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Presentazione di Giulio Andreotti

Di temi molto vari, in relazione ai diversi incarichi ministeriali ricoperti, fino alla Presidenza del Consiglio, i discorsi parlamentari di Giovanni Goria hanno tre caratteristiche: grande precisione e chiarezza di linguaggio, in una visione (la cito nel senso buono) piemontese dello Stato; spiccata attenzione per gli aspetti economici e finanziari dei problemi; efficace e immediata replica – talvolta pungente – alle frequenti interruzioni.
Più in generale può evincersi una ritrosia all’interventismo governativo, anche se giustamente respingeva le accuse di agnosticismo («un carattere che mi porto dietro da quaranta anni e che non riesco a vincere»).
Sui temi dell’Agricoltura, in particolare emerge la costruzione di una approfondita linea interpretativa rispetto alle normative costituzionali della «novità» creata dalla Comunità europea e dalla conseguente politica agricola comune, con i suoi problemi e i suoi limiti. Il sostegno agli agricoltori non lo vide mai in chiave assistenziale.
E quando fu necessaria una misura drastica non si ritrasse.
La decisione punitiva verso la Federazione dei consorzi agrari gli fu dettata solo dai conti che non tornavano e non – come fu in seguito insinuato – da ostilità verso Lobianco e la Coltivatori diretti.
Forse, a parte la sua formazione personale, l’andare a reggere il Ministero dell’agricoltura dopo aver guidato il Tesoro lo rese più attento al problema che da decenni era stato al centro delle polemiche politiche. Ricordo qui l’infuocata campagna di Giancarlo Pajetta negli anni Cinquanta sui «Mille miliardi della Feder».
Il ruolo del Ministero del Tesoro nei confronti delle Banche torna ciclicamente ad essere messo in discussione, anche in rapporto ai poteri di vigilanza esercitata dalla Banca d’Italia. Goria in più occasioni mette in chiaro il limite di questo intervento ministeriale, fissandolo nell’ambito della presidenza del Comitato per il credito e il risparmio.
Per il resto, non a caso il responsabile di via Nazionale non è un governante, ma il Governatore. Giovanni Goria nelle nomenclature correnti era classificato – per quel che vale la distinzione – più un tecnico che un politico.
Ma se si legge, tanto per fare un esempio, la sua comunicazione alla Camera il 15 ottobre 1987 e specialmente la replica nel dibattito sui contatti del Governo con la Santa Sede per l’attuazione del Concordato, sull’insegnamento della religione nelle scuole, si apprezza una capacità straordinaria nell’affrontare il delicatissimo problema. Eloquente, anche per comprendere lo sfondo squallido di un momento della storia repubblicana, è il dibattito parlamentare sulla sfiducia individuale a Goria Ministro delle finanze nel Governo Amato.
Con una singolare decisione, la DC aveva fissato l’incompatibilità tra parlamentare e ministro e Goria aveva rinunciato al mandato elettivo. La minuscola vicenda giudiziaria «locale » con cui da tempo si cercava di colpire Goria venne enfatizzata nel clima giacobino anti-democristiano (e parzialmente anti-socialista) del momento e si cercò di estrometterlo, nonostante una motivata difesa del Presidente Amato.
Al voto si espressero a favore di Goria 304 deputati e contro 286. Goria aveva fatto una dichiarazione molto fiera: tra l’altro mettendo in evidenza che i titolari dell’inchiesta giudiziaria avevano già espresso l’infondatezza dell’addebito ma non l’avevano potuto formalizzare in pendenza di una richiesta di autorizzazione a procedere rivolta alla Camera!

È una delle pagine tristi di una stagione parlamentare impazzita.