IMMIGRAZIONE TRA LIBERTA' SICUREZZA E GIUSTIZIA
Giornata di studio promossa dal Comitato parlamentare Schengen-Europol
(11 ottobre 1999)
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Camera dei Deputati.
I movimenti migratori coinvolgono oggi tra i 130 ed i 143 milioni di individui contro i 104 milioni del 1985 e gli 84 milioni del 1975.
Esiste un nesso profondo tra l'aumento dei flussi migratori e l'aumento degli squilibri e delle disuguaglianze tra le diverse aree e regioni del mondo che ha finora accompagnato i processi di globalizzazione dell'economia e delle comunicazioni.
Nel 1960 il divario di reddito tra il quinto della popolazione mondiale dei Paesi più ricchi e il quinto dei Paesi più poveri era di 30 a 1: 40 anni dopo, circa nel 1997 questo "ambasciatore della diseguaglianza" è stato di 74 a 1. E' passato da 30 a 1 a 71 a 1.
Nell'epoca dei mercati globali, inoltre, a nuove opportunità di crescita economica dei paesi meno sviluppati si accompagnano gravi rischi di repentini mutamenti nelle condizioni di vita delle persone: la sola crisi finanziaria del 1997 del Sud-Est asiatico si è tradotta per più di 13 milioni di individui in perdita del posto di lavoro.
Alle migrazioni "da miseria" devono aggiungrsi due forme "emergenti" non meno gravi di migrazione, quella "forzata" che deriva da guerre civili o interetniche - alla fine del 1997 c'erano nel mondo quasi 12 milioni di rifugiati - e quella "dei cervelli": ben 30.000 africani in possesso del dottorato di ricerca vivono oggi all'estero, mentre in Africa vive solo un ingegnere ogni 10.000 abitanti.
L'attuale contesto mondiale ci dice con chiarezza due cose: che non ci si può attendere, né a breve né a lungo termine, alcun calo dei flussi migratori dalle aree povere del mondo verso le aree ricche e che le dinamiche migratorie, per la loro ampiezza e per il loro carattere strutturale, sovrastano la capacità di governo dei singoli Stati.
Le politiche nazionali non possono che risolversi in interventi "difensivi" di regolazione più o meno rigida dei rapporti tra singolo Stato e cittadini stranieri. Sono invece indispensabili politiche sovranazionali, le sole capaci di governare con un segno non repressivo o non solamente repressivo i flussi migratori e di affrontare sul piano economico, sociale e delle relazioni diplomatiche, le cause profonde delle migrazioni.
La scelta operata dal Trattato di Amsterdam di trasferire nella sfera di competenza delle istituzioni comunitarie le materie della immigrazione e dell'asilo è stato il primo passo dell'Europa in questa giusta direzione.
Il Vertice di Tampere del prossimo fine settimana, preceduto dall'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, costituisce un appuntamento fondamentale per la costruzione di una vera politica europea dell'immigrazione. Io sono davvero molto grato ai colleghi del Comitato Schengen di aver pensato a questo incontro, a questo colloquio, perché in questi anni l'Italia ha assolto con efficacia e con senso di responsabilità gli impegni assunti in campo europeo.
Abbiamo varato una legislazione moderna, alla quale molti partner europei guardano con interesse, centrata sulla fermezza contro le illegalità e sulla certezza dell'accoglienza e dell'integrazione degli immigrati. Stiamo costruendo sul piano organizzativo ed amministrativo strutture capaci di contrastare con vigore l'immigrazione illegale ed il traffico di clandestino - dall'inizio dell'anno, ci informa il ministero dell'interno, sono state effettuate oltre 47.000 espulsioni - e siamo in grado di assicurare pienamente il controllo della frontiera meridionale del territorio Schengen.
Al Vertice europeo di Tampere l'Italia si presenta, forte dei risultati positivi che ha saputo conseguire, per portare il proprio contributo alla realizzazione di una politica comune dell'immigrazione. Una politica che non sia limitata all'armonizzazione delle misure di regolazione dei fenomeni migratori, ma che abbia invece al centro l'obiettivo strategico della eliminazione delle cause profonde dell'immigrazione, attraverso la promozione dello sviluppo economico dei Paesi poveri e la realizzazione in loco di maggiori opportunità di vita, di lavoro e di benessere sociale.
Sotto questo profilo, l'Europa è chiamata a dare prova di saper realizzare una nuova dimensione della solidarietà, fondata sul riconoscimento del diritto allo sviluppo dei Paesi di provenienza degli immigrati.
La prima e più seria questione che va inserita nell'agenda politica europea è la riduzione del debito estero dei Paesi poveri.
L'Italia ha dimostrato una attenzione concreta su questo tema, impegnandosi quest'anno a cancellare 5.600 miliardi di crediti commerciali e di crediti di aiuto e sostenendo la proposta, accolta a giugno dal G-7 di Colonia ed il mese scorso dal Fondo monetario internazionale, di un piano internazionale per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri.
Occorrono inoltre cospicui investimenti, a cominciare dal settore delle infrastrutture, sorretti da una forte capacità di progettare e realizzare interventi mirati.
Qui c'è un punto un po più delicato: dei 4.685 milioni di ECU stanziati dall'Unione europea nel periodo 95-99 per interventi nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, risultavano effettivamente spesi a settembre, soltanto 648 milioni. Su questo punto occorre fare di più, perché la capacità di spesa è di per sé un indice della capacità di programmare politiche.
L'Italia ed i Paesi della sponda Nord del Mediterraneo possono da questo punto di vista svolgere, nell'ambito dell'Unione europea, una vera e propria azione di traino, evidenziando le potenzialità di sviluppo e di integrazione con i Paesi della sponda sud, dove la crescita annuale globale del prodotto interno lordo è oggi pari al 5,5%.
Se la dimensione sovranazionale è essenziale per condurre efficaci politiche migratorie, grande incisività possono avere anche forme dirette di intervento da parte di singole comunità nazionali sui Paesi più poveri.
Il Senato ha approvato il 29 settembre scorso il disegno di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo, che ora è all'attenzione della Camera. Si tratta di un impianto legislativo che si segnala per la trasparenza e la rapidità delle procedure di spesa, per le maggiori risorse destinate alla cooperazione - almeno lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo italiano - e per lo stretto coinvolgimento delle organizzazioni non governative, del volontariato, degli enti locali, degli organismi privati e delle stesse comunità degli immigrati in Italia.
E' questo un punto di svolta importante che dà al paese uno strumento moderno di politica della cooperazione. Esso rafforza inoltre e rende stabili tutte quelle iniziative che, senza passare per gli organismi centrali, instaurano un rapporto di conoscenza diretta tra realtà e persone diverse ed incidono positivamente sul sentire della pubblica opinione nei confronti della realtà degli immigrati.
Penso alle iniziative di cooperazione decentrata, ormai assai diffuse sul nostro territorio ed a quelle che, attraverso la formazione professionale degli immigrati ed il sostegno finanziario dei loro progetti, promuovono la realizzazione nei Paesi di origine di attività imprenditoriali finanziate con le rimesse degli immigrati.
Per l'Italia queste forme di intervento costituiscono snodi fondamentali.
Le più recenti spinte migratorie hanno investito in pieno il nostro Paese ponendo alle politiche dell'immigrazione due priorità.
La prima è quella di avviare un processo di crescita di una coscienza civile e democratica, che sappia riconoscere nella convivenza civile di opinioni, religioni, etnie, lingue, costumi differenti, un valore in grado di far emergere una identità nazionale non "per rifiuto delle differenze", ma per "arricchimento e integrazione".
L'educazione civile contro il razzismo è una delle nostre "frontiere repubblicane", dove si misura la nostra capacità di costruire una convivenza democratica.
La seconda è quella di garantire la sicurezza dei cittadini.
C'è una diffusa e spesso infondata "paura dello straniero" che sfocia a volta nel razzismo. A questa sensazione di insicurezza si risponde con politiche della sicurezza, che rendano effettive le pene per la criminalità di strada, che garantiscano in modo visibile i diritti dei cittadini nei luoghi pubblici, nelle abitazioni, nei posti di lavoro.
Se vogliamo consentire che la convivenza tra culture e civiltà diverse si sviluppi nel nostro paese senza l'acutizzarsi di forme di razzismo, intolleranza, xenofobia, dobbiamo rispondere al bisogno di sicurezza manifestato dai cittadini, con concreti interventi che riducano il senso di insicurezza e aumentino al contrario un sentimento di fiducia e quindi di disponibilità ad affrontare ciò che non è conosciuto e che perciò solo oggi spaventa.
Sicurezza delle città, infine, integrazione dei cittadini non comunitari, politiche di sviluppo per i Paesi di emigrazione, sono i pilastri di una politica dell'immigrazione che possa contare sul consenso dei cittadini.
Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.
ANNA MARIA DE LUCA, Vicepresidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività dell'unità nazionale Europol
Grazie Presidente Violante, il nostro ringraziamento anche a tutti voi che siete qui presenti e a tutti un cordiale benvenuto. Io sarò, spero, breve. Mi preme però sottolineare alcune cose.
Questa è una giornata di studio che si dedica al tema dell'immigrazione. Tra breve voi tutti sapete che si svolgeranno i lavori del Consiglio straordinario di Tampere. Questo Consiglio avrà all'ordine del giorno la discussione delle linee programmatiche e operative che andranno a definire uno spazio di sicurezza, di libertà e giustizia che speriamo tutti si possa veramente realizzare, il più presto possibile e rigorosamente.
Quando si parla di immigrazione non si può non parlare anche di flussi migratori che interessano i Paesi dell'Unione europea e quando si parla di flussi migratori automaticamente si parla anche di controlli alle frontiere, le frontiere "esterne" dell'Unione, perché tutti quanti voi sapete che i controlli alle frontiere interne sono stati eliminati, per cui è chiaro che i controlli alle frontiere esterne devono essere rafforzati, devono essere rigorosi, e anche la normativa al riguardo deve essere adeguata per mantenere e per garantire maggiore sicurezza.
L'Italia prima di entrare operativamente nello spazio Schengen si è dotata anch'essa di una nuova legge sull'immigrazione. Non voglio entrare nel contenuto di questa legge. Alcuni punti di questa legge non possono essere pienamente condivisi, altri invece sono importanti. Il Comitato Schengen si è molto impegnato sul tema dei controlli alle frontiere attraverso tantissimi sopralluoghi alle frontiere terrestri. Ricordo il sopralluogo alle frontiere con la Slovenia e alle frontiere marittime: la Puglia per esempio, la Sicilia e Lampedusa. Ci siamo anche interessati molto dell'Adriatico, con particolare riferimento alla potenzialità criminale dei flussi che arrivano e provengono soprattutto da Valona, concentrati in quest'area. A questo riguardo sono stati auditi il ministro dell'interno, l'ambasciatore italiano in Albania, i sottosegretari agli esteri e alla difesa. In ultimo ma non certo per importanza voglio anche ricordare il sopralluogo effettuato, peraltro in condizioni particolari, a Tirana e Valona da questo Comitato e da alcuni suoi membri. Si può quindi affermare tranquillamente che il Comitato ha potuto effettuare quasi, mi si consenta, in maniera scientifica, un monitoraggio costante sull'immigrazione e sui fenomeni immigratori.
Ora, con la data del 1° maggio 1999, come sapete, è entrato in vigore il Trattato di Amsterdam. Gli accordi di Schengen, quindi, sono stati incorporati attraverso una ventilazione, termine tecnico, tra il primo ed il terzo pilastro dell'Unione; quindi i visti, l'asilo, l'immigrazione, l'attraversamento alle frontiere esterne sono confluiti nei titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità europea mentre, e qui è molto importante, la cooperazione di polizia e quella giudiziaria penale sono rimaste nel terzo pilastro, quello posto ancora in ambito di discussione e di decisione intergovernativa. Ecco è a questo riguardo che io desidero sottolineare che il Parlamento e per quanto mi concerne il Comitato Schengen, che adesso ha esteso le sue competenze anche alla vigilanza sull'Unità nazionale Europol, non può non essere coinvolto nel processo decisionale che riguarda il terzo pilastro perché, come dire, è una materia molto delicata e quindi non è possibile che il Parlamento venga "tralasciato". La legge di ratifica del Trattato di Amsterdam, la 206 del 16 giugno del 98, prevede d'altra parte l'obbligo del Governo di inviare alle Camere gli atti nella fase ascendente del procedimento decisionale. Ora è molto importante che questo obbligo venga rispettato e se ciò non bastasse, vorrei ricordare che è ancora in vigore la legge n. 388 del 1993 che ha istituito questo Comitato. Desidero anche sottolineare che il lavoro svolto fin qui è stato molto attento e tutti i componenti del Comitato hanno lavorato con l'unico scopo di raggiungere un obiettivo comune nell'interesse del Paese, non tanto delle forze politiche rappresentate all'interno del Comitato. Un altro Parlamento ha prestato molta attenzione a questi temi più o meno nelle stesse condizioni, forse anzi meglio: quello olandese. Io so che nello svolgimento dei lavori ci sarà l'intervento del signor Hoekama, che è membro della Commissione esteri del Parlamento olandese. Ascolterò con molta molta attenzione il suo intervento, perché credo che la strada di un controllo specifico parlamentare sia l'unica proponibile nei limiti e nel rispetto delle libertà di qualsiasi popolo.
FABIO EVANGELISTI, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività dell'unità nazionale Europol
Quando abbiamo iniziato a ragionare intorno alla costruzione di una giornata di studio sulle sfide che stanno di fronte a noi nella costruzione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia non avevamo molte idee, e soprattutto quelle poche non erano chiarissime. Però c'era un punto che ritenevamo essenziale sulla base del lavoro fatto: il punto era quello di vedere se riuscivamo insieme, mettendo intorno ad un tavolo eminenti studiosi, giornalisti, operatori del volontariato, uomini delle forze dell'ordine, ministri, parlamentari, a respingere un assioma, a respingere quell'equazione immigrazione uguale criminalità che, fatemi dire, con una leggera colpevolezza, era stata lasciata correre. Era stata lasciata correre soprattutto all'inizio di quest'anno, del 1999, quando, soprattutto a Milano, nell'arco di nove giorni ci furono nove delitti. In quel momento si immaginò, si pensò da parte di larga parte dell'opinione pubblica, larga parte della stampa che fosse lì, nell'immigrazione clandestina, nei flussi non controllati la chiave, la ragione su cui intervenire e trovare una risposta. Abbiamo poi visto in queste ultime ore che la realtà (sempre drammatica) ha visto individuare l'assassino, il presunto assassino del tabaccaio Antonio Capaldo, ucciso appunto a Milano il 9 gennaio scorso, in un residente italiano di quello stesso quartiere. Questo per dire della complessità del fenomeno, quella stessa complessità che mesi dopo, in occasione di un altro terribile omicidio, quello del gioielliere Ezio Bartocci, ha individuato collegamenti con il primo omicidio, ma erano coinvolti tutti italiani ed il solo straniero interessato era un olandese. Quindi un non extracomunitario. Dire queste cose non significa naturalmente negare alla nostra intelligenza la capacità poi di saper leggere le connessioni, i legami che in profondità si intrecciano fra miseria, esclusione, emarginazione, e tutto questo insieme con i circuiti criminali. Non a caso abbiamo invitato fra gli altri il professor Barbagli ad aprire la serie di interventi che poi seguiranno proprio per aiutarci a capire, a conoscere quelle che sono le relazioni e le correlazioni fra "fenomeni migratori e dinamiche criminali".
Ma ancora nel corso dell'ultima settimana io sono rimasto personalmente colpito da due elementi che credo abbiano indotto in riflessione addetti ai lavori e non soltanto. In Austria, nel Paese a noi vicino, c'è stato un exploit, l'exploit del nazionalista Haider che ha ripreso concetti ed espressioni sul sovraffollamento da stranieri che sembrano appartenere, riprese, ad una cultura xenofoba che questo secolo ha enormemente pagato in termini di odio, di morte, di distruzione. E proprio sabato scorso Haider ha rilasciato una dichiarazione, un'intervista al Corriere della Sera dove diceva in buona sostanza: su 7 milioni di austriaci c'è oggi un milione di stranieri; 700 mila di questi sono regolari e su questi io non ho nulla da dire; io ho molto da ridire sugli altri 300 mila perché sono clandestini e portano droga e criminalità. Magari, mi verrebbe da dire, il fenomeno fosse di così semplice lettura. Noi però sappiamo che è un po più difficile leggere questi fenomeni, che bisogna andare un po' più in profondità per coglierne la complessità e sappiamo al tempo stesso che comunque certi luoghi comuni fanno presto ad attecchire. Un esempio, quello testimoniato, sempre nell'ultima settimana, da un'indagine della Doxa. E' apparso su tutti i quotidiani di venerdì 8 ottobre. Dice questa indagine: oggi il 54,1 degli italiani pensa che gli immigrati siano causa di delinquenze e malavita. A differenza di quanto si registrava invece nel 1991, quando un'analoga inchiesta diceva che c'erano ugualmente timori per i flussi migratori che andavano crescendo, ma si pensava o almeno lo pensava il 41 per cento degli italiani, che alla fine costituissero un problema soltanto perché portavano via il lavoro. Allora io credo che siano tante le considerazioni che si potrebbero fare, ma naturalmente non spetta a me il compito, a me spetta il compito più noioso della mattinata, quello di illustrare i contenuti, le conclusioni cui è giunta la nostra indagine conoscitiva sull'integrazione dell'acquis di Schengen in ambito europeo. Ma dicevo; sono tante le considerazioni che si potranno sviluppare nel corso degli interventi che i vari oratori che si susseguiranno vorranno portare. Io profitto semmai dell'occasione per ringraziare ancora una volta questi oratori per la disponibilità offerta. C'è una speranza naturalmente in tutto questo. La speranza è che anche da qui possa comunque giungere un contributo, un contributo alla costruzione di un'Europa che non sia quella soltanto ed esclusivamente delle Banche e della moneta unica ma anche un'Europa dei diritti: il diritto alla libertà, il diritto alla libera circolazione, ma anche il diritto alla sicurezza, a vivere in sicurezza, in uno sforzo che poi possa far trovare momenti di convergenza anche per quanto riguarda il sistema giudiziario e giuridico.
Una tappa di questo processo indubbiamente sarà quella del fine settimana in Finlandia. E' una tappa significativa, anche perché per la prima volta i capi di Stato e di Governo si riuniranno per affrontare temi delicati come quelli legati appunto ai temi dell'immigrazione, dell'asilo e delle politiche per i visti.
Noi come Comitato parlamentare Schengen-Europol abbiamo cercato di portare un contributo specifico a questo appuntamento e lo abbiamo fatto attraverso un documento di considerazioni che è in distribuzione.
Io di questo documento desidero sottolineare soltanto un elemento: l'importanza di investire le istituzioni comunitarie di sempre maggiori competenze non solo in materia di immigrazione ed asilo, come prevede - seppur tra mille cautele - il nuovo Trattato di Amsterdam, ma anche di cooperazione di polizia giudiziaria perché questa possa mettersi in linea con quella proposta di consolidation, in altre parole, brutte parole, "comunitarizzazione" dell'intero terzo pilastro. Una proposta del resto già avanzata dalla Commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo e condivisa dal Comitato Schengen-Europol, che operando all'insegna di una certa originalità nel panorama europeo, certa originalità perchè insieme a noi c'è l'esperienza olandese, in parte c'è l'esperienza danese, ebbene, abbiamo in questa originalità potuto toccare con mano il deficit democratico proprio del metodo intergovernativo che sta fuori della Comunità.
L'obiettivo tuttavia, quando abbiamo iniziato la nostra indagine conoscitiva sull'integrazione e l'incorporazione dell'acquis di Schengen, era quello di capire fino in fondo che cosa sarebbe cambiato con l'incorporazione e cercare di dare una risposta, una volta conclusosi il lungo e complesso procedimento, ad alcune questioni che rimanevano "non chiarite". In particolare, oltre al problema concernente le modalità dell'incorporazione dell'acquis di Schengen (tra primo e terzo pilastro), ci si è chiesti come Comitato quali sarebbero state ad esempio le conseguenze della sostituzione del Comitato esecutivo Schengen, organo decisionale creato ad hoc dalla Convenzione di applicazione di quell'accordo con il Consiglio, organo decisionale della Comunità, con competenze generali. In altri termini la domanda che abbiamo posto, ci siamo posti, che intendiamo sviluppare ulteriormente oggi è questa: la materia Schengen incorporata nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione sarebbe stata ancora "visibile" dopo Amsterdam, sarebbe stata ancora individuabile su base certa così da comprenderne lo sviluppo ulteriore ed immaginare una successiva attività degli organismi di controllo nati con la Convenzione di Schengen? Non mi riferisco soltanto al Comitato parlamentare italiano, ma anche all'Autorità comune di controllo e alla Commissione permanente per l'applicazione della Convenzione, che sono organismi rispetto ai quali il protocollo che accompagna il Trattato di Amsterdam non si esprime in alcun modo. Ma la questione naturalmente, e qui c'è un piccolo interesse privato in atti d'ufficio, riguardava anche l'esperienza italiana del Comitato parlamentare di controllo sugli accordi di Schengen.
A questo riguardo vorrei sottolineare un dato. A noi è apparso subito evidente il carattere tecnico prima ancora che politico delle decisioni che dovevano essere assunte. Per questa ragione si è incluso nel programma delle audizioni dell'indagine conoscitiva anche il contributo di alcuni esperti della materia comunitaria, esperti che potessero fornire un'interpretazione più analitica ed anche un parere giuridico sulle conseguenze dell'incorporazione.
L'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, dei Protocolli e delle Dichiarazioni allegati, ha evidenziato la fondatezza delle preoccupazioni che avevano motivato l'avvio dell'indagine conoscitiva: infatti il 1° maggio scorso, quando è partito Amsterdam, a quella data erano ancora irrisolti, ed in parte sono ancora irrisolti, i nodi essenziali quali ad esempio la collocazione del SIS, del Central SIS, ovvero lo Schengen Information System, che ha sede a Strasburgo, nel primo o nel terzo pilastro dell'Unione. Ma anche altri aspetti erano indefiniti, penso ad esempio alla partecipazione all'ulteriore sviluppo di Schengen da parte di Norvegia ed Islanda, che sono Paesi non membri dell'Unione europea ma "associati" alla cooperazione Schengen.
Una situazione quindi ancora in divenire, rispetto alla quale si sono posti con urgenza una serie di questioni ed una in particolare che noi abbiamo cercato di sviluppare: il ruolo del Parlamento, che assicurava un controllo democratico sulle decisioni che venivano assunte quando le materie Schengen erano trattate nell'ambito di una cooperazione rafforzata internazionale e che noi pensiamo, quale che sia la forma del controllo che si vorrà poi scegliere, non possa retrocedere rispetto a prerogative già acquisite, soprattutto perché il Trattato entrato in vigore il 1° di maggio tra l'altro vuol proprio valorizzare insieme il ruolo dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Inoltre c'è da sottolineare che l'incorporazione dell'acquis di Schengen nel quadro giuridico dell'Unione europea ha rappresentato da una parte un riconoscimento della validità e dell'efficacia di questo esperimento di cooperazione intergovernativa, ma è ancora tutta da crearsi e da realizzarsi.
Perché l'esperienza Schengen sia stata ritenuta valida è da ricondurre al fatto che dalla prima applicazione della Convenzione, soltanto nel 1995, e dal 25 marzo 95 ad oggi si sono conseguiti alcuni risultati di una certa concretezza che hanno fatto compiere passi avanti importanti verso la realizzazione della libera circolazione delle persone che, tra le quattro libertà sancite dal Trattato di Roma (libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi, dei capitali) è quella che riveste il carattere più delicato, perché strettamente connessa ai diritti fondamentali dei cittadini. Ma se dal punto di vista politico l'integrazione dell'acquis di Schengen ha rappresentato un significativo passo in avanti verso la trasformazione dell'Unione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dobbiamo rilevare che sul piano pratico ancora molta strada si deve compiere. Certo c'è un range di cinque anni per la "comunitarizzazione" del Titolo IV del TCE, però con Tampere noi sappiamo che si mette soltanto il primo passo.
Quindi sebbene non sia definito in termini organici e dettagliato quello che sta davanti a noi, lo spazio di libertà di sicurezza e giustizia si configura come un ambito di lavorazione politica e normativa interdisciplinare in cui confluiscono in particolare le attività in materia di immigrazione, di asilo, di cooperazione giudiziaria, civile tutto sotto il nuovo titolo, il titolo IV del Trattato delle Comunità europee e le attività in materia di cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale che invece sono svolte in base al titolo VI del Trattato dell'Unione europea.
Le ragioni di questa ripartizione - a cui risponde logicamente e praticamente anche la cosiddetta "ventilazione" tra primo e terzo pilastro dell'acquis di Schengen - sono essenzialmente politiche e hanno a che fare con il diverso rapporto tra sovranità nazionali e interesse comune nel settore della politica migratoria da un lato e in quello della lotta alla criminalità, in particolare a quella organizzata operante sul base transnazionale, dall'altro.
Quindi, pur collocando gli "affari interni" in ambiti istituzionali diversi, il Trattato di Amsterdam ha voluto conservare un raccordo concettuale, politico ed istituzionale tra le due metà del vecchio terzo pilastro. Ed è stata così elaborata la nozione di libertà, sicurezza e giustizia.
Del resto lo stesso Romano Prodi, nuovo Presidente della Commissione europea, ha proprio avviato nel quadro di una più vasta riforma della struttura e del funzionamento dell'organismo, un diverso accorpamento delle stesse competenze dei commissari proprio per andare incontro a queste esigenze. Io chiudo con un auspicio, affinchè il Governo italiano analogamente a quello che già è in essere da parte del Governo dei Paesi Bassi, sappia raccogliere l'esigenza di assicurare un'adeguata quanto dovuta informazione al Parlamento nazionale su queste tematiche, perché la permanenza ed eventualmente l'estendersi di un forte controllo parlamentare appare coerente con la scelta iniziale del legislatore di assicurare un intervento incisivo del Parlamento su una materia strettamente legata ai diritti fondamentali dei cittadini che, una volta integrata nel quadro giuridico dell'Unione, costituirà la base su cui costruire e sviluppare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Queste sono le conclusioni a cui è giunto il nostro Comitato, queste sono le conclusioni che sottoponiamo all'attenzione di tutti loro ed al dibattito di questa mattina.