Lo Stato, le forze sociali ed il crimine. L'apparato giudiziario e le forze dell'ordine.
1.1 Principali reati commessi sul territorio della provincia.
Nonostante il rinnovato impegno delle Istituzioni, il dato relativo ai delitti commessi a Catania negli ultimi anni rimane drammaticamente alto. La presenza sul territorio di una molteplicità di organizzazioni criminali comporta, infatti, il ricorso sistematico alla consumazione di delitti per ragioni endemiche che hanno riguardo alla sopravvivenza stessa delle predette organizzazioni. A prescindere, dunque dai fatti di sangue, collegati ai regolamenti di interessi interni ed esterni ai gruppi mafiosi, che scandiscono la vita delle organizzazioni, le compagini in armi sul territorio hanno necessità di garantirsi un gettito economico costante per mantenere l'esercito di uomini in armi a loro disposizione. Devono poi assicurare il mantenimento dei nuclei familiari di quegli affiliati che si trovano in stato di detenzione e fare fronte alle cospicue spese legali necessarie per l'assistenza ai processi penali. Tutto ciò comporta un ricorso sistematico al crimine in misura fissa e parametrata alle dimensioni - ed alle corrispondenti esigenze economiche - delle associazioni mafiose esistenti sul territorio, ed ha determinato quella recrudescenza criminale, con conseguente proliferazione dei fatti di aggressione ai beni giuridici dei privati cittadini, che ha causato la collocazione della città di Catania agli ultimi posti della graduatoria nazionale sulla qualità della vita degli abitanti.
È per questa ragione dunque che, anche se mantenuto al di sotto dei cento morti ammazzati all'anno, il numero degli omicidi consumati in provincia è tuttora ragguardevole, e consistente permane il fenomeno delle estorsioni ai commercianti (vd. Supra n. 4.2).
OMICIDI CONSUMATI E TENTATI SUL TERRITORIO DELLA CITTÀ DI CATANIA DAL 1987 AL 1999(*) |
|
1987 |
1988 |
1989 |
1990 |
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Omicidi
| 36 | 51 | 38 | 67 | 72 | 74 | 104 | 106 | 109 | 86 | 113 | 112 | 92 |
Omicidi
tentati
|
49 |
34 |
52 |
57 |
50 |
70 |
68 |
74 |
81 |
83 |
51 |
72 |
71 |
(*) Dati fino al 30 novembre 1999.
Fonte: Procura generale della Repubblica di Catania.
I dati si riferiscono alle iscrizioni del registro noti della Procura distrettuale di Catania e della Procura presso il tribunale di Caltagirone. Si fa presente che il circondario di Caltagirone comprende il comune di Niscemi non appartenente alla provincia di Catania.
Pag. 65
1.1.1 I reati contro il patrimonio
Attenuato risulta essere il dato dell'incidenza dei reati contro il patrimonio che, rispetto alla seconda metà degli anni ottanta risulta essere dimezzato. Si tratta, tuttavia, di un dato che può essere attribuibile, da una parte ad iniziative quali quella che ha previsto l'impiego dell'esercito nella nota operazione «vespri siciliani» - che ha prodotto l'effetto indiretto di un maggior controllo del territorio -; dall'altra al fatto, tutt'altro che tranquillizzante, che la criminalità ha pesantemente spostato i suoi interessi su settori criminali meno rischiosi e più redditizi, quale il mondo del commercio della droga, i fenomeni di riciclaggio e reimpiego di capitali di illecita provenienza, gli affari connessi al commercio ed allo smaltimento di materie nocive alla salute.
Rimandando a quanto già detto sopra nel paragrafo dedicato al Commercio (n.4.2), occorre aggiungere che sotto il profilo statistico la forma di reato dell'estorsione non sembra essersi granchè attenuata negli ultimi anni, ed anzi dal dato statistico emerge che, rispetto alla precedente indagine su Catania della Commissione Parlamentare Antimafia, il dato delle estorsioni si è raddoppiato.
In realtà le risultanze del dato statistico vanno corrette con il sempre più frequente ricorso dei cittadini allo strumento della denuncia, in corrispondenza di una maggiore fiducia riposta nelle forze dell'ordine. A differenza di quanto avveniva sino agli anni ottanta, allorquando ai timori per le ritorsioni della criminalità mafiosa si aggiungeva la sfiducia per l'apparato delle forze dell'ordine, oggi il commerciante sottoposto ad estorsione può contare su sezioni e servizi antiracket di Carabinieri e Polizia che - con la sua collaborazione del
Pag. 66
- sono in condizione, in pochi giorni, di identificare ed arrestare gli esattori del pizzo o gli anonimi latori di minacce telefoniche.
In effetti le risultanze dell'indagine statistica risultano, oggi come ieri, inidonee a cogliere la effettiva portata del fenomeno, che si attesta ancora su percentuali di incidenza elevatissime, rispetto all' insieme delle attività commerciali presenti in città ed in provincia. Sulla base delle allegazioni probatorie che hanno costituito oggetto dei più importanti processi di mafia - ed in particolare dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia - si è desunto che la percentuale di aziende sottoposte al pizzo, o comunque pressate dalle richieste estorsive, è ancora elevatissima, e molto vicina a quel 90% rilevato nel corso della indagine condotta a cavallo tra gli anni ottanta e novanta.
1.1.2 Detenzione porto e traffico di armi ed altre sostanze.
La criminalità catanese, in linea con le altre organizzazioni mafiose, può disporre di enormi quantitativi di armi. Tale disponibilità è direttamente proporzionale al numero enorme di reati commessi in città ed in provincia mediante l'uso di armi. Sarà sufficiente ricordare, ancora una volta, che Catania ha detenuto per anni e con costanza il triste record del maggior numero di omicidi su tutto il territorio nazionale.
Il mercato delle armi clandestine, - un tempo ristretto dal punto di vista territoriale ed approvvigionato mediante furti, - negli ultimi tempi è divenuto internazionale, in conseguenza della massiccia dismissione di armamenti provenienti dai paesi dell'ex blocco comunista.
Ad esso le organizzazioni attingono a piene mani, e prova ne viene dal fatto che in più occasioni sono state sequestrate armi automatiche di utilizzo prettamente bellico, ovvero missili ed altri congegni micidiali dotati di sofisticati sistemi di puntamento. Tra le ragioni, peraltro assai diverse, che spiegano la dimensione raggiunta da tale fenomeno vi è la elevata disponibilità di mezzi economici di cui le cosche dispongono e la precisa scelta strategica di utilizzare le armi una sola volta per
Pag. 67
creare difficoltà alle attività investigative, in particolare evitando la possibilità di comparazioni balistiche tali da consentire l'individuazione di un elemento comune o di un momento di congiunzione tra diversi episodi delittuosi. Da ultimo le cosche hanno preferito, dunque, rinunciare al riutilizzo delle armi, quand'anche per tale evenienza erano solite in passato cautelarsi mediante un «armiere» addetto alla modifica delle rigature di canna mediante raschiatura del «vivo di volata». Ma l'esperienza effettuata in alcuni maxi-processi, e gli eccezionali risultati raggiunti mediante l'utilizzo del microscopio a scansione hanno dimostrato la fallibilità di tali tecniche artigianali per dissimulare le impronte.
Un dato ancora più preoccupante è rappresentato dalla circostanza che alcune armi sequestrate sembrano uscite direttamente dalle fabbriche prima ancora di essere catalogate e punzonate. Tra tali armi ve ne sono anche alcune fabbricate da aziende nazionali. La maggior parte di esse sono comunque di fabbricazione straniera: ex Iugoslavia, ex Cecoslovacchia, Israele; per il loro trasporto sembra che sia utilizzata come luogo di transito anche la stessa Germania.
Si pone così con molta forza la necessità di rafforzare quanto più è possibile i controlli dei possibili canali di transito, tanto più che i traffici internazionali di materiali e congegni bellici risultano operati sempre più spesso tramite le infiltrazioni dì intermediatori occulti in grado di trovare rilevanti coperture .
In questa materia è, dunque, necessario procedere in tempi rapidi - e con la necessaria partecipazione internazionale degli altri stati interessati a tali commerci - ad una rivisitazione degli strumenti di controllo, delle normative di acquisto e cessione a privati, dei mezzi di collaborazione internazionale tra le polizie delle varie nazioni. Si deve tenere, infatti, presente che ancora oggi la grande quantità di armi scoperte sul mercato clandestino e sequestrate fa pensare ad altrettanti, se non maggiori, carichi di armamento che non sono intercettati.
Pag. 68
Anche in questo settore pesa l'insufficienza di uomini a disposizione delle forze dell'ordine per i compiti di perlustrazione e di bonifica del territorio da effettuare soprattutto nelle campagne e nelle zone urbane ad alto rischio. La necessità di prestare la massima attenzione a tale dato viene sottolineata dal fatto che la dotazione individuale assegnata ad ogni killer risulta essere estremamente cospicua e tale da consentire la commissione di un grande numero di delitti.
Per queste ragioni, ridurre la «potenza di fuoco» delle cosche rappresenta uno dei primi obiettivi che lo Stato si pone immediatamente nell'atto di consentire una nuova collaborazione con la Giustizia. Infatti, la indicazione del luogo dove la cosca tiene nascosta le armi appare ai più come il passo irreversibile per potere recidere ogni legame con il mondo criminale di provenienza.
Proprio l'approvvigionamento delle armi ha infatti costituito una esigenza comune delle due realtà mafiose, catanese e palermitana, determinando un ampio terreno di intesa ed una serie vicendevole di cortesie tra gruppi, di cui è stato possibile conoscere solo di recente la rilevanza e la frequenza (26).
Già agli inizi degli anni '80 il Santapaola Benedetto aveva manifestato la propria capacità organizzativa sotto il profilo militare, provvedendo alla fornitura di un numero cospicuo di armi - in particolare mitra - in favore dei corleonesi di Totò Riina. Si trattò delle stesse armi impiegate per compiere le stragi che caratterizzarono gli anni ottanta, ed in particolar modo l'agguato consumato sulla circonvallazione di Palermo che costò la vita ad Alfio Ferlito, e vide cadere vittime anche i Carabinieri che erano impegnati nella sua traduzione.
Nello stesso periodo storico cosa nostra catanese strinse rapporti di collaborazione con la famiglia partenopea dei Nuvoletta, ed uno dei primi affari illeciti portati a termine dai due gruppi fu proprio l'acquisto di ingente partita di droga da parte della famiglia Santapaola che offrì in cambio ai camorristi una fornitura di ben duecento mitragliatori.
Nei tempi più recenti l'organizzazione mafiosa catanese ha stretto legami con esponenti della criminalità internazionale in grado di fornire, a basso costo, sofisticati strumenti bellici dismessi dalle forze armate presenti nei paesi aderenti all'ex patto di Varsavia. Significative a tal riguardo sono state le investigazioni che hanno portato ad appurare i traffici di armi con la ex Jugoslavia, portati a compimento con l'ausilio di un affiliato residente in provincia di Varese. Armi di ogni genere, fucili, pistole, mitra bombe a mano, - grazie ai continui viaggi effettuati dagli uomini d'onore della famiglia catanese sul confine con i Balcani - si andarono ad aggiungere ai bazooka, ai giubbetti antiproiettile, agli esplosivi ed agli altri sofisticati strumenti per la preparazione di auto-bombe di cui l'organizzazione già disponeva.
Pag. 69
In linea con questa tradizione nel commercio di armi e di sostanze pericolose - oltre che di particolare gravità ed interesse - risultavano le risultanze dell'inchiesta su di un traffico di materiale radioattivo in cui erano coinvolti esponenti della criminalità catanese. L'attività investigativa fu avviata sulla base delle propalazioni di un collaboratore di giustizia e si è conclusa con il sequestro di una barra di uranio da parte dei militari appartenenti allo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, e con l'arresto di quindici persone.
Si è accertato che l'uranio era stato prodotto negli USA e successivamente destinato ad una centrale nucleare che doveva realizzarsi nello Zaire, donde, presumibilmente erano state trafugate nove barre di sostanza radioattiva. Alcuni esponenti della criminalità organizzata calabrese, - con gravi precedenti penali anche per detenzione e traffico d'armi - erano venuti in possesso di tale sostanza con l'intenzione di porla sul mercato clandestino. Per realizzare questo disegno avevano trovato appoggio presso alcuni soggetti operanti a Roma, che risultavano essere in collegamento con la c.d. «banda della Magliana», ai quali era stato affidato il compito di custodire ed occultare le barre d'uranio. Nella vicenda si erano poi inseriti alcuni esponenti della criminalità siciliana, catanese in particolare, che avevano svolto la funzione di mediatori, alla ricerca di potenziali acquirenti presso governi esteri interessati all'acquisto di sostanze nucleari delle quali venivano vantati i possibili utilizzi a fini bellici. Venuti a conoscenza di ciò i militari della G.d.F. ottenevano dal Comando Generale la speciale autorizzazione ex l. n. 356/1992 per l'acquisto simulato di armi. Veniva instaurata pertanto una trattativa fittizia, attuati contestuali servizi di intercettazione telefonica e pedinamenti, ed alla fine effettuato il blitz che consentiva di venire a conoscenza della esatta identità di tutti i soggetti componenti della banda, alcuni dei quali fermati in prossimità del confine con la Svizzera ove si erano recati per ottenere il pagamento del corrispettivo per la vendita dell'uranio.
L'indagine consentiva pertanto di mettere in rilievo una serie di importanti dati:
- la criminalità catanese risulta più che mai impegnata nella esecuzione di svariati traffici, anche quelli relativi a sostanze insidiose e pericolose quali l'uranio, confermando la sua rilevanza strategica in materia di armi esplosivi e sostanze analoghe;
- le organizzazioni criminali in genere espandono i propri interessi in ambiti sempre diversi e connessi alle realtà tecnologiche avanzate, abbandonando le antiche e rischiose attività delinquenziali per dedicarsi a traffici illeciti molto più lucrosi; esse inoltre, dovendo svolgere attività di commercio illegale, cercano i propri interlocutori anche presso gli esponenti di governi esteri che operino in modo spregiudicato ed in violazione delle direttive imposte dalla comunità internazionale;
- esiste un collegamento stabile tra le diverse realtà criminali le quali collaborano alla realizzazione di traffici illeciti, fornendo ciascuna l'apporto necessario sul territorio di propria pertinenza, frammentando l'esecuzione dell'attività delittuosa, in modo da rendere più difficile il poter risalire alle singole responsabilità ed ai soggetti che costituiscono il vertice operativo e decisionale dell'organizzazione.
Pag. 70
1.1.3 I delitti connessi al consumo ed al commercio degli stupefacenti
Le condizioni di degrado urbano e di abbandono, ampiamente sopra descritte, costituiscono la premessa indispensabile per l'esame delle questioni criminali connesse all'uso della droga. Dall'analisi delle statistiche, relative alle quantità sequestrate dalle forze dell'ordine, è stato possibile rilevare che il consumo degli stupefacenti è venuto crescendo negli ultimi anni, ed in particolare si è sviluppato il commercio clandestino delle c.d. droghe pesanti.
Il mondo della droga ha perciò costituito per i giovani emarginati della città un triste e frequente rifugio dalle insoddisfazioni del quotidiano e dai problemi dell'esistenza, ponendo in tutta la sua evidenza il fallimento dell'azione delle Istituzioni pubbliche e private.
Influenzata in minima parte dalle suggestioni culturali che hanno alimentato in Europa negli anni Settanta l'uso della droga come strumento di disobbedienza civile, la tossicodipendenza a Catania, sviluppatasi nei sobborghi poveri e dimenticati della città, nasce come reazione estrema alla pura e semplice disperazione di una generazione di giovani, cui non è stato proposto alcun modello valido attorno al quale costruire la propria esistenza. Non è espressione di una sottocultura volta a propagandare l'utilizzo della droga quale mezzo ideologico di lotta politica e sociale - come fu per i seguaci di Marcuse e della cosiddetta «scuola psichedelica» -, ma una scelta determinata da assenza di cultura, vuoto esistenziale, mancanza di riferimento istituzionale.
In tale contesto si innesta, profittatrice, l'opera della criminalità organizzata. Nei quartieri ghetto della città, tra Librino e San Giorgio, giovani sono gli acquirenti che alimentano la domanda di droga, ma sono anche giovani coloro che vengono incaricati del commercio degli stupefacenti. Non di rado gli spacciatori sono anche a loro volta consumatori, e per questa ragione vengono reclutati dagli organizzatori del mercato dell'eroina, giacché in cambio dell'opera prestata essi si accontentano di ricavare la dose per il proprio fabbisogno giornaliero.
A dispetto di quanto sostenuto nelle tradizionali affermazioni degli uomini d'onore circa una presunta avversione della mafia rispetto al mondo degli stupefacenti, a Catania il traffico della droga è gestito in prima persona dalle organizzazioni mafiose ed anche dalla organizzazione cosa nostra, costituendo peraltro una delle più ingenti fonti di guadagno.
Alle origini la mafia catanese si occupava principalmente del traffico dei tabacchi di contrabbando, nel quale furono impegnati gli uomini d'onore catanesi sino agli anni settanta. Solo successivamente tale traffico fu sostituito con quello ben più redditizio derivante dall'acquisto e dalla rivendita delle sostanze stupefacenti. In tale contesto si svilupparono ampie e proficue collaborazioni tra cosa nostra catanese e palermitana, e rapporti con altre realtà criminali, quali la 'ndrangheta partenopea, come già descritto nella citata sentenza del maxiprocesso di Palermo in relazione con riferimento agli
Pag. 71
anni Ottanta (27). Si trattava, come descritto dall'autorità giudiziaria di Palermo, «di un collegamento operativo nel traffico di stupefacenti tra i catanesi ed i palermitani nel settore del trasporto via mare, dal medio e dall'estremo Oriente, di ingentissimi quantitativi di morfina ed eroina, attraverso lo sfruttamento dei vecchi canali inerenti al contrabbando dei tabacchi lavorati esteri» (28).
Pag. 72
SEQUESTRI IN GRAMMI DI SOSTANZE STUPEFACENTI OPERATI DALLE FORZE DI POLIZIA NEGLI ANNI 1993 - 1999
POLIZIA DI STATO
|
MARIJUANA |
EROINA |
COCAINA |
HASCISH |
EXTASY |
1993 | 6479 | 204 | 86 | 1410 | - |
1994 | 303 | 146 | 100 | - | - |
1995 | 1873 | 12 | 60 | 514 | - |
1996 | 10066 | 1141 | 777 | 8750 | - |
1997 | 7418 | 2227 | 620 | 5265 | - |
1998 | 271814 | 302 | 658 | 4486 | - |
1999 | 22043 | 20 | 4437 | 955 | - |
CARABINIERI
|
MARIJUANA |
EROINA |
COCAINA |
HASCISH |
EXTASY |
1993 | 553 | 102 | 135 | 171 | - |
1994 | 3668 | 3912 | 403 | 135 | - |
1995 | 1273 | 358 | 342 | 575 | - |
1996 | 2597 | 766 | 567 | 292 | - |
1997 | 1049 | 1013 | 183 | 7177 | - |
1998 | 73985 | 247 | 893 | 1316 | 10 |
1999 | 101376 | 2665 | 2277 | 1465 | 8 |
GUARDIA DI FINANZA
|
MARIJUANA |
EROINA |
COCAINA |
HASCISH |
EXTASY |
1993 | 6781 | 278 | 286 | 78 | - |
1994 | 1556 | 154 | 81 | 195 | - |
1995 | 3175 | 86 | 1 | 498 | - |
1996 | 14471 | 8 | - | 11420 | 7 |
1997 | 297171 | 5160 | 8 | 264 | - |
1998 | 73394 | 5 | 4 | 154 | - |
1999 | 178670 | 100 | 359 | 412 | - |
Pag. 73
Tali traffici sono andati crescendo per quantità di sostanza importata ed estensione del mercato degli acquirenti soggetti a tossicodipendenza, sino a raggiungere gli allarmanti numeri indicati nelle tabelle relative ai sequestri di droga. In presenza di una simile situazione, qualunque metodo fondato sulla mera repressione del fenomeno sembra destinato a fallire. Il circolo vizioso - costituito dalla presenza di sacche di sottosviluppo e disoccupazione che generano tossicodipendenza; e dalla mafia, che trae spunto dai disagi e dalla domanda di droga, per creare occupazione illegale grazie al commercio degli stupefacenti -, può essere interrotto soltanto con interventi alla radice del sistema sociale. Ancora una volta dovranno essere individuati gli strumenti sociali, atti ad intercettare ed attenuare il disagio, per contrastare fenomeni rispetto ai quali il fatto criminale è soltanto l'ultima e la più evidente delle manifestazioni.
1.1.4 Il riciclaggio ed il reimpiego di capitali di illecita provenienza.
In una realtà socio-economica come quella catanese, fortemente condizionata dalla presenza di capitali di illecita provenienza, risulta correlativamente diffusa la pratica del riciclaggio.
Uno dei settori di maggiore incidenza del fenomeno è l'edilizia, nel quale il riciclaggio può essere operato tanto mediante la forma dell'attività d'impresa finalizzata alla costruzione di edifici, quanto attraverso l'intermediazione nella vendita di alloggi ed immobili. L'attività di osservazione e di contrasto ha consentito di individuare due anomalie, quali spie rivelatrici della provenienza illecita dei capitali impiegati: l'assunzione di appalti sotto costo e la costruzione di unità immobiliari per le quali non vi è un mercato attuale e, talvolta, neppure potenziale.
L'assunzione di appalti sotto costo, da parte di imprese ricadenti sotto il controllo diretto, o indiretto, dell'organizzazione mafiosa, si prefigge un duplice obiettivo: assicurare, da un lato, il reimpiego di danaro proveniente da operazioni illecite; e creare, dall'altro, valide opportunità per l'inserimento di imprese mafiose nel circuito imprenditoriale, attraverso la pratica di prezzi competitivi. Con questo sistema è possibile entrare a pieno titolo nel circuito nell'economia legale, conseguendo nel frattempo anche il risultato di mettere in crisi le imprese concorrenti.
La costruzione di immobili senza mercato, spesso neppure potenziale, si determina allorquando l'impresa mafiosa risulta concessionaria del diritto all'edificazione di edifici per civile abitazione in zone di scarso valore residenziale; ovvero, al contrario, allorquando edifichi in zone di grande pregio affrontando costi enormi - per l'acquisto del terreno, per la manodopera, per le soluzioni di lusso adottate - che si riverberano sul prezzo finale degli immobili che risulterà superiore a quelli di mercato.
Tale scelta imprenditoriale, benché non produca benefici economici immediati, crea tuttavia i presupposti per realizzare beni il cui valore patrimoniale rimane comunque rilevantissimo sino al momento in cui si decide, o si ritiene comunque più opportuno, liquidarli per monetizzare le attività.
Pag. 74
Nel marzo 1997 sono state sequestrate le quote societarie di otto aziende operanti nel settore dell'edilizia per un valore complessivo di 40 miliardi di lire. Dalle indagini è emerso che la capacità di infiltrazione di capitali di illecita provenienza avveniva attraverso uno strumento apparentemente legale e trasparente: l'aumento del capitale societario. Tutto ciò dimostra quanto utile sia per la lotta al riciclaggio la capacità di intelligence e la professionalità delle forze dell'ordine con specifiche funzioni di contrasto alla criminalità economica. Tale esigenza risulta ancor più pressante visto che si vanno progressivamente affinando i meccanismi di riciclaggio posti in essere dal crimine organizzato, che talvolta fuoriesce dal proprio «ambiente» per attingere comparti e settori tradizionalmente immuni e «rispettabili». Risulta assai emblematico il caso di una società che avrebbe dovuto edificare su un terreno avente il valore di 5 miliardi di lire ricorrendo come meccanismo di finanziamento ad una sorta di public company.
Come è emerso dai risultati dell'inchiesta parlamentare, il riciclaggio si concretizza poi anche attraverso l'acquisizione di esercizi della grande distribuzione (vd. n. 4.2). È il caso che abbiamo preso in esame in precedenza, anche nell'ambito delle considerazioni svolte sul tema delle estorsioni, ed a proposito del reinvestimento di capitali di provenienza illecita in strutture commerciali. L'obiettivo che si vuole raggiungere, - grazie all'abbattimento dei prezzi ed alla concorrenza sleale resa possibile dall'illecita provenienza dei mezzi finanziari, - è quello di costringere alla chiusura le attività commerciali concorrenti, o quanto meno condizionarle pesantemente, ad esempio obbligando l'esercizio commerciale sano ad accettare compartecipazioni di capitale illegale.
Si rilevano, inoltre, alcune anomalie meritevoli di approfondimento: solamente 66 operazioni sospette segnalate dai soggetti obbligati per legge a tale adempimento e tutto ciò in stridente contrasto con il volume complessivo di ricchezza circolante nel territorio etneo. Ancor più inquietante appare la proporzione tra il numero dei soggetti abilitati all'esercizio della funzione creditizia che hanno segnalato operazioni sospette e il numero complessivo degli istituti di credito e degli intermediari finanziari: solamente in 15 hanno segnalato operazioni anomale su circa 400.
Appare opportuno, inoltre, una verifica puntuale della idoneità delle metodologie e degli strumenti di rilevazioni di operazioni sospette.
1.2 Il contributo delle forze di polizia all'azione di contrasto
La condizione di efficienza dell'apparato delle forze di polizia costituisce un pre-requisito per porre in essere l'azione di contrasto contro i poteri illegali, e ciò sia con riferimento ai mezzi in dotazione ai reparti, sia per ciò che riguarda l'aspetto della professionalità e funzionalità dell'impiego del personale nei servizi prestati.
La Questura soffre di problemi endemici legati alla localizzazione della struttura che ne accoglie gli Uffici, ed alla mancata realizzazione di una nuova sede che ne riunifichi gli uffici.
L'ufficio ove ha sede il Questore risulta isolato rispetto ad altri uffici per i quali appare opportuno realizzare una diversa collocazione.
Pag. 75
È questo il caso, in primo luogo, della Criminalpol, della Polizia scientifica e dell'ufficio passaporti, distaccati non solo in altri plessi, ma anche in luoghi diversi nell'ambito della stessa città.
Questa situazione oltre ad accrescere il pericolo di violazione della riservatezza degli atti di vari procedimenti nel corso dell'esame degli stessi, dovendo lo stesso fascicolo essere trasferito molte volte attraverso uffici diversi, distrae moltissime unità delle forze dell'ordine dai compiti istituzionali.
Vi sono poi ostacoli nella costruzione della nuova Questura, determinati dalla necessità di una variante al piano regolatore generale. Tali rigidità andrebbero superate nella considerazione delle obiettive esigenze di funzionalità già descritte ed anche allo scopo di realizzare un consistente risparmio economico, stante l'esosità del canone di attualmente versato dall'erario per la locazione dell'immobile ove ha attualmente sede il maggiore presidio provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Complessivamente, nonostante le carenze strutturali, la professionalità dei funzionari e l'esperienza degli operatori della Polizia di Stato ha comunque sopperito alla povertà dei mezzi, consentendo di conferire un apporto valido ed efficace nell'azione di contrasto ai poteri criminali in città. Grazie alla Polizia di Stato è stata condotta nei primi anni novanta l'operazione ORSA MAGGIORE e, negli ultimi anni operazioni che hanno consentito di procedere all'arresto di esponenti del clan CAPPELLO e del clan SCIUTO-TIGNA. Accanto all'intensa attività della squadra mobile e degli altri servizi centrali, efficace è risultato poi il contributo di commissariati di zona e di quelli periferici, tra i quali si è segnalata l'opera del commissariato di Acireale, particolarmente impegnato nell'azione di contrasto contro il fenomeno mafioso presente sul territorio della propria giurisdizione.
Ma l'attività delle forze dell'ordine a Catania ha ottenuto notevoli successi soprattutto per opera dell'Arma dei carabinieri, che negli ultimi anni ha proceduto all'arresto di numerosissimi criminali ed esponenti mafiosi (Santapaoliani soprattutto, ma anche esponenti del clan Laudani), sequestrando contemporaneamente moltissime armi.
Vero è che l'Arma dei carabinieri gode oggi di maggiore «agibilità» - anche per le conseguenze di un provvedimento che ha procurato benefici indiretti per la sua attività in questo campo: l'attribuzione, dal 21 aprile 1997, alla Polizia penitenziaria del compito delle traduzioni di detenuti che ha consentito di recuperare almeno 250 unità in più liberati dall'onere delle traduzioni di detenuti - ma i risultati complessivamente ottenuti appaiono tali da non trovare pari in quelli di alcun altro reparto investigativo sul territorio nazionale. Tale affermazione ancor più risulta valida se raffrontata al numero effettivo dei militari impiegati ed allo spessore investigativo delle indagini condotte anche in relazione al calibro dei personaggi mafiosi che ne sono stati oggetto. All'Arma si devono le principali operazioni antimafia contro la «cosa nostra» catanese: dall'indagine denominata ORIONE ai procedimenti FICO D'INDIA nei confronti del potente clan dei LAUDANI; ma anche le più rilevanti inchieste sulla corruzione politico amministrativa ed i rapporti mafia-politica-imprenditoria: le inchieste sulla costruzione dell'Ospedale Garibaldi ( I e II lotto) sugli appalti dello I.A.C.P. relativi alla cittadella dello sport ed agli alloggi.
Pag. 76
Pag. 77
A fronte di un organico pari a 1414 militari il comando provinciale di Catania ha operato nell'ultimo anno ben 2361 arresti, seguito dalla Polizia di Stato con 1290 arresti (organico di 2158 uomini), e dalla Guardia di Finanza con 109 arresti (656 unità in organico).
Tali risultati - coincidenti con la guida del Comando provinciale assunta dal Colonnello Umberto Pinotti, ed il comando del nucleo operativo dei Maggiori Gian Marco Sottili e Angelo De Quarto - risultano indubbiamente sostenuti dalla managerialità dei responsabili di reparto, ma sono in realtà il frutto di esperienze e tecniche investigative oramai consolidate in questa struttura investigativa, che ne fanno il fiore all'occhiello dei comandi Arma nel sud Italia. Si tratta dell'abitudine ad operare seguendo sistemi di investigazione di tipo tradizionale, basati essenzialmente sul controllo del territorio, e sostenuti dall'utilizzo di apparecchiature tecniche sofisticatissime.
I Carabinieri di Catania da tempo prediligono una attività d'indagine che non si fondi solo sulle dichiarazioni di pentiti, ma tragga spunto dalle acquisizioni raccolte direttamente dagli investigatori. Tale sistema ha consentito di allineare le indagini alle fasi in divenire degli equilibri criminali, cogliendone con immediatezza gli eventuali mutamenti, e consentendo di guadagnare tempo rispetto a quanto avviene normalmente quando si affidano le ricostruzioni dei fatti alle pure e semplici dichiarazioni di pentiti. A ciò si aggiungano gli enormi vantaggi ottenuti sul fronte della forza e genuinità della prova, che hanno consentito di fornire all'autorità giudiziaria tutti gli elementi necessari per valutare l'attendibilità dei pentiti; smascherare manovre distorsive della verità dagli stessi posti in essere; selezionare e prescegliere coloro da avviare al programma di protezione, solo tra quelli che avessero riferito, con precisione, circostanze e fatti già concretamente raffrontabili con le pregresse investigazioni tradizionali.
Quanto sopra riferito è avvenuto nell'ambito dell'indagine denominata ORIONE ( vd. Supra n. 2.1), che costituisce un capolavoro investigativo, ove la ricerca della prova diretta e tecnica ha consentito di spingere le intercettazioni audio-video, sino ai momenti immediatamente precedenti e successivi a quelli in cui venivano commessi gli omicidi, e financo in un caso ad immortalare la scena di un delitto. Ciò ha consentito ai militari di impedire la commissione di fatti di sangue, intervenendo sempre ove possibile per interrompere l'azione delittuosa, e negli altri casi di stringere gli indagati alle proprie gravi responsabilità dopo avere immortalato nelle registrazioni i commenti a caldo effettuati dagli stessi sui crimini commessi qualche istante prima.
A dimostrazione del fatto che questa operatività non è data dal caso, ma è il frutto di una mentalità incline al dinamismo alla progettualità investigativa, sarà sufficiente riportare il quadro chiaro e sintetico delle attività in corso ad opera dei Carabinieri, così come riferito dal Colonnello Umberto Pinotti nella audizione del 8 Febbraio 2000: «Abbiamo concentrato il nostro determinato e vivace contrasto nei confronti del gruppo dei santapaoliani, alleati con i Laudani. Per quanto riguarda questi ultimi, l'operazione che faremo nei prossimi mesi sarà la sesta. Insistiamo sulla linea della decapitazione del clan. Dal marzo 1998 ai primi giorni del gennaio 1999, possiamo dire - e le acquisizioni giudiziarie ce lo confermano - che abbiamo operato
Pag. 78
quattro volte la decapitazione del clan Santapaola con i seguenti arresti: il rappresentante, Intelisano Giuseppe, arrestato nel marzo 1998 e collaboratore; Cannizzaro Sebastiano, arrestato nel giugno 1998; Vincenzo Santapaola, arrestato dopo tre mesi, sempre nel 1998; Santo Lacausa, arrestato all'inizio del 1999. Sono in sviluppo indagini sull'attuale reggenza.
Puntiamo pertanto all'indebolimento dei clan, con la decapitazione e con una continua operazione di contrasto, in maniera che manchino loro la linfa vitale, gli operai, i soldati, gli affiliati o per lo meno che abbiano difficoltà a reperirli. Tentiamo di minarne la ferrea struttura con i collaboratori di giustizia, costringendoli così ad operare sempre con maggiore compartimentazione, affinché gli uni non sappiano quello che fanno gli altri. Inoltre, d'accordo con l'autorità giudiziaria, quando abbiamo in corso delle indagini e dobbiamo eseguire dei provvedimenti restrittivi, privilegiamo la cattura dei liberi e rimandiamo la notifica agli arrestati, a quelli che sono già in carcere, soprattutto nei casi di coloro che siamo certi che vi rimarranno.
Veniamo al sostentamento di questi gruppi. Mi riferisco ai santapaoliani che - come è stato detto - rappresentano il gruppo più attivo.
Quanto alle estorsioni, sono in aumento - e ce ne compiacciamo - le denunce. È naturale quindi che aumentando le denunce aumentino le persone indagate e la fiducia nelle istituzioni.
Per quanto concerne il controllo dei mercati - stamattina si è accennato al controllo del mercato del pesce - recentemente abbiamo svolto un'operazione dalla quale è emerso che la mafia locale controlla tutta la linea produttiva del pescato del tonno, dal momento della pesca a quello della commercializzazione, con ramificazioni anche in Liguria.
Quanto al controllo degli appalti, noi siamo la forza di polizia che sostiene l'indagine del dottor Marino sulla vicenda «Garibaldi», di cui penso sia superfluo parlare.
In relazione al traffico di sostanze stupefacenti, devo sottolineare una sostanziale continuità nelle operazioni. Inoltre, rilevo che allorquando compiamo certi interventi, in forma di rastrellamenti o blitz, spesso i gruppi malavitosi inventano un affare, organizzano una partita di droga per cercare di reperire immediatamente quei 50-100 milioni che servono per riparare al danno subito ad opera dello Stato.
Per quanto concerne le operazioni in corso e quelle concluse, posso dire che abbiamo già quattro cantieri chiusi. Prevedibilmente nei prossimi mesi arresteremo circa 250 mafiosi liberi con operazioni nelle zone di Giarre, Paternò e a Catania. Si tratta di ordinanze, la cui richiesta è stata già inoltrata, che stanno per lasciare l'ufficio del PM per passare a quello del GIP.
Vi sono tanti cantieri in corso e tanti ne apriremo ancora con le risorse di cui disponiamo. Appena chiudiamo un'attività ci dirottiamo immediatamente su un'altra coordinando l'attività delle compagnie.
Mi piace ricordare che le compagnie, pur avendo nuclei operativi ridotti, con poche persone, riescono a contrastare la criminalità locale. Ieri la compagnia di Gravina di Catania ha catturato un latitante. Quindi, anche loro operano in questo senso e con grande soddisfazione.
Pag. 79
L'operazione di questa mattina è nata da un'esigenza precisa. Constatato che nelle operazioni di perquisizione e di cattura di latitanti incontravamo mille difficoltà a causa delle telecamere, che ovviamente riprendevano i nostri movimenti, in questo ultimo anno abbiamo avuto la pazienza di censire tali obiettivi. Pertanto abbiamo sottoposto a verifica circa una sessantina di abitazioni che esternamente ed internamente presentavano delle vere e proprie fortificazioni elettroniche. Abbiamo raccolto il materiale in un'informativa di reato e la procura distrettuale ha emesso i decreti che stamattina abbiamo notificato.
L'elemento importante, al di là della confisca che potrebbe anche non arrivare, è che con l'aiuto degli elettricisti abbiamo staccato dal muro queste fortificazioni elettroniche, le abbiamo fatte diventare nostre creando un danno per loro, ma soprattutto rendendo visibile alla gente, al rione, al quartiere che il predominio è dello Stato».
Le conseguenze di tale operatività delle forze di polizia nel loro complesso non hanno tardato a farsi sentire sotto il profilo del sensibile freno opposto al dilagare degli omicidi commessi in città, che risultano essere sensibilmente calati nell'ultimo anno a fronte dei circa cento morti ammazzati che hanno insanguinati le strade di Catania negli ultimi tempi.
Anche sul fronte di molti reati comuni si registra una sensibile diminuzione. I furti - ad esempio - sono diminuiti nei primi cinque mesi del 1997, rispetto allo stesso periodo dei 1996: da 9.000 a 7.500, con un decremento percentuale estremamente rilevante. È vero che tale tendenza era emersa già da qualche tempo essendo diminuiti i furti effettuati nel 1996 (ventimila), rispetto ai furti effettuati nel 1995 (ventunomila), però negli ultimi mesi la flessione di questo particolare tipo di reato risulta essere stata molto più marcata.
Anche in presenza di risultati lusinghieri continua tuttavia a sussistere il problema della carenza dei mezzi, di talché in alcune occasioni l'Arma è giunta all'assurdo di essere costretta ad utilizzare le autovetture delle stazioni vicine, con tutte le conseguenze negative che si sono prodotte a danno della tempestività e della razionalizzazione degli interventi.Tale considerazione diventa ancora più grave se solo si pensa che mentre i Carabinieri sono costretti a prestarsi le auto, la malavita opera e si muove con autovetture di grossa cilindrata, per di più molte volte blindate. Sarebbe a tal fine auspicabile un intervento legislativo per assoggettare al rilascio di una autorizzazione preventiva l'acquisto di auto blindate, allo scopo di agevolare aiutare l'azione di polizia preventiva contro la criminalità.
Sul territorio provinciale vi sono 64 stazioni di Carabinieri operanti con il metodo delle fasce orarie differenti. La prima fascia oraria va dalle 8,30 alle 12,30 e comprende il pomeriggio; la seconda va dalle 8 alle 21; la terza, infine, va dalle 8 alle 24. Le fasce orarie hanno lo scopo di evitare l'utilizzo improduttivo di unità delle forze dell'ordine.
Particolare ruolo nell'ambito delle forze dell'ordine viene svolto dalla Guardia di finanza. Per essa si pone, ancor di più, la necessità di una dotazione moderna di strumenti e mezzi adeguati per combattere il fenomeno criminale.
Di fronte a malavitosi in possesso di strumentazioni assai sofisticate, la Guardia di finanza si scontra con le ristrettezze di sempre: ad
Pag. 80
esempio, sono poche le postazioni, di cui ha la disponibilità, atte ad intercettare i telefonini cellulari GSM.
Ed ancora, sono molti i militari originari del luogo ove prestano servizio, ovvero che ivi coltivino personali interessi, con il che riemerge il problema dei condizionamenti ambientali e dei pericoli di corruzione. Altri militari sono invece residenti in altre zone della provincia distanti dal capoluogo e sono costretti a percorrere ogni giorno normalmente cento o centocinquanta chilometri per raggiungere il luogo di lavoro, registrando in tal modo un deficit di efficienza e di lucidità nell'esercizio dai propri compiti istituzionali, che non possono essere certo paragonati a quelli del semplice impiegato di ufficio pubblico.
TABELLA RELATIVA AGLI ARRESTI OPERATI DALLE TRE FORZE DI POLIZIA NELLA PROVINCIA DI CATANIA A PARTIRE DAL 1990
ANNO |
POLIZIA |
CARABINIERI |
G. di F. |
TOTALE |
1991 | 1891 | 1023 | 121 | 3035 |
1992 | 1204 | 1080 | 120 | 2404 |
1993 | 1323 | 1259 | 146 | 2728 |
1994 | 1230 | 1443 | 129 | 2802 |
1995 | 1390 | 1424 | 95 | 2909 |
1996 | 1459 | 1695 | 90 | 3244 |
1997 | 1421 | 1992 | 76 | 3489 |
1998 | 1495 | 2390 | 97 | 3982 |
1999 | 1290 | 2361 | 109 | 3760 |
È rilevabile pure, e questo vale per tutte le forze dell'ordine, come sia incongruente, e mortificante dell'impegno di tutti gli operatori di polizia, la impossibilità di accedere al lavoro straordinario. Ciò diventa palesemente incomprensibile se si consideri che l'Amministrazione competente impegna cifre rilevantissime per lo spostamento o l'accompagnamento di collaboratori di giustizia, ovvero per la esecuzione di intercettazioni telefoniche.
Se a tutto ciò si aggiunge la richiesta, su un organico che abbiamo visto essere non adeguato, di almeno cento pensionamenti, è evidente che la riorganizzazione delle forze dell'ordine a Catania diventa un indispensabile e primario elemento dì riflessione.
Conclusivamente, sul piano operativo, va rilevato che le forze di polizia a Catania hanno operato con uno standard di professionalità ragguardevole, che può essere definito eccezionale con riferimento ai risultati ottenuti dall'Arma dei Carabinieri, i quali con un organico complessivamente modesto hanno ottenuto negli ultimi anni risultati superiori a quelli riuniti delle altre forze di polizia, e nel 1999 pari quasi al doppio.
A prescindere dalla adeguata azione di contrasto al fenomeno criminale, dimostrata dai risultati, si devono comunque rilevare alcune anomalie.
Le forze dell'ordine operanti sul territorio sono prevalentemente di estrazione locale - o catanesi o della provincia -, anche se ciò è
Pag. 81
vero in misura inferiore per l'Arma dei Carabinieri, i cui regolamenti garantiscono che almeno per un congruo iniziale periodo di tempo i militari non possano prestare servizio nei luoghi di origine.
La rotazione di incarichi e di responsabilità avviene molto raramente, e quando ciò accade essa è determinata non da una programmazione dei vertici ma da una richiesta dei singoli o da casi di evidente e assoluta incompatibilità.
Non possono sfuggire le conseguenze negative derivanti da tale situazione.
È forte il rischio di condizionamenti «naturali» e spesso financo inconsapevoli, che derivano non tanto dalla volontà specifica dell'appartenente alle forze dell'ordine, quanto da peculiari situazioni ambientali. Né costituisce un argomento tranquillizzante il numero di addetti alle forze dell'ordine coinvolto in inchieste giudiziarie, che, nel caso della Polizia di Stato, oggi forte di un organico pari a circa 1.200 unità, è pari al 5 per cento. Ed ancor meno serve come giustificazione o come circostanza attenuante il fatto che tali inchieste, nella stragrande maggioranza del casi, siano relative a questioni private.
La illegalità rappresenta il substrato ed il retroterra delle cosche criminali; pertanto non è accettabile il principio che sia pur minime deviazioni nei corpi istituzionali dello Stato possano essere giudicate con lo strumento di misura utilizzato nel giudicare la criminalità, comune o organizzata che sia.
Pur avendo riscontrato notevoli miglioramenti nel corso degli ultimi anni, il percorso da compiere sulla strada della moralizzazione non è ultimato, e non bisogna dimenticare i precedenti poco edificanti verificatisi negli anni precedenti, che rivelarono inquietanti collegamenti tra esponenti delle forze dell'ordine e la criminalità organizzata.
1.3 L'apparato giudiziario.
A proposito della condizione complessiva della giustizia l'opinione del dottor Gabriele Alicata, Presidente della Corte d'appello di Catania, nella audizione del 27 giugno è stata la seguente: «La situazione della giustizia a Catania e nel distretto non sembra avere subito modifiche rispetto a quella descritta dalla Commissione parlamentare antimafia del 1990».
Le audizioni dei magistrati hanno messo in luce l'esiguità degli organici del personale giudiziario, - ed in molti casi anche della magistratura giudicante, sia civile che penale - che rende estremamente problematica la celebrazione di processi. Tale rischio risulta aumentato dopo l'entrata in vigore delle nuove norme sui termini massimi di custodia cautelare di cui alla legge 332 del 1995 ed a seguito della condizione di incompatibilità determinata dalle sentenze della Corte costituzionale (la n. 371 ed altre del 1996) per gli organi giudicanti nell'ambito del procedimento penale. Diventa sempre più difficile, infatti, la formazione dei collegi, visto che quasi tutti i giudici hanno già avuto modo di pronunciarsi sulla gran parte degli imputati, o comunque di adottare provvedimenti interlocutori che presumevano una valutazione degli elementi di prova.
Pag. 82
Tale situazione contribuisce a rafforzare, nei cittadini e nelle parti offese dei reati, la convinzione diffusa della possibilità di ottenere una sostanziale impunità da parte della criminalità organizzata, producendo un indiretto e involontario sostegno al potere di intimidazione delle organizzazioni criminali, ed un senso di frustrazione negli appartenenti alle forze dell'ordine che vedono vanificati gli effetti della loro attività.
La Corte di appello ha operato adeguatamente nell'ambito delle misure di prevenzione sia personale che patrimoniale. Nel corso del 1996 sono state assegnate alla IV Sezione penale 485 misure di prevenzione.
Di fronte a tale mole di attività emerge la mancanza di ben 5 Presidenti di Sezione su 8 e di 3 consiglieri su 33. Tali carenze sottolineano ancor di più il giudizio positivo sull'amministrazione della giustizia: in termini percentuali infatti la mancata copertura negli organici è stata individuata nella misura dei 19 per cento, e dunque in misura enormemente superiore rispetto alla media nazionale che è del 13 per cento. Così come registrato in molte altre sedi giudiziarie d'Italia, grande speranza è riposta nel rapido espletamento dei concorsi in fase di svolgimento per l'assunzione di nuovo personale, poiché l'assegnazione dei nuovi uditori giudiziari potrebbe determinare una accelerazione rispetto alla definizione di numerosi procedimenti, pur dovendosi affrontare dei «costi» sotto il profilo della limitata esperienza e professionalità del personale di magistratura al suo primo incarico.
Va però rilevato quanto sia indifferibile, anche in Sicilia, una razionalizzazione degli uffici giudiziari e delle circoscrizioni che comporti una redistribuzione della forza lavoro commisurata alla qualità ed alla quantità degli affari processuali trattati.
Tale esigenza emergeva già nelle audizioni svolte nel 1997, in rapporto alla necessità di svolgere speditamente alcuni maxiprocessi, nei quali gli uffici penali di Catania erano all'epoca impegnati come quelli denominati: «Orsa Maggiore », «Cintorino + 36», «Asero + 42», «Ferone ed altri», processo balzato agli onori della cronaca per il delitto di cui è rimasta vittima la moglie di Nitto Santapaola, «Monteleone + 36» e «Aparo+ 58» in fase di svolgimento a Siracusa, ma trattato dalla DDA di Catania. Gli impegni giudiziari, nel corso dei tre anni successivi, si sono poi moltiplicati sino a comprendere, tra l'altro, il dibattimento denominato »Orione« , nel quale sono imputati numerosi esponenti di grosso calibro della famiglia catanese dell'organizzazione cosa nostra.
Di fronte a tale mole di improbo lavoro svolto emerge altresì l'ormai indilazionabile necessità della massima razionalizzazione ed ottimizzazione degli sforzi, al fine di rendere agevole il più possibile la celebrazione dei dibattimenti, - anche quando siano imputati soggetti che devono assistere a più impegni processuali, - ed al tempo stesso di onerare al minimo l'erario con spese legate alle traduzioni.
È stato pertanto corale il giudizio sulla necessità, anche per i predetti motivi di ordine economico, di ricorrere allo strumento della videoconferenza, uso che deve essere collegato con l'apprestamento di opportune garanzie di tutela delle dichiarazioni rese.
Pag. 83
La audizione del Procuratore Generale dottor Scalzo - avvenuta quando lo stesso rivestiva il ruolo di Presidente f.f. della Corte d'appello - ha in particolare fatto emergere le problematiche connesse all'ampiezza del territorio interessato dal fenomeno della criminalità organizzata e la varietà delle cosche esistenti. Di fronte a tale situazione l'amministrazione della giustizia ha utilizzato attivamente tutti gli strumenti previsti dalle normative vigenti. Ivi compreso il ricorso al patteggiamento che è stato favorito nei casi meno eclatanti e comunque con personaggi che risultavano essere di minore caratura nel panorama del crimine organizzato. Tale eccessivo ricorso al patteggiamento - insieme ad altri strumenti di tipo defatigante, che nuocciono alla effettività delle sanzioni penali irrogate dai Tribunali - hanno posto molti soggetti, una volta ottenuta la libertà, nella condizione di rientrare rapidamente nei ranghi della organizzazione criminale, perpetuando il proprio contributo alla cosa nostra, ed assumendo all'interno della stessa un ruolo diverso e più rilevante, spesso commisurato anche al periodo di detenzione trascorso.
Anche se non vi è nessuna preclusione normativa al riguardo, è da ritenersi perciò prudente che gli strumenti per ottenere effetti di economia processuale - quale per l'appunto l'accordo sulla pena in primo grado ed in appello - vengano usati con grande parsimonia in presenza di imputazioni e condanne di associazione per delinquere di tipo mafioso. Giacchè sulla espiazione della pena concretamente irrogata, e diminuita con il patteggiamento, vengono poi ad incidere altre riduzioni, - quale quella prevista dall'istituto della liberazione condizionale - con l'effetto di svuotare di contenuto la sanzione penale e nuocere sulle sue asserite finalità di prevenzione speciale e generale.
L'Ufficio della Procura della repubblica di Catania ha avuto un consistente incremento di organico negli ultimi anni passando dalle quindici unità del 1990 alle ventotto del 1999, divenute poi quarantacinque con l'unificazione degli Uffici requirenti a seguito della entrata in vigore della nuova legge istitutiva del giudice unico.
Rispetto agli anni settanta ed ottanta - periodo in cui, come si è visto, ebbe a determinarsi la recrudescenza del fenomeno criminale mafioso - l'ufficio ha visto moltiplicarsi non solo il numero dei magistrati addetti, ma anche la quantità e la qualità del lavoro svolto. Il carico medio degli affari penali negli ultimi anni è stato pari a circa ottomila notizie di reato registrate nel Registro Noti dell'ufficio requirente presso il Tribunale e di quasi trentamila notizie contro noti iscritte nella procura presso la Pretura.
A seguito della istituzione delle Direzioni Distrettuali Antimafia - avvenuta con decreto-legge 20.11.1991 n. 367 - l'ufficio ha determinato la propria riorganizzazione interna, destinando alla neocostituita DDA cinque sostituti procuratori dei quindici allora in servizio, adesso divenuti complessivamente nove, a seguito dell'aumento fino a ventotto della pianta organica dell'ufficio. Tale aumento di quasi il doppio del numero dei magistrati è stato giustificato dal fatto che la già enorme mole di lavoro legata al perseguimento dei reati commessi nella provincia di Catania, è stata ulteriormente aggravata dalla competenza in ambito distrettuale per i reati di mafia previsti nell'articolo 51 comma 3 bis c.p.p. e commessi nei circondari di Siracusa, Ragusa, Modica e Caltagirone.
Pag. 84
Nel periodo intercorrente tra il 1o.7.1997 ed il 12.12.1999, su richiesta della procura della repubblica di Catania sono state emesse dal GIP in sede, ed eseguite, ben 2695 ordinanze di custodia cautelare, e di queste 1194 erano relative al delitto di associazione mafiosa, ovvero a reati commessi in ambito mafioso.
Gli esiti di alcuni procedimenti tuttavia, - specie quelli aventi ad oggetto imputati c.d. «eccellenti», esponenti dell'imprenditoria, responsabili di società straniere - benchè apparisse enorme la mole degli elementi probatori raccolti dal P.M.e grave la condotta contestata, in sede giudiziaria non sono apparsi conformi alle aspettative, venendo a concludersi con proscioglimenti alla udienza preliminare, dopo che lo stesso GIP in pronunce interlocutorie ne aveva affermato la fondatezza e senza che nessun nuovo elemento probatorio fosse intervenuto nella ricostruzione del fatto. Si perpetuava così nei cittadini un atteggiamento di sfiducia circa l'effettiva parità di trattamento di tutti i soggetti davanti alla legge, poiché la funzione di filtro dell'udienza preliminare negata spesso per fattispecie semplici a carico di comuni cittadini, veniva riservata viceversa a procedimenti complessi che vedevano imputati personaggi eccellenti.
Sotto l'aspetto della consistenza degli organici va rilevato che, a fronte di un adeguato numero di magistrati, il personale impiegato nei servizi ausiliari appare del tutto insufficiente alle esigenze del servizio. I circa cento impiegati della procura presso il Tribunale sono infatti costretti ad attendere a numerose e complesse mansioni tra i quali: la registrazione delle notizie di reato sui registri cartacei e nel sistema informatico; la formazione del fascicolo del pubblico ministero e l'assistenza alla formazione degli atti processuali; la tenuta dei registri e dell'archivio delle intercettazioni telefoniche; la esecuzione dei titoli di custodia definitivi; gli adempimenti di cancelleria per le competenze in materia di diritto civile.
Una notazione a parte merita il problema degli autisti, presenti in organico nel numero di diciotto, e dunque in misura assolutamente inadeguata a soddisfare le esigenze di un ufficio nel quale occorre predisporre i turni di guida per ben quattordici magistrati che sono sottoposti a misure di sicurezza e viaggiano su autovetture blindate in dotazione all'ufficio.
Pag. 85
Benchè disponga di minori mezzi e di un numero di gran lunga inferiore di magistrati rispetto ad altre sedi giudiziarie la Procura della Repubblica di Catania ha fornito una risposta al bisogno di legalità presente sul territorio. Con un organico adeguato, ma ben al di sotto di quello presente nel capoluogo palermitano, ha dovuto fronteggiare una criminalità di portata non inferiore ed affrontare un carico di lavoro pari ad oltre settemila notizie di reato annue analogo a quello della Procura di Palermo.
Inoltre, va rilevato come appaia ben meno consistente il dato dei procedimenti pendenti contro ignoti, segno questo che i colpevoli di reato sono stati spesso identificati ed assicurati alla Giustizia, nel quadro di una attività volta alla concreta repressione del crimine, che ha consentito di ottenere una brusca frenata nella commissione dei più gravi delitti. Si è passati così in breve tempo da una media di circa cento morti ammazzati all'anno a circa trenta delitti. Spinta prevalentemente dall'energia dei giovani sostituti la Procura distrettuale di Catania ha svolto un lavoro serio, continuo ed efficace, ancorando le investigazioni a saldi elementi di prova, senza spreco di mezzi nella ricerca di complessi teoremi processuali, ma al pari senza disdegnare l'approfondimento dei più delicati intrecci tra mafia, imprenditoria e poteri istituzionali.
In condizioni ben più precarie rispetto a quelle della procura della Repubblica versa l'ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, costituito in apposita sezione del Tribunale (29).
Il suo presidente, - in più circostanze e con prese di posizione ufficiali - ha manifestato «il più vivo allarme per la rilevante attività di competenza del G.I.P. che va ben oltre il concetto ed i limiti di un lavoro ordinari, esauribile con l'attuale dotazione organica e di personale e nelle normali ore di Ufficio, chiaramente insufficienti per tale onerosa attività».
Pag. 86
Ma i richiami e gli avvertimenti provenienti dalla sezione del G.I.P. di Catania sono rimasti pressoché inascoltati, sia dagli organi centrali dello Stato, competenti all'ampliamento delle piante organiche ed alla copertura dei posti dei magistrati e del personale giudiziario, sia dagli organi decentrati.
In effetti la normativa introdotta dal decreto-legge n.367 del 20.11.1991, - che ha istituito le Direzioni Distrettuali Antimafia e la Direzione Nazionale Antimafia, - ha previsto che le funzioni di GIP per i reati di mafia si concentrassero sull'Ufficio ricadente nel capoluogo del distretto di corte di appello, per tutti i reati di mafia perseguibili all'interno del territorio di ciascuna Corte. E ciò affinché ciascuna DDA, competente per tutti i reati di mafia commessi nel distretto, avesse quale suo interlocutore il proprio GIP in sede.
Orbene, tale nuovo assetto di competenze non ha prodotto grandi cambiamenti per quei distretti ricadenti nelle zone tradizionalmente non attinte dal fenomeno mafioso, né in quei distretti nei quali venivano ricompresi pochi circondari, oltre quello del Tribunale capoluogo di provincia . Infatti, nel primo caso, la quantità di affari penali sopravvenuti, riguardanti i reati di mafia, è risultato così esiguo da non comportare alcun consistente aggravio di competenze; mentre nel secondo, la coincidenza pressoché totale dei confini della Corte con quelli del Tribunale capoluogo ha lasciato inalterati i carichi di lavoro relativi ai procedimenti per mafia.
Nel caso di Catania invece il GIP presso il Tribunale sede della Corte di appello - parallelamente alla locale D.D.A., ma senza l'eccezionale incremento di organico e di personale riservato a quest'ultima - ha aggiunto alla competenza generale per i reati commessi sul territorio del tribunale del capoluogo, anche quella relative ai reati previsti dall'articolo 51 comma 3-bis c.p.p., consumati nei circondari di Siracusa, Ragusa, Modica e Caltagirone. Ha pertanto visto moltiplicato il territorio di sua competenza, annettendo zone nelle quali il fenomeno mafioso risulta profondamente radicato e molteplici sono le manifestazioni criminose ad esso riconducibili.
Tale esigenza di adeguamento delle strutture del GIP a quelle della neo-costituita DDA erano state fatte presenti dal CSM in sede di parere espresso sulla legge istitutiva della Direzione Nazionale Antimafia, ma nessun provvedimento concreto ed adeguato è stato in tal senso adottato.
Infatti a Catania, come precisa il Presidente della sezione, i giudici per le indagini preliminari sono rimasti in numero di otto, a fronte di circa quarantacinque sostituti procuratori in pianta organica nella nuova procura unificata. Ed ancora si attende la assegnazione di un nono giudice da parte del presidente del Tribunale.
Il personale giudiziario presente nella sezione del GIP è pari a ventidue unità - pari a circa un decimo del personale addetto, dopo la unificazione, alla Procura della repubblica, la quale può anche disporre direttamente delle sezioni interforze della polizia giudiziaria - e risulta del tutto inadeguato rispetto alla quantità ed alla delicatezza dei compiti cui deve attendere.
L'attività dei dipendenti si svolge pertanto senza risparmio di forze nell'ambito dell'ufficio esecuzione, dell'ufficio di consultazione e deposito degli atti giudiziari, dei servizi statistico ed informatico, dell'assistenza
Pag. 87
alle udienze preliminari giornaliere, dell'assistenza ai magistrati nella redazione degli atti, nell'espletamento dei turni di convalida per gli arrestati ed i fermati. In definitiva, per ogni fascicolo di procedimento penale aperto in Procura, si avrà un corrispondente fascicolo GIP, con oneri di cancelleria da espletare. Ben si comprende, pertanto, la ragione per la quale a volte si determino strettoie ed imbuti nella macchina del processo penale, dal momento che la mole di lavoro delle procure, sostenuta da una copiosa quantità di personale e mezzi, deve essere smaltita e filtrata da un ufficio privo di strumenti idonei.
A questa situazione va aggiunta la inopportuna previsione di un tetto per il lavoro straordinario che è pari ad appena 100 ore mensili per i procedimenti penali di speciale rilevanza ex articolo 11 decreto-legge n. 329/1987, e risulta del tutto inadeguato per fronteggiare le imprevedibili esigenze di lavoro, connesse con le attività e l'impiego di personale richiesto per la celebrazione di delicati processi.
TABELLA RELATIVA AI PROCEDIMENTI PENALI TRATTATI DALL'UFFICIO GIP DI CATANIA DALL'ENTRATA IN VIGORE DEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE (OTTOBRE 1989) AD OGGI
ANNI |
1989 |
1990 |
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Numero Totale
procedimenti contro noti
| 642 | 7125 | 6272 | 6690 | 7114 | 8095 | 6457 | 8041 | 6673 | 6812 | 5594 |
Definiti con
Sentenza di
non luogo a
procedere
| 0 | 134 | 170 | 117 | 218 | 594 | 343 | 302 | 199 | 326 | 269 |
Definiti con
giudizio
abbreviato
| 1 | 45 | 129 | 116 | 111 | 70 | 80 | 61 | 104 | 119 | 122 |
Definiti con
applicazione
pena
| 2 | 76 | 127 | 87 | 184 | 175 | 169 | 184 | 224 | 215 | 205 |
Definiti con
Decreto penale
di condanna
| 8 | 121 | 63 | 5 | 14 | 69 | 40 | 33 | 32 | 60 | 45 |
Va poi considerato che dal 1.7.1996 al 12.12.1999 sono state emesse ordinanze di custodia cautelare che hanno raggiunto 2695 indagati, - e di queste 1194 per reati di mafia previsti dall'articolo 51 comma 3-bis c.p.p., - le quali vengono normalmente eseguite contemporaneamente, per blocchi consistenti di indagati, dando luogo ad altrettante operazioni di polizia. Orbene, in tali situazioni è necessario procedere da parte del G.I.P. all'interrogatorio degli indagati entro il termine di legge, che è di cinque giorni, e ciò comporta conseguentemente
Pag. 88
l'obbligo che il personale di cancelleria si trattenga in Ufficio ben oltre l'orario di lavoro, e ciò indipendentemente dai tetti di straordinario prefissati. Se questa è la condizione dell'Ufficio GIP di Catania, non può che condividersi l'allarme lanciato dal presidente della sezione, secondo il quale sussiste il pericolo concreto di scarcerazioni per perenzione degli arresti - dovuta al mancato compimento dell'interrogatorio del detenuto entro cinque giorni dall'arresto - con grave danno per le esigenze di tutela della collettività.
Sotto il profilo della funzionalità complessiva dell'Ufficio GIP, con riferimento alla funzione di filtro dell'udienza preliminare rispetto alla necessità di deflazione dei carichi del processo penale, può ben dirsi che anche a Catania, come in molte altre parti d'Italia, l'udienza preliminare abbia costituito un aggravio - anziché uno sfoltimento - delle lungaggini del processo. La previsione del Legislatore, all'atto dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, - secondo la quale soltanto un decimo dei processi avrebbe dovuto approdare al dibattimento, mentre nove decimi si sarebbero dovuti esaurire nella udienza filtro, grazie anche al ricorso ai riti alternativi - nell'esperienza giudiziaria catanese, si è avverata in termini capovolti: soltanto il dieci per cento circa delle regiudicande trova la sua conclusione nella fase dell'udienza preliminare, mentre il novanta per cento va ad affollare le aule dei dibattimenti in Tribunale.
Pag. 89
1.4 Collaboratori di giustizia
Il numero dei collaboratori di giustizia, a tutto febbraio 1997, risultava essere pari a 215 persone. A questi vanno aggiunti i familiari prossimi, con tutti i problemi derivanti dalla presenza di bambini e di adolescenti. L'opinione dei magistrati della direzione Distrettuale Antimafia è che il numero dei collaboranti benchè sia certamente elevato se considerato in assoluto, non lo è poi in effetti se lo si confronta al numero degli indagati per indagati di mafia che ammonta alla ponderosa cifra di 10.000 unità. Va inoltre ricordato che la Procura distrettuale di Catania ha giurisdizione anche sulle province di Siracusa e Ragusa e sul territorio dei tribunali di Modica e Caltagirone, ove il fenomeno criminale è presente in modo massiccio e si sono registrati casi frequenti di collaborazione con la Giustizia che contribuiscono a formare il numero complessivo di collaboratori impiegati dall'ufficio giudiziario etneo.
La necessità di mantenere a Catania molti collaboratori di Giustizia titolari di speciale programma dipende poi dal fatto che, mancando di fatto una unitarietà del vertice criminale, moltissimi sono i clan e le bande criminali e le bande che si fronteggiano sul territorio, ragione per la quale in assenza di un numero adeguato di collaborazioni, risulta estremamente difficile orientarsi nei tantissimi meandri della criminalità comune ed organizzata etnea, ed ancor più difficile riesce imbastire processi penali che abbiano la funzione di costituire deterrente al dilagare del crimine.
Talune difficoltà sono state segnalate in relazione a recenti limitazioni e restrizioni nell'ammissibilità ai programmi di protezione e nel mantenimento degli stessi, che non di rado vengono revocati a collaboratori che sono ritenuti potenzialmente molto utili.
Su questo punto i magistrati catanesi hanno espresso l'opinione che la valutazione dell'importanza del collaboratore debba essere demandata al magistrato e non alla Commissione centrale di protezione. Tutto ciò, in linea di principio può essere ritenuto accettabile, crea però indubbie difficoltà di natura applicativa, e mal si concilia con il sistema di ripartire tra organi giudiziari ed organi appartenenti all'Esecutivo la responsabilità in ordine alle scelte connesse alla gestione dei collaboranti.
Infatti la suddivisione delle competenze tra Procura, Commissione centrale di protezione e Servizio centrale di protezione, dovrebbe garantire una più adeguata oggettività della valutazione. Esigenza che peraltro diviene sempre più importante nello stesso momento in cui è in corso una profonda riconsiderazione del problema dei collaboratori di giustizia, tema che interessa in queste settimane il paese e che è al centro dell'attività del Parlamento.
La magistratura etnea è nel contempo perfettamente consapevole del fatto che è necessario introdurre adeguate restrizioni in materia anche perché «spesso l'opinione pubblica è colpita dal fatto che a un certo collaborante possano affluire somme di denaro rilevanti».
Anche se nel contempo non può fare a meno di ritenere che «se la Commissione svolgesse una indagine per scoprire quanto costa, ad esempio, il trasporto di Santapaola in elicottero dalla Sardegna a
Pag. 90
Reggio Calabria e poi a Catania, vedrebbe che in un sol giorno si spende più di quanto si possa dare ad un collaboratore».
A tal proposito è emersa da parte della magistratura il giudizio che è opportuna una più adeguata razionalizzazione complessiva della spesa pubblica investita in attività investigative allo scopo di evitare che da un lato si spendano, come è avvenuto a Catania, tre miliardi negli ultimi anni per intercettazioni telefoniche, mentre dall'altro venga impedito sulla base di restrizioni ministeriali che un assistente giudiziario possa effettuare lavoro straordinario anche quando ciò risulti essere non solo utile ma indispensabile per la esecuzione dell'attività procedimentale.
L'atteggiamento complessivo dell'Ufficio giudiziario catanese nei confronti del fenomeno della collaborazione è apparso responsabilmente improntato alla indispensabile strumentalità rispetto alle esigenze dell'azione di contrasto nei confronti della criminalità organizzata. I giudizi e le considerazioni espresse in sede di sopralluogo non sono sembrati provenire da una particolare attenzione benevola, sia pure di natura culturale, al mondo dei collaboratori di giustizia, ma dalla preoccupazione che il mancato rinnovo di taluni programmi potesse oggettivamente compromettere l'esito di alcuni procedimenti in corso di svolgimento. Addirittura la diffidenza verso tale mondo e verso la gran parte dei singoli, emerge nel momento in cui la magistratura si dichiara consapevole del fatto che non vi è traccia di pentimenti spontanei poiché tutti i cosiddetti collaboratori di giustizia divengono tali solo dopo la cattura e l'arresto.
In effetti la procura etnea - che ha fatto un uso intenso e il più delle volte proficuo dei collaboranti - ha assistito anche a talune delle più gravi disfunzioni del «sistema dei collaboratori». Fra tutte la più grave risulta essere stata quella relativa ai delitti organizzati e commessi da Vincenzo Ferone. Dopo essersi conquistato con abilità il ruolo di collaborante affidabile, assumendosi la responsabilità per la commissione di fatti anche gravi, questi otteneva la libertà e metteva a punto un piano a lungo meditato. Essendosi circondato di un gruppetto di accoliti con cui aveva mantenuto i contatti anche dopo il periodo della collaborazione e sfruttando i benefici che lo stato gli aveva concesso, il Ferone organizzò una cosca, la armò e mise in essere due gravissimi fatti di sangue: la uccisione della moglie del boss Nitto Santapaola e della figlia del boss Antonino Puglisi. Realizzando questi delitti egli ebbe a conseguire un duplice scopo: ottenere una vendetta nei confronti di chi lo aveva colpito negli affetti più cari provocando l'uccisione, in due distinti agguati, del proprio padre e del proprio figlio; creare lo scompiglio all'interno della criminalità catanese, realizzando un delitto del quale sarebbe risultato impossibile da parte della criminalità scoprirne la matrice dal momento che chi lo aveva commesso non poteva essere sospettato, poiché si sarebbe dovuto trovare lontano da Catania e protetto dal circuito della protezione. Il Ferone, che conosceva il modo di operare della criminalità catanese, sapeva infatti che in questi casi i gruppi criminali si sarebbero mossi sulla base di semplici sospetti, ed avrebbero scatenato alla prima occasione una guerra senza precedenti, vista la gravità dei fatti che erano stati commessi. Non è da escludersi pertanto che egli avesse in mente di approfittarsi di questa guerra che avrebbe indebolito la
Pag. 91
leadership della famiglia Ercolano-Santapaola per spingersi fino a poter assumere il controllo delle attività criminali.
La vicenda Ferone riassume in sé una concentrazione di errori ed inefficienze del sistema: la eccessiva rapidità con cui veniva concessa la libertà ad un soggetto che si era comunque macchiato di crimini efferati; le inefficienze strutturali del sistema della protezione; la mancata verifica della presenza del collaborante nella località protetta; la sottovalutazione complessiva della capacità dei criminali di riorganizzarsi, simulando propositi di collaborazione e sfruttando ogni beneficio loro concesso. Va però dato atto che le indagini nei confronti di Ferone sono state compiute con completezza e rigore, benchè si trattasse di dovere perseguire un soggetto al quale era stata concessa una linea di credito da parte dell'ufficio della procura della repubblica.
Si impone pertanto la necessità di assumere le iniziative utili ad impedire il più possibile che i collaboratori di Giustizia circolino sul territorio nazionale, determinando situazioni di pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, impegnando le scorte armate delle forze dell'ordine, ed onerando l'erario dei relativi costi di vitto alloggio e trasporto.
L'anomalia dei collaboratori girovaganti per la penisola che ha rappresentato e continua a rappresentare una grande ragione di preoccupazione della magistratura impone una scelta di fondo per evitare questi sempre più frequenti casi di «turismo giudiziario». Il naturale correttivo a questa situazione può essere rinvenuto nel sistema della videoconferenza, accompagnata dall'adozione di tutti quei meccanismi di controllo che eliminano alla radice eventuali anomalie.
Sarà certamente interessante nel prossimo futuro verificare quanto le normative restrittive che ci si appresta a varare siano in grado di determinare una effettiva riduzione della quantità dei collaboratori di giustizia, ma non anche della loro qualità, da misurarsi in relazione alla gravità dei fatti dagli stessi riferiti ed alla loro attendibilità.
Sul fronte del più incisivo e corretto utilizzo dello strumento della collaborazione, risulta sempre più indispensabile rivolgere le conoscenze acquisite grazie ai collaboratori verso la scoperta e l'acquisizione alla mano pubblica dei patrimoni accumulati dagli uomini di cosa nostra e delle altre organizzazioni criminali.
Tuttavia i dati statistici relativi al valore beni effettivamente confiscati alla criminalità organizzata risultano ancora esigui rispetto al fatturato complessivo degli affari illeciti venuti alla luce grazie alle inchieste giudiziarie. La causa di ciò va ricercata nella mancanza di un momento forte di collegamento tra gli organi che hanno il potere di iniziativa in materia di sequestro di beni, ed in particolare dal mancato conferimento di tale apposita funzione alle Direzioni Distrettuali Antimafia, e di un ruolo più diretto e di coordinamento in capo alla Direzione Nazionale Antimafia. La internazionalizzazione dei fenomeni criminali ha fatto sì che si siano determinati interessi economici e conseguenti investimenti delle organizzazioni in zone nelle quali tradizionalmente non si è registrata la presenza mafiosa ed in alcuni casi anche all'estero, grazie a prestanomi residenti in tali luoghi. La rigorosa competenza territoriale prevista per la emissione delle
Pag. 92
misure di prevenzione di fatto dunque impedisce che l'ufficio giudiziario procedente che abbia ottenuto dai collaboranti indicazioni circa l'esistenza di tali beni e la loro riferibilità a prestanome residente in altro territorio, possa direttamente agire con la misura di prevenzione.
La competenza sulle indagini di mafia e sulle conseguenti misure di prevenzione subisce dunque una inaccettabile divaricazione, che influisce in misura notevole anche sulla incidenza degli strumenti di prevenzione nella ricerca dei beni di provenienza delittuosa.
Il recente fallimento della proposta di legge volta a «deterritorializzare» i poteri di intervento in materia di sequestro dei beni, - attribuendo una specifica competenza alla Direzione Distrettuale Antimafia procedente per le indagini sulle attività criminose ed un immediato ruolo di coordinamento alla Direzione Nazionale Antimafia -, ha fatto sì che non si conseguisse l'effetto di concentrare queste iniziative presso un organo capace di riassumere tutte le conoscenze circa gli apporti dei collaboratori di giustizia e di ricostruire la mappa completa dei patrimoni nella titolarità di cosa nostra.
1.5 Le associazioni antiracket
Nel corso del sopralluogo a Catania sono stati ascoltati i responsabili di varie associazioni antiracket. La Commissione ha voluto in tal modo avere un quadro di lettura più completo del fenomeno, che faccia proprie anche prospettive assunte da un angolo di visuale diverso da quello proprio della magistratura e delle forze dell'ordine.
Nel corso dell'audizione è emersa soprattutto la preoccupazione delle associazioni per l'instaurarsi di un rapporto tra aziende taglieggiate e aziende che di fatto vengono inglobate negli organismi mafiosi. È emerso che, statisticamente, su dieci aziende taglieggiate o sottoposte ad usura quattro passano nelle mani della mafia. Ciò vuol dire che sul territorio si determina il rischio che il 40 per cento delle aziende tradizionali di origine legale si trasformino in aziende illegali, o comunque controllate dalla criminalità.
Il ruolo svolto delle associazioni tende soprattutto a raggiungere l'obiettivo di una maggiore sensibilità rispetto alla necessità di combattere il fenomeno con un atteggiamento di denuncia collettiva; una esigenza che si pone sempre più come una necessità poiché appare assai impressionante il dato relativo al numero delle denunce presentate.
Su 66.000 imprese operanti nell'intera provincia e suddivise su un totale di 56 comuni, si è in presenza di sole 135 denunce di estorsione all'anno e dì 16 denunce per usura.
Il numero delle denunce per estorsione è tuttavia cresciuto negli ultimi anni grazie all'impegno delle forze dell'ordine, che hanno assicurato alla Giustizia gli estortori in tutti i casi in cui sono stati riferiti particolari idonei a consentirne la identificazione.
A queste denunce spontanee vanno poi aggiunte quelle confermative delle precedenti dichiarazioni di collaboratori di Giustizia. Attraverso tale metodo si è riusciti a fare breccia nel radicato sistema delle estorsioni, ed a tracciare un quadro ampio e completo della incidenza del racket sulla economia legale. Va tuttavia rilevato che una
Pag. 93
larga fetta di commercianti sottoposti ad estorsione, benchè agevolati dalle indicazioni fornite dai collaboratori di Giustizia, si sono ostinati a negare di aver mai pagato il pizzo, pur in presenza di altri elementi dai quali era evidente desumere che essi erano vittime del racket: quali ad esempio precedenti attentati che avevano distrutto l'attività commerciale, ovvero il nome dell'azienda rilevato sul libro-mastro delle estorsioni rinvenuto all'interno dell'abitazione di un boss.
L'obiettivo minimo che le associazioni antiracket potrebbero conseguire potrebbe pertanto consistere nel sensibilizzare tutti i commercianti a confermare quantomeno le dichiarazioni dei collaboranti relative alle estorsioni patite, quando non sia raccolto l'invito a sporgere autonomamente denuncia ad ogni tentativo di assoggettamento al racket del pizzo.
L'esistenza e l'operato delle associazioni antiracket porta con sé anche una chiara critica alle associazioni di categoria dei commercianti e degli industriali. Appare infatti di tutta evidenza che il problema delle estorsioni e della usura costituisca un tema di primaria importanza nel perseguimento degli interessi delle categorie dell'intrapresa economica, ed occorre pertanto chiedersi le ragioni per le quali tali temi non abbiano trovato adeguate soluzioni nell'invito alla denuncia, nell'assistenza economica e morale all'associato vittima di estorsione, e nella conseguente e costante costituzione di parte civile quantomeno nei più importanti processi riguardanti il fenomeno delle estorsioni.
È possibile che ciò sia dovuto alla eccessiva vastità e varietà di presenze all'interno dell'associazione, e dal fatto che non tutti ritengano la via della denuncia la più corretta da seguire nel caso di sottoposizione a ricatti da parte del racket delle estorsioni. Mentre alle associazioni antiracket aderisce solamente chi è portatore del convincimento che occorre denunciare sempre e comunque i taglieggiatori.
Va peraltro considerato che, a fronte dell'atteggiamento di sfiducia e di assoggettamento allo strapotere della criminalità organizzata che per anni ha caratterizzato gli operatori economici, si era determinata negli stessi la convinzione che il pizzo fosse una tassa rientrante tra i costi dell'intrapresa, e che in cambio venisse offerta una assicurazione contro la commissione di altri reati contro il patrimonio che vengono normalmente perpetrati a danno degli esercizi commerciali. Inoltre questo sistema veniva agevolato dall'atteggiamento di alcuni gruppi criminali molto potenti - quali l'antico clan del malpassotu o quello dei Laudani - che, specie nelle periferie avevano assoggettato tutti i commercianti al pagamento di un pizzo di entità non eccessiva - tra le duecento e le trecento mila lire mensili -, ingenerando così il convincimento che si trattasse di un sacrificio economico che riguardava tutti e di una entità tale da poter essere agevolmente sostenuto. L'alternativa sarebbe stata quella di sporgere una denuncia, con l'effetto di risparmiare poche lire, ma di rischiare gravi ritorsioni, di mettersi contro la generalità degli altri commercianti, e di perdere l'«assicurazione» contro i furti e le rapine.
Per ciò che riguarda l'usura, va subito detto che questo fenomeno presenta due diversi e rilevanti aspetti: l'usura praticata nel confronti delle imprese e quella praticata nei confronti delle famiglie.
Pag. 94
Se la prima risulta essere una minaccia non solamente per la solidità delle aziende ma anche delle regole su cui si fonda il libero mercato, la seconda non è meno pericolosa in quanto crea uno stato di sostanziale soggezione e complicità, anche se passiva, finendo con l'ampliare la cerchia dei soggetti che direttamente o indirettamente favoriscono il fenomeno mafioso.
Sotto il profilo della redditività delle attività criminali occorre osservare che l'usura rappresenta una delle attività illecite «sommerse» più redditizie. A tal riguardo può fungere da esempio il giro di affari ad usura sul mercato all'aperto di Piazza Carlo Alberto, il più grande di Catania, ove operano circa 1.000 venditori ambulanti e che conta un volume di affari annuo pari a circa 100 miliardi di lire al netto delle tasse .
Le associazioni antiracket hanno ritenuto di individuare tra le cause principali di questo fenomeno le rigidità del sistema bancario nell'ambito della concessione del credito alle imprese.
Esse hanno fatto anche rilevare come una modifica dell'atteggiamento dei soggetti erogatori di finanziamenti tesa a permettere l'attribuzione del «merito» creditizio non tanto sulla base della capacità patrimoniale in atto, quanto sulla scorta delle potenzialità aziendali, potrebbe correggere le attuali distorsioni esistenti nel ricorso al credito.
Occorre sottolineare che tale via sarà concretamente praticabile solo se verrà concretamente smentito l'assunto secondo cui le aziende catanesi non rappresentano il massimo della capacità organizzativa, e non risultino all'avanguardia per ciò che concerne le tecnologie aziendali e la capacità di penetrazione nei mercati.
Con riferimento agli strumenti normativi volti a contrastare il fenomeno e ad incoraggiare l'attività di denuncia le associazioni considerano inadeguata la legge n. 172 del 1992 recante l'istituzione dei Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive.
Tale legge appare limitativa sotto il profilo delle varie categorie di danni da usura rispetto alle quali viene computato ed attribuito il dovuto ristoro o indennizzo. Al riguardo sarebbe opportuno prevedere l'ampliamento delle tipologie di danno subìto, comprendendo alcune forme di risarcimento, anche assicurativo, per i danni fisici del denunciante, per l'invalidità o, addirittura, per la morte in conseguenza della reazione al racket o all'usura, tutte ipotesi che non vengono compendiate dall'attuale legge.
Tra le associazioni audìte, l'associazione Licodiese Antiracket ha rappresentato una importante ed originale realtà: a Santa Maria di Licodia, pur vicinissima a Biancavilla, Adrano e Paternò, non si paga il pizzo; mentre in questi tre comuni, che peraltro hanno dato vita a quello che viene definito come il cosiddetto 'Triangolo della morte«, il fenomeno del racket e dell'usura assume dimensioni devastanti. Ciò, a detta dell'associazione Licodiese, è stato possibile grazie al corale e immediato rifiuto da parte della popolazione di subire le estorsioni.
In effetti le vicende dell'associazione licodiese presero le mosse da un episodio accaduto nel piccolo centro nell'estate del 1993, quando nel corso di una azione di fuoco, che aveva quale scopo un regolamento di conti tra esponenti della criminalità organizzata locale, venne ucciso un giovane diciottenne colpevole solo di essersi trovato all'interno della
Pag. 95
sala giochi nel momento in cui avvenne l'agguato. Subito scattarono le indagini in un clima di indignazione generale, e furono i genitori del giovane i primi a mettersi a disposizione degli inquirenti per fare luce su fatto di sangue. Grazie alla testimonianza di una famiglia di gente semplice che si trovava in strada al momento del delitto si pervenne alla identificazione dell'autore del delitto ed alla sua cattura. Ne seguì un processo, nel quale il malvivente venne condannato all'ergastolo con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione.
Ma la indignazione dei licodoesi non si limitò a questo. Essi intesero bene che quel gesto clamoroso era stato originato dal clima invivibile che si respirava in paese; che a monte vi era il controllo del territorio da parte del racket, che alcuni malavitosi del luogo avevano organizzato nello stile delle organizzazioni mafiose operanti nei centri più importanti e dalle quali ricevevano appoggio. Ne conseguì una generale rivolta che mise in condizione i Carabinieri della compagnia di Paternò di raccogliere molte denunce spontanee e di consegnare alla magistratura una informativa di reato che portò alla emissione di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere e diede vita ad operazione denominata «Coraggio». Fu da quel momento che nel piccolo centro alle pendici dell'Etna i commercianti smisero di pagare il pizzo.
Questa condizione di riconquista del territorio dalla incombenza del racket non è tuttavia tale da consentire alle Istituzioni momenti di pausa o di appagamento. Le condizioni per il ripristino della legalità vengono a determinarsi infatti solo quando vi sia un impegno corale nella repressione dei fenomeni di tipo criminogeno e nella perpetuazione di un atteggiamento di denuncia da parte delle vittime.
Più corale, immediato e determinato è il rifiuto di sottostare alla violenza, più facilmente le potenziali vittime riescono ad affrancarsi dalla condizione di assoggettamento criminale. Ma un grave problema è stato rappresentato dalle associazioni: molto spesso le vittime sono costrette a tollerare che il malavitoso colpevole di estorsione torni celermente in libertà, con l'effetto di scoraggiare ulteriormente il denunciante, e di rafforzare il potere di intimidazione delle associazioni mafiose, capaci di dimostrare che a dispetto delle denunce esse possono continuare ad operare ed intimidire.
Questi fatti hanno contribuito a creare un clima di sfiducia circa il ruolo e l'efficacia delle associazioni, tant'è che alcune di esse, come l'associazione Antiestorsione di Scordia «Nicola D'Antrassi», pur essendo partite con grande slancio per il numero degli aderenti, hanno poi sostanzialmente interrotto la propria attività.
(26) Cfr. la Sentenza della IoCorte di Assise di Catania del 16.10.1996 c/AIELLO G. + 94 - nel processo denominato ORSA MAGGIORE, a pag. 322 e segg.
(27) Vd. la già cit. Sentenza del Maxi-processo di Palermo, pag. 2868, con riferimento alle intercettazioni telefoniche tra il palermitano Mutolo Gaspare e Condorelli Domenico, quest'ultimo uomo d'onore della famiglia catanese, aventi ad oggetto i traffici di droga ed armi intercorrenti tra cosa nostra e le compagini criminali operanti nel napoletano.
(28) Vd. la già cit. Sentenza del Maxi-processo di Palermo, pag. 4996.
(29) Cfr. al riguardo la Nota del 18.12.1999, a firma del presidente del Tribunale sez. G.I.P., dott. S. Cacciatore, contenente la risposta ai quesiti posti in sede di indagine dalla Commissione Bicamerale d'inchiesta sul fenomeno della Mafia e delle altre associazioni criminali similari.