XIII LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 83




        Onorevoli Colleghi! - La Costituzione della Repubblica italiana, all'articolo 36, stabilisce che: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". L'applicazione di questo principio costituzionale ha trovato sviluppo nelle relazioni sindacali lungo l'arco di cinquant'anni. La difesa del salario dei lavoratori dall'erosione provocata dall'inflazione è dunque sempre stata al centro dei comportamenti delle parti sociali, trovando appunto fondamento nella Carta costituzionale. Fino al 31 luglio 1992 il diritto alla difesa del salario reale è stato tutelato, via via in forme diverse, da un meccanismo automatico che correlava direttamente il valore dei salari all'incremento dei prezzi. Tale meccanismo, comunemente denominato "scala mobile", è stato sostituito dall'assetto contrattuale definito dal "Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo" del 23 luglio 1993.
        Tale assetto, che non prevede alcun recupero di carattere automatico, è inserito in un contesto di politica dei redditi volto a "conseguire una crescente equità nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento dell'inflazione e dei redditi nominali, per favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale mediante l'allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema delle imprese".
        A due anni di distanza dalla definizione di tale strumento di concertazione di politica dei redditi, occorre valutarne gli effetti concreti, proprio in rapporto agli obiettivi che tale Protocollo si proponeva; in particolare per verificare se la tutela di un diritto, costituzionalmente garantito, può essere esercitata efficacemente dal solo accordo fra le parti, o se invece non debba trovare, per il suo soddisfacimento, un necessario supporto legislativo.
        In questi anni possiamo affermare che la distribuzione del reddito non è migliorata in equità, ed anzi si sono allargate fasce di emarginazione e di "nuove povertà".
        Complessivamente la quota di reddito nazionale destinata al lavoro dipendente è diminuita mentre, sul fronte della crescita occupazionale e dell'allargamento della base produttiva, abbiamo assistito a fenomeni fortemente disomogenei. Il tasso di disoccupazione si è ormai stabilmente attestato attorno al 12 per cento e la maggiore competitività delle imprese, per lo più trainata dalla svalutazione della lira e localizzata in specifiche aree del Paese, segnatamente nel Nord-Est, non ha provocato, sul piano generale, quella stabile inversione di tendenza da molti pronosticata.
        Il sistema contrattuale delineato dal Protocollo del 23 luglio 1993, prevedeva per i contratti collettivi nazionali una durata biennale per la materia retributiva. Gli effetti economici del contratto dovevano allinearsi ai tassi di inflazione programmata. Al fine di salvaguardare il potere d'acquisto delle retribuzioni, in sede di rinnovo biennale dei minimi contrattuali, era stabilita la comparazione tra l'inflazione programmata e quella intervenuta nel precedente biennio.
        Occorre altresì ricordare che, al fine di assicurare stabilità e certezza all'assetto contrattuale così definito, le parti hanno istituito la "indennità di vacanza contrattuale". Il meccanismo intende porre rimedio agli effetti negativi, per i redditi da lavoro, del mancato rinnovo del contratto. Ciò in quanto, è del tutto evidente che, data l'assenza di un meccanismo di recupero automatico dei salari rispetto all'inflazione, il fattore temporale acquista la massima importanza, rispetto alla svalutazione del salario nominale.
        Le parti sociali hanno pertanto previsto che, una volta superati i tre mesi di mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori venga corrisposto un elemento provvisorio della retribuzione pari al 30 per cento del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza. Dopo sei mesi tale indennità è elevata al 50 per cento dell'inflazione programmata e viene a cessare al momento della decorrenza dell'accordo di rinnovo contrattuale.
        L'esperienza di questi anni ha visto un'inflazione attestata attorno al 5,8-6 per cento contro tassi di inflazione programmata del 2,5 per cento nel 1994 e del 2 per cento nel 1995, con una perdita media per le retribuzioni dei lavoratori dipendenti di oltre il 2 per cento. Sono peraltro sempre più evidenti le difficoltà nel conseguire l'adeguamento delle retribuzioni in tempi e modi tali da tutelare i redditi da lavoro dipendente. Ciò dimostra che il semplice accordo fra le parti non è di per sé sufficiente a garantire il diritto costituzionale alla tutela del salario reale.
        La presente proposta di legge, lungi dal voler ripristinare meccanismi di adeguamento automatico, attualmente non all'ordine del giorno, si prefigge di sancire che, indipendentemente dalla volontà delle parti, così come è assicurata la certezza del rinnovo contrattuale attraverso un parziale aumento dei minimi contrattuali, similmente vi sia certezza dell'adeguamento, anche in questo caso parziale, dei salari all'inflazione reale. Si tratta non di ledere l'autonomia contrattuale delle parti sociali, bensì di intervenire con la legislazione a supporto di un diritto individuale costituzionalmente garantito.




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