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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta.
ANTONIO MAROTTA. Signor Presidente, questo dibattito ci consente di informarci sull'attuale stato generale della giustizia; ci permette di riflettere sui complessi temi della stessa; ci aiuta a mettere a fuoco le ragioni che inducono a parlare di crisi della giustizia; contribuisce, infine, a potenziare la responsabile tensione ad un sempre maggiore impegno nella soluzione dei problemi.
Ho seguito con molto interesse l'intervento e la relazione del ministro, il quale ha offerto un quadro esauriente della giustizia, evidenziandone le problematiche più delicate quali sono emerse dal monitoraggio dei dati statistici. Sono le cifre della crisi della giustizia, che parlano il linguaggio crudo, ma eloquente ed ineludibile, dei numeri; l'analisi severa ed impietosa, ma purtroppo vera, dei drammatici problemi sul tappeto.
Il problema della giustizia italiana non può essere esaminato né in un'ottica puramente locale e neppure in una solo nazionale; dopo Maastricht, è con l'Europa che ci dobbiamo confrontare. E dinanzi all'Europa, il punto dolente diventa principalmente, se non esclusivamente, quello dell'insopportabile durata dei tempi della giustizia.
Proprio i dati cui faceva riferimento il ministro rivelano che persiste una eccessiva durata dei processi che assume connotazioni di particolare gravità in quanto la lentezza della risposta giudiziale alla domanda di giustizia rappresenta un rischio per la tutela effettiva dei diritti controversi e può determinare, soprattutto rispetto alle controverse di entità minore, un motivo di progressivo allontanamento dalla giurisdizione, nel senso di una rinuncia alla tutela giurisdizionale. Certo, non dobbiamo perdere la speranza della ripresa di un dialogo, serrato quanto costruttivo, tra le forze politiche e dobbiamo impegnarci con tutte le nostre energie in questa direzione; il vero nodo della giustizia, oggi, è la ragionevolezza della durata dei processi e, più in generale, la tempestività e l'efficienza del servizio giustizia. Nei giudizi civili bisogna attendere troppo tempo per ottenere la tutela dei propri diritti, mentre i procedimenti penali, dopo la prima fase, affannata, delle indagini, vivono i tempi lunghissimi del giudizio, che può trovare definizione a distanza di anni.
Non si deve dimenticare che, se è vero che il fine non può consentire l'accettazione di mezzi non garantisti, è altrettanto vero, però, che, reciprocamente, nessuna garanzia può fare accettare la non realizzazione del fine. Una giustizia più rapida per un effettivo ripristino della legalità violata; una giustizia che assicuri il rispetto del principio di eguaglianza con le garanzie del giusto processo: è questa, oggi, la priorità. Per realizzare tale fine, ognuno deve fare la sua parte, con impegno e senso della responsabilità.
Nel dibattito odierno, abbiamo sentito, dalle forze di opposizione, quanto, da parte di questo Governo, non è stato fatto o è stato fatto male; non abbiamo sentito, invece, una sola proposta, benché minima,
per la soluzione dei problemi che riguardano la giustizia. Una proposta che fosse concreta e seria.
Dunque, al di là dei risultati raggiunti in questi cinque anni, di cui alla relazione del ministro e ai quali tra breve faremo riferimento, vogliamo essere noi, il gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, a porre sul tappeto i problemi ancora sussistenti e le soluzioni che individueremo per il futuro e sulle quali chiediamo di aprire un dibattito serio.
Allora, se è vero che il problema è costituito dalla ragionevole durata del processo, mi domando che cosa possiamo proporre, al di là dei dati illustrati. Infatti, anche se tali dati fanno riferimento ad un modesto decremento del numero totale dei processi, essi segnalano ancora l'esistenza di tempi eccessivamente lunghi.
Pertanto, valutando positivamente l'analisi svolta dal ministro della giustizia, che fa riferimento alle esigue risorse finanziarie disponibili - ma si tratta delle risorse che tutti gli altri Stati dell'Europa dedicano o intendono destinare alla giustizia -, proponiamo, al di là della scarsa efficienza del sistema giudiziario (su cui questo Governo è intervenuto molto) e della normativa esistente (rispetto alla quale bisogna porsi, una volta per tutte, il problema di intervenire in maniera seria), l'eliminazione dei tempi morti del processo.
La durata del processo, infatti, è concretamente legata all'esistenza di tempi morti, che ciascuno di voi conoscerà, quali i rinvii ed i passaggi da un grado all'altro del giudizio, sui quali bisogna intervenire in maniera seria e costruttiva.
Al di là di tutto ciò, mi chiedo quali siano le forme per tentare di intervenire seriamente, una volta per tutte, sulla durata dei processi. Chiediamo di svolgere un confronto su questo argomento, ed auspichiamo di ricevere una risposta.
Esiste sicuramente il problema iniziale dell'adozione di un provvedimento di clemenza, vale a dire di un condono. Ne abbiamo discusso qualche giorno fa, ma purtroppo - perché eravamo d'accordo - non è stato possibile intervenire in tal senso. Se consideriamo tuttavia che, dal 1990 ad oggi, in questo Stato non è stato varato alcun provvedimento di clemenza, mentre prima ne veniva adottato, in media, uno ogni due anni e mezzo, allora vi renderete conto di come ciò diventi un'esigenza che un Parlamento responsabile e serio, che voglia affrontare in maniera organica il problema della giustizia, dovrebbe affrontare.
Ma questo non basta. Il primo intervento serio che occorrerebbe varare è un provvedimento di clemenza, vale a dire una legge di amnistia e di indulto. Il secondo intervento, sul quale dobbiamo e possiamo successivamente confrontarci, è costituito da una seria depenalizzazione dei reati.
Vorrei infatti osservare, al di là di tutto, che, se non interveniamo cercando di individuare tutte le ipotesi di reato, da quelle minime a quelle più gravi ed importanti (comprese le sanzioni contravvenzionali), che in questo momento le esigenze della società ci segnalano, e che pensiamo di poter perseguire con le risorse finanziarie disponibili per il sistema giustizia, allora ciò significa veramente che non abbiamo la volontà di risolvere i problemi della giustizia in Italia! Questa è la verità!
Un altro problema riguarda il settore civile. Infatti, bisogna seriamente pensare di istituire un sistema di conciliazione per le liti di modesta importanza. Mi riferisco, in altri termini, ad un sistema di arbitrato che non impegni il sistema della giustizia. Guardate, anche questo è un patrimonio di tutti. Infatti, per risolvere le controversie del valore sia di poche decine di euro, sia di milioni di euro, lo Stato investe in risorse umane, nonché in mezzi e strutture, le stesse risorse finanziarie. Si tratta di una circostanza decisamente assurda, poiché a tali controversie sono legati interessi ed esigenze diversi!
Sono questi, dunque, i punti importanti sui quali chiediamo di avviare un confronto. Ho ascoltato affermare, nel corso del dibattito, che abbiamo finalmente ottenuto dal ministro della giustizia l'indicazione
dell'impatto che la legge ex Cirielli ha avuto sulle prescrizioni. Ebbene, diciamoci ancora una volta la verità.
Vorrei innanzitutto rilevare che sono 35 mila i processi che si prescrivono, o che si prescriveranno nel tempo. Infatti, è chiaro che, per come è stata approvata nella sua stesura finale, la legge Cirielli non entra immediatamente in vigore ai fini della prescrizione in corso, ma viene applicata solamente ai processi che si aprono in questo momento (quindi, dobbiamo pensare al futuro). Inoltre, se, al di là di una analisi che non abbiamo ancora compiuto, valutiamo per quali altri processi la stessa legge non ne consente la prescrizione, perché ne ha aumentato i termini prescrizionali, allora constatiamo che il dato rilevante che emerge è costituito da 35 mila prescrizioni.
Considerate che in Italia - leggete, in merito, le relazioni del procuratore generale in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario in Cassazione - dal 1990 in poi circa 200 mila processi si prescrivono ogni anno! Ed allora, rapportate i due numeri e dite se 35 mila processi possono costituire una preoccupazione o un pericolo rispetto ad una legge che fonda la sua esistenza su un principio importante! È tornata nella disponibilità - come era giusto che fosse - e della volontà del Parlamento l'indicazione del limite massimo di prescrizione per i reati, mentre in precedenza, tale indicazione era affidata ai giudici, il che rappresentava una circostanza assolutamente anomala.
Ci dobbiamo, poi, confrontare sulle intercettazioni. Mi sembra che anche in proposito si apra un discorso sul quale potremmo trovare un accordo di fondo. Infatti, i rilievi che vengono mossi, mi sembra siano giusti. Oltre l'importanza - e nessuno lo nega, altrimenti non faremmo un'operazione di verità, ma di mistificazione della realtà - delle intercettazioni, che sono necessarie nell'ambito dei processi legati alla criminalità organizzata ed in altri processi, poiché sono l'unico mezzo che consente di scoprire determinate situazioni e giungere a determinati meccanismi ed associazioni e che pertanto rappresentano - in tal caso sì - un aspetto importante, il problema non è eliminare le intercettazioni dal procedimento penale, ma regolarizzarle, capire fino a che punto se ne stia facendo un abuso e fino a che punto se ne stia facendo un uso distorto. Anche su tale aspetto si potrebbe trovare un momento di intesa. È vero che sono trascorsi quindici anni da «tangentopoli» e che la comunicazione giudiziaria in precedenza era il «marchio» che non consentiva più a chi ne fosse raggiunto di uscire fuori dall'ambito domestico, calpestando la dignità dell'indagato rispetto ad ipotesi di reato e ad accuse che, successivamente, nella maggior parte dei casi - secondo le statistiche - risultavano infondate. È oggi necessario trovare una soluzione che consenta di bilanciare il diritto alla privacy, che è anche un diritto costituzionalmente protetto, con il diritto a portare avanti le indagini per affermare la responsabilità ed individuare la commissione dei crimini. È possibile che, come forze politiche, non riusciamo a misurarci su tale problema e continuiamo ad accusarci, o ad affermare sempre, in questo sistema bipolare, che tutto ciò che fa uno è da demonizzare e tutto ciò che l'altro non fa - e non propone nemmeno - potrebbe essere il bene e la verità?
Consideriamo pertanto con serenità il lavoro che ci è stato prospettato oggi. Sono state riforme importanti, che vanno - non vi sottrarrò molto tempo - dal diritto societario al prosieguo del regime del 41-bis - momento importante -, alla riforma delle procedure concorsuali, al codice di procedura civile, alla riforma dell'ordinamento giudiziario.
Onorevoli colleghi, anche su tale ultimo aspetto non ci si misurava da sessant'anni e bisognava avere il coraggio di mettervi mano, perché, a prescindere da tutte le altre considerazioni, un sistema valido sessant'anni fa come può oggi essere trasferito ed avere efficienza e riscontro in una società, in un sistema, in una giustizia che cammina con i tempi e che è molto maturata rispetto all'ordinamento giudiziario
cui in precedenza ho fatto riferimento? Si è intervenuti su forme importanti e su problemi importanti, con riferimento alla separazione delle funzioni, all'organizzazione delle procure, all'azione disciplinare, agli incarichi extragiudiziari ed alla formazione professionale.
PRESIDENTE. Onorevole Marotta, si avvii a concludere.
ANTONIO MAROTTA. Confrontiamoci, pertanto. Si è intervenuti su situazioni che dovevano essere affrontate.
L'ultimo riferimento - e concludo - è al Consiglio superiore della magistratura. Mi sembra che, oltre le indicazioni provenienti dal ministro, sulla sezione disciplinare sono pienamente d'accordo e mi pare...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Marotta.
ANTONIO MAROTTA. Concludo, signor Presidente. Dicevo che mi sembra che il dibattito vada nella direzione di creare una sezione disciplinare autonoma. Non mi trovo d'accordo, invece, sull'indicazione di un «doppio binario» per i procedimenti che riguardano i magistrati. Ciò lo dico correttamente e realmente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cento, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione per svolgere il suo intervento.
Prego, onorevole Cento, ha facoltà di parlare.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, userò i pochi minuti a mia disposizione per confermare il giudizio politico che i Verdi, e ritengo anche l'intero centrosinistra (considerati gli interventi degli esponenti dell'opposizione), hanno maturato con convinzione in questi cinque anni di legislatura con riferimento all'attività politica del Ministero della giustizia, del ministro Castelli e della maggioranza di centrodestra. È un giudizio politico nettamente negativo, direi fallimentare dal punto di vista degli effetti nell'ambito del rapporto esistente tra giustizia e cittadini nel nostro paese.
Ho sentito dire che una delle ragioni di tale giudizio negativo è che il centrodestra ed il ministro Castelli non hanno ottemperato alle promesse che sono state alla base del consenso elettorale del centrodestra nelle elezioni del 2001. Credo che ciò sia vero, ma solo in parte.
In realtà, il ministro Castelli ed il centrodestra hanno svolto fino in fondo gran parte del loro lavoro di demolizione del rapporto equilibrato, garantito dalla nostra Costituzione, esistente tra i diversi poteri dello Stato. In particolare, mi riferisco al rapporto che sovrintende ad una garanzia fondamentale del nostro paese, ossia quella dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Hanno compiuto fino in fondo il loro lavoro di demolizione di tale garanzia insita nel nostro sistema; il che era e rimane per il centrodestra una delle premesse dell'intervento poi messo in atto con l'insieme delle modifiche legislative portate avanti.
Se è vero che il centrosinistra nella propria azione di riforma - che dovrà sottoporre al consenso degli italiani in una prospettiva di governo - dopo il 9 aprile non dovrà rincorrere l'idea di un'abrogazione tout court di tutte le leggi del centrodestra, è altrettanto vero che, sul terreno della giustizia, qualsiasi intervento riformatore del centrosinistra non può non avere (questa, almeno, è l'opinione dei Verdi) come premessa la finalità di abrogare gli effetti devastanti che il centrodestra ha prodotto in questo settore. Mi riferisco all'ordinamento giudiziario, ma non solo. Penso anche agli effetti, che in questi giorni si stanno materialmente producendo, di una delle ultime riforme imposte dal centrodestra a questo Parlamento, ossia la legge Cirielli; penso alla seconda parte di tale legge, ai suoi effetti devastanti con riferimento all'aumento della popolazione carceraria ed alla sua capacità di perseguire i reati tipici del degrado e del disagio sociale, che hanno bisogno di risposte che non possono essere solo puramente repressive.
Vi è bisogno di risposte più complesse, che vanno dalla prevenzione sociale alla capacità di realizzare interventi di recupero e di reinserimento, in particolare con riferimento a tutta la fascia dei reati legati alla tossicodipendenze. Non ci potrà essere un nuovo codice penale, non ci potrà essere un'azione riformatrice se, nell'ambito del giudizio negativo che esprimiamo riguardo all'operato del centrodestra e del ministro Castelli in questo settore, non ci poniamo nella condizione politica di dire con chiarezza agli italiani che, ad esempio, la seconda parte della legge Cirielli va abrogata tout court, che va cancellata dal nostro ordinamento per i suoi effetti disastrosi.
Il bilancio fallimentare nasce dal fatto che questo Governo e questa maggioranza, da una parte, hanno demolito ed alterato i rapporti tra i poteri dello Stato, costruendo una legislazione che seguiva le necessità momentanee del centrodestra, e, dall'altra, niente hanno portato alla capacità di costruire un sistema di garanzie e certezze per l'insieme del rapporto tra i cittadini e la giustizia nel nostro paese.
Questo è il fallimento politico e questa è la necessità non solo di respingere e di bocciare le dichiarazioni del ministro Castelli, ma anche di una forte riforma che il centrosinistra dovrà proporre agli italiani e di cui dovrà farsi carico, se, come mi auguro, vincerà le prossime elezioni politiche (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-La Rosa nel Pugno).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo, onorevole Boccia?
ANTONIO BOCCIA. Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, ormai è un po' di tempo che il ministro Castelli ha abbandonato l'aula. Il Governo sicuramente è rappresentato, però ritengo che, avendo egli svolto una relazione, un minimo di prassi e di correttezza richiederebbero che fosse presente in quest'aula.
Non so se la Presidenza abbia notizia di situazioni particolari o eccezionali. Però, è certo che per i deputati intervenuti tale comportamento non è proprio corretto.
Mi consenta, signor Presidente, di dire che questa circostanza è ancora più grave perché proprio il ministro della giustizia, il 28 dicembre scorso, ha coperto di insulti i deputati assenti. Io non scendo a quel livello, ma mi limito a dire che non è corretto che egli sia assente in questo dibattito.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, lei stesso ha riconosciuto che il Governo è legittimamente rappresentato in quest'aula.
Lei pone un problema politico, che comprendo. Quindi, riferirò al ministro la sua richiesta. Naturalmente, il ministro deciderà come meglio ritiene. Probabilmente, è uscito un momento. Comunque, lo faremo avvertire.
DAVIDE CAPARINI. Era qui fino a cinque minuti fa...
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palma. Ne ha facoltà.
NITTO FRANCESCO PALMA. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione la relazione del ministro, così come gli interventi che si sono succeduti da parte dei colleghi dell'opposizione e della maggioranza.
La prima cosa che intendo dire è che, a mio avviso, ha ragione il ministro quando afferma che oggi si restituisce centralità al Parlamento in un settore delicatissimo, come quello della giustizia.
Oggi, dopo i malvezzi che hanno caratterizzato le celebrazioni degli ultimi anni, si parla di politica sulla giustizia nell'aula a ciò deputata. L'inaugurazione degli anni giudiziari non sarà più occasione, per i procuratori generali e per i magistrati in genere, di sconfinare dal
proprio campo ed utilizzare quell'occasione per fare ragionamenti assolutamente e squisitamente politici.
Ciò - credo lo condividiamo tutti - ha recato grave danno all'immagine di serenità, di terzietà, di imparzialità e, principalmente, di apoliticità della magistratura.
Vi sono luci e ombre, come sempre. Questa legislatura è stata caratterizzata da una grande asprezza del confronto o, meglio, del contrasto tra maggioranza ed opposizione, non solo nel settore della giustizia. Non vi è mai stato un sereno confronto. Ha ragione l'onorevole Anedda quando ricorda che nel settore della giustizia i pregiudizi ed i preconcetti dovrebbero essere messi da parte perché si dovrebbe ragionare insieme per raggiungere l'obiettivo dell'efficienza di un servizio su cui si fonda la serena convivenza civile.
Potevamo fare di più? Forse, senz'altro. Credo sia un'occasione persa, ad esempio, non essere riusciti a varare la legge delega sul codice penale, ma non ricordo che voi abbiate fatto di meglio nel passato. Il vostro progetto Grosso è rimasto lì ed è stato riutilizzato dalla commissione Nordio. Mi auguro che nella prossima legislatura, qualunque sia la maggioranza a cui verrà affidato il Governo del paese, riprenda rapidamente il lavoro della commissione Grosso e della commissione Nordio e non crei un'ulteriore commissione che ultimi il lavoro per la legge delega a fine legislatura. Dunque, proseguiremo nel tempo portandoci appresso un codice che, nella sua geniale e scientifica conformazione, è ormai non più adatto ai nostri tempi.
Avete fatto di nuovo accenno alla legge sul falso in bilancio, alla legge sulle rogatorie, alla legge sul legittimo sospetto ed all'eterogenetica legge sulla sospensione dei procedimenti per le alte cariche dello Stato. Questo è stato, sostanzialmente, negli ultimi cinque anni, il paravento dove vi siete nascosti e dietro il quale avete giustificato il vostro silenzio ed il vostro contrasto su un'attività del Governo nel settore della giustizia che - come giustamente rilevava il ministro nella sua relazione - è un'attività di tutto rispetto.
Abbiamo portato a termine la riforma del diritto societario, quella che nella precedente legislatura era partita su vostra iniziativa, ma che voi non eravate stati in grado di ultimare. Abbiamo modificato il sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. Abbiamo, ciò che voi non siete stati in grado di fare nella precedente legislatura, reso stabile il regime dell'articolo 41-bis, che prima aveva un carattere eccezionale e temporaneo. Siamo intervenuti sul codice di procedura civile; siamo intervenuti anche sulla normativa di accesso all'avvocatura cercando di eliminare le anomalie che troppo spesso ed in maniera troppo grave avevano nel passato inquinato le forme di accesso. Siamo intervenuti sull'ordinamento giudiziario.
Onorevole Cento, lei poco fa ha affermato che la nuova maggioranza - immagino che sia, nella speranza, quella che attualmente è opposizione - non dovrà demolire quanto fatto dal centrodestra, ma sicuramente dovrà ispirare, nel settore della giustizia, la propria azione a tali intenti demolitori. Onorevole Cento, la sfido oggi a vedere se nella prossima legislatura, ove mai voi doveste diventare maggioranza, toccherete l'impianto dell'ordinamento giudiziario varato da questo Governo. L'ordinamento giudiziario che abbiamo varato tende esclusivamente a rendere trasparenti tutti i momenti della vita di un magistrato, consapevoli come siamo tutti che tale trasparenza non è stata assicurata dal precedente sistema. Guardate che in questa legge sull'ordinamento giudiziario vi è un passo fondamentale quale quello concernente, ad esempio, le azioni disciplinari.
Ha ragione il ministro quando dice che è anomalo che all'interno dello stesso ordine vi sia il giudice della disciplina. Tuttavia, io credo che sia ancora più anomala una normativa sull'azione disciplinare che si ancori ad una discrezionalità dell'azione disciplinare e a fattispecie che non sono tipizzate, sicché, come troppo spesso è accaduto nel passato,
vediamo zero procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati più forti e popolari e troppi procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati meno noti, quelli che spesso voi richiamate quando parlate della magistratura come di un ordine sereno, imparziale, professionalmente elevato. Certo, la magistratura in tutti questi anni ha dimostrato di essere uno dei capisaldi di questo Stato democratico, ma all'interno di essa proprio il coacervo degli interessi correntizi che hanno trovato nel Consiglio superiore la loro massima espressione ha ridotto nell'idea della gente questa nostra grande magistratura ad essere divisa e spesso politicizzata. Infatti, non si è riusciti dall'interno stesso della magistratura ad espellere quelle voci che sicuramente portavano disdoro all'onore e al prestigio della magistratura stessa.
Noi riteniamo di avere fatto un buon lavoro, voi avete un'idea assolutamente opposta; vedremo quello che saprete fare voi se avrete la maggioranza nella prossima legislatura e, in particolare, vedremo se toccherete qualcosa, ad esempio, della riforma dell'ordinamento giudiziario.
Signor ministro, in un momento in cui non vi è una dissonanza di vedute, attesi gli accadimenti degli ultimi giorni, lei ha ragione nel toccare un tasto dolente nell'azione investigativa della magistratura e nelle anomalie che spesso la caratterizzano, le intercettazioni telefoniche. L'onorevole Fanfani ha affermato di non volere che si indebolisca un formidabile strumento investigativo, ma l'onorevole Fanfani stesso dovrebbe ricordare che al bilanciamento dei vari interessi - ad esempio, la riservatezza da un lato e dall'altro l'azione repressiva dello Stato -, che viene effettuato dalla nostra stessa Costituzione, si ispira quella norma che considera le intercettazioni telefoniche un mezzo di investigazione eccezionale, da utilizzare solo quando è assolutamente indispensabile.
Mi chiedo, al di là del risultato, perché il fine non sempre giustifica i mezzi, se davvero noi possiamo considerare normale l'utilizzo di un istituto che vede, nel 2005, oltre 100 mila utenze sotto intercettazione telefonica e quasi 300 milioni di spesa per l'adozione di questo strumento investigativo. Quante di queste intercettazioni sono utili? Quante di queste intercettazioni vengono proseguite in permanenza dei requisiti della legge? Quante di queste intercettazioni vengono concesse perché vi sono i gravi o i sufficienti indizi, a seconda del doppio regime, o perché vi è quella assoluta indispensabilità, in un caso, e quella necessità, in altro caso, che viene richiamata dalla legge?
Diciamo la verità fino in fondo; l'ha detta bene l'onorevole presidente Anedda: le indagini, le investigazioni, essendo un passaggio faticoso dell'attività di un magistrato, spesso sono messe da parte a vantaggio di scorciatoie. Che poi queste scorciatoie vadano a toccare il diritto alla riservatezza dei cittadini poco importa, così come poco importa quando, ad esempio, intercettazioni destinate a restare segrete o riservate vengono pubblicate sulla stampa, con una sola eccezione: che il clamore e «l'apriti cielo» si verifica solo quando, come negli ultimi giorni, tali intercettazioni riguardano esponenti anche autorevoli del centrosinistra.
Voi siete stati abituati a ritenere che quando la fuoriuscita di notizie, come nel caso dell'avviso di garanzia al Presidente Berlusconi, viene veicolata attraverso giornali a voi vicini è cosa legittima, come è legittimo veicolare sul giornale e rendere pubbliche le notizie riservate che riguardano esponenti che non fanno parte della vostra fazione politica. Salvo poi - ripeto - insorgere e lamentarvi quando quella prassi, che non potete più controllare, in qualche modo vi tocchi.
Sulle intercettazioni, signor ministro, bisogna intervenire sia rendendo più cogenti i requisiti di legge per la loro emissione sia creando un sistema che garantisca in maniera più seria la segretezza di ciò che segreto deve rimanere.
Inoltre, signor ministro, lei ha compiuto una meritoria opera per quanto riguarda le strutture carcerarie. Il potenziamento della disponibilità di posti è utile perché porta - diciamo così - acqua al mulino di quella qualità della vita anche
all'interno della struttura carceraria, che è sintonica con la dignità della persona umana. La sua è un'attività e un'opera difficile; proseguirà nel tempo. Certo è, signor ministro, che si è trovato di fronte ad una situazione ferma, che vedeva la classe politica precedente molto attenta, a parole, a ragionare sulle garanzie della gente, ma molto disattenta e distratta quando dalle parole bisognava passare ai fatti.
Si era attenti ai diritti degli imputati, ma poi non importava se gli imputati, una volta divenuti detenuti ed internati, avessero dovuto vivere in una situazione di totale assenza di dignità. Il sistema funzionava, la gente andava in carcere, e gli strumenti dell'amnistia e dell'indulto (prima utilizzati ben ventiquattro volte in solo quarantacinque anni e, quindi, mezzi di deflazione dei procedimenti penali e del carcere), non si potevano adoperare o comunque solo con tanti «cappi e cappiuoli» da renderli sostanzialmente inefficaci.
Dall'Unione, dai radicali ed altri, è partita una forte iniziativa per l'amnistia. Le posizioni in Parlamento erano chiare. I gruppi della Lega Nord e di Alleanza nazionale erano contrari; voi eravate favorevoli. Eppure, incredibilmente, quando è stata posta in votazione la norma sull'amnistia, qualche giorno fa, perché Forza Italia e l'UDC - come sempre - hanno confermato il loro favore per il provvedimento, siete «usciti dalla porta» con una scusa davvero risibile, dicendo che non potevate votare l'amnistia perché l'impatto sui procedimenti in corso sarebbe stato minimo. Sicché, mi permetto di dirvi, se vorrete essere consequenziali e se, per ipotesi, doveste vincere le elezioni, all'inizio della prossima legislatura varate l'amnistia con effetti molto più importanti stabilendo - magari - la data di inizio al 1o gennaio 2005! Così, nel cercare questo grande impatto vi potrete disinteressare, questa volta veramente, della sicurezza dei cittadini e degli interessi delle parti offese perché non andrete ad incidere, come nel progetto precedente, su reati commessi al massimo fino al gennaio 2001, ma su reati che in questo momento, adesso, mentre stiamo parlando, i delinquenti stanno commettendo.
Inoltre, avete parlato della cosiddetta legge Cirielli, criticando un'informazione data dal ministro.
Ministro, si prescrivono 35 mila processi in più: è un dato di una gravità inaudita, specialmente se lo si rapporta ai 150 mila procedimenti che, normalmente, senza l'intervento della legge Cirielli, si prescrivono ogni anno!
Questi 35 mila processi in più si prescrivono in ragione della legge Cirielli? Certamente! Ma sarebbero ugualmente prescritti se seguissero il loro normale corso, indipendentemente dalla legge Cirielli?
Diciamoci, allora, la verità fino in fondo: ha ragione il ministro. Invece di fare demagogia e propaganda su una cosa che tocca gli interessi dei cittadini, ragioniamo sui dati. Se si ragiona sui dati, vi renderete conto - è questa la ragione per cui non lo fate - che la vostra è solo ed esclusivamente propaganda!
Ministro, immagino che lei non abbia goduto in questi cinque anni di una grande popolarità. Non parlo dei giornali (a cui siamo abituati) che, spesso, veicolano le opinioni politiche delle parti a loro più vicine. Sicuramente lei non ha ricevuto popolarità tra i magistrati e tra gli avvocati, ma consideri ciò una medaglia al suo merito.
Quando ero uditore giudiziario, un giudice presso cui svolgevo il tirocinio mi disse: «Nitto, fai attenzione, i magistrati non devono avere popolarità. Sono quelli che il giorno di Natale entrano in casa, prendono il papà o il padrone di casa e lo portano in carcere; non sono come il medico che il giorno di Natale entra in casa per salvarlo».
Ministro, il giudice voleva dire una cosa semplicissima: quando si hanno delle responsabilità, non bisogna avere paura delle decisioni che rendono impopolari, perché toccano benefici o rendite di posizione che sono proprie delle lobby che si muovono in quel settore.
Lei lo ha fatto e questa è non solo una dimostrazione del suo coraggio, ma del senso delle istituzioni che ha dimostrato di avere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Vorrei rivolgere un saluto ai docenti ed agli studenti del liceo socio-psico-pedagogico, istituto linguistico Emanuele Gianturco di Potenza, presenti in tribuna.
Gli studenti sono impegnati nella giornata di formazione a Palazzo Montecitorio, alla quale, anche in questa legislatura, il mondo della scuola ha aderito con grande interesse, segno di rinnovata attenzione verso l'attività del Parlamento. Buon lavoro, ragazzi (Applausi)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà. Onorevole Buemi, le ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, colleghi, signor ministro, la relazione che ha letto in questa sede non è esaustiva, come affermato dalla collega del gruppo della Lega. È una relazione di una giustizia esausta ed inceppata, come esausto è il Parlamento, nel quale si è parlato per cinque anni di giustizia per poi approvare, facendo strame di principi di giustizia vera, leggi ingiuste o, nella migliore delle ipotesi, inutili. I numeri della relazione evidenziano, in maniera chiara, questo fallimento.
Oggi in Italia non vi è giustizia vera. La lentezza dei processi civili e penali, l'arretrato dei processi (8 milioni e 300 mila processi) e le prescrizioni negli ultimi cinque anni (una media di 160 mila all'anno), dimostrano che il nostro sistema giudiziario è assolutamente inefficiente. Tuttavia, il Parlamento in questi anni si è occupato di giustizia, ha discusso e ha approvato leggi quali la Cirielli, quella sul falso in bilancio, la Cirami, quella sulle rogatorie, sul legittimo sospetto e sull'inappellabilità da parte del pubblico ministero. Tutte leggi che certamente sono servite a qualcosa, ma non a realizzare nel nostro paese un sistema giudiziario che assicurasse ai cittadini - vittime o rei, innocenti o colpevoli - una vera giustizia.
Nel nostro paese continua a mancare la realizzazione effettiva dell'articolo 111 della Costituzione, che riguarda il giusto processo. Risulta completamente inattuato il principio del giudice terzo, la separazione delle carriere e la parità tra accusa e difesa rispetto agli strumenti. L'inappellabilità aggiunge a tale disparità altra disparità, ponendo in una posizione più debole il pubblico ministero nel ricorso in appello.
Si continua a non prendere in considerazione il problema della obbligatorietà dell'azione penale, principio sostanzialmente eluso e non realizzato. Esso ormai rappresenta una finzione rispetto ad una realtà completamente diversa.
Certo, in qualche occasione vi è stato un eccesso di protagonismo dei magistrati, ma anche una interferenza continua del potere politico all'interno dei processi, attraverso la modifica delle regole del gioco con riferimento a processi già in corso.
Voglio chiedere al ministro, che critica l'intervento della magistratura: quante volte ha esercitato il diritto-dovere di promuovere azione di responsabilità civile nei confronti dei magistrati? Risponda a questa domanda, signor ministro!
Inoltre, appare completamente inattuata la riforma del codice penale. È vero, sono stati realizzati alcuni risparmi in settori indispensabili per lo svolgimento dei processi, tagliando, ad esempio, i fondi per la stenotipia. Dunque, come sarà possibile svolgere i processi senza una moderna, tempestiva e puntuale modalità di verbalizzazione degli stessi?
Se il risparmio, signor ministro, vuol dire risparmiare sugli stipendi dei magistrati che non vengono reintegrati, certo in questo momento vi è risparmio nel nostro paese. Si registrano situazioni di forte carenza negli organici dei magistrati e in questo senso non si svolgono i concorsi, ma vi sono forti carenze anche nelle file del personale amministrativo, del personale
di supporto, dei cancellieri, degli ufficiali giudiziari. E, anche in questo caso, non si svolgono i concorsi o si bloccano quelli già espletati. E ci si chiede perché i processi sono lenti! Sono lenti perché vi è una strategia di rallentamento dei processi, perché non si vogliono amnistia e indulto, ma si accetta in maniera silenziosa e irresponsabile una amnistia surrettizia in base alla quale 160 mila processi vengono prescritti per decorrenza dei termini!
ENRICO BUEMI. Inoltre, non si registra quasi nessuna attività seria per quanto concerne la rieducazione dei condannati. La pena non è in grado di perseguire la sua finalità principale, quella della rieducazione del condannato.
In particolare, nelle carceri ozio e depressione sono protagonisti, mentre meno del 10 per cento della popolazione carceraria viene sottoposto a una vera attività di rieducazione. Per chi non ha molta dimestichezza con i numeri ciò vuol dire, signor ministro, che il 90 per cento dei detenuti esce dal carcere in una condizione peggiore di quella in cui è entrato, contrariamente a ciò che lei intende realizzare con la costruzione di nuove carceri, che, nella migliore delle ipotesi, arriveranno fra dieci anni. Ci deve dunque spiegare come potrà gestire l'incremento di detenzione che già è in atto e di cui si prevede un'ulteriore crescita con i provvedimenti irresponsabili che avete approvato.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, i cittadini, innocenti o colpevoli, vittime o rei, non possono essere soddisfatti di uno Stato che non rispetta in primo luogo le leggi fondamentali che si è dato, di una giustizia che arriva tardi, nella migliore delle ipotesi, e a volte non arriva mai, a causa della prescrizione, di condanne che non raggiungono l'obiettivo per cui sono emesse, di processi e di sentenze che non risarciscono i danni e che arrivano troppo tardi per essere considerate giuste.
Questo è lo stato della giustizia che lei ci consegna con questa relazione, e sull'operato di questi cinque anni il giudizio della Rosa nel Pugno non può che essere negativo e sconfortato (Applausi dei deputati del gruppo Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, signor ministro, ascoltata la sua relazione, debbo francamente dirle che ancora una volta mi sono rallegrato che la giustizia amministrativa, alla quale, per ragioni professionali, sono più vicino, sia sottratta alla sua competenza.
Lei ha svolto una relazione che, devo dire, rispetto ad altri suoi interventi, è più razionale. Alla fine della sua relazione lei afferma che chi verrà nella prossima legislatura - naturalmente mi auguro che nella prossima legislatura venga un Governo di centrosinistra - dovrà pur garantire qualche elemento di continuità. Ed è vero, perché quando lei sostiene che dovremo continuare a mettere mano alla riforma del diritto societario, alle procedure concorsuali, alle modifiche al codice di procedura civile, sarebbe da sprovveduti risponderle che dobbiamo rompere completamente con tutto quello che c'è stato, perché qualcosa da salvare c'è. Tuttavia, lo avete rovinato, perché, ad esempio, la riforma del diritto societario, predisposta nella scorsa legislatura dall'allora sottosegretario, professor Mirone, era certamente migliore di quella, molto confusa, che è stata proposta ora.
Ma non è questo il problema. Infatti, signor ministro, il giudizio negativo sul suo operato non nasce tanto dalle cose che ella ha detto, anche se le cose che ella ha detto sono sufficienti per esprimere un giudizio negativo - pacato, ma negativo -, ma soprattutto dalle cose che ella ha taciuto. Ella non ha detto quali sono state le leggi sulle quali c'è stata bagarre, c'è stata battaglia in Parlamento. Non ci ha parlato dell'abolizione del falso in bilancio. Nulla
ci ha detto sulle rogatorie. Nulla ci ha detto sulle conseguenze, in ordine alle prescrizioni, della cosiddetta legge ex Cirielli. Nulla ci ha detto sulla questione che tanto appassiona i cultori del diritto processuale penale, vale a dire l'impossibilità per il pubblico ministero di impugnare in appello le pronunce di assoluzione in primo grado. Questi sono i problemi che avete trattato.
Di queste cose nella sua relazione non vi è traccia; di tutte queste leggi ad personam, anche se poi nei risultati non sono state così favorevoli per chi le ha volute - forse per disegno della sorte o per merito dei magistrati -, non vi è traccia.
Parliamo, allora, di quello che c'è nella sua relazione. Nella sua relazione c'è un'esaltazione della riforma dell'ordinamento giudiziario. In quest'aula, ho avuto l'onore di parlare a nome di tutti i gruppi dell'Unione contro la legge di riforma dell'ordinamento giudiziario e in quella occasione mi ero permesso di rilevare che non si trattava di un intervento di diritto sostanziale, in quanto l'ordinamento giudiziario ha una funzione servente per il migliore esercizio dell'attività della giurisdizione ordinaria. Abbiamo detto allora, e lo ripetiamo oggi, pur senza ripercorrere, per ragioni di tempo, tutti i vari passaggi, che la riforma dell'ordinamento giudiziario complica le cose e non le risolve. Con questo sistema di concorsi a catena, se tutti i giudici sono impegnati - ripeto una battuta fatta allora - non sapremo chi è in grado di stilare sentenze, perché una parte sarà soggetta a valutazione e un'altra comporrà le commissioni che queste valutazioni operano.
Tuttavia, quello che non è seriamente concepibile, signor ministro, è che si possa pensare ad una riforma della giustizia contro i giudici. Io non sono assolutamente - del resto, faccio l'avvocato - nella condizione di sostenere che i giudici hanno sempre ragione: che talvolta qualche giudice possa avere un eccesso di protagonismo o che l'Associazione nazionale dei magistrati possa avere ecceduto nella difesa del corporativismo - la categoria dei professori universitari ordinari, a cui appartengo, ha perso credibilità proprio perché la difesa della corporazione ci ha portato a non sapere escludere qualche volta le «pecore nere» - è comprensibile, perché ciò si verifica in tutte le aree dove esiste una corporazione chiusa, ma - ripeto - non si può pensare di procedere ad una riforma della giustizia contro i giudici. La tesi di volere esautorare il Consiglio superiore della magistratura del potere disciplinare per conferirla ad una authority contrasta radicalmente con i principi dello stato di diritto, a meno che, come pare evincersi dalla sua formulazione, non la si voglia considerare una barzelletta.
Ho l'impressione, quindi, che il giudizio sulla sua relazione debba essere negativo, un po' meno negativo di quello che riguarda invece l'operato del Ministero sotto la sua direzione, perché le cose più gravi nella sua relazione non compaiono. Per queste ragioni, il giudizio del nostro gruppo è negativo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, signori del Governo, gli interventi dei colleghi del centrosinistra che mi hanno preceduto mi esimono dal riproporre una serie di argomenti già richiamati con grande cura e precisione. Vorrei parlare a lei, ministro Castelli, operando non una finzione, ma adottando uno schema di ragionamento che tenga conto esclusivamente del suo operato. Voglio cioè scindere la valutazione sul lavoro di questi cinque anni da una serie di elementi che pure sarebbero necessari per contribuire ad una valutazione di insieme dell'operato della maggioranza e del Governo, ossia gli elementi su cui si sono soffermati altri colleghi, con riferimento a quelle leggi concepite, in sede parlamentare che hanno poi portato una serie di vantaggi per qualcuno e ad una serie di guasti per tutto l'ordinamento.
Perché, signor ministro, prendo a riferimento esclusivamente il suo operato e la sua relazione, che è estremamente reticente sulle parti cui facevo riferimento prima? Per la semplice ragione che trovo assai singolare il modo in cui lei ha predisposto questa relazione e molte delle osservazioni che in tale documento sono contenute.
ANNA FINOCCHIARO. Inizio dall'incipit di quella relazione. Le prime pagine sono dedicate, ovviamente in maniera frettolosa perché capisco che lei non volesse affliggere il Parlamento con un tomo, al tema del perturbato equilibrio tra i poteri dello Stato. Da esse emerge con grande forza un'idea, forse due. La prima è quella che doveva sostenere, come asse teorico essenziale, la riforma dell'ordinamento giudiziario, la necessità cioè che venisse espropriato il Consiglio superiore della magistratura da molti compiti e che, per la prima volta, inopinatamente e fuori di ogni quadro costituzionale, al ministro della giustizia venissero attribuiti compiti di polizia giudiziaria. Su questo aspetto, com'è noto, è intervenuto il richiamo del Presidente della Repubblica.
Ora, se nella lettera del testo questo rischio è stato in gran parte arginato, certamente non è stata arginata, nella sua concezione, la filosofia di fondo che lo sosteneva e cioè che è il ministro della giustizia che deve esercitare compiti di politica giudiziaria e deve, in qualche modo, rendere vivo un principio che lei, signor ministro, cita, scisso da ogni dato costituzionale, proprio all'inizio della sua relazione quando dice: state attenti, la sovranità appartiene al popolo, sia pure con le forme e con i limiti dettati dalla Costituzione. Questo principio è citato più volte nella sua relazione e lei su di esso si sofferma.
Si rinviene, quindi, intatta un'idea, che per tanto tempo ha serpeggiato nel dibattito politico nel corso di questi cinque anni di legislatura, che ritengo sbagliata. Si tratta dell'idea, che poi ha sostenuto anche una riforma voluta dalla sua maggioranza, che il popolo, e chi da quest'ultimo è designato, è sottratto al controllo e che l'unico controllo che può essere esercitato è quello operato dal popolo. Liberi di pensare come volete. La pensavano così anche molti studiosi alla fine del Romanticismo e furono quelli che supportarono, sotto il profilo teorico, la nascita, ad esempio, della base teoretica del nazismo, del nazionalsocialismo. Tuttavia, non è possibile sostenere, tanto meno in una relazione al Parlamento, di poggiare la propria inclinazione verso questo modello soltanto su un comma estrapolato dall'articolo 1 della Costituzione dimenticando però sia l'articolo 101, in base al quale la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti solo alla legge, sia, soprattutto, l'articolo 110, dal quale si evince che spettano al ministro della giustizia l'organizzazione, il funzionamento e i servizi relativi alla giustizia.
Che la riforma dell'ordinamento giudiziario, approvata dal Parlamento, abbia un rilievo di natura costituzionale è lecito trarlo, prima ancora dalle autorevoli parole del Presidente della Repubblica, dalla stessa lettera delle disposizioni transitorie alla Costituzione. Difatti, un minimo di sobria attività interpretativa fa comprendere che per essere legge, citata nelle disposizioni transitorie, essa, sia pure non sotto il profilo formale, ha un rilievo di natura costituzionale.
Ciò detto, a lei, signor ministro, spettava l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, mentre il resto non era compito suo. Magari le sarebbe toccato governare questa partita, questa materia essenziale per la competitività del paese, e governarla magari secondo i proponimenti fatti all'inizio della legislatura e con qualche mistificazione in meno: tra queste ultime, faccio riferimento, in particolare, ad una. Signor ministro, ricordo bene l'intervento da lei svolto in Commissione giustizia quando
venne per la prima volta, in maniera un po' riluttante, a presentare il programma del suo dicastero.
Ci annunciò che, nel corso della legislatura, avrebbe varato la riforma del codice civile, del codice di procedura civile, del codice penale e del codice di procedura penale (ce lo ricordava poc'anzi il collega Fanfani). Fortunatamente, non abbiamo preso sul serio l'annuncio, di talché possiamo non prendere sul serio anche il fatto che, ovviamente, di tutto ciò non vi sia traccia alcuna nel resoconto dell'attività di questi cinque anni!
Governare, come dicevo, è arte complessa: lei lo sa bene, signor ministro. Ora le dico con franchezza cosa si pensa leggendo la sua relazione (forse, io la leggo con maggiore avvedutezza, essendomi occupata per molti anni, in quest'aula, insieme ad altri colleghi, proprio delle materie in essa trattate).
Io penso che non faccia una buona impressione, signor ministro, il fatto che lei dica di avere governato solo contro tutti. Ma insomma! Qui si approvavano le «leggi vergogna» e a lei non dicevano niente! Gli avvocati erano scontenti; i magistrati erano scontenti; il personale giudiziario era scontento; il CSM era scontento; la Corte di cassazione era scontenta; la dottrina era scontenta; e lei era solo contro tutti!
Lo sa che lei ha un'idea molto singolare del Governo, signor ministro? Probabilmente, ha un'idea particolare della fermezza delle proprie idee e dei propri convincimenti. Ma sa, signor ministro, se non si traduce in atti concreti che modificano la realtà, che - come dire? - producono risultati, giusti o sbagliati, criticabili o non criticabili, tale fermezza può generare un apprezzamento di natura solipsistica, ma non serve al paese ... Da questo punto di vista - lei sa che il nostro rapporto è stato molto civile, ma il rapporto personale è una cosa, il rapporto politico un'altra - io non credo affatto che lei sia stato un buon ministro della giustizia!
Trascuro una parte della relazione che pure mi ha intrigato. Come mai su venticinque pagine di relazione se ne dedicano due alle intercettazioni telefoniche? Potrebbe anche essere umoristica la cosa, visti i tempi che corrono e visto l'uso abbastanza spregiudicato che se ne sta facendo in campagna elettorale, in favore di una parte politica e in danno di un'altra ... Tuttavia - come dire? - io penso che la mia curiosità sarà presto soddisfatta.
Infine, arriva la sua diagnosi: inadeguatezza delle risorse, scarsa efficienza e normativa obsoleta sono le tre ragioni dell'insoddisfacente funzionamento della giustizia italiana alle quali lei perviene, signor ministro, alla fine dei cinque anni. Signor ministro, non ci volevano cinque anni per arrivare alla conclusione che la crisi della giustizia italiana è determinata da inadeguatezza delle risorse, da scarsa efficienza e dalla normativa obsoleta! Se avesse ascoltato, almeno un poco, ciò che veniva detto in queste aule e fuori, forse ci saremmo arrivati un po' prima e lei avrebbe guadagnato un bel po' di tempo ...!
La fase degli impegni - l'ha già detto l'onorevole Pisapia - mi pare francamente fumosa, piena di buoni proponimenti. Le dico solo questo: mi sarebbe bastato che, in questa legislatura, come lei, peraltro, si ripromette di fare nella prossima, avessimo assunto in servizio quei famosi mille magistrati di cui alla cosiddetta legge Fassino (vi erano già la copertura finanziaria ed il regolamento). Invece, ancora non ci siamo!
Trovo abbastanza bizzarro che, di fronte ad una mancanza di organico del personale amministrativo pari a 5 mila unità, lei dica che bisogna ridurre le unità di personale amministrativo, perché ciò significa dare una mano al contenimento della spesa pubblica. Non solo: indicandolo come un risultato, afferma di averle già diminuite! Ma ce ne siamo accorti che le ha già diminuite! Ci siamo accorti, ad esempio, che le udienze finiscono all'una, perché non ci sono i soldi per lo straordinario! Ci siamo accorti, ad esempio, che gran parte delle disfunzioni degli uffici giudiziari è dovuta al fatto che manca il personale! Ci siamo accorti - me ne sono
accorta io, ma immagino che se ne sia accorto a maggior ragione lei ... - che le richieste provenienti dagli uffici giudiziari, i quali hanno fame di personale in grado di consentire lo svolgimento dell'ordinario lavoro d'ufficio, a cominciare dalle udienze, sono sempre più numerose e sempre più pressanti!
In tutto questo, mi lasci dire una cosa, signor ministro: non è vero che l'opposizione, come ha sostenuto anche l'onorevole Marotta, è stata assolutamente arroccata in un pregiudiziale contrasto ad ogni iniziativa. Certo, confesso che le «leggi vergogna» non ci sono piaciute! Debbo aggiungere, però, che ogni volta abbiamo ragionato di possibili alternative. Inoltre, abbiamo anche tentato di dimostrare che tali leggi, guardate sotto un profilo diverso da quello della loro idoneità a sanare un particolare processo, determinavano, in realtà, uno sconquasso nel resto dell'ordinamento. Questa era una preoccupazione di ordine generale. Perché non ci ha ascoltato, signor ministro? Eppure, io ricordo che, nel corso della precedente legislatura, numerose riforme sono state proposte dal centrosinistra. Numerose, onorevole Marotta, onorevole Palma, ministro Castelli! Ne ho citato un piccolissimo elenco che, però, è già un lunghissimo elenco! Lo vogliamo ripercorre insieme? Lo ha già fatto l'onorevole Pisapia. Quelle riforme sono state approvate con una larghissima maggioranza, se non all'unanimità. Ciò mi fa ritenere che quelle numerose riforme, alcune delle quali di carattere strutturale, trovavano nell'attuale maggioranza ascolto e ne era condiviso il fine generale. Ovviamente, è probabile che alcune di esse fossero perfettibili - non ne dubito in alcun modo - ma, probabilmente, se avessimo continuato quel processo riformatore il paese si sarebbe trovato in migliori condizioni, la giustizia avrebbe funzionato meglio e lei, signor ministro, avrebbe fatto una miglior figura.
Voglio limitarmi - per rispondere all'onorevole Marotta - soltanto ad una questione, quella relativa alla famosa riforma del processo civile. Onorevole Marotta, ciascuno di noi sa bene che non basta riformare il processo civile per rendere possibile l'esaurimento del contenzioso civile, che è elevatissimo, come afferma il ministro, poiché siamo uno dei paesi più litigiosi al mondo. Molte sono le cause che a ciò contribuiscono. Nel corso della presente legislatura, attraverso le proposte di legge che noi abbiamo depositato in Parlamento, alcune delle quali sono già in discussione, ritengo che avremmo potuto introdurre una serie di strumenti di risoluzione delle controversie (l'onorevole Bonito, più volte, ci ha intrattenuto su questo) diversi dagli arbitrati, che sono per la gente ricca. Per la gente normale, avremmo potuto introdurre le class action, ad esempio, che sono uno strumento essenziale per tutelare interessi identici di soggetti coinvolti nello stesso fatto dal quale derivano richieste risarcitorie. Pensate: su questo c'era stata una buona possibilità di ragionamento, nel momento in cui (cito un episodio che, in questi giorni concitati, è stato sempre pretermesso) abbiamo deciso delle decine di migliaia di controversie che nel paese si erano accese, a seguito - come ricorderete - del famoso rimborso di 43 euro, al quale gli italiani contraenti una polizza per responsabilità civile automobilistica avevano diritto, da parte delle assicurazioni italiane, Unipol compresa, in virtù di una decisione intervenuta a livello europeo. Sappiamo che quelle decine di migliaia di procedimenti erano stai affidati, come è giusto e normale, alla soluzione di tipo giudiziario.
La maggioranza impose una soluzione tale per cui la competenza a giudicare era trasferita dal giudice di pace al tribunale, in modo da dare luogo anche all'eventuale giudizio di appello (per 43 euro!). Peraltro, ciò implicava che le decine di migliaia di assicurati italiani avrebbero dovuto rivolgersi ad un avvocato. Non a caso uso il condizionale perché, di fatto, per 43 euro, moltissimi rinunciarono.
Quella fu un'occasione nella quale il Governo avrebbe potuto dimostrare la propria volontà di andare in fondo ad una questione che rappresentava una delle
ostruzioni nel disbrigo delle cause civili, peraltro di modestissimo ammontare e di facilissima soluzione.
Ebbene, in quel caso, piuttosto che ragionare sulle class action, la sua maggioranza ed, addirittura, il Governo (infatti, fu un decreto a risolvere la questione) decisero che bisognava fare in modo che le assicurazioni evitassero questo esborso e che i cittadini, che già una volta erano stati gabbati, continuassero ad essere gabbati e affrontassero la spesa di un legale e di un giudizio di primo e secondo grado, se non, addirittura, di un giudizio di Cassazione. Lo dico, onorevole Marotta, perché i fatti, spesso, sono assai più testardi delle opinioni e delle insinuazioni.
Avremmo potuto approvare, per esempio, il provvedimento che riguarda le camere di conciliazione. In una parola, avremmo potuto ragionare su un complesso di strumenti che sollevassero i giudici civili da una serie di controversie e, soprattutto, sollevassero i cittadini dal dilemma di dovere affrontare anni di contenzioso e spese legali per ottenere la soddisfazione di un diritto; e nessuno di noi, dall'esterno, è in grado di affermare se, per quel soggetto, quel diritto sia importante o meno.
Ma di ciò, naturalmente, non vi è traccia alcuna.
Lei si vanta della riforma del codice di procedura civile; le posso obiettare che tale riforma riporta indietro le lancette del nostro codice all'epoca post-unitaria; osservo anche che la stessa operazione è stata compiuta con l'altra riforma della quale lei si vanta, ovvero quella del processo societario. Mentre, per quanto riguarda il regime societario, avete giustamente copiato la nostra proposta dello scorso anno - e vi è andata bene, perché era di qualità e su di essa si registravano ampi consensi da parte dei soggetti interessati -, per quanto concerne il processo societario, con una violazione della legge delega, si è introdotto un meccanismo, modulato sul progetto Vaccarella e con una gestione diretta dell'avvocatura nei processi, che ormai registra una serie di critiche che provengono da moltissimi convegni e da tutti gli esperti del settore.
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro...
ANNA FINOCCHIARO. Tralascio le osservazioni sul «proditorio agguato» che sarebbe conseguente ad un voto segreto: quest'ultimo, quando vi conviene, è uno strumento di garanzia; quando non vi contiene, invece, dà luogo a «proditori agguati». Dico piuttosto, signor ministro, che il vostro consuntivo è francamente ridicolo. Avrei preferito che lei si occupasse meno di intercettazioni telefoniche e assai più di finanziaria; noto la finezza di aver citato il dato del 1996 e poi quello del 2005, saltando tutti gli anni intermedi che avevano registrato, durante i Governi di centrosinistra, un serio - e mai riscontrato, né prima, né dopo, evidentemente! - stanziamento a favore della giustizia.
Noto che lei continua a compiacersi della sua solitudine eburnea. Sono convinta che lei lascia la giustizia italiana in uno stato assai peggiore di quello in cui l'ha trovata. Ha interrotto un processo riformatore.
Osservo soltanto che sul processo penale lei fa alcune affermazioni a mio avviso incomprensibili perché incompatibili con quanto è avvenuto. Osservo solo questo: lei dichiara che con le norme sulla prescrizione recate dalla legge ex Cirielli vi sarebbero 35 mila nuove prescrizioni.
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro, si avvii a concludere!
ANNA FINOCCHIARO. Concludo, signor Presidente. Ebbene, ha ragione l'onorevole Nitto Palma: cosa sono 35 mila di fronte a 150 mila? Ma allora, fatemi capire quale sia la ragione di accorciare, da una parte, i tempi della prescrizione e, dall'altra, di allungare i tempi del processo, per esempio attribuendo alla Cassazione il terzo grado di merito.
Insomma, signor ministro, ritengo che lei abbia avuto in questi cinque anni le idee molto confuse; i suoi colleghi della maggioranza le hanno avute più chiare: alcuni
obiettivi topici li hanno raggiunti. Il fatto è che la giustizia, in questo paese, sta male, malissimo; ma, soprattutto, stanno male i diritti dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del ministro della giustizia.
Desidero rivolgere un saluto al presidente del Parlamento della Bulgaria, signor Georgi Pirinski, presente in tribuna (Applausi).
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