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1. Ricognizione problematica
I sopralluoghi effettuati in Campania, le numerosissime e dense audizioni di figure istituzionali e di esponenti della società civile, i numerosissimi documenti inviati alla Commissione o da questa acquisiti nel corso del sopralluogo, le relazioni dedicate alla camorra dalla Commissione antimafia delle precedenti legislature, una letteratura scientifica e una pubblicistica spesso di alto livello ci forniscono un quadro estremamente ricco ed articolato del fenomeno.
La sua rilevanza quantitativa, i suoi tratti caratterizzanti, il contesto socio-economico e quello culturale sono stati già indicati in maniera necessariamente concisa, ma non per questo, si ritiene, generico.
Nella parte dedicata ai Quadri analitici si sono individuati specificità, settori e ambiti particolari di attività delle organizzazioni camorristiche, quali il commercio della droga, il contrabbando, le estorsioni, l'usura, il traffico di armi, le cave, i rifiuti tossici e le discariche, la prostituzione, i lavori pubblici e le altre forme di finanziamento pubblico, le altre forme emergenti di attività camorristica.
Specifico impegno analitico è stato dedicato alla camorra imprenditrice, anche in connessione all'intreccio camorra, politica e affari, al nesso camorra - Pubblica amministrazione e camorra - appartenenti a organismi istituzionali che a volte ha appannato gravemente l'immagine di organismi che nel loro complesso svolgono rigorosamente i propri compiti, ma che in alcuni casi presentano infiltrazioni di esponenti del mondo camorristico, di cui si è già sottolineata l'onnipervasività, gravissime collusioni o, altre volte, fortissimi sospetti di collusioni con esso. La camorra si articola come forza criminale in alcuni dei settori più rilevanti della società campana e come criminalità che tende ad invadere quasi tutti gli ambiti della vita quotidiana. Anche a questa criminalità - meno appariscente, ma non per questo meno dannosa e devastante - è stata dedicata specifica attenzione. Come specifica attenzione è stata dedicata al fenomeno della criminalità minorile, che per la sua vastità, le sue implicazioni socioculturali e l'ipoteca che pone sullo sviluppo dei prossimi anni della società campana presenta aspetti drammatici e pone, fra l'altro, il problema di una adeguata strategia.
Una volta delineati, anch'essi a un livello di necessaria generalità, i quadri analitici, si tratta, alla luce della ricognizione problematica compiuta, di impegnarsi a definire alcune essenziali linee di azione e modalità operative, posto che, mai come in questo caso, la conoscenza di una realtà siffatta deve essere finalizzata a enucleare una politica di intervento efficace.
Molte indicazioni sono già state fornite nella parte generale, altre saranno qui fornite a completamento.
1.1 Più indagini
Nel corso della audizioni sono emersi numerosi temi che richiederebbero ulteriori indagini vaste e approfondite, tese ad individuare anche le connessioni tra quell'aspetto specifico e altri del complesso delle attività camorristiche.
Si pensi, a titolo esemplificativo, ai temi delle cave, del riciclaggio del denaro sporco nei quali i metodi escogitati dalla criminalità sono in continua evoluzione; basterà citare, a titolo esemplificativo, le numerose e sospette sottoscrizioni di polizze vita effettuate nella zona del casertano, sicuramente sintomatiche di un tentativo di investire in settori non tradizionali e più difficili da essere aggrediti attraverso gli strumenti giudiziari tradizionali (27).
(27). Il fenomeno in parola risulta segnalato da un'interrogazione parlamentare del 27 settembre 2000, n. 4-31651, primo firmatario l'on. Gatto.
Si pensi, inoltre, ai rifiuti tossici,al traffico delle armi, ai legami tra camorra e appartenenti alla Pubblica amministrazione o ad organismi istituzionali o al mondo della politica.
Non si vuole, con questo, disconoscere la notevole importanza delle indagini svolte in questi ultimi anni delle autorità competenti, rispetto ad anni di notevole inerzia, specie rispetto ad alcuni problemi; confrontata con la rete di complicità e di connivenza, che a volte ha stroncato sul nascere la pure avvertita necessità di indagini approfondite su specifici aspetti di questa realtà campana, avviata, troppo spesso, su un piano di degrado complessivo, l'attività posta in essere dagli organismi inquirenti è stata - nel loro complesso e a parte i casi denunciati, o sui quali si sono sollevate se non altro, preoccupazioni e perplessità - particolarmente meritoria e ha consentito risultati apprezzabili.
Meritoria, dunque, l'attività prevalentemente svolta, ma di fronte alla vastità, alla profondità, all'onnipervasività della camorra, essa si rileva non del tutto sufficiente. Si tratta di dotare gli organismi preposti alle indagini di maggiori energie, di maggiori possibilità finanziarie, di più efficienti strutture, da rendere agili e realmente operanti, rinnovando le attuali dimensioni elefantiache, rimuovendo lentezze burocratiche e quant'altro rende poco produttivo l'apparato burocratico-amministrativo degli organismi di indagine.
Negli ultimi tempi si è operato in tale direzione, ma, se molto è stato fatto, moltissimo resta da fare, specie per quanto attiene al necessario potenziamento delle forze inquirenti proporzionato alla vastità, alla complessità e alla drammaticità del fenomeno che esse devono combattere.
2. Più repressione
Particolare potenziamento devono ricevere anche le forze di polizia, in tutte le loro articolazioni. Una più vasta attività di repressione - che parta dal sistema di diffusa illegalità regnante in Campania e vada dalla microcriminalità (particolarmente diffusa e naturale serbatoio della grande delinquenza) alla camorra - non solo andrà a intaccare in maniera decisiva il mondo del crimine, ma potrà avere una sua notevole funzione pedagogica, mostrando con i fatti, e non soltanto con affermazioni ideologiche, che, nonostante tutto «il delitto non paga».
Dinanzi alla ferocia dei comportamenti camorristici, deve essere fugata, ad avviso della Commissione, qualsiasi riserva o perplessità che, a volte, lo stesso termine «repressione» suscita. Che la repressione da sola non sia sufficiente non significa in alcun modo - dovrebbe essere ovvio ribadirlo - che essa possa essere considerata superflua o, addirittura, dannosa.
3. Più processi
A questa potenziata attività investigativa e repressiva deve correlativamente accompagnarsi una più intensa attività giudiziaria. Anche qui nulla va tolto all'impegno della magistratura giudicante nella celebrazione di processi di camorra. I risultati di tale attività giudiziaria sono certamente significativi ma non si possono passare sotto silenzio i tempi estremamente lunghi dell'attività giurisdizionale con le conseguenti scarcerazioni di imputati spesso detenuti anche per fatti molto gravi.
Tale lunghezza incide notevolmente sulla diffusa convinzione che, stanti così le cose, è estremamente difficile, se non, addirittura, impossibile, ottenere giustizia.
Buona parte delle lentezza dei processi, qui giustamente lamentati è dovuta a insufficienza del personale giudicante e, in genere, di addetti all'apparato giudiziario.
Un potenziamento di tale personale a tutti i livelli avrebbe come risultato la celebrazione più rapida dei processi con tutte le conseguenze positive facilmente intuibili. Un clima di maggiore fiducia nell'Amministrazione della giustizia, nella celerità dei suoi processi può contribuire in maniera rilevante all'instaurazione di un diverso atteggiamento nei confronti della legalità necessario per un mutamento reale della società campana.
In questo senso - malgrado alcune riserve esplicitate dal Procuratore dott. Cordova su alcuni punti specifici, certamente meritevoli di attenzione, in particolare sull'appesantimento degli oneri per le segreterie della Procura a causa dell'obbligo di avviso ex articolo 415 bis c.p.p. e sul rischio di di fatto abolizione dell'ergastolo con il cosiddetto giudizio abbreviato obbligatorio - bisogna plaudire al potenziamento dei riti speciali perseguito dalla recente legge Carotti, che potrebbe favorire una significativa riduzione dei carichi dibattimentali.
4. Più organici delle forze dell'ordine e loro riorganizzazione
Quando si è sottolineata la necessità di un potenziamento delle indagini e di un loro approfondimento con particolare attenzione a
settori e ambiti specifici, si è affermato chiaramente che un potenziamento delle forze dell'ordine è assolutamente necessario.
Tale affermazione viene qui ribadita e perché essa abbia maggiore carica persuasiva si rinvia all'utilità di un raffronto analitico tra presenza delle forze dell'ordine in Campania e dati rapportabili, direttamente o indirettamente, alle attività camorristiche considerate nella loro globalità.
In Campania, come in altre aree del Mezzogiorno, l'impegno delle forze di polizia è stato notevole, nonostante le difficoltà e alcuni avvenimenti di carattere giudiziario che hanno colpito, a volte, appartenenti delle forze di polizia.
In particolare, va salutata positivamente la riorganizzazione dei servizi, soprattutto della polizia di Stato, affinché sul territorio vi fosse maggiore visibilità e un controllo più capillare.
Tale riorganizzazione ha portato al potenziamento, nel limite delle risorse disponibili, dei commissariati, locali, distaccati e sezionali.
Ciò ha permesso di istituire per ogni commissariato una volante nel turno delle 24 ore.
Per quanto riguarda l'attività investigativa, al fine di realizzare sinergie, si sono affiancati sette gruppi di investigazione alla Procura della Repubblica, per poter meglio eliminare i tempi morti esistenti tra la fase investigativa e l'adozione di eventuali provvedimenti restrittivi.
Sul piano delle strutture è stato aperto il polo di Scampia che raggruppa la realtà di Secondigliano e di Scampia.
L'area è notoriamente molto degradata, e sono state perpetrate violente manifestazioni criminose.
Le difficoltà di reperire strutture rende difficile l'apertura della stazione dei Carabinieri nei Quartieri spagnoli di Napoli e di Crispano, mentre sono state aperte quelle di Arzano, Melito, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana e Cercola. Purtroppo ancora non sono funzionanti 24 ore su 24 e l'auspicio è che ciò avvenga nel più breve tempo possibile.
Occorre anche porsi il problema della rotazione dei dirigenti dei commissariati e, più in generale, di tutti gli appartenenti alle forze di polizia.
A tale riguardo, nel corso dell'audizione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Caserta, sono emersi aspetti e problemi di grande interesse che si vogliono qui richiamare.
Ad esempio, il questore di Caserta Mastrolitto, ha rilevato che, «per quanto riguarda la rotazione dei dirigenti dei commissariati, essa è stata effettivamente attuata negli ultimi due anni, tanto è vero che recentemente è andato via anche il dirigente di Aversa, dottor Palmosi, che è stato sostituito dal dottor De Dominici, mentre a Castel Volturno il vecchio dirigente è in questura e gli è stato assegnato dal Ministero un nuovo funzionario: Sessa Aurunca da sette-otto mesi ha avuto assegnato un nuovo dirigente. Pertanto sicuramente vi è un certo avvicendamento. Quello che non c'è è l'avvicendamento del personale dipendente, per problemi di bilancio, amministrativi, sindacali e così via. Questo non si riesce a farlo. Quello che si è riusciti ad ottenere dal 1995, è che, quanto meno, come assegnazione di nuovo personale la provincia di Caserta sta avendo, attraverso continue pressioni, persone che non sono originarie di questa provincia, e questo è un
fatto positivo». Secondo il Questore, «il periodo medio per un dirigente che deve stare in un commissariato di una provincia a rischio come Caserta è intorno ai due anni, non di più, né di meno: un anno serve per capire bene i problemi, un altro anno per incidere. Dopo di che deve 'non guardare più'».
Da tutti i sindaci sentiti nel corso delle audizioni sono arrivate sollecitazioni sulla necessità di rafforzare il controllo del territorio, anche finalizzata a ridurre la microcriminalità che in alcune fasce della città e della provincia napoletana è aumentata vertiginosamente, anche in concomitanza con il regredire di alcune cosche.
Di particolare rilevanza ed interesse si presenta il problema di predisporre forze specializzate e competenti ad affrontare il fenomeno camorra.
L'esperienza operativa ha, infatti, dimostrato come gran parte del carico delle investigazioni gravi su pochi organi (i comandi provinciali dei Carabinieri, le squadre mobili, la Dia) e come molto meno significativo sul punto sia spesso il contributo delle forze locali, che si occupano per lo più della cosiddetta «microdelinquenza».
È un sistema organizzativo - che pur avendo sostanzialmente funzionato - merita qualche riflessione perché potrebbe avere il difetto di sminuire le forze locali che certamente avendo il contatto con il territorio hanno maggiormente a conoscenza le modalità operative delle organizzazioni criminali.
Qualunque, comunque, sarà il modulo investigativo appare indispensabile un adeguato rafforzamento di chi si occuperà di criminalità organizzata.
In questa stessa ottica sarebbe opportuno verificare le modalità attraverso le quali agevolare la condizione materiale degli appartenenti alle forze dell'ordine, prevedendo, ad esempio, in misura più ampia la dotazione di alloggi di servizio.
5. Potenziamento degli organici di magistratura e loro organizzazione ottimale
Analogo discorso va fatto per l'apparato giudiziario, che si trova a dover affrontare in Campania un carico di lavoro enorme, anche e soprattutto per le più volte sottolineate vastità e onnipervasività delle organizzazioni camorristiche.
Tale apparato giudiziario, dunque, va fortemente potenziato in ogni sua parte, dopo un doveroso approfondimento anche di eventuali sacche di inerzia dovute a carenze organizzative.
Una segnalazione di un necessario aumento degli organici e della copertura dei posti vacanti in tal senso va fatta al competente Ministro ed al CSM; le condivisibili titubanze manifestate dall'intera magistratura su eventuali concorsi straordinari per uditori giudiziari e le difficoltà di aumentare l'organico complessivo della magistratura, già superiore a quello di altri Stati europei, impongono una revisione delle circoscrizioni giudiziarie - già cominciata con l'istituzione del giudice
unico - con la eliminazione di Uffici giudiziari inutili o con scarso carico di lavoro.
Se non si può che plaudire in questa ottica alla istituzione di Tribunali in sedi della provincia napoletana - come è già avvenuto per Nola e Torre Annunziata e come sta per avvenire con Giugliano - in quanto essi rappresentano anche dal punto di vista simbolico lo Stato in zone ad alta densità mafiosa, d'altro canto, però, bisogna evitare di creare strutture incapaci di funzionare - fatto che si è ridondato anche sui processi di criminalità organizzata - e dotarle di mezzi e uomini sufficienti ad affrontare i carichi di lavoro.
La creazione del nuovo Tribunale di Giugliano, però, secondo le indicazioni fornite dal Procuratore Cordova avrebbe avuto un effetto di ridurre l'organico della Procura cittadina. È una scelta quella ministeriale che non può non sollevare qualche perplessità se si tiene conto, ad esempio, che è la DDA di Napoli che dovrà farsi carico di seguire i processi in dibattimento in un ulteriore ufficio del distretto, con il rischio di ulteriori sottrazioni di energie alle necessarie indagini.
6. Contrastare la parcellizzazione del territorio
Pur rispettando alcune suddivisioni geografiche quando sono riconosciute utile per una specifica lotta alla criminalità nelle diverse aree, va evitato accuratamente che tale lotta sia di fatto ostacolata o resa più lenta e farraginosa dalla eccessiva parcellizzazione del territorio.
Sollecitazioni nel senso qui indicato sono emerse nel corso delle audizioni. A titolo esemplificativo, il precedente Presidente della Regione Campania, Rastrelli, ha affermato che sarebbe «un grave errore sezionare i problemi della città di Napoli distinguendoli da quelli di un più ampio comprensorio dell'area metropolitana. La stessa conurbazione della città di Napoli, come fatto edificatorio, consente ancora oggi, nonostante tutte le attenzioni, che tre o quattro quartieri centrali di Napoli siano sede di gruppi camorristici organizzati, conosciuti, che non possono essere combattuti sul territorio. E questi presidi si spostano e si collegano con altre strutture, sia quartieri urbani della città di Napoli sia Comuni vicini. Allora bisogna assolutamente rompere questi accerchiamenti, ma non proteggendo questa o quella zona, bensì allargando la sfera di intervento dello Stato a tutto il comprensorio che ha bisogno di questa cura particolare».
Nell'ottica di favorire il più possibile una visione unitaria dei problemi della Regione si muove un condivisibile decreto del Ministro degli Interni che ha creato un coordinamento tra le prefetture con capacità di osmosi di notizie e di informazioni, finalizzata, anche, ad individuare strategie congiunte.
7. Collegamento tra le istituzioni e gli organi dello Stato
Un maggiore collegamento tra istituzioni e organi dello Stato, un coordinamento delle loro attività, pur nel rispetto delle diverse autonomie,
appaiono mezzi indispensabili per una lotta alla criminalità che non sia attenuata di fatto dall'attività sostanzialmente autarchica delle diverse istituzioni.
Il sindaco di Napoli e attuale Presidente della Regione, Bassolino, ha dichiarato, ad esempio, di avvertire da tempo «il bisogno di un maggiore lavoro in comune tra tutte le istituzioni e gli organi dello Stato, ognuno nella sua autonomia e rispettando le altrui autonomie; avere sedi attraverso le quali sia possibile uno scambio di opinioni, di giudizi e di informazioni, quelle che si possono dare nel rispetto delle reciproche autonomie e dei vari ruoli, ma con un più approfondito sforzo di conoscenze». A suo avviso, proprio la Commissione antimafia potrebbe svolgere un ruolo in questo senso «attraverso le sue strutture e i Comitati di lavoro in cui è articolata, con i suoi consulenti e partecipando attivamente a questo notevole sforzo di conoscenza di cui avverte la necessità».
Lo stesso Bassolino, sentito nell'ultimo sopralluogo in veste di Presidente della Regione, ha indicato un ulteriore possibile strumento di collegamento tra le realtà istituzionali e cioè la previsione per legge della partecipazione ai Comitati per l'ordine e la sicurezza dei Procuratori della Repubblica, in modo che alcune strategie di intervento sul territorio - si pensi al tema dell'abusivismo edilizio - possano essere concordate previamente.
8. Sequestri, confische e indicazioni di indirizzo di utilizzo dei beni confiscati
Da tutte le audizioni è venuta una considerazione comune: «i colpi più forti che si possono infliggere alla criminalità organizzata sono proprio quelli di carattere economico e finanziario: se noi riuscissimo a incidere sulla struttura economica della camorra, riusciremmo a raggiungere un risultato importantissimo».
In un documento depositato in Commissione è chiaramente affermato: «L'azione di contrasto verso le mafie se non si basa sull'aggressione ai patrimoni degli appartenenti e dei collusi è destinata al fallimento».
Tali affermazioni sono totalmente condivise dalla Commissione che ritiene che la necessità di un forte impegno teso a incidere radicalmente nella struttura economica della camorra, nella sua dimensione gigantesca debba essere compito prioritario e urgente.
Questa Commissione ha già posto in risalto la necessità di un radicale salto di qualità nell'organizzazione della conoscenza e, quindi, della capacità di prevenire e colpire la cumulazione e il movimento dei capitali mafiosi. Per realizzare tale urgente obiettivo è necessario che siano impegnati, ognuno nell'ambito delle rispettive competenze, l'apparato repressivo dello Stato e le organizzazioni della società civile.
A proporre come primario l'obiettivo conoscenza, non è sufficiente, anche se appare in molti casi e in tante situazioni necessario, invocare la obbligatorietà di indagine sul patrimonio e le attività economiche. Non basta il richiamo, pur doveroso, al cuore della «legge
La Torre» e alla necessità di applicarla e di farne valere tutte le potenzialità.
La conoscenza è imposta dalle trasformazioni che hanno investito la «economia mafiosa», e, soprattutto, dal divario che appare crescente tra le stime che si hanno delle ricchezze criminali e il numero e i valori dei beni mafiosi effettivamente individuati, che, a loro volta, risultano essere di gran lunga più alti rispetto, man mano, a quelli proposti per le misure patrimoniali, a quelli messi sotto sequestro, ed a quelli fatti oggetto di confisca.
I limiti ancora strutturali posti alla conoscenza e le insufficienze quantitative e qualitative delle indagini patrimoniali sono confermati dalla grandissima diffusione, quasi generalizzazione, che ha assunto il sistematico ricorso delle organizzazioni mafiose alla pratica dei prestanome ai quali affidare, o tra i quali frazionare, la titolarità di quote del capitale criminale, e alla pratica della dissimulazione nei movimenti del denaro finalizzata ad occultarne prima di tutto le origini, ma poi anche le provenienze e le destinazioni effettive. A rafforzare queste conferme si aggiungono i dati relativi al prevalere - rispetto al totale (pur non elevato, e insufficiente a rappresentare il movimento reale) - delle operazioni sospette segnalate dagli intermediari creditizi a carico di soggetti che non appaiono in possesso dei requisiti economici adeguati al numero e ai valori dei depositi e o dei conti movimentati, nonché delle operazioni segnalate come carenti di giustificazioni plausibili rispetto a come si presentano i loro autori o ai procedimenti giudiziari pendenti a loro carico.
Sarebbe necessario procedere a un'accurata analisi delle modalità attraverso le quali si è realizzato il sistema creditizio nelle regioni meridionali; tale sistema infatti troppo spesso ha operato concretamente, più che nella direzione dell'agevolazione di un effettivo sviluppo di tali regioni, in quella del sostegno e nel rafforzamento, a volte in piena consapevolezza, della rete economica criminale. Tale specifica indagine si presume potrebbe portare a risultati di notevole interesse. Si rende indispensabile inoltre superare una separazione e una gerarchia tra misure di prevenzione personali e misure di prevenzione patrimoniali, e quella prassi che sembra considerare queste ultime solo come una sorta di appendice delle prime. Dovrebbe istituirsi una reciprocità: come la misura patrimoniale è inconcepibile e impraticabile senza quella personale, così dovrebbe ridursi ogni misura personale che prescinda dal patrimonio, e dovrebbe pertanto essere ab initio scongiurato il pericolo che la scissione tra misura personale e misura patrimoniale si risolva di fatto in una tutela della ricchezza mafiosa e del suo movimento, e, per questa via, in una possibilità di «riproduzione allargata» della famiglia e dell'organizzazione mafiosa stessa, quella possibilità che il mafioso precostituisce ai propri delitti e organizza con cura tanto maggiore quanto più alto si presenta (e viene da sé medesimo messo in conto) il rischio di pagare il delitto con il carcere, per tanti anni e perfino a vita.
È necessario che all'elevamento della capacità di indagine e di controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine si facciano corrispondere le condizioni tecnico materiali e professionali per l'aumento quantitativo e qualitativo della capacità di proposta di misure di prevenzione patrimoniale (a partire dalla riorganizzazione degli
uffici delle Questure deputati alle proposte di misure di prevenzione e alla qualificazione professionale del personale addetto). Il conseguimento di questo obiettivo, e di quello del potenziamento, quantitativo e qualitativo delle DDA, dovrebbe sinergicamente combinarsi con un più forte e sistematico ruolo della DNA, che pur essendo tra i titolari della azione di prevenzione personale, si trova nella paradossale condizione di non potere direttamente e immediatamente tradurre in azione il proprio grande patrimonio di conoscenza internazionale, nazionale e locale aggiornato di continuo. Proprio al soggetto dotato di più input e di maggiori conoscenze e informazioni per ricostruire a unità la mappa quanto mai frastagliata, articolata e mimetizzata del patrimonio di un mafioso, non è ancora formalmente attribuito il potere dell'iniziativa delle misure di prevenzione patrimoniale, e, precisamente, il potere di proposta al Tribunale competente, il medesimo potere di proposta che il Questore e il Pubblico Ministero hanno esercitato e devono continuare ad esercitare.
La sinergia e il concorso non devono fermarsi alla fase della individuazione dei beni mafiosi e della proposta delle misure patrimoniali. Tutti i provvedimenti di sequestro, di confisca eccetera, dovrebbero entrare nella rete delle banche delle forze di polizia e degli organi inquirenti, e poter trovare nel coordinamento e nella promozione della analisi e della elaborazione della DNA una occasione di verifica e di conseguimento di standard di qualità della prevenzione patrimoniale, e, infine, la possibilità di individuare ulteriori campi e di indagine e di prevenzione.
Per quanto attiene, infine, alla gestione delle misure di prevenzione, e, in particolare, all'affidamento dei beni, alla amministrazione giudiziaria dei patrimoni sequestrati, e alla destinazione dei beni confiscati, il salto di qualità che si rende necessario deve essere indirizzato a due obiettivi: contrastare la artificiosa delimitazione o diminuzione dei beni fatti oggetto della misura di prevenzione, impedire che i mafiosi possano surrettiziamente e con altri mezzi riconquistare i beni perduti.
Per quanto riguarda più specificamente l'ambito campano, il Prefetto di Caserta Sottile ha affermato che: « ... ai sequestri e alle confische non provvede soltanto la Guardia di finanza: si tratta di un'azione congiunta di più forze dell'ordine. I dati sono abbastanza confortanti: per quanto riguarda i sequestri dal 1o gennaio sono stati colpiti beni per oltre 21 miliardi (tra cui la famosa villa bunker di 'Sandokan', che è il capo dei Casalesi, un'azienda agricola, due fondi rustici e un appezzamento di terreni con annessi i fabbricati). Proprio recentemente siamo riusciti a dare concretezza alla confisca (istituto su cui si registrano dati confortanti) di due ville dello Zagaria a Casapesenna. Io attribuisco a questa azione una notevole importanza proprio per quella considerazione che ho già fatto prima: se noi riuscissimo a contrastare la camorra proprio sotto il profilo economico, potremmo raggiungere dei risultati molto più importanti rispetto all'arresto o alla detenzione di singoli esponenti di clan».
Nella stessa direzione si sono registrate altre significative dichiarazioni.
Il responsabile della DIA di Napoli, Longo, ha ribadito, ad esempio, come il sequestro di patrimoni serva «a ridurre enormemente
la manodopera delinquenziale che i gruppi camorristici riescono ad assoldare, perché uno dei connotati fondamentali della camorra riguarda la quantità di giovani che riesce a distogliere dalle attività sane e questo succede ovviamente per le note ragioni di disoccupazione e sottoccupazione. Ridurre questi patrimoni certo incide fondamentalmente anche sulla riduzione delle grosse quantità di manodopera illecita di cui dispongono i clan camorristici».
Per quanto riguarda i patrimoni dei collaboratori di giustizia per la Procura della Repubblica il punto di partenza non può che essere costituito dall'esigenza di sottoporre a sequestro e confisca tutte le ricchezze illecite, non venendo certo meno questo connotato di origine del patrimonio di un mafioso per effetto della scelta successiva di collaborare con la giustizia. Anzi, è necessario che importanza e attendibilità della collaborazione trovino traduzione espressiva anche in questo settore, apparendo necessario che le confessioni investano anche questo versante.
Il problema si raccorda inevitabilmente ad altri più generali: uno dei principali limiti dell'efficacia dell'azione di contrasto della criminalità mafiosa è senza dubbio rappresentato dalla sua tendenza a svolgersi sul piano, per così dire, militare, della ricostruzione delle strutture e delle condotte rilevanti all'accertamento delle responsabilità per i più gravi delitti di omicidio e similia, con il rischio della perdurante impunità delle forze criminali più sofisticate e pronte alla rigenerazione, che sono appunto quelle operanti nel settore del riciclaggio e del reinvestimento dei capitali mafiosi.
Alcune condizioni normative favoriscono obiettivamente la persistente attitudine alla riproduzione di questo grave limite all'azione di contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata.
Queste condizioni risiedono nella complessiva inettitudine dell'attuale normativa in tema di interventi ablativi processuali, siano essi interni al processo ovvero operanti nella parallela via della procedura di prevenzione.
Il quadro normativo prodotto dall'articolo 12 sexies l. 152/1991 si è risolto nella sovrapposizione dello strumento del sequestro preventivo e della confisca penale a quello dei corrispondenti strumenti di prevenzione, all'interno in una gara di inefficienza.
Nessuna delle due procedure, infatti, funziona.
Il meccanismo del sequestro e della confisca nel processo penale non funziona perché il processo dura troppo a lungo, esige la condanna dell'imputato, non consente di affrontare adeguatamente i problemi della amministrazione dei beni sequestrati.
Il sistema della prevenzione - all'interno del quale dovrebbe ricondursi l'intera rete di misure tendenti all'aggressione dei patrimoni mafiosi, se non altro per liberare il diritto penale e il processo dalle questioni patrimoniali e da meccanismi probatori fondati sulla parziale inversione dell'onere probatorio - è legarlo al labile presupposto della pericolosità sociale e a procedure in fondo farraginose.
Le misure di prevenzione patrimoniali, in altri termini, scontano le difficoltà connesse alla dipendenza delle medesime dal presupposto della pericolosità sociale e dell'accertamento preventivo di esse ai fini dell'applicazione delle misure personali.
In via del tutto generale e astratta, sembra contraddittorio, dal punto di vista della coerenza del sistema, concedere l'attenuante della dissociazione e insieme asserire, nella parallela procedura di prevenzione, che il medesimo soggetto è ancora indiziato di appartenenza alla organizzazione dalla quale, nel processo, si è accertata la dissociazione.
Qui non è in rilievo l'autonomia degli oggetti e delle finalità delle due procedure, poiché l'accertamento di pericolosità sociale richiesto a fini preventivi si risolve nel giudizio di inaffidabilità del soggetto dichiarante sul versante della asserita, ma anche processualmente verificata, rottura dei vecchi vincoli di solidarietà criminale.
Di questa intima contraddittorietà, volendo, si ritrova traccia anche nelle proposte di legge che prevedono la scrittura di un articolo 3 quinquies della legge 575/1965, introducendo per tale via una norma che preveda appunto che le misure di prevenzione patrimoniale si applichino nei confronti dei collaboratori anche in difetto delle condizioni per applicare le misure di prevenzione personali.
Alcune significative pronunce della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite - peraltro confermative di proposte giurisprudenziali napoletane formate nelle importanti procedure preventive Nuvoletta e Zaza - hanno affermato il principio secondo il quale la misura di prevenzione patrimoniale della confisca ha naturale autonomia di intervento rispetto a quella personale e prescinde totalmente dalle vicende concernenti la pericolosità sociale, essendo finalizzata all'ablazione di beni intrinsecamente criminosi.
La complessità dei riferimenti normativi e teorici della materia - oggetto anche di esame da parte della giurisprudenza costituzionale - esige considerazioni più ampie, ma è chiaro che l'accennato inquadramento sistematico vale in sé a indicare una prospettiva di innovazione normativa - la recisione del nesso di pregiudizialità dell'accertamento del requisito dell'attuale pericolosità sociale rispetto all'adozione dei provvedimenti cautelari e ablativi - idonea a dare valida e coerente base di soluzione anche al problema del sequestro dei beni di formazione illecita dei collaboratori.
Parimenti, appare necessario rappresentare un'altra grave condizione di crisi di razionalità dell'attuale legislazione in punto di legittimazione in tema di attivazione della procedura.
L'attuale assetto normativo assegna legittimazione a formulare proposte di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali - oltre che al Questore e al Procuratore nazionale antimafia - al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel circondario del quale risiede l'indiziato.
Per effetto della istituzione delle Direzioni distrettuali antimafia e dell'attribuzione alle medesime della competenza funzionale a trattare le indagini per i delitti di cui all'articolo 51, terzo comma bis c.p.p., si è realizzata la concentrazione in capo alle Procure distrettuali delle indagini in materia di criminalità mafiosa, senza tuttavia accompagnare tale riforma con l'estensione dell'ambito territoriale della competenza in materia di misure di prevenzione, con obiettiva perdita di efficienza e funzionalità del sistema di prevenzione, soltanto parzialmente alimentato dalle conoscenze che si formano sul piano delle indagini e dei processi per i delitti di mafia.
Proposte di modifica normativa sono state proposte anche nella passata legislatura, ma non risultano essere state prese in considerazione nei lavori parlamentari. Va, però, segnalata l'istituzione presso il Ministero della Giustizia di una Commissione di Studio presieduta dal prof. Fiandaca che si sta specificamente occupando di riscrivere il testo normativo delle misure di prevenzione, evitando incongruenze e cercando di eliminare incertezze normative che hanno inciso sull'applicabilità degli istituti.
Strettamente connesso con il tema in esame è quello della destinazione dei patrimoni mafiosi confiscati.
L'orientamento della Commissione è chiaro: intanto il bene potrà considerarsi definitivamente espropriato in quanto esso sia stato destinato ad altro fine, possibilmente a quello sociale.
Il significato simbolico di insediare una caserma dei carabinieri o una scuola in un immobile già appartenuto a un camorrista è fin troppo evidente; si tratta, quindi, della strada che necessariamente va perseguita, raccomandando alle Prefetture e agli enti locali di evitare depauperamenti di beni che anche sotto il profilo dell'immagine danneggiano notevolmente la lotta alla camorra.
Di questo aspetto ha a lungo parlato il Procuratore nazionale Antimafia Vigna nella sua audizione del 26 settembre 2000. In particolare il dott. Vigna ha posto in rilievo - e la proposta pare condivisibile - come si potrebbe - al fine di evitare un depauperamento dei beni ed un possibile tentativo della criminalità di riappropriarsi dei beni sequestrati - effettuare fin dal momento del sequestro un'assegnazione provvisoria ad enti pubblici o ad altre organizzazioni.
9. Coinvolgimento della figura del Sindaco
Il nuovo sistema elettorale introdotto con la legge relativa all'elezione diretta dei sindaci ha restituito un protagonismo che ha fatto superare la fase «vittimistica» di cui spesso i sindaci si erano fatti paladini.
Le nuove amministrazioni conoscono i pregi della stabilità e il superamento di quella fase storica che aveva portato le amministrazioni comunali a una vita media di pochi mesi che impediva di fatto qualsiasi lavoro di lunga durata.
Rafforzati da tale stabilità, numerosi sindaci si sentono sempre più impegnati sul fronte della sicurezza e del contrasto alle varie forme di criminalità.
Il sindaco, oggi, è posto su un piano diverso di rappresentatività e di difesa di interessi diffusi ed è quindi evidente che il sindaco si senta partecipe nel soddisfare il bisogno di sicurezza.
Lo Stato sta ridefinendo gli equilibri di potere e, senza alterare le competenze del livello nazionale sul tema della sicurezza, è certo che i sindaci debbano concorrere a definire le politiche della sicurezza. È ormai consolidata la prassi della presenza dei sindaci, almeno quelli
dei capoluoghi di provincia, all'interno dei Comitati provinciali dell'ordine e della sicurezza pubblica.
L'impegno di molti sindaci per il reperimento di stabili da adibire a caserme per l'Arma dei carabinieri o per commissariati è costante; è chiara la volontà di ricercare forme nuove di «presenza» e di ruolo del sindaco nella definizione delle politiche della sicurezza.
Tutto ciò viene sottolineato, senza, d'altro canto, cedere alla suggestione di una figura di sindaco particolarmente forte, dotato di poteri straordinari, assimilabile, quasi, a una sorta di «sceriffo». Si tratta di trovare, anche in questo caso, un giusto equilibrio tra l'esigenza di un maggiore coinvolgimento della figura del sindaco nella lotta alla criminalità e quella di non attenuare tutte le altre funzioni di gestione dei bisogni e delle risorse della comunità che gli vengono attribuite dall'attuale legislazione.
10. Normalità e straordinarietà di provvedimenti anticamorra. La riorganizzazione della legislazione esistente e provvedimenti legislativi e amministrativi specifici
Le complesse esigenze di una efficace lotta alla camorra richiedono provvedimenti di carattere ordinario e, con dichiarata temporaneità, di carattere straordinario.
Tra questi ultimi, va, ad esempio, ricordato l'impiego dell'esercito a Napoli, provvedimento in più occasioni utilizzato proprio perché ritenuto anche simbolicamente utile.
La scelta, infatti, di impiegare l'esercito, che per sua natura ha professionalità e competenze diverse dagli operatori di polizia, è scaturita dal forte allarme sociale e dalla convinzione di dover fornire una risposta immediata e temporanea, liberando le forze di polizia da compiti di vigilanza.
In questa stessa ottica va ritenuto positivo il recentissimo provvedimento chiamato «Operazione Golfo» - con l'invio da parte del Ministro degli Interni di 500 agenti, fra cui 50 paracadutisti dei carabinieri - che ha certamente il merito di richiamare l'attenzione sulla difficile situazione dell'ordine pubblico nel napoletano.
Ma la lotta alla camorra richiede, d'altro canto, stabilità di normative ed indirizzi precisi.
Non può certo essere considerato positivo il dato, al di là di ogni considerazione di merito, che siano mutate più volte nel corso degli ultimi anni le norme sulla valutazione della prova, per effetto di leggi, di sentenze della Corte costituzionale o di ulteriori interventi normativi. Ci si riferisce in particolare ai problemi connessi all'articolo 513 c.p.p., norma la cui ulteriore, e si spera definitiva riscrittura, appare indispensabile dopo la modifica dell'articolo 111 della Cost..
Ugualmente indispensabile ed urgente è la revisione della normativa sui collaboratori di giustizia - che, pur tenendo conto, al fine di sterilizzarli, dei rischi di un possibile uso indebito - sia da un lato maggiormente adeguata a quelle che sono apparse le emergenze pratiche e dall'altro che non appaia eccessivamente punitiva per un istituto che tutto sommato ha dato buona prova di sé.
Si è già detto della indispensabilità di una riorganizzazione della normativa sulle misure di prevenzione e della opportunità che diventi «a regime» l'istituto dell'articolo 41 bis ord. pen., qui va richiamata l'attenzione su una distorsione che si sta verificando in tutte le regioni meridionali, relativa all'utilizzo della legge sul cosiddetto gratuito patrocinio.
La normativa così come strutturata - in particolare con l'assenza di possibili controlli preventivi a mezzo della guardia di finanza - si sta prestando ad un uso pericoloso e strumentale; invece di favorire coloro che per necessità non possono dotarsi delle difese di fiducia sta diventando il modo attraverso cui i boss pagano - o contribuiscono a pagare - i propri avvocati.
La Commissione segnala il dato al Governo perchè intervenga con urgenza al riguardo ponendo in risalto come possibili direttrici di riforma da un lato la necessità di controlli anche preventivi sui requisiti di reddito, quantomeno per gli imputati di alcuni reati, e dall'altro la creazione di un albo specifico dei difensori del gratuito patrocinio, impedendo la scelta da parte del soggetto e il pagamento da parte dello Stato.
La Commissione ha già avuto modo di sottolineare come le grandi potenzialità offerte per tutti questi anni dalla legge Mancino non risulti che siano state effettivamente riconosciute, valorizzate e messe in atto. Se le iniziative della magistratura e delle forze dell'ordine che pure sono riuscite a determinare successi rilevanti, e prima impensabili, contro la 'ndrangheta, si fossero combinate, e tuttora si combinassero, con la applicazione diffusa della legge Mancino, ne avrebbero certamente attinto, e potrebbero tuttora ricavarne, non solo ulteriori riscontri, ma l'indicazione dei campi e delle connessioni assai più vaste delle azioni criminali e delle cosche individuate e colpite dai processi. Lo stesso controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine e delle istituzioni avrebbe potuto, e potrebbe, scoprire chiavi sconosciute, e trovare nuovi e più efficaci presidii nella mappa dei movimenti della proprietà e dell'economia che la legge Mancino consente di costruire e di aggiornare in tempo reale.
Anche la segnalazione delle operazioni sospette dovrebbe poter offrire opportunità e strumenti grandi di conoscenza e di azione, soprattutto se i suoi dati venissero trattati attraverso una lettura incrociata con altri indicatori. Si tratta, tuttavia, di una necessità e di una possibilità tuttora contraddette da una larga disapplicazione della legge
Occorre elaborare inoltre procedimenti specifici perché sia impedita l'utilizzazione anche parziale da parte della camorra dei grandi investimenti pubblici e dei nuovi strumenti finanziari della politica di sviluppo.
Come questa Commissione ha già avuto modo di affermare occorre definire con la massima decisione e mettere efficacemente in atto i contenuti e le procedure di una politica razionale di prevenzione.
Appaiono indispensabili a tal fine:
- la concreta organizzazione degli interventi atti a prevenire e a impedire l'intercettazione camorristica delle risorse finanziarie relative ai grandi investimenti pubblici e ai nuovi strumenti della programmazione negoziata e della politica di sviluppo;
- l'uso incrociato, o la combinazione, di controllo del territorio, indagini patrimoniali, valutazione delle segnalazioni delle operazioni sospette, applicazione effettiva della legge Mancino e dell'informatizzazione e uso delle relative rilevazioni dei movimenti economici;
- il concreto superamento di ogni contraddizione tra l'assoluta esigenza di rendere più semplici e veloci le procedure di accesso delle imprese e il necessario controllo dei requisiti delle imprese contro infiltrazioni, taglieggiamenti o condizionamenti camorristici.
Sia da parte dei Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, sia da parte dei «protocolli di legalità» tra istituzioni, associazioni degli imprenditori e sindacati, non ci si può in alcun modo attestare sul pur necessario intervento sulle attività di cantiere.
È stato già sottolineato da questa Commissione che la politica multilaterale di prevenzione che si rende indispensabile per queste risorse da salvare, e attribuiti a diversi soggetti pubblici, richiede il concorso organizzato di forze e istituzioni locali, regionali e nazionali, il raccordo fra i diversi livelli di governo, la concertazione, l'organizzazione della trasparenza e la pubblicità degli atti e delle verifiche dei risultati.
Particolare attenzione dovrà essere rivolta, inoltre, agli appalti, anche organizzando specifici osservatori sugli appalti in rete nazionale e regionale. Ciò richiede che gli atti specifici sui bandi, procedure e aggiudicazioni di gara, contratti e convenzioni, sui rapporti tra concedente e concessionario, sui cantieri non siano ritenuti autosufficienti e non siano separati dagli atti connessi ai vari campi della intercettazione mafiosa del denaro pubblico.
Come la Commissione ha già chiaramente affermato è necessario verificare e rimuovere le condizioni per le quali:
- le prefetture non dispongono delle informazioni necessarie e possibili sui soggetti che partecipano alle gare e non sono pienamente in grado di rispondere alle «riservate» dei sindaci. questi soggetti possono avvalersi dell'attestato e delle credenziali di una prefettura dopo che altra prefettura l'ha loro negato (cfr. la circostanza è emersa nell'incontro con il comitato dell'ordine e della sicurezza pubblica a Catania).
- si rende perfino possibile il caso di un nulla osta antimafia rilasciato dalla Camera di Commercio ad una impresa dopo che i suoi titolari sono stati arrestati per associazione mafiosa.
È necessario, inoltre, eliminare le disfunzioni del CED e superarne la inadeguatezza dei flussi informativi.
Se è rilevante la innovazione che si è introdotta con il prescrivere alle imprese partecipanti a gara l'attestato di una società di certificazione, deve tuttavia essere rimarcato come essa non sia affatto sufficiente a far vedere a chi davvero appartenga il capitale dei medesimi partecipanti a gara, e come dovrebbe essere comunque soddisfatta l'esigenza di conoscere proprio questo, p. es. con il dare alla società di certificazione l'accesso e la partecipazione alla vita dell'impresa o con l'indurre o incentivare l'impresa medesima a sottoporsi a
un esame interno. A questo rilievo si ritiene necessario aggiungere una indicazione su come organizzare il monitoraggio generale che la legge Merloni prescrive sulla struttura delle imprese e la certificazione di qualità: in essi dovrebbero essere citate tutte le partecipazioni avute dall'impresa ad associazioni temporanee di imprese, e le imprese alle quali sono stati affidati subappalti. Ciò al fine di conoscere quanti e quali casi si siano verificati di associazione con ditte (e o di affidamento di subappalti ad aziende) che risultino essere state della mafia o inquinate dalla criminalità organizzata, e di derivarne determinazioni coerenti nella attribuzione del punteggio e nella valutazione della stessa praticabilità di ulteriori affidamenti di lavori pubblici.
L'insieme di queste misure si può rivelare assai utile alla tutela della libertà e della autonomia delle imprese e della loro capacità di resistere ad ogni pressione o condizionamento della mafia : ad evitare il riprodursi delle difficoltà e dei danni gravi subiti dall'imprenditore onesto ed efficiente per il rapporto istituito in «associazione temporanea di imprese» con società mafiose o inquinate dalla mafia (senza che questi lo sappia o essendo vittima di «costrizione» da parte loro), perché non verificare l'opportunità di estendere gli «accessi», di prevedere per i «consorzi» di imprese ora previsti dalla legge Merloni che la singola impresa abbia il diritto-dovere di accesso alle informazioni che i sindaci o altre stazioni appaltanti chiedono anche in via riservata alla prefettura e il dovere per la prefettura di rispondere a tale istanza, nei limiti, ovviamente, legati all'imperativo di non rivelare contenuti e circostanze di indagini ancora in corso?
Ulteriori considerazioni si rendono necessarie contro il difetto di trasparenza e la carenza dei controlli.
La prefettura, attraverso l'organizzazione della apposita unità preposta, dovrebbe effettuare i controlli - innanzitutto quelli preventivi, ma senza fermarsi ad essi - oggetto della specifica delega (DM 23 dicembre 1992) già in capo all'Alto commissario antimafia.
È poi indispensabile elevare al massimo il tasso di trasparenza degli atti amministrativi e dei dati contabili al fine di assicurare la massima e più veloce possibilità di verifica di tutte le operazioni economiche e finanziarie connesse alla realizzazione dell'opera pubblica. Dovrà in tal modo esser reso possibile ripercorrere contabilmente i flussi finanziari, il che evidenzia l'opportunità di rendere obbligatoria l'utilizzazione di forme di pagamento attraverso banche.
Il sistema della trasparenza documentale dovrà in ogni caso integrarsi con una metodologia di intervento e di controlli all'interno dei cantieri da parte non delle sole stazioni appaltanti bensì delle diverse istituzioni pubbliche interessate alla verifica anche di singoli elementi e circostanze. E ciò non solo in forza degli eventuali ed auspicabili «protocolli di legalità» e attraverso l'azione di quanti ne siano stati i soggetti contraenti, ma prima di tutto nell'ambito del coordinamento che la normativa vigente vorrebbe affidato ai prefetti e in particolare a quel Comitato provinciale della pubblica amministrazione (articolo 17 legge 12 luglio 1991, n.203) che non risulta essere funzionante. Un ruolo convergente deve essere esercitato dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti che si rende necessario utilizzino le possibilità loro date dalla legge di effettuare anche a mezzo della Guardia di finanza mediante ispezioni e accertamenti diretti presso le
pubbliche amministrazioni e i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a destinazione vincolata (l. 203/1991, articolo 16, comma 3).
Si rende, infine, opportuno che tra le istituzioni preposte alla applicazione della legge Merloni, la Direzione nazionale antimafia e le Direzioni distrettuali antimafia, la DIA, i Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, i comandi delle tre forze preposte alle attività di indagine e di prevenzione antimafia, il servizio antiriciclaggio dell'Ufficio italiano dei cambi, si elabori un programma comune e coordinato sulla attuazione della legge Merloni
11. Snellimento burocratico e trasparenza amministrativa
La necessità di avviare uno snellimento e una accelerazione delle procedure amministrative è un'esigenza generale per evitare che il cittadino veda la pubblica burocrazia come una ostacolo allo sviluppo ed al miglioramento sociale.
Indicativo di tale esigenza è quanto affermato, ad esempio, dal Presidente della provincia di Napoli, Lamberti, secondo cui «occorre tentare di velocizzare le procedure di spesa delle amministrazioni locali, anche attraverso il ricorso alla somma urgenza per opere con finalità di interesse pubblico; non si riesce a riparare o a costruire una strada o una scuola se non dopo mesi, qualche volta anche superandoli. Naturalmente la gente non capisce per quale motivo, se c'è una scuola in condizioni di inagibilità, ci voglia tanto tempo per intervenire, e questo non dà credibilità alle amministrazioni pubbliche. Altro aspetto importante è quello della semplificazione delle procedure per l'attuazione degli interessanti strumenti che sono stati messi in campo; mi riferisco ai patti territoriali e ai contratti di area, strumenti di grande interesse che hanno sollevato aspettative e fatto nascere speranze negli imprenditori e nei giovani. In realtà si tratta di strumenti in alcuni casi farraginosi e che comunque hanno tempi troppo lunghi di attuazione e di messa in opera»
Se non vi è dubbio che una burocrazia lenta e cavillosa è essa stessa causa di possibili illegalità, corruttele ed abusi e non risponde alle esigenze della moderna società, è, però, anche vero che uno snellimento burocratico eccessivo - come può essere quello della riduzione dell'iter dei controlli sulla scelta del contraente nei pubblici appalti - non accompagnato dalla necessaria trasparenza dei meccanismi amministrativi rischia esso stesso, con l'affievolimento dei controlli, di dare spazio alla criminalità organizzata ed ai soggetti che a questa si ricollegano.
Mettere insieme le due esigenze può apparire impossibile come una quadratura del cerchio, mentre in realtà deve essere la scommessa con cui si deve misurare uno stato moderno ed efficiente.
In questa direttrice si sono mossi, ad esempio, le riforme divenute note con il nome del suo più strenuo propugnatore - le cosiddette Bassanini -, certamente utili per favorire lo snellimento burocratico e tendenzialmente capaci di attuare la trasparenza dell'attività amministrativa.
La raccomandazione della Commissione è quella di operare di qui a qualche tempo una attenta verifica sui rischi che la deregulation possa essere essa stessa utilizzata dalla criminalità per permeare l'economia cosiddetta legale; ci si riferisce, ad esempio, al rischio che può correre il settore del commercio con l'eliminazione delle autorizzazioni o quello degli appalti con la riduzione dello spazio di operatività della certificazione antimafia.
Sul punto, anzi, il sistema degli appalti certamente merita qualche modifica, visto che gli operatori pratici hanno rilevato come troppo spesso i controlli possano essere facilmente aggirati. Sul punto, infatti, appare interessante l'analisi del Sindaco di Castellammare di Stabia, Catello Polito: «il problema degli appalti è quello delle regole di trasparenza nel bandire la gare, nel rispettare le leggi dello Stato per quanto riguarda la qualità delle ditte che possono partecipare. Ma cosa si verifica purtroppo sul nostro territorio? Se si arresta per collusione con la camorra o si mette sotto inchiesta il titolare di una ditta, immediatamente egli mette al suo posto la figlia, il nipote o lo zio e ciò crea problemi. Ad esempio, in occasione di un appalto, che alla fine ho dovuto revocare, al momento della vincita la ditta aveva come titolare una persona, ma al momento di avviare la prestazione del servizio ne aveva un'altra. Abbiamo fatto un ricorso durato un anno e mezzo e non le abbiamo dato l'appalto. Il vero problema è che la normativa da questo punto di vista dovrebbe essere più flessibile e consentire al sindaco, dietro sua responsabilità, di invitare o meno le ditte non solo sulla base della regolarità dei documenti ma anche tenendo conto di altri elementi; ad esempio nella regione Calabria un'azienda ha fatto ricorso al TAR, vincendolo, perché sulla base di una segnalazione riservata fatta dalla prefettura tale ditta non era stata invitata in quanto in odore di mafia, altro caso è quello della ditta di Castellammare di Stabia che ha vinto il ricorso contro il comune. Esiste quindi un'imperfezione nella legge».
12. Riorganizzazione dell'istituto dello scioglimento dei consigli comunali e organizzazione di strutture per il funzionamento ottimale dei commissari straordinari
Data la sua oggettiva importanza, occorre ritornare nell'istituto dello scioglimento dei consigli comunali, del quale abbiamo già posto in risalto alcuni limiti e ombre.
Su tali limiti e ombre sono stati registrati, nel corso delle audizioni, numerosi interventi.
Ad esempio, il presidente della provincia di Napoli, Lamberti, ha sottolineato che «le iniziative di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni camorristiche in realtà hanno avuto scarso risultato; sono stati mandati a casa coloro che erano stati eletti dal popolo. In quelle aree si è avuta una caduta di democrazia [...], anche perché ciò è stato fatto in maniera indiscriminata, colpendo sia chi governava sia chi era all'opposizione, ma non si sono intaccate le macchine amministrative, le macchine comunali. In realtà in molte amministrazioni non si sono colpite le situazioni reali di Governo per le decisioni circa i tempi, circa ciò che si fa e ciò che non si fa; e d'altronde chi ha fatto l'amministratore
sa bene come funziona il rapporto tra il politico e l'amministratore, tra i dirigenti, i funzionari e il resto della macchina».
L'affermazione pienamente condivisibile impone un ripensamento dei limiti di applicazione della normativa sullo scioglimento dei consigli comunali; ben si potrebbe, infatti, prevedere accanto ad essa la possibilità di intervenire direttamente sulla macchina burocratica, in quei casi nei quali i rapporti di connivenza dovessero riguardare questo specifico settore della vita comunale.
Il sindaco di Ercolano, professoressa Luisa Bossa ha espresso il suo convincimento: «che i commissari straordinari servano, perché con il commissariamento c'è un'interruzione, quanto meno, di un percorso che tante volte può essere di connivenze, di organicità, di corresponsabilità. Servono, quindi, però .... se funzionano. Le porto l'esempio del mio comune, parlo delle cose che so. Ad Ercolano la commissione straordinaria è stata insediata per due anni e mezzo: un vice questore e due vice prefetti. La convenzione con l'Acquedotto vesuviano, scaduta dal 1977, non è stata portata a compimento, la stiamo facendo noi. Trasporti funebri: la convenzione è scaduta dal 1989, silenzio assoluto; e da noi un funerale costa anche cinque milioni. Alloggi popolari, da oltre dieci anni sono fermi, vandalizzati: anche lì niente. Con i poteri che ha un commissario straordinario, non intervenire su questo cose lo trovo osceno.
La Commissione prefettizia che amministra i comuni si trova, in sostanza, di fronte a una situazione difficile. Attualmente la normativa prevede la rimozione dei soli amministratori e non anche del personale. È stato fatto notare che spesso sono gli apparati burocratici quelli che mantengono livelli di collusione notevoli, anche a causa della pressione e delle intimidazioni che ricevono.
Tale situazione vanifica l'impegno, a volte notevole, dei commissari, i quali sono costretti a svolgere il loro lavoro congiuntamente alle «competenze tradizionali» derivanti dal loro ufficio. I commissari propongono da tempo l'opportunità di prevedere la mobilità del personale non solo all'interno degli uffici, al fine proprio di accompagnare lo scioglimento del Consiglio con la «rimozione» dell' «apparato» che alcune volte è stato concausa della collusione con le associazioni camorristiche. Esiste un problema di professionalità, di boicottaggio dell'opera dei commissari.
È evidente che tale opportunità dovrebbe essere accompagnata da una maggiore possibilità di ricorso a professionisti esterni, anche attraverso incentivi economici, al fine di poterli sovraordinare al personale degli uffici.
I commissari straordinari segnalano, inoltre, un alto livello di solitudine e di limiti ai loro poteri e reali difficoltà dovute ai limiti della normativa a partire dalla impossibilità di avvalersi dell'Avvocatura, di insufficienze delle norme sugli appalti che non permettono affidamenti con trattative private.
D'altro canto, numerosi Sindaci eletti dopo la gestione commissariale hanno sottolineato la condizione di sostanziale paralisi nella quale hanno trovato il comune, i cui molteplici problemi non sono stati avviati a soluzione durante la gestione commissariale.
Andrebbe, di conseguenza, attentamente verificato se le decisioni e i comportamenti degli organismi preposti all'amministrazione dei
comuni, successivamente allo scioglimento dei rispettivi consigli comunali, non abbiano di fatto continuato a privilegiare proprio quei clan e quegli ambienti con i quali gli stessi consigli disciolti intrattenevano rapporti che si è ritenuto di troncare, così andrebbe monitorata l'attività degli organismi comunali una volta ripresa la gestione ordinaria, per evitare che i contatti ed i rapporti vengano ripresi dai nuovi amministratori.
Quest'ultima è una preoccupazione certamente reale se si ricorda quanto già sottolineato sopra che ben cinque comuni della provincia casertana sono stati sciolti due volte.
13. Potenziamento del tessuto economico
Nel corso di più audizioni è stato affermato il concetto per il quale «i risultati della lotta contro la Camorra indubbiamente ci sono; le forze dell'ordine fanno appieno il loro dovere, ma per sconfiggere la camorra deve esserci una forza che viene dal basso, dalla stessa popolazione; è una frase consumata, abusata, ma sempre attuale; senza questa rivolta delle coscienze qualsiasi sforzo da parte dello Stato, sarà inutile».
È un convincimento, questo, che è anche della Commissione. Si pongono, allora, alcuni problemi di carattere generale, riassumibili essenzialmente nella necessità della instaurazione di un effettivo e stabile sistema economico e di una radicale trasformazione culturale.
Si è consapevoli che richiamare, quando si affronta il problema della camorra, il tema delle difficili condizioni socio-economiche della Campania appare estremamente banale e forma quasi retorica, priva di qualsiasi carica di persuasività.
Nella nostra temperie culturale, il riferimento all'economia costituisce un luogo comune talmente abusato da suscitare immediatamente una reazione di rigetto. Occorre però superare tale reazione, considerando che una affermazione sostanzialmente vera non diventa meno vera sol perché detta innumeri volte, in contesti spesso di assoluta banalità e, soprattutto, usata quale alibi per non impegnarsi in alcuna analisi specifica.
La realtà camorristica, la vigenza dei suoi codici, la persuasività, per buona parte del mondo giovanile, dei suoi inviti nascono da un complesso di situazioni economiche e di processi sociali riassumibili schematicamente nella forma di sottosviluppo generalizzato e apparentemente endemico. Buona parte della regione campana, come altre vastissime aree delle altre regioni meridionali e insulari, presenta indici particolarmente gravi relativamente alla disoccupazione, alla qualità della vita, al degrado ambientale nelle sue molteplici forme, e così via. In moltissime zone il tessuto economico e sociale è particolarmente tenue, ai limiti della sopravvivenza e della disintegrazione. Una situazione siffatta non è rapportabile, certo, a ragioni di tipo ontologico, a una presunta - e del tutto infondata, anche, se più volte avanzata da teorie antropologiche e politiche razziste - struttura genetica delle popolazioni meridionali. Essa è l'esito coerente di una serie di scelte economiche e politiche che, privilegiando alcune aree e alcune prospettive, penalizzano di fatto altre aree del nostro paese e
altre prospettive. Si tratta di processi storici e tremendamente complessi che si sono dispiegati con particolare intensità nell'ultimo secolo e che sono alla base di quella «questione meridionale» sulla quale si è addensata una vasta e lucidissima letteratura scientifica, alcune altissime produzioni narrative e una non meno vasta letteratura ispirata spesso a un generico vittimismo privo di tensione progettuale e, quindi, di sollecitazioni operative.
Non è qui il caso, ovviamente, di ricordare i tratti essenziali di tale complessa questione, che si è voluto ricordare per ribadire che una efficace lotta alla camorra non può rivolgersi soltanto agli effetti, ma deve appuntare la sua attenzione anche alle cause, prossime e remote, del fenomeno che si intende eliminare. In caso contrario, anche azioni meritorie e successi puntuali conseguiti eventualmente in questa lotta decisiva, non più procrastinabile, sarebbero assolutamente transitori e verrebbero successivamente vanificati dal rinnovato sviluppo delle organizzazioni camorristiche.
Necessaria e urgente, dunque, una operazione di radicale risanamento del tessuto socio-economico da realizzare attraverso una adeguata politica per la piena occupazione, con particolare riferimento alla fascia giovanile, più disponibile in condizioni di radicale insicurezza e in assenza di prospettive, a subire l'attrazione dei facili guadagni che comunque le organizzazioni camorristiche sono in grado di assicurare.
Sostegno nelle attività industriali, forti investimenti nel settore pubblico, adeguate forme di incentivazione dell'imprenditorialità giovanile, potenziamento delle borse di lavoro e del prestito d'onore, intensa valorizzazione dei beni culturali in tutte la loro articolazione da far recepire e da utilizzare sempre più come risorse economiche, un potenziamento attraverso forme di sostegno specifico e pubblicizzazione differenziata del settore turistico, nei suoi molteplici tratti, diretti o a esso comunque connessi, queste e altre forme di intervento possono contribuire a quel risanamento del tessuto socio-economico qui richiamato come fattore di fondo necessario per un'efficace e duratura nei suoi effetti lotta alla camorra.
14. Trasformazioni culturali, diversa qualità della vita e necessità di un'articolata strategia pedagogica
Quanto si è qui sottolineato - per quanto riguarda sia i provvedimenti specifici, che una adeguata politica economica - sarebbe comunque scarsamente efficace se non si verificasse una radicale trasformazione culturale. Lo hanno rilevato numerosi esponenti delle istituzioni, associazioni, del volontariato, della società civile nel suo complesso; lo sosteniamo noi stessi alla luce dell'analisi di quanto abbiamo acquisito nel corso dei sopralluoghi conoscitivi in Campania e alla luce della nostra riflessione ultratrentennale sulle organizzazioni criminali nel Mezzogiorno.
Recentemente sono stati letti e interpretati 3.914 brevi temi nei quali bambini e ragazzi siciliani dai sei ai sedici anni hanno risposto alla domanda che cosa è la mafia.
Una raccolta di oltre 300 sono stati analizzati dai ricercatori del Censis nel volume Secondo me la mafia... Nell'immaginario dei bambini siciliani (Roma, Meltemi 1996). Come ha sottolineato Giuseppe De Rita, sono «temi che raccontano molte cose: paura, rabbia, precoci tentativi di controllo della realtà. Ma, soprattutto, isolamento: un isolamento invasivo, opprimente, traumatico. Isolamento geografico. La propria isola/terra malata, cui si contrappone rabbiosamente l'origine lontana della mafia (l'America). Isolamento nel proprio microcosmo (la famiglia è il luogo dove si impara meno, la famiglia può fare poco, la mafia uccide i bambini e le mamme); isolamento nei sistemi di appartenenza e di identità nazionale (la scuola, i media) che troppo spesso raccontano un'immagine stereotipica e superficiale della mafia. A fronte di questo isolamento sta la contiguità vischiosa, »calda« con l'»animale mafia«: che può offrire protezione, opportunità di vita, onore, ragioni d'orgoglio. E non è poco, se si pensa al disorientamento, allo spaesamento del vissuto giovanile. È proprio il piano della rappresentazione simbolica della convivenza sociale quello che questi ragazzi additano come il terreno dello scontro: simbolo contro simbolo, magia contro magia (i nomi di Falcone e Borsellino contro la mafia), racconto contro racconto (l'eroismo della gente comune contro le leggende d'onore dei mafiosi). L'indicazione è perentoria, non ammette repliche: la famiglia da sola non può farcela; e i ragazzi siciliani chiedono opportunità per uscire da un isolamento troppo antico....».
La Relazione dell'XI legislatura - qui, si ripete, ampiamente ripresa in alcune sue parti - si concludeva sottolineando che l'ispirazione di fondo della ripresa civile dovesse partire dalla consapevolezza che la lotta contro la camorra non è separabile da nuovi civili principi regolativi nella società campana. È mancata, qui come in altre parti del Mezzogiorno, la regolamentazione del lavoro, dei diritti, delle imprese. Sono mancate le essenziali funzioni dello Stato e del mercato. Una economia pubblica senza spirito pubblico e una assistenza senza efficienza hanno schiacciato la società civile trasformando i diritti in favori.
La ripresa civile deve rovesciare questi rapporti e deve abbandonare la strada della straordinarietà. Occorrono una straordinaria ordinarietà, la ricostituzione del moderno Stato di diritto, l'etica della responsabilità.
Un'etica della responsabilità siffatta é divenuta sempre più un'esigenza ineludibile della società contemporanea, che vede l'esplosione a livello planetario di un'aggressività che dispiega tutta le sua violenza sia sul piano della macroconflittualità, che su quello, non mero disgregante, della microconflittualità. In Campania sono particolarmente operanti ambedue i livelli, per cui é pressante e non eludibile in alcun modo l'esigenza di tale etica della responsabilità, da costruire anche recuperando criticamente quei valori solidalistici presenti nella cultura tradizionale della società napoletana.
Si situa in questo spazio, ma più correttamente andrebbe detto in questo vuoto, la necessità di un'articolata strategia pedagogica nell'accezione più ampia che s'impegni ad analizzare i valori, nel significato antropologica di mete culturali cui tendere obbligatoriamente, che sostanziano la cultura della società locale nella quale le persone
vivono, interiorizzandone «naturalmente» i tratti caratterizzanti nonostante la loro assoluta inaccettabilità. A tale analisi deve accompagnarsi un'adeguata rielaborazione di valori alternativi da trasmettere attraverso una serie di attività, pedagogiche appunto, da quelle didattiche tradizionali a quelle innovative, oggi sempre più possibili, oltre che auspicabili, nel quadro dell'autonomia attualmente consentita dai recenti provvedimenti legislativi, da quelle più propriamente scolastiche a quelle di più generale progettualità culturale rivolta alla società nel suo complesso.
Non è in alcun modo condivisibile la prospettiva che vorrebbe tenere fuori dalla scuola il discorso sulla mafia, che ferirebbe con la sua sola presenza il mondo infantile. Ben altra ferita, con effetti devastanti, viene inferta a questo mondo dalla mafia, dal suo carico di violenza e di morte, dalla realtà che, segnata decisivamente dagli episodi di mafia, quotidianamente si dispiega sotto gli occhi atterriti o, ancor peggio, assuefatti dei bambini o dei ragazzi che accanto alla scuola fruiscono di più pesanti e determinanti agenzie di socializzazione, quasi sempre connotate da sostanziale autoritarismo.
Le stesse organizzazioni sindacali hanno sollecitato uno specifico impegno da parte delle istituzioni scolastiche. Ad esempio il segretario regionale UGL, signor Vincenzo Moretto, ha auspicato: «si dovrebbe ripartire da una cultura scolastica, perché anche in quel settore vi è una certa omertà, nel senso che o non si interviene quando si verifica un qualsiasi fatto all'interno della scuola, o addirittura si inizia ad esaltare il camorrista del quartiere. È stata quasi annullata la cultura delle istituzioni e quella del carabiniere. Un modello che veniva preso come punto di riferimento dello Stato. Infatti, se leggiamo i compiti che fanno spesso gli alunni nelle scuole, si nota che essi aspirano a diventare i bulletti o i capi dei loro quartieri. Nessuno dice quasi più che vuol fare il carabiniere e mettersi al servizio dello Stato, e questo è un segno assai preoccupante. Quindi, gli apparati statali, insieme con i sindacati o con le altre forze sociali , devono ottenere nuovamente la fiducia dei cittadini, creando quel contatto diretto che deve partire dai commissariati di polizia, dai vigili urbani, e principalmente dai carabinieri che oggi sono ancora un po' considerati come un punto di riferimento. Lo Stato deve stare vicino ai cittadini e fornire risposte positive per riconquistare - lo ripeto - innanzitutto la fiducia dei cittadini. E da li che potrà ripartire evidentemente la lotta alla camorra».
La scuola proprio perché spazio deputato alla formazione dei giovani, del loro patrimonio intellettuale, ma anche della loro coscienza civile, del loro sistema di valori, non può limitarsi a trasmettere nozioni, tecniche e metodi, ma deve tendere a che i giovani acquisiscano sempre più soggettività critica, capacità autonoma di analisi e una tensione etico-politica che renda possibile la coesistenza armoniosa in società, quale quella attuale, e sempre più articolata, dagli interessi differenziati e spesso contrapposti, multiculturale e multietnica. Lo ha avvertito la riflessione pedagogica più consapevole che si è impegnata in analisi e in proposte adeguate alla sfida della scuola contemporanea.
Rispetto a tali istanze, i mezzi di cui attualmente dispongono le organizzazioni scolastiche sono radicalmente inadeguati.
Un maggior impegno pedagogico, nell'accezione più lata, è stato sollecitato da più parti. Ad esempio, il responsabile regionale dell'Associazione «Libera» di Napoli, dottor Geppino Fiorenza, ha, tra l'altro, affermato: «Vi è secondo noi un sostegno forte che bisogna ancora dare, sia al mondo della scuola, sia a quello dell'associazionismo, per garantire visibilità allo Stato, per dare visibilità alle azioni positive. In moltissime situazioni siamo appunto abituati a vedere una solidarietà declinata negativamente. Basti pensare al sistema delle provvidenze attuato dalla stessa camorra e dalla criminalità organizzata. Faccio spesso una considerazione di carattere generale: noi abbiamo lasciato che talvolta - e penso alla realtà napoletana - alcune modalità relazionali, anche per quanto riguarda l'atteggiamento dell'essere orientati più alla persona che al compito, o gli atteggiamenti amicali, prevalessero. È un problema di carattere culturale e non strutturale, ma è estremamente importante. Noi abbiamo lasciato che in qualche modo di queste modalità si impadronisse la camorra: non la camorra-impresa, ma la camorra-massa, quella che utilizza anche i canali della comunicazione interpersonale all'interno di situazioni degradate. Questo, secondo noi, significa che bisogna fare un maggiore sforzo di sostegno alle attività delle scuole e delle associazioni che operano sul piano sociale. Bisogna trovare il modo di farlo.»
Numerose iniziative andranno proposte al Ministero della pubblica istruzione e al Ministero dell'università e della ricerca scientifica perché sollecitino e potenzino quelle attività di insegnamento e di ricerca atte a far conoscere sempre meglio la fenomenologia dei comportamenti e delle azioni mafiose e la necessità di una contrapposizione assoluta a essa in nome di valori del tutto alternativi. Non si tratta, certo, di potenziare una «retorica dell'antimafia» che, come tutte le retoriche, risulterebbe del tutto inutile, quando non dannosa; si tratta di sollecitare una inventività pedagogica che elabori forme nuove e aggreganti per portare avanti un discorso antimafioso efficace, non noioso né ripetitivo, omogeneo alle modalità attuali della cultura giovanile e del suo linguaggio. Se alcune cose sono state fatte in questa direzione, moltissimo altro resta da fare.
Ma la trasformazione culturale che abbiamo presentato come necessaria perché la cultura della mafia sia eliminata alla radice non può essere affidata soltanto allo spazio scolastico, anche se esso di tale trasformazione è momento ineludibile. Fin quando la maggior parte dei valori dominanti nella nostra società saranno di fatto analoghi ai valori che permeano la cultura mafiosa resterà fortemente presente quella zona grigia che mostra assuefazione e, di fatto, accettazione delle azioni e dei comportamenti mafiosi. Anche dei valori della nostra società andrà quindi compiuta una analisi adeguata, per verificare fino a che punto essi sono compatibili con quella cultura della legalità e del rispetto di ciascuno che a parole quasi tutti diciamo di volere, ma che non molti sono pronti a instaurare pagandone i costi necessari, in termini di trasformazione di comportamenti e di atteggiamenti individuali e collettivi.
Si è già accennato, all'inizio di questa Relazione, all'esistenza, nell'universo della camorra e della società di cui essa è parte, di tre zone: una costituita dal nucleo, contratto ma particolarmente virulento, dei comportamenti camorristici nei diversi settori che sono stati
accuratamente individuati in questa stessa Relazione; un'altra zona, più ampia della prima, che comprende tutta la rete di protezione, collusione, reciproca utilizzazione strumentale che connette, con maglie a volte strette a volte più ampie ma sempre correlata, camorristi - attivamente presenti, da protagonisti pur in ruoli e funzioni fortemente differenziati nell'universo della criminalità - e loro fiancheggiatori, protettori, rappresentanti, in senso lato, nella società «normale», ufficiale; una terza - ancora più ampia, molto più estesa di quanto si possa a prima vista immaginare - nella quale teorica e a quello, non meno importante, dei comportamenti concreti - nella società campana
Analisi di tali valori dunque, ma anche elaborazione rigorosa di valori che possano adeguatamente sostituire quelli che saranno risultati incompatibili con la cultura che vogliamo instaurare. Questo comporta preliminarmente che si reagisca a quell'insofferenza per le analisi e persino per il discorso che richiami la necessità delle analisi che sembra caratterizzare la temperie culturale e politica attuale, troppo spesso succube di una sorta di culto dell'azione, che sarebbe da auspicare comunque, sia essa o meno meditata («fatti, non parole»), manifestazione non ultima di quel sanguigno disprezzo degli intellettuali che caratterizza esplicitamente regimi fascisti o parafascisti e scorre sotterraneamente anche in regimi democratici che dovrebbero esserne totalmente immuni.
Potrà sembrare che questo non riguardi più la politica, più che mai quando essa debba impegnarsi contro un fenomeno così tragicamente concreto quale quello della camorra, ma sarebbe impressione totalmente errata; è proprio contro tale fenomeno che si rivela necessaria una accezione alta della politica, quale plasmazione e regolamentazione degli interessi legittimi delle varie componenti della società, per cui l'impegno volto alle trasformazioni della cultura è necessario, anzi costituisce per la politica un preciso dovere cui essa non può in alcun modo sottrarsi.
Se l'impegno politico rispetto al fenomeno camorristico è quello di individuare cosa nella società in cui esso dispiega tutta la sua virulenza non è inferno e farlo durare, e dargli spazio, secondo le parole calviniane con le quali abbiamo iniziato questa relazione, potremmo concludere tale relazione con un'espressione di Paul Klee, secondo la quale «l'opera è una via»; le opere politiche che il Parlamento riterrà di adottare, anche alla luce di questa relazione, sono la via perché attraversando la camorra se ne sia totalmente liberati e per la società campana possa iniziare realmente una nuova stagione, una nuova e concreta possibilità di realizzarsi non nella violenza, nella sopraffazione e nella morte, ma nel rispetto e nell'affermazione delle ragioni della vita.
15. Ricognizione delle strutture culturali esistenti
Per raggiungere gli obiettivi qui schematicamente indicati, è indispensabile porre in essere un gigantesco sforzo politico e politico-culturale.
In questo sforzo ci si può raccordare alle numerose strutture di ricerca e di promozione delle attività culturali presenti a Napoli.
Si tratta di istituzioni universitarie, di fondazioni, di altri centri di ricerca e di studio che rendono estremamente vivace il panorama intellettuale della città. Le istituzioni universitarie napoletane godono di un indiscusso prestigio, per il complesso delle attività scientifiche da esse promosse che per l'alto livello qualitativo del loro corpo docente. L'Università Federico II, con le sue articolazioni in Facoltà e Centri di ricerca e laboratori, ha conquistato in diversi ambiti riconoscimenti di livello internazionale. Per quanto riguarda più specificamente il nostro discorso, le ricerche svolte sui diversi aspetti della società campana e sulla sua cultura da parte delle diverse cattedre facenti capo alla facoltà di sociologia costituiscono un patrimonio di conoscenze critiche di cui fare tesoro anche al fine di un'elaborazione politico-culturale adeguata.
Accanto a questa Università si situano l'Istituto Universitario Orientale, di lunga tradizione; l'Istituto Universitario Navale, il secondo Ateneo napoletano, che concorrono, per attività scientifiche e didattiche, ad arricchire il quadro della vita intellettuale del capoluogo campano. L'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, promotore di numerosissimi convegni e seminari di alta qualificazione culturale, ha ulteriormente potenziato la sua articolazione con la Facoltà, recentemente istituita, di giurisprudenza e con il corso di laurea in scienza della comunicazione che inizia la propria attività con il prossimo anno accademico in un'ottica particolarmente attenta agli aspetti sociali e territoriali dei processi mediatici e comunicativi.
Tali strutture costituiscono un forte spazio di formazione e di riflessione sui processi socio-antropologici di costruzione di vigenza della legalità e delle soggettività che la articolano e non è un caso che tale spazio veda una larga e appassionata partecipazione di giovani.
Un'altra struttura di grande prestigio è l'Istituto italiano per gli studi filosofici. Nel suo ambito si svolgono attività di ricerca filosofica, storiografica, economica, e così via. Ogni anno l'Istituto mette a disposizione degli studenti delle borse di studio; l'Istituto ha anche promosso la realizzazione, in collaborazione con la RAI - Radiotelevisione italiana, della monumentale «Enciclopedia multimediale della filosofia».
Due istituti, specializzati sul piano dell'analisi storiografica, sono l'Istituto Benedetto Croce e l'Istituto campano di storia della Resistenza, che hanno promosso e promuovono un'intensa attività di ricerca.
Sul terreno della valorizzazione e della tutela dei beni culturali è particolarmente impegnata la Fondazione Napoli '99. Essa ha dato vita, tra le altre, a due importanti iniziative: «Napoli a porte aperte», che ha permesso a molti napoletani e turisti di vedere monumenti chiusi da tempo, e «la scuola adotta un monumento», che ha visto la vera e propria adozione, da parte di molte scuole napoletane, di un monumento della città, poi aperto al pubblico. La Fondazione ha promosso anche importanti convegni e contribuisce attivamente a canalizzare verso Napoli un interesse partecipe.
Il tessuto associativo appariva già alla Relazione dell'XI legislatura più vitale rispetto al passato. Molte sono le associazioni e i gruppi di
volontariato che operano su più campi: dai minori, al mondo dell'handicap, agli immigrati, ai tossicodipendenti. Proprio sulle questioni relative alle tossicodipendenze numerose sono le comunità che lavorano per il recupero dei tossicodipendenti e contro lo spaccio degli stupefacenti.
Altre associazioni, prevalentemente di giovani, lavorano per l'acquisizione e la promozione di spazi: spazi per la musica, il teatro, il cinema, le attività di laboratori e così via.
Tutto ciò si è ulteriormente potenziato in questi ultimi anni, al punto che numerosi osservatori, italiani e di altri paesi, hanno parlato di un nuovo «rinascimento napoletano».
Case editrici, di antica tradizione o di recente nascita; riviste, periodici e giornali costituiscono un'ulteriore testimonianza, se pur ve ne fosse bisogno, della vitalità e vivacità della società napoletana, che, se presenta indubbie zone oscure, prima tra tutte quel fenomeno camorristico oggetto di questa Relazione, esprime nel suo ambito energie, competenze, fermenti di indubbia vitalità, di grande carica progettuale, di intensa forza di coinvolgimento positivo, indispensabile per quella trasformazione radicale del tessuto socio-culturale della Campania voluta, tra i primi, dalla maggior parte dei protagonisti di questa regione mortificata dalla camorra con tutta la sua pesantezza di violenza e di morte.
16. Per una cultura della legalità e del rispetto di ciascuno
Nell'ultima parte di questa Relazione si sono specificati alcuni aspetti sui quali occorre intervenire in maniera sistematica per potenziare efficacemente una lotta alla camorra adeguata al livello di complessità e di pericolosità da essa attualmente raggiunto.
Si sono individuate modalità per il conseguimento di obiettivi specifici atti a migliorare le strutture esistenti, a valorizzarle e a raccordare il loro operato, a integrare quanto esse vanno facendo, quasi sempre con grande impegno, ma anche con mezzi assolutamente inadeguati.
Ci si è soffermati anche sulla necessità di una articolata strategia pedagogica, nell'accezione più ampia del termine, per attivare, sia nell'ambito scolastico che in tutti gli altri ambiti della società, processi educativi che isolino il fenomeno camorristico, in tutta l'ampiezza della sua tipologia, abituando sempre più tutti i cittadini a considerarlo abnorme, «mostruoso», inaccettabile.
Si tratta di elaborare, nella ricchezza di tutte le sue possibili articolazioni, una cultura della legalità e del rispetto di ciascuno che renda concretamente esperibili atteggiamenti e comportamenti ispirati da un assoluto rispetto delle norme che costituiscono l'impalcatura giuridica e istituzionale del nostro Stato democratico. Alle competenze specifiche non va giustapposta, quale ora «aggiuntiva» di un ipotetico orario scolastico meccanicamente concepito, la legalità, degradata così, di fatto, a un insieme di valori esortativi o di mere proclamazioni alle quali viene tributato un asfittico omaggio formale. Un omaggio siffatto è stato e continua a essere tributato, senza che la camorra, come le altre organizzazioni criminali, ne siano di fatto scalfite. Evidentemente,
questa concezione della legalità è radicalmente insufficiente. La stessa espressione «cultura della legalità e del rispetto di ciascuno» può essere assunta come formula facile, dichiarazione taumaturgica che garantisca con la sua mera ripetizione l'eliminazione del fenomeno delinquenziale e l'automatica instaurazione di una società armonicamente retta dalle leggi osservate con civica consapevolezza. Si tratta, in questo caso, di un atteggiamento assolutamente fideistico, teso a riconoscere, di fatto, alle parole una capacità di produrre direttamente realtà, secondo quanto alcune culture religiose tradizionali ritenevano.
In questo nostro discorso cultura della legalità e del rispetto di ciascuno viene assunta in dimensione fortemente problematica e posta come obiettivo per raggiungere il quale occorrono procedimenti estremamente complessi. Si tratta di porre la legalità al centro di una costellazione di valori che la facciano percepire e interiorizzare come meta culturale, obiettivo quindi da perseguire attraverso i propri concreti comportamenti.
Conseguentemente, va effettuata un'attenta opera di verifica per accertare - a livello generale e sul piano della concreta quotidianità - quanto agevola e quanto, invece, contrasta tali auspicati comportamenti, per rimuovere gli ostacoli e le difficoltà e potenziare tutti i fattori che tendano a promuovere comportamenti che si iscrivano nell'orizzonte di una legalità consapevolmente perseguita.
Non si tratta di un'operazione semplice e che possa esaurirsi in breve tempo. Occorre essere consapevoli che la maggior parte dei valori cui si ispirano i comportamenti concreti delle persone esaltano il potere, il successo, la ricchezza, da acquisire e mantenere a tutti i costi, dispiegando competizione e aggressività promossa o tollerata di fatto in qualsiasi sua forma. Le norme giuridiche che regolano la vita associata sono fatte oggetto, nel migliore dei casi, di un ossequio formale che lascia ampio spazio all'accettazione - motivata, magari, dalla constatazione che non si può fare altrimenti - di modelli di comportamento radicalmente divergenti da tali norme.
Si vengono a formare, così due apparati normativi assolutamente divergenti: il primo, l'ordinamento giuridico ufficiale, è radicalmente contraddetto dal secondo, che regola di fatto i comportamenti della quotidianità della maggior parte delle persone, comprese quelle formalmente oneste, spesso neanche consapevoli della contraddizione, quasi di tipo schizofrenico, nella quale sono di fatto irretite le loro azioni.
Porre in luce tutto questo è possibile solo se si avviano analisi approfondite, senza condizionamenti ideologici o propensioni per l'una o l'altra tesi.
Attuata l'analisi - da effettuare, si ripete, con estremo rigore -, occorrerà procedere all'individuazione di nuovi modelli, di nuovi valori, di nuovi reticolati normativi rispetto all'etica del costume cui si è fatto qui riferimento, da proporre e far interiorizzare attraverso quell'articolata strategia pedagogica della quale si è detto in un paragrafo precedente. Tale articolata strategia pedagogica è tanto più necessaria, al fine dell'instaurazione di questa nuova cultura, quanto più si voglia bandire - come deve essere fatto in un paese realmente democratico - qualsiasi forma di autoritarismo e di dirigismo culturale di infausta memoria.
Le rivoluzioni culturali - perchè di questo si tratta, stante la pervasività strisciante dell'illegalità nella nostra società, e nei suoi numerosissimi ambiti, compresi quelli istituzionali, secondo quanto è stato esplicitamente denunciato - non si realizzano per decreto, né per qualsivoglia altra forma calata dall'alto; esse devono rispondere, anzitutto, a bisogni largamente diffusi nella società, che troverà secondo propri ritmi e secondo proprie priorità le forme adeguate per il soddisfacimento di tali bisogni.
Spetta però a un Parlamento e a un Governo consapevoli dei propri ineludibili compiti intervenire con strumenti legislativi, con provvedimenti politico-amministrativi e con tutti gli altri mezzi di propria pertinenza, perché tale rivoluzione culturale, in nome della legalità e per una legalità matura e condivisa, si attui nel nostro paese, con particolare riferimento, dato il nostro specifico discorso, in Campania, la cui vita istituzionale, economica, sociale è così radicalmente insidiata, direi pervasa da quella camorra i cui tratti sono stati qui delineati.
Non sembri, questo forte richiamo all'indispensabilità di una cultura della legalità e del rispetto di ciascuno, una fuga dal piano legislativo-amministrativo e, più generalmente, politico, che la politica nella sua accezione più alta si deve necessariamente situare in un orizzonte ideale caratterizzato da un quadro di valori posti come irrinunciabili.
Se il legislatore, quindi, diventa necessariamente pedagogo, in tutta la ricchezza semantica del termine, non è strano che questa Relazione si concluda dedicando le proprie riflessioni a una cultura da costruire. Da costruire ognuno per la propria parte e secondo il proprio ruolo istituzionale, ma in una tensione etico-politica comune, che a ciò siamo chiamati dalla feroce e dalla sistematicità con le quali la camorra ha continuato e continua a mietere vittime.
Ed è per tutto quanto si è sottolineato in questa Relazione che il problema di una più incisiva lotta alla camorra è da affrontare con la massima urgenza e con la più ferma determinazione.
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