![]() |
![]() |
6. Le attività illecite e la penetrazione della mafia.
6.1. In generale.
Già la Commissione monocamerale d'inchiesta della XII legislatura aveva evidenziato come il settore dei rifiuti - di per sé molto appetibile per le organizzazioni criminali, poiché relativamente ancora poco presidiato dai meccanismi pubblici di controllo e fondamentale per un capillare dominio del territorio - fosse in Sicilia oggetto dell'attenzione di Cosa Nostra. Era già emerso che - anche in questo settore - la mafia aveva fatto un salto un qualità. Lungi dal limitarsi a imporre il «pizzo» sugli operatori onesti, essa ha assunto iniziative dirette nell'esercizio dell'impresa della gestione dei rifiuti (cfr. la relazione trimestrale, pubblicata nel volume Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, cit., p.403).
Non deve, pertanto, meravigliare l'affermazione del presidente della regione Sicilia, secondo cui le discariche siciliane (circa 150, tra quelle controllate e quelle in proroga) sono tutte «dal punto di vista dell'applicazione del decreto Ronchi, molto indietro» atteso che un effettivo controllo sulle stesse non risulta essere mai stato effettuato.
(15) Vedi infra il paragrafo relativo alla discarica di Portella Arena.
Le osservazioni dirette della Commissione e quelle effettuate per il tramite dei consulenti avevano posto in rilievo l'inaffidabilità di alcune discariche e la incongruenza dei controlli posti in essere in sede locale, e tale situazione viene confermata da più parti ed in relazione a più ipotesi.
6.2. a) Gli illeciti in generale.
6.2.2. La situazione catanese. Meritano un cenno particolare alcune vicende che appaiono paradigmatiche della situazione.
smaltimento siti in Priolo (Siracusa). I fatti risalirebbero all'anno 1995, i reati ambientali erano già prescritti all'atto della trasmissione alla procura circondariale di Catania. L'associazione a delinquere è stata esclusa con richiesta di archiviazione da parte del dottor Scavone.
Oggi sono regolati sulla base di un atto concessorio, il quale tuttavia è all'attenzione della procura in quanto affida ancora una volta la gestione alla medesima ditta non autorizzata e priva dei requisiti di legge.
6.2.3. Il caso Portella Arena (Messina). La discarica di Portella Arena è venuta alla ribalta per un episodio assai grave. I fatti, conseguenti al nubifragio del 27 settembre 1998, sono consistiti in uno smottamento di terreno dal sito della discarica di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, congiuntamente a un'inondazione di notevole consistenza, eventi che hanno determinato il trascinamento di un'autovettura nel torrente Ciaramita - con conseguente morte dei tre occupanti - ed il travolgimento di altra autovettura nel torrente Pace, nonché ingenti danni a un considerevole numero di autovetture e, in definitiva, uno stato di concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità: tutti fatti che appaiono riconducibili al combinato disposto degli articoli 426 e 449 del codice penale.
(16) Cfr. il decreto di sequestro preventivo della discarica comunale del 15 ottobre 1998, nel proc. 2805 del 1998 presso il tribunale di Messina.
Numerosi sopralluoghi hanno, poi, messo in evidenza che la parte iniziale del torrente Pace, in prossimità della confluenza del torrente Paglierino, risultava invaso di materiale solido proveniente dalla discarica di Portella Arena ubicata immediatamente più a monte e per di più nel letto del torrente sono state rinvenute consistenti tracce di sostanze liquide di colore nero, verosimilmente proveniente dalla trasformazione dei Rsu stoccati in discarica.
Dalla relazione preliminare del consulente tecnico del P.M. del 14 ottobre 1998, elaborata in esito ad una ricognizione anche aerea dei luoghi, si desume che la scarpata dalla discarica verso valle «ha in atto una pendenza non confacente al grado di stabilità richiesto per tali manufatti e non risulta protetta alla base da alcuna opera di presidio o di contenimento. Sono apparse, ancora, inadeguate, se non addirittura assenti, le opere finalizzate alla raccolta, al convogliamento ed allontanamento delle acque superficiali che confluiscono dall'esterno verso il corpo della discarica. In tali condizioni non può non rilevarsi come per il costituente della discarica sussistono, almeno nella porzione più esterna, in concomitanza di eventi piovosi intensi anche se non eccezionali, concrete possibilità di scivolamento verso valle, con conseguente interessamento del l'alveo del torrente Pace».
6.2.4. Il caso di Pollina (Palermo). Per la discarica di Pollina, che da ultimo è stata oggetto di indagine da parte della procura di Palermo(17), la situazione e le interferenze vengono plasticamente indicate nella richiesta (e nella successiva ordinanza del GIP Tardio) di applicazione di custodia cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Butticé e altri. Tra questi ultimi vi sono diversi sindaci di Pollina accusati di concorso esterno in associazione mafiosa per avere contribuito, nella loro qualità, in modo determinante e continuativo, alla realizzazione degli interessi illeciti di Cosa nostra, avendo essi affidato al Butticè, per motivi di necessità ed urgenza ex articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, la gestione di una discarica comunale per la raccolta dei rifiuti solidi urbani su un suo terreno sito in località Poletto - alle particelle 26-316-322 del foglio di mappa 10 del comune di Pollina - destinato in precedenza alla raccolta dei materiali inerti di risulta dei lavori di scavo delle gallerie per la costruenda autostrada Palermo-Messina.
(17) Procedimento n. 5375 del 1998 (la c.d. operazione ONIS). Ne riferisce anche Il Messaggero, 14 luglio 1999, p. 9.
Ciò, secondo la pubblica accusa, è avvenuto senza la previa comunicazione del provvedimento all'assessorato territorio e ambiente della Regione, come previsto dalla circolare n. 35244 del 19 dicembre 1988, e mediante il sostegno in consiglio comunale della proroga della
prima ordinanza sindacale e del ricorso alla trattativa privata, senza mai proporre una gara d'appalto o l'esproprio del terreno (18). Sarebbe stato così vanificato lo stanziamento di 200 milioni già deliberato per l'istituzione di una discarica comunale in località Barbieri e ignorato volutamente che il terreno del Butticè era sottoposto a vincoli paesaggistici ed idrogeologici e vincolato a bosco o a zona da rimboschire secondo il PRG, permettendo (anche dopo che l'ARTA aveva autorizzato il Butticè, in data 3 novembre 1993 solo allo «spazzamento, raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti») che lo stesso illecitamente provvedesse a gestire la discarica. Gli imputati, infine, nell'agire da esattori per il Butticé, imponevano ai comuni e alle imprese che scaricavano i loro rifiuti nella predetta discarica abusiva - di proprietà del comune di Pollina - prezzi superiori a quelli stabiliti nella conferenza di servizio del 19 dicembre 1995 e versando le relative somme introitate al Butticè.
(18) È opportuno ricordare che il consiglio comunale di Pollina è stato sciolto ai sensi della legge n. 55 del 1990 con decreto presidenziale del 31 ottobre 1997 e che il regime commissariale perdura tuttora.
L'impianto accusatorio ha retto al vaglio del tribunale del riesame di Palermo. Successivamente, il GIP ha respinto un'istanza di rimessione in libertà. Il provvedimento del GIP è stato impugnato innanzi alla sezione feriale del tribunale, il quale (in data 2 settembre 1999) ha disposto la scarcerazione degli indagati per il venir meno delle esigenze cautelari.
3. poiché da quanto scoperto emergeva anche un rilevante danno erariale, la Guardia di finanza di Termini Imerese trasmetteva copia dell'informativa di reato al prefetto di Palermo e chiedeva di attivare una commissione d'accesso presso il comune di Pollina, onde poter verificare eventuali infiltrazioni mafiose, nonché accertare la cattiva gestione della cosa pubblica da parte dei suoi amministratori. Al contempo, veniva altresì informata la Corte dei conti a Palermo;
6.3. b) La penetrazione mafiosa. Il settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti in tutto il meridione d'Italia - non senza sponde nella restante parte del territorio nazionale - è un business molto proficuo per le associazioni criminali. In questa drammatica realtà la Sicilia non è certo un caso secondario. Lo hanno evidenziato sia il presidente Capodicasa, sia i prefetti che i magistrati ascoltati in audizione.
denominata ROT, riconducibile (secondo le investigazioni del sostituto Insacco) a esponenti mafiosi (19).
(19) L'impresa De Bartolomeis è oggetto dell'attenzione giudiziaria anche in un'altra inchiesta, avviatasi in seguito alle dichiarazioni del collaborante Angelo Siino e di altri, inerente agli appalti relativi alla discarica di Bellolampo (Palermo), conclusasi il 20 maggio 1999 con il rinvio a giudizio di diverse persone tra cui Vincenzo Udine e Romano Tronci, quest'ultimo direttore generale della De Bartolomeis fino al fallimento della società (luglio 1996).
Nel luglio del 1993, si aggiudica l'appalto la società cooperativa LEX a r.l. La LEX ha come esponenti Antonino Landi (direttore generale) e Diego Cacciatore (institore). Essa - sempre secondo la prospettazione accusatoria, contenuta in una richiesta di misure cautelari a carico di diversi imputati - ottiene l'appalto anche in virtù del fatto che, sebbene non offra ribassi molto consistenti, il comune appaltante deve escludere dalla gara ditte concorrenti, le quali - pur dotate di notevole esperienza - compiono macroscopici errori formali nel presentare le loro offerte. Giova alla LEX anche l'insistenza delle pressioni che i Virga esercitano sugli uffici comunali.
(20) Ne riferisce anche il prefetto Cerenzia.
Quale che sia la verità giudiziaria che emergerà dalla fase processuale, appare alquanto verosimile alla Commissione che l'infiltrazione mafiosa nel settore dei rifiuti a Trapani abbia raggiunto livelli preoccupanti. Del resto, lo stesso GIP Scaduto osserva che le indagini «hanno portato alla luce sicuri indizi di un ingresso di Cosa Nostra nel complessivo settore riguardante il trattamento e lo smaltimento dei Rsu di Trapani [...]» (21).
(21) Cfr. pagina 411 dell'ordinanza del 3 luglio 1998.
Altro episodio emblematico dell'infiltrazione mafiosa nel settore dei rifiuti è quello trattato nel procedimento n. 2636 del 1994 dalla procura distrettuale di Catania, nei confronti, tra gli altri, di Salvatore e Angelo Motta, entrambi operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti, mediante due ditte fittiziamente intestate alle mogli, ovvero la ASSIA e la IMAT (22). Costoro venivano tratti in arresto per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto ritenuti contigui
(22) Il procedimento, a seguito di scelte difensive differenziate, si è concluso con sentenze processualmente diverse per i vari imputati. Alcuni coimputati dei fratelli Motta sono stati condannati con sentenza n. 73-bis del 25 gennaio 1997 divenuta irrevocabile il 7 ottobre 1997.
alla cosca facente capo a Giuseppe Pulvirenti «u malpassotu» e successivamente condannati in primo grado (23) per concorso in associazione mafiosa in relazione agli appalti aggiudicati alla ditta ASSIA nel comune di Paternò. Detta aggiudicazione era avvenuta grazie anche all'appoggio del citato clan mafioso facente capo al Pulvirenti, il quale beneficiava del «sostegno» di politici locali, ed altresì mediante l'alleanza con le altre organizzazioni criminali operanti nel centro paternese, quali quella dei cosiddetti «ex Alleruzziani», capeggiati da Rosario Fallica e quella dei Morabito-Stimoli-Fiorello. Le attività investigative, che consentivano di fare luce su tali vicende, si fondavano anche sull'apporto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, già facente parte, con un ruolo di spicco, del clan del Pulvirenti. Costui, in quanto direttamente interessato, quale appartenente al gruppo mafioso, agli appalti relativi all'attività di smaltimento dei rifiuti, si mostrava a conoscenza di una serie di particolari che evidenziavano come il settore suddetto costituisse indubbiamente materia di primario interesse per Cosa nostra.
(23) V. la sentenza del tribunale di Catania del 27 marzo 1996, n. 197.
Peraltro, la procura ha richiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio nei confronti di pubblici amministratori accusati di avere illecitamente interferito, abusando del proprio ufficio, nell'aggiudicazione a determinate imprese di appalti in materia di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani. Ad esempio, in data 14 agosto 1995, il GIP presso il tribunale di Catania emetteva ordinanza di sospensione dai pubblici uffici nei confronti di Nunzio Pastura (24), direttore del 18o Settore nettezza urbana del comune di Catania, nonché presidente delle commissioni di aggiudicazione delle gare d'appalto effettuate per i servizi di spazzamento e raccolta dei RSU per l'anno 1994. In seguito, in data 7 ottobre 1995 disponeva il rinvio a giudizio, tra gli altri, del Pastura per il reato di abuso d'ufficio connesso alle irregolarità verificatesi nell'aggiudicazione dei due succitati lotti di raccolta e spazzamento dei Rsu al raggruppamento temporaneo di imprese LEX-De Bartolomeis.
(24) Proc. n. 6893 del 1994.
Inoltre, in data 12 dicembre 1995, veniva emessa dal GIP presso il tribunale di Catania ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti, tra gli altri, di Giuseppe Zappalà e Federico Leone, pubblici amministratori, entrambi accusati di aver ricevuto somme di denaro al fine di favorire determinati personaggi legati a clan mafiosi operanti in territorio di Paternò (quali quello del Pulvirenti «u malpassotu» o quello dei Morabito-Stimoli-Fiorello) nell'aggiudicazione di appalti relativi al servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani. Attualmente è in corso il dibattimento relativo alla fase di primo grado.
6.3.1. La situazione nei cantieri navali di Palermo. Dei cantieri si è occupata in questa legislatura la Commissione d'inchiesta sulla mafia (cfr. il Doc. XXIII, n. 21). Ne è emerso un quadro inquietante, in cui alle ordinarie forme di direzione imprenditoriale delle attività produttive si è in larga misura sostituito il potere mafioso, la cui pervasiva presenza fatta di prepotenze, illegalità e omertà appare di difficile superamento.
Per quello che concerne più specificamente l'ambito di competenza istituzionale di questa Commissione, occorre rilevare che sin dal 1993 - con il consenso della famiglia dell'Acquasanta e senza che la direzione della Fincantieri sia riuscita a esprimere un serio ed efficace dissenso - nei cantieri vengono introdotte rilevanti quantità di rifiuti, per rimanervi accumulate nelle forme più varie: ora semplicemente accatastate negli spazi liberi, ora chiuse in cassoni di cemento o in locali dismessi, ora compattati nelle banchine di cemento del porticciolo dei cantieri.
6.3.2. La situazione in provincia di Agrigento. La Commissione ha acquisito informazioni circa la provincia agrigentina attraverso la prefettura.
(25) Del resto, nel comune di Agrigento funziona una discarica autorizzata solo in emergenza ai sensi dell'articolo 13 del «decreto Ronchi», sprovvista di mezzi di captazione di biogas e di raccolta del percolato.
È stato altresì accertato che spesso tra i dipendenti delle imprese, che si aggiudicano gli appalti per i servizi connessi al ciclo dei rifiuti, vi sono affiliati delle organizzazioni mafiose.
6.4. c) Linee di contrasto.
6.4.1. Le attività descritte dal prefetto di Palermo. Circa l'attività di contrasto alla criminalità organizzata, da parte della prefettura è stata avviata una indagine conoscitiva nei confronti dei comuni diretta ad
accertare i rapporti da questi intrattenuti con imprese operanti nel settore del trattamento dei rifiuti. Secondo quanto riferito, 35 comuni hanno dichiarato di tenere rapporti contrattuali con privati e gli organi di polizia sono stati interessati per verificare la presenza, in taluno di questi rapporti, di elementi che possano indurre a ritenere infiltrazioni di organizzazioni mafiose. Dal mese di giugno 1997, opera presso la Criminalpol della Sicilia occidentale, una speciale unità, composta di due ispettori, che ha il compito di coordinare sotto il profilo informativo, tutte le indagini. Nell'agosto del 1995, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare del GIP del tribunale di Palermo, sono stati tratti in arresto vari soggetti coinvolti nello smaltimento clandestino di rifiuti tossici presso una cava abusiva sita in Montanaro (Trapani). Si tratta di un procedimento avviato a seguito di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia trapanese che ha riferito su attività di intermediazione ad opera di cosche mafiose operanti in provincia di Trapani.
Al riguardo la Commissione segnala la preziosa opera di collaborazione tra organi istituzionali che si è posta in essere in occasione dell'indagine sulla discarica di Pollina, opera che ha condotto a risultati lusinghieri sia dal punto di vista del controllo amministrativo-preventivo che da quello giudiziario (26). Manca, invece, se si fa eccezione per l'attività investigativa delegata dalla DDA di Caltanissetta, sia qualsiasi monitoraggio del fenomeno da parte delle competenti DIA (27), sia una più fruttuosa analisi generale, da parte dell'Autorità giudiziaria, delle pur numerose ed illuminati relazioni redatte dalle varie prefetture dell'isola in ordine alle ipotesi di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose o per condizionamento dell'attività amministrativa.
(26) Vedi antea, al paragrafo 6.2.4.
6.4.2. Considerazioni sull'attività della magistratura. L'attività di contrasto svolta dalle forze di polizia e dalla magistratura sembra, in base agli atti ed alle risultanze, essere stata tempestiva e ben diretta; tuttavia, gli organi di controllo non appaiono ancora adeguatamente preparati, né culturalmente attrezzati, ad affrontare la nuova situazione.
illecito, sembra essere agevolata da alcune circostanze emerse dalle indagini cui si è fatto cenno. Tali circostanze si concretizzano:
Conclusivamente, in ragione delle circostanze e dei fenomeni posti in evidenza, fermo restando che la Commissione giudica che la complessità della situazione della regione richiede ulteriori approfondimenti, in ordine allo specifico punto delle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, può affermarsi che gli elementi acquisiti consentono di valutare positivamente l'azione di mero contrasto della magistratura e delle forze dell'ordine nei confronti degli episodi che sono venuti in evidenza, ma che appare assai in ritardo, se non addirittura mancante, una strategia di prevenzione generale e speciale, nonché una cosciente ed adeguata «cultura» di controllo e di indagine in materia ambientale. Peraltro, non sempre vengono attivati i pur deboli strumenti legislativi esistenti.
Per tale motivo, la Commissione si impegna a seguire con particolare attenzione l'evolversi della situazione ed a sostenere le iniziative centrali e locali per rafforzare, anche in questa regione, la lotta alla criminalità ambientale.
Il quadro generale degli illeciti nella materia oggetto della specifica indagine della Commissione risente da una parte dell'ampiezza del fenomeno e, dall'altra, di fattori oggettivi che non consentono il dispiegarsi di una più efficace attività di contrasto. Tra tali fattori, ad avviso della Commissione, occorre evidenziare che in alcuni settori dell'autorità giudiziaria il fenomeno non viene percepito nella sua effettiva gravità.
Se, invero fin dall'inizio degli anni 90 vengono segnalati fenomeni di interferenza negli atti della pubbica amministrazione relativi agli appalti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, solo alla fine degli anni 90 e, in particolare, dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997 e con l'estendersi dell'attività della Commissione, si registrano gli interventi più significativi della magistratura.
Emblematica è la situazione di alcune di esse nonché la circostanza che le stesse abbiano attirato l'attenzione degli organi inquirenti solo a seguito di eventi eccezionali. (15)
Nel suo lavoro, la Commissione ha inteso assumere informazioni circa tre profili principali: a) le attività illecite in generale; b) il coinvolgimento delle organizzazioni mafiose; c) le strategie di contrasto.
Innanzitutto vi è il filone delle indagini condotte dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Catania, la quale - ai sensi del decreto legislativo n. 915 prima e del «decreto Ronchi» poi - sta procedendo per ipotesi di reato concernenti fatti (seppur numerosi ed impegnativi per via dei sequestri, delle bonifiche, eccetera) di modesto rilievo, attinenti principalmente episodi di trasporto, stoccaggio ed abbandono incontrollato di rifiuti posti in essere da piccole imprese, per lo più a carattere personale o artigianale.
Molteplici inoltre sono state le denunce a carico di persone non identificate inerenti all'abbandono di rifiuti da demolizione o ingombranti (frigoriferi, cucine, lavatrici) da parte di singoli privati che deturpano le strade di minor traffico del comprensorio etneo. Tali fatti - se commessi da privati - sono sanzionati solo come illecito amministrativo: tuttavia è stata cura della procura accertare che i comuni esercitassero i poteri loro demandati dalla legge in ordine al controllo ed alla bonifica del territorio.
Numerosi sono stati i sequestri di autodemolizioni di autovetture. Non si sono rilevati nell'ultimo biennio casi gravi di smaltimento irregolare di rifiuti ospedalieri, piuttosto frequenti nel passato.
Un rilievo a parte merita il procedimento n. 10210 del 1998, originariamente iscritto presso la procura distrettuale di Catania per associazione e delinquere, truffa aggravata e smaltimento abusivo di rifiuti. Tale fascicolo fu trasmesso dal dottor Scavone alla procura circondariale di Siracusa la quale si dichiarò incompetente restituendo gli atti, che infine venivano trasferiti alla procura circondariale di Catania. Il fascicolo ha per oggetto indagini svolte dal Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Palermo in ordine all'irregolare smaltimento di rifiuti liquidi da parte di strutture ospedaliere della provincia di Catania in concorso con i gestori di impianti di depurazione e
Problemi ulteriori sono causati dalle conseguenze dell'abnorme uso dell'autorizzazione di discariche in emergenza, cui si è già accennato. Si è rilevato che, basandosi sulla norma derogatrice (l'articolo 13 del decreto legislativo n. 22) le amministrazioni comunali hanno spesso affidato il servizio di gestione delle discariche a ditte non autorizzate, prive dei requisiti di legge ed avvalendosi di trattative private.
A fronte di ciò, la procura circondariale ha posto in essere numerosissimi sequestri emettendo decreto di citazione a giudizio nei confronti di pubblici amministratori, funzionari e gestori delle discariche. I procedimenti principali hanno riguardato le discariche di Acireale, Paternò, Mascali, Giarre, Nicolosi, Cesarò, Belpasso, Motta S. Anastasia, Randazzo. In primo grado si sono già conclusi molti processi con sentenza di condanna (discariche di Paternò, Mascali, Giarre).
Caso a parte è rappresentato dalla discarica di Catania (Grotte San Giorgio). La stessa è utilizzata sin dal 1983 sulla base di ordinanze contingibili ed urgenti emesse dapprima dal Commissario straordinario del comune di Catania e (dopo circa un decennio di «silenzio» amministrativo) dal sindaco in carica.
La discarica è sita su di un vasto fondo di proprietà della ditta Sicula Trasporti s.r.l., la quale provvede in proprio alla gestione delle fasi di compattamento e seppellimento dei rifiuti. Poiché tali operazioni venivano svolte da oltre 10 anni senza un valido provvedimento autorizzatorio, con modalità assolutamente pericolose per l'ambiente (mancanza di precauzioni per l'inquinamento delle falde, realizzazione di cumuli prospicienti strade di grande comunicazione alti oltre 18 metri, senza recinzione) e da parte di ditta assolutamente priva di autorizzazione regionale per la gestione della discarica, si procedeva al sequestro.
Tale provvedimento veniva dapprima annullato dal tribunale della libertà, poi su ricorso dell'accusa rinviato dalla Corte di cassazione al tribunale della libertà per difetto di motivazione; quest'ultimo organo tornava ad annullare il decreto di sequestro preventivo che (nonostante il nuovo gravame interposto dalla procura) decadeva definitivamente a seguito di ulteriore decisione della Corte di cassazione.
Attualmente il procedimento pende (dal 1998) innanzi al pretore di Catania in avanzata fase dibattimentale e vede imputati (dopo lo stralcio in fase istruttoria per non avere commesso il fatto dell'attuale sindaco Enzo Bianco) l'assessore alla nettezza urbana Paolino Maniscalco ed i due gestori della Sicula Trasporti Giuseppe e Salvatore Leonardi.
Va sottolineato che la futura discarica comprensoriale ricadrà negli stessi luoghi dove già ora sorge quella oggetto del giudizio e risulta che i Leonardi abbiano già acquistato vasti appezzamenti di terreno (ex agrumeti) confinanti con i suddetti luoghi.
I rapporti tra il comune di Catania e i Leonardi erano regolati fino a recente da un contratto di diritto privato prorogato sempre tacitamente.
Le indagini sono state svolte dal Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, dalla Compagnia carabinieri di Catania Fontanarossa e dal distaccamento del Corpo forestale di Catania. L'udienza preliminare è fissata per il 3 dicembre 1999.
Risulta, inoltre, dalla nota del Genio civile di Messina del 7 ottobre 1998, che si è verificata l'occlusione di una arcata centrale del ponte della strada statale n. 113 sul torrente Pace, con invasione delle acque fuoriuscite nella carreggiata della sede stradale, nonché di un consistente materiale costituito da sfabricidi, rifiuti e suppellettili vari ai bordi della pista abusiva in alveo che conduce in contrada Marotta. È stata constatata inoltre la presenza nell'alveo di materiale proveniente dalla discarica di Portella Arena, che ha contribuito all'innalzamento del livello dell'acqua del torrente.
La descrizione della reale situazione dei luoghi in epoca immediatamente successiva al nubifragio, è di significativa importanza: la relazione dei vigili urbani del 30 settembre 1998, evidenzia che il torrente Pace era ostruito dalla fanghiglia e le acque confluivano sulla via C. Pompea e che, ancora, alcune autovetture erano rimaste in un «mare di fango, detriti e ciottoli»; dalle dichiarazioni rese dai titolari delle ditte incaricate della rimozione dei materiali, risulta che dall'alveo del torrente in questione sono stati movimentati oltre 12 mila mc. di materiale solido. Risulta altresì dalle dichiarazioni di tale Imperio Prestipino che il torrente era invaso da fango alto alcuni metri e che «al suo interno scorreva di tutto: spazzatura varia, pneumatici, suppellettili rotti di vario genere, ferraglia ed elettrodomestici vari, massi di cemento enormi e spezzoni di asfalto» (16).
Il consulente tecnico ha ritenuto di non poter escludere, in concomitanza di nuove forti piogge, il collasso della zona esterna della discarica con conseguente occlusione dei materiali franati dell'alveo torrentizio lungo il quale avviene il naturale deflusso delle acque. Non va, per altro, sottaciuto che già nel settembre 1993 i tecnici del settore ambiente della provincia di Messina, dopo aver posto in rilievo che la discarica è localizzata nell'ambito dell'impluvio del torrente Pace (circostanza di per sé inusuale e censurabile), avevano testualmente affermato che «il pericolo di un crollo del fronte con cui avanzano i rifiuti è incombente», ipotizzando che «tra 6 o 9 mesi il fronte di avanzamento della discarica in assenza di appositi provvedimenti giungerà ad interessare direttamente il torrente Paglierino» con conseguenti problemi di normale deflusso delle acque; in quella sede venivano proposti degli interventi assolutamente necessari per una corretta applicazione delle norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915, interventi che non risultano essere stati eseguiti.
Vale la pena offrire alcuni ulteriori ragguagli, circa l'indagine relativa alla vicenda di Pollina, che emergono dalla richiesta di arresto, nel procedimento n. 5375 del 1998. L'inchiesta è stata condotta in massima parte dalla Guardia di finanza di Termini Imerese. Fin dalle prime battute era emersa l'illegittimità della gestione della discarica da parte del Butticé, sotto numerosi profili, e il coinvolgimento in prima persona di amministratori comunali che nel tempo avevano permesso al Butticè di introitare somme di denaro dell'ordine di miliardi, a discapito della finanza comunale e della salute pubblica e a tutto vantaggio di alcuni individui, in primis lo stesso Butticè e i capi della famiglia mafiosa del mandamento di Ganci-San Mauro Castelverde-Pollina.
In buona sostanza, la pubblica accusa si fonda sui seguenti elementi:
1. nel 1986 veniva autorizzata in emergenza una discarica per inerti provenienti dai lavori di sterro per la costruzione dell'autostrada Messina-Palermo, sul terreno del Butticé;
2. con il passare degli anni e approssimandosi l'esaurimento dell'affare relativo alla costruzione dell'autostrada, il Butticé - avvalendosi di appoggi interni all'amministrazione comunale - riusciva ad ottenere ulteriori autorizzazioni in emergenza per lo smaltimento nella propria discarica anche di altri tipi di rifiuti. Alla sua discarica non conferiva solo il comune di Pollina, ma anche altri comuni. A tutte le amministrazioni comunali erano comunque imposte tariffe più alte del lecito. Peraltro l'affare della discarica era solo un tassello di un più ampio mosaico affaristico, costituito da appalti e subappalti pilotati in favore di soggetti legati a Cosa nostra;
4. il Butticé avrebbe goduto sostanzialmente dell'appoggio non solo dei tre sindaci di Pollina Giuseppe Abbate, Giovanni Maria Marchese e Renato Giuliano Solaro (anch'essi imputati nel procedimento), ma anche della famiglia Farinella e di Cesare Musotto, soggetto colpito da misure di prevenzione antimafia e condannato in primo grado dal tribunale di Palermo con sentenza del 4 aprile 1998 per concorso esterno in associazione mafiosa. Agli atti risulta che il Musotto ebbe ad asserire con Tullio Cannella (noto collaboratore di giustizia) che «il comune di Pollina era nelle sue mani».
Capodicasa ha sottolineato che, essendosi esaurito il flusso della spesa pubblica destinato alle opere pubbliche - che costituiva il terreno d'elezione dell'influenza mafiosa - le cosche si sono rivolte ad altri settori lucrosi, tra i quali quello dei rifiuti. Esse però, com'è evidente, non si presentano in modo palese, ma concorrono nelle gare d'appalto servendosi di prestanomi.
Emblematico in tal senso è, non solo quanto già illustrato a proposito di Pollina, ma anche quel che è emerso in relazione a Trapani.
Esiste in questa città, in contrada Belvedere, un impianto di smaltimento e compostaggio. Per un lungo periodo (dal maggio del 1988 al maggio del 1993) dell'appalto comunale per la gestione dell'impianto, che ricomprende la raccolta cittadina dei rifiuti, è stata titolare l'impresa De Bartolomeis di Milano, la stessa che lo aveva costruito.
La De Bartolomeis - secondo quanto riferito dal sostituto procuratore Insacco - fin dal 1989 si mostra permeabile all'influenza di Cosa nostra e si mette a capo di un gruppo di imprese, tra cui ditte legate a soggetti mafiosi, che ha relazioni amichevoli con ambienti dell'amministrazione regionale, i quali possono facilitare l'ottenimento di autorizzazioni e di altri provvedimenti abilitatori. La De Bartolomeis, fatto ancor più significativo, utilizza regolarmente per la raccolta dei rifiuti, automezzi noleggiati da società legate alla famiglia mafiosa trapanese di Vincenzo Virga.
La gestione De Bartolomeis termina nel 1993 e l'impresa fallisce nel 1996, non prima di aver ceduto un ramo d'azienda a una società
Sul finire del 1994, vince a sorpresa l'appalto la Dusty di Catania, la quale - stranamente - nel gennaio del 1995 informa il comune di Trapani che per «cause tecniche» deve noleggiare gli automezzi per il trasporto da altre società. Casualmente li noleggerà dalla De Bartolomeis, dalla EDILVIRO (società edilizia legata alla famiglia Virga) e dalla ditta individuale Autotrasporti Francesco Virga (figlio di Vincenzo), oltre che da altre imprese asseritamente legate anch'esse ai Virga.
Nel gennaio del 1996 scatta l'operazione di polizia «Rino» (20), che porterà alla scoperta di diversi illeciti e all'indagine che sfocerà nella richiesta di diverse misure cautelari (in parte accolta dal GIP Scaduto in data 3 luglio 1998) basate su elementi di fatto che fanno concludere che la famiglia trapanese dei Virga ha una ferma presa sulla gestione dei rifiuti in città, anche con la necessaria collaborazione di soggetti appartenenti all'amministrazione comunale.
Questa situazione si è progressivamente aggravata fino a sfociare in varie inchieste, sia per fatti di associazione mafiosa sia per fatti di violazione della legislazione ambientale. Riguardo a questi ultimi, nel contesto di un'inchiesta condotta dal sostituto procuratore Emanuele Ravaglioli, è stato disposto nel corso del 1999 il sequestro di numerose aree dei cantieri.
Tale stato di cose ha indotto (come illustrato in apertura) la Commissione a svolgere essa stessa un sopralluogo nel giugno del 1999, durante il quale si è potuto constatare l'avanzato degrado ambientale del sito. Particolare impressione hanno destato, tra le altre cose, non solo un centinaio di bidoni di morchie oleose depositate in un'area incustodita dei cantieri (attualmente sotto sequestro), ma anche un cospicuo accumulo di sabbie sature dentro un capannone e l'esistenza di un enorme condotto fognario, privo di depuratore, che scarica a cielo aperto direttamente in un canale del cantiere e poi a mare. Tale ultimo elemento - pur non potendo essere direttamente imputato alla direzione dei cantieri - appare significativo della scarsa sensibilità che all'interno degli stessi esiste sul problema della salubrità ambientale, nonostante che la Fincantieri abbia aumentato nel 1999, rispetto al 1998, le risorse destinate allo smaltimento dei rifiuti.
Relativamente a quest'area non vi sono processi pendenti né responsabilità penali accertate, ma ciò non autorizza a trarre conclusioni tranquillizzanti (25). È anzi certo che vi e un interesse delle cosche per il settore, in particolare per i profili della raccolta, del conferimento e dello smaltimento.
Pur in carenza di riscontri più certi, il prefetto, sulla base anche di esperienze maturate in altri uffici, ha escluso che la regione possa essere interessata da traffici di importazione di rifiuti provenienti da altre zone del paese. Il problema riguarda, piuttosto, le modalità di conferimento dei rifiuti prodotti nell'isola e l'eventuale esportazione in siti posti in altre regioni. A tale proposito ha affermato che almeno il 90 per cento dei rifiuti pericolosi prodotti nell'isola non esce dalla regione, a meno che i trasferimenti non avvengano in modo del tutto illegale e clandestino. Si tratta di un dato che appare peraltro in forte contrasto con quanto riportato dal Ministero dell'ambiente nel Rapporto sullo stato dell'ambiente pubblicato nel 1997: in tale pubblicazione si afferma che il 100 per cento dei rifiuti tossici-nocivi prodotti in Sicilia nel biennio 1993-1994 era smaltito fuori regione. Ma, allo stato delle conoscenze, mancano riscontri su questi eventuali trasferimenti.
Per altre situazioni, che riguardano soprattutto fatti pregressi, sono in corso accertamenti, da parte della pretura di Palermo per verificare se la Sicilia sia stata terminale di traffici, anche internazionali, di rifiuti pericolosi. Mancano sufficienti elementi di informazione sui traffici che avvengono per via ferroviaria e via mare, soprattutto lo stretto di Messina. Saranno intensificati i controlli ed iniziata un'attività di intelligence.
Da ultimo il prefetto, su richiesta della Commissione, ha riferito anche su alcune specifiche situazioni di traffici di rifiuti nei porti di Carrara e della Spezia, nonché in altre località dove aveva precedentemente prestato servizio. Ha riferito, comunque, di non essere a conoscenza di alcun collegamento tra quelle località e la Sicilia.
Altro interessante fronte relativo alle attività di contrasto in generale, è quello che si può ricavare dalle relazioni ex articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 e da tutte le altre ipotesi di relazioni prefettizie per lo scioglimento dei consigli comunali.
Dagli atti acquisiti dalla commissione si evince con chiarezza come il fenomeno del condizionamento degli appalti di gestione, realizzazione ed utilizzo delle discariche e, in genere, dei servizi di raccolta dei Rsu, sia diffuso e come lo stesso sia stato segnalato nell'ambito delle procedure di scioglimento dei consigli comunali.
(27) Vedi, ad esempio, relazione della DIA di Catania sulle infiltrazioni mafiose in provincia di Siracusa, acquisita agli atti della Commissione, che non affronta minimamente il problema.
Mentre per un verso occorre prendere atto della sollecitudine con la quale alcuni organi di polizia giudiziaria hanno seguito i procedimenti aventi ad oggetto la questione dei rifiuti d'altra parte occorre anche porre in evidenza che tutte le indagini sono scaturite da fatti accidentali. Mancano cioè referenti istituzionali capaci di letture dei fenomeni che possano portare a denunzie motivate ad opera delle strutture amministrative di controllo preposte alla verifica della regolarità nelle modalità di conduzione dei traffici. Sembra debole il controllo delle forze di polizia diffuse nel territorio ed aventi anche compiti di carattere amministrativo (vigili urbani, polizia stradale, guardie ecologiche, eccetera), al fine di individuare ed interpretare i traffici e le connesse patologie gestionali. In particolare, come detto, sembra mancare una conoscenza approfondita del fenomeno di infiltrazione da parte degli organi di investigazione specifica che ben raramente hanno saputo mettere a punto e focalizzare le pur copiose informazioni emergenti da più parti.
Assai debole è anche il coordinamento tra le varie forze di polizia, come (fatto ancora più grave, attesa l'esistenza dello strumento processuale di cui all'articolo 117 del codice di procedura penale) tra gli uffici giudiziari inquirenti, spesso costretti ad operare su stralci di inchieste trasmessi una volta effettuati gli accertamenti.
Altro dato di rilievo anche per i riflessi ambientali, emerso dalle indagini svolte dalla magistratura ed esaminate dalla Commissione, è la diffusa esistenza di fenomeni di «dispersione dei rifiuti» e della loro «declassificazione»; fenomeni accertabili unicamente a posteriori con danni gravissimi per l'habitat regionale, sia rispetto al sostanziale inquinamento permanente, sia rispetto alle possibilità di ripristino seguenti l'accertamento delle responsabilità. Tale dispersione dei rifiuti, che si evidenzia un modo macroscopico nell'ipotesi di traffico
a) nella mancanza di una specializzazione diffusa da parte degli organi di controllo, che viene anche in evidenza nell'oggettiva mancata organizzazione e sensibilizzazione delle forze dell'ordine operanti in modo diffuso sul territorio rispetto ai fenomeni di traffico che è possibile accertare unicamente attraverso l'intervento di organi specializzati (NOE, Corpo forestale dello Stato e Guardia di finanza);
b) nella quasi totale carenza di strutture presso i presidi multizonali delle ASL della regione, che causano la mancata tempestività nell'esecuzione di accertamenti (urgenti e preliminari all'inizio delle indagini), ora effettuati in laboratori assai distanti dai luoghi di transito;
c) nella quasi totale assenza di indagini o accertamenti eseguiti nel corso di operazioni di polizia che comportino il controllo e la conoscenza del territorio o a seguito di segnalazione da parte degli organi preposti ai controlli amministrativi. Dalle inchieste penali e dai dati acquisiti dalla Commissione emerge, infatti, che non risultano effettuati controlli da parte delle province o delle regioni, e che quindi non vengono attivate le inchieste penali. Peraltro, non risulta venire applicato l'articolo 168 del codice della strada, che prevede un obbligo di segnalazione cartellonistica visiva per il trasporto dei rifiuti;
d) nell'osservazione che le operazioni di smaltimento illecito, o quanto meno sospetto, sono spesso strettamente collegate all'attività di «cave e torbiere», in particolare alle attività di «risanamento ambientale» delle cave esauste. Quindi, la predisposizione del catasto nazionale delle cave potrebbe rendersi utile per l'individuazione dei siti presumibilmente a «rischio».
Peraltro, nonostante il ricco ed articolato patrimonio conoscitivo acquisito, la Commissione deve riconoscere che, tuttora, esiste una forte divaricazione tra i preoccupati allarmi lanciati dalle varie realtà ascoltate ed i riscontri certi di carattere giudiziario.
Allo stato delle attuali conoscenze, gli elementi in possesso della Commissione inducono a ritenere che una coordinata, attenta e forte azione di contrasto possa battere gli interessi della criminalità organizzata e comune che si muove attorno all'affaire rifiuti.
Interessante potrebbe essere, ad avviso della Commissione, ipotizzare possibilità di coordinamento delle indagini in materia ambientale e con specifico riferimento alle infiltrazioni mafiose, da parte delle sezioni territoriali della DIA, con monitoraggio periodico del fenomeno così come detta DIA fa per altri tipi di reati. Tale tipo di attività da una parte potrebbe meglio utilizzare le notizie e le informazioni che alle autorità di controllo pervengono da canali diversi (ad esempio attività di accertamento a livello amministrativo dell'infiltrazione mafiosa nella gestione degli enti locali) e, dall'altra consentirebbe di inquadrare il fenomeno nella sua, purtroppo, naturale sede di gestione «globale» ed «illegale» dell'affaire rifiuti.
Al riguardo la Commissione si propone un'iniziativa di sensibilizzazione dei vertici nazionali e locali della DIA. Quest'ultima, infatti, sembra la naturale referente, anche per compiti istituzionali, della Commissione stessa ed appare opportuno il coinvolgimento di tale organo specializzato nelle indagini.