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Doc. XXIII n. 46


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PARTE II
QUADRI ANALITICI

1. Settori e ambiti specifici di attività

Già nella Relazione dell'XI legislatura veniva posto in risalto come non vi fosse settore o tipo di illecito che non risultasse direttamente o indirettamente controllato dall'organizzazione mafiosa, spesso grazie al medesimo circuito di complicità e connivenza.
Il Procuratore nazionale antimafia, dottor Vigna, nel corso dell'audizione ricordata ha esplicitamente affermato: «Il raggio d'azione della Camorra campana ha avuto una trasformazione perché alle originarie attività illecite se ne sono aggiunte altre. In particolare, se è sempre vivo l'interesse criminale per le estorsioni, per l'usura, per il traffico delle sostanze stupefacenti e per la gestione del lotto clandestino, oggi vi è un potente coinvolgimento nel contrabbando dei tabacchi lavorati esteri, nell'immigrazione clandestina e nella gestione della prostituzione, che non è fatta direttamente ma facendosi pagare dalle organizzazioni, anche nigeriane o straniere che controllano la prostituzione, una somma per l'affitto del territorio, che è controllato da queste organizzazioni camorristiche.
Vi sono poi i problemi del lavoro irregolare, del lavoro minorile e della presenza di comunità cinesi«.
Poiché la regola è che tutto ciò che è remunerativo interessa all'organizzazione delinquenziale, l'elencazione delle attività che seguirà può in ogni caso non considerato esaustivo e purtroppo, potrebbe continuare.
Ciò che appare maggiormente significativo è sottolineare alcuni specifici punti:
1. la complessità del sistema di interessi criminali dai quali le organizzazioni mafiose traggono le proprie fonti di accumulazione finanziaria in sé rende immaginabili le dimensioni dei flussi finanziari di illecita origine che, secondo meccanismi diversificati, vengono progressivamente immessi nel mercato legale delle imprese e della finanza, non solo nazionale, condizionandone negativamente la trasparenza e la regolarità di funzionamento;
2. l'abile combinazione di metodi intimidatori e corruttivi mina e quasi annulla l'efficacia dei controlli preventivi affidati all'autorità amministrativa nei vari settori economici in cui si manifesta la presenza di soggetti e imprese mafiose, ciò che ha ulteriori effetti criminogeni, poiché salda rapporti di cointeressenza affaristica e criminale che hanno effetti devastanti sulla trasparenza e correttezza dell'azione delle pubbliche amministrazioni;
3. la dimensione data ai vari traffici illeciti dalle organizzazioni mafiose che li controllano, a sua volta, è in sé fattore criminogeno (ad


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esempio, l'afflusso di grandi quantitativi di stupefacenti e la concorrenza fra i gruppi criminali che ne gestiscono l'importazione e la prima fase di distribuzione sul territorio nazionale sono spesso alla base del moltiplicarsi dei canali di spaccio al minuto, ciascuno affidato a piccoli gruppi che progressivamente «crescono» in pericolosità sociale; i commercianti e gli imprenditori sottoposti a pressioni estorsive od usurarie, sono frequentemente coinvolti, per paura o nel tentativo di liberarsi comunque dal peso dei debiti contratti, in truffe in danno di società finanziarie e assicurative, l'organizzazione delle quali è proposta e cogestita dal mafioso);
4. l'enorme numero di persone direttamente coinvolte nella gestione quotidiana delle mille attività illegali gestite dalle organizzazioni delinquenziali, fa sì che all'organizzazione criminale siano sempre assicurate pressoché inesauribili risorse per il reclutamento di nuovi affiliati o la ricerca di utili, nuove complicità (tradizionalmente, è il carcere uno dei luoghi privilegiati per la assunzione e la formazione dei nuovi quadri, ciò che rende necessario e opportuno realizzare differenti circuiti di reclusione a seconda della natura e della gravità dei delitti);
5. nei tradizionali settori dello smercio degli stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione, le organizzazioni camorristiche ricorrono all'opera di «intermediazione» e di «manovalanza» di gruppi criminali in formazione all'interno di comunità di immigrati da paesi extracomunitari; le condizioni di emarginazione sociale e sfruttamento legate ad incontrollati e illegali flussi migratori possono favorire la crescita di fenomeno delinquenziali nuovi e di speciale pericolosità.

Il senatore Giuseppe Saredo, nella sua qualità di Presidente della Commissione d'inchiesta sulla camorra, consegnando le proprie conclusioni al Re d'Italia nel 1901, distingueva efficacemente una bassa camorra, operante fra gli strati più poveri e emarginati della popolazione e nelle forme delittuose più rudimentali e selvagge, e una alta camorra, capace anche di organizzare la violenza della prima in funzione dei propri fini di controllo dei commerci e degli appalti, delle adunanze politiche e delle amministrazioni pubbliche.
La distanza temporale e i profondi rivolgimenti sociali e economici intanto determinatisi non tolgono utilità alla distinzione concettuale ricordata, ove la si abbia in considerazione quale modo per indicare una perdurante esistenza di fenomeni criminali diversi (le organizzazioni camorristiche e le forme di microcriminalità endemicamente diffuse nelle medesime zone), ma tra i quali esistono legami operativi e osmosi continua.
Risulta, altresì, chiaro, peraltro, che sono le continue mutazioni e rotture degli equilibri mafiosi nel controllo dei traffici illeciti e dei collegati circuiti affaristici a determinare le frequenti, sanguinose verifiche dei rapporti di forza fra le varie organizzazioni criminali che spesso rischiano di minare irrimediabilmente la fiducia dei cittadini nell'efficacia dell'azione preventiva e repressiva delle forze di polizia e nella capacità dello Stato di assicurarne la sicurezza.
Tutto ciò si è potenziato ulteriormente in questi ultimi anni, data anche la tendenziale onnipervasività della camorra già rilevata.


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1.1 Droga

Negli scorsi anni alcune tra le più importanti e pericolose organizzazioni della camorra imponevano sul territorio da esse controllato l'assoluto divieto di commercio e consumo di eroina.
Questa rinuncia a una delle più lucrose fonti di profitto illecito, apparentemente inspiegabile, aveva in realtà, anche secondo quanto è stato rilevato dalla Relazione dell'XI legislatura, motivazioni razionali.
Quel particolare tipo di stupefacenti era vietato dall'organizzazione poiché crea nella popolazione dei consumatori abituali una moltitudine di potenziali confidenti della polizia, ciò che in sé minaccia l'impunità degli affiliati e la sicurezza delle loro attività delittuose.
Non solo. Espellendo dal territorio ogni tossicomane, vale a dire soggetti spesso perennemente alla ricerca, di regola mediante il ricorso a furti e rapine, del denaro necessario per l'acquisto di droga, l'organizzazione mafiosa, da un lato, evitava il concentrarsi sul proprio territorio di presenze e interventi di polizia tesi a prevenire e reprimere quelle forme di delinquenza «minore» ma pur sempre per essa molesti; dall'altro lato, l'organizzazione criminale diventava agli occhi di molti il reale «garante» della «tranquillità» del territorio, procurandosi così il consenso di parti significative delle popolazioni locali.
L'una e l'altra cosa contribuivano a rafforzare la condizione di predominio territoriale della consorteria camorristica.
La redditività economica del commercio di eroina è stata già per il passato tale, però, da diventare potentemente persuasiva nei confronti delle argomentazioni qui riportate.
La camorra, così, ha assunto tra le sue attività più rilevanti il commercio della droga in tutte le sue forme, che, oltre a garantirle profitti elevatissimi, le assicura una vastissima rete di manovalanza da essa direttamente dipendente e capillarmente diffusa sul territorio.
Alcuni sodalizi camorristici, anzi, si sono sostanzialmente specializzati nei traffici di droga - si v. ad es. il clan Cozzolino già operante nella zona di Portici Ercolano - divenendo interlocutori anche importanti dei grossi importatori colombiani e comunque sud americani.
La situazione attuale è certamente in significativa evoluzione.
In primo luogo esistono vere e proprie enclave territoriali dello spaccio di stupefacenti (in particolare le droghe tradizionali: eroina ed hashish) - ad esempio nella zona della 167 di Secondigliano; nel Parco Verde di Caivano, nella zona di Resina di Ercolano - in cui evidentemente operano i pusher riforniti dalle organizzazioni.
Lo spaccio al minuto in altri contesti sembra essere divenuto appannaggio di cittadini extracomunitari, che vendono droga spesso di pessima qualità ed a prezzi molto bassi.
Un esempio clamoroso di tale attività è lo spaccio che avviene nelle pinete di Castelvolturno in provincia di Caserta; si tratta di luoghi frequentati dai tossicodipendenti non soltanto campani ma anche del basso Lazio che vedono un impegno di uomini dediti allo spaccio molto elevato.
Le continue operazioni di polizia - che pure hanno portato all'arresto di diecine di extracomunitari - non sono riuscite a debellare un fenomeno che ha la capacità immediata di autorigenerarsi.


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Non è del tutto ancora chiaro se gli extracomunitari operino come «autonomi» o se, invece, come è più probabile sotto il controllo quantomeno indiretto delle singole locali consorterie.
Gli elementi forniti dal Prefetto di Caserta, ad esempio, sembrano far propendere per quest'ultima tesi; la camorra casertana dei casalesi, dopo avere in passato affrontato il problema dei rapporti con gli extracomunitari in modo duro - avvennero vere e proprie esecuzioni, quali la cosiddetta strage di Pescopagano nel 1990 - sarebbe giunta ad un accordo ottenendo una percentuale dei profitti.
Più sofisticato e complesso il sistema dello spaccio di cocaina, droga che deve ritenersi purtroppo ampiamente diffusa e di cui molto spesso - a differenza dell'eroina - fanno uso anche gli appartenenti alle associazioni camorristiche che comunque, controllano, la distribuzione sui singoli territori.
Il sistema di distribuzione più che nelle strade passa per i locali pubblici, i pub, bar e le discoteche.
Non sono stati forniti dati precisi in ordine ad un eventuale interesse della camorra rispetto alle nuove droghe sintetiche (v. Exstasi); si tratta di una sostanza stupefacente che nell'Italia meridionale non sembra ancora avere trovato la diffusione delle altre zone del territorio nazionale. Può darsi, però, per certo che se anche in Campania esso diventerà fenomeno diffuso, sarà integralmente controllato dalla camorra.

1.2 Contrabbando

Il contrabbando di tabacchi si pone come la più tradizionale delle attività della camorra per la pratica assenza di rischi e per l'elevata redditività.
Le ragioni dello sviluppo di tale illecita attività sono molteplici.
L'attività delinquenziale si svolge sotto l'occhio indulgente della collettività. Molti - anche tra le istituzioni - v'individuano un ammortizzatore sociale, una fonte di sostentamento offerta a tanti disoccupati.
Tanti, fra i cittadini, mostrano di non comprendere l'antisocialità del comportamento e, anzi, lo sostengono con una costante, forte, domanda, pronti a dare prevalenza all'indubbio personale vantaggio economico derivante dall'acquisto di sigarette a un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello legale; sul punto si segnala come assolutamente inopportuno l'intervento legislativo recente contenuto nella cosiddetta legge di depenalizzazione che ha abolito l'obbligo di pubblicazione sui quotidiani dei nominativi dei soggetti colti ad acquistare tabacchi lavorati esteri (T.L.E.), sanzione che anche dal punto di vista economico era un importante deterrente.
L'azione quotidiana di contrasto dell'Autorità nei confronti del fenomeno è stata specialmente per il passato, troppo spesso, distratta, disarticolata e incapace di coglierne appieno la portata (i risultati degli ultimi mesi, al contrario, evidenziano importanti operazioni di polizie effettuate nel contrasto dell'illecita attività).
Sovente le Forze di Polizia una volta operato un sequestro di T.L.E. rinunziano a ricercare a ritroso i canali di distribuzione; e così


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rimpinguano esclusivamente statistiche che finiscono col dare un apparente segnale d'efficienza.
Anche l'Autorità giudiziaria in troppi casi considera tali delinquenti poco pericolosi. Le sanzioni, irrogate a distanza di anni, difficilmente vanno al di là di una pena pecuniaria, normalmente ineseguita. L'inasprimento delle pene per i fatti più gravi, voluto dalla legge 18 gennaio 1994 n. 50, pur da valutarsi come particolarmente positiva, non ha determinato un significativo mutamento d'atteggiamento: è assai raro che un soggetto sorpreso nel possesso di centinaia di chilogrammi di T.L.E. sia assoggettato a una misura cautelare coercitiva.
In realtà, per valutare la pericolosità del fenomeno del contrabbando di T.L.E., occorre avere chiaro in primo luogo l'introito che ne può derivare: per ogni cassa di sigarette vi è un guadagno netto di almeno 80 dollari U.S.A. e, valutando una media mensile di 50 containers, ossia di 48.000 casse, si realizza un profitto netto di più di 6 miliardi al mese per ogni organizzazione.
Ma appaiono particolarmente importanti, ai fini dell'indagine che si va facendo tutti i segmenti in cui si articola l'attività illecita:
- vendita al minuto;
- introduzione di grosse partite di T.L.E. nel territorio dello Stato per la distribuzione nazionale e per la commercializzazione nell'ambito dell'Unione Europea, grazie anche all'abbattimento delle barriere doganali;
- approvvigionamento del T.L.E. dagli stabilimenti di produzione;
- operazioni di finanziamento.

Ognuno di questi segmenti presenta un diverso grado di pericolosità e, conseguentemente, diverse dovrebbero essere le risposte repressive.
La vendita al minuto di sigarette di contrabbando a Napoli, lungi dal costituire espressione, seppure deprecabile, della tradizionale «arte d'arrangiarsi» dei singoli, utile a evitare che i soggetti coinvolti si dedichino ad altre attività delittuose più pericolose per la società, in realtà presenta connotati di estrema pericolosità: una corposa e articolata manovalanza criminale - oggi in alcune occasioni ed in alcuni contesti territoriali monopolizzata anche da extracomunitari irregolari, spesso appartenenti (il dato non può non destare sospetti sulla organizzazione premeditata di alcuni ingressi illegali di stranieri) alle stesse nazioni - strumentalizzata dai grossi trafficanti di T.L.E., è utilizzata dalle organizzazioni camorristiche come serbatoio di adepti.
Nel trasporto e nella vendita all'ingrosso di T.L.E. nel territorio dello Stato sono impegnate numerose, agguerrite organizzazioni, sempre ricollegabili direttamente alla camorra, ognuna delle quali realizza elevatissimi guadagni. Negli ultimi tempi, in questa fase dell'attività di contrabbando si è assistito a un preoccupante, sistematico, ricorso alla violenza per evitare i sequestri delle Forze dell'Ordine.
L'approvvigionamento del T.L.E. dagli stabilimenti di produzione è appannaggio di pochissime holding criminali, in grado di movimentare


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all'estero ingentissimi capitali utilizzando l'intermediazione di società con sede in Svizzera, nel Liechtenstein o in altri Paesi che vengono considerati «paradisi fiscali».
Terminata, all'inizio degli anni ottanta, l'epoca delle cosiddette «navi madri», l'introduzione nel territorio dello Stato dei t.l.e. si attua, oggi, essenzialmente con la tecnica dello «sfondamento», ossia con l'utilizzo di veloci motoscafi che, provenienti dai porti di Zelenika e Bar in Montenegro, violano la linea di controllo doganale lungo le coste del basso adriatico.
Tuttavia va segnalato che la rotta del Montenegro, dopo una prima battuta d'arresto subita in occasione della «guerra del Golfo», ha registrato un ulteriore indebolimento, stante la forte pressione esercitata dalle forze dell'ordine sulle coste pugliesi, peraltro, finalizzata alla prevenzione del fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Le rotte alternative sono rappresentate da quella greca, da quella tirrenica e, secondo recenti segnalazioni, da quella nord africana.
Le indagini espletate hanno posto in luce che esponenti di famiglie camorriste napoletane - taluni dei quali hanno condotto, indisturbati, la loro latitanza in Montenegro (Costantino Sarno, Ciro Arment) - controllano il traffico internazionale del T.L.E., utilizzando capannoni e depositi «in loco».
I suddetti contrabbandieri esercitano le loro attività con regolare licenza per l'import-export del T.L.E., rilasciata dal governo locale, che ricava da tale commercio una fonte cospicua di reddito erariale: i contrabbandieri pagano regolari tasse sulle sigarette prima di spedirle in Italia per il consumo.
Le attività di indagine della D.D.A di Napoli hanno in taluni casi disvelato preoccupanti episodi di collusione tra esponenti apicali delle organizzazioni contrabbandiere e figure istituzionali di alcuni stati della ex Jugoslavia.
L'attività di importazione illegale di T.L.E. viene svolta in stretta sinergia tra le organizzazioni criminali napoletane e quelle pugliesi. Le prime, allo scopo di evitare i rischi connessi al trasporto delle merci illecite, operano in sistematico collegamento con le seconde, cui vengono normalmente affidati il trasporto via mare e lo scarico delle casse di sigarette, anche in considerazione del controllo esercitato sulle coste di approdo. Si è creato un rapporto forte, in alcuni casi persino di osmosi, tra le organizzazioni criminali delle due regioni, tanto da poter far pensare ad uno scambio della manovalanza per commettere delitti.
Le più recenti acquisizioni investigative hanno, infine, posto in luce nuove ed impensabili direttrici dei traffici di T.L.E. di contrabbando: la Campania è divenuta il centro di smistamento per le forniture dirette anche agli altri Paesi dell'Unione Europea, come la Gran Bretagna.

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L'importanza anche economica dell'attività contrabbandiera sembra poter trovare un ulteriore e definitivo riscontro nelle vicende che sono seguite al recente arresto in Svizzera del noto contrabbandiere, titolare di licenza per l'import-export di T.L.E., Gerardo Cuomo,


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napoletano, già condannato per contrabbando ed altri reati, mente finanziaria e punto di riferimento per le organizzazioni dedite al contrabbando internazionale.
Costui è riuscito ad entrare in contatto con ambienti internazionali di rilievo - anche attraverso lo sfoggio da lui fatto di un' imponente ricchezza - tanto da essere accusato di avere corrotto magistrati del Canton Ticino, anche per aiutare un altro boss del contrabbando e cioè il pugliese Prudentino.
Si tratta della dimostrazione della capacità di infiltrazione degli esponenti delle organizzazioni camorristiche anche in delicati settori dello Stato-apparato di Paesi esteri.

1.3 Estorsioni.

È certamente l'attività illecita tipica di una consorteria camorristica; è, infatti, il principale modo attraverso cui si estrinseca il controllo del territorio (in quest'ottica sarebbe utile istituire un vero e proprio osservatorio).
Il singolo imprenditore, spesso, non necessita nemmeno di essere minacciato in modo esplicito; basta il riferimento al nome del capo cosca o agli «amici carcerati» quale argomento convincente per ottenere il pizzo.
Ciò non significa che la camorra non spenda ulteriori «argomenti»; le tecniche intimidatorie classiche, quali le telefonate anonime, l'incendio dell'esercizio commerciale, l'uso di ordigni esplosivi, servono per ridurre a ragione gli imprenditori neghittosi o titubanti.
Non sono mancati, persino, casi nei quali si è utilizzata la gambizzazione o l'omicidio dell'operatore commerciale - si è poco sopra citato come il recente omicidio in Torre del Greco dell'imprenditore Falanga sia ascrivibile a questa causale - anche quale esempio nei confronti di altri operatori.

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L'entità e l'estensione sui singoli territori delle attività estorsive varia a seconda anche delle particolari condizioni nelle quali vive l'associazione camorristica; se può affermarsi con tranquilla certezza che tutte le entità economiche medie e grandi sono tenute a pagare il pizzo, dalle indagini emerge, altresì, che nei momenti di difficoltà economiche delle consorterie - dovute ad esempio a scontri armati con altre associazioni - la tangente viene richiesta anche agli esercenti piccole attività commerciali o a singoli professionisti (nel procedimento già conclusosi nei due gradi di giudizio c/ la associazione camorristica legata ai casalesi operante in Parete (16) è emerso, ad esempio, che tangenti venivano richieste, durante un periodo di particolare belligeranza, anche ai medici convenzionati con le Usl) .

(16). Si veda la sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. del 26/5/98 nel procedimento c/ Cilindro luigi + altri.


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Il fenomeno è talmente connaturato a certe forme di attività imprenditoriale - v. es. edilizia - che secondo un importante collaboratore di giustizia - Raffaele Ferrara già capoclan per la zona di Parete (CE) per conto dei casalesi - sono gli stessi imprenditori che prima di iniziare una certa opera si recano dal «responsabile della zona» per concordare il pizzo da pagare.

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Accanto al fenomeno estorsivo classico - la richiesta cioè di somme di danaro - la prassi camorristica conosce ormai da tempo sistemi per certi versi più raffinati di imposizione delle tangenti.
Ci si riferisce in primo luogo al cambio degli assegni; vengono consegnati all'operatore commerciale titoli scoperti, post-datati a lungo o, in altri casi provento di altre estorsioni, richiedendo il corrispettivo importo indicato; nelle ipotesi più rosee l'imprenditore perde la valuta in conseguenza delle lunghe postdatazioni ma spesso diventa una sorta di inconsapevole complice, operando di fatto una ripulitura di titoli sporchi, fatto che lo rende anche in futuro pericolosamente ricattabile.
Un ulteriore meccanismo estorsivo è, poi, rappresentato dall'imposizione di beni o merci. Il locale camorrista - o direttamente come titolare di un'attività economica o come intermediario di altri imprenditori compiacenti - impone una certa tipologia di merce in luogo di altra, così facendo venir meno il principio della libera concorrenza a scapito spesso della qualità dei prodotti che non può certamente essere discussa dall'acquirente.
Il dato più preoccupante di questa particolare forma estorsiva è, poi, rappresentato da un'ulteriore patologia. Spesso anche grandi società e multinazionali preferiscono affidare la rappresentanza del prodotto in loco a persone vicine alle organizzazioni camorristiche, proprio perchè si ha la sicurezza che verranno mantenuti o aumentati i livelli di penetrazione del prodotto grazie alla «capacità impositiva» dell'agente mandatario.
Casi come quelli indicati - nei quali di fatto il grosso imprenditore finisce per foraggiare la camorra - sono stati più volte individuati in indagini giudiziarie e riguardano in particolar modo il settore della distribuzione di prodotti alimentari o quella della vendita delle autovetture.
Impedire un arricchimento dei sodalizi attraverso tali illeciti meccanismi sarebbe certamente un obiettivo da perseguire, non soltanto attraverso una campagna di sensibilizzazione delle società anche estere ma anche, eventualmente, imponendo la richiesta del certificato antimafia in tutti i casi di attribuzione di mandati in esclusiva nelle singole zone.

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Indipendentemente dalla qualificazione giuridica che si intende dare al fenomeno di cui si dirà - è difficile, infatti, tecnicamente qualificarlo come estorsione - una forma molto grave di imposizione di prodotti e servizi alla collettività viene attraverso l'assunzione da


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parte delle organizzazioni camorristiche in regime di monopolio di alcune attività.
Il Prefetto di Caserta dott. Sottile nella sua ultima relazione ha, per esempio, sottolineato come in alcune zone del casertano il settore delle pompe funebri è integralmente monopolizzato dalla camorra che in tal modo riesce a spuntare nei confronti dei malcapitati prezzi assolutamente esosi.
Situazione analoghe sono state riferite alla Commissione da parte di sindaci ed esponenti comunali della provincia napoletana.

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Ultimo aspetto - strettamente connesso a quello delle estorsioni - che non può non essere trattato è quello della scarsissima collaborazione da parte degli estorti.
Costoro per timore di ritorsioni, per i lunghissimi tempi dei processi, per essere entrati in una mentalità secondo cui il pagare è normale molto difficilmente decidono di denunciare ed ugualmente molto difficilmente sono disposti ad ammettere di essere estorti anche quando la polizia giudiziaria acquisisca aliunde la notizia di reato.
È capitato molto spesso che gli imprenditori non abbiano nemmeno voluto ammettere di essere sottoposti al pizzo quando gli autori materiali, divenuti ad esempio, collaboratori di giustizia, abbiano confessato di essere i responsabili della richiesta di tangente.
È chiaro che il fenomeno non regredirà fino a quando gli estorti non collaboreranno. Forme di denuncia collettiva, che ad esempio sono state sperimentate con successo in altre realtà meridionali, che attenuano il rischio di ritorsioni, sono purtroppo un fenomeno raro in Campania, anche per il disinteresse delle associazioni di categoria a creare forme associative antiraket.
Eppure le recenti innovazioni legislative - che prevedono in alcuni casi il ristoro integrale dei danni da parte dello Stato a chi denuncia - dovrebbero essere colte a balzo dalle organizzazioni di categorie per liberarsi di una delle maggiori cause di sottosviluppo dell'economia meridionale.

1.4. Usura.

Se in passato l'attività usuraia non entrava affatto negli interessi delle organizzazioni camorristiche tradizionali e colui che la esercitava era considerato con disprezzo negli stessi ambienti malavitosi, la attuale camorra, che ha fatto proprio il principio pecunia non olet, non solo non disdegna l'attività usuraia ma per certi versi ne sta divenendo monopolista.
Ciò sta avvenendo per varie ragioni.
L'associazione camorristica, infatti, è in primo luogo, grazie alla sua forza di intimidazione, nelle condizioni «ideali» per poter riscuotere i ratei delle restituzioni in genere mensili; in secondo luogo ha spesso significative disponibilità economiche che attraverso l'usura possono facilmente moltiplicarsi in funzione di riciclaggio; infine l'usura è il modo migliore per potersi impossessare di attività imprenditoriali


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in difficoltà ma con possibilità di sviluppo e di utilizzare, quindi, le reti di rapporti e di conoscenze di imprenditori, particolarmente inseriti nel loro settore economico.
Il camorrista usuraio, infatti, interviene, in una prima fase, come finanziatore con tassi da strozzo e poi pretende come restituzione di entrare in società con l'usurato che mano mano viene estromesso dalla gestione dell'attività.
Questo pesante intervento della criminalità organizzata nel comparto in parola può spiegare come siano in diminuzione le denunce di usura e certamente rende chiaro perchè spesso al delitto di usura si accompagna l'attività estorsiva e cioè la violenza utilizzata per ottenere l'ingiusto pagamento degli interessi.

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Che il fenomeno usura sia particolarmente significativo nella realtà campana oltre che dalle indagini giudiziarie - obiettivamente in numero non particolarmente elevato proprio per l'assenza di una collaborazione degli offesi - è dimostrato da altri indici.
In uno scritto apparso su una rivista giuridica (17) si segnalava come da un accertamento - abbastanza recente - del nucleo di polizia tributaria di Napoli erano state censite quasi 6000 entità che nella Campania avevano ad oggetto attività riconducibili latu sensu a prestiti o ad altre attività finanziarie. Di esse meno del 10 % poteva vantare l'iscrizione all'UIC che richiede, tra l'altro, l'esistenza di rigidi presupposti anche di «onorabilità» di soci ed amministratori.

(17). Cfr. Cantone, Abusivismo finanziario, esperienze da un'indagine giudiziaria, in Cass. pen., 1996, 3122.

Un dato di tal fatto trovava spiegazione nella constatazione che gran parte delle entità non erano vere e proprie società finanziarie; indipendentemente dal modo di presentarsi all'esterno, erano o semplicemente mandatarie, con generiche lettere di incarico, di altre società finanziarie regolari o di banche o svolgevano un'attività definibile latu sensu di consulenza.
Una volta contattate dalla clientela, dopo la istruttoria della richiesta - con la consegna dei documenti e l' acquisizione di informazioni di rito - e dopo avere esposto le condizioni della restituzione delle somme prestate e dei relativi tassi di interesse, inviavano il richiedente al reale soggetto erogatore, da esse stesse individuato, lucrando una provvigione più o meno sostanziosa. In pratica svolgevano tutta l'attività propria di una società finanziaria che concede mutui, ad esclusione dell'ultimo segmento di essa e cioè la materiale erogazione del prestito.
È fin troppo evidente la pericolosità di tali entità: colui che si rivolge in genere ad esse - spesso consistenti soltanto in piccoli studi con un'organizzazione rudimentale -, lo fa perchè non è riuscito ad ottenere credito dalle banche o dagli altri enti operanti nel settore (non è casuale, infatti, che nei depliant pubblicitari di queste entità si promettono anche prestiti a persone protestate) ed è quindi un soggetto predisposto a cadere nei lacci degli usurai. Un operatore


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finanziario spregiudicato può ben utilizzare il contatto con il cliente per indirizzarlo piuttosto che ad una banca verso i canali illegali del credito.
È un fenomeno che potrà essere controllato con l'emanazione del regolamento attuativo della disposizione dell'articolo 16 della l. 108/96 (la legge sull'usura) che anche per queste entità prevede l'iscrizione all'UIC ed un controllo sui suoi requisiti.

1.5 Armi

Uno dei settori più lucrosi dell'attività camorristica è data dal traffico delle armi, svolto in collegamento con le altre organizzazioni criminali presenti nel Mezzogiorno.
Non si dispone attualmente di dati significativi in tale direzione; certamente le organizzazioni camorristiche hanno una notevole disponibilità di armi anche con grossa potenzialità e di esplosivi, come dimostrano le continue ed anche eclatanti azioni intraprese.
Il contatto anche per altri settori illeciti - quali contrabbando e droga - con i paesi dell'Est rende questi ultimi i fornitori principali dei boss camorristici napoletani che a loro volta rivendono le armi alle organizzazioni anche settentrionali.
Si tratta di un settore che proprio per la sua delicatezza richiede un notevole impulso alle indagini.

1.6 Rifiuti, discariche e cave.

Uno dei settori di economia illegale nei quali appare particolarmente forte l'inserimento della criminalità organizzata, anche perchè esso si sta rivelando particolarmente lucroso è quello dello smaltimento illegale dei rifiuti (detto oggi Ecomafia).
Si tratta di un fenomeno che interessa in particolare la provincia di Caserta che per la sua conformazione geografica - la presenza di vasti territori pianeggianti spesso incolti e la presenza di numerose cave abusive - e per la capacità di controllo del territorio da parte delle organizzazioni camorristiche stanziali - ed in particolare dei casalesi - ha visto un pauroso incremento di scarichi di rifiuti tossici, speciali e forse anche radioattivi provenienti da ogni parte di Italia.
La camorra dei casalesi si è preoccupata di individuare i siti nei quali potevano avvenire gli scarichi e di procurare anche, se necessario, le false ricevute attraverso le quali le imprese soprattutto settentrionali potessero dimostrare di avere smaltito i propri rifiuti.
Sembra persino inutile sottolineare il danno cagionato all'ambiente naturale, all'agricoltura ed alle falde acquifere con il rischio dell'aumento di tumori e leucemie connesse alla presenza di queste forme di rifiuti in zona.
In cambio di ciò i clan ha guadagnato somme miliardarie.
La gravità della situazione nel casertano è indirettamente evidenziabile dalla relazione del Prefetto di Caserta dott. Sottile che ha rappresentato come sia in corso un monitoraggio a 360o della provincia casertana e di come l'emergenza sia stata avvertita al punto tale da


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istituire in Caserta da parte dei Carabinieri un reparto speciale del NOE, unico in Italia ad operare in sedi diverse dal capoluogo di Regione.
L'allarme in zona è veramente molto vasto ed in questo senso pare opportuno riportare quanto dichiarato dal responsabile provinciale dell'Associazione «Libera» di Casal di Principe, dottor Renato Natale, secondo cui: «A Casal di Principe e per l'area circostante sono stato incaricato di presentare una petizione popolare recante cinquecento firme, con cui si chiede alla Commissione antimafia di farsi interprete dell'allarme e delle preoccupazioni della cittadinanza per il fatto che, dopo che l'anno scorso fu denunciato da una Commissione parlamentare, oltre che da associazioni ambientaliste, la presenza di rifiuti tossici, poi però non si è saputo che tipo di inquinamento hanno portato questi rifiuti, quali danni alla salute hanno determinato, se è vera la sensazione di molti che operano nella sanità che vi sia un aumento delle patologie tumorali in quest'area e comunque per sapere che tipo di intervento si intende mettere in campo».
Il fenomeno specifico dei rifiuti tossici trasportati nel territorio campano è inoltre oggetto di un apposito studio da parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, dalla cui relazione potranno certamente trarsi non pochi lumi sulla reale situazione nella zona casertana.

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La Procura della Repubblica in Napoli negli anni scorsi aveva effettuato un importante indagine che aveva posto in rilievo come, anche grazie alla corruzione di pubblici funzionari, tra i quali anche l'assessore all'Ambiente della provincia dell'epoca prof. Perrone Capano, erano stati fatti entrare milioni di chili di rifiuti tossici e speciali in Campania in modo illegale.
Il dibattimento di primo grado si era chiuso nel giugno del 1995 con la condanna di vari imputati, tra cui il Perrone Capano alla pena di otto anni di reclusione (18).

(18). Cfr Sentenza della VII sezione del Tribunale di Napoli del 26 giugno 1995, proc. c/ Avolio luca + altri.

La Commissione ha appreso, però, con sommo stupore - e segnala il dato al Ministro della giustizia competente per la vigilanza sugli uffici giudiziari - che in appello il dibattimento è stato celebrato a quasi quattro anni dal primo grado, vanificando, con una pronuncia di prescrizione, l'importante lavoro fatto e facendo venir meno un importante precedente.

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Il fenomeno della cosiddetta Ecomafia interessa questa Commissione per un'altra ragione; è fortissima la presenza delle organizzazioni criminali in quelle discariche ancora gestite da privati - basterebbe ricordare il caso della discarica di Monte Somma nel passato gestita da soggetto ritenuto vicino al clan di Cutolo; risulta a questa Commissione


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che per altre discariche vi sono indagini in corso che confermano l'assunto, in particolare va menzionata la recentissima ordinanza di custodia cautelare ottenuta dalla DDA di Napoli che ha visto l'arresto per associazione camorristica del titolare della discarica di Castelvolturno, ritenuto una sorta di longa manus del clan La Torre di Mondragone - così come forti sono le cointeressenze delle organizzazioni criminali nel lucroso settore della raccolta dei rifiuti urbani.
Dalla relazione del Prefetto di Caserta dott. Sottile emerge un dato inquietante; in quella provincia sarebbero state individuate ben dieci imprese operanti nel settore a rischio di collusione con la camorra.

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Pure connesso al fenomeno in analisi è quello delle cave abusive che interessano in particolare alcune zone della provincia di Napoli e Caserta.
Le attività di scavo illegale per l'acquisizione di materiali da utilizzare soprattutto nell'edilizia è alquanto florido e vi sono non pochi sospetti che esso sia gestito o comunque controllato dai locali sodalizi camorristici.
Il dato preoccupante è non solo che in tal modo si sta deturpando l'ambiente, cambiandone la morfologia - basterebbe, ad esempio, verificare quanti nuovi laghetti sono sorti sul litorale domizio dai comuni da Pozzuoli fino a Castelvolturno a seguito dello scavo di sabbia per l'edilizia - ma in particolare si stanno utilizzando gli scavi effettuati per questo scopo per occultare, fra l'altro, fusti di rifiuti tossici e nocivi.

1.7 Prostituzione

La gestione della prostituzione che pure per il passato era aborrita dai vecchi appartenenti alla camorra napoletana, costituisce, ormai da tempo un settore da cui la criminalità organizzata trae profitti significativi.
Può darsi per acquisito che l'operato dell'attività camorristica si è tradotto in un capillare sistema di organizzazione, protezione, gestione di fatto monopolistica delle attività delle singole prostitute, ferreamente soggette a questo violento sistema di controllo.
Sono da segnalare in maniera specifica il fatto che in questi ultimi anni, in connessione con la forte immigrazione, spesso clandestina dai paesi extracomunitari, si è sviluppato una intensa attività di prostituzione extracomunitaria.
Dagli atti assunti e dalle relazioni degli organi sentiti in sede di sopralluogo si deduce che sta emergendo con sempre maggiore chiarezza quello che fino a poco tempo fa era un mero sospetto: la camorra lucra sull'attività in parola, ottenendo percentuali di profitti; secondo quanto si è già accennato riportando le considerazioni del Procuratore Vigna la clandestinità, infatti, nella quale si situano la maggior parte delle protagoniste di questo fenomeno li rende soggetti deboli e, quindi sfruttabili, con risultati particolarmente lucrosi.


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1.8. I lavori pubblici.

La partecipazione della criminalità organizzata ai pubblici appalti è materia particolarmente approfondita nella Relazione della XI legislatura.
In quell'atto parlamentare si metteva in chiaro rilievo come era intervenuto un patto scellerato tra poteri pubblici erogatori di spesa, società che ottenevano l'appalto - spesso
anche di rilevante entità e non soltanto campane - e camorra.
Quest'ultima in quel patto otteneva la possibilità di imporre tangenti in percentuali dei lavori, propri subappaltatori e spesso di avere il monopolio di tutte le attività collaterali (fornitura di calcestruzzo, movimento terra etc).
La conoscenza del sistema da parte dell'autorità giudiziaria è stata sul punto agevolata nel tempo dalle plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia «di peso», quali Galasso, Alfieri, Fiore D'Avino e Loreto.
Per rendere chiaro il meccanismo può essere utile in questa sede riportare un passo delle dichiarazioni rese dal collaboratore Pasquale Loreto - int. del 18/11/94 - e riferite agli appalti della Strada statale 268 del Vesuvio:

«I subappalti furono assegnati tutti a ditte della nostra organizzazione o comunque a noi gradite. Intendo dire che, per regola generale, le concessionarie non potevano assolutamente affidare subappalti a ditte che non avessero quanto meno il nostro gradimento. In altre parole, la cosa funzionava così: nel momento in cui i nostri rappresentanti concordavano la tangente (oscillante sempre tra il 4 e il 5% del valore complessivo dell'appalto), dicevano al concessionario quali ditte subappaltatrici avrebbero fornito essi stessi. Naturalmente poteva accadere che, per alcuni lavori specifici, noi non fossimo in grado di indicare una ditta idonea; in questo caso la ditta veniva individuata dal concessionario, ma poi doveva sempre essere accettata da noi e pagare la relativa tangente. Anche nel caso della SS 268 le cose funzionarono così.»

Un sistema analogo ha certamente funzionato in tutti i grossi lavori pubblici della Campania, essendo emerso, ad esempio, come i subappalti fossero stati monopolio della camorra - ed in particolare del clan dei casalesi - anche con riferimento ai lavori per la copertura dei cosiddetti Regi lagni svolti in provincia di Caserta.

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Le indagini giudiziarie anche nei periodi successivi hanno dimostrato come ancora operativo lo sperimentato sistema, quantomeno con riferimento al rapporto imprese appaltatrici - entità camorristiche riceventi i subappalti.
Le indagini sul clan Fabbrocino, ad esempio, hanno posto in evidenza come nella tratta della s.s. 268 del Vesuvio, interessante i comuni di Striano ed altri (lavori in corso ancora nel 1998) i subappalti erano stati dati a ditte notoriamente vicine al clan Fabbrocino.


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Anzi quelle indagini hanno sottolineato come lo stesso sistema del subappalto è da ritenersi ormai del tutto superato - ed in tal senso si sono espressi con preoccupazione in sede di ultima audizione il Prefetto di Napoli dott. Romano ed il capo centro della Dia dott. Longo - e soppiantato dal meccanismo elusivo del nolo cosiddetto a freddo o a caldo.
Le imprese camorristiche, infatti, per aggirare i controlli sempre più rigidi delle Prefetture sui subappalti preferiscono figurare come meri noleggiatori dei mezzi utilizzati per i lavori edili e per il movimento terra, facendo, in alcuni casi assumere, altresì, dalle ditte appaltanti il proprio personale.
Si è in presenza di un subappalto mascherato, ma che sfugge integralmente ai controlli antimafia.
Per comprendere il meccanismo elusivo in tutta la sua portata - ed il ruolo a volte ambiguo svolto dalle ditte appaltatrici - può essere utile riportare uno stralcio integrale di una recente richiesta di misure cautelari avanzata dalla DDA di Napoli, a seguito di un'approfondita indagine della Dia di Napoli, nei confronti di un imprenditore ritenuto vicino a Mario Fabbrocino:

«In ordine ai lavori per la costruzione della ferrovia a Monte del Vesuvio, è stato accertato documentalmente che i lavori relativi al cantiere ubicato in località Striano per i lavori del Nodo 2 di Napoli della Ferrovia a Monte del Vesuvio («ITALFER SIS TAV spa» - Nodo di Napoli - MO.VE.FER. - Commessa NN02 - per la realizzazione del solo corpo stradale di un tratto di linea a doppio binario tra la progressiva di progetto Km 8 + 430 e Km 10 + 810 e tra la progressiva Km 14 + 120 e Km 29 + 620 circa il completamento della linea a monte del Vesuvio. Lavori appaltati dal gruppo di progetto AF 830 PW), aggiudicati dalla impresa «Callisto Pontello spa», sono stati svolti di fatto dalle società «IPA» di Iovino Antonio e da una società denominata «Edilizia Vesuviana di Giugliano Alfonso», in realtà facente capo a D'Ascoli Domenico, anche se intestata formalmente ad altri soggetti.
Gli accertamenti esperiti presso la sede della società Italfer hanno riscontrato che vennero proposte due richieste di subappalto avanzate dalla Callisto Pontello spa alla Italfer per lavori da affidare, come appresso specificato:
in data 4.9.97, viene richiesta l'autorizzazione a subappaltare alla s.r.l. I.P.A. - Impresa Pubblici Appalti, con sede in S. Gennaro Vesuviano (NA) via Sarno Zona Industriale nr. 171- Amm.re Unico Iovino Antonio -, per i lavori relativi alla realizzazione del solo Corpo stradale per un importo complessivo di lire 10.800.000.000. L'autorizzazione al subappalto in questione non è mai giunta.
in data 25.9.97, viene richiesta l'autorizzazione a subappaltare alla s.a.s. Edilizia Vesuviana di Giugliano Alfonso & C., con sede in Ottaviano, per i lavori relativi alla realizzazione del solo Corpo stradale, tra le progressive di progetto 17 + 360/18 + 867 per un importo complessivo di lire 900.000.000. L'autorizzazione al subappalto in questione, già concessa in data 2.12.1997, venne poi revocata in data 20.05.1998. Quest'ultima società in data 18.9.1997, ha subito


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una variazione sociale assumendo la denominazione di: «Edilizia Vesuviana di D'Ascoli Salvatore e C. sas». Soci risultano essere: D'Ascoli Salvatore, accomandatario Caliendo Salvatore, accomandante. Cessano da tutte le cariche sociali Giugliano Alfonso e Giordano Domenico. Vi é da segnalare che in data 08.07.1996, la società aveva già subito le seguenti variazioni societarie: cambio denominazione da Edilizia D'Ascoli di D'Ascoli Domenico e C. sas; cessazione da soci per D'Ascoli Domenico, e per Nunziata Pasquale.

Per quanto riguarda il subappalto concesso alla società «EDILIZIA VESUVIANA di Giugliano Alfonso», va posto in rilievo che essa a partire dal 18.09.1997 ha cambiato soci e denominazione in «EDILIZIA VESUVIANA DI D'ASCOLI Salvatore & C S.a.s.». Con tale ultimo assetto sociale, la «nuova società» non aveva titolo ad essere autorizzata al subappalto, in quanto, per i lavori riguardanti la realizzazione della SS 268, a partire dal 18.03.1998, ha avuto revocata l'autorizzazione ai lavori per l'esistenza di collegamenti con il clan Fabbrocino.
Inoltre, in data 8.5.1998 é stato escusso dalla p.g. l'ing. GOLIA Raffaele, nato a Salerno il 27.07.1952, ispettore capo della società ITALFER e direttore dei lavori per conto delle FF.SS. L'ingegnere ha chiarito che il suo compito é quello di curare gli interessi della committenza, sovrintendere all'alta vigilanza per la committenza e di occuparsi della gestione dei lavori; fare in modo che i lavori commissionati siano svolti secondo quanto previsto dalle norme contrattuali sottoscritte e che avvengano in conformità al progetto approvato.
L'ing. GOLIA ha chiarito poi l'iter delle richieste presentate dalla società appaltatrice in favore delle seguenti società:
- IPA S.r.l. dei fratelli Iovino, per lire 10.800.000.000;
- EDILIZIA VESUVIANA di GIUGLIANO Alfonso & C S.a.s., per lire 890.700.000.

Per quanto riguarda la prima società, in data 02.02.1998, a seguito delle informazioni antimafia fornite in data 26.1.1998 dalla Prefettura di Napoli, é stato comunicato alla società Costruzioni Callisto Pontello che l'autorizzazione richiesta non poteva essere concessa.
Per quanto riguarda la società Edilizia Vesuviana di Giugliano Alfonso & c s.a.s. (società riconducibile a D'Ascoli Domenico, attualmente impegnata nei lavori anche con l'impiego di automezzi con il «nolo a freddo»), in data 02.12.1997, a seguito delle informazioni antimafia fornite in data 22.10.1997 dalla Prefettura di Napoli, è stata rilasciata l'autorizzazione necessaria per il subappalto (successivamente revocata).
L'ing. Golia ha dichiarato che i lavori che dovevano essere affidati alla società IPA S.r.l. (l'autorizzazione non é stata rilasciata per l'esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata) e cioé quelli che riguardavano la «realizzazione del corpo stradale», vengono svolti direttamente dalla società Costruzioni Callisto Pontello con l'impiego di propri mezzi e personale e con mezzi presi in affitto con il cosiddetto. «nolo a freddo» anche dalla stessa società IPA S.r.l.. A


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specifica domanda l'ing. ha chiarito che per il «nolo a freddo» non é prevista alcuna autorizzazione da parte del committente.
Mediante il sistema del nolo a freddo si è praticamente elusa la mancata autorizzazione al subappalto, consentendo comunque alla società IPA, sia pure sotto diversa forma, di svolgere di fatto i lavori«.
La vicenda qui descritta è decisamente indicativa delle capacità delle organizzazioni camorristiche di adattarsi anche agli strumenti normativi, individuando prontamente i meccanismi elusivi.
Alla Commissione del resto sono stati segnalati anche dalla Prefettura di Napoli - che ha dimostrato di essere particolarmente avvertita del fenomeno, tanto da avere individuato un interessante protocollo antielusivo - tentativi da parte di imprese vicine alla camorra di inserirsi nei lavori per la ricostruzione di Sarno, sempre utilizzando il sistema dei noli a freddo o a caldo.
Data la vastità e l'ampia ramificazione della problematica degli appalti e dei subappalti occorre sollecitare il Ministero dell'interno perché intensifichi tutti quegli strumenti di verifica e tutti i provvedimenti amministrativi atti a stroncare la tendenza della criminalità organizzata di inserirsi in essi.

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Non vi è dubbio, altresì, che la presenza della camorra dei lavori pubblici non passa soltanto attraverso il meccanismo del subappalto, eventualmente mascherato dai noli, ma attraverso la massiccia presenza nei settori collegati, quali in particolare quello della vendita del cemento, delle guardianie, del movimento terra, etc.
Si è già segnalato sopra come, ad esempio, la camorra casalese avesse provveduto a sponsorizzare la creazione di un consorzio tra le ditte che vendevano calcestruzzo, creando una situazione di assoluto monopolio nella provincia casertana ed ottenendo una percentuale sugli utili.
Se a questi livelli di arroganza e di impudenza oggi la camorra non arriva per una ben diversa attenzione di tutti gli organi istituzionali deputati ai controlli è più di una certezza che rimanga comunque obbligatorio acquistare, per chi svolga lavori edilizi non solo pubblici ma anche per conto dei privati - almeno in alcuni contesti territoriali a fortissima presenza camorristica -, il cemento dalla ditta sponsorizzata o indirettamente controllata dalla locale cosca.

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La conclusione cui si giunge è certamente amara: gli appalti pubblici continuano a essere settore di interesse privilegiato per la camorra, con il grave pericolo che quanto più lo Stato investirà nel Mezzogiorno - ed è operazione necessaria e urgente, per intervenire in quel tessuto socio-economico che è alla base della proliferazione del fenomeno mafioso -, tanto più la camorra potenzierà i propri affari. Paradosso della realtà, che non può certo motivare un'eventuale attenuazione degli investimenti statali nel Mezzogiorno, ma che impone l'elaborazione di procedure cautelative atte a evitare che i pur


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necessari provvedimenti governativi si risolvano in un ulteriore accrescimento del volume di affari della camorra.
In questa prospettiva è interessante, data la rilevanza dei grandi appalti pubblici che vi saranno sul territorio regionale, quanto Antonio Bassolino, che pur si considera uno strenuo sostenitore delle autonomie locali, abbia dichiarato nei due sopralluoghi effettuati in Napoli e quindi in una prima occasione in veste di sindaco di Napoli e in una seconda in veste di Presidente della Regione; e cioè che non si meraviglierebbe affatto «se Governo e Parlamento volessero riflettere anche intorno all'ipotesi di una authority che abbia gli occhi ben aperti sui grandi appalti pubblici nel Mezzogiorno d'Italia; in un paese come il nostro non riterrei questo una limitazione dell'autonomia né mia, né della Regione o della Provincia, di altri sindaci se viene fatta bene e se ci aiuta a controllare la grande massa di investimenti che arriverà sul nostro territorio».
La Commissione segnala al Parlamento le indicazioni dell'on. Bassolino che ha posto in risalto l'opportunità di istituire un osservatorio regionale sugli appalti pubblici, quantomeno su quelli più significativi.

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Un fenomeno collegato a quello in discussione è la massiccia presenza di imprese della camorra nei settori dell'edilizia privata.
Non vi è dubbio alcuno che in molti comuni della provincia in particolare napoletana e casertana si è verificato un vero e proprio accaparramento di suoli che pur non edificabili per non essere stati inseriti nei piani regolatori sono stati oggetto di speculazioni da parte di imprenditori vicini alla criminalità organizzata - o le cui vendite sono state intermediate dalla persone vicine alla camorra - grazie al rilascio di concessioni illegittime o grazie all'utilizzo di concessione per altre finalità.
La presenza in Campania di un elevato abusivismo edilizio, favorito in alcuni casi dalle inerzie dei comuni incapaci di dotarsi di piani regolatori adeguati ai tempi, fa sì che gran parte dei lavori svolti per la costruzione di vani abusivi, proprio per essere illeciti diviene appannaggio delle spregiudicate ditte vicine alla camorra.
Anche coloro che fanno il mero abusivismo di necessità finisce che foraggiano indirettamente la camorra.
Al riguardo è assolutamente indispensabile un ripristino della legalità anche per impedire futuri affari delle imprese camorriste e che si dia luogo ad una bonifica del territorio con l'abbattimento quantomeno di quelle costruzioni che deturpano particolarmente l'ambiente naturale.
In assenza di interventi da parte dell'autorità comunale sarebbe opportuno che fossero le Procure della Repubblica a mandare in esecuzione i provvedimenti di abbattimento, comminati in seguito alla pronuncia di condanne per abusivismo edilizio.

1.9. Le truffe alle società assicuratrici.

Nell'ultima audizione il Procuratore della Repubblica di Napoli, dott. Cordova, nell'indicare i settori illeciti di interesse della criminalità


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organizzata ha citato quello delle truffe alle assicurazioni, in particolare nel settore della Rc auto, precisando come la criminalità organizzata non sia assolutamente estranea al vorticoso giro di denaro che viene drenato dalle compagnie assicurative.
Si tratta di un'affermazione che non stupisce e che appare in linea con quanto poco sopra rilevato sul carattere onnipervasivo della criminalità organizzata campana: dovunque c'è da guadagnare con attività illecite, lì la camorra fa capolino.
Il settore, oggetto di indagini particolarmente importanti sia da parte della Procura di Napoli che da quella di Salerno, meriterebbe un ben più ampio spazio di quello che in questa sede gli si può dedicare. E ciò per le peculiarità del comparto assicurativo a Napoli, caratterizzato da una diffusa illegalità che vede non soltanto la commissione delle truffe sui falsi sinistri, ma anche - per citarne alcuni - la falsificazione delle polizze e un diffuso abusivismo tra i consulenti tecnici operanti nel ramo.
In questo particolare clima hanno, del resto, trovato spazio clamorose operazioni economico-finanziarie illegali come in particolare quella della compagnia assicurativa Themis, sulla quale ha svolto indagini la procura partenopea, che merita un fugace accenno.
Una piccola compagnia greca - appunto la Themis - viene rilevata da un discusso uomo d'affari napoletano, già coinvolto in una vicenda di truffe assicurative, l'avv. Lucio Varriale, che utilizzando gli spazi normativi concessi da una direttiva europea, mantenendo la sede in Atene, comincia ad operare in particolare a Napoli, anche proponendosi con una aggressiva campagna pubblicitaria - la società divenne, ad esempio, lo sponsor della squadra di pallanuoto campione d'Europa - e con prezzi decisamente competitivi e ben più bassi di quelli praticati dalle altre compagnie. Nel giro di pochi anni (la Themis ha operato dal 95 al 97, quando venne commissariata dal Ministero greco per gravi irregolarità) la compagnia greca - che aveva sviluppato una fitta schiera di promoter -, anche approfittando dei vuoti lasciati da altre compagnia assicurative nazionali decise ad abbandonare il mercato napoletano, acquisisce importanti quote di mercato, ponendosi anche dal punto di vista sociale come un interlocutore privilegiato del bisogno dei cittadini napoletani di trovare società assicurative disposte a stipulare polizze per la RC Auto.
Dietro, però, il clamoroso successo si nascondeva secondo la magistratura napoletana - che ha emesso varie ordinanze cautelari (19) che hanno colpito oltre l'avv. Varriale ed alcuni suoi collaboratori anche due sottufficiali dei carabinieri - un'associazione a delinquere finalizzata alle truffe; le polizze rilasciate non venivano messe, se non in piccola parte, in copertura in Grecia ed i sinistri non venivano pagati, grazie alla creazione di fittizie indagini di polizia giudiziaria poste in essere dai due compiacenti sottufficiali.

(19). Cfr Ordinanza emessa in data 14 aprile 1999 dal Gip presso il Tribunale di Napoli, c/ Brina Ernesto + altri.

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La vicenda è stata citata non perchè siano emersi nello specifico coinvolgimenti della criminalità organizzata ma a dimostrazione delle peculiarità di un sistema assicurativo quale quello napoletano, che a causa della eccessiva sinistrosità sta vedendo l'allontanamento di tutte le principali compagnie, una politica di continuo aumento dei prezzi ed una vera e propria difficoltà da parte degli utenti a trovare assicurazioni disposte a fornire la copertura obbligatoria per legge.
L'eccesso di sinistrosità con un esborso di ingenti somme da parte delle compagnie assicurative - sia nel ramo danni alle cose che in quello dei danni alle persone - vede, quindi, una presenza della criminalità organizzata.
Essa, infatti, da un lato è capace di fornire i soggetti adatti a «convincere» i liquidatori a pagare i sinistri - i casi in cui i liquidatori sono stati minacciati anche con l'uso di armi non sono affatto pochi - dall'altro è in grado di mettere a disposizioni quella rete di complicità - dai medici, ai carrozzieri, ai meccanici, ai rivenditori di pezzi di ricambio, etc. - necessaria per la gestione di un sistema seriale di truffe.
La DDA di Napoli sul punto al di là degli esiti delle indagini svolte ha acquisito le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Carlo Migliaccio, che hanno spiegato, sia pure con riferimento ad una ristretta zona della provincia di Napoli, come nasce l'interesse della criminalità organizzata che resasi conto del business si è imposta come «socia» di un noto ed esperto personaggio del ramo «truffa alle assicurazioni».

1.10 Le truffe allo Stato ed altri enti pubblici

Il settore delle truffe agli enti pubblici è notoriamente uno dei campi di maggiore presenza della criminalità organizzata; le indagini giudiziarie hanno posto in risalto plurimi settori di presenza delle cosche camorristiche.
È un dato, ad esempio, che nella provincia di Caserta erano i casalesi gli organizzatori ed i fruitori delle truffe all'AIMA; dai centri di raccolta della frutta, con la compiacenza di funzionari pubblici e di appartenenti alla guardia di finanza, si facevano risultare quantità mai conferite e si erogavano i contributi statali che in significativa percentuale finivano a tutte le articolazioni del clan dei casalesi in relazione alle zone di competenza.
Le stesse truffe all'INPS, con la creazione di falsi rapporti di lavoro in particolare nel settore agricolo e con la successiva richiesta di erogazione delle indennità di malattia, disoccupazione e maternità, hanno visto in più occasioni interessati personaggi ritenuti vicini alle consorterie camorristiche. È forse un caso che la maggior parte di questa attività truffaldina si è consumata nella zona di Aversa, territorio di maggiore presenza del clan dei casalesi ?
Anche i più recenti meccanismi frodatori vedono in prima fila le cosche; le triangolazioni su merci provenienti da Stati della CE, con il rilascio di false fatture finalizzato a non pagare l'IVA, è un meccanismo posto in essere anche e specialmente da imprenditori organici ai clan camorristici (il titolare dello Zuccherificio IPAM,


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sequestrato per contiguità con i casalesi, è stato inquisito ed arrestato anche per questo genere di truffa allo stato !!!).
Si tratta di un'operazione già in passato più volte sperimentata, ad esempio, nel settore della importazione delle carni, monopolizzato da personaggi vicini ai clan Alfieri e Fabbrocino.
Anche il settore delle adulterazioni alimentari, particolarmente pericoloso per la salute pubblica ma per quanto ben redditizio ben poco rischioso per le conseguenze sanzionatorie, vede una sempre più massiccia presenza della camorra (le recenti indagini della DDA di Napoli sul burro che hanno interessato anche altri paesi europei ne sono la plastica dimostrazione).

1.11 Altre forme emergenti di attività camorristica.

Accanto ai settori di cui si è sin qui discorso - e avendo verificato, fra l'altro, l'attenuazione se non la sostanziale scomparsa di altre attività della camorra (v. ad es. il lotto clandestino ed il calcio-scommesse, fenomeno ormai assente dopo l'introduzione della gestione monopolistica da parte dello Stato), possono essere certamente indicati altri settori: come poter dimenticare il business del falso nei prodotti griffati o nel comparto musicale che hanno raggiunto un livello di diffusione analogo a quello del contrabbando con una presenza di molteplici «punti vendita», attività vista benevolmente dalle stesse istituzioni che ne tollerano la presenza; eppure il livello di organizzazione raggiunto è indice certo della presenza delle cosche.
Si può sin da questo momento dare per scontato l'intervento della camorra su altri settori, in crescita, riguardanti attività che stanno raggiungendo una rilevanza economica interessante.
Ciò si ripete per l'ennesima volta è il prodotto di quella onnipervasività che fa si che la camorra tenda a impadronirsi o, in ogni caso, a essere fortemente presente in ogni ambito nel quale si produca o circoli, in qualsiasi forma, ricchezza.
Quello che, però, qui interessa segnalare è che la criminalità organizzata sembra essersi insinuata in settori apparentemente impensabili.
Sono molti i segnali, ad esempio, che vengono dalle indagini di polizia che mostrano come fiancheggiatori certi della criminalità organizzata si siano inseriti in alcuni movimenti della disoccupazione organizzata ed in particolare in alcune cooperative di disoccupati chiamate a gestire i fondi dei cosiddetti lavori socialmente utili. È un fenomeno preoccupante, perchè ancora una volta dimostra come il reale disagio sociale possa essere preso a pretesto dalle cosche per lucrare danaro e per operare facili proselitismi.
Dalle audizioni, poi, è emerso ad esempio che molto spesso anche l'occupazione abusiva degli immobili costruiti dagli enti pubblici può diventare un'attività monopolizzata dalle cosche, che sostituendosi allo Stato «assegnano» le case a persone a loro gradite e disponibili a creare reti di fiancheggiatori, utili in occasioni di operazioni di polizia.
Il fenomeno che certamente interessa Napoli - dove le occupazioni abusive sono numericamente elevate - vede, però, analogie anche nella provincia.


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Il Sindaco di Torre Annunziata, Cucolo, ha, infatti, dichiarato: «anche per gli edifici pubblici e quelli condotti in locazione dal Comune non più utilizzati, non si nota la presenza della camorra, se non per l'occupazione abusiva di un fabbricato dove pare che le assegnazioni siano controllate dalla camorra».
Lo stesso sindaco ha sottolineato come sia consistente la presenza della camorra, in provincia, nel settore - pure esso per il passato un classico modo di arrangiarsi - del trasporto urbano abusivo; ha dichiarato, infatti, che «vi sono seri segnali che gli abusivi appartengono a due clan particolari, quello dei Gionta e quello dei Gallo».
Risulta, inoltre, un affacciarsi della criminalità camorristica nell'organizzazione delle feste rionali o nella gestione quasi monopolistica delle più recenti forme della canzone popolareggiante e più in generale dello spettacolo.
Secondo il Comandante del Gruppo subprovinciale della Guardia di finanza, Mazza, «si possono distinguere tre situazioni o tre zone ben separate: abbiamo la zona del litorale che va da Portici fino a Castellammare di Stabia, dove ancora l'attività della delinquenza è quella del contrabbando; in due operazioni che sono state fatte, una iniziativa e una in collaborazione con la Polizia di Stato, abbiamo potuto notare che ancora adesso queste organizzazioni sono abbastanza ramificate, che partono dal minutante, che si trova sul territorio, fino a colui che ha la responsabilità di far pervenire queste sigarette dagli sbarchi della Puglia fin nel Napoletano. Nell'ambito di queste organizzazioni poi ci sono anche altri personaggi che si dedicano al furto di autovetture veloci nell'alta Italia che notoriamente vengono adoperate per portare il tabacco lavorato estero nella provincia di Napoli.
Poi, accanto a questa vecchia forma di acquisizione di economia da parte della criminalità, ve ne sono alcune che sono emergenti e sulle quali stiamo lavorando e che riguardano la commercializzazione con l'estero di carne bovina, sia di animali vivi che di carne da mettere immediatamente in vendita».

2. La camorra imprenditrice

Si è parlato in più punti della presente Relazione della camorra come imprenditrice; sicuramente anche l'impresa lecita - almeno formalmente - può essere fonte di guadagno per le cosche.
Spesso, infatti, si è accertato che camorristi anche con ruolo di vertice svolgevano attività economiche che per il fatto di produrre significativi utili non potevano essere considerate un mero paravento a quelle parallele illegali.
A tal fine può essere utile per il lavoro che si va facendo cercare di delineare i tratti caratterizzanti degli imprenditori della camorra; se, infatti, appare certamente più semplice e più agevole individuare quei soggetti che effettuano i cosiddetti «lavori sporchi» per conto dell'organizzazione (le estorsioni, gli omicidi, le attività intimidatorie, etc.), non per tale ragione non si deve cercare di ricostruire la figura (anche come topos sociologico) di quel partecipe che permette all'organismo


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criminale di controllare settori dell'economia legale, drenandone ricchezze ed utili.
Sul punto sarà mutuata la tripartizione proposta in un recente provvedimento della DDA di Napoli (20) con la precisazione che non sono, ovviamente, proprio prese in considerazione quelle situazioni nelle quali l'imprenditore è sottoposto ad estorsione, perchè qui manca ogni forma di legame, essendo l'operatore economico da considerarsi vittima del clan.

(20). Ci si riferisce alla richiesta di misura cautelare avanzata dalla DDA di Napoli, il nel procedimento c/ Iovino Antonio. Particolarmente importante per ricostruire la figura del camorrista imprenditore è la recentissima sentenza del Tribunale di Nola del 30/5/2000 nel procedimento c/ Nocerino Alessandro, ritenuto a tutti gli effetti la mente economico-imprenditoriale del clan Alfieri e condannato per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.

Un primo topos può essere individuato nel «camorrista-imprenditore». Costui è in primo luogo un associato ad una consorteria criminale, del quale condivide tutte le attività anche quelle prima indicate come illecite ab origine, che a latere o in funzione di riciclare i proventi dell'attività delittuosa svolge - anche - l'attività economica imprenditoriale, in via diretta, quale socio di altri o attraverso prestanome. Nella sua attività imprenditoriale ovviamente costui porterà - con le immaginabili conseguenze sul piano dei rapporti di concorrenza - alcuni tipici tratti del suo essere associato, quali l'uso diretto della forza intimidatrice derivante dalla sua posizione.
Un secondo topos può essere individuato nell'imprenditore-camorrista. Costui è sostanzialmente e principalmente un operatore economico, non partecipa necessariamente alle attività direttamente illecite della consorteria - che gli possono persino non essere del tutto note - ma ne utilizza direttamente o indirettamente la struttura e l'attività, sia per ottenere commesse - in particolare nel settore dei pubblici appalti - anche a scapito di altri imprenditori sia per usare la forza di intimidazione che discende dall'associazione nei rapporti esterni con i dipendenti e con i terzi. La sua attività imprenditoriale in tal modo viene ad essere considerata «cosa» del gruppo criminale che ne trae vantaggi diretti - es. percentuali sui guadagni - o indiretti - affidamenti di lavori in subappalto, cottimo etc ad altre persone «raccomandate» dal gruppo, assunzioni anche fittizie di persone legate indirettamente agli associati, fittizie intestazioni di beni di associati etc. -. Costui è ovviamente da considerarsi anche giuridicamente un associato; è, infatti, intraneo alla cosca a tutti gli effetti sia perchè utilizza la forza d'urto del gruppo, sia perchè permette allo stesso di «contare» sulla sua disponibilità a 360 gradi. Assume, quindi, un ruolo nell'ambito di quel momento centrale dell'attività mafioso-camorristico che è il legame con l'economia legale ed in particolare con il settore degli appalti di opere pubbliche e contribuisce alla vita dell'associazione apportando, inoltre, ricchezza alla stessa.
L'ultima tipologia è quella dell'imprenditore contiguo. Costui è un operatore economico che instaura con l'organizzazione rapporti «di buon vicinato», se del caso rendendosi disponibile anche a favorire in alcune occasioni il sodalizio - per es. assumendo persone indirettamente legate alla consorteria; riconoscendo sconti in relazione ai servizi eventualmente prestati o ai beni venduti agli aderenti etc. - ed


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ottenendone quale principale vantaggio il non dover pagare estorsioni o il pagarne in misura nettamente inferiore e/o episodica. La differenza principale rispetto alla categoria precedente sta in primis nel fatto che più che vantaggi l'imprenditore non riceve danni dall'attività illecita della consorteria e non usa all'esterno la forza di intimidazione del sodalizio camorristico. In linea di massima questo operatore economico, che pure indirettamente rafforza la capacità dell'associazione di imporsi sul territorio, non può, però, considerarsi partecipe dell'associazione mafiosa.

3. Camorra, politica, pubblica amministrazione e affari

Non minori rischi di future infiltrazioni camorristiche devono infine essere segnalati - come già fatto nella Relazione dell'XI legislatura - per quanto concerne la possibilità di appoggi illeciti, collusioni e corruzioni che la vecchia burocrazia degli enti pubblici locali può ancora prestare ai clan. Non va dimenticato il collaudato sistema di reciproci interessi che su un tessuto di illegalità ormai ampiamente scoperto ha legato per lunghi anni politici, imprese e organizzazioni camorristiche nella regione Campania.
Lo sviluppo di tali rapporti non ha potuto attuarsi se non attraverso la connivenza, quando non il concorso, della burocrazia la quale ancora oggi si presenta per buona parte come una nebulosa peraltro in grado di piegarsi o di prestarsi ancora agli interessi della criminalità organizzata. Proprio perché ampiamente collaudato, a quello stesso sistema potrebbe ancora oggi tornare in mente alla camorra di fare nuovamente ricorso.
Sono stati forniti dati preoccupanti, tra i quali quello di 3.500 indagati nella pubblica amministrazione dal 1994 ai giorni nostri.
Si sono verificati a volte episodi che sono stati definiti «delicati»; in effetti forme chiare di presenza camorristica. Il Sindaco di Torre Annunziata Cucolo ha riferito: «un episodio delicato riguarda la macchina amministrativa comunale. Alla fine degli anni settanta, vi fu una massiccia immissione di giovani nei ruoli del comune al seguito della legge n. 285 del 1977. Allora fu posta in atto una lottizzazione da parte delle forze politiche e è voce comune, diffusa e consolidata nella città, che anche la camorra vuole la sua parte. Abbiamo avuto dipendenti comunali giudicati e condannati pesantemente. Attualmente è in corso un procedimento per il licenziamento di due persone. In altre parole la camorra aveva piazzato nella macchina comunale elementi organici.
Un atteggiamento di preoccupata attenzione è posto in essere al riguardo dalle organizzazioni sindacali. Ad esempio il segretario generale della UIL, dottor Cardillo, ha dichiarato: «la legalità è un terreno su cui si stanno misurando tutti positivamente nella nostra provincia e nella nostra regione. Non credo che questo possa consentirci di stare tranquilli, perché l'esperienza del passato è anche fatta di immissioni cospicue - [...] di persone con tantissimi precedenti penali nel mondo della pubblica amministrazione, nella sanità, negli enti locali e quant'altro e questi poi dall'interno, soprattutto nei settori della sanità e degli enti locali, sono diventati terminali di giri organizzati


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di malaffare, spesso in contiguità anche con il mondo della politica e dei faccendieri».

4. Camorra, ceto politico-amministrativo

Numerose sono le interconnessioni fra i moduli operativi adottati dalle consorterie criminali al fine dell'acquisizione del controllo egemonico del territorio e la criminalità amministrativa, ovvero - specificamente - alcune delle più gravi e profonde deviazioni delinquenziali nell'esercizio dei pubblici poteri.
Può senz'altro affermarsi che non vi è stato e, nella maggior parte dei casi, non vi è settore della Pubblica amministrazione nel quale le indagini non abbiano registrato e dimostrato il dispiegarsi dell'illecita influenza dei gruppi camorristici, direttamente ovvero per il tramite di figure imprenditoriali o politiche espressive degli interessi di quelli.
Correlativamente, non vi è indagine su organizzazioni camorristiche che non riveli preoccupanti fenomeni di penetrazione corruttivo-collusiva nelle istituzioni.
La situazione riflette le dimensioni della sfera di interessi economici facenti capo ai gruppi criminali organizzati e del grado di invasività del controllo mafioso del territorio, ma anche la presenza di stati di diffusa illegalità della pubblica amministrazione, nella quale occorre soffermarsi.
Per molti versi, lo stato delle cose sembra corrispondere a modelli ideali di sviluppo degli interessi criminali, anziché di salvaguardia degli interessi della collettività e delle istituzioni statuali.
Con riferimento alle amministrazioni locali, la gravità sociale e istituzionale del fenomeno può forse immediatamente apprezzarsi considerando che in Campania ben 36 Comuni (di cui ben 19 nel solo 1993) sono stati sciolti per condizionamenti di tipo mafioso, ai sensi della legge n. 221/91.
Il mero dato numerico è in sé significativo, soprattutto se comparato a quelli delle altre regioni meridionali.
Il quadro informativo che è possibile trarre dalle relazioni che accompagnano i decreti di scioglimento dei consigli comunali appare tale da giustificare ampiamente il giudizio della Commissione parlamentare antimafia (cfr. Relazione sulla camorra del 1o dicembre 1994) circa l'esistenza di un vero e proprio «blocco politico-camorrista negli enti locali» ovvero di un quadro di compiuta «immedesimazione» della camorra con la pubblica amministrazione.
L'espressione è stata adottata in funzione rappresentativa del diffuso clima di condizionamento delle amministrazioni ad opera delle organizzazioni criminali: gli organi elettivi sono risultati sovente direttamente rappresentativi di interessi criminali, gli organi burocratici invischiati in condizioni indescrivibili di inerzia e inefficienza e spesso asserviti ai gruppi affaristico-criminali dominanti sul territorio.
Da indagini diversificate emerge una raffigurazione, di segno sostanzialmente unitario, del concreto sviluppo delle relazioni interattive fra consorterie criminali e esponenti del ceto politico e burocratico sulle quali in gran parte si fonda il controllo mafioso del territorio.


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La capacità di intimidazione violenta da parte della camorra conserva spesso un ruolo importante, al fine sia della gestione controllata del voto che della «dissuasione» degli oppositori politici e amministrativi, ma altrettanto reali e perfino più rilevanti sono le risorse criminali delle organizzazioni camorristiche connesse al sistema di cointeressenze affaristiche e elettorali con le categorie sociali e professionali oltre che con esponenti politici, sviluppatosi nel tempo al fine del controllo e dello sfruttamento illecito dei meccanismi di erogazione della spesa pubblica.
Le più importanti indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Napoli confermano che nella gestione concordata degli appalti e delle concessioni di opere pubbliche trova reale ragion d'essere e insieme completa realizzazione funzionale il perverso intreccio di relazioni fra l'organizzazione camorristica e la criminalità politico-amministrativa.
Il complesso degli strumenti normativi astrattamente diretti a garantire la legittimità delle procedure di scelta del contraente, l'osservanza degli interessi pubblici connessi all'esecuzione corretta dei lavori, il rispetto delle regole di funzionalità e responsabilità del mercato, la trasparenza della reale titolarità degli interessi economici privati coinvolti, risulta frequentemente, quando non sistematicamente eluso ovvero apertamente sfidato.
Sia sul versante dell'analisi economica che su quello della dottrina amministrativista, la riflessione degli studiosi e degli esperti ha consentito di individuare già sul piano legislativo lacune e distorsioni obiettivamente idonee a favorire lesioni gravi degli interessi pubblici asseritamente presidiati dalle norme in vigore.
È compito - invero urgente e ineludibile - del legislatore rimuovere le irrazionalità normativa.
Ai fini specifici della presente relazione, tuttavia, appare di precipuo e necessario rilievo l'analisi dei principali metodi di controllo e condizionamento degli appalti pubblici realizzati dalle organizzazioni criminali con il concorso di pubblici funzionari, così come individuati nell'ambito dell'attività di indagine della Procura della Repubblica di Napoli.
Le tecniche criminali usualmente aggrediscono sia la fase della aggiudicazione delle gare, sia quella dell'esecuzione dei lavori.
Peraltro, il livello di infiltrazione mafiosa è tale che le organizzazioni più potenti riescono a giuocare ruoli di condizionamento importanti sin nella fase dell'individuazione e della pianificazione dell'intervento pubblico da realizzare.
L'intervento nella fase della progettazione e della gestione dell'impegno di spesa (spesso sottratte alla logica della razionale programmazione) si realizza spesso attraverso l'ausilio di figure tecnico-amministrative che svolgono un ruolo fondamentale nel gioco di interazione collusiva fra ceto politico-amministrativo e le organizzazioni mafiose (direttamente ovvero per il tramite del soggetto economico di riferimento degli interessi dell'uno e delle altre).
Le confessioni di alcuni dei capi di alcune delle organizzazioni criminali operanti sul territorio campano hanno rivelato gravissimi accordi corruttivo-collusivi (dagli intuibili contenuti sul piano dei vantaggi economici e elettorali) in vista della realizzazione di importanti


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interventi di spesa, le scelte connesse ai quali venivano preventivamente concordate con quelle organizzazioni.
Ne sono risultate confermate logicamente le molteplici risultanze investigative raccolte, in contesti processuali diversificati, già con riferimento alla prima fase di attuazione dell'imponente sforzo finanziario pubblico rivolto alla ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 1980.
In pratica, l'intera gestione dell'opera pubblica diviene oggetto di accordi preventivi fra soggetto politico-amministrativo e soggetto camorrista, in forza dei quali il primo si assicura, attraverso la camorra, il controllo sistematico del voto su vastissimi territori e insieme, attraverso le imprese, flussi costanti di finanziamento illecito; il secondo si garantisce imponenti risorse economiche (tali da indurlo persino a rinunciare ad altre tradizionali fonti di redditività delittuose, quali il traffico di stupefacenti: era questa la regola per la potente organizzazione già capeggiata dal noto Carmine Alfieri), pieno controllo delle attività economiche sul territorio di appartenenza e, attraverso la possibilità di dispensare posti di lavoro e quote marginali di reddito d'impresa, consenso sociale e immensa influenza elettorale (da spendere naturalmente nel rapporto con il ceto politico-amministrativo, anche al fine di assicurarsi protezioni istituzionali e impunità).
Il rapporto sinallagmatico descritto ha naturalmente un altro soggetto protagonista: l'impresa.
Nel sistema delineato, l'imprenditore si garantisce la stabilità di presenza nel mercato degli appalti pubblici (profilo di vantaggiosità il rilievo del quale è del tutto peculiare quando, come in Campania, quel settore costituisce la quasi totalità del mercato finanziario), «sicurezza» dei cantieri e pace sindacale.
Il costo del rapporto illecito con i soggetti politici e camorristi viene «naturalmente» traslato sulla collettività, attraverso meccanismi diversificati, ma principalmente mediante il ricorso a sovrafatturazioni ad opera delle imprese subappaltatrici tali da provocare lievitazioni dei costi originari attraverso il ricorso alle procedure di revisione dei prezzi, di anticipazione sugli stati di avanzamento, di introduzione di costose e ingiustificate varianti in corso d'opera.
Il sistema di interscambio di utilità illecite in tal modo si perfeziona.
Per le ragioni esposte, il funzionamento di tale sistema esige il ricorso massivo a pratiche corruttive nel rapporto con i pubblici ufficiali chiamati astrattamente a garantire la regolarità delle procedure di aggiudicazione, controllo esecutivo e erogazione di spesa, garantendosi così il buon fine dell'operazione di traslazione finanziaria dei costi del rapporto dell'impresa con i politici e le organizzazioni criminali.
Si può ragionevolmente affermare che negli anni si è determinata la formazione di uno stabile sistema di disponibilità corruttivo-collusiva all'interno del ceto burocratico, il compiuto disvelamento della struttura del quale è assolutamente prioritario, essendo vana ogni politica di intervento giudiziario che, pur individuando e reprimendo i protagonisti apicali del sistema di interscambio politico-mafioso, non colga i rischi connessi alla perdurante impunità di quel ceto tecnico


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e burocratico i comportamenti del quale quel sistema hanno reso possibile funzionare e garantire.
L'intera sfera di intervento della pubblica amministrazione nella materia è divenuta, pertanto, terreno di interazioni delittuose funzionali al governo ordinato del perverso sistema appena descritto.
Con riferimento alla fase della scelta del contraente, l'intervento della criminalità organizzata si avvale di tecniche manipolative immancabilmente realizzate sul presupposto di appoggi corruttivi in seno alla stazione appaltante.
Soltanto esemplificativamente:
- nel sistema della licitazione privata, la procedura di gara viene pilotata sin dalla fase della determinazione dei requisiti di partecipazione, attraverso l'inserimento di clausole deputate a favorire alcune imprese (tanto, ovviamente, si realizza sul presupposto causale della complicità degli organi tecnici e deliberativi dell'ente appaltante);
- ancora, la regola della formazione concorrenziale del corrispettivo viene elusa attraverso l'imposizione di accordi ai partecipanti circa le offerte di ribasso da presentare (ciò che è possibile soltanto - conoscendo preventivamente e indebitamente l'elenco delle ditte invitate, ovvero simulando la pluralità dei concorrenti, ad esempio indirizzando gli inviti a numerose imprese facenti capo allo stesso soggetto economico, ovvero ancora con altre tecniche combinatorie adeguate al metodo prescelto di aggiudicazione);
- la stessa regola del ricorso a procedure garantite di scelta dell'altro contraente viene fraudolentemente elusa, ricorrendosi indebitamente alla trattativa privata;
- nel sistema dell'appalto-concorso, accordi corruttivi consentono di ottenere preventivamente indicazioni tecniche destinate a rendere il progetto esecutivo preferibile rispetto ad altri.

Frequentemente (e il fenomeno è registrato anche con riguardo ad ambiti contrattuali di grande rilievo), il problema della formale aggiudicazione dell'appalto risulta indifferente alle organizzazioni criminali, che rilevano di fatto la commessa dall'impresa aggiudicataria attraverso imprese formalmente subappaltatrici, ma in realtà operanti in esclusiva e alle condizioni del soggetto apparentemente titolare dei lavori, ridotto a un ruolo di rendita finanziaria parassitaria e di intermediazione corruttiva nel rapporto con gli organi amministrativi di controllo.
In generale, la gestione dei subappalti (al pari delle forniture di materiali) assume nel quadro del controllo mafioso dell'economia un ruolo sofisticato negli equilibri criminali, regolandosi sapientemente in tal modo i rapporti con i gruppi camorristici locali, così soddisfatti nelle proprie aspettative di coinvolgimento lucrativo.
La fase dell'esecuzione dei lavori risulta ancor più prestata alle pratiche corruttive.
Le indagini, anche in attuale svolgimento, registrano l'abitualità (e, si è detto, la necessità per la sopravvivenza del sistema illecito) della ricerca della complicità degli organi tecnici e amministrativi di controllo della regolare esecuzione dell'opera.


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Omissioni, falsificazioni, compiacenti superficialità caratterizzano sistematicamente gli interventi dei pubblici funzionari in sede di revisione dei prezzi originari, di approvazione di perizie di variante e suppletive, di controllo degli stati di avanzamento, di erogazione delle connesse anticipazioni, dei collaudi finali.
Si tratta della fase contrattuale che nella patologia del sistema tipicamente svolge la funzione di traslare sull'erario pubblico il costo finanziario del rapporto con il soggetto politico e con quello prettamente criminale; ma spesso è il canale di ricerca di ulteriori vantaggi illeciti per l'imprenditore.
L'autonomo rilievo criminoso degli specifici contesti corruttivi (e dei connessi illeciti finanziari e societari) nulla toglie all'esigenza primaria di interpretare organicamente il quadro comportamentale d'insieme al fine di adeguare la metodologia d'indagine e l'intervento repressivo alla realtà di un rapporto interattivo complessivo in cui tanto il soggetto esterno all'organizzazione di tipo mafioso che quest'ultima traggono vantaggi illeciti specifici, altrimenti non acquisibili.
A tale riguardo, il parametro per valutare se un soggetto non naturalmente inserito nell'organizzazione camorristica (sia esso il politico, il funzionario pubblico, o l'imprenditore) sia perseguibile come partecipe a questa appare doversi individuare con riferimento, da un lato, al sistema di utilità illecite - diretto o indiretto - stabilmente conseguito dall'indagato nel rapporto con la consorteria mafiosa, e, dall'altro lato, al contributo consapevolmente dato al perseguimento delle finalità tipiche dell'associazione di tipo mafioso essenziali per la conservazione del potere criminale sul territorio.

5. Camorra, manipolazione del consenso elettorale e controllo del voto

Per poter continuare il regime di assoluto favore da parte di numerosi esponenti politici, il controllo del voto da parte delle organizzazioni camorristiche è un momento essenziale. A tal fine, tali organizzazioni si sono avvalse dei metodi più diversi, già oggetto dell'attenzione delle precedenti Commissioni parlamentari.
Accanto ai sistemi di intimidazione degli oppositori, le consorterie criminali si sono avvalse anche, e anzi più spesso, della rete di relazioni intessuta nelle categorie sociali con cui convivono proficuamente, ma soprattutto del potere di supremazia gerarchica che la potenza affaristico-militare loro assicura sulle amministrazioni pubbliche e il ceto burocratico locali.
In altre parole, si è progressivamente giunti a un controllo diretto dell'organizzazione camorristica di parte rilevante della rete di clientela elettorale del candidato.
Intere zone del territorio campano sono del tutto sottoposte alle capacità di governo del voto delle organizzazioni camorriste che quando non designano direttamente propri esponenti organici nelle cariche elettive (potrebbero citarsi numerosi esempi di ciò e molti se ne sono già citati), condizionano pesantemente la vita politico-amministrativa.
Alcune indagini, giunte a positivi vagli giudiziali, dimostrano che guerre di camorra sono state combattute in vista di rinnovi elettorali


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delle rappresentanze locali e delle formazione dei governi locali e, che, correlativamente, il mutare del quadro dei contrasti e delle convergenze politiche altro non era che l'espressione immediata dei rapporti di forza fra i gruppi criminali impegnati a conquistare militarmente il controllo del territorio.
Ancor più frequentemente, si è registrata la dipendenza delle scelte di gestione politico-amministrativa dalla definizione degli obiettivi funzionali alle esigenze di accumulazione finanziaria illecita delle organizzazioni camorristiche.
Importanti indagini, alcune delle quali ormai sottoposte con esito positivo al vaglio dibattimentale, hanno dimostrato la capacità delle organizzazioni criminali di piegare - ricorrendo a sapienti combinazioni di metodi corruttivi e intimidatori - ai propri scopi la formazione di interi piani regolatori ovvero comunque di influenzare le scelte della P.A. in materia di controllo dell'ordinato assetto edilizio-urbanistico del territorio, governando imponenti interventi di speculazione immobiliare.
Nel settore - di grande rilevanza sociale ed economica - del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti, si è accertata la presenza egemonica di imprese mafiose, raggiunta attraverso la combinazione di metodi di intimidazione violenta dei soggetti concorrenti e di pianificazione corruttiva dei rapporti con i pubblici amministratori, astrattamente chiamati a garantire il rispetto della disciplina legale delle attività in questione.
Le potestà di diretta erogazione di spesa pubblica nel settore degli appalti e delle forniture di beni e servizi facente capo agli enti locali sistematicamente hanno costituito oggetto di ramificati intrecci criminali e del dispiegarsi di ampi e sistemici accordi corruttivi.
In tal contesto generale, il ricorso alle procedure di scioglimento dei consigli comunali caratterizzante il recente passato - per quanto importante e significativo - appare segnato da limiti e difetti che fanno dubitare dell'effettiva utilità di tale strumento ai fini del ripristino della legalità, secondo quanto abbiamo avuto già modo di accennare.
E invero:
- la gestione commissariale degli enti comunali che segue allo scioglimento si esercita in condizioni di sostanziale immutazione dell'assetto burocratico dell'ente, sì che le possibilità di fronteggiare efficacemente i gravosi compiti di amministrazione attiva ne risultano condizionate gravemente; opportunamente, la disciplina della materia andrebbe riformulata, prevedendosi l'insediamento di adeguate strutture burocratiche esterne di supporto tecnico-contabile amministrativo, nonché la contestuale attivazione di straordinari interventi di incisivo controllo ispettivo amministrativo-contabile;
- il rinnovo, alla scadenza della gestione commissariale, degli organi elettivi spesso segna la riproposizione delle medesime condizioni di inquinamento che avevano motivato lo scioglimento del consiglio comunale; a tale proposito, andrebbero disciplinati in maniera più rigorosa i casi di ineleggibilità e introdotte ipotesi di risoluzione dei rapporti di servizio svincolate dal pregiudiziale accertamento di dirette responsabilità penali.


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La dimensione della sfera di controllo e di influenza elettorale delle organizzazioni camorristiche è tale da manifestarsi anche in occasione della formazione degli organi di rappresentanza politica nazionale.
L'attivazione del circuito affaristico-clientelare controllato sul territorio dalle organizzazioni camorristiche manifesta il grado più elevato o almeno più eclatante di pericolosità, rinnovandosi o sostituendosi inquietanti saldature di eterogenei interessi criminosi.
Le risultanze di numerose e importanti indagini - che hanno visto l'incriminazione o persino l'arresto di parlamentari ritenuti contigui alle consorterie camorristiche e che da queste avevano tratto obiettivo giovamento per essere eletti - su tale versante hanno delineato consolidati scenari di obiettiva gravità, le condizioni generali di sviluppo dei quali appaiono sostanzialmente inalterate.
Il solo dato obiettivo dell'avvio di un procedimento per partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso di un ex Ministro dell'Interno vale a dare conto immediatamente della dimensione della eccezionale gravità di questo peculiare aspetto del fenomeno collusivo.
Il relativo quadro indiziario è attualmente sottoposto a verifica dibattimentale, ma sin d'ora non può sottolinearsi che - quando il capo di quella organizzazione criminale confessa di aver convocato presso il proprio rifugio di latitante un esponente politico, fiduciario locale di quel Ministro per trasmettere a quest'ultimo il proprio ringraziamento per avere evitato di indicarne il nome e sottolineato la pericolosità in una relazione al Parlamento sullo stato della criminalità - si individua un obiettivo segnale al fine dell'individuazione di alcune delle radici di una tradizionale - per vero, finalmente, almeno in parte, abbandonata - sottovalutazione di gravissimi fenomeni criminali e dell'estensione complessiva del sistema di «tutela istituzionale» del quale hanno goduto le organizzazioni mafiose.
In generale, l'esponente politico legato al gruppo camorristico dal vincolo di condizionamento elettorale (quando non anche affaristico) costituisce un ideale canale di illecito condizionamento dell'attività degli organi giudiziari e di quella delle forze di polizia, attivato dalle organizzazioni criminali al fine di influire sulle decisioni di quelli e di frenare le iniziative di queste.
La sistematica ricerca di garanzia di impunità e di illeciti favori da parte dei gruppi mafiosi è alla radice di uno degli aspetti più allarmanti del generale inquinamento delle strutture dello Stato, per connotati intrinseci di pericolosità e per la devastante efficacia sulla fiducia generale nella capacità delle istituzioni di fronteggiare l'espansione di forze ed interessi criminali.
Significativi segnali di infiltrazione camorristica - realizzata attraverso la sapiente combinazione di metodi di intimidazione e ricerca di contatti corruttivi - per altro devono registrarsi anche nel settore della giustizia civile, con particolare riferimento al controllo della vendita dei patrimoni fallimentari.
Molteplici elementi inducono a ritenere che l'interesse delle organizzazioni camorristiche alla fraudolenta gestione dell'amministrazione dei patrimoni fallimentari sia attuale e anzi accresciuto e perseguito attraverso tecniche delittuose e sofisticate.


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Lo stato delle indagini sull'intervento della criminalità nella manipolazione del consenso elettorale indicato nella recente audizione del Procuratore della Repubblica non vede investigazioni in corso di rilevante spessore.
Sono state indicate indagini che riguardano in particolare il comune di Afragola, per connivenze con il clan camorristico dei Moccia - il comune è stato fatto segno di un provvedimento di scioglimento, provvedimento in un primo tempo annullato dal Tar - e quello di Marano per segnalati collegamenti tra esponenti dell'attuale amministrazione ed i clan Nuvoletta e Polverino.
La Procura, poi, segnala indagini su di un altro comune, che per non essere ancora rese pubbliche non vengono in questa sede citate in modo esplicito, dove pure sarebbero emerse infiltrazioni della locale cosca camorristica.
Il dato quantitativo - a meno di non voler ritenere che la camorra si sta disinteressando delle elezioni, cosa certamente da escludersi oltre che per logica anche per alcuni dati che pure emergono in alcune vicende anche recentissime; nel corso, ad esempio, del recente arresto del capocosca latitante di Giugliano Francesco Mallardo si verificò che i partecipi al summit, tutti personaggi di primo piano anche dell'Alleanza di Secondigliano, erano forniti di materiale elettorale per la propaganda di un candidato locale alle di lì a poco celebrate elezioni regionali - merita certamente una riflessione e può forse trovare una parziale spiegazione da un lato nella maggiore accortezza nella gestione dei rapporti interpersonali, dall'altro nell'assenza di nuovi collaboratori di calibro tale da essere a conoscenza di questi incestuosi legami.

6. Lo scioglimento dei consigli comunali.

Riservando all'ultimo capitolo il tema dei limiti di tali provvedimenti e delle proposte possibili per migliorane l'efficacia, la Commissione ritiene che, comunque, il provvedimento amministrativo in parola, introdotto grazie ad una legge proposta dall'allora Ministro degli Interni Scotti, abbia un'importante funzione simbolica, rappresentando il modo attraverso cui lo Stato-amministrazione fa sentire la sua forza del controllo contro il rischio che le infiltrazioni della criminalità falsino le regole della democrazia partecipativa.
La Campania è certamente la regione nella quale il numero elevatissimo di amministrazioni comunali sciolte - dal momento dell'entrata in vigore della legge ai giorni nostri - per infiltrazioni camorristiche dava il segno della capacità delle cosche di controllare la res pubblica.
Si erano verificati segnali certamente preoccupanti; alcuni consigli comunali - 5 nella sola provincia casertana -, ad esempio, sono stati sciolti più volte, a dimostrazione della pervicace presenza delle consorterie camorristiche.
I dati forniti nelle ultime audizioni mostrano un'inversione di tendenza sulla quale occorre certamente riflettere.


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In provincia di Napoli nel 1998 sono stati sciolti due consigli comunali - quello di Casandrino e Boscoreale -; identico numero nel 1999 - Poggiomarino ed Afragola, ma di quest'ultimo si è detto il provvedimento essere stato annullato dal Tar; nessuno scioglimento ad oggi nel 2000.
In provincia di Caserta nel 1998 sono stati sciolti due consigli - quelli di Villa di Briano e Grazzanise - e nel 1999 uno solo - Castelvolturno; nessuno scioglimento ad oggi nel 2000.
I dati forniti dal Prefetto di Salerno riferiscono notizie di scioglimento di 4 consigli comunali, specificando, però, che si tratta di provvedimenti risalenti al 1993; il che significa che da quella data nessun consiglio comunale più è stato sciolto.

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Una lettura dei dati numerici potrebbe certamente far pensare ottimisticamente che la camorra ormai non si occupa più di condizionare le amministrazioni comunali.
In realtà i segnali che giungono alla Commissione anche dalla lettura di alcuni atti processuali sono di diverso segno ed impongono un'attenzione costante e vigile.
Nell'ordinanza cautelare sul clan Fabbrocino, ad esempio, è citato un episodio che riguarda un'amministrazione comunale di un paese dell'area vesuviana (si tratta del comune di San Giuseppe Vesuviano): un consigliere comunale che sta per ricevere una delega dal Sindaco si rivolge al cugino omonimo del capocosca Mario Fabbrocino per chiedere il placet della organizzazione a questa nomina; è un episodio che si commenta da solo ed appare ancora più preoccupante se si pensa che quell'amministrazione comunale viene rieletta senza che si presentino liste alternative.
In più comuni, poi, della provincia napoletana e casertana sono stati resi noti, anche attraverso atti ispettivi parlamentari o commissioni di accesso profili di possibili contiguità (21).

(21). Qui si richiamano in particolare varie interrogazioni parlamentare, quale quelle degli on Albanese, del sen. Novi. del sen Diana su vari comuni.

7. Camorra e appartenenti a organismi istituzionali

Si tratta di una problematica estremamente delicata oggetto spesso di strumentali rimozioni o di generiche denunce che servono soltanto a un frastuono che allontana la possibilità di raggiungere specifiche e puntuali verità.
D'altro canto, il fatto che tale problematica sia stato oggetto di strumentali rimozioni o di generiche denunce non può in alcun modo legittimare il silenzio su quest'ordine di problemi, estremamente gravi e sui quali occorre intervenire con la massima fermezza.
Il sindaco di Napoli, Bassolino, ha ricordato come «la presenza camorrista negli anni '80 aveva raggiunto una dimensione tale che era ed è inspiegabile se non esaminando anche le infiltrazioni e i collegamenti fortissimi che aveva avuto dentro le istituzioni e dentro tutti gli apparati dello Stato. Non avrebbe potuto raggiungere la potenza che


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aveva raggiunto senza agganci forti nelle principali istituzioni (Comune, Provincia e Regione) e senza collegamenti o connivenze, silenzi od occhi chiusi da parte dei principali apparati dello Stato, compresa la questura, la magistratura e tutte le altre istituzioni.»
Lo stesso sindaco rileva che «rispetto a questa situazione di penetrazione molto forte negli anni '80, sono indubbie alcune novità e è possibile sottolineare alcuni passi avanti, ma la preoccupazione resta molto forte, soprattutto per la diffusione sul territorio della presenza di elementi legati alla camorra e alle forze di criminalità e per quel particolare carattere che ha assunto il fenomeno, cioè un misto di organizzazione criminale classica e attività anche di delinquenza metropolitana, l'un fatto legato all'altro».
Non si deve pensare, però, che tutto ciò appartenga senz'altro a un passato definitivamente chiuso; nei diversi centri della Campania è dato registrare segni evidenti della continuità di un sistema di collusioni, contiguità, tolleranza, «distrazioni» e così via che richiede una radicale opera di «bonifica».

* * * *

Intensissimo può definirsi senz'altro l'inquinamento della Pubblica amministrazione operato dalle organizzazioni camorristiche.
In particolare, il settore delle autonomie locali può senz'altro identificarsi come quello sottoposto, da anni, alla capacità pervasiva delle organizzazioni camorristiche. L'aumento della capacità di spesa, anche nel settore degli appalti, la fuga progressiva dei professionisti dalla partecipazione alla vita delle amministrazioni, l'illegalità diffusa in cui da anni esse operano, la mancanza di controlli dal basso (cioè dei cittadini, ridotti sempre più spesso a barattare il proprio voto per favori di vari natura, assicurati, nell'illegalità, dal soggetto più forte, che spesso si identifica con il capocamorra) sono tutti fattori che hanno esposto, storicamente, e ancora espongono le amministrazioni comunali all'infiltrazione camorristica.
Ancora forti e attive sono le strutture intermedie, che governano enti locali e pubbliche amministrazioni, uscite sostanzialmente intatte dal periodo di Tangentopoli e delle grandi indagini di camorra.
Sul punto i dati forniti dal Procuratore Cordova sul numero di inquisiti appartenenti alla p.a. - sopra precisato - è veramente inquietante ed impone di riflettere anche sul funzionamento dei meccanismi disciplinari interni, troppo spesso caratterizzati da un eccesso di negoziazione a scapito di quello che dovrebbe essere il risultato perseguito e cioè la punizione del dipendente infedele.
Se è vero come è vero che anche funzionari condannati per corruzione o persino per concussione sono tornati ai loro posti, è allora certamente necessario ripensare integralmente al sistema sanzionatorio interno ai singoli enti.

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Altro ambito in cui la caratteristica capacità pervasiva delle organizzazioni camorristiche ha potuto ampiamente dispiegare i suoi effetti perversi è quello delle strutture di polizia, anche giudiziaria.
Soltanto nel 1996 e nei primi mesi del 1997, sono stati tratti in arresto oltre 50 unità di personale di P.G., anche di grado elevato e


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proveniente da corpi altamente professionali (ROS, Polizia Tributaria, DIA., Squadra Mobile, ecc.), per delitti gravissimi: dall'associazione per delinquere di tipo camorristico o semplice all'estorsione, dalla rapina, al traffico di stupefacenti, dalla corruzione al contrabbando, al tentato omicidio.
Pur non essendo stati forniti dati numerici specifici per i periodi successivi, è noto che sono proseguiti arresti ed indagini su appartenenti alle forze dell'ordine, anche se qui posto in rilievo come gran parte delle anche attuali indagini riguarda spesso episodi di connivenze non recenti, a dimostrazione che il significativo ricambio avvenuto del personale di polizia giudiziaria hanno reso gli apparati investigativi certamente più impermeabili alle pressioni ed alle spinte corruttive.
La perdita che ne è evidentemente derivata sul piano della conoscenza del territorio viene, quindi sul piano da ultimo indicato, compensata.
Le vicende oggetto dell'analisi da parte della magistratura sono veramente molteplici e non si riportano qui tutte per evitare di appesantire eccessivamente il presente lavoro ed anche perchè appare inutile riportare meri dati numerici.
Basterà ricordare alcuni episodi a dimostrazione del rilevantissimo inquinamento raggiunto in alcuni apparati di polizia giudiziaria e ricordare come, persino, tra gli appartenenti alle forze dell'ordine siano stati individuati dei collaboratori di giustizia - si pensi ad un maresciallo dei carabinieri che ha fornito un rilevante contributo nelle indagini sul clan La Torre di Mondragone o ad un ispettore di polizia che ha fornito un rilevante contributo nelle indagini su alcuni episodi illeciti commessi da appartenenti alla squadra mobile di Napoli - sottoposti a misure di protezione.
A titolo puramente esemplificativo si ricordano:
- il procedimento, oggi in giudizio, contro Sossio Costanzo, vice questore già dirigente della Squadra mobile di Napoli, ed altri 19 appartenenti alla Sezione narcotici, sottoposti a misure custodiali in carcere per i reati di falsità in atti pubblici, calunnia, detenzione illegale di stupefacenti, cessione illegale di arma, ed inoltre, ad eccezione di Costanzo, corruzione aggravata e rivelazione di segreto d'ufficio; condotte poste in essere in concorso con esponenti del clan Cozzolino di Ercolano ed aggravate ex articolo 7 DL 152/91;
- il procedimento che ha visto quasi interamente decapitata la sezione di polizia giudiziaria della polstrada con l'arresto anche del dirigente per peculato, concorso in rapina ed in ricettazione, detenzione e cessione di stupefacenti
- il procedimento che ha visto coinvolto vai funzionari del ministero degli interni tra cui Matteo Cinque, già questore di Palermo e Paolo Manzi, vice questore dirigente l'ufficio Misure di Prevenzione della Questura di Napoli, imputati di vari reati tra cui l'abuso di ufficio la falsità in atti pubblici ed abuso d'ufficio, procedimento di recente conclusosi in primo grado anche con alcune condanne;
- il procedimento contro Gennaro D'Addio, graduato delle G.d.F., imputato di partecipazione alla associazione criminosa, capeggiata da Pasquale Russo. Nello stesso procedimento, e per lo stesso reato, è


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stato rinviato al giudizio della Corte d'Assise di Napoli, per il medesimo reato, l'ex Ministro dell'Interno, Antonio Gava, l'ex vice presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, Raffaele Mastrantuono, gli ex sottosegretari di Stato Raffaele Russo e Francesco Patriarca, l'ex senatore Vincenzo Meo.
- il procedimento contro Luigi Marano + 15, tutti appartenenti alla Polizia di Stato e all'Arma dei Carabinieri, imputati di concussione, corruzione, abuso di ufficio e sfruttamento della prostituzione.
- il procedimento contro Antonio Santaniello, agente della PS, imputato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (clan Alfieri), di corruzione e di rivelazione di segreto di ufficio, in concorso con i latitanti Pasquale Russo e Salvatore Andrea Russo, con l'aggravante di cui all'articolo 7 DL 152[9]1; reati commessi quando era in servizio presso il Commissariato Polstato di Nola.
- il proc. Contro Giuseppe Calà, Antonio Bencivenga e Francesco Palmieri (rispettivamente, appuntato, maresciallo e brigadiere dipendenti dal Gruppo Carabinieri di Castello di Cisterna), imputati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (clan Alfieri) e di corruzione in concorso con i capi camorristi Carmine Alfieri e Fiore D'Avino, aggravata ex articolo 7 DL 152/1.
- il proc. contro Orlando Ferrara, maresciallo della Guardia di finanza in servizio dapprima presso il Nucleo regionale di PT di Napoli e poi presso il Centro operativo DIA di Napoli e contro Giovanni Russo, maresciallo dei CC in servizio presso il Centro operativo DIA di Napoli, imputati di reati vari dalla partecipazione ad associazione di tipo mafioso alla corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio aggravate ex articolo 7 DL 152[9]1, procedimento conclusosi di recente da parte del Tribunale di Nola con pesanti condanne.
- proc. contro Gennaro Letizia, maresciallo già comandante della stazione CC di San Giuseppe Vesuviano, di recente condannato dal Tribunale di Nola per falso idelogico.

Particolarmente gravi sono anche le vicende di collusioni emerse nella provincia di Caserta, tra ufficiali di p.g. ed il clan dei casalesi; sono stati arrestati e rinviati a giudizio sottufficiali e graduati dell'arma dei Carabinieri (Arcangelo Barbato, Michele Bonafiglia, Vito Cristiano, Antonio Elio D'Onofrio, Mario De Dominicis) dipendenti del Gruppo di Caserta o in servizio presso le stazioni dei carabinieri dei paesi a più alto tasso di inquinamento camorristico; allo stesso modo sono emersi gravi episodi di collusione a carico dei responsabili della sezione di p.g. del commissariato di Aversa (Nicola Capuolongo e Nicola Panaro) ritenuti a disposizione del clan dei casalesi a cui, secondo l'accusa, passavano notizie riservate.
Alcune vicende specifiche di recente emerse rimarcano come gli apparati di polizia giudiziaria nel periodo tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 avessero al loro interno soggetti alle dipendenze della camorra piuttosto che dello stato.
L'ispettore Panaro, già citato, durante il periodo - fino al 1992 - in cui era responsabile della sezione p.g. di Aversa non esitava a essere


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ospite di un'abitazione messagli a disposizione in Puglia dal capoclan, oggi pentito, Carmine Schiavone; l'appuntato dei carabinieri Stellato in servizio ai Carabinieri già in servizio presso la compagnia di Aversa nel corso di una perquisizione - avvenuta nel gennaio del 92 - presso l'abitazione di un camorrista trovava una pistola, che però occultava invece di farla risultare sul verbale di perquisizione e successivamente la restituiva a un camorrista di Aversa, Giuseppe di Girolamo oggi pentitosi; l'assistente di polizia Di Costanzo, già in servizio presso il commissariato di Chiaiano, si prestava dietro l'ottenimento di somme di danaro a far da autista al capocamorra Carmine Di Girolamo, pure pentitosi, evaso nel 1994 dalla casa circondariale di Padova.
La eccezionale gravità del fenomeno appena descritto non è segnata soltanto del mero numero, in sé rilevante, degli accertati episodi corruttivi, ovvero del giudizio di gravità delle specifiche condotte, ma dalla registrata esistenza di deviazioni istituzionali profonde e radicate, tanto da coinvolgere, in alcuni casi interi uffici, ovvero comunque significativi pezzi di essi, ciò che, di fatto, ha sminuito l'efficacia complessiva dell'attività di prevenzione e repressione dei fenomeni criminali.
Si tratta di un fenomeno ancor più allarmante se si considera l'effetto obiettivo di discredito che ne deriva per lo Stato nel suo complesso e per gli appartenenti alle forze di polizia impegnati nell'adempimento del proprio dovere, e, per effetto dell'infedeltà di altri, con maggiore rischio personale a causa della loro iperesposizione.

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L'inquinamento fin qui descritto non ha evidentemente potuto interessare gli apparati politico-burocratici e le forze dell'ordine e lasciare completamente mondo l'apparato giudiziario.
Se si sono, nel passato, saldati legami così forti tra mondo politico, imprenditoriale e camorra è anche perchè gli interventi dell'autorità giudiziaria non sono stati spesso tempestivi ed efficaci.
E qui il discorso evidentemente si fa molto complesso e delicato, perchè anche dall'analisi degli atti e delle indagini poste in essere negli ultimi anni dalla Procura di Salerno emerge un mix di neghittosità e di coinvolgimenti personali che hanno interessato una fetta certamente ridotta dell'apparato giudiziario napoletano, ma evidentemente quella in grado di incidere sui tempi e sui modi delle indagini.
Il potere politico corrotto, utilizzato come cavallo di Troia dagli ambienti camorristici, ha svolto sul punto un ruolo certamente determinante, cercando di coinvolgere pezzi della magistratura in operazioni politico- imprenditoriali, in modo tale da legare successivamente le mani agli stessi inquirenti.
Non era forse questo il disegno perseguito dall'apparato burocratico e politico nel nominare magistrati quali membri di collegi arbitrali particolarmente lucrosi sul piano economico?
La possibilità poi di mettere le pedine giuste nei gangli centrali dell'apparato giudiziario inquirente - v. le nomine ai posti di procuratore della Repubblica, di consigliere istruttore o, perchè no?, di responsabile dell'Ufficio denunce - ha reso possibile spesso il controllo o la gestione soft di alcune indagini delicate.


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Come si fa a non pensare all'ispezione del CSM fatta a metà degli anni 80 nella Procura di Napoli - conclusasi con l'«assoluzione» del procuratore - e culminata con due relazioni, una di maggioranza ampiamente assolutoria dell'allora procuratore e l'altra di minoranza che evidenziava, però, inequivoche pressioni fatte dall'allora capo dell'Ufficio sui sostituti delegati a un'indagine sui rapporti tra un importante esponente politico democristiano e la camorra, in particolare il clan Nuvoletta?
Come si fa a non ricordare l'episodio della doppia requisitoria, una predisposta dal titolare delle indagini con la quale si chiedeva il rinvio a giudizio di un importante esponente politico, l'altra del capo dell'Ufficio, con la quale si chiedeva il proscioglimento di quello stesso soggetto?
E come si fa, infine, a non pensare alla conduzione delle indagini su una vicenda chiave della vita politico-giudiziaria napoletana, il sequestro Cirillo, con i sostituti delegati all'indagine che sembrano più interessati a che si chiuda l'investigazione piuttosto che agli approfondimenti che un coraggioso giudice istruttore voleva effettuare?
Ma al di là di episodi significativi per indicare un clima che regnava sugli uffici giudiziari napoletani, in sede di relazione non può non essere ricordato come alcuni magistrati in servizio in uffici napoletani e salernitani siano stati arrestati dalla Procura di Salerno e come di recente, al termine di un dibattimento certamente troppo lungo, sia giunta una clamorosa sentenza di condanna - fra l'altro trattata dalla stampa locale con notevole scarso rilievo - con la quale si sono inflitte condanne pesantissime al dott. Lancuba, già sostituto a Napoli e titolare del discusso ufficio denunce, ed al giudice Esti, entrambi anche per il delitto di partecipazione all'associazione camorristica Alfieri.
Per altri magistrati pure imputati in ambito salernitano si attendono gli esiti dei dibattimenti, che avrebbero, però, da parte di quell'autorità giudiziaria dovuto trovare un canale privilegiato in ordine ai tempi di trattazione, ingiustificatamente lunghi in relazione alla gravità delle vicende e tale da poter suscitare nella pubblica opinione ipotesi di eccessiva compiacenza corporativa.
Si è consapevoli che non è compito della Commissione Antimafia in alcun modo istruire processi e tanto meno avventurarsi in giudizi su queste o analoghe complesse vicende. Tuttavia si ritiene non si possa, in questa ricognizione di alcuni tratti essenziali e di alcune radicali contraddizioni presenti nell'ambito della magistratura, per molti versi benemerita, tacere altri aspetti che sono stati portati all'attenzione della Commissione.
In particolare la Commissione ha avuto la possibilità di leggere tutti gli atti riguardanti la posizione del dott. Arcibaldo Miller (22), già sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ed attualmente nominato, a maggioranza, dal CSM Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria C.V.

(22). In particolare la Commissione ha richiesto la trasmissione degli atti posti in essere dal CSM riguardanti prima la presunta incompatibilità ambientale del dott. Miller e poi la promozione a Magistrato di Cassazione.


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Questo magistrato, prosciolto nelle sedi giudiziarie (23) ed amministrative (24), ha avuto contatti con personaggi ritenuti vicini ad ambienti camorristici (v. frequentazioni ammesse dallo stesso dott. Miller con la famiglia Sorrentino - uno degli appartenenti alla quale l'imprenditore Bruno Sorrentino è stato sottoposto alla misura di prevenzione in quanto ritenuto vicino al clan Cutolo - o contatti, emersi dalla consultazione delle sue agende sequestrate a seguito di perquisizione, con Mimmo Sarmino e Franco Baldini, ritenuti entrambi vicini alla camorra ed uccisi in seguito ad agguati di chiaro stampo camorristico (25). Comportamenti siffatti - invero risalenti ad alcuni anni fa - hanno suscitato oltre che interrogazioni parlamentari, giudizi pesanti, riserve e perplessità, ad esempio, contenute nel libro bianco preparato dagli avvocati aderenti alla camera penale di Napoli.

(23). Il dott. Miller era risultato indagato per il delitto di corruzione; il Gip presso il Tribunale di Salerno in data 10 marzo 1996 su conforme richiesta del p.m. ha disposto l'archiviazione; si riportano di seguito due passi integrali del provvedimento del gip di Salerno: da pag. 31 si riprende «In assenza di dichiarazioni dirette su un personale coinvolgimento del dr. Miller, le attività processuali che pure lo stesso ha posto in essere, i suoi rapporti di forte colleganza con il Lancuba, e che si possono leggere in controluce anche nel ricorrente riferimento dei collaboratori alla sua persona, e financo la conoscenza di personaggi perlomeno equivoci che frequentavano il Lancuba, non costituiscono elementi probatoriamente utilizzabili - siccome dati equivoci - a ritenere ascrivibili anche al predetto comportamenti processuali oggetto di incriminazione per il Lancuba, quali la stessa sottoscrizione della requisitoria con la quale si chiedeva l'anticipato proscioglimento del MALVENTO ed altri, e comunque, la gestione del procedimento, trattandosi di decisioni ed attività alle quali lo stesso potrebbe essere stato indotto o dalla scarsa conoscenza dei dati processuali o anche, fidando della maggiore conoscenza e approfondimento dei fatti, dall'operato del collega più anziano» da pag. 32 e 33 si può leggere «A carico del Miller appare, infine, ravvisabile un rapporto di conoscenza e frequentazione assidua con Matteo SORRENTINO, e con i componenti della sua famiglia, rapporto che lo stesso indagato non ha negato e che viene, coralmente, riferito da più fonti, tra le quali il Gamberale oltre al Galasso ed all'Alfieri. È evidente che siffatto rapporto non era sconosciuto nel circuito criminale del Sorrentino che, anzi, utilizzava le sue conoscenze nell'ambiente giudiziario per accrescere il suo potere in seno al gruppo criminale cui, di volta in volta, aderiva [...]». Tuttavia tale dato - e cioè la pur comprovata frequentazione di Matteo Sorrentino e della sua famiglia - non può costituire, in assenza di elementi idonei a rappresentare la effettività di interventi giudiziari spiegati dal Miller su suggerimento di questi ovvero in assenza di utilità che il predetto ha tratto da siffatto rapporto in connessione con l'espletamento dell'attività giudiziaria, un dato di accusa idoneo a fondare il delitto contestatogli»
(24). La proposta di trasferimento di ufficio ex articolo 2 legge guarentigie per cd incompatibilità ambientale risulta, infatti, respinta a maggioranza dal CSM.
(25). La vicenda dei rapporti con Mimmo Sarmino e Franco Baldini risulta ricostruita in una interrogazione parlamentare dell'1/7/98 presentata dagli on. Nappi ed altri (4-18596)

Va ribadito, infine, con uguale forza che quanto qui ricordato - quale doveroso omaggio alla verità complessiva della situazione ed alla assoluta esigenza di non apparire, non solo di non essere comunque omissivi - non può essere inteso in alcun modo quale forma, esplicita o implicita, di delegittimazione di un magistrato nelle pienezza delle sue funzioni.

In questa prospettiva, sarebbe un grave errore non fare chiarezza a tutti i livelli e in ogni settore, come un grave errore sarebbe anche abbassare la guardia, anche perchè alcune connivenze con un ceto


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politico-imprenditoriale (26) che sta ricominciando ad affacciarsi potrebbero far riemergere opacità, indolenze e neghittosità che se pure non hanno costituito oggetto di indagini - al limite per il difetto di rilevanza penale - avrebbero ben potuto trovare uno sbocco istituzionale.

(26). A dimostrazione di quanto affermato, si ricorda che nelle ultime elezioni per il Consiglio regionale della Campania sono stati candidati ed eletti alcuni personaggi già coinvolti nelle vicende della tangentopoli napoletana; in particolare il Consiglio ha dovuto dichiarare la decadenza del consigliere regionale Boffa, in quanto già condannato in primo grado per reati contro la pubblica amministrazione.

La lotta alla camorra, proprio per il livello di pervasività delle consorterie napoletane potrà riuscire certamente più agevole se nelle istituzioni vi saranno sempre persone di specchiata moralità e indipendenza.

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