Seduta n. 222 del 2/7/1997

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La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata concernenti il lavoro portuale e l'attentato di via Rasella.
Ricordo che, secondo lo schema procedurale sperimentale delineato nella Giunta per il regolamento, di cui è stata data comunicazione a tutti i deputati, il presentatore di ciascuna interrogazione ha facoltà di esporla per non più di un minuto.
Il Governo risponderà quindi immediatamente per non più di tre minuti.
Successivamente, l'interrogante, o altro deputato del medesimo gruppo, avrà la facoltà di dichiarare se sia soddisfatto della risposta del Governo per non più di due minuti.
Lo svolgimento delle interrogazioni è ripreso in diretta televisiva.
Cominciamo con l'interrogazione
Becchetti n.3-01165 (vedi l'allegato A).
L'onorevole Becchetti ha facoltà di parlare.

PAOLO BECCHETTI. Signor Presidente, signor ministro, il 23 dicembre 1996 la Camera ha approvato, in via definitiva, la legge n.647, recante disposizioni in materia di lavoro portuale. Tale legge è stata giudicata da associazioni di categoria e da moltissimi parlamentari contraria al Trattato di Roma sulla liberalizzazione dei mercati.
L'articolo 17 della citata legge reintroduce un vero e proprio monopolio, a tutto vantaggio delle ex compagnie portuali, per la fornitura di lavoro temporaneo e per l'appalto di servizi ad alto contenuto di manodopera. A seguito dell'approvazione della legge, alcune associazioni, ed anche il sottoscritto insieme ad altri 40 parlamentari, hanno presentato ricorso alla Commissione europea. Recentemente l'Unione europea ha dato ragione ai ricorsi, intimando al Governo italiano di rivedere, entro quattro settimane, tutta la normativa, per palese violazione del Trattato di Roma.
Quali iniziative intende assumere il ministro per rivedere immediatamente la


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legge n.647, e in particolare l'articolo 17, paragrafo 3?

PRESIDENTE. Il ministro dei trasporti e della navigazione, onorevole Burlando, ha facoltà di rispondere.

CLAUDIO BURLANDO, Ministro dei trasporti e della navigazione. Signor Presidente, rilevo che la valutazione secondo la quale si sarebbe reintrodotto il completo monopolio nei porti non sia corretta. I porti italiani hanno ormai moltissimi terminalisti privati e, da ieri, anche terminalisti di un altro paese (mi riferisco ad un terminalista di Rotterdam che ha vinto la gara per il molo settimo di Trieste). Questi terminalisti possono assumere tutti i dipendenti privati che vogliono; quindi, descrivere quella attuale come una situazione ante legem n.84 del 1994 non mi sembra per la verità corretto. Quello che il Parlamento tentò di regolamentare nel dicembre dello scorso anno fu una parte della prestazione del lavoro nei porti, cioè semplicemente quella relativa ai cosiddetti picchi di manodopera, in modo da potervi far fronte, tipici di una attività non industriale, ma stagionale, atipica, come è, appunto, quella portuale.
È noto che il Governo aveva raggiunto un'intesa con le parti sociali e l'aveva presentata in Parlamento. È altrettanto noto che il Parlamento, la maggioranza, ha ritenuto di dover intervenire in questa materia introducendo alcuni correttivi. Sulla base delle modifiche apportate vi è stata poi un'azione presso l'Unione europea, la quale non ci ha intimato di cambiare la legge, ma di fornire chiarimenti entro trenta giorni: cosa che abbiamo fatto. In sostanza l'Unione europea ha chiesto chiarimenti, contestando in parte tutti e tre i commi dell'articolo 17. Noi abbiamo risposto che riteniamo invece corretti i commi 1 e 2. Del resto su questo in Parlamento vi fu una posizione abbastanza univoca. Abbiamo quindi difeso il lavoro del Parlamento in relazione ai commi 1 e 2, mentre riconosciamo che in ordine al comma 3 vi possa essere mancanza di chiarezza.
In sostanza, qual è l'oggetto del contendere? Taluni, cioè l'utenza portuale, sostengono che quella versione del comma 3 perpetuerebbe una qualche forma di monopolio sulle prestazioni dei picchi di manodopera, non sull'intera prestazione di manodopera nei porti, cosa che non è, come risulta evidente. Del resto i dipendenti delle compagnie portuali ormai sono poco più di 4 mila, molti di più sono i dipendenti dei terminalisti. Altri, i sindacati, temevano che un'eccessiva deregolamentazione facesse passare la pratica dello scambio di manodopera. Penso che debba farsi chiarezza cancellando il terzo comma e che il disegno di legge sul doppio registro, che si occupa anche del lavoro portuale, debba essere lo strumento legislativo da utilizzare, appunto, per fare quella chiarezza.
Possono esservi poi due possibilità: una è quella di affidarsi alla normativa sul lavoro interinale, che nel frattempo il Parlamento ha approvato, estendendone la validità anche ai porti, quindi usando quella fonte legislativa. Questa può essere una possibilità. L'altra è quella invece di definire meglio, in modo specifico, ad hoc, anche per via regolamentare la materia dei lavori portuali.

PRESIDENTE. L'onorevole Becchetti ha facoltà di replicare.

PAOLO BECCHETTI. Sfortunatamente, signor ministro, non mi posso dichiarare soddisfatto. Credo che non sarà sufficiente l'abrogazione sic et simpliciter del paragrafo 3 dell'articolo 17, ma occorrerà recepire tutti i punti sollevati dal rilievo della Comunità europea, individuando con chiarezza l'apertura del mercato in tutti i settori, sia delle operazioni che dei servizi portuali, sia in autonomia che in outsourcing, ma a mercato davvero aperto. Mi dispiace per lei, ministro, ma in questo settore non potrà fare come il suo collega ministro del tesoro, il quale per frenare le liberalizzazioni si avvale a volte della golden share, a volte dello zoccolo duro e, in alcuni casi, di entrambe le cose, come sta avvenendo ad esempio per la Telecom.


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D'altra parte, signor ministro, in questa vicenda vi è stato uno dei tanti cedimenti del Governo alle pretese di rifondazione comunista, per cui si è ripetuta in peius la situazione che dette origine alla famosa sentenza Gabrielli del 1991, la quale aveva dato adito a forti rilievi da parte della Comunità europea. Ed allora, signor ministro, non si inventi niente, faccia come Pindaro, ricordi la terza ode pitica che recita: «Anima mia, non aspirare alla vita immortale, ma esaurisci il campo del possibile».
Ecco, signor ministro, esaurisca il campo del possibile, ripristini la legalità comunitaria violata con una norma che è stata un vero colpo di mano; in tal modo, soprattutto, ripristinerà gli accordi brutalmente violati intercorsi tra le parti sociali cui lei sempre si richiama, ossia sindacati ed utenza, intervenuti presso il suo dicastero. Compirà non solo un buon atto politico, ma anche un atto dovuto, mancando il quale dovrà senz'altro rispondere politicamente delle conseguenze che potranno trarre fonte da una procedura di infrazione iniziata da parte della Comunità europea.
Concludo ricordandole che non so se questo colpo di mano sia dovuto a colpevole disattenzione del rappresentante del Governo oppure a quelle aree del suo partito che sono ancora nostalgiche di un retaggio ormai dimenticato che dicono di voler cancellare dandoci però ogni giorno motivo di dubitarne (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Grimaldi n.3-01314 (vedi l'allegatoA).
L'onorevole Diliberto, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di parlare.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, ministro, pochi giorni fa un magistrato della Repubblica ha deciso di procedere contro tre partigiani - Carla Capponi, Rosario Bentivegna e Pasquale Balsamo - per i fatti di via Rasella del marzo 1944. Così facendo questo giudice ha simbolicamente deciso di processare la Resistenza, la guerra di liberazione contro i nazisti e fascisti; ha deciso di processare - lasciatemelo dire - l'intera storia democratica di questo paese. È un fatto di inaudita gravità, una mostruosità giuridica, una scelleratezza politica ed anche morale.
Noi siamo sempre stati rispettosi dell'autonomia e dell'indipendenza dei giudici e non abbiamo mai dato giudizi politici sui processi in corso, ma oggi non siamo di fronte ad una vicenda giudiziaria, ad un mero fatto processuale. Il giudice per le indagini preliminari di Roma ha compiuto deliberatamente un atto politico. Le chiediamo dunque, signor ministro, quali iniziative intenda intraprendere.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. In precedenza, come è noto, l'autorità giudiziaria si era già occupata in almeno altre due occasioni di valutare la vicenda di via Rasella. Ai fini civili, l'autorità giudiziaria aveva riconosciuto che l'azione di via Rasella fu atto legittimo di guerra, in tal modo avvalorando la ricostruzione storica della vicenda, che prospetterò in una risposta ad una successiva interrogazione.
Con la sentenza del 9 maggio 1957 la Corte di cassazione a sezioni unite civili, e definitivamente, nel rigettare il ricorso proposto contro una sentenza della Corte d'appello, affermò che l'attentato non fu ispirato da finalità personali, ma solo da quella di compiere un atto ostile verso le forze armate della Germania, che era in stato di guerra con l'Italia e che aveva instaurato una vera e propria occupazione militare bellica di gran parte del territorio nazionale. Le sezioni unite qualificarono dunque a mio avviso esattamente l'atto di via Rasella come atto legittimo di guerra, riconoscendo agli attentatori la qualità di belligeranti. Analoga valutazione è stata data nel giudizio penale nei confronti del colonnello Kappler, anch'esso concluso


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con sentenza definitiva e passata in giudicato, che rilevava come l'attentato rientrasse nella direttiva di carattere generale della giunta militare per costringere i tedeschi a rispettare la posizione di città aperta di questa capitale. L'atto venne in quella sede qualificato illegittimo (sempre restando atto di guerra) a tutt'altri fini, per la valutazione dell'eccidio delle Fosse ardeatine.
Il GIP di Roma, seguendo l'impostazione del pubblico ministero, che a sua volta è stato attivato da una denuncia di alcune vittime di via Rasella, ha ritenuto di esaminare queste valutazioni; non era vincolato dalle decisioni precedenti e ha seguito la strada indicatagli dal pubblico ministero, ritenendo che l'azione non costituisse in astratto atto di guerra, bensì atto astrattamente configurabile come strage, e ha chiesto pertanto al pubblico ministero di verificare le motivazioni di quell'atto. È un passaggio processuale interlocutorio, che non rappresenta un rigetto rispetto a quella richiesta e non presenta caratteristiche di abnorme macroscopicità. Come ministro, allo stato, non posso e non intendo compiere interventi immediati su atti di esercizio dell'attività giurisdizionale che non appaiono caratterizzati da abnormità. Resta fermo quanto dirò nella risposta alle successive interrogazioni sul significato storico di questo episodio.

PRESIDENTE. L'onorevole Diliberto ha facoltà di replicare.

OLIVIERO DILIBERTO. Non siamo soddisfatti, signor ministro, perché va denunciata, oltre al dato strettamente processuale da lei ricordato, un'altra cosa molto più grave. Questa vicenda è potuta nascere solo grazie ad un complessivo clima che si è determinato nel nostro paese. Il processo alla Resistenza, il revisionismo storico sempre più accentuato che arriva sino a negare l'olocausto, la riabilitazione progressiva dei gerarchi fascisti, il tentativo anche del suo Governo di far tornare in Italia quell'erede dei Savoia che oggi giustifica le atroci leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, gli appelli alla pacificazione sulla base dell'idea che i morti sarebbero tutti uguali, gli assassini come gli assassinati: sono questi fatti e queste opinioni, anche autorevolmente pronunciate da autorità istituzionali molto alte, che hanno consentito di creare il clima nel quale si inserisce l'iniziativa del giudice di Roma.
Questo clima offende la memoria dei morti, dei torturati, dei deportati, degli esiliati, dei perseguitati politici. Ebbene, nel momento in cui noi lanciamo l'allarme e le chiediamo nuovamente di intervenire per questa inaudita iniziativa di un magistrato romano, non ci limitiamo a questo, ma individuiamo anche i mandanti politici e morali di tale iniziativa. Sono apprendisti stregoni che ora non riescono a controllare i fantasmi del fascismo che hanno troppo insistentemente evocato. Perché ancora una volta, caro signor ministro, il sonno della ragione ha generato i mostri (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Caveri n.3-01315 (vedi l'allegato A).
L'onorevole Caveri ha facoltà di parlare.

LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, colleghi, signor ministro, come deputato della Valle d'Aosta ho il dovere di avere sempre presenti i valori della Resistenza, che sono strettamente legati alle aspirazioni federaliste del mio popolo, speranze che erano già presenti nella lotta di liberazione e poi nel dopoguerra sino ad oggi. Esprimo perciò anch'io preoccupazione per questa via giudiziaria, che si esprime nella vicenda dell'attentato di via Rasella, verso la revisione di alcuni episodi della lotta di Resistenza. Per questo chiedo un giudizio più propriamente politico al Governo, tenendo conto che il Capo dello Stato, giustamente, ha ricordato come alcune vicende appartengano ormai al terreno di giudizio degli storici.


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PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Ferma restando la valutazione che ho dato precedentemente sul piano giuridico di quello che è stato definito dal precedente interrogante come atto formale, per quanto riguarda la ricostruzione storica che io condivido e a cui intendo attenermi pienamente come rappresentante del Governo ricordo, come è a tutti noto, che nel 1944 la città di Roma, benché città aperta, era sotto il giogo di un regime di occupazione in cui la vita e la libertà dei cittadini erano oppresse, minacciate ed offese dai tedeschi e dai fascisti. È il clima, che non occorre ricordare, di Roma città aperta, quel capolavoro cinematografico che spero rimanga a memoria e a testimonianza per le generazioni che non lo hanno vissuto.
L'azione di via Rasella fu decisa dal Comando dei gruppi di azione patriottica di Roma, che aveva come dirigenti persone della statura di Sandro Pertini e di Giorgio Amendola, tra i padri della patria, e come elementi operativi persone come Salinari, Capponi e Bentivegna. Quei gruppi erano formazioni partigiane (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, di rinnovamento italiano e misto-Vallée d'Aoste) e, in quanto tali, furono riconosciuti come legittimi belligeranti ed inseriti nel corpo dei volontari della libertà ed inquadrati nell'esercito italiano da atti giuridici successivi dello Stato. Quelle formazioni agivano alle dipendenze del Comitato di liberazione nazionale centrale, presieduto da Bonomi, collegato con il comitato di liberazione nazionale-alta Italia, riconosciuto come rappresentante del Governo legittimo italiano nell'Italia occupata allora dalle forze armate tedesche e dalle formazioni fasciste alleate.
L'azione di via Rasella, come è noto, fu rivendicata dal comando dei gruppi di azione patriottica di Roma e fu compiuta il 23 marzo nella ricorrenza della rifondazione dei fasci. Il 28 marzo fu riconosciuta dal Comitato di liberazione nazionale centrale. L'eccidio delle Fosse ardeatine fu compiuto il giorno dopo, quando non era stata resa pubblica la notizia dell'azione di via Rasella.
Questa, in sintesi, è la ricostruzione storica ed il significato che fa parte della memoria collettiva di questo paese e che rappresenta l'immagine delle origini della nostra Repubblica, nata anche dal sacrificio di tutte le vittime di quei tragici avvenimenti.
Come ministro di un Governo che interpreta la coscienza e la memoria di questo popolo, rispettoso dei valori di indipendenza della giurisdizione che abbiamo conquistato attraverso di essi, non posso che formulare l'auspicio che la ricostruzione giudiziaria non ignori la dimensione storica ed il significato di quegli eventi.
Ricordo, come dicevo prima, che la stessa giurisdizione si è già espressa più volte nel senso di riconoscere la natura bellica dell'azione di via Rasella, sia pure per motivazioni risarcitorie e civili di tipo diverso. E la natura bellica dell'azione è stata riconosciuta incidentalmente anche dalla giurisdizione militare. Non penso quindi che si possa parlare di una posizione antistorica della giurisdizione rispetto a quella vicenda. La vicenda giudiziaria attuale non può rappresentare una rivisitazione storica in senso giudiziario: è soltanto la conseguenza di una denunzia di una parte privata (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, di rinnovamento italiano e misto-Vallée d'Aoste).

PRESIDENTE. L'onorevole Caveri ha facoltà di replicare.

LUCIANO CAVERI. Ringrazio il Governo e replico brevemente. In discussione non è l'indipendenza della magistratura - ci mancherebbe altro - e spero che l'ottimismo dimostrato dal ministro, in conclusione della sua risposta, sia poi conseguente ai fatti.


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Credo che neppure si possa tacere del dramma legato alla violenza che c'è, comunque, negli atti di guerra: in via Rasella morirono soldati alto-atesini, non SS. Bisogna avere sempre la coscienza di ricostruire i fatti nel loro contesto storico: i partigiani agivano all'epoca come un esercito di liberazione.
Capita spesso, anche al sottoscritto, di partecipare in veste di deputato a manifestazioni storiche di rievocazione di uccisioni, di villaggi bruciati e di scontri armati. Purtroppo questi episodi nella mia Valle d'Aosta sono stati numerosissimi, come in altre zone. Sento esprimere dai partigiani della mia Valle, che sono quasi sempre ultrasettantenni, preoccupazione per il tradimento dei valori della Resistenza da parte dell'attuale Repubblica. Devo dire, avendo raccolto alcune impressioni prima dello svolgimento di queste interrogazioni a risposta immediata, che anche la vicenda di via Rasella viene vissuta malissimo: ci mancherebbe altro, appunto, che una via giudiziaria cancellasse con un tratto di penna la storia meritoria della lotta di liberazione in Italia (Applausi dei deputati dei gruppi misto, della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Follini n.3-01316 (vedi l'allegato A).
L'onorevole Giovanardi, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di parlare.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, sono preoccupato dal linguaggio da guerra civile usato dai colleghi di rifondazione comunista perché noi vogliamo pacatamente sapere dal ministro quali sono i limiti dell'analisi storica rispetto a determinati fenomeni e quando invece i giudici, nel rispetto della legge, compiono il loro dovere; caso Priebke o caso di via Rasella, poco importa se i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge. Chiediamo quindi al ministro fin dove deve sopperire l'analisi storica e fin dove la magistratura esercita sue legittime prerogative.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.
Signor ministro, le ricordo che il regolamento obbliga a rispondere separatamente ai vari documenti di sindacato ispettivo anche se le interrogazioni vertono sullo stesso argomento: è questo il regime delle interrogazioni a risposta immediata.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo dunque scusa all'Assemblea ed agli onorevoli deputati della frammentarietà della risposta che è in realtà unitaria; ogni intervento si ricollega dunque alle valutazioni ed alle considerazioni espresse in precedenza e che verranno espresse successivamente.
L'interrogante chiede quali siano le iniziative che il Governo intende assumere per garantire l'indipendenza della magistratura alla luce delle prese di forte posizione critica e di intimidazione ai magistrati per le iniziative giudiziarie relative a quella che viene definita la strage di via Rasella e l'eccidio delle fosse Ardeatine. Oggi ha poi chiesto oralmente di definire quali siano i limiti dell'analisi storica e le competenze dell'autorità giudiziaria.
Come ho detto precedentemente non intendo in alcun modo interferire su un procedimento giudiziario in corso ed apprezzo il fatto che in tutte le interrogazioni sia stato posto l'accento sul profilo del procedimento giudiziario in corso. Non intendo interferire, oltretutto, in particolare in una fase in cui il giudice rappresenta un'esigenza di approfondimento di posizioni che sono state prospettate dal pubblico ministero su denuncia di una parte privata.
Ho chiesto, proprio per poter rispondere al sindacato ispettivo, di avere il testo dell'ordinanza del giudice e della richiesta del pubblico ministero. Non posso non confermare che sia il giudice sia il pubblico ministero, sulla base della prospettazione data dalla parte, danno un'interpretazione allo stato diversa rispetto alla ricostruzione storica che ho esposto precedentemente


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e che è già stata recepita in una duplice sede giudiziaria, quella delle sezioni unite civili che hanno confermato un procedimento civile e quella del tribunale militare di Roma, anch'esso con sentenza definitiva. È ben vero che quelle sentenze non sono vincolanti per l'accertamento che l'autorità giudiziaria sta compiendo adesso; proprio per questo non posso e non intendo interferire in quell'accertamento, ma confermo che la valutazione storica che il Governo ed io condividiamo è quella data in precedenza da quelle alte autorità giudiziarie. Una valutazione complessiva potrà essere effettuata solo quando le decisioni definitive saranno assunte dall'autorità giudiziaria e rispetto alle mie attribuzioni istituzionali in quel caso potrò intervenire solo se ravvisassi profili di inescusabili e macroscopiche violazioni di norme sostanziali e processuali.
Riservo quindi a quel momento ogni ulteriore accertamento, rispettoso come sono, come la Costituzione mi impone, dell'indipendenza della funzione giurisdizionale, valore che il nostro ordinamento tutela al massimo grado e che tra l'altro è tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e della nostra Repubblica, nate proprio dalla guerra di liberazione.
Non posso che ribadire che la migliore garanzia dell'indipendenza della magistratura è in primo luogo la non interferenza del potere esecutivo su di essa ed il rispetto da parte di tutti, essa compresa, di quei valori costituzionali cui l'attività giurisdizionale deve ispirarsi.

PRESIDENTE. L'onorevole Giovanardi, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

CARLO GIOVANARDI. Sono soddisfatto della risposta del ministro perché non accetta il linciaggio indiscriminato di un magistrato. Sono personalmente favorevole a storicizzare i fenomeni; devo però ricordare che in Italia c'è stata una resistenza di matrice comunista, una resistenza di matrice cattolica, una resistenza di matrice monarchica, di matrice liberale...

ARMANDO COSSUTTA. C'è stata la Resistenza!

CARLO GIOVANARDI. ...c'è stata una Resistenza in cui i partigiani comunisti hanno alcune volte massacrato i partigiani democristiani o liberali per ragioni ideologiche che non c'entravano nulla...

FRANCESCO GIORDANO. Stavano insieme!

CARLO GIOVANARDI. ...con la lotta al nazifascismo. Questa è la storia del nostro paese. Dobbiamo guardare correttamente a quanto è accaduto, considerando i fatti così come sono avvenuti, con il coraggio di dare anche una lettura critica di un fenomeno come quello della Resistenza: giusto, opportuno, se volete glorioso, di chi combatteva dalla parte giusta, ma senza far passare il mito che qualunque cosa abbiano fatto i partigiani era giusta anche quando massacravano altri partigiani.
Questo non può passare, perché non è la realtà della storia. Io sono per un'analisi storica approfondita...

ARMANDO COSSUTTA. Viva i gappisti di via Rasella (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti)!

CARLO GIOVANARDI. ...delle vicende della Resistenza, ma credo che nel 1997 il paese sia maturo non per i linciaggi acritici, ma per un sereno dibattito che deve avere sempre la verità come presupposto.

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Fredda n.3-01317 (vedi l'allegato A).
L'onorevole Fredda ha facoltà di parlare.

ANGELO FREDDA. Signor ministro, nel marzo 1944 Roma era già stata dichiarata città aperta, ma le truppe tedesche rimaste ad occupare la città assieme alla polizia fascista continuarono ad essere protagoniste di retate, arresti, torture, deportazione e morte. Questo era


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il contesto in cui avvenne l'attentato in via Rasella, quell'azione partigiana, quell'atto legittimo di guerra contro l'invasore straniero. Questa è la storia, la storia della guerra di liberazione che era una - e una soltanto -, diretta dai comitati di liberazione nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).
Vorrei chiederle, signor ministro, se ella non ritiene che la decisione del GIP del tribunale di Roma, Maurizio Pacioni, abbia prodotto una ferita alla coscienza democratica e antifascista del paese e se non ritenga necessario, pur nel rispetto dell'autonomia della magistratura, assumere tutte le iniziative atte ad affermare che la storia non si processa, che la storia è già stata scritta (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Non posso che richiamarmi, come base per la mia risposta, alla ricostruzione storica che ho ricordato nella risposta all'onorevole Caveri e che rappresenta, a mio avviso, un motivo di orgoglio per ogni cittadino di questo paese. Le vicende storiche sono ricostruibili in quella prospettazione e, come tali, sono state ricostruite in passato dall'autorità giudiziaria sia civile che penale di questo paese, con sentenze divenute definitive, anche se sul piano formale non vincolanti in questo momento e di fronte ad un'ulteriore ipotesi di accertamento innescato da una denunzia privata.
Ripeto, e ricordo a me stesso e a tutti noi, che gli accertamenti esperiti dall'autorità giudiziaria a suo tempo possono sintetizzarsi nel fatto che l'azione di via Rasella fu azione di guerra - sono i giudici ad averlo detto - in quanto compiuta da forze belligeranti, riconosciute come tali con leggi ed atti ufficiali dello Stato e perché decisa, posta in essere e rivendicata da formazioni partigiane patriottiche, riconosciute come rappresentanti del Governo legittimo nell'Italia occupata allora dalle forze tedesche e dai loro alleati.
Credo che il segno di riconoscimento più evidente di ciò, proprio per evitare la lacerazione alla coscienza nazionale, sia il riconoscimento che è stato fatto dagli autori di quelle azioni. Nuovi accertamenti in sede giudiziaria, che sono necessitati dalla presenza di una nuova denunzia, potrebbero creare disorientamento, perché può apparire o essere inteso (ma non può e non deve essere così) come il mettere in discussione episodi radicati nella memoria e nella coscienza democratica di questo paese.
Credo che il modo migliore per reagire e per evitare il pericolo da lei segnalato sia richiamarsi alla ricostruzione storica di cui ho parlato prima, alla valutazione giudiziaria che ne venne data a suo tempo e al patrimonio di dignità e di coerenza nazionale che ciò rappresenta. Nel contempo, come ministro della giustizia, non posso che ribadire di voler e dover rinviare le valutazioni di mia competenza, nei limiti riconosciutimi dalla Costituzione, all'esito di questo accertamento e qualora dovessero emergere profili di errori macroscopici da parte dell'autorità giudiziaria, ravvisabili in un eventuale ed inescusabile travisamento dei fatti e in palesi violazioni della legge; fermo restando il significato storico, del quale, come cittadino e come ministro di questa Repubblica, sono orgoglioso (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo. di rifondazione comunista-progressisti, e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. L'onorevole Fredda ha facoltà di replicare.

ANGELO FREDDA. Signor ministro, la ringrazio per le cose che ella ha appena detto e mi dichiaro soddisfatto della risposta che ella mi ha dato.
Mi permetto però di sottolineare ancora qualche elemento. Non voglio e non mi interessa mettere in discussione l'autonomia


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della magistratura, anche se su quei fatti ci sono state - come ella ha ricordato - sentenze definitive, quale quella della Corte di cassazione a sezioni riunite. Ma anche l'indipendenza della magistratura - l'ho sottolineato anche in un precedente intervento - è frutto di quella lotta di liberazione. Anche il giudice Pacioni è magistrato indipendente e lo è perché quella guerra di liberazione vinse e seppe darci libertà e democrazia.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Ma per carità!

ANGELO FREDDA. A me interessa soffermarmi di più su quella tentazione che da tempo e da più parti si manifesta nel rivedere il giudizio storico sulla Resistenza, su fascismo e antifascismo. Gli storici, certo, possono revisionare la storia, scavare, cercare nuove verità: questo è giusto. Inaccettabile invece è l'idea di una storia che va processata, che va riscritta, che va presentata come storia unitaria per affermare una cosa falsa: che le parole fascismo e antifascismo non hanno più senso. No, hanno senso finché ci sarà qualcuno che mette sullo stesso piano le vittime ed i carnefici, i partigiani e i nazifascisti, Priebke e Haas assieme a Carla Capponi, Bentivegna e Balsamo. No, non è così, non sarà mai così: la storia è stata già scritta (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano - Molte congratulazioni)!

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Sbarbati n.3-01318 (vedi l'allegatoA).
L'onorevole Sbarbati ha facoltà di parlare.

LUCIANA SBARBATI. Presidente, onorevole ministro, come deputato repubblicano del gruppo di rinnovamento italiano le ho rivolto questa interrogazione per conoscere su quali fondamenti si basi la pretesa, oggi, di portare a giudizio penale gli episodi di via Rasella, che già hanno ottenuto tutti i vari gradi di sentenza della nostra magistratura fino alla Cassazione a sezioni riunite e persino il giudizio della storia.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.
Onorevole ministro, ho l'impressione che non potrà aggiungere molto, comunque il regolamento la obbliga a rispondere all'onorevole Sbarbati.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Credo, una volta tanto, di dover ringraziare questo regolamento per poter rispondere esprimendo il mio pieno assenso alle motivazioni da cui lei parte, onorevole Sbarbati, e alle conclusioni a cui lei arriva.
La ricostruzione degli avvenimenti cui intendo attenermi è quella che ho più volte ricordato - e che non vorrei ricordare ancora - e che concorda pienamente con le premesse da cui muove l'onorevole Sbarbati. Non può essere messo in discussione che la condotta dei partigiani patrioti sia riconducibile alla lotta di liberazione. È stato riconosciuto dalla legge dello Stato più volte e da una serie di atti amministrativi con i quali sono stati insigniti delle più alte onorificenze alcuni dei protagonisti di questa vicenda. Che si sia trattato di un'azione di guerra - come dicevo e come vorrei ripetere ancora una volta, perché mi pare necessario per l'opinione pubblica di questo paese - è stato riconosciuto anche dalle sezioni unite civili della Cassazione nel 1957, respingendo definitivamente talune pretese risarcitorie di alcuni congiunti.
È evidente che di fronte al giudizio della storia e di fronte alle valutazioni dell'autorità giudiziaria, è impossibile - e non solo non si può, ma non si deve nemmeno, perché credo che sia un imperativo categorico - dimenticare la differenza che vi è tra gli oppressi e gli oppressori, come lei ha evidenziato e come condivido pienamente.
Aggiungo solo, sul piano formale o sul piano del procedimento giudiziario o sul


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piano del dovere del magistrato, che di fronte ad una prospettazione non può che darsi corso, secondo i principi dell'ordinamento, ad una serie di verifiche che, a mio avviso, nulla valgono a scalfire il significato di questo episodio e la coscienza che ne abbiamo tutti noi.
Tutto ciò, ripeto, nell'augurio che un discorso di pacificazione nazionale che sta avviandosi non porti a dimenticare, per chi come me è arrivato dopo, quello che c'è stato prima e che ha creato le basi di questa Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. L'onorevole Sbarbati ha facoltà di replicare.

LUCIANA SBARBATI. Signor Presidente, voglio ringraziare il ministro Flick per la sua risposta, per le risposte che questa sera ha dato con fermezza, con cognizione di causa e anche con grande sensibilità.
Voglio ricordare a tutti noi - non ho sicuramente bisogno di farlo nei confronti del ministro - che la pacificazione nel nostro paese è iniziata con la Repubblica e che ha ragione chi, in quest'aula, ha manifestato profonda preoccupazione per un certo stile piuttosto superficiale di revisionismo storico che non può non preoccuparci. Signor ministro, non può non preoccuparci che la radio di Stato dedichi ben oltre 20 ore alla Repubblica di Salò e a quelli che furono gli atti della Repubblica di Salò; non può non preoccuparci che la televisione di Stato ci ripresenti il boia di Albenga; non può non preoccuparci che anche in quest'aula abbiamo sentito pronunciare frasi che forse non avremmo voluto udire.
La storia ha emesso il suo verdetto; la magistratura l'ha fatto; la Corte di cassazione ha altresì pronunciato il suo verdetto. Oggi un giudice riapre il caso, o intende riaprirlo, semplicemente sulla base di un dettato della Convenzione de L'Aja del 1907, che sosterrebbe che costoro - questi partigiani - non erano in azione di guerra solo perché non avevano una divisa per farsi riconoscere. Colleghi carissimi, questa è la base di partenza giuridica sulla quale si muove oggi il comportamento di questo giudice romano! Credo che veramente si sia al ridicolo.
La storia è passata per tutti ed ognuno di noi dovrebbe avere la concezione della storia: la storia di una guerra mondiale che ha visto milioni di morti, milioni di deportati, che è costata 45 mila vittime alla Resistenza e 10 mila mutilati (sono queste le cifre); certamente queste persone non erano in assetto di guerra, non avevano le graduazioni previste dal codice militare, ma facevano una guerra per la libertà del popolo italiano, per la nostra civiltà giuridica e per la nostra democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi di rinnovamento italiano, della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Borghezio n.3-01319 (vedi l'allegatoA).
L'onorevole Borghezio ha facoltà di parlare.

MARIO BORGHEZIO. La nostra interrogazione ha esclusivamente il fine di veder garantita la più perfetta imparzialità e indipendenza del giudice di Roma, dottor Maurizio Pacioni, posto che sulla sua decisione, che di fatto rappresenta - è bene ricordarlo - la risposta ad una precisa richiesta del rappresentante di alcune parti lese, e sull'inchiesta giudiziaria si sono immediatamente esercitate pesanti ingerenze e pressioni politiche.
Alcuni esponenti politici ed opinionisti sono arrivati a definire «piccolo» il magistrato in questione e hanno affermato che non si fa il processo alla storia. Il che - ci consenta di dirlo, Presidente - è un sofisma tipicamente italiano. Chi ragiona così si candida forse a guidare la seconda Repubblica che, però, stanti queste premesse, avrà gli stessi vizi e le stesse caratteristiche della prima.
Noi rispondiamo sommessamente che un paese che non sa e che forse ancora


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non vuole fare i conti con la sua storia (comprese le pagine meno chiare) è un paese non serio e che non otterrà mai il rispetto delle altre nazioni.
La verità è che la Repubblica italiana più che una Repubblica fondata sul lavoro è stata ed è, visti anche i colpi di spugna striscianti, una Repubblica nata e fondata sulle amnistie. Ma questa è un'altra storia che non ha nulla a che vedere con il dovere della ricerca della verità che compete esclusivamente ai magistrati (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Borghezio, ho il dovere di avvertirla che in sede di replica lei avrà a disposizione un minuto e mezzo avendo adesso sforato di oltre 30 secondi.
Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. L'onorevole Borghezio - apprezzo che nell'interrogazione si è puntualizzato il fatto che vi è una denunzia che imponeva al giudice l'accertamento in corso - chiede quali siano i miei intendimenti in ordine alle violenti polemiche abbattutesi su quel giudice. Le rispondo che l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, che è nata dalla Resistenza e da questa Costituzione, è il bene che mi è più caro ed è ciò che cerco di difendere di più.
Rispondo anche che rientra nel diritto di critica di tutti i cittadini qualunque espressione di dissenso motivato e privo di accenti offensivi (e mi pare che non vi siano accenti offensivi in una critica per quanto forte) nei confronti di decisioni giudiziarie come quella del GIP di Roma, che, come lei ha rilevato, è una decisione interlocutoria. Credo che in un paese democratico garantire l'indipendenza della magistratura sia tanto importante quanto garantire la libertà di espressione e sono convinto e fiducioso che la funzione giurisdizionale non può essere indebolita o intimidita da posizioni anche fortemente critiche. Proprio per questo l'unica risposta che posso darle è quella che ho fornito in precedenza, quando ho detto che non intendo intervenire, nell'ambito delle mie competenze, in questa fase del procedimento, non ravvisando i presupposti che possono legittimare una mia iniziativa.
Reputo sia questo il modo migliore per garantire ad un tempo sia l'indipendenza della magistratura e la sua autonomia, sia il diritto di critica, sia i sentimenti di coscienza nazionale. In una situazione di conclamata problematicità e di crisi della giustizia e di fronte a tanti problemi attuali ed urgenti, mi auguro che la magistratura affronti soprattutto tematiche attuali.

PRESIDENTE. L'onorevole Borghezio ha facoltà di replicare per un minuto e mezzo.

MARIO BORGHEZIO. Il ministro ha parlato correttamente a differenza dell'associazione dei magistrati, che stranamente in questa occasione si è distinta per il suo silenzio. L'associazione dei magistrati è stata tra l'altro silenziosa di fronte alle clamorose rivelazioni del procuratore di Treviso che, dopo aver inquisito cinque persone in camicia verde, ha poi molto onestamente ammesso di «aver ceduto ad esigenze di polizia». Questo la dice molto lunga sull'«arietta» di regime che spira su questa Repubblica, che non so se chiamare prima o seconda, tanto le due si assomigliano.
Vorrei fare una breve osservazione sulla ricostruzione storica, perché vi è una piccola dimenticanza nella risposta del ministro, se non vado errato. Non bisogna infatti scordare una data, quella del 20 luglio 1948, che è quella in cui il tribunale alleato, che emise giustamente sentenza di condanna contro Kappler per la vicenda delle Fosse Ardeatine, dichiarò l'illegittimità dell'attentato di via Rasella.
Ribadiamo in questa occasione che ingerenze di questo genere sono inammissibili in uno Stato di diritto così come è inammissibile il fatto che ancora oggi, dopo cinquantaquattro anni, il diritto delle parti civili lese da quel gravissimo


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attentato - intorno al quale continuano a circolare molte contrastanti verità - e spesso di fatto non tutelate nel nostro ordinamento, come il ministro ben sa, ...

PRESIDENTE. Onorevole Borghezio, la pregherei di concludere.

MARIO BORGHEZIO. ...ad un processo celebrato secondo le regole della civiltà del diritto non venga adeguatamente tutelato nel nostro ordinamento (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

MARCO FUMAGALLI. Fascista!

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Monaco n.3-01320 (vedi l'allegatoA).
L'onorevole Monaco ha facoltà di parlare.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, signor ministro, anch'io intendevo porre un paio di quesiti, inesorabilmente ripetitivi a questo punto, riguardo alla nota e controversa decisione del giudice romano che, qualificando come atto di guerra illegittimo, l'attentato di via Rasella ha di fatto e di diritto riaperto il caso, suscitando sconcerto, reazioni e polemiche.
Avevo posto nella mia interrogazione due quesiti, al primo dei quali, in verità, il ministro ha già efficacemente risposto. Il primo verteva, appunto, sui precedenti giudiziari dell'episodio. Il Governo ci ha confermato che sul medesimo episodio la giustizia italiana si è già pronunciata in senso diverso sino ad una sentenza della Corte di cassazione del 1957, vale a dire una sentenza emessa dopo un periodo di tempo che dovrebbe essere ritenuto rassicurante, in quanto abbastanza distante dagli eventi e dalle passioni che gli stessi avevano suscitato; un periodo di tempo sufficiente a farli decantare. Perché riaprire quindi oggi il caso in sede giudiziaria?
In secondo luogo mi domando, e domando, se il Governo nel suo complesso, essendo anche l'esecutivo in certo modo espressione della coscienza del paese, se la senta di manifestare un punto di vista etico-politico sulla vicenda, che in verità è già affiorato in qualche occasionale pronunciamento da parte dello stesso Presidente del Consiglio e del ministro dell'interno.

PRESIDENTE. Onorevole Monaco, le ricordo che, avendo «sforato» di oltre mezzo minuto il tempo a sua disposizione, dovrà tenerne conto in sede di replica.
Il ministro di grazia e giustizia, professor Flick, ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Confido di non «debordare» nella mia risposta, richiamandomi ad una serie di argomentazioni e di motivazioni espresse in precedenza. Dato il tempo esiguo che mi è stato concesso dal regolamento parlamentare per preparare la risposta, non mi è stato possibile, oltre al provvedimento del giudice delle indagini preliminari e alla richiesta del pubblico ministero, acquisire altra documentazione ed accertare se vi siano altre decisioni, oltre quelle ampiamente citate sia dal pubblico ministero che dal GIP.
Rilevo peraltro che le due sentenze, quella civile e quella del tribunale militare del 20 luglio 1948, a cui è stato fatto ripetutamente cenno, sono citate dal provvedimento ed entrambe confermano, l'una la piena legittimità dell'atto di guerra compiuto (la sentenza civile), la seconda che si tratta di atto di guerra che rientrava nella direttiva di carattere generale della giunta militare tendente a costringere i tedeschi a rispettare la posizione di «città aperta» della capitale, direttiva che ciascun componente della giunta era chiamato a far attuare dalla formazione da lui dipendente. La sentenza del tribunale prosegue definendo esplicitamente come atto di guerra (a pagina 94, come citato dall'ordinanza) quel fatto, ancorché qualificandolo come illegittimo ad altri fini, ai fini della valutazione della responsabilità di chi dispose l'eccidio delle Fosse Ardeatine.


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Ecco perché la mia valutazione di quelle vicende storiche, valutazione della quale - ripeto - sono orgoglioso, è quella di questo paese e consacrata in quei documenti giudiziari. È anche una valutazione mia, in quanto rientra nel patrimonio storico e culturale che ciascuno di noi possiede.
Come ministro posso comprendere il disagio manifestato dall'interrogante sul fatto che a distanza di 53 anni vengano rimesse in discussione vicende la cui dimensione storica è ormai radicata nella comune coscienza collettiva; devo dire però, sempre come ministro e conoscendo la legge, che l'autorità giudiziaria se ne sta occupando perché vi è stata una precisa denuncia di alcuno, come risulta dalla richiesta del pubblico ministero. L'ordinamento impone dunque che l'autorità giudiziaria si esprima, fermo restando che, come da ella richiesto, la natura, lo scopo ed il ruolo dell'azione di via Rasella e l'assenza per essa di responsabilità di chi la commise sono stati sanciti, e non da ora, dalle pronunce giurisdizionali di giudici civili e militari, sia pure a quegli altri fini, e credo che sia scolpita nella coscienza e nel cuore di tutti noi (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Monaco al quale ricordo di mantenersi nel limite di tempo di un minuto e mezzo.

FRANCESCO MONACO. Mi dichiaro soddisfatto delle risposte del ministro complessivamente considerate; tuttavia mi permetto di aggiungere due rilievi, il primo dei quali è stato qui avanzato da altri colleghi. Mi riferisco alla preoccupazione che questo episodio si innesti in un trend revisionistico approssimativo e non immune da strumentali intenti politici, un intento che non si limita a coltivare rispetto e pietà per i morti di tutte le parti, ma si spinge fino al punto di confondere verità ed errore (vorrei dire almeno quelli accessibili agli uomini ma sanzionati e vagliati dalla coscienza umana universale), di confondere cause giuste e cause ingiuste, addirittura aberranti, ancorché talvolta sostenute in buona fede. La pacificazione non è questa, perché la pace presuppone la giustizia, né essa passa di qui attraverso decisioni di questo genere. Come non rilevare che tali decisioni nuocciono anziché giovare alla vera pacificazione, riaprono antiche ferite, riaccendono vecchi rancori?
Un secondo rilievo è la preoccupazione che, in una stagione che ci vede concordemente impegnati non già a riscrivere il patto costituzionale - forse è nato qualche equivoco - ma ad adeguare la seconda parte della Costituzione, non si smarrisca la radice storica ed ideale della Costituzione vigente, il suo gene antitotalitario che storicamente, nell'Italia dell'epoca, si concretava nell'antifascismo. Senza la tenuta di quel cemento, di quella coscienza costituzionale, mi sembra improbabile che si rigeneri il valore di quell'identità collettiva che tanto sta a cuore - è stata spesso richiamata - sia al Presidente Scàlfaro sia al Presidente Violante, e non solo a loro (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

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