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Doc. XXIII n. 48


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PARTE SECONDA

1. Attuale situazione della criminalità catanese.

1.1. Il nuovo assetto della famiglia di «cosa nostra» catanese negli anni novanta.
Il nuovo assetto della mafia catanese veniva a determinarsi all'indomani della stagione processuale conclusasi con la sentenza del processo ORSA MAGGIORE. Si è trattato del procedimento che, meglio di ogni altro, ha riassunto le vicende di cosa nostra catanese tra gli anni 70 e gli anni 90, consentendo la condanna di tutti i componenti storici dell'organizzazione e, tra essi, dello stesso Benedetto Santapaola, di Aldo e Sebastiano Ercolano, Vincenzo Aiello, Eugenio Galea, Natale di Raimondo. La sentenza di condanna era stata pronunciata nei confronti della gran parte degli imputati, ma non sempre la pena concretamente irrogata è stata in grado di assicurare che gli esponenti mafiosi permanessero in stato di detenzione per un tempo apprezzabile, o quanto meno sufficiente a consolidare quel controllo del territorio che con tanta fatica lo Stato aveva sottratto alla criminalità. Da un lato il ricorso piuttosto disinvolto all'istituto del c.d. «patteggiamento» in appello aveva prodotto sconti consistenti di pena; dall'altro l'applicazione generalizzata degli istituti di tipo premiale (quale la liberazione anticipata) - che costituiscono nel dibattito attuale sui problemi della giustizia un momento di affievolimento del principio della effettività della sanzione penale - ha fatto sì che ad appena due anni dalla pronuncia della sentenza di primo grado, avvenuta il 16 Ottobre 1996, una parte attiva e vitale dell'organizzazione potesse tornare ben presto ad esercitare il controllo del territorio e dei traffici illeciti.
Venivano quindi fatti oggetto di attenzione investigativa gli imputati del processo i quali per le varie ragioni prima accennate (assoluzione, fine pena a seguito di condanna inadeguata, «patteggiamento» in appello) avevano riacquistato la libertà e che tempestivamente si erano impegnati nella riorganizzazione degli affari e degli interessi della famiglia. Tra di essi figuravano i fratelli Angelo e Sebastiano MASCALI, detti «Catina», MARINO Agatino, TROPEA Francesco, SIGNORINO Sergio, ZUCCHERO Domenico ed il cugino ZUCCARO Carmelo, ASSINNATA Domenico e il figlio Salvatore.
Accanto a questi ultimi cresceva il ruolo di altri personaggi che, seppure non imputati nel processo, da fonti investigative e anche


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attraverso l'istruttoria dibattimentale, risultavano da tempo legati alla «famiglia» catanese di cosa nostra. Costoro, già per lungo tratto, avevano costituito un momento di collegamento fra l' «esterno» e i vertici dell'organizzazione «in vinculis». Tra di essi vi erano GRAVAGNA Pietro, cognato del boss Natale DI RAIMONDO e quindi soggetto che poteva avere colloqui con il congiunto; e Agatino ed Antonio CORTESE, frequentatori di casa PATTARINO, sin da quando SANTAPAOLA Benedetto vi trascorse il primo periodo della sua latitanza.
Va peraltro rilevato che gli strumenti operativi utilizzati dalla magistratura e messi in atto dai Carabinieri del Comando provinciale di Catania per fare luce su tali nuovi assetti risultano da un lato improntati all'utilizzo delle più moderne tecnologie, dall'altro ancorati ad un sistema investigativo di tipo tradizionale. Ciò in una fase storica in cui il fenomeno della collaborazione con la giustizia vive una crisi profonda sia sotto il profilo delle «vocazioni» che sotto quello della qualità degli apporti conferiti.
I Carabinieri, con professionalità ed efficienza senza eguali per analogo reparto investigativo (vedi infra n.6.2 per i risultati conseguiti anche in rapporto all'entità degli organici e delle strutture) eseguivano le intercettazioni di utenze cellulari e tra presenti, specie all'interno degli autoveicoli, anche attraverso sofisticati apparati di captazione fonica - picocell -; effettuavano riprese filmate nei covi ove avvenivano le riunioni tra gli affiliati attraverso sofisticatissime telecamere per le riprese a grande distanza, ovvero mediante microcamere facilmente occultabili; ma al contempo corredavano ogni attività con estenuanti e puntuali servizi di appostamento e pedinamento.
Di tal che l' utilizzo dei collaboratori di giustizia è stato limitato al solo scopo di riassumere vicende già direttamente apprese con mezzi di investigazione invasivi della sfera di comunicazione tra affiliati, o di trovare ulteriori conferme a quegli elementi di prova che già emergevano attraverso i segnalati criteri di indagine.
Questo monitoraggio continuo dei nuovi assetti della famiglia catanese consentiva di apprendere in modo diretto ed immediato i contatti esistenti tra i vertici storici dell'organizzazione - non tanto i boss Benedetto SANTAPAOLA e Aldo ERCOLANO, impediti dal rigido regime dell'articolo 41bis O.P., quanto più Natale DI RAIMONDO e Maurizio ZUCCARO, che erano detenuti in regime ordinario - e gli affiliati che si trovavano all'esterno; ma anche di prendere cognizione delle tensioni esistenti tra la vecchia e la nuova gestione, e financo della spaccatura che avrebbe condotto, a distanza di dieci anni dall'ultimo conflitto intestino, alla esplosione di una nuova guerra di mafia dentro la cosa nostra catanese.
Emergeva frattanto che, alla fine del 1997, il reggente della famiglia di cosa nostra all'esterno era Giuseppe INTELISANO. Questi, già componente del clan di PULVIRENTI Giuseppe detto «u malpassotu», a seguito della collaborazione con la Giustizia del PULVIRENTI e dopo lo scioglimento di quella organizzazione , era transitato a pieno titolo nel gruppo SANTAPAOLA di cui il clan malpassotu era stato fedele alleato costituendone per anni l'ala militare.
Accanto a lui con la qualifica di rappresentante provinciale si poneva CANNIZZARO Sebastiano. Tra gli esponenti più attivi vi erano


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MARINO Agatino, SAVOCA Alfio, CORTESE Antonino e GIUFFRIDA Daniele.
Nel corso di una conversazione ambientale registrata tra TROPEA Francesco e MARINO Agatino venivano commentate le continue scarcerazioni di soggetti condannati nel processo ORSA MAGGIORE e si coglievano malumori dovuti al fatto che alcuni esponenti della famiglia, seppure giovani di età, una volta usciti dal carcere, pretendevano di comandare senza tenere in considerazione il ruolo ed i «meriti» di coloro che all'esterno avevano fatto sacrifici per «mantenere in piedi» gli affari dell'organizzazione. Era questa la prova di un certo disagio presente all'interno della famiglia, che da lì a poco sarebbe degenerato in vero e proprio conflitto.
In successive intercettazioni del dicembre 1997 era possibile venire a conoscenza di una riunione tra i rappresentanti della famiglia catanese, tra cui il CANNIZZARO, ed un rappresentante della famiglia palermitana. A margine dell'incontro era possibile accertare che il SAVOCA avrebbe dovuto fornire all'esponente palermitano dell'esplosivo.
Frattanto avveniva in città una recrudescenza criminosa caratterizzata dagli omicidi di Sergio SIGNORINO e Domenico ZUCCHERO, persone queste molto vicine a ZUCCARO Maurizio ed ai vertici storici della famiglia catanese, nonché di Giovanni RIELA, fratello del più noto Ciccio RIELA, imprenditore del settore degli autotrasporti inserito in cosa nostra. Veniva inoltre segnalata la scomparsa di VINCIGUERRA Massimiliano esponente di una frangia importante del clan dei cursoti denominata «i Carcagnusi».
Alcuni dei momenti che precedevano e seguivano queste attività criminose venivano registrati dai Carabinieri, i quali disponevano già di consistenti prove su talune personali responsabilità, mentre ancora le attività di indagine erano volte a «monitorare» una situazione dagli assetti criminali in piena evoluzione.
Per questa ragione in un dato momento dell'attività investigativa, ancora prima della emissione dei provvedimenti cautelari, alcuni soggetti che svolgevano funzioni importanti nella organizzazione venivano tratti in arresto nella flagranza di reato per illecita detenzione di armi, secondo quanto risultava dalle emergenze delle conversazioni intercettate. Ciò allo scopo di completare l'attività di riscontro e di togliere dalla libera circolazione subito quegli indagati che, avendo la disponibilità di armi, potevano continuare a macchiarsi di gravi reati.
Dapprima, in data 26 febbraio 1998 veniva tratto in arresto dai Carabinieri GIUFFRIDA Daniele, cassiere e killer dell'organizzazione SANTAPAOLA, più volte fatto oggetto di attenzione nell'attività di intercettazione, che veniva sorpreso nell'atto di gettare dal balcone un involucro all'interno del quale era occultata una pistola semiautomatica 9x21, con matricola abrasa e relativo munizionamento.
Poco tempo dopo veniva arrestato Giuseppe INTELISANO, con l'effetto di decapitare il vertice dell'organizzazione. E successivamente, in data 15 aprile 1998, carabinieri del Nucleo Operativo del Comando Provinciale di Catania, facevano irruzione nella abitazione di MARINO Agatino - ove fra l'altro era posizionata una microspia - bloccando insieme a lui un altro soggetto, poi identificato in TROPEA Francesco, mentre cercava di darsi alla fuga dall'ingresso di servizio e di liberarsi


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di due armi, un revolver cal. 38 e una pistola cal. 7,65, prontamente recuperate dai militari operanti.
La prosecuzione delle attività di intercettazione - e la sopravvenuta collaborazione di MARINO e di altri affiliati - consentivano di ottenere uno scenario completo e chiaro della situazione in quel momento determinatasi dentro cosa nostra catanese, necessariamente legata ai mutati equilibri che si erano venuti a stabilire nel panorama delle famiglie mafiose palermitane.
Ed infatti, - in coincidenza con la spaccatura determinatasi in cosa nostra palermitana, tra l'ala militare ed oltranzista facente capo a RIINA Salvatore e la corrente moderata rappresentata da PROVENZANO Bernardo, - la famiglia catanese, da sempre alleata dei corleonesi, aveva trovato più naturale rimanere in rapporto di alleanza e collaborazione con la componente mafiosa meno esasperata (6).
Ma già nel Giugno del 1992 (7), dopo la strage di Capaci, venne effettuata una visita a Catania degli esponenti di punta della corrente oltranzista corleonese, e nel corso di una riunione - cui erano presenti Giovanni BRUSCA, Leoluca BAGARELLA e Nino GIOÈ, in rappresentanza di Salvatore RIINA da una parte, Benedetto e Salvatore SANTAPAOLA, Enzo AIELLO ed Eugenio GALEA dall'altra, - i corleonesi fecero «affiliare» alla famiglia SANTAPAOLA il capo del clan dei «Carcagnusi» Santo MAZZEI nominandolo uomo d'onore. Padrino del MAZZEI nella cerimonia era stato lo stesso BAGARELLA, che aveva organizzato la cerimonia di iniziazione al fine precipuo di procurarsi un interlocutore di sua personale fiducia dentro la famiglia catanese (8).
Questa iniziativa non poteva essere gradita al SANTAPAOLA, che la subì per mantenere buoni i rapporti con i corleonesi, ben cosciente del fatto che la presenza dentro la famiglia di un personaggio sanguinario e spregiudicato come il MAZZEI, ed il rapporto privilegiato di quest'ultimo con l'ala oltranzista corleonese - da sempre distante


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nelle strategie rispetto a cosa nostra catanese - avrebbe potuto di lì a poco alterare gli equilibri all'interno della famiglia, se non addirittura mettere in discussione la sua leadership.
In definitiva BAGARELLA aveva inteso mettere una spina nel fianco di SANTAPAOLA, ponendo le basi di un progetto di medio termine che avrebbe dovuto comportare la sua sostituzione dal vertice mafioso nella Sicilia orientale. Se infatti i Corleonesi avessero voluto semplicemente gratificare la persona del MAZZEI, per la fedeltà ed il rispetto che quest'ultimo da sempre aveva manifestato loro, avrebbero ben potuto nominarlo uomo d'onore dentro cosa nostra palermitana.
La profonda crisi subita da cosa nostra, decimata da arresti e sconvolta da importanti collaborazioni con la Giustizia di importanti boss all'indomani delle stragi del 1992-1993, aveva ritardato ma non impedito il tentativo di realizzare questo progetto.
Fu così che nel 1998 Vito VITALE, venuto frattanto a capo della corrente oltranzista corleonese, d'accordo con Gesualdo LA ROCCA di Caltagirone e con Santo MAZZEI - benchè quest'ultimo fosse stato già da tempo tratto in arresto e perciò detenuto - pensò di attuare il piano che avrebbe dovuto condurre alla ascesa dei «Carcagnusi» dentro cosa nostra catanese, ed alla conseguente estromissione della componente legata agli ERCOLANO-SANTAPAOLA.
E così il VITALE dopo avere stretto saldi rapporti con il responsabile della famiglia etnea Giuseppe INTELISANO, in una cerimonia ufficiale svoltasi a Palermo, - contro il volere dei boss detenuti Aldo ERCOLANO e Benedetto SANTAPAOLA, - lo proclamava uomo d'onore, ed insieme a lui venivano formalmente officiati anche altri due catanesi Francesco RIELA e Massimiliano VINCIGUERRA, quest'ultimo reggente del clan dei «Carcagnusi».
L' INTELISANO pertanto, di concerto con Santo MAZZEI,VINCIGUERRA, RIELA, Aldo LA ROCCA, ed altri componenti dei «Carcagnusi» transitati in cosa nostra, ed in alleanza con l'ala oltranzista Corleonese di Vito VITALE, formò ormai una corrente autonoma dentro la famiglia catanese, e mise a punto una strategia di indebolimento della componente più vicina ai membri storici della famiglia, e più in generale tendente a colpire coloro che avevano appoggiato la componente mafiosa più vicina al boss Bernardo PROVENZANO.
Con dei prestesti legati ad interessi di carattere economico fece uccidere Domenico ZUCCHERO e Sergio SIGNORINO, persone vicine ai componenti storici della famiglia. Approntò poi il gruppo di fuoco per uccidere nel territorio di Catania e su ordine di Vito VITALE, il boss Lorenzo VACCARO, rappresentante della famiglia di Caltanissetta, storicamente legato ai PROVENZANO.
Quando nel Marzo del 1998 l'INTELISANO venne arrestato il VITALE convocò a Palermo i componenti della famiglia catanese a lui fedeli - il VINCIGUERRA, il LA ROCCA ed il RIELA - e con loro andò pure MASCALI Angelo, che era stato indicato quale reggente dai componenti storici della famiglia che si trovavano detenuti. In quella occasione il MASCALI ricevette l'ordine di organizzare l'omicidio di Nuccio CANNIZZARO, ed apprese con chiarezza l'intento dei palermitani di provocare l'ascesa dei «carcagnusi» al vertice della famiglia procedendo alla eliminazione fisica dei componenti storici della famiglia, tra cui anche anche il figlio di Benedetto SANTAPAOLA,


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Vincenzo. Tornato pertanto a Catania fece in modo di comunicare ogni cosa a quest'ultimo nonché alle persone a lui più vicine, ed in particolare ad Antonio MOTTA, ZUCCARO Maurizio e CANNIZZARO Sebastiano, dai quali ricevette l'odine di eliminare tutti i componenti della organizzazione che avevano preso parte all'iniziativa corleonese. La reazione della famiglia catanese al tentativo di golpe organizzato e diretto da Palermo portò alla eliminazione di RIELA Giovanni - ma il vero obiettivo dei killers era il fratello Francesco - e di Massimiliano VINCIGUERRA.
Con l'arresto di Vito VITALE, e l'operazione dei Carabinieri denominata ORIONE, veniva azzerato l'organigramma all'epoca conosciuto della organizzazione, ed arrestati anche i componenti della famiglia appartenenti al clan dei «carcagnusi». Il pentimento in massa degli esponenti di spicco coinvolti nella operazione ORIONE - indotti a tale scelta anche perché inchiodati dalle intercettazioni ambientali e dalle riprese televisive - metteva dunque fine alla guerra di mafia e sanciva il fallimento del velleitario progetto dei corleonesi.

(6) La alleanza del SANTAPAOLA con i Corleonesi risale agli anni settanta, quando egli rivestiva all'interno della organizzazione il ruolo di capo-decina, mentre il rappresentante provinciale della famiglia catanese era Giuseppe CALDERONE. Quest'ultimo, - che era personalmente legato alle famiglie palermitane perdenti Bontade, Inzerillo e Badalamenti, - fu eliminato con il consenso di Salvatore RIINA per fare posto al SANTAPAOLA, la cui leadership si è mantenuta ininterrottamente sino al giorno del suo arresto (Cfr. Sentenza della IoCorte di Assise di Catania del 16.10.1996 c/AIELLO G. + 94 - processo denominato ORSA MAGGIORE).Prove più recenti ed evidenti di tali legami tra il mondo corleonese e la realtà mafiosa facente capo al Santapaola, sono emerse con tutta evidenza nel corso dell'attività investigativa compendiata nel processo a carico di Aiello Vincenzo, che, per volontà del Santapaola, dopo il suo arresto fu reggente della famiglia di cosa nostra catanese sino all'Agosto del 1994, epoca in cui anch'egli venne catturato. L'Aiello mantenne stretti rapporti con numerosi esponenti corleonesi coinvolti nella strage di Capaci, e tra costoro in particolare, con Antonino GIOÈ' - suicidatosi in circostanze misteriose mentre si trovava detenuto - e con Pietro RAMPULLA e Gioacchino LA BARBERA. Quest' ultimo, poi divenuto collaboratore di giustizia, confermava quanto salda e duratura nel tempo fosse l'alleanza tra i corleonesi e la compagine guidata dal Santapaola.
(7) Cfr. le dichiarazioni rese da BRUSCA Giovanni alla udienza dibattimentale del 3.4.1997 nel processo denominato «Orsa Maggiore».
(8) Il MAZZEI in passato si era messo a disposizione delle famiglie di Marsala e di Mazzara del Vallo, offrendo loro il supporto logistico e militare dei cursoti operanti a Torino per gli interessi che cosa nostra curava in Piemonte. Anche nell'epoca delle stragi aveva creato a Torino un punto di appoggio per i mafiosi palermitani che doveva essere utilizzato anche da Enzo SINACORI.

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