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Doc. XXIII n. 46-bis


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PARTE PRIMA

1. Sfiducia nelle Istituzioni

Napoli e la sua provincia, unitamente all'agro aversano, costituiscono ormai gli epicentri del crimine organizzato in Europa. Lo Stato reagisce a questa situazione di emergenza con iniziative di pura gestualità mediatica. La Campania viene, così, trasformata in una sorta di Kossovo del Sud, da pacificare con l'invio di paracadutisti del reggimento Tuscania e di mezzi corazzati leggeri. La camorra, però, non si è fatta intimidire da questa gestualità repressiva. Anzi, ha continuato a uccidere e terrorizzare.
La camorra, in molti casi, ha persino utilizzato i pentiti per neutralizzare gli investigatori più capaci e professionalizzati. È scesa in piazza per difendere quelle feste dei santi patroni che costituiscono anche un occasione di grande rilievo per esternare la propria capacità di radicamento sociale. E lo Stato si mostra inattendibile, incapace e inefficiente persino in queste occasioni.
Le Istituzioni, infatti, negli stessi giorni in cui impedirono al clan Misso della Sanità di celebrare la festa del Monacone, autorizzarono il clan Aprea a tenere la Festa dei Gigli nel rione di Barra. Naturalmente, così come hanno riportato i giornali, il Giglio sponsorizzato ufficialmente dagli Aprea è stato quello premiato. Ma non basta. Nel quartiere sono stati affissi manifesti di «omaggio ai piccoli bambini Luigi e Gennaro Aprea», figli del super boss Giovanni.
Il perché di un così diverso atteggiamento delle Istituzioni verso i festeggiamenti camorristi è presto detto: il clan dei Misso è ritenuto simpatizzante della destra, mentre quello degli Aprea è collocato politicamente a sinistra e elegge i suoi uomini tra le fila della maggioranza che governa Napoli.
Il degrado delle Istituzioni a Napoli è ormai tale da indurre il Procuratore Cordova a una denuncia amara ma non disperata: «Lo Stato a Napoli, dice Cordova, è un'entità eventuale, aleatoria, virtuale. Parlo dello Stato ufficiale non di quello reale, l'unico che a Napoli la gente conosce e teme per davvero: la camorra. Le leggi dello Stato sono lente, i processi non finiscono mai e la pena è un evento remoto, prescrivibile, amnistiabile, depenalizzabile. Le leggi della camorra sono ferree e immutabili, semplici e inderogabili, i giudizi si celebrano fulmineamente, e le sentenze sono rapidissime, inappellabili e immediatamente esecutive. È ovvio che i cittadini temono lo stato effettivo, quello camorristico, e non quello ufficiale».
Quello che Cordova definisce lo stato effettivo decide di dichiarare guerra ai magistrati che gli hanno assestato dei colpi durissimi. E la vendetta dell'antistato camorrista. Purtroppo quell'antistato si insinua tra gli antagonismi politici e tra gli antagonismi che si sviluppano all'interno della magistratura. La vicenda del magistrato Arcibaldo Miller è emblematica, anche perché ha trovato un eco molto ampio nella prima stesura della relazione di maggioranza e una presenza


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significativa nella seconda, definitiva stesura. Miller è il primo magistrato napoletano a condurre serie e rigorose inchieste di camorra tra il 1980 e il 1986. È sua la prima, vera indagine sulla cosca di Raffaele Cutolo. Miller fa arrestare 340 persone.
È un'inchiesta che il magistrato conduce da solo, senza alcuna presenza dei collaboratori di giustizia che faciliteranno il lavoro dei suoi colleghi nel decennio successivo. La sua inchiesta si sviluppa sul campo dell'intelligence e del lavoro investigativo di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza. Miller capisce anche che la camorra si è trasformata in antistato, che ci si trova di fronte ad un vero e proprio fenomeno di banditismo sociale, di neo brigantaggio populista.
Miller chiude la sua requisizione contro i cutoliani dicendo che contro il crimine organizzato bisogna intervenire radicalmente, lavorare sulle contraddizioni sociali altrimenti il brodo di coltura camorrista avrebbe generato disastri inimmaginabili.
Sempre negli stessi anni Arcibaldo Miller assesta un colpo durissimo allo schieramento anticutoliano della Nuova Famiglia. Anche questo lavoro inquirente lo conduce da solo: 220 affiliati alla Nuova Famiglia sono arrestati. La camorra tenta di ammazzarlo e per ben 8 anni Arcibaldo Miller è sottoposto a protezione intensiva.
Ma Arcibaldo Miller non diventa un eroe dell'anticamorra perché ha osato violare i santuari delle amministrazioni di sinistra. Le prime difficoltà il magistrato le registra a partire dall'inchiesta sullo scandalo dei cimiteri che coinvolse la giunta Valenzi e che portò all'arresto di tre assessori. Valenzi non ritenne di costituirsi parte civile contro i tre assessori, così come farà dopo 20 anni Antonio Bassolino, che si guarderà bene dal costituirsi parte civile come sindaco di Napoli contro i vertici dell'ANM arrestati per corruzione. Miller entra nell'occhio del ciclone.
Ed ecco che dopo aver ottenuto la condanna dei tre assessori di Valenzi si imbatte in un avviso di garanzia per favoreggiamento della prostituzione. Inizia una sottile opera di delegittimazione che dura tuttora. A nulla vale che il giudice istruttore Apicella nella sentenza di proscioglimento di Arcibaldo Miller dichiari «è provato che il giudice Miller non h mai frequentato la casa di appuntamenti di via Palizzi».
In campo entrano figure ambigue legate ai servizi segreti come il millantatore Giosi Campanile, che pur non essendosi mai laureato svolge la professione di avvocato. Una prostituta sua convivente afferma di aver conosciuto Miller. Sarà dimostrato che mente.
L'opera di delegittimazione continua. Il magistrato viene accusato di frequentare la famiglia Sorrentino, che sarebbe legata per motivi di affari e professionali alla camorra. Anche nelle relazioni della Commissione Antimafia si parla di queste frequentazioni sospette. Ma nella memoria che Miller invia al CSM viene smantellato anche questo castello di accuse.
Ed ecco in cosa consistevano le frequentazioni sospette di Arcibaldo Miller. Nel 1980 la famiglia di Arcibaldo Miller si trasferisce da Firenze a Napoli, la moglie del magistrato insegna a Torre del Greco. Nel palazzo vive una collega della moglie, insegnante di matematica, che è cognata di Franco Sorrentino, un professionista che avrà due fratelli coinvolti in inchieste di camorra. Franco Sorrentino allora ed ora


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è un incensurato e il magistrato Miller non poteva prevedere nel 1980 i legami che i fratelli di Franco Sorrentino avrebbero sviluppato negli anni successivi.
Nei confronti di Miller si sviluppa una vera e propria offensiva delegittimante della corrente di Magistratura Democratica. Alessandro Pennasilico rappresentante di MD del CSM distilla 40 pagine di accuse Contro Miller. Ma la relazione di Pennasilico per la sua infondatezza viene bocciata dal CSM.
Non è finita. Le 40 pagine vengono sintetizzate nella prima stesura della relazione sulla Campania di Lombardi Satriani. Sempre queste 40 pagine sono alla base del libro bianco degli avvocati penalisti di Napoli capeggiati da Claudio Botti allora legale del sindaco Bassolino.
Sempre la relazione Pennasilico viene utilizzata per tentare di bloccare la nomina di Miller a Procuratore aggiunto di Caserta. Contro la Procura scatta un offensiva che trova fiancheggiatori anche nei grandi organi di informazione. Un giornalista legato politicamente al sindaco Bassolino pubblica sul «Corriere della Sera un'intervista al magistrato Occhiofino il quale affermava che Cordova difendeva Miller perché condizionato da una cupola napoletana. Contro il magistrato che ha fatto arrestare all'inizio della sua presenza a Napoli 560 camorristi e che ha sbaragliato la cosca dei Cutolo e della Nuova Famiglia scendono in campo i pentiti. Un primo pentito, l'imprenditore Romano afferma «il magistrato Miller è un colluso, tant'è vero che con lui mangiavo fave e prosciutto».
Per Romano, Miller è un suo compagno di merende. E a un compagno di merende si può chiedere di aggiustare un processo. Romano dice che Miller si era prestato per aggiustare un processo che aveva visto l'imprenditore Agizza investire e uccidere col suo camion la signora Anna Trotta. Miller, secondo Romano, si sarebbe prestato a far risultare alla guida del camion il fratello minorenne di Agizza per non far condannare l'imprenditore.
Purtroppo per Pennasilico, l'avvocato Claudio Botti e Magistratura Democratica Agizza investì la signora Anna Trotta nel 1967 all'epoca il magistrato presunto colluso Arcibaldo Miller, presunto compagno di merende dell'imprenditore Romano, aveva appena 17 anni. Romano non è mai stato inquisito per calunnia nei confronti del dottor Miller.
Contro il magistrato venne fatto scendere in campo un altro pentito, tale Bernasconi. Il pentito afferma che era detenuto per rapina e non riusciva ad avere la libertà. La ottenne grazie ad un intervento del suo avvocato che avrebbe rifornito Miller di cocaina. L'abitazione del magistrato viene perquisita da cima a fondo. Non si trova nessuna traccia di cocaina, Miller riesce a provare di non aver mai espresso un parere su Bernasconi. Anche le menzogne del secondo pentito vengono disattivate.
Non contenti gli avversari di Miller fanno scendere in campo un terzo pentito tale Gamberale che si autoaccusa di traffico di droga. Il Gamberale coinvolge nell'inchiesta 200 persone tutte assolte. Ma afferma di aver frequentato Miller che si sarebbe rifornito di cocaina nella boutique «Mena» di Portici e di aver fatto il corriere tra la boutique e l'abitazione del magistrato a Torre del Greco. Gli ispiratori del pentito Gamberale non si erano accorti che per loro sfortuna la boutique «Mena» fu distrutta da un incendio nel 1979 e che Miller


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prese casa a Torre del Greco l'anno successivo. Queste sono le frequentazioni camorriste di Miller che sono state alla base della relazione Pennasilico, della prima stesura della relazione di maggioranza sulla Campania, dei timidi accenni sulla vicenda Miller nella seconda stesura. Queste sono le frequentazioni che hanno ispirato un capitolo del libro bianco contro Cordova e i suoi sostituti inviato dall'avvocato Claudio Botti, legale del sindaco Bassolino. Queste sono le accuse utilizzate per bloccare la nomina di Miller a procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere.
Tra luglio e settembre del 2000 a Napoli città si sono contati 60 morti di camorra. Il 2 settembre una bambina è ferita gravemente nel corso di un agguato di camorra. I magistrati affermano nel luglio scorso, nel corso di un'audizione della Commissione Antimafia tenutasi nella Prefettura di Napoli che la criminalità non è mai stata così forte come negli ultimi tempi. E le ragioni vere di questo dilagare del contro potere camorrista sono da individuare nella incapacità dello Stato di occupare i territori lasciati liberi dai clan sconfitti dalla repressione che si è sviluppata a partire dall'inizio degli anni '90. Si è aperta così una sanguinosa e feroce guerra di successione, che vede la città e la provincia aggrediti dai nubiligi della nuova camorra anarcoide e priva di leaderschip criminali consolidate. La Procura di Napoli ha denunciato il voto di scambio e la corruzione degli appalti che continua come prima e forse più di prima, con i clan criminali pronti ad appoggiare i candidati di schieramenti politici contrapposti, per non ritrovarsi amministrazioni «nemiche».
La trasversalità politica della camorra ha privilegiato comunque in questi anni i partiti della maggioranza di governo. Basta analizzare i risultati elettorali delle amministrative e delle politiche nelle aree a più alto tasso di presenza criminale. Lo Stato non solo, come denunciano i magistrati, non è stato in grado di conquistare i territori lasciati liberi dalle cosche sconfitte dalla repressione, ma è arrivato al punto di disarmare persino la magistratura.
Nel 1999 i PM a Napoli erano 121. Sei mesi dopo sono scesi a 99 (22 sostituti in meno i soli 180) giorni. Nei tribunali del distretto di Napoli mancano molti giudici: 13 a Napoli, 9 a Santa Maria Capua Vetere, 4 a Torre Annunziata, 2 ad Avellino. Il disarmo e la disarticolazione dell'apparato giudiziario è tale da indurre Carlo Alemi, Presidente del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a minacciare le dimissioni.
Per capire l'entità del disastro giudiziario basta un raffronto: nella procura di Napoli si contano 99 p.m., nel distretto di Manhattan con la stessa popolazione, ce ne sono ben 250. La verità è che il Governo fino al novembre del 1999 dimensionava gli organici della Procura del tribunale Santa Maria Capua Vetere ai cinquecento mila abitanti che la provincia di Caserta contava più di mezzo secolo fa.
Ma c'è dell'altro: il Ministero della Giustizia dimensiona, nel migliore dei casi, gli organici in base alla popolazione residente non tenendo conto di quella delinquente. E ancora. Gli organici sono sotto dimensionati rispetto al numero dei procedimenti. E non tengono conto nemmeno del numero degli imputati e degli inquisiti.
Un solo fascicolo sulle attività criminali del clan dei Casalesi conta 1.600 indagati. Ma per il Ministero e per il Consiglio Superiore della


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Magistratura un fascicolo con 1.600 imputati vale come quello per un banale reato di lesione.
La sordità delle Istituzioni di fronte all'emergenza criminale in Campania è confermata dalle esternazioni del Vice Presidente del CSM Giovanni Verde nel settembre del 2000. Verde nel corso della sua visita a Napoli ebbe a dichiarare: «Non condivido le affermazioni del Procuratore Cordova. Non le condivido nel merito, perché un ulteriore potenziamento degli organici non può, al momento, essere preso in considerazione. Non condivido le dichiarazioni di Cordova anche nella forma perché si corre il rischio di dare la sensazione sbagliata. Rischiamo in generale nell'opinione pubblica un equivoco: che chi è chiamato ad amministrare la giustizia sia al limite della resistenza, quasi pronto ad alzare bandiera bianca.»
Lo stato confusionale delle Istituzioni è tale che due settimane dopo il Ministro della Giustizia Fassino smentiva il Vice Presidente del CSM e annunciava un intervento straordinario per fronteggiare la situazione di emergenza che si era venuta a creare a Napoli.
Il nuovo radicamento camorrista sul territorio sta provocando una situazione non molto diversa da quella dell'inizio degli anni 80. Anche in questi mesi come al tempo del rapimento Cirillo alcune frange dell'eversione di sinistra hanno stabilito rapporti di collaborazione con aree della camorra napoletana.
E il SISDE già sta impegnando i suoi uomini per seguire le tracce di questa nuova fase di contaminazione e inquinamento tra camorra ed eversione di sinistra. Il 12 settembre 2000 il quotidiano «Cronache di Napoli» pubblica un'intera pagina sull'infiltrazione di alcuni agenti del SISDE nel clan Licciardi. Un agente del SISDE è stato fermato nel corso di un blitz della polizia a Secondigliano. Un controllo ai terminali ha confermato che si trattava di un infiltrato.
Il tesserino della Presidenza del Consiglio dei Ministri mostrato dall'agente era di quelli utilizzati dal SISDE per le operazioni di copertura. L'agente del SISDE pochi giorni prima si era recato in questura per supportare il rilascio del passaporto ad Assunta Licciardi, una delle donne del clan, che doveva recarsi a Praga.
L'agente del SISDE avrebbe stretto un rapporto confidenziale con i Licciardi per ottenere informazioni sui contatti tra eversione rossa e crimine organizzato nell'ambito dell'inchiesta sull'assassinio del professor Massimo D'Antona, il consulente dell'ex Ministro del Lavoro Bassolino ammazzato a Roma dalle brigate rosse.
Sempre sul rapporto tra eversione di sinistra e camorra è giunto al Procuratore aggiunto Roberto D'Ajello un dossier della Digos napoletana che analizza la cosiddetta zona grigia, un'area di confine tra la galassia dell'estremismo politico e la criminalità organizzata.
A fine luglio 2000 un ragazzo, Mario Castellano, viene ucciso da un poliziotto mentre sfugge a un blocco stradale. Il ragazzo è senza casco e a Napoli in quei giorni è in corso una mobilitazione repressiva contro quanti sfrecciano in motorino a capo scoperto. Dopo la morte del ragazzo ad Agnano si verificano tumulti, con la partecipazione di centinaia di giovani. Tra i manifestanti è ben visibile una componete numerosissima di affiliati al clan D'Ausilio.
La polizia viene ritirata dalla zona e il Questore Izzo si reca a casa del Castellano per esprimere il cordoglio delle forze di polizia e del


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Ministro degli Interni. Purtroppo, e qualcuno avrebbe dovuto informare il Questore, i Castellano sono soggetto di misura di prevenzione: i loro supermercati sono stati sequestrati in quanto ritenuti uno strumento di riciclaggio del clan D'Ausilio.
Nell'area flegrea dopo qualche giorno si scatena una guerra di camorra che provoca una quindicina di morti. La presenza del Questore a casa dei Castellano viene letta dai clan della zona flegrea come una sorta di legittimazione dell'egemonia dei D'Ausilio su Bagnoli e sul grande affare della bonifica.
La follia paranoica dei camorristi arriva a dare questa lettura della presenza del Questore Izzo a casa di Castellano. I camorristi dell'area flegrea si riorganizzano in un cartello criminale che si definisce «nuova mafia flegrea». E così a Napoli si apre il nuovo, tragico capitolo della guerra per bande che rischia di libanesizzare la città.
E Napoli in certi giorni sembra davvero una Beirut dei terribili anni della guerra civile tra palestinesi e cristiano - maroniti. Il 10 agosto 2000 per il quartiere di Pianura si aggirano i miliziani del clan Marfella. Intimano, minacciando raffiche di piombo, ai ragazzi di non usare i telefonini. È in corso una delle tante azioni di guerra contro il clan Lago e i ragazzi con i telefonini potrebbero essere delle sentinelle piazzate dai Lago per avvertirli di possibili invasioni del loro territorio.
Ma la sera del 10 agosto, sempre a Pianura, due ventenni, Luigi Sequino e Paolo Castaldi, erano del tutto ignari delle disposizioni impartite dai miliziani del clan Marfella. Stavano chiacchierando e ascoltando musica nei pressi della casa del genero del capo clan Pietro Lago. Luigi Sequino, ignaro del tutto, prende il cellulare e telefona al padre per avvertirlo di preparargli i bagagli in quanto dopo poche ore sarebbe partito per Miconos in Grecia. I miliziani del clan Marfella li scambiano per due guardaspalle dei Lago. Li massacrano con micidiali raffiche di mitraglietta.
La fiducia dei cittadini nelle Istituzioni cala di giorno in giorno. È un vero e proprio crollo della credibilità delle Istituzioni emerge anche dai dati in possesso del Ministero degli Interni. Tra il 1995 e il 1999 è calato vertiginosamente il numero delle denunce per racket. Si passa dalle 421 nel 96 alle 226 del 99. La Confesercenti rende noto un rapporto dal quale risulta che il 93% dei commercianti è a conoscenza di un caso di estorsione. Ci sono forme di pizzo del tutto nuove: a Barra, per esempio, la camorra interdice la presenza dei prodotti Algida nel quartiere. E lo fa perché distribuisce analoghi prodotti di un altro marchio.
Perché meravigliarsi se la crisi di credibilità è tale che su 92 sindaci dell'area metropolitana di Napoli convocati per una seduta straordinaria del consiglio provinciale sui temi della sicurezza e della legalità, soltanto 23 hanno ritenuto di partecipare alla manifestazione. E più della metà dei napoletani, il 51%, è convinta che la camorra non sarà mai sconfitta. E, forse, non hanno torto.
Anche all'interno della magistratura esistono scontri di corrente e antagonismi personali che ne indeboliscono l'operato. Troppo spesso sono state trascurate piste investigative che potevano portare gli inquirenti a individuare la fitta rete di rapporti tra camorra e grandi gruppi imprenditoriali.


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Un episodio più che significativo è offerto dal memoriale di un sindaco della provincia di Napoli, il cui nome abbiamo fatto nel corso dell'audizione della Commissione Antimafia tenutasi nel luglio scorso alla presenza del Procuratore Cordova, dell'aggiunto Palmeri e di altri magistrati della DDA. In quella occasione ricordammo che gli inquirenti e gli investigatori poco o nulla fecero per ricostruire i rapporti tra lega delle cooperative e il clan dei Casalesi.
La vicenda è riassumibile in poche righe: all'inizio degli anni 90 il boss Loreto che dominava in buona parte dell'agro sarnese - nocerino e che aveva esteso la sua influenza anche nell'area stabiese era furioso perché in un comune della provincia di Napoli era stato tenuto fuori dai lavori di ristrutturazione della rete fognaria. Il sindaco, il cui nome è già noto alla Procura di Napoli, fece presente che si trattava di un'impresa legata al PCI -PDS, la Coop Costruttori di Argerta.
L'impresa si era anche preoccupata di ottenere il finanziamento dei lavori in cambio dell'appalto. Loreto al sindaco in questione replicò che le coop pagavano dappertutto e che dovevano farlo anche nel suo comune. A questo punto il sindaco intimorito dalle minacce si rivolse all'allora presidente della Cooperativa Costruttori per chiedergli consiglio. La risposta fu di non preoccuparsi perché in pochi giorni avrebbe sistemato tutto. E l'esponente delle Coop fu di parola. Dopo pochi giorni fissò un appuntamento al sindaco e al vice sindaco presso un distributore di benzina dell'autostrada Napoli- Caserta.
Oltre al presidente della Coop era presente anche un esponente di primo piano del clan dei Casalesi. L'uomo dei Casalesi messo a conoscenza della situazione rispose: «Presidente non vi preoccupate. Come abbiamo fatto in tutti gli altri posti faremo anche stavolta. Darete il 5% agli stati di avanzamento». E poi aggiunse: «Non conosco personalmente Loreto, ma gli farò avere i soldi attraverso Carmine Alfieri e Ferdinando Cesarano che è della zona. Non avrete alcun fastidio né voi né il sindaco».
Da quel giorno nel comune dell'area stabiese non ci furono più problemi. Il sindaco è disposto ad essere ascoltato in Commissione Antimafia. Sarebbe il caso di farlo anche per evitare che siano reiterati quei ritardi che hanno portato alla magistratura a voler ascoltare il geometra Domenico Goglia quattro anni dopo le sue dichiarazioni rese all'allora capitano De Donno sui rapporti intercorsi tra il consorzio Cooperativa Costruzioni di Bologna con la camorra campana nell'affare Alta Velocità. Goglia era malato di cancro. È stato chiamato a deporre tre mesi dopo la sua morte.
Il quotidiano «Il Mattino» a pagina 27 dell'edizione di mercoledì 2 dicembre 1998 riporta le dichiarazioni del capo cosca porticese Ciro Vollaro. È una gragnuola di accuse contro il PDS locale che avrebbe ricevuto tangenti del 20% sugli appalti delle cosche vincenti vicine alla sinistra.
Il camorrista Ciro Vollaro afferma che il sindaco Spedaliere pur essendo una persona disinteressata incassava tangenti per finanziare il partito. Vollaro dichiarava ai magistrati che l'imprenditore Celli aveva uno stretto legame col sindaco Spedaliere in quanto sperava di potersi aggiudicare importanti lavori pubblici«. L'intesa tra il sindaco e la cosca dei Vollaro aveva portato anche alla plebiscitaria affermazione


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delle sinistre nelle amministrative di Portici, dove il candidato del Polo superò di poco il 20%. Per il Prefetto ed il Questore di Napoli le dichiarazioni di un capo cosca come Ciro Vollaro, ammesso anche al programma di protezione come collaboratore di giustizia, non meritavano nemmeno la presenza di una commissione di accesso nel comune vesuviano.
Ben altro fu l'atteggiamento delle istituzioni verso il comune e il sindaco di Afragola. Un comune sciolto per camorra, che ha visto successivamente i suoi amministratori reintegrati dal TAR in quanto i sospetti che avevano portato al provvedimento sollecitato dal Prefetto si erano dimostrati infondati. La verità su Afragola era ben altra.
L'amministrazione comunale era entrata in rotta di collisione con la lega delle cooperative che aveva localizzato un centro commerciale usufruendo di una serie di illegittimità messe in atto dalle amministrazioni comunali precedenti a quella sciolta per camorra e poi reintegrata dal TAR.
Contro il sindaco di Afragola e la sua giunta fu scatenata una campagna di stampa che puntava a far si che il centro commerciale che si estende su un area di centomila metri quadri iniziasse la sua attività in violazione anche alle licenze edilizie che gli erano state concesse. La campagna di stampa portò allo scioglimento per camorra del comune. Il centro commerciale aprì i battenti e la mobilitazione antimafia si concluse.
Certo, viene inviata una commissione di accesso per individuare la sussistenza di condizionamenti camorristici nel comune di Boscoreale, retto da una giunta di centro - sinistra. Ma l'iniziativa è presa soltanto dopo una intimidatoria aggressione di cui è oggetto Domenico Foraggio, capogruppo dei DS e consigliere di maggioranza.
Foraggio era entrato in contrasto con il sindaco Vincenzo Balzano, che voleva prorogare i servizi di rimozione dei rifiuti alla ditta Di Palma. Il lavoro della commissione di accesso porta allo scioglimento del comune di Boscoreale. I Democratici di Sinistra sono usciti disastrati dalle ultime lezioni regionali. Il loro elettorato tradizionale non aveva condiviso la subalternità ai Popolari che facevano e fanno capo al dottor Francesco Casillo, potentissimo consigliere regionale Popolare, cognato del sindaco Vincenzo Balzano, che guidava l'amministrazione sciolta.
Purtroppo la commissione straordinaria non ha ritenuto di rescindere i contratti in essere e stipulati dall'amministrazione Balzano, né sono stati inquisiti gli amministratori coinvolti e citati a vario titolo nella relazione della commissione di accesso. I funzionari apicali del Comune sono stati in molti casi promossi per aver manifestato una infrangibile lealtà verso gli amministratori ritenuti collusi.
Il pugno di ferro viene sfoderato dalle istituzioni contro l'amministrazione di Poggiomarino. Il sindaco e i suoi assessori non sono ben visti dal nuovo clan emergente dei Giugliano che aveva candidato nelle liste avversarie di sinistra tale Michele Giugliano assessore uscente ai lavori pubblici dell'amministrazione Aprea. La giunta di centro - destra è guidata da Mario Sangiovanni che era stato compagno di giochi del fratello morto del padrino Galasso. Nella giunta è anche assessore l'imprenditore Vorraro che aveva denunciato i camorristi che tentavano di estorcergli il pizzo. Il sindaco Sangiovanni, poi, aveva


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rifiutato di incontrare il capoclan Giugliano. Anzi, aveva persino solidarizzato e festeggiato con le forze dell'ordine il giorno che il clan Giugliano fu sgominato. Un interrogazione parlamentare attiva la Prefettura di Napoli. Viene inviata una commissione di accesso che riscontra elementi di condizionamento camorrista che consisterebbero in omessi controlli mai definiti che avrebbero prodotto effetti devastanti sulla gestione finanziaria del comune. Inoltre a Poggiomarino ci sarebbe stato un tale degrado nel consiglio comunale da ingenerare diffusa sfiducia nella legge e nelle istituzione da parte dei cittadini. Accuse generiche che trasformano un assessore che aveva denunciato i suoi estorsori in un colluso con la camorra e per eterogenesi dei fini il candidato del clan Giugliano, in un difensore della legalità. Naturalmente tutte le imprese sospettate di collusione con la camorra che lavorarono per il comune di Poggiomarino che in molti casi erano state scelte dalla precedente gestione commissariale continuano tranquillamente a lavorare per il comune.
In molti comuni campani si ricorre al sistema delle società miste per aggirare le normative sugli appalti dei servizi pubblici. Un esempio viene dalla società mista ACSE, costituita con un capitale sociale di 2 miliardi che gestisce i servizi del comune di Scafati.
L'idea è stata del sindaco Nicola Pesce. E non a caso la delibera di affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti fu affidata all'ACSE precipitosamente il 31 dicembre 1999. Tanta fretta del sindaco della maggioranza era motivata dal fatto che dal primo gennaio non sarebbe stato più possibile l'affidamento diretto alle cosiddette società miste dei servizi comunali.
Ma in cosa consiste in realtà l'aggiramento delle normative vigenti nel caso dell'ACSE ? È presto detto: le società miste come l'ACSE affidano direttamente gli appalti mediante la costituzione di società di scopo con i privati. In questo modo vengono aggirate sia le direttive comunitarie che le disposizioni sull'evidenza pubblica degli appalti.
È chiaro che nelle aree inquinate dalla presenza massiccia di un diffuso tessuto imprenditoriale camorrista, questi sistemi aggirano e vanificano tutte le normative sulla trasparenza degli appalti pubblici. Fino ad ora da parte delle istituzioni non si è sviluppata nessuna seria azione di prevenzione e di controllo.
Sempre nell'agro sarnese - nocerino alle tradizionali truffe ai danni dello Stato ordite dalla camorra nel campo dell'industria conserviera, si è aggiunta la presenza di un nuovo modello di imprenditoria che drena decine di miliardi di finanziamenti pubblici per alimentare fabbriche virtuali.
È il caso dell'ex ALCATEL di Scafati. La vicenda di questa fabbrica è emblematica : nel 1996 l'ALCATEL riceve un finanziamento di 10 miliardi dal Ministero dell'Industria con l'obbligo di convertire la preesistenza industriale nel giro di 4 anni. Un anno dopo lo stabilimento ALCATEL chiude e i 180 operai sono licenziati.
Creata la situazione di emergenza, viene stipulato un accordo con la condivisione dei sindacati e dei politici locali, con il quale all'ALCATEL subentrava la COPMES SUD s.r.l. del dottor Paolo Artioli. Un faccendiere già dichiarato fallito in Lombardia e già coinvolto nella sospetta privatizzazione della SME. Artioli, dopo un anno e mezzo di


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attività produttiva virtuale, tanto è vero che la Guardia di Finanza ha accertato che con un giro di fatture false utilizzava i fondi regionali senza produrre alcun che, è stato arrestato unitamente a tutto il Consiglio di Amministrazione.
Dalla vicenda ACSE e da quella COPMES emerge il quadro di un nuovo sistema di drenaggio delle risorse pubbliche che spesso è inquinato da presenze truffaldine e da interessi della camorra imprenditrice.


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