![]() |
![]() |
![]() |
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nardi. Ne ha facoltà.
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, per chi, come me, è alla sua prima esperienza parlamentare, partecipare al dibattito sulle dichiarazioni programmatiche del Governo è, al tempo stesso, un'emozione ed una speranza fortissima. Emozione perché ci si rende conto che si parla di quello che potrebbe essere il futuro della nostra Italia e che, in qualche modo, può essere determinato anche da noi stessi; la speranza è legata al fatto che quello che viene detto venga ascoltato da chi ha la possibilità di migliorare alcune condizioni che si stanno determinando.
Io credo che se lei, signor Presidente del Consiglio in pectore, volesse far tesoro di alcuni suggerimenti che mi sento di darle, forse questo potrebbe aiutarci a svelenire un po' la situazione politica attuale.
Se si accogliesse la proposta dell'onorevole Berlusconi, come credo lei farà, di attribuire le presidenze delle Commissioni e della Giunta delle elezioni ad un rappresentante della Casa delle libertà sarebbe un primo passo, che credo lei vorrà compiere. Tuttavia, signor Presidente, vorrei aggiungere una considerazione. Credo che lei dovrebbe vincolare la sua maggioranza anche a tempi certi per i lavori dell'organismo deputato al controllo delle elezioni, perché, altrimenti, si potrebbe correre il rischio di allungare i tempi, di andare alle calende greche, creando la sensazione che ciò possa diventare un modo per ritardare la chiarezza in ordine a quanto avvenuto alle ultime elezioni.
Credo che sarebbe utile anche a lei, signor Presidente, perché, se è vero com'è vero, almeno secondo quanto affermato dal suo ministro dell'economia, che il paese ha bisogno di uno sforzo comune per risolvere i problemi urgenti dal punto di vista finanziario, sarebbe fondamentale che lei prestasse la sua attenzione ad altri aspetti oltre a quelli enunciati poco fa. Ciò, infatti, sarebbe utile, come dicevo all'inizio, nel tentativo di ritrovare una concertazione, un passaggio da compiere insieme.
Signor Presidente, sentiamo dire dalla sua maggioranza e dal suo Governo che
quanto è stato compiuto dal precedente Governo e dalla precedente maggioranza sarà rivisto, rifatto e modificato. Le confesso che ciò non ci sembra né giusto né corretto, ed, anzi, per taluni versi, ci preoccupa.
Se lei veramente volesse aprire un dibattito, un dialogo con la Casa delle libertà, credo ci dovrebbe essere una sorta di disponibilità su alcuni temi fondamentali in ordine a ciò che è stato compiuto nel passato, e mi riferisco alla legge Bossi-Fini, alla legge Gasparri, alla riforma Moratti. In tale contesto, non credo si possa andare dietro a dichiarazioni di esponenti della sua maggioranza, i quali affermano solo e unicamente una cosa: cancellare tutto!
Se veramente volesse prendere in considerazione la possibilità di aprire un dialogo, dovrebbe immaginare una sorta di reale, vera e determinata concertazione o, comunque, un coinvolgimento bipartisan su tali riforme, laddove decidesse di modificarle in tutto o in parte. Signor Presidente del Consiglio, credo non debba sottovalutare tutto ciò, perché ha il dovere nei confronti del nostro paese di ricreare condizioni di governabilità che al momento si stanno oggettivamente strumentalizzando e fossilizzando.
Se continuerà ad avere una sorta di «disponibilità» di tipo formale, ma non sostanziale, se continuerà a rimanere distratto rispetto ad alcune aperture che vengono compiute, ma che, a mio giudizio, vengono completamente trascurate, si troverà di fronte ad un Parlamento difficilmente governabile, perché la reazione, di fronte all'assenza di interlocuzione e di disponibilità, sarà solo una ferma e convinta opposizione. Un'opposizione che, spesso, sfocerà nell'ostruzionismo più becero; ma non so se lei potrà considerare becero un ostruzionismo che è solo la risultanza di una sua presa di posizione.
La invito formalmente, signor Presidente, in qualità di democristiano e, quindi, di persona che punta più a costruire che a distruggere, se veramente vuole affrontare i problemi del paese e vuole farlo in armonia per il bene del paese, pur nei ruoli di opposizione convinta che terremo, a rispettare ciò che pensiamo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Satta. Ne ha facoltà.
ANTONIO SATTA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, vorrei, innanzitutto, ringraziare da parte del nostro gruppo il Presidente della Camera e l'Ufficio di Presidenza per aver accolto la nostra richiesta relativa alla costituzione in deroga del gruppo parlamentare Popolari-Udeur.
Signor Presidente, le devo confessare che ho provato e provo una certa amarezza, vorrei dire un po' di tristezza, nel continuare a constatare come, anche oggi, parte dell'opposizione non voglia prendere atto con responsabilità dell'esito del voto popolare che ha sancito la vittoria dell'Unione. Qualcuno sogna addirittura la cacciata in tempi brevissimi di questo Governo e di questa coalizione e non si rende conto che ad essere mandati a casa sono stati, con l'elezione dell'aprile scorso, il Governo Berlusconi e la sua maggioranza.
È comprensibile che Forza Italia - l'abbiamo visto anche ieri in televisione a «Porta a porta» - mostri tanta amarezza e tanta incredulità su quanto è avvenuto. La legge elettorale non è certo da addebitare all'Unione, che l'ha contrastata in tutti i modi: ma ora basta, è ora di dire basta e guardare avanti! La situazione è pesante: quello che ci ha detto il ministro Padoa Schioppa è quanto mai eloquente e non ha bisogno di commenti. Lo stato della nostra economia è semplicemente drammatico; occorre rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro per attuare quel programma che tutti insieme, i partiti che compongono l'Unione, abbiamo contribuito ad elaborare.
Signor Presidente Prodi, i Popolari-Udeur sosterranno con coerenza e assoluta lealtà la sua azione di governo, ancorata ad un programma di grande innovazione e
di forte cambiamento. Siamo certamente di fronte ad una svolta democratica, partecipata e fortemente voluta. Il grande senso di responsabilità del nostro Governo saprà certamente ridare fiducia ad un'Italia delusa, ad un'Italia in ginocchio attraverso una forte azione a favore dello sviluppo, aprendo la speranza alle nuove generazioni.
Signor Presidente, condivido pienamente quanto affermato dal collega Picano e non mi soffermerò più di tanto sugli argomenti svolti, anche se va fatto un accenno ai problemi sollevati dal ministro Bindi nella sua nota intervista sulle coppie di fatto.
La posizione dei Popolari-Udeur è stata chiara fin dal primo momento e non è cambiata: quello non è un argomento del programma di Governo, ma certamente rientra tra gli impegni della politica e quindi nella valutazione del Parlamento, il cui esito finale rispetteremo ovviamente, anche qualora fosse contrario alla nostra posizione.
L'impegno forte di questo Governo di mettere mano con decisione all'ammodernamento dello Stato, recuperando ritardi annosi, colposi e penalizzanti, non ultimo l'inerzia del Governo precedente (apparso forse troppo spesso distratto perché più impegnato a varare leggi e leggine ad personam), è per noi qualificante e determinante per il futuro del nostro paese.
Signor Presidente, i Popolari-Udeur hanno chiesto con forza e ottenuto che nel programma il Mezzogiorno fosse il problema cardine, centrale e prioritario dell'azione di Governo. Siamo, infatti, convinti che, finché il problema del Mezzogiorno non sarà affrontato e definitivamente risolto, non vi sarà un paese equilibrato, che crea opportunità uguali per tutti i cittadini; e non sarà certamente la devolution, approvata dalla ex maggioranza, che potrà dare risposte serie, anzi essa aggraverà ulteriormente l'isolamento, rendendo le regioni del Mezzogiorno da povere ad ancora più povere e le regioni ricche ancora più ricche.
È questo il motivo per cui forte è l'impegno di tutta l'Unione nel dire con forza «no» al referendum del prossimo 25 giugno. Il gap da superare per il sud è ancora molto alto e soltanto un'azione incisiva del Governo per realizzare tutti gli strumenti (servizi, infrastrutture, ricerca, tecnologia e quant'altro) potrà segnare una svolta effettiva. Non sarà certo la realizzazione del ponte sullo Stretto a risolvere i problemi del Mezzogiorno, opera in questo momento sicuramente elefantiaca, quasi di regime. Basti pensare che con quei soldi potrebbero venire realizzate tutte le infrastrutture ancora mancanti in una grande regione come la Sardegna e in qualche altra ancora.
Vi è bisogno assoluto di un paese fortemente unito e coeso, nel quale tutti facciano la loro parte e soprattutto il proprio dovere in una rinnovata e ritrovata stagione di diritti e di doveri per tutti.
Vi è certamente bisogno, come lei ha giustamente sottolineato, di un nord trainante e di un Mezzogiorno che diventi elemento insostituibile di un processo di crescita economica e sociale con pari dignità.
Presidente Prodi, mi permetta di richiamare la sua attenzione sul ruolo del mondo delle autonomie locali, considerato anche e soprattutto nel contesto dell'economia nazionale. Gli 8.100 comuni, le 107 province e le 20 regioni, unitamente alle 356 comunità montane, rappresentano una realtà vera, viva e indispensabile del nostro paese. Sono i pilastri della nostra stessa democrazia. I comuni, in particolare, rappresentano autentiche aziende che producono servizi insostituibili per i cittadini e che, contestualmente, sono volano per nuovi importanti investimenti nei diversi settori produttivi, creando occupazione e ricchezza. Le autonomie locali sono state per troppo tempo dimenticate o, peggio ancora, ignorate. Occorre, Presidente, una vera politica di svolta e lei, un forte segnale lo ha dato a questo Parlamento e al paese in maniera concreta, istituendo il nuovo Ministero per le autonomie locali.
La prossima finanziaria dovrà rendere giustizia, facendo scelte coraggiose in questo importante settore della vita pubblica
del nostro paese. Un esempio per tutti: ma le pare sia pensabile che un'intera regione, nel caso specifico la Sardegna, si sia vista costretta a scendere in piazza a Roma con tutte le rappresentanze istituzionali, sindacali, imprenditoriali e sociali, in una parola, l'intero popolo sardo, per chiedere quanto dovuto in relazione al trasferimento del gettito IVA ed IRPEF previsto dallo statuto? E qui gli arretrati ormai ammontano a circa 5 miliardi di euro che sono una grande risorsa la quale, se non ottenuta, metterà in ginocchio un'intera regione. Sono certo che questo Governo renderà presto giustizia alla Sardegna, ponendo fine alla politica di figli e figliastri, com'è avvenuto nella passata legislatura, dove regioni con le stesse caratteristiche di autonomia hanno ottenuto quanto era loro dovuto.
Vorrei, però, Presidente, che il suo Governo si facesse anche carico del problema del limite del mandato dei sindaci. Come lei sicuramente ben sa, la situazione è diventata preoccupante e potrà diventare incontrollabile, se non vi saranno adeguate e sollecite decisioni legislative. C'è ormai in campo una vera e propria sfida contro una legge che, fissando il limite dei due mandati consecutivi, viene considerata contro i principi della Costituzione. Nella tornata elettorale dei prossimi 28 e 29 maggio, Presidente Prodi, sono ben 30 sindaci che si presentano per il loro terzo mandato, interessando comuni di ben 20 regioni. L'ANCI, associazione nazionale dei comuni, incalzata in particolare dalla consulta nazionale dei piccoli comuni, si è più volte pronunciata per il superamento di questo limite. C'è al riguardo una proposta di legge già approvata al Senato, mentre, finora, nulla viene fuori dai lavori della Camera dei deputati.
Signor Presidente, i Popolari-Udeur sono convinti che, sotto la sua guida, possa cominciare una nuova fase della politica italiana, insieme con una maggioranza certamente eterogenea ma fortemente coesa attorno ad un programma di grande respiro per l'Italia, da tutti sottoscritto e per tutti impegnativo, che vorrà operare in un rinnovato clima di serenità, riaffermando con convinzione che la pace è il valore primario e collante fra tutte le forze politiche non solo dell'Unione, ma di tutto il Parlamento.
Vi è la necessità di un impegno forte per una giustizia giusta. La guerra con i giudici è finalmente finita, come ben ha dichiarato il neoministro della giustizia, senatore Clemente Mastella.
Fondamentale è il rispetto dei ruoli e delle funzioni tra poteri diversi dello Stato. I cittadini potranno finalmente, dopo anni di forte tensione, riprendere ad avere fiducia in una magistratura davvero credibile ed indipendente, il cui impegno è e deve essere la garanzia di assoluta imparzialità per tutti. Occorre, però, ridurre i tempi dei processi. Questa è la prima risposta fondamentale, ipotizzando un anno, un anno e mezzo per la sentenza di primo grado, due anni, due anni e mezzo per la sentenza di appello e tre anni, tre anni e mezzo per quella definitiva. La politica dovrà fare certamente la sua parte, ponendo in condizione i magistrati di poter svolgere il loro dovere nel migliore dei modi. Più risorse, quindi, e più strumenti.
Esprimiamo, infine, il nostro pieno assenso perché siano avviate le procedure legislative per varare l'amnistia e l'indulto, dando così una risposta significativa alla situazione esplosiva delle carceri italiane ed accogliendo, sia pur con notevole ritardo, le sollecitazioni svolte in quest'aula dal pontefice Karol Wojtyla.
In questi giorni, le cronache ci riportano elenchi interminabili di intercettazioni telefoniche riguardanti il mondo del calcio. Certamente questa è una nuova spettacolarizzazione della giustizia. L'intercettazione telefonica è sicuramente uno strumento importante, che è servito per fare luce su molti fatti criminosi. Ma, stiamo attenti all'esagerazione e soprattutto ai gossip che si stanno creando in questi giorni. Va garantito sempre il rispetto della dignità di ogni singolo cittadino, che non può sentirsi inquisito solo perché sono state intercettate sue telefonate, che nulla hanno a che vedere con
l'oggetto dell'inchiesta. L'equilibrio, Presidente, soprattutto in questi casi, è un'esigenza necessaria ed ineludibile.
Presidente Prodi, la legislatura che si è appena aperta non sarà un'avventura. Per il nostro paese, per i tanti italiani che guardano a noi con fiducia e speranza, confidando nelle nostre capacità, nelle nostre motivazioni, nelle nostre onestà e trasparenza, non ci saranno sorprese né incertezze.
Ce la metteremo tutta, con l'impegno e la passione civile che sappiamo esprimere, abituati a far valere la forza delle idee, prima e di più di quella dei numeri. Ci impegneremo perché questa volta il paese non può permettersi di sbagliare strada. Le idee, le proposte e i valori che abbiamo trasferito all'interno del programma di Governo vogliono essere il nostro contributo nel segno del centro, ossia di quella cultura e di quella sensibilità di chi sa che gli interessi si moderano, gli avversari si ascoltano e le responsabilità si assumono sempre con lo stile e il metodo di chi non ha la verità in tasca, ma la cerca e la costruisce insieme a tutti coloro che hanno a cuore il bene comune.
Non sarà un'avventura, ne sia certo, signor Presidente. Buon lavoro a lei, al suo Governo e a tutti noi per il bene esclusivo di questo nostro grande paese: l'Italia, che, sotto la sua guida e sorretto da una maggioranza convinta, potrà riprendere a svolgere un ruolo di primissimo piano per il rilancio dell'unità politica in Europa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari-Udeur e de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, vorrei ripetere in quest'aula, qui alla Camera, alcune affermazioni che lei, Presidente Prodi, ha pronunciato al Senato: «Non ci sono nemici, né in quest'aula né fuori. Ci sono solo, qui e fuori, italiani che amano l'Italia come l'amiamo noi, ma che legittimamente coltivano priorità e auspicano scelte diverse dalle nostre». Sono parole, Presidente Prodi, che noi Verdi condividiamo pienamente, e, insieme a queste, altre da lei pronunciate sono per noi parimenti condivisibili: «Non può e non deve esservi spazio per comportamenti ispirati ad una volontà di rivincita, ad un esasperato desiderio di rimarcare ad ogni costo le differenze, alla voglia di segnare vistosamente un nuovo inizio, quasi che un cambio di maggioranza e di Governo, all'interno di una fisiologica e salutare alternanza, tipica di una solida democrazia, dovesse significare una frattura nella storia del paese».
In termini generali le nostre priorità sono giustamente finalizzate ad uno sviluppo economico che sia ecologicamente e socialmente sostenibile, ma anche alla massima valorizzazione delle risorse umane, attraverso il sistema dell'istruzione e dell'università, della ricerca e della cultura, dell'intelligente conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e anche dell'innovazione scientifica e tecnologica.
Per essere una democrazia piena e compiuta, le nostre priorità devono essere finalizzate anche alla promozione dei diritti civili e umani, alla difesa delle garanzie dello Stato di diritto, al superamento della drammatica emergenza carceraria, alla lotta contro la criminalità organizzata e alla difesa della legalità - che richiamiamo proprio oggi, nell'anniversario della strage di Capaci -, alla creazione delle condizioni necessarie per la convivenza plurietnica e per l'integrazione nel nostro tessuto civile e culturale del crescente fenomeno dell'immigrazione, nella solidarietà ma anche nella sicurezza.
In questa dimensione di sviluppo e solidarietà, è una nostra priorità la ripresa della cooperazione internazionale e la promozione e la costruzione della pace senza ricorrere allo strumento della guerra, che la Costituzione ripudia.
In una democrazia dell'alternanza è del tutto fisiologica l'alternatività tra i programmi di Governo, che però devono confrontarsi democraticamente in Parlamento, senza arroganza e senza preclusioni
aprioristiche. Al tempo stesso, però, dobbiamo riuscire anche a realizzare positive convergenze in materia di riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali. Queste sono le regole del gioco, che riguardano tutti i partiti e tutti i cittadini e che, pertanto, non possono e non debbono essere imposte unilateralmente.
Il 25 e il 26 giugno saremo chiamati a votare nel referendum costituzionale promosso dai deputati e dai senatori del centrosinistra, da ben 15 regioni e da oltre ottocentomila cittadini. Noi auspichiamo che in quel referendum, senza quorum di validità, prevalgano i «no» alla riforma costituzionale «cucinata» nella baita di Lorenzago ed imposta, solo con la forza dei numeri, al Parlamento.
Se - come speriamo -, con la vittoria dei «no», vinceremo il referendum, non ricambieremo il centrodestra con la sua stessa moneta, non ci ispireremo ad una volontà di rivincita; al contrario, senza chiuderci da soli in qualche baita a «cucinare» riforme unilaterali, torneremo subito qui, nella sede istituzionalmente propria, nella centralità della sede parlamentare, a promuovere il confronto tra centrosinistra e centrodestra su proposte di riforma che sappiano e possano essere condivise e condivisibili, per modificare con equilibrio il sistema costituzionale e istituzionale senza tuttavia stravolgerlo. E tale metodo varrà anche per la riforma dello statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige Sudtirol, con riferimento al quale ci siamo impegnati pubblicamente - insieme a lei, Presidente Prodi - durante la campagna elettorale.
Fiducia e piena collaborazione rispetto al Governo Prodi, ma anche iniziativa riformatrice in Parlamento per rendere più moderno ed efficiente il nostro sistema costituzionale ed istituzionale. Su tale terreno ci impegneremo noi Verdi e tutta L'Unione, ispirandoci al confronto democratico e alla leale collaborazione tra le forze politiche disponibili. Buon lavoro, Presidente Prodi, buon lavoro Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Licandro. Ne ha facoltà.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, dalle sue dichiarazioni programmatiche sono emerse parole chiare: pace, lavoro, diritti, equità e giustizia sociale, sviluppo, legalità, lotta senza quartiere alla criminalità organizzata. Dunque, non slogan, ma limpidi intenti che dovranno segnare le linee della politica internazionale e interna del Governo dell'Unione.
Grandi attese, signor Presidente, avvolgono il suo Governo e una larga aspettativa si fa sempre più ampia e attraversa il paese, soprattutto i territori più deboli, quelli del Mezzogiorno, dove durissime sono le condizioni materiali di vita di milioni di italiani.
Abbiamo apprezzato l'attenzione che lei, Presidente Prodi, nelle dichiarazioni programmatiche ha dedicato al Mezzogiorno; quel Mezzogiorno umiliato, dimenticato, cancellato da tutte le finanziarie del Governo della destra, che pure tanto consenso ingiustificatamente aveva ottenuto. Abbiamo visto dunque come tale fiducia sia stata mal riposta e mal ripagata, nonostante una larga presenza nella compagine di Governo di meridionali e di siciliani in particolare.
Ecco perché i Comunisti italiani non sono stati appassionati dalla polemica sulla provenienza geografica e sui certificati anagrafici dei ministri e dei sottosegretari. Perché ci sta a cuore altro; ci stanno a cuore i problemi degli italiani, anzi la soluzione di tali problemi. Ci interessa il problema del lavoro, del lavoro che non c'è, del lavoro che si perde, del lavoro sporco, del lavoro nero, del lavoro insicuro, dell'assenza di condizioni minime di sicurezza che, ogni giorno, produce in media quattro morti nei cantieri: un bollettino di guerra, un bollettino di dolore, di sofferenza, di cui nessuno parla! Ci interessa il problema del lavoro senza diritti e garanzie.
Precarietà, precarietà, precarietà! Questo è ciò che la destra ha distribuito largamente e a piene mani nel paese e
soprattutto nel Mezzogiorno. Quella precarietà di lavoro che presto si trasforma in precarietà di vita e che ha risvegliato un demone che pensavamo sconfitto, mentre era soltanto sopito, quello dell'emigrazione giovanile.
I giovani hanno ripreso a fare le valigie, signor Presidente! Nell'ultimo triennio sono andati via dalle regioni meridionali circa 100 mila giovani, e quando ciò accade nell'indifferenza generale, se non nel cinismo, ci troviamo dinanzi ad un paese votato al disastro, un paese senza futuro.
E chi resta addirittura rischia di più, rischia di finire nelle fauci di un altro demone, quello della mafia, della criminalità organizzata, affare non solo delle Forze dell'ordine, della magistratura e delle procure, ma enorme questione sociale che grava su tutto il paese, da sconfiggere politicamente attraverso uno sviluppo sano, praticabile soltanto da una politica sana e da una classe politica non inquinata e culturalmente forte e coraggiosa, che prova profonda repulsione verso ogni forma di assuefazione, verso ogni idea di convivenza con la mafia e con la criminalità organizzata.
Ci stanno a cuore comparti essenziali, come la sanità pubblica, oggi sempre più fragile, dove si misura la cifra del disagio e del dolore degli italiani, o comparti strategici, come infrastrutture e trasporti.
Condividiamo pienamente gli intenti e le dichiarazioni del ministro Bianchi sul ponte sullo stretto, perché è giunto il momento di usare il linguaggio della verità, signor Presidente, che può essere fastidioso, può far arricciare il naso, suonare forse plebeo, ma oggi è necessario e salutare. Bisogna aprire una nuova fase in cui la politica non sia più l'arte dell'inganno, come è stata magistralmente interpretata nei Governi Berlusconi. Porti, aeroporti, ferrovie, strade, autostrade, questo è ciò che serve al Mezzogiorno e al suo sviluppo, non opere inutili, sbagliate, enormemente dispendiose. E nel contesto dell'ammodernamento infrastrutturale del paese i comunisti italiani pongono l'esigenza forte di un chiarimento su una vicenda dai contorni assai poco chiari, che ha allarmato tutte le forze politiche, anche quelle del centrodestra, e che riguarda la sorte delle autostrade italiane, e precisamente la fusione con il gruppo spagnolo Abertis.
La vicenda presenta notevoli incongruenze ed è discutibile sul piano del metodo e dell'opportunità, perché è stata decisa in assenza di un'autorità di regolazione, perché singolarmente avvenuta in un momento di sospensione della vita politica, con un Governo con poteri di ordinaria amministrazione, perché il consiglio di amministrazione, ancora una volta singolarmente, si terrà il 23 maggio, cioè oggi, mentre questa Camera discute e vota la fiducia al nuovo Governo. È discutibile anche nel merito, perché si ignorano le ricadute sul piano della concorrenza, perché si ignora se aumenteranno i vantaggi, i benefici per gli italiani, perché non si capisce per quale motivo dinanzi ad una gestione paritetica debbano essere gli spagnoli ad avere la maggioranza. Infatti, spagnola sarà la sede della holding e spagnolo sarà l'amministratore delegato. L'operazione solleva perplessità anche sul piano giuridico: può una società concessionaria trasferire di fatto la concessione ad un soggetto diverso?
Troppe ombre, e soprattutto troppa fretta. Riteniamo dunque necessario un urgente, sereno, ampio dibattito parlamentare sulla vicenda e chiediamo al Governo di avviare subito una profonda azione conoscitiva al fine di ottenere un rinvio del consiglio d'amministrazione.
L'amministratore delegato, Vito Gamberale, di fresco licenziamento, auspica il fallimento della fusione - uso le sue parole - per il bene del paese. È tempo che il bene del paese torni, dopo 5 anni, ad essere il cardine attorno a cui ruotino l'azione di un Governo e l'impegno politico e civile, primato della politica e centralità del Parlamento, per una rinnovata cultura politica e istituzionale, da troppo tempo ormai rinsecchita, se non abbattuta e umiliata. La centralità del Parlamento, Presidente, certo non si garantisce attraverso interventi degni del peggior avanspettacolo che abbiamo ascoltato.
Questo è anche il nostro auspicio, a cui aggiungiamo l'impegno di chiudere una fase - drammatica per gli interessi degli italiani - di liberalizzazioni e privatizzazioni assai troppo disinvolte.
Quella in questione sembra proprio l'ennesima prova, semmai ve ne fosse bisogno, di un capitalismo, quello italiano, del tutto immaturo e profondamente attraversato da una cultura provinciale e furbesca, mentre il paese, l'Italia, merita ben altro: merita di essere ammodernato, non smantellato né svenduto, né privato del suo patrimonio.
Auguri sinceri di buon lavoro, Presidente, a lei ed a tutto il Governo, non per spirito di parte, ma perché si possano davvero migliorare le condizioni di vita di milioni di famiglie italiane e perché questo paese possa finalmente rimettersi saldamente in piedi, per ridare fiducia e prospettive alle future generazioni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Comunisti Italiani e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Turci. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente della Camera, colleghi, la Rosa nel Pugno le esprime la propria fiducia, signor Presidente del Consiglio: una fiducia che sarà leale e convinta e, nel contempo - me lo lasci aggiungere -, vigile e critica.
Siamo consapevoli del contesto difficilissimo in cui dobbiamo muoverci, aggravato dai margini ristretti della vittoria elettorale e dell'avvio estremamente aggressivo dell'opposizione. E siamo consapevoli della dimensione veramente eccezionale dei problemi che dovremo affrontare: una finanza pubblica di nuovo in condizioni drammatiche; una situazione dell'economia depressa, appena rinfrescata dalla brezza di una ripresa tutta da verificare; ma, soprattutto, una serie di dati strutturali che richiedono cambiamenti di lungo periodo (mi riferisco alla perdita di competitività che subiamo da parecchi anni, alla grave riduzione delle nostre quote nel commercio internazionale e, infine, alla difficoltà di molti nostri comparti produttivi di fronte al cambiamento della divisione internazionale del lavoro ed alla rivoluzionaria presenza, nell'economia mondiale, di giganti quali la Cina e l'India). Si tratta di sfide paragonabili a quelle di pochi altri momenti della storia nazionale, quali, ad esempio, quelle che dovemmo affrontare all'inizio degli anni Cinquanta. Da come le risolveremo dipenderanno l'avvenire del nostro paese, la sua collocazione internazionale ed il livello di benessere dei nostri concittadini per un periodo di tempo abbastanza lungo.
Dunque, siamo ad uno snodo storico dello sviluppo del nostro paese. Lei non vuole usare la parola «declino», e fa bene, Presidente Prodi, anche perché si può ancora evitare; ma sbaglieremmo a negare che il rischio c'è ed è davvero minaccioso.
In questo scenario, voglio affrontare due questioni: le politiche economiche e, più rapidamente, le politiche della laicità e dei diritti.
Una questione molto interessante, e da approfondire, concerne il nesso tra le politiche di liberalizzazione e le politiche industriali. Sulle liberalizzazioni si deve andare avanti senza incertezze. Un conto è decidere di cedere altre quote di proprietà pubblica; un altro è liberalizzare i mercati e creare condizioni di maggiore concorrenza. C'è, in Italia, una periodica oscillazione tra la politica dei campioni nazionali, la difesa dell'italianità ed il neocolbertismo (rilanciato dall'ex ministro del bilancio) e tra l'esaltazione acritica del mercato e delle sue virtù.
Io non sono un fanatico di quello che alcuni chiamano il fondamentalismo di mercato: credo nel ruolo di politiche pubbliche forti, nel ruolo delle infrastrutture materiali ed immateriali e dello sviluppo; credo che in alcuni grandi comparti, come l'energia o le tecnologie duali, accanto all'iniziativa delle imprese e del mercato sia necessaria l'iniziativa dell'Unione europea e degli Stati nazionali. Ma rifiuto, contemporaneamente, ogni tentazione nazionalista, ogni ipotesi di costruire a spese dell'erario presunti campioni nazionali, ogni suggestione protezionistica verso i
settori posti sotto tensione dalle mutate condizioni della globalizzazione. Altra cosa è pretendere corrette condizioni di concorrenza, soppressione di politiche di dumping e lotta alle contraffazioni.
Da questo punto di vista, siamo fiduciosi nel buon lavoro che svolgerà il ministro Emma Bonino nell'accompagnare l'internazionalizzazione delle nostre piccole e medie imprese e nell'affiancare le competenze del commercio internazionale con la partecipazione alla definizione delle politiche comunitarie al tavolo dell'Organizzazione mondiale del commercio. È questo un aspetto di quelle politiche industriali di cui lei, Presidente Prodi, ha parlato nella sua relazione.
Trovo condivisibili, in merito, anche le indicazioni riguardanti il trasferimento tecnologico. Desidero soltanto sottolineare che, se non metteremo ordine nella giungla degli enti pubblici e parapubblici che se ne occupano, al centro ed in periferia, spenderemo per tali enti molto più del valore aggiunto che essi dovrebbero determinare con loro politiche.
Siamo favorevoli alla politica per l'accrescimento dimensionale delle imprese ed al consolidamento delle filiere. Tuttavia, il capitolo più nuovo, dopo tanti anni di rimozione non giustificata, è quello delle politiche industriali di settore, tese - come ella afferma nella sua relazione - a far nascere nuove imprese in settori importanti da cui siamo tagliati fuori. Scienze della vita (stendiamo un velo sulle biotecnologie e sulla ricerca sugli embrioni e sulle cellule staminali embrionali), nanotecnologie, nuove tecnologie di comunicazione e innovazioni in campo energetico: sono questi i settori che lei ha indicato.
Questo indirizzo programmatico è particolarmente intrigante e mi indurrebbe ad abbandonare idiosincrasie da tempo maturate per la incapacità dell'amministrazione pubblica di gestire efficienti politiche industriali e per la tendenza delle nostre imprese ad utilizzare opportunisticamente, senza ritorni di interesse generale, le politiche di aiuti territoriali e settoriali. Si può fare. Tuttavia, occorrerà una mano molto ferma nel costruire e gestire questo nuovo capitolo di politiche industriali: scelta di pochissimi settori, norme chiare, finanziamenti trasparenti e controllabili e accesso concorsuale agli stessi.
Credo che, al di là delle misure a breve sul cuneo fiscale e sulla rimodulazione dei contributi previdenziali dei lavoratori atipici, sarà comunque su queste politiche che si giocherà la partita contro il rischio di declino: liberalizzazioni e lotta alle rendite, formazione e ricerca, trasferimento tecnologico, dimensionamento delle imprese, internazionalizzazione e politiche settoriali. Auspichiamo che a queste politiche economiche lei riesca ad applicare ricette che si ispirino al criterio che ha enunciato nella sua relazione e che è molto importante: lei ha richiamato, infatti, una minore precarietà ai livelli medio-bassi di impiego e una maggiore competizione ai livelli alti e medio-alti.
Proviamo, perciò, a immaginare che cosa significhino queste ricette nelle università, negli alti rami dell'amministrazione, nelle professioni e nel management delle imprese e delle banche. Su questa strada noi siamo pienamente d'accordo e troverà il nostro stimolo ed il nostro appoggio.
Tuttavia, c'è un altro aspetto di forte innovazione sul quale desidero richiamare la sua attenzione e quella del Governo: l'Italia ha bisogno di una ventata di aria fresca, laica e liberale nella sua vita civile. Non c'è innovazione economica e sociale che tenga se non è accompagnata e sostenuta da un allargamento dei diritti personali, da un riconoscimento pieno delle pluralità delle culture e delle etiche che convivono nel nostro paese.
Questa è la condizione per quella Italia moderna, tollerante e civile che vogliamo vedere fiorire insieme al rinnovamento delle sue basi materiali e del suo stato sociale. Che si parli di Pacs, di fecondazione assistita, di eutanasia o di testamento biologico, si deve prendere atto che queste sono le nuove frontiere di una crescita civile e di libertà del nostro paese. Non ignoriamo, certo, il peso della Chiesa cattolica nella società italiana, soprattutto
della Chiesa istituzionale, che gode di riconoscimenti e privilegi sconosciuti negli altri paesi europei. È chiaro che apprezziamo molto di più l'approccio ispirato a carità e compassione umana del cardinale Martini di quello ideologico e dottrinario del cardinale Ruini. Tuttavia, non vogliamo essere noi ad interferire.
Invece, vogliamo sottolineare che è dovere della politica e dello Stato, qualunque sia la posizione della Chiesa, assumere decisioni in nome non di questa o quella religione, ma della laicità dello Stato, di quella democrazia laica di cui ha scritto, ieri, Gian Enrico Rusconi, al riguardo del quale mi permetto di far osservare all'onorevole De Mita che c'è stata una sua cattiva interpretazione, nel corso del dibattito di questa mattina. Ha scritto Rusconi, ieri, che la democrazia laica è quella che crea lo spazio pubblico entro cui tutti i cittadini confrontano liberamente i loro argomenti, affermano le loro identità e vivono i loro stili modali di vita che sono riconosciuti come diritti, tramite procedure consensuali di decisione, senza che prevalgano, in modo autoritativo, alcune credenze o alcuni convincimenti su altri.
Signor Presidente, su questi temi ci troverà d'accordo con continuità, naturalmente. Sono i temi che, con maggiore determinazione, abbiamo proposto anche nel corso della campagna elettorale. Tuttavia, tengo a sottolineare che i rappresentanti della Rosa nel Pugno in Parlamento non saranno avanguardisti petulanti ed estremisti, come parrebbe comodo a chi ci vorrebbe usare come spaventapasseri per un'opinione pubblica già frastornata dalla rivoluzione biologica. Saremo chiari e fermi nei propositi e flessibili nelle soluzioni legislative, ma non accetteremo veti ed immobilismo. Ne va dell'immagine del Governo e del paese in Europa e nel mondo e ne va del concreto grado di libertà dei nostri concittadini, l'obiettivo, appunto, per cui abbiamo fatto nascere La Rosa nel Pugno, un fiore - vorrei dirlo a tutti i colleghi di questo Parlamento, soprattutto a quelli della maggioranza - che non intendiamo lasciare rinsecchire in qualche angolo abbandonato del giardino politico (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Federica Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio dei ministri, colleghi, voteremo la fiducia ad un Governo così ampio.
Come rappresentante di Italia dei Valori, ma contemporaneamente di strutture associative che operano a favore delle famiglie e delle donne, desidero ricordare che in Italia non sono state ancora introdotte norme atte a permettere la conciliazione dei tempi fra vita familiare e vita lavorativa. Sono convinta che i tre ministeri di competenza sapranno individuare azioni idonee e moderne, al fine di equiparare sul tema della conciliazione dei tempi la legislazione italiana a quella dei paesi europei più avanzati. Lo «spacchettamento» del Ministero del lavoro in tre ministeri ci ha sorpreso, ma siamo convinti che questa scelta sia stata indotta dalla necessità di dare risposte molteplici alle attese del paese; così come siamo convinte che la costituzione del nuovo Ministero della famiglia sia il segnale di una riflessione culturale senza equivoci verso un'istituzione fondante della nostra civiltà.
Uno dei punti cardine del programma dell'Unione è rappresentato dall'abbattimento di 5 punti percentuali del cuneo fiscale nel corso del primo anno di legislatura. Reputiamo opportuno che nell'abbattimento dei cinque punti siano inseriti gli oneri impropri che gravano su aziende e lavoratori per il costo maternità. È ormai giunto il momento che la maternità sia assunta come valore assoluto e generale dalla collettività e non sia più un evento lavoristico, vissuto spesso come danno aziendale. Desideriamo liberare la maternità da ogni limitazione, riconoscendo il valore universale che nella realtà ha e assumendoci come popolo il diritto-dovere
di sostenerla, consapevoli che il concreto sostegno a madri e a padri si traduce in diritti dei piccoli e nella loro felicità.
Le stime fatte dal CER valutano gli oneri sulla maternità, stimati in termini finanziari di competenza per il 2006, pari a circa 850 milioni di euro, che equivalgono allo 0,7 del totale dei contributi accertati: quindi, è un percorso possibile. Ricordiamo che in Italia una donna su cinque smette di lavorare dopo la maternità: di queste, il 7 per cento perde il lavoro, il 24 per cento non rinnova il contratto e il rimanente sceglie di lasciare il lavoro per l'impossibilità di conciliare la vita familiare con la vita lavorativa. Anche per questo in Italia, infatti, le donne partecipano al mercato del lavoro in misura molto minore rispetto agli altri paesi industrializzati: sono penalizzate nei salari e nelle carriere, poco rappresentate nelle istituzioni e nelle sedi decisionali.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Diamo fiducia al Governo Prodi nella convinzione che in questa legislatura si completerà l'azione positiva, già avviata nel «Prodi 1», di un riconoscimento del lavoro familiare che le donne casalinghe a tempo pieno e a tempo parziale svolgono a favore di una migliore qualità della vita dei cittadini italiani.
In riferimento al grande tema dello sviluppo economico, la nostra fiducia poggia anche sul convincimento che...
PRESIDENTE. Scusate, ma vi prego di rispettare il tempo a disposizione, per favore. Grazie.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Concludo, signor Presidente, chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Rossi Gasparrini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Gibelli, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, nel paese, per anni, avete parlato di conflitto d'interessi; voi avete invece dimostrato, con la vittoria abusiva alle elezioni di aprile, che esiste un conflitto d'interessi con il paese! Non avete avuto la dignità istituzionale di aspettare l'esito della verifica dei voti: la Giunta delle elezioni, invece, dimostrerà l'esistenza di un risultato che, dal punto di vista numerico, è esattamente il contrario rispetto a ciò che oggi, tristemente, siamo chiamati a votare.
Più che di un Governo, si tratta di una società per azioni della Prima Repubblica. Bisognerebbe che il Parlamento si occupasse di quando Romano Prodi era presidente dell'IRI, almeno per evitare gli errori del passato che hanno svenduto questo paese. Negli ultimi cinque anni, infatti, abbiamo tentato, attraverso grandissimi sforzi, di restituire dignità ad un paese di cui erano stati svenduti i suoi migliori esperimenti e le sue migliori condizioni. Una di queste sono le autostrade, regalate alla famiglia Benetton senza la possibilità che esse diventassero veramente il volano dell'economia. Vedremo, caro presidente dell'ex IRI, cosa farà in merito a tale questione!
Siete riusciti, in tutti i casi, a sconfessare voi stessi. Avete sostenuto che le cosiddette leggi Bassanini, quando furono approvate, rappresentavano un modo per stare al passo con i tempi, ma, alla prima occasione, oggi, avete distribuito sedie, poltrone, sgabelli, panchine e lettini da mare per tutti!
Porto solo pochi esempi per dimostrare ciò. Avete elaborato un programma buono per tutte le stagioni: non esistono, infatti, dati e riferimenti numerici o statistici rispetto ad una serie di questioni di carattere economico-finanziario che dovrebbero dare la direzione a questo Governo. Vi sono, quindi, pochi dati, ed alcuni esempi addirittura contraddittori. Ne cito
solo due: le infrastrutture e l'idea di famiglia e di società.
In merito alle infrastrutture, ho notato, nel corso della conferenza stampa tenuta ieri dai ministri Bianchi e Di Pietro, di essere di fronte ad un perfetto caso di dissociazione politico-mentale. Infatti, riescono ad affermare contemporaneamente due cose assolutamente distinte ed opposte: uno non vuole il ponte sullo stretto, mentre l'altro è possibilista.
Auguro, pertanto, buon lavoro a questo Governo, con questi ministri; tuttavia, sempre in rapporto alle grandi opere pubbliche, tengo a sottolineare una questione. Ho notato che lei, Presidente del Consiglio, al Senato ha fatto riferimento alla necessità di sostenere progetti mirati rispetto alle grandi opere, purché nell'ambito di una logica sistemica. Ma è già così la legge Lunardi: non c'è bisogno di cambiare parole per poi avere la scusa per tagliare nastri di opere pubbliche che ha realizzato il centrodestra, e che voi non avete assolutamente titolo per inaugurare (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
Per quanto riguarda, invece, l'idea di famiglia e di società, vorrei dire che ieri, ascoltando l'intervento del deputato Allam, musulmano (si tratta del primo islamico presente nel nostro Parlamento), ho sinceramente provato una certa dose di fastidio e di imbarazzo di fronte ad una certa agenda di Governo (un'idea di società multiculturale e multietnica, nonché un riferimento al Mediterraneo). Mi sono così tornate alla memoria le sue parole della settimana scorsa, quando chiedeva ai giovani padani di Como di ritirare alcune vignette, a suo dire offensive nei confronti dell'Islam.
Mi auguro che questi cinque anni dimostrino a lui quante volte ci offendiamo per i suoi silenzi, quando ci troviamo di fronte ad articoli che parlano di paesi, come l'Iran, dove cristiani ed ebrei dovranno andare in giro con fasce per essere riconosciuti e non si leva una parola a difesa di queste minoranze. Oppure oggi, quando viene commemorato l'insediamento di un nuovo imam nella moschea di Roma e si definisce un paese come l'Arabia saudita «amico», dato che è il maggior finanziatore di questo luogo religioso.
Cos'è la libertà religiosa in quel paese dove, nei testi di scuola citati ieri da alcuni quotidiani, gli ebrei vengono definiti delle scimmie ed i cristiani dei maiali? Eppure, non vi è una parola di sdegno rispetto a questi fatti (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
Oppure pensiamo all'Egitto, che dovrebbe avere il controllo politico della moschea di Roma: all'articolo 2 della costituzione egiziana si dice che l'Islam è l'unica fonte del diritto, in sfregio a tutto lo pseudomoderatismo islamico del nostro paese che chiude gli occhi di fronte a ciò che succede fuori di qua e, invece, li apre per continuare a chiedere nuovi diritti, senza doveri, alla nostra democrazia. Noi, invece, faremo una proposta concreta al nuovo ministro degli affari esteri; mi riferisco alla possibilità di istituire e di avere relazioni diplomatiche solo con paesi che rispettino i diritti umani, cosa che non fanno l'Arabia Saudita, l'Iran, l'Egitto. Infatti, noi possiamo definire amici solo i paesi che meritano; non possiamo aprire le nostre frontiere - abolendo la legge Bossi-Fini, come voi avete intenzione di fare - per far diventare questo paese una piccola e misera repubblica islamica.
Per noi, sono primi i nostri cittadini, gente che si è consumata le mani per fare ricco questo paese, e noi impediremo, come Lega nord, nella Casa delle libertà, che qualcuno lo regali in nome di una società multietnica e multiculturale che non esiste e che non può esistere (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono dispiaciuto che non sia presente tra noi il deputato Presidente Prodi, ma vi è il deputato ministro per i rapporti con il Parlamento, che certamente avrà modo di ascoltarci.
Cosa dire di un Governo che ha ottenuto 24 mila voti di maggioranza alla
Camera dei deputati e ne ha persi 400 mila al Senato? Gli spunti di riflessione e le risposte che ci attendiamo nella sua replica vengono dalle contraddizioni che erano già esplose durante la campagna elettorale e che sono via via riemerse a pochi giorni dal giuramento al Quirinale.
Caro Presidente Prodi, comprendiamo bene quale sia il suo entusiasmo nel sedere su quella poltrona, sfugge però il suo silenzio degli ultimi giorni dinanzi alle contrastanti prese di posizione dei suoi ministri. È nota la sua passione per Zapatero, emersa fin dal luglio scorso nell'incontro con la stampa estera; tra l'altro, tre dei suoi ministri devono aver letto e conservato le sue dichiarazioni, avendole fatte proprie nei giorni scorsi. Rosy Bindi, Livia Turco, Emma Bonino hanno impresso il segno del cambiamento che lei ed il suo esecutivo vogliono dare al paese.
Che tale nuovo marchio sia in ottemperanza del giuramento che lei e i suoi avete compiuto alla presenza del Capo dello Stato, di operare cioè nell'esclusivo interesse della nazione, è tutto da provare. Eppure, durante la campagna elettorale, lei si è affannato a spiegare che nel suo programma non si parlava di Pacs, e tanto meno di gay-Pacs o di violazione dell'esito referendario del giugno scorso. Nel suo programma non c'era menzione della liberalizzazione della pillola abortiva - eppure la Turco ha parlato solo di quella -, non c'era l'ostracismo verso il cristianesimo europeo - eppure il ministro Bonino non ha mancato di farlo presente -, e non finisce qui, purtroppo, per il paese. Amato non ha fatto cenno alla linea del Governo sull'immigrazione e sulla sicurezza interna, né ha preso le distanze dalle irresponsabili parole di Ferrero, che vuole chiudere i CPT ed introdurre la sanatoria, i cui effetti sono rappresentati dagli sbarchi di questi giorni. Invece, anche lui si è sforzato di auspicare l'impegno per un'Europa dei club e delle società filosofiche, invece del riconoscimento storico-giuridico delle radici cristiane.
Ancora, abbiamo chiesto all'onorevole D'Alema - e continueremo a chiederglielo: appena gli sarà possibile egli certamente verrà - una parola chiara in Parlamento sulle missioni internazionali di pace e sulle iniziative sanzionatorie verso l'Iran e la sua brutale legge, che impone marchi a secondo dei diversi credenti.
Caro professore, lei aveva annunciato durante la campagna elettorale che alcune riforme della CDL sarebbero state migliorate e non tutte abrogate. Invece, prendiamo atto che i suoi ministri vogliono abrogarle tutte: cancellare la Bossi-Fini, rifare la Biagi e la previdenza, abrogare la Gasparri, svuotare la Moratti, bloccare le grandi opere, dal ponte alla TAV. Tutto un grande «no» o una grande volontà tirannica di nascondere la propria impotenza sotto la furia iconoclasta verso la CDL.
Voglio sottoporle ancora un tema che ritengo utile, con lo scopo di evitarle altre brutte figure. Oggi, un importante quotidiano vicino all'Unione ha pubblicato un'interessante pagina sui conflitti di interessi nei quali incorrono i suoi ministri: come intende agire? Come può pensare di essere credibile e mantenere nel suo Governo ministri con un forte conflitto di interessi? Ce lo spieghi, la prego. Lei vuole rifare la legge sul conflitto di interessi, Passigli addirittura la considera troppo rigida in alcuni punti e, tuttavia, oggi sarebbe gradito sapere cosa intende fare lei con i suoi ministri e i suoi sottosegretari. La sua flemma e coerenza non le mancheranno nel chiedere le dimissioni urgenti e necessarie.
Intanto, però, come ben si poteva prevedere, lei ha trovato la soluzione per nascondere i problemi del suo Governo e della sua coalizione. Almeno per ora, la furbizia non le manca. Prima, chiede il dialogo; ma si dialoga con colui o con coloro che hanno un'identità chiara ed il suo Governo (i pochi elementi che le ho fornito glielo indicano) non ha né una guida, né un'identità. Troppo semplice dire che esiste il programma elettorale, quello votato dal 50,001 per cento alla Camera e bocciato al Senato. Il programma elettorale è appunto elettorale. Diversamente, lei avrebbe giurato innanzi al Presidente della Repubblica sul suo programma, e non per l'esclusivo interesse del popolo italiano.
Il suo sforzo è e sarà quello di dimostrare che da quel programma saprà partire per governare il paese, prendendo ciò che è buono dalle proposte della Casa da libertà e ciò che è bene per l'interesse dei cittadini. Il suo trasformare in un totem il programma elettorale le darà un breve respiro e la legherà, però, a governare contro l'interesse di almeno il 50 per cento degli italiani. Questo, signor Presidente, non le è consentito, nemmeno dall'impegno preso al Quirinale.
In secondo luogo, la sua idea di un seminario a porte chiuse con i suoi ministri non è malvagia. Evidenzia non un'eccentricità di dichiarazioni, piuttosto una comprensione opposta e radicalmente diversa che alcuni dell'esecutivo hanno rispetto ad altri su temi specifici. Deve prendere atto pubblicamente, oltre che con la sua iniziativa tampone, che l'ampiezza e la genericità del programma elettorale è fonte di legittime e contrastanti interpretazioni. Oggi, con la sua iniziativa del seminario, ne prende atto a malincuore; ma, intanto, è il paese che ne soffre.
La terza iniziativa che intende prendere per l'operazione «nascondimento delle diversità» è il cosiddetto «piano salasso» (lo chiamo così). Tale piano prevede una maximanovra, un vero e proprio salasso, che ha un triplice scopo. Il primo è quello di calmare gli appetiti dei singoli e delle forze politiche di maggioranza, dicendo, su per giù, «le marchette elettorali si faranno dopo». Il secondo è quello di sfruttare il mito secondo cui il precedente Governo ha lasciato il «buco», così da creare il sospetto nei cittadini che quelli di prima erano peggio di quelli di adesso: un modo chiaro di far pagare per colpa di un altro. Il terzo è quello di preparare la distribuzione delle risorse della legge finanziaria di settembre con il suo bel taglio del cuneo fiscale, avendo le spalle coperte.
Si aggiunga che le sue aderenze europee e quelle del ministro Padoa Schioppa potranno essere utili per trovare coperture circa la necessità del «piano salasso».
Il debito pubblico è ai livelli del 1992? Perché non si parla, invece, del piano di rientro concordato con il commissario europeo Almunia? Perché si sottovalutano gli importanti elementi di crescita che via via emergono dagli indici di marzo? Temo che il «piano salasso» abbia importanti ragioni politiche, ma tutte interne alla maggioranza, che dopo aver occupato le cariche istituzionali vuole morigerare alcuni suoi esponenti attraverso ragioni esterne, per lo più non indispensabili. Sfugge, certo, che a pagare siano i cittadini.
Illustre Presidente, troppe sono le ragioni del contrasto tra di noi. I suoi silenzi su ciò che sta accadendo all'interno della sua compagine ammorbano l'aria del dialogo tra le parti. Quel dialogo indispensabile per il bene comune della nazione, quel dialogo che trova un filo comune dinanzi all'interesse supremo dei cittadini è nascosto dalle ambiguità, dalla mancanza di identità della sua coalizione politica. Senza un'identità chiara non c'è dialogo che tenga. Il paese ha bisogno di questo rapporto sincero, chiaro e distinto, e non di pasticci!
La invitiamo, pertanto, ad un chiarimento pubblico e netto su ciò che la realtà di questi giorni ci ha sottoposto: le dichiarazioni dei suoi ministri, le furbate del «piano salasso», i conflitti di interessi, il programma del suo Governo.
Ci aspettiamo dalla sua replica una spiegazione chiara su ciò che sta accadendo. Il suo silenzio non le gioverebbe e, per di più, non sarebbe di alcuna utilità alla comprensione tra la Casa delle libertà e l'Unione. Da parte nostra, è ben chiara la nostra volontà di una posizione fermissima e trasparente per le misure «zapatere», antilaiche e anticristiane che alcuni suoi tifosi vogliono intraprendere per nascondere l'incapacità dietro ad una battaglia ideologica.
Non ci cascheremo! Vita, famiglia, sussidiarietà, merito sono valori civili della nazione; quei valori che sono alla base della Repubblica che festeggeremo il 2 giugno. Per tale celebrazione faccia un regalo anche a noi, alla Repubblica: sia chiaro e si comporti da leader vero! Dia risposte convincenti nella sua replica, indichi
la via del bene comune sul quale chiede il confronto, lasci gli estremisti della sua coalizione al loro destino e prenda il largo, onorevole Presidente! Diversamente, il pertugio dei ricatti interni segnerà la prematura fine del suo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.
GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, colleghe, colleghi, signore e signori rappresentanti del Governo, signor Presidente del Consiglio, il suo Governo è parte di un'impresa generale, nella quale il nostro partito si sente pienamente impegnato, che eccede sia i confini del nostro paese - ed è per questo che il nostro cammino sarà guardato da Berlino e da Madrid - che l'impegno, di per sé già gravoso, dell'esercizio dell'azione amministrativa e di Governo. L'impresa è quella di dare una nuova stagione riformatrice al nostro paese.
Dopo anni di colpi durissimi inferti alla società, dopo i lunghi ed oscuri disegni dell'antipolitica, sta anche a noi invertire la tendenza, sta anche al suo esecutivo, per usare una sua felice espressione, mobilitare il paese. La nostra vittoria elettorale è una grande occasione per riproporre uno dei terreni più classici dell'azione politica: tentare di legittimare il potere da parte degli uomini e delle donne di questo paese per impedire, nello stesso tempo, ogni tentazione che il potere si legittimi da solo, che ritorni ad essere esercizio separato, un prologo in cielo, per dirla con Goethe. Questa legittimazione della trasformazione può, e a nostro parere deve, avvenire sul terreno politico, sociale, economico e culturale.
Le leve perché ciò avvenga sono richiamate da due parole che per noi sono chiave: discontinuità ed autonomia. Serge Latouche fa un esempio molto efficace e molto semplice da intendere: se per andare a Napoli prendi un treno e invece devi andare a Milano, prima devi rallentare, poi scendere e poi cambiare treno. È per questo che diciamo: innanzitutto, la pace. Così si è sempre detto nella nostra storia recente, ed è scritto così nella nostra Costituzione.
Per perseguire tale obiettivo, vanno agite scelte nette ed inequivocabili. Dobbiamo interrompere la spirale che ha prodotto solo lutti, crescita di insicurezza e che ha riportato l'Italia in guerra e ha fatto divampare criminali e terrorismi in tutto il mondo.
Abbiamo apprezzato la nettezza con cui ha condannato la guerra in Iraq e di più abbiamo condiviso la condanna dell'occupazione. Se la guerra ci parla della minaccia sempre incombente e alla quale dobbiamo sottrarci sempre e comunque, anche per il futuro, l'occupazione dell'Iraq ci parla dell'oggi. Dobbiamo realizzare in tempi assolutamente certi e ravvicinati il ritiro delle truppe italiane dal suolo iracheno. Dobbiamo farlo in tempi chiaramente comprensibili all'opinione pubblica, italiana ed internazionale. Non possiamo fare pasticci: prima i soldati italiani vengono via e dopo, in un successivo momento, potremo agire a sostegno della popolazione irachena attraverso le missioni delle Nazioni Unite. Per questo consideriamo un'eredità sgradita i PRT voluti dal precedente esecutivo.
Questa discontinuità va, inoltre, estesa all'intera azione internazionale del suo Governo, a partire dalle missioni italiane nelle quali sono impegnate le truppe. È giunto il momento di fare un bilancio di ciò che è accaduto, di quali sono stati gli effetti sui terreni di ingaggio, di quali sono state le risorse economiche impiegate, di quali sono stati gli effetti di tali politiche. È necessaria un'inversione profonda della nostra politica estera e occorre finalmente far sentire una voce autonoma ed autorevole nel consesso internazionale.
L'Italia, anche per la sua collocazione geostrategica e per la sua vocazione storica, deve seguire più l'onda lunga di Braudel che la tempesta avventurista dell'amministrazione Bush e deve riprendere per questo il ruolo di mediatore per la
prevenzione di conflitti. Deve esprimersi ed agire con coraggio sulle tragedie che abbiamo di fronte a noi: da quelle più presenti, come nel caso del decennale asimmetrico conflitto tra lo Stato di Israele ed il popolo di Palestina, a quei conflitti troppo distanti dall'attenzione dei media ma che proprio per questo possono bene interpretare quello scatto etico a cui lei ha fatto riferimento (parlo del Sahara occidentale, del conflitto turco-curdo o della silente e sanguinosa guerra in Colombia).
Da qui passa la ripresa di un vero progetto politico europeo ed europeista.
Nel nostro programma, con grande scandalo dell'autorevole Herald Tribune, non solo abbiamo richiamato la necessità di un nuovo multilateralismo, ma abbiamo anche introdotto il concetto di multipolarismo.
Non si tratta di venire meno agli impegni del nostro paese, ma di riconoscere che il mondo sta cambiando e che per fortuna sta cambiando. Solo così potremo cogliere le grandi novità dell'America Latina, dell'Oriente, e solo così potremo investire su un progetto realmente europeo.
Signor Presidente, non abbiamo avuto e non abbiamo lo stesso giudizio sull'esito del referendum costituzionale svoltosi in Francia ed in Olanda, ma siamo profondamente d'accordo sulla necessità di riprendere un reale processo costituente in Europa. Tuttavia, le chiedo se questo reale processo costituente possa essere, oggi, fatto proprio anche dal nostro Governo senza una reale partecipazione popolare.
La spaccatura nel nostro continente esiste ed è sempre, con maggiore nettezza, al di là dei commenti postelettorali un po' frivoli, tra alto e basso della società, tra coloro che si sentono minacciati e coloro che sono sempre più esclusi. Di questa società dimidiata dobbiamo farci carico anche e soprattutto noi.
Per questo dobbiamo sconfiggere la precarietà. I giovani studenti in Francia ci hanno ricordato che serve una validazione consensuale delle scelte che riguardano la vita delle persone. La precarietà è contro la società, è contro il vivere associato, è contro la dignità delle persone. La precarietà è uno strumento di insopportabile sopraffazione.
È per questo che abbiamo bisogno di un'inchiesta nel nostro paese, di avere una conoscenza più forte di ciò che può accadere nella testa, nel corpo e nella vita di un lavoratore e di una lavoratrice sottoposti alla precarietà, o di cosa accade a quei precari assunti per il traghettamento delle navi delle Ferrovie dello Stato sullo Stretto di Messina, che hanno un tipo di contratto che si chiama «a viaggio», poiché inizia e termina giusto il tempo necessario per imbarcarsi a Villa San Giovanni ed arrivare a Messina.
La precarietà lede l'idea stessa di coesione sociale che appartiene sia alla cultura socialista sia a quella democratico cristiana. Bisogna reintrodurre rigidità, rispetto per la vita dei lavoratori. Bisogna impedire che prosegua la lunga scia di «morti bianche», occorre ripensare ad un nuovo intervento pubblico che rilanci investimenti a redditività differita, soprattutto nel Mezzogiorno.
Inoltre, bisogna dare piena legittimità democratica alle organizzazioni dei lavoratori. Dall'autonomia e dalla democrazia delle scelte dei lavoratori passa anche il rilancio del nostro paese.
Allora, mi chiedo quale sia l'intento del ministro Padoa Schioppa, oltre a denunciare la già nota «creatività» del Governo precedente. Non possiamo assolutamente utilizzare la minaccia del downgrading, poiché lo spread dei titoli di Stato italiano è prossimo allo zero lungo tutta la curva dei rendimenti, per chiedere nuovi sacrifici. Piuttosto bisogna reinvestire nelle protezioni sociali, nell'innovazione e nella ricerca.
Diceva un autorevole osservatore politico francese: si scelga o la politica della fiducia e dell'ortodossia finanziaria nel quadro delle strutture economiche attuali - ciò che comporta la stagnazione ed il declino - o una politica di espansione, implicante una trasformazione in profondità di tali strutture, trasformazioni impensabili senza un determinato intervento
dello Stato. L'incrocio comporta due strade e due soltanto: la terza via non è che un'illusione o un camuffamento.
Eppure l'economia non basta, così come la mera crescita economica non basta a rilanciare il nostro paese. Vi è bisogno di uno scatto culturale e morale, in cui anche un Governo può cimentarsi. Dobbiamo vincere la battaglia contro la violenza e la mercificazione della vita. Bisogna produrre un senso comune che rifiuti la violenza, da quella pubblica delle guerre a quella privata del patriarcato. E sarebbe molto importante se oggi, signor Presidente, alle 17,58, l'Assemblea ricordasse che, quattordici anni fa, fu ucciso proprio dalla violenza della mafia Giovanni Falcone.
Allo stesso modo possiamo e dobbiamo impedire che la vita umana e non umana diventi merce e scoria. È un atto non violento anche un gesto di clemenza e per questo richiediamo immediatamente un'amnistia.
Per questo vogliamo partire dai diritti di quegli esseri umani che non chiameremo mai «clandestini» ma «migranti». È davvero inutile che le destre lancino allarmi, anche perché il Mediterraneo non è stato, purtroppo, una «via della seta», ma una lunga «via della sete», una sete di giustizia, di libertà e di eguaglianza.
Vede, e concludo, signor Presidente, a noi la cultura femminista ha insegnato davvero molto ed è per questo che, nell'annunciarle che ci piacerebbe che questo Governo continuasse per cinque anni la sua azione, il 2 giugno non vorremmo la parata dei militari, anche perché...
PRESIDENTE. Il tempo, per favore.
GENNARO MIGLIORE. ...noi quella data - e concludo - la ricordiamo per due motivi: perché è nata la nostra Repubblica e perché, proprio in quel giorno, le donne hanno ottenuto per la prima volta il diritto di voto.
Buon lavoro, signor Presidente, e buona fortuna (Applausi polemici dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Onorevoli colleghi, che il voto di Alleanza Nazionale non sarà di fiducia al Governo Prodi è un fatto noto. Lo abbiamo già motivato con gli interventi, tutti molto qualificati, dell'onorevole Migliori, dell'onorevole Gasparri, dell'ex ministro Landolfi, dell'onorevole Bono, degli onorevoli Siliquini, Urso, Menia, Ronchi e parlerà dopo, in dichiarazione di voto, il presidente del mio partito, l'onorevole Fini.
A me serve qualche minuto, onorevole Presidente (lei non se lo aspetta) per esprimerle una piccola solidarietà. Io ho visto oggi, questa mattina, come lei (Commenti)... Ascolta, ascolta, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, ma ascolta. Al mio collega che diceva che lei, Presidente, non ascoltava ho risposto che lei probabilmente ascoltava.
Questa mattina - dicevo - lei ha allargato le braccia, entrando, nella direzione di un neoministro, che è presente in aula ed è per quello che ne parlo, il ministro Bianchi, che è l'esempio, credo più calzante, del malumore che deve averla presa, Presidente Prodi, quando questa mattina le agenzie hanno battuto una nota in cui è scritto che lei rimprovera già i suoi ministri (bisogna ancora cominciare a lavorare e siamo al primo rimprovero!) e dice che non bisogna fare dichiarazioni per annunziare, ma dichiarazioni su ciò che si è deciso.
Io le manifesto piena solidarietà, certo che avrà un bel lavoro Presidente Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)! Dovrà spiegare al ministro Bianchi, e non solo a lui, che non solo non si fanno dichiarazioni tanto per farle, ma che c'è gente che investe i propri risparmi, la propria liquidazione, qualche soldino che ha messo da parte e magari compra azioni Alitalia, poi il ministro Bianchi la mattina si alza, parla dell'Alitalia, il titolo va giù e quelle
persone hanno perso i loro soldi, ministro Bianchi! Guardi che non è più in un'aula universitaria, è una cosa importante fare il ministro.
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. La lega ne ha fatte di peggio! Vergogna!
IGNAZIO LA RUSSA. E ancora, lei ha ragione a dire quello che ha detto, perché se dovessero ascoltarla, dovrebbero stare zitti quelli che si sono scontrati: c'è chi ha detto che bisognava subito dar vita ai Pacs e chi ha detto aspettiamo; chi ha parlato della pillola del giorno dopo, chi di abolire i centri di permanenza temporanea: non si capisce dove mettiamo gli immigrati che arrivano, a casa dei ministri, voglio sperare! Perché da qualche parte dobbiamo pur metterli, nel frattempo, tanto i ministri e i sottosegretari sono così numerosi che forse possono bastare come «luoghi» di prima accoglienza per gli immigrati che faranno arrivare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
C'è chi vuole abrogare la legge Biagi e chi invece dice che bisogna solo modificarla (mi ricordo una vecchia canzone, ma lasciamo stare perché non ho il tempo). C'è chi oltre all'Alitalia vuole, e lo abbiamo sentito anche un minuto fa, farci volare veramente basso: vuole cancellare la celebrazione del 2 giugno, come se fosse davvero una manifestazione guerrafondaia e non il segno dell'unità nazionale. Povero Presidente Ciampi, come in fretta il suo lavoro viene cancellato da coloro a cui improvvidamente ha ritenuto di dare un'immeritata fiducia al Senato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
E ancora, c'è chi vorrebbe «bombardare» (quello si può!) il progetto del Ponte e c'è chi (figuriamoci!) già parla di cambiare radicalmente o di abolire la riforma Moratti, per non parlare di chi già sogna di poter dare eventualmente corso a un disegno di legge che avete presentato nella scorsa legislatura, con il quale non solo volevate liberalizzare alcune droghe (questo è un vecchio problema), ma addirittura volevate liberalizzare lo spaccio! C'è un vostro disegno di legge, con il quale ritenete che sia lecito spacciare, purché a titolo gratuito! Immaginate la polizia - che già ha difficoltà ad individuare gli spacciatori - che ferma uno con un chilo di eroina, il quale però dice: sì, ma io la regalo, che volete che sia! Tanto, se non c'è la prova del passaggio, non succede niente.
Presidente, avrà un bel da fare! Capisco che lei aveva provato ad accontentarli. Ha addirittura inventato ministeri che non esistevano; e non c'entra il Presidente della Repubblica, lo abbiamo capito bene adesso: ne parlavo con il ministro Gasparri. Hanno giurato come ministri senza portafoglio. E lei, onorevole Prodi, barando e mentendo, uscendo dalla stanza del Presidente della Repubblica ha detto che aveva già dei ministeri, che invece erano solo ministeri senza portafoglio! Non ha aspettato neanche due ore per il decreto, per timore che gli si rivoltassero contro (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
Capisco che lei abbia cercato di accontentarli in quella maniera. Certo non tutti. L'onorevole Sbarbati è rimasta delusa. Eppure 24 mila voti per vincere persino la Sbarbati probabilmente glieli ha portati! E poi ha dovuto fare delle scelte, come con Mastella, che - per carità - è tra i più simpatici del suo Governo, però «lì non lo possiamo mettere e lì non lo possiamo mettere»! Forse c'era un ministro della giustizia bravo - lo dice chi lo ha avuto come collega da avvocato - e si chiama Giuliano Pisapia. Ma essendo uno bravo e competente poteva fare il ministro? Meglio altri! Questa è stata la logica del suo...
GIOVANNI CARBONELLA. Meglio Castelli!
IGNAZIO LA RUSSA. Castelli è stato un ministro...
GIOVANNI CARBONELLA. È un ingegnere!
IGNAZIO LA RUSSA. Per essere un bravo ministro non c'è proprio bisogno di avere studiato quella materia. Basta avere equilibrio. Pisapia ha dimostrato di poter avere l'equilibrio e forse per questo lo avete escluso. Da noi non c'è stata un'occupazione indebita.
Presidente Prodi, io ho cominciato il mio intervento con un atto di solidarietà. Siccome non so quanti minuti mi restano a disposizione, ma credo pochi perché ne ho ceduti all'amico Menia...
PRESIDENTE. Le restano venti secondi.
IGNAZIO LA RUSSA. Le dico però che la sua uscita, quella di chiamare «truppe di occupazione» le truppe che sono in Iraq, dimenticando che i nostri ragazzi sono lì per fare davvero qualcosa per la pace, per la libertà, per la democrazia, è un fatto inaccettabile. E non ci dica di non attaccarci alle parole. Le parole sono pietre e quel suo esempio di parlare di «truppe di occupazione» legittima e fa da alibi - ed io sono veramente disgustato per questo! - a chi per le strade, e non solo per le strade, grida: «Dieci, cento, mille Nassiriya». Questo non glielo consentiremo mai (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Prestigiacomo. Ne ha facoltà.
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il Governo Prodi già dalle prime battute ha messo in evidenza incongruenze, contraddizioni e tutte le approssimazioni con le quali la coalizione di centrosinistra si appresta a guidare l'Italia. È venuta fuori la protervia e l'arroganza di una classe dirigente, che prima ha occupato tutte le alte cariche istituzionali e poi è venuta a parlarci di dialogo. E l'assurdo, come del resto è stato rilevato - non poteva che essere così - da tutti i colleghi della minoranza che mi hanno preceduto, è che noi siamo oggi qui a valutare le sue dichiarazioni programmatiche, signor Presidente, mentre sui giornali da una settimana, oggi incluso, i suoi ministri ci raccontano un programma parallelo, diverso dal suo e certamente molto, molto confuso.
E così se lei tace, Presidente Prodi, su un argomento importante come quello del ponte sullo Stretto - e non ci venga Fassino a fare la lezione sull'utilità o la non utilità del ponte sullo Stretto! È evidente che il ponte sullo Stretto non era e non è un'opera pubblica alternativa ad altre fondamentali opere pubbliche, che peraltro noi abbiamo già avviato -, ci pensano i suoi ministri a colmare questa lacuna e ne approfittano per litigare.
Se lei tace sul 2 giugno, ci pensano i suoi ministri e anche i suoi parlamentari: abbiamo appena sentito il deputato Migliore - che migliore non mi sembra affatto - dire che il 2 giugno è una festa che va eliminata, che bisogna cancellare la parata, e poi sentiamo altri che invece ci concedono ancora di mantenere quella festa.
Se lei tace, signor Presidente, sulla TAV, i suoi ministri ci illuminano, confermandoci che c'è chi la vuole e chi non la vuole. La realtà è che ancora tutti noi non sappiamo cosa pensi lei, cosa pensi il Governo su questa fondamentale opera pubblica.
Presidente Prodi, lei, a più riprese, ha rivendicato di essere il capo della maggioranza: lo ha fatto in campagna elettorale, lo ha fatto anche ad urne chiuse, lo ha fatto sempre polemicamente rivolto verso il centrodestra. Forse sarebbe il caso che cominciasse a farlo nei confronti del centrosinistra, che non mi sembra tenga in gran conto i suoi vaghi indirizzi politici, e soprattutto, se ne è capace, lo dimostri al paese, perché da settimane ormai stiamo assistendo tutti con stupore a continue esternazioni estemporanee da parte dei suoi parlamentari e dei suoi ministri.
Anche perché, a Costituzione vigente, Presidente, lei non ha il potere di sostituire i ministri. Credo che più volte in
futuro lei si troverà in analoghe condizioni di imbarazzo; forse sarebbe il caso, Presidente Prodi, che lei ripensasse alla questione del referendum. Probabilmente, un referendum che dà la possibilità al Primo ministro di confermare o revocare i ministri potrebbe tornarle molto utile!
Ma oggi siamo qui per commentare le sue dichiarazioni programmatiche, lette al Senato e consegnate qui alla Camera, dichiarazioni programmatiche che da sole bastano e avanzano per farsi un'idea dell'Italia che ci aspetta con il suo Governo. Lei ci ha consegnato un «Bignamino» buonista del programma elettorale e nella replica ha cercato di mettere qualche «pezza» ad un torrente di critiche che al suo Bignami sono venute dall'opposizione, ma anche da ampi settori della maggioranza e dalla stessa stampa, che fino a qualche settimana fa lo aveva sostenuto alla guida del paese. Non è riuscito però a mettere una «pezza», poiché non era possibile, sulla composizione del Governo e sul ruolo che lei ha riservato alle donne.
Voi, proprio in questa aula, avete affermato che la nostra proposta di legge sulle quote rosa non andava sostenuta, perché - dicevate - era debole; avete rivendicato che la sinistra su questi temi è avanti, avanti, molto più avanti del centrodestra; avete detto, avete promesso e ora avete perso la faccia: lo sapete bene! Dove sono le donne ministro della giustizia, ministro dell'istruzione, della difesa, dei beni culturali, della funzione pubblica [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega Nord Padania e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]? Dove sono tutte quelle donne che leggevamo nel «totoministri» dei giornali e che erano destinate ad alti incarichi? Certo, un Governo si giudica nei fatti; e la composizione del Governo è un fatto? È un fatto fondamentale, è il primo dei fatti!
Sì, il nostro Governo contava meno donne, è vero, ma negli ultimi cinque anni siamo stati noi a cambiare le regole, siamo stati noi a proporre dal Governo la modifica della Costituzione, siamo stati noi a modificare la legge elettorale per le elezioni europee ed eravamo pronti a cambiare anche la legge per le elezioni del Parlamento nazionale se il centrosinistra non l'avesse affossata chiedendo il voto segreto.
Onorevole Prodi, per favore, la legge sulle quote rosa non l'annunci, lasci perdere, lei su questo tema non è credibile, vedremo poi cosa faranno le sue donne ministro, ma lei non lo tocchi più questo argomento!
TERESA BELLANOVA. Intanto, sappiamo quello che hai fatto tu!
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Presidente Prodi, le sue dichiarazioni programmatiche possiamo giudicarle insieme un libro dei sogni e degli incubi. Gli incubi sono tutte le abrogazioni che annunciate: mi riferisco alla vostra volontà di cancellare scientificamente tutti i punti qualificanti del cambiamento che in questi anni si è avviato con le riforme del Governo Berlusconi.
Infatti, lei e la sua coalizione siete puntuali nell'esplicitare la volontà di eliminare la legge Biagi, attribuendo ad una legge in vigore da un anno e mezzo la responsabilità della precarizzazione del lavoro (anche oggi Fassino è intervenuto su tale tema), quella precarizzazione che, comunque, le statistiche non rilevano e che anche economisti a voi vicini (vorrei citare soltanto Salvati: dovrebbe dirle qualcosa) non ravvisano e, in ogni caso, onestamente, ammettono che non può essere il frutto di una legge che è in vigore da così poco tempo.
Già che ci siamo, perché non spiega in quest'aula e al paese il perché della rimozione della memoria di Marco Biagi? Perché continuate vergognosamente a chiamare la legge Biagi, legge n. 30 (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania)? Perché non volete riconoscere a Biagi l'onore del ricordo e della battaglia riformista che ha sostenuto pagandola con la vita?
Insieme con la riforma Biagi intendete eliminare la riforma Moratti, la legge Bossi-Fini, la riforma dell'ordinamento giudiziario, la riforma delle pensioni, la riforma del sistema radiotelevisivo. Volete smantellare, insomma, il più forte e serio programma di modernizzazione avviato nel nostro paese da decenni a questa parte.
Contro questo sciagurato programma, che vuole riportare l'Italia indietro, che vuole allontanarla dalla modernità e dall'Europa, la nostra opposizione sarà durissima qui alla Camera e al Senato, dove non avete i numeri per governare.
E veniamo al «libro dei sogni», quello della moltiplicazione della spesa, cominciato con la moltiplicazione dei ministri, viceministri e sottosegretari. Bene, questo è il primo atto della sobrietà che lei intende attuare?
C'è tutto il capitolo sulle politiche sociali che è un'elencazione di spese, fondi per tutti, fondi per i nuovi nati dalla nascita al compimento dei 18 anni, fondi per i precari, fondi per le giovani coppie, fondi per il raddoppio degli asili nido in cinque anni, più fondi e più servizi per tutti. Ma in 281 pagine di programma, in un'ora e mezzo di dichiarazioni programmatiche, abbiamo cercato, aspettato invano un'indicazione chiara, precisa, attendibile delle risorse con cui questi fondi e queste politiche dovrebbero essere finanziati.
Presidente Prodi, in campagna elettorale si può restare sul vago, enunciare prospettive, lanciare sogni, ma nel DPEF, nella legge finanziaria bisogna indicare la copertura economica dei provvedimenti. Voi, ad oggi, non avete spiegato all'opposizione, ma nemmeno agli italiani, dove prenderete le migliaia di miliardi per finanziare il vostro «libro dei sogni», i vostri fondi per il sociale, i vostri cinque punti di cuneo fiscale da tagliare entro un anno, il vagheggiato dimezzamento delle cause pendenti nei tribunali che implicherebbe una spesa straordinaria in termini di organici e di strutture per la giustizia.
E non è accettabile ascoltare, ancora una volta, la favola della lotta all'evasione fiscale e della ripresa economica. Non potete assumere impegni economici certi a fronte di entrate incerte ed eventuali.
Abbiate il coraggio e l'onestà intellettuale di dire la verità al paese. La verità è che voi state preparando una stangata fiscale per far pagare agli italiani le nuove spese...
PRESIDENTE. La prego, per favore, il tempo...
STEFANIA PRESTIGIACOMO. Presidente, mi avvio alla conclusione. Altrimenti, non potrete mantenere una sola delle promesse fatte agli italiani.
Presidente, delle due l'una: o metterete ancora una volta le mani nelle tasche degli italiani o semplicemente avete preso in giro tutto il paese, ma segnatamente la vostra parte, quella parte che vi ha votato e che oggi vi consente di essere ai banchi del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, oggi, come dieci anni fa, il centrosinistra è chiamato a dare al paese una direzione di marcia ed una linea di movimento.
Di questo le sue dichiarazioni programmatiche sono chiaramente ed esplicitamente consapevoli, come credo di questo sia consapevole l'intero paese.
Sappiamo forse meno di quanto vorremmo dello stato delle finanze pubbliche - ancora per qualche giorno -, ma netta è la sensazione di tutti che ripristinare l'equilibrio non sarà immediato né semplice.
Delle difficoltà del nostro sistema produttivo ci rendiamo conto proprio quando salutiamo con enfasi e quasi con sollievo i casi di successo, che, per fortuna, ancora non mancano.
Dell'apertura dei mercati, in particolare di quelli dei servizi, ci raccontano ogni giorno le bollette pesanti delle utenze, il notaio che incontriamo per i passaggi di proprietà e la complessa lettura di un estratto conto bancario o di un contratto di assicurazione.
I temi, dunque, sono...
PRESIDENTE. Mi scusi. Si può uscire dall'aula, naturalmente, ma vorrei evitare che chi parla sia disturbato in questa maniera. Per favore, a destra è possibile un momento di silenzio mentre sta parlando un altro parlamentare? Grazie.
La prego, deputato Nicola Rossi, prosegua pure.
NICOLA ROSSI. Grazie, Presidente. I temi, dunque - come dicevo -, sono chiari da tempo. Noi le chiediamo, sapendo che avremo una risposta positiva, signor Presidente del Consiglio, di non lasciarsi distrarre, nell'affrontarli, dai segnali congiunturali, finalmente positivi in alcuni casi. Questi, com'è ovvio, vanno salutati con soddisfazione, ma non attenuano minimamente il bisogno di cure - di cure intense - di questo paese.
Giustamente, il ministro dell'economia ha ricordato i punti di contatto fra la situazione odierna e quella dei primi anni Novanta. Quel che dobbiamo ricordare, soprattutto a noi stessi, però, è che non era inevitabile che questo parallelo si riproponesse. Non era inevitabile - mi dispiace che manchino alcuni dei colleghi nei banchi del centrodestra - che si perdesse il controllo della spesa, tanto meno dopo che, proprio negli anni Novanta, alcune riforme avevano posto importanti capitoli di spesa sui binari della stabilità e della sostenibilità finanziaria.
Non era inevitabile che si logorasse il rapporto di lealtà fra contribuenti e amministrazione fiscale, tantomeno dopo che era a tutti diventato chiaro che stabilità normativa, semplicità degli adempimenti e chiarezza degli impegni reciproci tra Stato e contribuente potevano fare dell'Italia, sotto questo aspetto, un paese più moderno.
Non era assolutamente inevitabile che, a distanza di 15 anni, si registrasse un onere per interessi dimezzato, senza peraltro conseguenze apprezzabili in termini di crescita potenziale e di stabilità di medio e lungo periodo della finanza pubblica. Non era inevitabile, infine, che si associasse il termine declino alla nostra economia così facilmente, tanto meno dopo che la scelta dell'euro aveva chiarito, al di là di ogni ragionevole dubbio, su quali terreni ci saremmo dovuti misurare per mantenere il nostro ruolo nel mondo e in un mondo nuovo. Nulla di tutto ciò era inevitabile.
Lo dico sapendo benissimo che, personalmente, non ho mai apprezzato la politica del rimpallo di responsabilità. Non era questo il punto. Non voglio aggiungermi al numero di coloro che fanno politica rimpallando le responsabilità. Al contrario, però, credo faccia parte della crescita dell'intero paese la consapevolezza che poche cose sono caduche come gli sforzi e le fatiche che, a volte, interi paesi si trovano a compiere e che percorsi di anni possono essere vanificati dalle scelte di pochi mesi. Ciò vale quali che siano le maggioranze che si alternano al Governo del paese.
Dunque, signor Presidente del Consiglio, si deve compiere una battaglia economica e sociale in tempi molto brevi e ristretti. Ma - mi permetto di aggiungere - c'è da compiere anche una battaglia culturale, almeno altrettanto importante quanto la prima.
Se la prima serve a restituire al paese il ruolo che gli compete in campo internazionale, credo che la seconda, quella culturale, serva per restituire al paese il suo futuro.
I giovani italiani costituiscono oggi la componente della società italiana più timorosa ed avversa al rischio. Questo è un fenomeno che ci deve far pensare e riflettere seriamente. Quali che siano le motivazioni di questo fenomeno, questo è l'elemento rispetto al quale, al termine dei prossimi cinque anni, noi saremo misurati e valutati come maggioranza e come Governo.
Nel medio periodo su questo tema si misurerà la nostra capacità di incidere veramente sulle tendenze di fondo di questa società. Che i giovani tornino ad essere la parte più dinamica della nostra società, che i giovani trovino più naturale vedere le opportunità prima ancora che i rischi, che i giovani si propongano di sostituirci e non di rimanere a lungo sotto la nostra ala sono ingredienti essenziali di quello che non può che essere il nostro progetto per un'Italia diversa e migliore. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo e rinvio il seguito del dibattito alle 16,30 con la replica del Presidente del Consiglio dei ministri.
![]() |
![]() |
![]() |