solo il disagio di soggetti che, non avendo alcunché da perdere, né nel nostro Paese né in quello di origine, sono disposti ad affrontare il rischio dell'attività criminosa preferendo non abbandonare i circuiti delinquenziali che ne hanno favorito l'ingresso.
La flessibilità strutturale e la capacità di porsi come referenti per ogni gruppo criminale transnazionale consentono alla malavita albanese una crescente diffusione. In Italia da una fase in cui i criminali albanesi erano concentrati nel Nord Italia (34), soprattutto nell'area piemontese e lombarda, con significativa concentrazione nella città di Torino (35) si è passati ad una diffusività che ha riguardato pressoché l'intero territorio nazionale, comprese le regioni di tradizionale insediamento delle organizzazioni locali, in particolare nella Campania, dove mai si sarebbe ritenuto in passato potessero essere condivisi interessi illegali.
Peculiare, invece, è il rapporto dei clan albanesi con la criminalità pugliese, in considerazione della vicinanza geografica e della maggiore compatibilità organizzativa strutturale delle due consorterie. Ciò consente loro di fungere da snodo per ogni tipo di attività illecita (droga, armi, contrabbando, immigrazione clandestina e tratta) da qualsiasi parte provenga.
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A ben vedere, tutti i settori criminali esaminati risultano molto remunerativi ma presuppongono un elevato livello organizzativo. Per tale motivo le associazioni criminali albanesi (il cui carattere mafioso, si ripete, è stato più volte confermato anche sul piano giudiziario) devono essere mantenute ben distinte dalle altre espressioni criminali slave che, pur condividendone la matrice etnica, rispondono a logiche di "criminalità diffusa" e presentano una minore strutturazione che le rende più bande che sodalizi. Tuttavia anche queste ultime suscitano un vivo allarme sociale nella collettività nazionale per le modalità di consumazione dei reati di tipo predatorio (furti, scippi, spaccio) e per la pervasività sul territorio.
1.d Cooperazione con l'Albania.
Nell'ambito della cooperazione bilaterale con l'Albania in materia di contrasto alla criminalità va segnalato, oltre all'Accordo di riammissione siglato il 18 novembre 1997, il Protocollo di intesa stipulato dai Ministri dell'interno italiano ed albanese nel 1997, più volte prorogato e aggiornato, da ultimo nel gennaio 2000. Accanto a tale atto, che disciplina i compiti della nostra missione interforze di polizia, sono da registrare il rapporto di cooperazione, impostato nel dicembre 1999 a Bari, tra i Capi della Polizia di sette Paesi dell'Adriatico e quello di collaborazione triangolare Italia-Albania-Grecia avviato a Roma nel gennaio 2000, con riguardo ai traffici di clandestini.
Altri accordi, integrativi dei programmi internazionali in atto, sono intervenuti tra Italia e Albania, nel settore della formazione dei quadri della Pubblica amministrazione, così come v'è una cooperazione militare per il pattugliamento congiunto del Canale d'Otranto e intese delle finanze con specifico riguardo al funzionamento delle dogane.
Per quel che riguarda la cooperazione giudiziaria tra Italia ed Albania, occorre far riferimento alle convenzioni internazionali per le quali v'è stata adesione dell'Albania, posto che in materia di assistenza giudiziaria e di estradizione mancano specifiche convenzioni bilaterali.
Occorre in questo settore una ripresa della iniziativa per lo sviluppo della cooperazione giudiziaria.
1.e La missione in Albania del Comitato di lavoro sulla criminalità internazionale della Commissione parlamentare Antimafia.
Nei giorni 1, 2 e 3 marzo 2000, una delegazione della Commissione parlamentare Antimafia, guidata dalla sen. Tana de Zulueta, coordinatrice del Comitato di lavoro sulla criminalità internazionale, si è recata in visita ufficiale nella Repubblica d'Albania.
A Tirana, la Delegazione è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica Rexhep Mejdan. I parlamentari italiani hanno poi incontrato il Presidente del Consiglio dei ministri Ilir Meta, i Ministri dell'ordine pubblico, Spartak Poci, della giustizia Ilir Panda, il procuratore generale d'Albania, Arben Rakipi, ed una delegazione dell'omologa
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Commissione parlamentare per l'ordine e la sicurezza pubblica guidata dal Presidente Neritan Ceka.
Nel corso della missione è stato compiuto un sopralluogo a Valona con una visita al Consolato d'Italia, alla Questura e al porto di quella città.
La delegazione ha infine proceduto all'audizione dei responsabili delle Forze armate italiane e della Missione interforze di polizia.
La missione era finalizzata a conoscere direttamente dalle Autorità albanesi la condizione del sistema albanese di contrasto alla criminalità organizzata, anche alla luce delle attività di cooperazione promosse dall'Italia, a livello bilaterale e multilaterale.
Nel suo incontro con la delegazione il Presidente della Repubblica Rexhep Mejdani, ha rappresentato con grande lealtà e franchezza la fase di transizione che attraversa l'Albania. Egli ha riconosciuto il ruolo essenziale dell'Italia e degli organismi internazionali nel processo di consolidamento della democrazia nel quale sono impegnate le giovani istituzioni albanesi. Non ha taciuto, tuttavia, le rilevanti difficoltà che ancora si frappongono al regolare funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Significativa, a tal riguardo, è la situazione del sistema giudiziario, incapace, spesso, di celebrare i processi contro imputati di alto profilo criminale. Il Presidente ha citato il caso eclatante di un processo nel quale le astensioni e le dimissioni dei giudici si sono succedute a catena fino a determinare la scarcerazione dei pericolosi imputati, e ciò perché - evidentemente - quei giudici erano stati raggiunti da gravi minacce ovvero da atti di corruzione.
È stato lealmente riconosciuto che il numero delle condanne è basso, anche perché il Paese non riesce ad assicurare un valido sistema di protezione per giudici e pubblici ministeri che, peraltro, sono in numero insufficiente e non sempre di adeguato livello professionale.
Il Presidente Mejdani ha insistito sulla necessità che siano poste le basi per assicurare un adeguato sviluppo economico, condizione essenziale per la creazione di un quadro di legalità che ancora costituisce un obiettivo da raggiungere.
Nei colloqui con il Presidente del Consiglio Ilir Meta e con i Ministri dell'ordine pubblico Poci e della giustizia Panda, la delegazione ha avuto conferma dell'importanza strategica dell'Albania nella battaglia contro la criminalità transnazionale.
Quel Paese, infatti, è uno dei principali crocevia dei traffici illeciti, soprattutto per le armi, gli stupefacenti e gli esseri umani.
Quanto al traffico di armi, i disordini del 1977 e la successiva situazione bellica, hanno contribuito ad incrementare il mercato, tuttavia i dati relativi alla attività di contrasto avviata dalle Autorità albanesi consentiva loro di ritenere in atto una flessione.
Sugli stupefacenti, le informazioni acquisite in ordine ai traffici di eroina e cocaina, confermano che l'Albania continua ad essere fondamentale snodo dei traffici internazionali. Ma è apparso chiaro come l'Albania, da sola, non abbia le risorse strutturali e le capacità operative sufficienti per organizzare un'adeguata azione di contrasto.
Così come alla delegazione non è sembrata adeguata la risposta delle Autorità albanesi in ordine alla capacità di individuazione e di contrasto delle estese piantagioni di marijuana esistenti in Albania,
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dalle quali, necessariamente, provengono gli ingenti quantitativi sequestrati in Italia.
Quanto al traffico dei clandestini, è noto che i flussi delle migrazioni trovano nell'Albania una facile porta di accesso all'occidente.
Le autorità albanesi hanno piena consapevolezza di essere, com'è stato detto, l'ultima stazione di transito verso l'Europa.
È stata affermata la volontà di intervenire in questa materia poiché l'Albania è vittima dei traffici di clandestini anche perché essi accrescono la forza della criminalità locale che li gestisce.
Insieme all'impegno assunto per contenere il fenomeno, è stata ammessa, tuttavia, la desolante debolezza dell'apparato di contrasto.
Il Primo Ministro ha affermato che negli ultimi tempi i clandestini stranieri fermati, provenienti dalla Grecia, dalla Macedonia, dal Kosovo e dal Montenegro, di etnia curda, cinese, moldava, ed altre, raggiungevano le mille unità: essi sono provvisoriamente trattenuti nelle stazioni di polizia. È stato infatti detto chiaramente, che l'Albania è costretta a lasciare liberi i clandestini stranieri che riesce a fermare (e si tratta, ovviamente di una ben minima parte), perché la Polizia albanese non è nelle condizioni strutturali ed operative per affrontare il problema.
I cittadini stranieri che s'introducono clandestinamente in Albania, seppur fermati, vengono dunque lasciati andare perché l'Albania non è in grado:
1. di provvedere alle necessità degli immigrati, non disponendo di centri di accoglienza o di strutture analoghe e non potendo destinare risorse a tale finalità;
2. non ha le possibilità economiche per rimpatriare nei Paesi di origine gli stranieri fermati;
3. non ha potuto stipulare accordi di riammissione, in particolare con i Paesi confinanti, del tipo di quello sottoscritto con l'Italia nel 1997.
Di qui la richiesta, rivolta alla rappresentanza parlamentare italiana, affinché, ciascuno dei punti indicati sia preso in carico dall'Italia e dall'Unione Europea.
Si ritiene infatti necessario creare all'interno dell'Albania le condizioni per fermare i traffici degli immigrati, consentirne la gestione in centri di accoglienza, ed eseguire i rimpatri nei Paesi di origine: ma ovviamente tale la realizzazione di tale richiede condizioni di affidabilità politica, sociale ed economica di quel Paese.
In sede diplomatica e internazionale, l'intervento e la pressione italiana sarebbero comunque necessari, nell'immediato, per spingere gli Stati confinanti e gli altri Paesi interessati al fenomeno a stipulare patti di riammissione degli immigrati clandestini.
Positivo è il giudizio sull'opera della polizia italiana in Albania da parte del governo Albanese, mentre è stata ribadita la disponibilità per un più assiduo scambio delle informazioni in tema di lotta alla criminalità organizzata.
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È stata, infine, richiesta una maggiore liberalizzazione dei visti ed un'agevolazione delle relative procedure, argomentando che ciò ridurrebbe il mercato degli esseri umani.
Di particolare interesse si è rivelato l'incontro con il procuratore generale d'Albania Arben Rakipi.
Egli ha confermato che i processi in Albania riguardano, quasi esclusivamente, i reati accertati in flagranza, mentre sono rari i processi frutto di attività di indagine o che scaturiscono da denunce e da indagini su soggetti e patrimoni criminali (peraltro la polizia giudiziaria ha iniziato a funzionare, con conseguenti benefici per il processo penale, solo dopo il 1998).
Il Procuratore ha espresso la convinzione che la debolezza del sistema giudiziario albanese potrà superarsi dopo l'approvazione di una legge che istituisca procure e tribunali distrettuali, specializzati in materia di criminalità organizzata e dotati di mezzi e risorse adeguati.
Rakipi ha poi denunciato l'insufficienza, in tema di contrasto alla criminalità organizzata albanese, del quadro legislativo rinveniente dalle Convenzioni cui ha recentemente aderito l'Albania. Egli ha, quindi, segnalato la necessità che, in materia di estradizione e, soprattutto, di assistenza giudiziaria, siano ripresi, dopo l'accordo sottoscritto nell'ottobre 1997 con la Direzione Nazionale Antimafia, i contatti e le trattative con l'Italia, per giungere a trattati bilaterali che consentano alla magistratura dei due Paesi una maggiore collaborazione ed una più spedita reciproca assistenza.
Anche dall'audizione dei funzionari italiani delle forze di polizia e dei Militari impegnati in terra d'Albania, sono giunte alla delegazione importanti informazioni sull'attività di supporto svolta per il contrasto alla criminalità albanese.
Il dott. Giuseppe di Gennaro, che si è occupato dell'assistenza all'Albania nella riorganizzazione del sistema giudiziario su incarico del Governo italiano (ma anche del Consiglio d'Europa, dell'UEO e di altri organismi internazionali), ha descritto la difficile fase di graduale ripresa dopo la crisi del 1977 ed ha segnalato le perduranti difficoltà di far funzionare un sistema nel quale, «le fonti del potere legale e illegale sono spesso vicine tra loro» e dove la stessa coscienza dell'illiceità del fatto corruttivo fa fatica a farsi strada in tutti i settori pubblici.
Egli ha sottolineato la particolare importanza del progetto per la istituzione di Procure e Tribunali distrettuali contro la criminalità organizzata (cinque in tutta l'Albania) cui preporre magistrati preparati e adeguatamente retribuiti e opportunamente protetti (insieme alle loro famiglie), sì da avere un sistema capace di perseguire i reati gravi e condannare i grandi criminali.
Su questa proposta v'è il consenso del Consiglio d'Europa.
Il dott. Nicola Simone, responsabile della missione interforze della polizia italiana, ha descritto l'opera di assistenza, addestramento e consulenza realizzata Missione interforze (costituita dalla Polizia di Stato, dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza) per favorire la riorganizzazione della polizia albanese.
Si tratta di un'attività di grande importanza, che ha riguardato il funzionamento delle strutture di polizia destinate al controllo del territorio, la riorganizzazione dei servizi di polizia criminale, la
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formazione del personale della polizia, e, ancora, la consulenza per il varo della legge di ordinamento della polizia, mentre l'assistenza ha riguardato la fornitura di mezzi e delle apparecchiature con la realizzazione di Sale operative, l'attivazione del numero di soccorso pubblico e la rete di comunicazioni radio tra le Questure (Direttorie) delle sei principali città.
I risultati di questo impegno, molto apprezzati dalle autorità albanesi, sono stati osservati direttamente dalla delegazione, in particolare nel corso del sopralluogo a Valona. In questa città è stato visitato il Consolato d'Italia, recentemente aperto nel centro della città, il porto e la Direttoria (Questura). Sono stati forniti, dal responsabile della Direttoria di Valona, i risultati relativi alle attività di controllo del territorio e del contrasto alla criminalità per gli anni 1998-1999 e per i primi mesi del 2000, dati peraltro asseverati dalla Guardia di Finanza, e concernenti, per il solo territorio di Valona:
1. i sequestri di armi e munizioni (692 armi da fuoco; 109.275 proiettili, 804 bombe, 7 mine anticarro; 14 kg di tritolo, 59 proietti da mortaio e anticarro; 8046 capsule elettriche; 52 mortai), superiori nel solo primo mese dell'anno 2000 all'intero anno precedente;
2. il fermo di clandestini (1398 nel 1998, 3635 nel 1999, 500 nei primi mesi del 2000), in maggioranza albanesi ma le altre etnie sono progressivamente crescenti nel tempo;
3. il sequestro di gommoni (1998, nessun dato rilevato; 1999, gommoni 15; primi due mesi del 2000, n. 1 gommone; navi dedite al traffico di clandestini 2; navi dedite al contrabbando di sigarette 1);
4. i gommoni respinti (1998, nessun dato rilevato; 1999 respinti 352; primi mesi del 2000 respinto n. 33);
5. sequestri di cannabis sativa (1786 kg nel 1998; 1266 kg nel 1999) (36).
I dati riguardanti le persone sottoposte a procedimento penale per fatti relativi a stupefacenti, invece, sono, complessivamente nei due anni, poco più di due decine: a riprova delle più volte indicate difficoltà di funzionamento del sistema giudiziario.
La situazione osservata a Valona, dove la delegazione si è soffermata per un'intera giornata, è apparsa di relativa tranquillità e la stessa visita al porto, svoltasi in condizioni di assoluta normalità, ha confermato la positiva impressione.
E peraltro, il viaggio di ritorno in elicottero lungo la costa da Valona a Durazzo sorvolata a bassa quota, ha consentito di individuare due soli gommoni occultati immediatamente a ridosso della spiaggia.
Tali dirette osservazioni, seppure non possono fondare un giudizio definitivo circa la situazione dell'ordine pubblico e delle attività delle organizzazioni criminali dedite al traffico di clandestini, servono quantomeno ad escludere che, come è accaduto in passato, manchi del tutto il controllo del territorio da parte delle forze di polizia.
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Significativi, poi, i dati comunicati nel corso della visita e relativi ai fermi di clandestini e ai sequestri di imbarcazioni operati direttamente in Albania dalla Guardia di finanza:
1998: 320 fermi di clandestini e 16 imbarcazioni;
1999: 692 fermi di clandestini e 49 imbarcazioni;
gennaio e febbraio 2000: 30 fermi e 3 imbarcazioni.
Il confronto di questi dati con la mole di lavoro svolto in Italia dalle forze dell'ordine è indicativo della differente situazione:
1998: clandestini fermati 20.571 e 53 imbarcazioni;
1999: clandestini fermati 38.164 e 160 imbarcazioni;
gennaio e febbraio 2000: 1742 e 11 imbarcazioni (37).
La crisi albanese del 1977, provocata dal collasso delle cosiddette società finanziarie "piramidali", aveva portato ad una crescita qualitativa e quantitativa dei fenomeni criminali, tanto che il controllo su vaste aree del paese, al Nord come al Sud, era nelle mani di numerose bande criminali. La debolezza strutturale delle giovani istituzioni, aggravata dalle difficoltà innescate dalla menzionata crisi, ha reso difficile, per un lungo periodo, la reazione dello Stato albanese.
L'attuale governo Meta, tuttavia, ha reso prioritario il proprio impegno contro la criminalità organizzata. Un impegno che si è concretizzato attraverso l'adozione di una serie di strumenti legislativi e di misure amministrativi. La delegazione ha potuto verificare un azione di contrasto alla criminalità apparentemente più decisa e, più in generale, un miglioramento delle condizioni generali di sicurezza del Paese. Condizioni che, va ricordato, rimangono tuttora assai precarie.
I progressi compiuti sono stati in larga misura possibili perché l'azione delle istituzioni albanesi si avvale della cooperazione degli organismi internazionali (OCSE, Mape/UEO, l'Unione Europea attraverso la missione Cam- Albania, Il Consiglio europeo E Friends of Albania) e dei singoli Stati, primo fra tutti l'Italia.
Nel settore della legislazione interna contro la criminalità organizzata, nel volgere di un breve periodo, l'Albania ha approvato numerose misure legislative. Possono ricordarsi la nuova Costituzione del 22 novembre 1998, sanzionata da un referendum popolare, la legge di adesione alla Convenzione Europea sulla corruzione, quella sul sequestro dei gommoni, finalmente attuata con qualche risultato, e, infine, le leggi del novembre 1999, sulla amministrazione civile, necessaria per avviare un azione contro la corruzione, e sulla Polizia.
Le autorità dell'Albania hanno piena consapevolezza del ruolo insostituibile dell'Italia e della cooperazione internazionale nel difficile processo di consolidamento e sviluppo del Paese.
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Forte, altresì, è il senso di gratitudine per la qualità e l'ampiezza dell'impegno italiano in Albania.
E tuttavia nella serie di incontri sono stati avanzati una pluralità di argomenti sui quali pare opportuno richiamare l'attenzione della Commissione.
In particolare, atteso il carattere regionale del problema dello sfruttamento criminale dei flussi migratori, a livello diplomatico l'Italia potrebbe promuovere accordi con la Macedonia e il Montenegro del tipo di quello già esistente, Albania - Grecia - Italia. Anche la realizzazione di un'anagrafe civile affidabile diventa una delle condizioni indispensabili non solo per quella più elastica regolamentazione della materia dei visti sollecitata da parte albanese, ma soprattutto per consentire una più efficace cooperazione nella lotta alle organizzazioni criminali locali.
Conclusivamente ritiene la Commissione di segnalare i seguenti punti, sui quali articolare i necessari interventi nelle competenti sedi istituzionali:
1. sostegno al progetto dei tribunali e delle procure distrettuali specializzate contro la criminalità organizzata;
2. ricerca delle sedi di confronto e sostegno in sede internazionale per favorire la stipulazione con gli Stati interessati di accordi di riammissione degli immigrati clandestini fermati in Albania, e sostegno di un progetto per dotare l'Albania di strutture per l'accoglienza temporanea di questi clandestini;
3. ripresa dei contatti e le trattative per valutare se sussistano le condizioni per la stipulazione di accordi e trattati bilaterali in materia di assistenza giudiziaria, di estradizione, di trasferimento di detenuti.
2. La mafia cinese.
Il fenomeno migratorio cinese, già sviluppatosi negli Stati Uniti e in Australia, a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha interessato l'Europa e l'Italia.
Caratteristica peculiare della emigrazione cinese, a differenza di altri gruppi stranieri, è la tendenza a stabilizzare la propria presenza nel Paese ospitante - e così accade anche in Italia - perché il cittadino cinese programma di non rientrare più nel Paese di origine e di ripristinare all'estero non solo il proprio nucleo familiare allargato ma, altresì, un contesto ambientale disciplinato dalle regole proprie della cultura orientale (anche se questo non significa interruzione dei rapporti con la madrepatria). Lo spiccato senso di appartenenza etnica e la specifica identità culturale, ha portato quindi i cittadini cinesi, nel corso di un secolo di emigrazione nel mondo, a costituire, nei diversi Paesi, delle comunità caratterizzate dalla massima autonomia e amministrate dai principi propri della loro cultura cinese e avulse dalla realtà sociale circostante.
Quelle comunità, costituite da persone provenienti dalla stessa regione della Cina, si insediano in ristrette zone del territorio, soprattutto nelle grandi aree urbane, così da favorire attraverso la gestione di attività commerciali e di artigianato, il consolidamento
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anche economico del gruppo etnico (il fenomeno può recentemente osservarsi anche a Roma, nel quartiere Esquilino)
Il forte spirito di coesione etnica ha portato altresì i cinesi a sviluppare all'estero forme di associazionismo - talvolta permeate dalla criminalità organizzata - a tutela degli interessi degli emigrati nei rapporti con le Istituzioni locali e con la Repubblica Popolare Cinese.
Anche in Italia l'evoluzione dell'insediamento cinese ha seguito gli stessi schemi: vi sono circa venti associazioni, a carattere locale o nazionale, una pubblicazione in cinese del tipo Pagine Gialle, scuole per l'apprendimento del cinese mandarino per i figli degli immigrati, mentre aumentano gli abbonamenti ai network televisivi in lingua cinese.
I cittadini cinesi presenti sul territori nazionale al 31 dicembre 1999 sono 51.402, di cui 27.563 nel settentrione, 19.747 nell'Italia centrale e 4.092 nel meridione.
Nel territorio nazionale le aree in cui maggiore è la presenza legale di cittadini cinopopolari sono la Lombardia (12.000), la Toscana (12.000), il Lazio (oltre 5000), l'Emilia Romagna, il Piemonte ed il Veneto. Marginale, benché in aumento, è il fenomeno nelle regioni meridionali ed insulari.
L'immigrazione cinese ha come caratteristica l'assoluta illegalità degli ingressi e la concentrazione in aree ristrette: secondo le forze dell'ordine la comunità cinese si è stabilita in poche città del centro-nord e, solo negli ultimi anni, si è insediata nella provincia di Napoli (da 448 del 1995 ai 2.212 del 31 dicembre 1999).
I settori economici nei quali è impegnata la comunità cinese sono quelli della ristorazione, dell'abbigliamento, dell'import-export di prodotti artigianali, alberghiero, turistico e pubblicitario.
Le informazioni di cui sopra appaiono indispensabili per comprendere le caratteristiche della criminalità cinese in Italia. Va subito detto che le attività criminali sono quasi tutte interne alla comunità: sono commesse da cinesi in danno di cinesi.
Nei Paesi di immigrazione, la criminalità cinese tende a strutturarsi sui modelli esistenti nel paese di origine: o nella forma complessa delle cosiddette Triadi, associazioni segrete di forte tradizione, caratterizzate da rigidi rituali o in forme più moderne, svincolate dal controllo delle Triadi.
La criminalità cinese in Italia non ha struttura gerarchica; i numerosi gruppi, costituiti da un numero di persone tra le dieci e le cinquanta unità, sono caratterizzati dal vincolo dell'omertà interna, ricorrono alla intimidazione e alla violenza per raggiungere i loro scopi e tendono al controllo del territorio in cui operano. Non si esclude che abbiano rapporti di affari con le Triadi pur non essendosi manifestati espliciti collegamenti.
Le connotazioni di tipo mafioso che possono assumere talune organizzazioni criminali cinesi sono state riconosciute nell'ambito dei numerosi processi penali, in particolare a Firenze e Roma.
Nel nostro Paese le manifestazioni di quella criminalità non riguardano in via primaria i delitti tipici dei gruppi organizzati, quali ad esempio i traffici di stupefacenti (per quanto vi siano taluni segnali
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di inserimento di cinesi). I dati statistici relativi ai reati contro la persona e contro il patrimonio confermano che quella cinese non è una criminalità violenta; lo sfruttamento della prostituzione è in fase embrionale, mentre è rilevante quello del gioco d'azzardo, attesa la grande passione per esso dei cinesi. Si segnalano poi i delitti di estorsioni, rapine e usura in parte espressione del "canone" di protezione preteso dai titolari dei ristoranti e dei laboratori ma, soprattutto, quei delitti, sono subiti dalle vittime cinesi, come conseguenza dei debiti derivanti dal viaggio di emigrazione.
L'aspetto principale della criminalità cinese, infatti, è rappresentato dalla organizzazione e dallo sfruttamento della immigrazione clandestina.
A questa attività vanno riferiti i delitti gravi quali sequestri di persona, estorsioni, rapine, falsificazione di documenti, corruzione. Anche sul piano quantitativo, il delitto più diffuso tra i cinesi, il falso, è conseguenza della immigrazione clandestina.
La pericolosità del fenomeno è amplificata dal fatto che l'organizzazione su scala mondiale della immigrazione, dalle più sperdute regioni della Cina all'Europa, determina momenti di saldatura tra i diversi gruppi criminali, tanto con le organizzazioni stanziate in Cina, quanto con le altre (dall'Albania, alla Slovenia, all'Italia) cui è chiesta collaborazione per il passaggio delle frontiere terrestri o/e marittime.
È nota, infine, l'alta redditività del traffico: giunti a destinazione, i clandestini sono tenuti a pagare una somma tra i venti e i trenta milioni di lire. Per saldare il debito essi entrano dunque in un tunnel di anni e anni di lavoro nero, quando non di prostituzione.
Le rotte per l'Italia attraversano la Slovenia, l'Austria o la Francia, utilizzando passeurs locali. Spesso la città di Belgrado (dove vi sarebbero ben diciottomila cittadini cinesi) costituisce il terminale del ponte aereo clandestino da cui si dipartono i flussi per l'Europa occidentale. Ma ancora più spesso "il viaggio" porta i clandestini, con vari mezzi di trasporto, dalla Cina in Russia e da qui nei Paesi dell'Europa dell'Est - in particolare nella ex Yugoslavia - prima del definitivo passaggio a Ovest.
La massa di mano d'opera a basso costo - e con grande capacità di lavoro - entra in Italia in condizioni di sudditanza morale ed economica, quando non fisica, e costituisce così un pericoloso serbatoio utilizzato, nel migliore dei casi, per il lavoro nero e, a volte, direttamente nelle attività criminali della "famiglia" creditrice che ha favorito (finanziato) la immigrazione.
Infine, si ipotizza, (38) che i canali della immigrazione clandestina cinese, oltreché per il trasporto di droga, cui vengono costretti i migranti, possano essere sfruttati dalle Triadi della madrepatria, per la conquista di quote del mercato degli stupefacenti, in accordo con i gruppi residenti in Italia.
L'allarme sociale sul fenomeno della criminalità cinese non ha raggiunto livelli rilevanti proprio perché esso è poco visibile, svolgendosi all'interno della comunità straniera.
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Ma ciò può consentire il proliferare di attività illegali, sicchè l'attenzione e le iniziative assicurate al fenomeno dalla Polizia e dalla Magistratura debbono permanere ed intensificarsi per i pericoli di infiltrazione e/o raccordo della criminalità cinese con le nostre organizzazioni mafiose.
E d'altro canto appare indispensabile distinguere tra le varie forme della criminalità cinese per adeguare il tipo di risposta necessariamente diversa a seconda che si tratti di criminalità individuale o di tipo organizzato.
Si consideri infatti che il totale dei cittadini cinesi denunciati in stato di libertà nel 2000 sono stati 4.563; nel 1999 sono stati 5.034; l'anno prima 3.022 mentre dal 1994 al 1997 il numero si è attestato attorno ai 1.500-1.660. Quelli denunciati in stato di libertà per associazione di tipo mafioso sono stati: 8 nel 1994, 21 nel 1995, 27 nel 1996, 34 nel 1998, 1 nel 1999 e nessuno nell'anno 2000. Alla data del 31.12.2000, infine, risultavano detenuti complessivamente 202 cittadini cinesi (39).
Sono dati che danno conto di un'azione di contrasto adeguata, svolta efficacemente in forza di un'analisi continuamente aggiornata del fenomeno.
Occorre proseguire sulla via dell'impegno e della massima attenzione per questa forma di criminalità continuando ad evitare di una indiscriminata criminalizzazione che giova solo alle organizzazioni mafiose e danneggia le vittime, cioè la maggior parte dei cittadini cinesi che vivono onestamente - o cercano di farlo - sottraendosi alla morsa del crimine dei connazionali.
3. La mafia russa.
Il fenomeno criminale russo non è stato fino ad oggi particolarmente visibile perché esso in Italia - come nel resto dell'Europa, a iniziare dalla Gran Bretagna - ha riguardato principalmente il riciclaggio e il reimpiego delle risorse economiche e finanziarie derivanti dalle attività criminali svolte negli Stati della ex Unione Sovietica.
In questi Stati la criminalità russa controlla la gran parte dei sistemi imprenditoriali, commerciali e finanziari di quegli Stati.
Forme di controllo, di infiltrazione o di influenza riguardano addirittura il 40% delle imprese private, il 60% delle imprese statali, il 50-85% delle banche (non a caso sono trenta gli omicidi di banchieri avvenuti negli ultimi anni), il 70-80% delle attività commerciali.
Una siffatta rete è poi consolidata dalla presenza nel Parlamento e nelle istituzioni locali di rappresentanti eletti direttamente della criminalità.
L'espansione criminale è stata resa possibile sia dai processi di privatizzazione dell'economia seguita al superamento del regime sovietico, sia dalla inesistenza, fino al 1996, di previsioni penali che sanzionassero i fatti di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, etc.
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I gruppi che compongono la "Mafiya", (sarebbero 9.000 nella ex Unione Sovietica con oltre tre milioni di appartenenti) hanno una strutturazione gerarchica e con rigide regole di comportamento, non sono necessariamente collegati tra loro e sono dediti ad ogni genere di traffico illecito, dagli stupefacenti ai commerci di armi e materiale nucleare, al contrabbando di prodotti petroliferi, agli omicidi.
Pur nella mutevolezza delle loro caratteristiche operative e strutturali, quelle organizzazioni sono significativamente connotate dall'assenza del legame familiare, da spiccate capacità professionali e culturali dei quadri dell'associazione, e da una forte propensione alla collusione e alla corruzione degli uffici pubblici.
Sono caratteri rilevabili anche nei gruppi operanti in Italia.
L'afflusso turistico di cittadini della ex Unione Sovietica avviato a partire dagli anni '90 ha favorito il radicarsi di insediamenti criminali russi, segnalati fin dagli anni '70, le cui attività sono sempre state connotate da rilevanti disponibilità finanziarie investite anche a fini di riciclaggio ad es. nell'acquisto di immobili o in attività commerciali di sicura remunerabilità.
Le aree nelle quali si registra la presenza di criminalità russa e, conseguentemente, di ricchezze sospette di provenienza da illeciti sono la Lombardia, il Lazio, la Toscana (acquisto di aziende agricole e di industrie produttrici di beni di largo consumo, vestiti, scarpe, elettrodomestici, da esportare nei paesi dell'Est) in Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Friuli e Marche.
Oltre al riciclaggio i delitti commessi dai gruppi criminali russi riguardano gli stupefacenti, traffico di valuta, di opere d'arte, falsificazione di documenti, sfruttamento della prostituzione.
L'apparente mancanza di contatti con le organizzazioni criminali tradizionali italiane non può e non deve trarre in inganno giacché l'esperienza di altri paesi europei insegna che le organizzazioni russe, dopo l'inserimento nel tessuto socioeconomico, realizzato nel formale rispetto delle leggi, mirano ad interagire con la criminalità locale.
L'esistenza di rapporti con le formazioni criminali nostrane, peraltro, è evidenziata da acquisti sul mercato nero, oltreché di armi sovietiche, di notevoli quantità di rubli (scambiati evidentemente con denaro di illecita provenienza) da investire in Russia per realizzare riciclaggio e reimpiego sicuri.
In conseguenza del quadro sopra descritto, i dati relativi ai reati commessi da cittadini russi non possono che essere in sé scarsamente significativi e quantitativamente limitati. Essi concernono prevalentemente reati di inosservanza di norme sugli stranieri e reati contro il patrimonio (40). Assenti sono i delitti per associazione mafiosa o relativa a stupefacenti, così come non vi sono denunce per delitti caratterizzati da violenza. Alla data del 31 dicembre 2000 risultano detenuti solo quarantuno cittadini russi (41).
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Il carattere e l'attività internazionale della criminalità russa rende indispensabile lo sviluppo della cooperazione giudiziaria e di polizia.
Va ricordato, in tal senso, "L'accordo di partenariato e cooperazione tra le Comunità Europee, gli stati Membri e la Federazione Russa," in vigore dal 1997, anche se va preso atto che lo scambio di informazioni è reso difficile dalla constatata e diffusa collusione e corruzione esistente negli organi di Polizia e di Sicurezza dei paesi della ex Unione Sovietica.
Alta è la preoccupazione dell'Unione Europea per la criminalità russa, come comprova l'Azione comune a favore della federazione russa per combattere la criminalità organizzata, approvata il 13 aprile del 2000.
L'attenzione di questa Commissione parlamentare Antimafia al tema del contrasto a questo tipo di criminalità ha avuto modo di manifestarsi in occasione della riunione della Grande Commissione della Camera dei deputati e della Duma di Stato russa, tenutasi a Palazzo Montecitorio il 27-28 giugno 2000. Il Presidente della Commissione on. Giuseppe Lumia ha qui sottolineato l'importanza decisiva della collaborazione tra i due Stati in materia di lotta alla criminalità organizzata, specie di tipo finanziario. Salutando l'avvenuta ratifica da parte della Federazione Russa, in data 25 ottobre 1999, delle Convenzioni europee di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, il Presidente ha poi sollecitato la ratifica da parte russa, delle convenzioni europee in materia sul riciclaggio, la ricerca e la confisca dei proventi del reato, la convenzione ONU sul traffico di stupefacenti e quella del Consiglio d'Europa sulla corruzione.
4. Gli altri gruppi criminali: i colombiani, i rumeni e i turchi; la criminalità del Nord Africa e quella nigeriana.
L'analisi della criminalità non italiana deve fare cenno anche ad altri gruppi che si segnalano per la loro pericolosità (42).
Il dato costante che può rilevarsi in tutte le altre criminalità a base etnica presenti in Italia è costituito dal traffico di stupefacenti: colombiani, turchi, nordafricani, nigeriani e rumeni, tutti si occupano di sostanze stupefacenti accanto ad altre attività illecite.
Differenti sono tuttavia le caratteristiche, la tipologia di attività e il modus operandi di ciascun gruppo, benché tutti realizzino i loro delitti su scala transnazionale. La droga, le armi o gli esseri umani trafficati, infatti, spesso giungono dalla madrepatria o comunque da molto lontano dall'Italia, sicchè è necessaria in altri Stati la cooperazione con soggetti criminali stranieri - associati o singoli - per l'acquisizione, il transito, lo stoccaggio, la spedizione e l'arrivo a destinazione della merce.
La criminalità colombiana è dedita quasi esclusivamente alla esportazione e alla distribuzione della cocaina prodotta e raffinata in Colombia.
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I grandi traffici sono curati dai cc.dd. cartelli, i quali costituiscono strutture di "joint venture" per i trasporti della cocaina nei container con le navi, in condizioni di sicurezza. Più spesso i corrieri sono gli stessi cittadini sudamericani che utilizzano l'aereo occultando la sostanza nei bagagli o sulla persona. Negli ultimi sei anni sono stati denunciati oltre quattromila colombiani - la metà in stato di arresto - per illeciti penali concernenti in gran parte gli stupefacenti. Moltissimi sono rimasti latitanti.
Al 31 dicembre 2000 erano detenuti nelle carceri italiane seicentoquarantuno cittadini colombiani.
Da rimarcare come, dopo la via spagnola, l'Albania, con la sua ramificata criminalità, sembra essere la nuova piattaforma scelta dai cartelli colombiani per i traffici illeciti diretti in Europa.
La cosiddetta mafia turca è costituita da bande di criminali strutturate in diverse "famiglie" o gruppi, che hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nel traffico internazionale di stupefacenti, in particolare eroina. Sfruttando la posizione geografica del loro Paese i trafficanti turchi acquistano la sostanza dai vicini Paesi produttori e la cedono a soggetti estranei (albanesi e nigeriani) per il trasporto e la distribuzione sui mercati europei: non a caso, nel 2000, l'eroina sequestrata proveniente dall'Albania (37%) supera quella di provenienza turca (29% del totale).
Negli ultimi tempi la Turchia si è quindi trasformata in un vero e proprio supermercato dell'eroina. Le note vicende belliche hanno peraltro privilegiato la rotta balcanica meridionale: dalla Bulgaria l'eroina giunge in Albania e da qui, attraverso l'Italia, arriva in tutta Europa. Risalenti sono gli accordi con la criminalità italiana per l'approvvigionamento dello stupefacente. Tali collegamenti sono peraltro affievoliti in relazione al calo della domanda di eroina. La circostanza trova conferma negli indici di delittuosità dei cittadini turchi in Italia: solo seicentonovanta persone sono state denunciate nel 2000. I detenuti alla fine dello stesso anno erano centocinquantasei. La tipologia dei reati - nessuna denuncia per associazione a delinquere - concerne principalmente l'immigrazione irregolare. È infatti questo, l'altro settore criminale che interessa la Turchia, da dove giungono in Italia le navi-carretta cariche di clandestini. Siffatto traffico risulta gestito da una apposita associazione che raccoglie la domanda, organizza l'imbarco e il viaggio verso l'Europa, attraverso l'Italia servendosi di altri sodalizi. Non sono emersi tuttavia in questo settore collegamenti stabili con le organizzazioni mafiose italiane.
Le forze di polizia segnalano poi la vivacità di gruppi criminali rumeni dediti a delitti contro il patrimonio, traffico di stupefacenti di auto rubate, sfruttamento della migrazione clandestina e della prostituzione. Sono stati denunciati nel 2000 oltre tredicimila cittadini rumeni e quasi ottomilaquattrocento per delitti di tipo predatorio. Non vi sono indicazioni di collegamenti stabili con le nostre organizzazioni criminali.
I sodalizi criminali composti da cittadini nord africani presenti in Italia provengono in genere dal Maghreb (Marocco Tunisia e Algeria). Essi si occupano in prevalenza di traffico di stupefacenti, specie spaccio anche al minuto di hashish proveniente dalle zone di origine,
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agevolazione della immigrazione clandestina e traffico di esseri umani donne e minori destinati al mercato nero; traffico di auto rubate.
Sporadici sono i contatti con la criminalità organizzata italiana e con altri gruppi stranieri; esponenti della 'ndrangheta, tuttavia, utilizzano corrieri marocchini per l'introduzione dello stupefacente in Italia.
L'agevolazione della immigrazione clandestina registra tra i maghrebini forme di criminalità organizzata, mentre spiccata è la loro capacità operativa sul territorio in tema di spaccio di droga. Insieme a questo tipo di delitto, i reati contro il patrimonio, caratterizzano complessivamente il fenomeno della criminalità del Nord-Africa.
La conferma si trae, ancora una volta, dai dati statistici che vedono oltre seimila segnalazioni di reati predatori su quasi 23.000 cittadini marocchini denunciati nell'anno 2000. Evidente, poi, è la sproporzione tra il totale delle denunce dei cittadini maghrebini denunciati (oltre 35.000) e quelle riguardanti il delitto di associazione (meno di 100). I cittadini del Nord Africa detenuti in Italia alla fine del 2000 assommavano a 6.741 unità.
Discorso a sé, invece, merita la criminalità nigeriana, costituita da gruppi di forte livello organizzativo, a struttura gerarchica, non collegati tra loro, caratterizzati da massima segretezza e da componenti magico religiose (riti woodoo) con cui condizionano gli associati e le vittime. Il carattere mafioso, riconosciuto anche da un punto di vista strettamente tecnico giuridico in diverse occasioni, suona conferma della pericolosità di questi gruppi.
I settori di attività riguardano principalmente lo sfruttamento della prostituzione, della immigrazione clandestina e delitti connessi, il traffico di stupefacenti.
I proventi delle attività illecite sono riciclati in attività commerciali in Italia e, in parte, inviati in Nigeria con corrieri portavalori.
Particolare specializzazione criminale le organizzazioni nigeriane dimostrano nel campo della prostituzione (contrastati dagli albanesi) dove un ruolo essenziale è rivestito dalle c.d. madame, ex prostitute che si curano di tutte le fasi del traffico, dall'acquisto delle ragazze in Nigeria, ridotte in schiavitù, al trasferimento e alla sistemazione in Italia, allo sfruttamento. Il fenomeno è diffuso in molte città italiane e, in particolare, in Campania (Napoli - Caserta), tollerati dalla camorra, e a Torino, dove risiede la più numerosa comunità di nigeriani.
Nel traffico di stupefacenti sono impiegati un gran numero di corrieri, anche di altra nazionalità, sicchè viene ridotto il rischio di gravi perdite economiche perché i quantitativi delle partite trafficate sono sempre limitati. Sono stati 436 su un totale di 5.397, i cittadini nigeriani denunciati per delitti relativi a stupefacenti.
(29) Relazione sul traffico degli esseri umani, relatore sen. Tana de Zulueta, XIII legislatura, doc. XXIII, n. 49.
(30) Vedi a tal proposito le Relazioni sul fenomeno criminale del contrabbando di tabacchi lavorati esteri in Italia e in Europa, relatore l'onorevole Alfredo Mantovano, e sul traffico degli esseri umani, relatore la senatrice Tana de Zulueta.
(31) In passato, la Spagna ha costituito la tradizionale testa di ponte per i flussi di cocaina sudamericana diretti in Europa, ma oggi anche, in virtù di un'efficace azione di contrasto in quel Paese, i narcos sembrano voler cogliere appieno le opportunità offerte da un Paese come l'Albania, che offre tutte condizioni, geografiche e di affidabilità criminale, delle associazioni locali.
(32) Cfr. documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sulla sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno, pag. 250.
(33) Cfr. documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sulla sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno, pag 285. Per la precisa definizione dei termini respinti o espulsi, si veda l'Inserto 19 a pag.287 dello stesso documento.
(34) Sin dai primi anni '90 i criminali albanesi che si sono rapidamente inseriti nei circuiti illegali, e si sono posti soprattutto nel Nord Italia, a disposizione dei boss siciliani e calabresi, gestori del mercato del traffico di droga nazionale con proiezioni internazionali (centro Europa, rotta balcanica, Turchia e America Latina).
(35) Nella sua audizione dinanzi al Comitato di lavoro sulla criminalità internazionale di questa Commissione, il Procuratore della Repubblica di Torino, dott. Marcello Maddalena, ha illustrato i moduli organizzativi del contrasto alla criminalità albanese predisposti dal suo Ufficio.
(36) Cfr. documento n. 1892, XIII legislatura. Il documento contiene dati forniti dalla Direttoria (questura) di Valona e dal 28o gruppo navale della Marina militare italiana.
(37) Cfr. documento n. 1892, XIII legislatura. Il documento contiene dati forniti dalla Direttoria (questura) di Valona e dal 28o gruppo navale della Marina militare italiana.
(38) Ministero dell'interno "Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia", febbraio 2001.
(39) Cfr. Documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno pp. 174 e ss.
(40) Risultano trecentodiciassette segnalazioni per reati di inosservanza delle norme sugli stranieri e duecentodiciannove per reati contro il patrimonio nell'anno 2000 a fronte di un numero complessivo di denunciati pari a settecentosettantanove, cfr. Documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno, pag. 192.
(41) Cfr. Documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno, pag. 193.
(42) Per i dati relativi ai gruppi criminali analizzati in tale paragrafo, cfr. Documento n. 2399, XIII legislatura, "Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia", 2001, Ministero dell'interno, pagg. 176 e ss.