Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 722 del 20/12/2005
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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3613 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (Approvato dal Senato) (A.C. 6177 ) (ore 9,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2006).
Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l'esame degli ordini del giorno.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 6177 )

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Detomas. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, intervengo per ribadire e ripetere sostanzialmente le riflessioni che aveva già fatto il collega Zeller in merito a questa legge finanziaria, aggiungendo però anche qualche particolare inedito che, in qualche modo, getta delle ombre inquietanti sull'iter di approvazione della legge finanziaria che era già stato oggetto delle critiche dell'onorevole Zeller e, naturalmente, anche delle prese di posizione preoccupate da parte del Presidente della Camera.
Il fatto che nell'iter di approvazione della legge finanziaria si voglia estromettere il Parlamento, ponendo ancora una volta la fiducia per evitare che quest'ultimo entri nel merito delle questioni, è una cosa molto preoccupante. Tuttavia, ciò che mi preoccupa ancor di più e che mi fa richiedere formalmente un intervento da parte della Presidenza della Camera per tutelare la dignità del Parlamento e dei parlamentari è una dichiarazione del presidente della regione Veneto, resa ad un quotidiano locale: in essa lo stesso si vanta di essere intervenuto nell'iter di approvazione della finanziaria, affermando di avere insieme ad altri - non so di chi si tratti - occultato parte della finanziaria, cioè di averla tenuta nascosta perché non ci potesse essere alcuna discussione né alcuna presa di posizione. Da questa intervista, che ritengo gravissima perché a mio parere apre un conflitto anche tra poteri dello Stato ed istituzioni, Galan, relativamente al comma 502 della finanziaria dice: «Così ho tolto 40 milioni a Dellai e Durni. Blitz in finanziaria sui fondi di solidarietà - quei soldi erano destinati al Trentino-Alto Adige - si tratta di un emendamento alla finanziaria, abbiamo fatto di tutto per tenerlo occulto»
Se fosse vero che non soltanto il Governo tiene occultato il contenuto del disegno di legge finanziaria ma che a questo partecipano anche i presidenti delle regioni, per fare in modo di sottrarre ai bilanci regionali alcuni fondi e stanziamenti, ritengo che ciò sarebbe gravissimo. Non credo si possa rimanere a guardare senza reagire. Chiedo che il Presidente della Camera pronunci una parola di chiarezza sul metodo e anche sulle ingerenze nei lavori del Parlamento da parte di alcuni presidenti di regione.


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Ribadisco ancora alcuni temi concernenti il merito del disegno di legge finanziaria, sempre con riguardo a questioni che interessano da vicino le regioni a statuto speciale. Naturalmente, il mio è un intervento di carattere settoriale ma so che, successivamente, saranno svolti altri interventi che riguarderanno il complesso del disegno di legge in esame, che noi non condividiamo affatto. Voglio ricordare che, anche dal punto di vista tecnico, è stata redatta una normativa difficilmente interpretabile e nella quale sono contenute alcune norme che non aiutano assolutamente a fare chiarezza anche per quanto riguarda il patto di stabilità interno.
Si ribadisce che le regioni a statuto speciale beneficiano di un regime diverso rispetto alle regioni a statuto ordinario, nel senso che non sono oggetto del patto di stabilità e delle regole rigide previste nei commi relativi a tale patto, e che la procedura che le riguarda si rifà ad un regime pattizio. Naturalmente, questo regime pattizio è confermato dal disegno di legge finanziaria e anche indirettamente si capisce che il patto di stabilità non è applicabile, perché al comma 24 dell'articolo unico si ribadisce la previsione di due regimi diversi. Peraltro, c'è qualche riferimento che, in qualche modo, rende ambiguo questo disposto. Abbiamo provato ad emendarlo, naturalmente per renderlo più chiaro, ma il nostro emendamento non è stato accolto, proprio perché, probabilmente, si voleva mantenere una sorta di ambiguità in merito all'applicabilità del patto di stabilità interno.
Quanto al fondo nazionale per la montagna, esso è stato finanziato con 20 milioni di euro. Naturalmente, un intervento di questa entità è puramente demagogico, in quanto la montagna avrebbe bisogno di ben altro che di una misera elemosina di 20 milioni di euro.
Altro elemento che, secondo noi, rappresenta una gravissima ingerenza ed un gravissimo vulnus alle competenze legislative previste dallo statuto di autonomia è la disciplina prevista per le concessioni idroelettriche. Infatti, si stabilisce per legge una proroga decennale per tutte le concessioni, anche per quelle in scadenza e per quelle sulle quali le province di Trento e di Bolzano hanno già avviato le procedure concorsuali per il loro rinnovo, applicando i principi previsti dagli ordinamenti comunitario e nazionale, nel senso di tenere nella massima considerazione le regole di mercato e la parità di accesso alle concessioni. Ebbene, le procedure già avviate sarebbero travolte da detta norma, che riteniamo - e sicuramente lo è - incostituzionale e che ci costringe ad attivare un procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, affinché ne sia formalmente dichiarata la incostituzionalità.
Tornando alla questione, che ricordavo in precedenza, oggetto dell'intervento del presidente Galan, ricordo che c'è un'altra norma la quale, oltre a rasentare il ridicolo, è evidentemente incostituzionale. Mi riferisco alla norma che assegna fondi ad alcuni comuni soltanto per il fatto di essere confinanti con la regione Trentino-Alto Adige. Questa norma è incostituzionale e, comunque, assolutamente inefficace, sia perché formulata in modo da suscitare perplessità, sia per l'entità della somma di cui beneficierebbero i comuni confinanti.
Il problema è che questa norma, siccome non serve assolutamente a nulla, persegue l'unico obiettivo di gettare discredito sulle istituzioni e sulla regione Trentino-Alto Adige, il che, a mio giudizio, è gravissimo; anche in tal caso, infatti, dovremmo prevedere un intervento della Corte costituzionale al riguardo. A mio avviso, agire provocando conflitti tra le istituzioni è sintomo di un modo irresponsabile di considerare i rapporti tra le stesse e, in ogni caso, un modo non corretto di interpretare la legge finanziaria, che dovrebbe, invece, perseguire altri fini ed altri obiettivi: le esigenze, le urgenze ed i bisogni di questo paese meritano, a mio avviso, attenzioni diverse, e non siffatti interventi, che hanno tutt'altre finalità.
Nell'annunciare il voto contrario della componente Minoranze linguistiche del gruppo Misto, debbo altresì aggiungere


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come, a tale scelta di voto contrario, si accompagni la preoccupazione per un paese che avrebbe bisogno di altri approcci ed i cui problemi, seri, meriterebbero una considerazione diversa e, per quanto riguarda l'approvazione della legge finanziaria, anche una procedura differente: mi auguro che il Parlamento sappia riaffermare la sua dignità anche intervenendo sulle questioni di cui parlavo all'inizio del mio intervento.
Ribadisco, dunque, che la nostra componente del gruppo Misto esprimerà un voto contrario sul provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, l'Italia, ormai da tempo, attraversa una difficile congiuntura economica, con una grave crisi nei settori produttivi e trainanti del paese, nell'agricoltura, nell'industria e nel commercio, con ripercussioni sociali per l'occupazione, specie al sud. Una preoccupante condizione che avrebbe dovuto portare il Governo e la maggioranza di centrodestra a varare una legge finanziaria capace di incidere nella soluzione dei problemi del paese, con una indicazione delle priorità e delle iniziative di prospettiva. La legge finanziaria per il 2006 è, invece, un provvedimento per nulla collegato alle questioni vere del paese; ha, anzi, tutte le carte in regola per essere classificata la peggiore legge finanziaria partorita dal Governo Berlusconi e dalla maggioranza di centrodestra. Infatti, mai come quest'anno, abbiamo assistito ad una gestione contraddittoria e confusa dell'importante provvedimento da cui dipende larga parte delle sorti della comunità e dei cittadini.
Il Governo ha varato la legge finanziaria il 30 settembre e ha poi approntato, ad ottobre, due interventi correttivi di urgenza; infine, nei mesi di novembre e dicembre, si è lavorato in Parlamento. In questi giorni, dopo un lungo e travagliato parto, il Governo ha presentato un maxiemendamento che, di fatto, ha stravolto tutto il lavoro che era stato portato avanti; si è trattato di un percorso, quindi, poco rispettoso del Parlamento: è mancata la possibilità di approfondire il citato maxiemendamento e, soprattutto, la maggioranza ha voluto ancora una volta mostrare i muscoli e andare avanti da sola nelle scelte importanti per tutta la comunità.
I limiti di tempo fissati per le dichiarazioni di voto non ci permettono di effettuare una valutazione compiuta; tratteremo però alcuni aspetti che appaiono più contraddittori e negativi per la comunità. Vogliamo partire anzitutto dalla riduzione delle risorse per le regioni e gli enti locali, le cui conseguenze sono chiare e consisteranno nel ridimensionamento dei servizi legati ai diritti di cittadinanza e nell'indebolimento della sfera di protezione sociale.
Consideriamo queste scelte negative per il nostro territorio. Se ad esse aggiungiamo la riduzione del 50 per cento del fondo per le politiche sociali, il sottofinanziamento di 5 miliardi di euro del fondo sanitario nazionale, l'assoluta assenza di interventi per affrontare il problema della non autosufficienza, la mancanza di investimenti per la sanità nel Mezzogiorno, con amarezza dobbiamo, purtroppo, affermare che la protezione sociale, per questo Governo, non è una priorità; anzi, è l'ultimo degli interessi.
L'onorevole Castagnetti ha riproposto nei giorni scorsi, nel corso di un intervento svolto proprio in quest'aula, il tema dell'esclusione sociale, riprendendo dati significativi dell'ISTAT sull'aumento degli emarginati e delle persone in difficoltà nel nostro paese.
Il disegno di legge finanziaria in esame non mette in campo alcuna iniziativa in tal senso. Non sono previste, infatti, né nuove misure, né quelle vecchie, vale a dire quelle che avevano prodotto alcuni risultati: mi riferisco, ad esempio, al reddito minimo di inserimento. Il rischio è che continueranno ad avere difficoltà numerosi cittadini, i quali si troveranno in condizioni di esclusione sociale; allo stesso


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modo, avranno maggiori problemi le aree deboli del paese, in modo, particolare il Mezzogiorno.
Non è difficile ricordare le numerose promesse «pirotecniche», come la distribuzione delle risorse individuate subito dopo la nascita del Governo Berlusconi-bis. Vorrei ricordare, a tale riguardo, la «fantasmagorica» possibilità di concedere una fiscalità di vantaggio, da contrattare in sede europea, al Mezzogiorno.
Ebbene, non vi è stato nulla di tutto ciò! Di fronte al «fuoco» delle numerose dichiarazioni, rese dai ministri e dall'onorevole Micciché, abbiamo riscontrato un'azione molto modesta nell'ambito del disegno di legge finanziaria in esame. Ricordo, a tale riguardo, che abbiamo proposto di ripristinare meccanismi di finanziamento che, negli anni scorsi, avevano offerto risposte importanti, come il credito d'imposta ed il bonus per l'occupazione, per giungere a quella fiscalità di vantaggio che abbiamo già avuto e che ha prodotto risultati.
Ebbene, non abbiamo ottenuto né la promessa di una nuova fiscalità di vantaggio, né il mantenimento di alcuni interventi che, negli anni scorsi, con i Governi di centrosinistra, avevano centrato significativi obiettivi. Anzi, vorrei rilevare che la maggioranza ha operato una scelta irresponsabile ed inaccettabile, decidendo di bloccare anche l'utilizzo dei fondi strutturali europei per le aree obiettivo 1.
Vorrei osservare che, da un lato, il Presidente del Consiglio ha esaltato i risultati ottenuti, in sede europea, sul bilancio comunitario, ma si tratta di un'esaltazione fuori luogo, visto che si giungerà alla riduzione certa dei fondi strutturali; dall'altro lato, irresponsabilmente, sono stati spostati al 2009, dal ministro Tremonti, i circa 15 miliardi di euro destinati a cofinanziare gli interventi sostenuti dai citati fondi strutturali.
Il 2009 è fuori tempo massimo, visto che il Quadro comunitario di sostegno in corso impone di completare entro il 2008 i pagamenti. Nel 2006, l'amministrazione pubblica, per far fronte agli impegni, potrà contare sui residui degli anni precedenti, tuttavia, una volta esauriti tali residui, si dovrà necessariamente far ricorso ai citati 15 miliardi con un'immediata anticipazione, altrimenti si perderanno immediatamente i fondi europei.
Insomma, si tratta di un'altra «polpetta avvelenata» per il Mezzogiorno, che rischia di vedere aumentare il proprio divario con il resto del paese e con l'Europa. Lo diciamo da tempo, con rabbia, da soli ed inascoltati: il Mezzogiorno è in grave difficoltà! Esso soffre di gravi problemi nell'industria (dove numerose aziende sono state costrette a chiudere ed a licenziare i lavoratori) e nell'agricoltura, che non ha mai penato come in questi anni. In quest'ultimo periodo, infatti, si è registrato un aggravamento della crisi di tale settore e le leggi varate dalla maggioranza di centrodestra sono rimaste inapplicate, oltre a rivelarsi inadeguate: mi riferisco al provvedimento cosiddetto omnibus ed alla legge di mercato. Insomma, nulla è stato seriamente realizzato a favore dell'agricoltura.
A pagare sono tutte le componenti della filiera alimentare. I produttori sono stanchi e sfiduciati, poiché non vi è stata alcuna politica di sostegno. Ricordo che in tanti hanno abbandonato le coltivazioni, con le conseguenze economiche, sociali ed ambientali che più volte abbiamo evidenziato, quali la perdita di produzione, di posti di lavoro e di protezione ambientale.
A pagare le difficoltà del settore, tuttavia, sono stati anche i commercianti: infatti, era stato promesso loro un condono per chiudere i debiti con gli enti previdenziali, ma sono stati, ancora una volta, delusi. A pagare il prezzo più alto è anche l'anello più debole della catena agricola: mi riferisco ai braccianti, una categoria fortemente penalizzata.
Dopo le rassicurazioni del Governo di centrodestra del 2004 e dopo l'incontro tra i sindacati agricoli ed il ministro, che ha più promesso e meno mantenuto - mi riferisco al ministro Alemanno - sulla cancellazione del comma 147 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2005, che prevede il taglio dei trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli, il


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Governo, con un voltafaccia che ha dell'incredibile, ha mantenuto la linea di annullare l'indennità speciale di disoccupazione agricola con ricadute negative sulla contribuzione figurativa, sugli assegni familiari e con una drastica riduzione di tutela previdenziale per i lavoratori che prestano solo 51 giornate lavorative, compresa l'indennità di maternità per le lavoratrici agricole.
Si tratta di una riforma capestro, che impone una drastica riduzione di fondi nel settore previdenziale agricolo e che, colpendo solo la parte sociale più debole e al limite della sussistenza, restringe, per la prima volta, storicamente, la sfera di intervento dello Stato in materia di ammortizzatori sociali.
In conclusione, c'è da dire che il Governo, dal danno verso il sud e, in particolare, verso la Sicilia, con questo disegno di legge finanziaria è passato anche alle beffe: una molto grave è quella operata nei confronti dei cittadini del Belice. Tutti i territori colpiti da calamità naturali e da terremoti sono stati tenuti in considerazione ai fini della definizione di risorse utili per la ricostruzione. L'unica comunità esclusa è stata quella del Belice, un territorio devastato nel 1969 da un terribile terremoto: nulla è stato definito per questa comunità.
Un'altra beffa è stata quella di aver promesso un condono definitivo dei contributi previdenziali, scrivendo anche articoli sui giornali per quelli relativi al sisma del 1990: dopodiché, vi è stata un'ulteriore beffa.
Infine, signor Presidente,...

PRESIDENTE. Onorevole Burtone, si avvii alla conclusione.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ....concludo preannunciando il nostro «no» a un disegno di legge finanziaria che porterà ulteriori difficoltà al nostro paese, un paese che ha bisogno finalmente di un Governo diverso (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i Verdi esprimeranno un voto contrario sul disegno di legge finanziaria in esame, ribadendo un giudizio nettamente e pesantemente negativo sulla manovra di finanza pubblica che, con il maxiemendamento su cui - lo ricordo - è stata posta l'ennesima questione di fiducia, finalmente ha assunto la sua vera forma e contenuto.
Siamo di fronte ad una manovra molto pesante - è stato detto più volte - che paradossalmente, con molta probabilità, non consentirà di raggiungere gli obiettivi che si prefigge, a partire da quello del risanamento dei conti pubblici. A tal proposito, abbiamo più volte posto il problema della trasparenza dei conti e della necessità di disporre di dati veritieri. Si tratta di una questione assolutamente cruciale, centrale ed imprescindibile per riacquistare credibilità e per produrre davvero un dibattito all'interno del Parlamento ed un confronto tra maggioranza e opposizione. Ma ciò sembra non interessare i colleghi della maggioranza avvezzi - ahinoi! - ad accettare anche le proposte più imbarazzanti presentate dal Governo.
Con questa manovra finanziaria sicuramente non sarà possibile il rilancio dello sviluppo, né l'uscita dall'impasse dell'economia, della realtà sociale del sud, come ha spiegato bene il collega Burtone. Non sarà possibile promuovere la ricerca, l'innovazione e la cultura, fortemente penalizzata - come noto - dalla manovra; né sarà possibile ristabilire l'equità nella distribuzione delle risorse e della pressione fiscale, e nemmeno attuare il tanto sbandierato contrasto all'evasione e all'elusione promosso da tante iniziative di questo Governo nei cinque anni di legislatura.
Né sarà possibile sostenere il sistema delle autonomie delle regioni, che da questa manovra esce letteralmente massacrato.
Come deputati Verdi, abbiamo presentato emendamenti condivisi con gli altri


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gruppi dell'Unione, tentando di migliorare la manovra complessiva, compiendo un atto di testimonianza, proponendo modifiche praticabili, serie e credibili. Ma, esattamente come è successo e come succederà al Senato, ci siamo scontrati contro una totale indisponibilità e ci siamo ritrovati a svolgere un dibattito reso inutile e deprimente dall'ennesimo voto di fiducia.
Per quanto riguarda la tanto sbandierata politica per la famiglia, è stato proposto un bonus una tantum per i nuovi nati, che non incide minimamente sulle necessità profonde e complesse del sistema delle famiglie. Non si mette in campo nessuna vera politica di welfare, di sostegno reale e concreto a tutela dei meno abbienti.
Dal canto nostro abbiamo proposto, ad esempio, la detraibilità delle somme corrisposte dagli affittuari a titolo di locazione di immobili ad uso abitativo, così come l'aumento delle risorse per le case popolari, l'edilizia sovvenzionata per le fasce sociali svantaggiate, misure che si sarebbero già potute adottare, senza aspettare l'ennesimo programma elettorale, sbandierato anche via televisione dal nostro premier.
Abbiamo proposto di adeguare lo stanziamento, del tutto insufficiente, previsto dalla legge n. 431 del 1998 sulle locazioni, con un adeguamento delle risorse, condizione per noi necessaria ma non sufficiente per attuare in questo paese una seria politica per la casa, vera e propria emergenza per decine di migliaia di famiglie.
Abbiamo chiesto e proposto la restituzione del fiscal drag, vero e proprio «scippo», che state perpetuando da troppi anni a spese di lavoratori dipendenti e di pensionati. Sono soldi che spettano loro e che vanno loro restituiti.
La conseguenza di questo quadro complessivo è stata la crescita enorme delle diseguaglianze in questi ultimi anni e molti diritti sociali fondamentali, anche di natura costituzionale, sono rimasti e rimangono senza attuazione.
Vi abbiamo proposto di lasciare fuori dai tagli drastici da voi attuati i finanziamenti pubblici ai paesi poveri. È vergognoso che, mentre si promettono continuamente aumenti degli aiuti allo sviluppo, non solo ci ritroviamo all'ultimo posto dei paesi donatori dell'OCSE, con la ridicola percentuale dello 0, 15 per cento sul PIL, ma addirittura questa legge finanziaria taglia del 20 per cento le risorse rispetto allo scorso anno. Siamo veramente al ridicolo. Abbiamo presentato emendamenti in questa direzione, finalizzati ad incrementare il fondo per i paesi poveri, anche proponendo, come ha fatto la Francia, la fly-tax, una tassa sul volo, per integrare gli stanziamenti aggiuntivi per i paesi in difficoltà.
Allo stesso tempo abbiamo cercato di porre un freno al costante e inaccettabile drenaggio di risorse finanziarie a danno dell'ambiente, iniziato cinque anni fa e proseguito con questa manovra economica: si tratta di tagli pesantissimi ai finanziamenti previsti per le aree protette, per le bonifiche dei siti inquinati, per la difesa del suolo, tagli che hanno ridotto gli stanziamenti del 60 per cento. Con i nostri emendamenti abbiamo tentato di ripristinare, almeno in parte, le necessarie e indispensabili dotazioni finanziarie e per tutta risposta abbiamo ottenuto la soppressione del parco del Gennargentu e del golfo di Orosei, una vera e propria vergogna.
Per non parlare delle riduzioni di risorse effettuate ai danni dell'ANAS e delle Ferrovie dello Stato, con cui si taglia colpevolmente sulla rete ordinaria, sulla manutenzione e sulla sicurezza in nome dell'avvio di grandi opere, molte delle quali assolutamente inutili, se non dannose. Anche qui, per esempio, abbiamo cercato di risparmiare, con tagli ai lavori di adeguamento, di potenziamento e di messa in sicurezza della rete stradale ANAS esistente.
Abbiamo proposto l'unificazione delle aliquote sui redditi dei capitali, perché siamo l'unico paese europeo dove i rendimenti sulle rendite finanziarie sono del 12,5 per cento e quelli sui conti correnti sono del 27 per cento. Abbiamo proposto di finanziare un piano generale per il


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sistema degli ammortizzatori sociali, per far fronte al fenomeno della instabilità e della precarizzazione occupazionale causata dalla legge n. 30 e per fare fronte alle grandi ristrutturazioni industriali, che sicuramente ci aspettano.
Molto dubitiamo anche sull'efficacia delle ultime manovre adottate, che dovrebbero procurare i miliardi che mancano per far quadrare i conti. Mi riferisco, per esempio, all'efficacia del nuovo concordato, chiamato programmazione fiscale, che dovrebbe fare entrare oltre tre miliardi di euro nelle casse dello Stato.
Sappiamo che due su tre dei concordati approvati nel passato non sono neppure stati attuati e che il terzo è stato quasi un fallimento. In effetti, nel 2004, secondo i dati della CGA di Mestre, sempre molto attenta e autorevole fonte di informazioni e di analisi, il Governo Berlusconi approvò un concordato di durata biennale prevedendo un gettito di 2.500 milioni di euro.

PRESIDENTE. Onorevole Zanella...

LUANA ZANELLA. Concludo, signor Presidente.
I contribuenti che vi aderirono furono 258 mila e il gettito incassato dal fisco venne quantificato in circa 850 milioni di euro. Se ne attendevano esattamente 2.500.
I contribuenti che quest'anno aderiranno alla programmazione fiscale lo faranno per concordare e condonare, ottenendo così i benefici della definizione per gli anni 2003 e 2004. Ancora una volta, si tratta di un condono camuffato, di un concordato condizionato, di un nuovo lavoro per i commercialisti. Per i risultati finali staremo a vedere, ma noi dubitiamo fortemente.
Concludo, Presidente, ribadendo il nostro voto nettamente e assolutamente contrario alla manovra finanziaria (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, noi, come gruppo della Rosa nel Pugno, voteremo contro questa manovra finanziaria. Lo faremo non perché oggi facciamo parte dell'opposizione nell'ambito di questo Parlamento, ma perché riteniamo che tale manovra sia sbagliata nel metodo e nel merito.
In un momento particolare della vita economica del nostro paese, ritenevamo che vi fosse la necessità e il dovere politico e istituzionale di discutere serenamente e approfonditamente delle scelte che dovevano essere compiute e che devono investire il nostro paese per il rilancio economico e per agganciarsi alla ripresa economica a livello internazionale.
Ciò non è avvenuto perché abbiamo assistito, in questi mesi, dopo la presentazione del disegno di legge finanziaria da parte del Governo, a sceneggiate, ad un continuo modificarsi del rapporto tra Governo e Parlamento, alla messa in discussione, appunto, di quelli che possono essere i canoni normali della «democrazia di bilancio», come è stata definita da alcuni colleghi nelle discussioni avvenute.
Abbiamo avuto una serie di situazioni, di presentazioni, di aggiustamenti, di modifiche al disegno di legge presentato dal Governo perché, come abbiamo potuto verificare anche in anni passati, questo Governo non aveva e non ha le idee chiare sulla politica economia e finanziaria del paese.
I dati sono sotto gli occhi di tutti, di tutti quanti noi. Abbiamo una crescita relativa e, pur prendendo in considerazione i dati che hanno fatto esaltare ed esultare il capo del Governo nei giorni scorsi, cioè la ripresa della crescita, dobbiamo comunque sottolineare che essa, nonostante qualche lieve miglioramento dell'andamento economico, è al di sotto, per non dire la metà, della crescita degli altri paesi europei.
Ciò significa che le scelte di politica economica sono state sbagliate; i dati stanno a dimostrare l'incremento del debito pubblico, del rapporto debito-PIL; vi sono in buona sostanza indicatori che


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dimostrano che non vi è una scelta chiara su come rilanciare la politica economica e finanziaria del paese.
Noi riteniamo che vi fosse la necessità e il dovere di discutere, certamente non nel modo a cui abbiamo assistito anche ieri sera in quella strana trasmissione, condotta sempre dal «fido scudiere» Bruno Vespa, dove si è capito chiaramente che non vi sono argomenti per poter discutere, non vi sono argomenti per fare in modo che la convinzione della gente, dei cittadini italiani possa cambiare. Altro che mancanza di comunicazione! Qui vi è la mancanza di scelte, la mancanza delle possibilità per il paese di riagganciare lo sviluppo internazionale e fare in modo che i problemi possano essere avviati a soluzione.
I problemi, invece, sono sempre più pressanti; i problemi riguardano sempre coloro i quali si trovano in situazioni di debolezza all'interno del sistema economico e sociale del paese. Basta guardare i dati, per capire che la povertà aumenta, sia in termini relativi sia in termini assoluti. Basta guardare la gente del nostro paese, la gente del Mezzogiorno d'Italia, la gente delle aree marginalizzate del paese per comprendere che non ce la fanno più. Altro che siamo più ricchi! Altro che oggi vi è un benessere maggiore!
Vi è difficoltà ad arrivare alla fine del mese; vi sono difficoltà nei consumi: secondi i dati relativi a questo Natale, i consumi diminuiscono, perché la gente non riesce a vivere in una condizione diversa da quella che si è determinata in seguito alle difficoltà economiche e sociali avvertite nel paese.
Sono stati effettuati tagli nel campo del sociale, anche relativamente alla sanità, al di là degli aumenti ricordati da alcuni colleghi ed anche ieri sera dal Presidente del Consiglio; la spesa sanitaria è sottodimensionata. Basta guardare l'edilizia sanitaria, l'edilizia universitaria e scolastica. Basta guardare i tagli relativi alla ricerca nel settore agricolo, nonché quelli dei fondi per l'ambiente e per il dissesto idrogeologico del nostro territorio, come giustamente ha sottolineato la collega Zanella.
Avvertiamo una preoccupazione giorno dopo giorno, in seguito alle catastrofi che si sono verificate in passato; mi riferisco al terremoto avvenuto nel 2002 in Molise, in una parte importante della regione Puglia e della provincia di Foggia. Nel disegno di legge finanziaria avete dimenticato del tutto il sisma del 2002 nella provincia di Foggia e vi ricordate della necessità di fronteggiare tali problematiche solo a disgrazie avvenute!
Il processo di ricostruzione non c'è e non ci sarà, perché avete deciso di eliminare i fondi necessari per far fronte ai gravi problemi del paese. Avete tagliato i fondi al Mezzogiorno anche con riferimento al rilancio delle infrastrutture del nostro paese. Altro che tabelle e grafici! Ci siamo forse dimenticati i tagli alle Ferrovie dello Stato, all'ANAS? Occorre garantire la sicurezza stradale, il rilancio del Mezzogiorno, perché ciò rappresenta un'opportunità per il paese e non certamente per pochi. Nel Mezzogiorno le condizioni delle infrastrutture sono drammatiche! Come dimenticare, altresì, i tagli agli enti locali e alle regioni?
Avete impostato questa legge finanziaria secondo la solita logica, quella di dare a chi più ha e non certamente a chi ha meno. Ma coloro i quali hanno meno rappresentano la maggioranza degli italiani e questa maggioranza vi darà una risposta netta il prossimo anno alle elezioni politiche (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-La Rosa nel Pugno, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luigi Pepe. Ne ha facoltà.

LUIGI PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, annunzio l'espressione del voto contrario dei deputati dell'UDEUR nei confronti della manovra finanziaria per il 2006.
La manovra delineata, l'ultima di questa legislatura, attesta il totale fallimento


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della politica economica e di bilancio del Governo. Essa appare inadatta ad incentivare lo sviluppo, aggrava la situazione dei conti pubblici, ricorre a misure una tantum e ad interventi di incerta realizzazione ed è finta rispetto alle copertura. Riduce drasticamente i trasferimenti agli enti locali ed alle regioni, che diminuiranno gli investimenti e non potranno più erogare i servizi primari ed essenziali per la collettività. Mancano altresì le risorse necessarie per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e a farne le spese saranno 50 mila precari, che perderanno il posto di lavoro.
Le risorse destinate alla crescita sono troppo poche, tali da non avere alcun particolare effetto per il rilancio della nostra economia, ormai in fase di stagnazione. Continuate a perseguire la politica del contenimento della spesa nel settore dell'istruzione, dell'università e della cultura; non vi è traccia di alcun finanziamento.
In questa manovra non vi è nulla per l'innovazione e per la ricerca, nessuna soluzione ai problemi del paese, nessuna speranza per i giovani. Vengono penalizzate le imprese, in particolare quelle meridionali; quelle imprese che, in una congiuntura economica difficile come quella attuale, dovrebbero essere sostenute, mentre voi le private di incentivi, riducendo drasticamente le risorse ad esse destinate.
Ancora una volta si è preferito intraprendere la strada delle risorse erogate attraverso il fondo per la famiglia, piuttosto che adottare misure strutturali e mirate rivolte alle fasce più deboli della popolazione.
Questa manovra avrebbe dovuto diminuire le iniquità sociali e invece ne produce di nuove. Sul versante della famiglia e dello sviluppo, vengono previste misure assolutamente insufficienti; occorrevano misure di tipo strutturale e non una tantum.
Emerge in tutta evidenza la mancanza di sensibilità verso il gravissimo problema della crisi profonda del settore tessile, dell'abbigliamento e del settore calzaturiero nella regione Puglia, con riferimento ai quali era stato richiesto un intervento straordinario, che tuttavia il Governo non ha preso assolutamente in considerazione.
Sconcerta inoltre l'indifferenza verso il sud, la grande risorsa di questo paese. Non si prevede alcuna misura concreta per il Mezzogiorno, che viene pesantemente penalizzato e che continua ad essere il grande assente delle politiche perseguite, sia per la riduzione delle risorse sia per l'assenza di un qualsiasi respiro progettuale. Il sud attendeva un disegno strategico con riferimento allo sviluppo (riforme e progetti), e invece ha ricevuto solo parole e continua a restare all'angolo della mortificazione. Nel meridione, le opportunità sono tante, ma il Governo di centrodestra nulla ha fatto in questi cinque anni di legislatura per coglierle e cambiare un destino che permane ancora troppo incerto.
Nessun intervento strutturale è previsto per ridurre l'incidenza della spesa sanitaria; le misure attuate appaiono palesemente insufficienti al fabbisogno necessario per garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto dei cittadini all'accesso alle prestazioni. Infatti, in un paese in cui la popolazione invecchia sempre di più per l'elevarsi della vita media e che quindi necessita di maggiori servizi per la persona, gli enti locali saranno costretti ad operare tagli inaccettabili.
Inoltre, non è stato assunto né ipotizzato alcun intervento per una indispensabile fiscalità di vantaggio, che darebbe ossigeno ad una agricoltura del sud sempre più penalizzata e stretta nella morsa di una concorrenza spietata e scorretta.
Anche la spesa ambientale continua a subire un drastico ridimensionamento. Infatti, la diminuzione delle risorse trasferite a diversi comparti del trasporto si aggiunge all'ormai consolidata carenza di qualsiasi politica di settore. In particolare, per quanto riguarda l'ANAS, gli effetti complessivi derivanti dai tagli generano gravi ripercussioni.
Infine, consideriamo davvero grave, nonostante gli impegni assunti dal Governo, la mancata riforma degli ammortizzatori


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sociali, sempre più indispensabili per tutelare le fasce più deboli in un mercato del lavoro come quello attuale.
La conclusione è che, ancora una volta, il Governo si è dimostrato incapace di fornire certezze ai cittadini, perdendo un appuntamento importante per risollevare le sorti del nostro paese.
Alla luce di queste brevi considerazioni, i deputati della componente Popolari-UDEUR del gruppo Misto ribadiscono il loro giudizio negativo sulla manovra finanziaria per il 2006 (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo due mesi e mezzo di discussione analitica e approfondita sulle misure e sui singoli provvedimenti della legge finanziaria per il 2006, che aveva l'obiettivo di rispettare gli obblighi derivanti dalla nostra appartenenza all'Unione europea e di rimettere in moto l'economia italiana, con logiche di attenzione all'impresa, al lavoro, al sud e ai soggetti sociali deboli, ci troviamo sostanzialmente ad esprimere il voto finale su un provvedimento di cui proprio le Camere non si sono occupate.
Tutte le discussioni e tutti gli approfondimenti che abbiamo condotto in questi mesi sono stati un puro esercizio retorico e delle simulazioni, un vero e proprio gioco perfettamente inutile. Anche il generoso e appassionato lavoro svolto in queste ultime settimane dalla Commissione bilancio della Camera dei deputati è stato tutto inutile, tutto virtuale. Così come è avvenuto nell'aula del Senato dopo la prima lettura del disegno di legge, in cui, a dibattito concluso, con scelta demiurgica, il Governo ha presentato il suo maxiemendamento e ha sconvolto tutti i temi di discussione e le decisioni fino ad allora assunte, lo stesso è avvenuto, in questo ramo del Parlamento. L'ingegno un po' corsaro della stessa maggioranza, che ha voluto ridisegnare l'idea della legge finanziaria per il 2006 pur all'interno di un quadro di riferimento di base sbagliato ed inadeguato rispetto alle esigenze reali del paese, è stato vanificato ed umiliato da un ulteriore maxiemendamento del Governo, che ha azzerato tutte le discussioni fatte, le decisioni assunte e i voti espressi dalla Camera e dal Senato in 75 giorni di discussione parlamentare.
Non è solo questo, perché il Governo si è premurato di assicurare il successo della propria azione di forza decidendo preventivamente il ricorso alla questione di fiducia: altro che politica, altro che coesione della maggioranza, altro che libertà del Parlamento! Siamo in presenza di «provvedimenti disciplinari» del Governo nei confronti della sua maggioranza e di autentici «ordini di servizio».
L'insieme di questa inutile e lunghissima discussione parlamentare, le cui premesse hanno ormai scarso rapporto con le conclusioni, dimostra inequivocabilmente che questa maggioranza ha definitivamente logorato lo strumento legislativo della finanziaria, che va dunque superato in almeno tre modi.
In primo luogo, con un nuovo strumento che assicuri sia il rispetto delle funzioni sia il lavoro delle aule parlamentari. In secondo luogo, con il diritto-dovere del Governo di formulare proposte chiare e di vedersele approvate o respinte in tempi certi dal Parlamento. Infine, con la chiarezza dei punti di partenza della finanza pubblica, con la coerenza delle proposte del Governo in rapporto agli obiettivi enunciati, con la garanzia del rispetto degli obblighi internazionali già assunti, con la verifica puntuale, da parte del Parlamento, nel corso dell'anno di riferimento, mediante l'adozione parlamentare di indirizzi correttivi impartiti dal Governo.
La quinta legge finanziaria presentata dal Governo di centrodestra completa un lavoro di destrutturazione economica nazionale avviata con la legge finanziaria per il 2002. Dopo cinque anni, assistiamo con


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preoccupazione al contrasto comparativo della realtà italiana con lo scenario globale.
Nel 2004, il PIL mondiale sale in una misura in cui non è mai cresciuto, il 5,1 per cento, contro lo 0,1 per cento dell'incremento italiano nel 2005 e contro l'1,5 per cento che è l'ottimistico obiettivo di crescita del PIL nazionale previsto dal DPEF per il 2006. La verità è che la situazione complessiva appare ancora più drammatica dei piccoli numeri che ho appena enunciato, soprattutto a causa delle enormi carenze strutturali del sistema paese maturate in questi anni, che hanno eroso i nostri livelli di competitività internazionale.
Anche all'interno dell'Europa, le cui prospettive di crescita non sono particolarmente ottimistiche, la nostra prospettiva appare assolutamente debole e condizionata. Siamo condizionati dalla concorrenza delle economie emergenti, dall'abnorme aumento dei costi materiali e immateriali che gravano sulle produzioni nazionali e, soprattutto, da un deficit sempre più grave di innovazione tecnologica e competitiva. La competitività, appunto, un termine che, insieme a quello della libertà di concorrenza, ha rappresentato la bandiera di questa maggioranza; una bandiera però vilipesa e tradita, visto il declino dell'economia e l'avanzamento della cultura statalista e oligopolista, che rappresentano il risultato finale di cinque anni di questo Governo.
A proposito di tradimenti, c'è un altro soggetto che è stato la grande vittima delle politiche governative: si chiama sud, si chiama Mezzogiorno d'Italia. La misura e gli effetti di questo tradimento si vedono anche sui terreni nei quali pare che le politiche governative abbiano avuto successo, come il mercato del lavoro. A tale riguardo, i dati forniti dall'ISTAT segnalano che il tasso di disoccupazione nazionale è sceso a circa il 7 per cento. Se però si guarda all'interno di queste cifre, si osserva che, alla dinamica positiva delle regioni settentrionali (l'occupazione in tali regioni cresce dell'1,4 per cento) e a quella soddisfacente delle regioni del centro Italia (l'occupazione sale dello 0,6 per cento), nel Mezzogiorno l'occupazione cala drasticamente dello 0,8 per cento, con una perdita di 63 mila posti di lavoro. È facile allora per l'OCSE, sulla base di tali dati, evidenziare come l'Italia sia il paese industrializzato che registra il maggior grado di disparità regionale: tra il Trentino-Alto Adige, che ha un tasso di disoccupazione del 2,6 per cento, e la Calabria, che registra un tasso di disoccupazione del 25,6 per cento, vi sono ben 23 punti percentuali di differenza.
Che il Mezzogiorno sia la vittima di questa politica è evidenziato anche dal rapporto ISTAT sulla povertà in Italia per il 2004. Da tale rapporto, come ricordava il presidente Castagnetti, emergono dati preoccupanti: nel sud, una famiglia su quattro è ormai povera, mentre nel 2003 lo era il 21,6 per cento delle famiglie meridionali. Brutto salto dal 2003 al 2004 e, soprattutto, pessima performance sociale per una maggioranza che alle elezioni del 2001 ha avuto al sud quasi un plebiscito.
Naturalmente, noi non diamo per scontato che il calo del tasso di disoccupazione, rilevato dall'ISTAT, rappresenti un dato sociale autentico. Si tratta sicuramente di un dato numerico rilevato in modo corretto, che però non ci racconta il perché e il per come questi numeri siano diminuiti e, soprattutto, non ci racconta la completa sfiducia di chi ormai si è scoraggiato perché non crede più alla chimera di trovare un lavoro.
Quanto agli aspetti tecnici di questa finanziaria, noi rileviamo i suoi contenuti generici, le risorse di copertura virtuali, se non proprio inventate, e le reiterazioni fallimentari delle politiche dei tetti. Anche le cosiddette politiche per lo sviluppo appaiono, come è naturale per una maggioranza berlusconiana, degli spot promozionali. Le politiche fiscali del Governo per le imprese, di fatto, non esistono e anche l'introduzione del cuneo contributivo appare tardiva, malamente copiata da proposte più organiche del centrosinistra, e, soprattutto, insufficiente, visto che si ferma all'1 per cento.


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Anche le misure sui nuovi distretti produttivi appaiono frutto di buone intenzioni, ma espressione di una grande incapacità di leggere e capire il sistema industriale italiano. Anche qui siamo in presenza di definizioni generiche, di volontarismo ampolloso ma, nei fatti, di stanziamenti insignificanti. Anche quelle che sembrano azioni di giustizia sostanziale appaiono forme di captatio benevolentiae; mi riferisco, in particolare, all'indennizzo dei risparmiatori frodati, i quali, anche se passasse la finanziaria, come passerà, nel testo attuale, chissà quando e chissà se mai riceveranno l'indennizzo che il centrodestra promette.
In definitiva, siamo a misure che, nei fatti tolgono risorse vere a soggetti fondamentali per lo sviluppo e per la crescita - le regioni, le province, i comuni, le imprese, l'innovazione, la ricerca, l'Agenda di Lisbona, la famiglia, il Mezzogiorno -, ma che in cambio promettono molto, sempre di più, come al solito. Il fatto è che questo malcostume è stato emulato anche dalla maggioranza e dai singoli parlamentari, tanto che siamo giunti al capolavoro di promettere di finanziare il bonus bebè ed il bonus baby-sitter con le entrate di una contestatissima «pornotax». A parte le censure di incostituzionalità, questa misura investe proprio sull'idea di un'Italia viziosa, i cui costumi dovrebbero provocare enormi entrate fiscali eccezionali, sufficienti a far fronte a bisogni essenziali della famiglia.
Non ritengo di aver elencato in modo completo ed esaustivo i grandi limiti di credibilità e coerenza di questa finanziaria, credo però di avere rappresentato nel poco tempo a mia disposizione enormi ragioni per dimostrare il no convinto e severo del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo per questa finanziaria bislacca (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, essendo io un popolare, oggi all'interno del gruppo della Margherita, vengo da una tradizione, quella sturziana e degasperiana, dalla quale ho appreso da statisti giganti, come De Gasperi, che in momenti come questi di fine legislatura, in cui si approvava la manovra finanziaria, il Presidente del Consiglio era in aula insieme al ministro dell'economia e delle finanze.
Ora noi siamo qui - lo dico a beneficio di chi sta ascoltando dall'esterno, in quanto in questa sede siamo in pochissimi e molto distratti - e abbiamo di fronte soltanto il viceministro Vegas, un galantuomo come gli riconosco sempre, mentre è assente il ministro Tremonti. Mi permetta allora, Presidente, di intitolare questo mio breve intervento in tal modo: «dedicato ad un ministro che non c'è».
Parlerò come se il ministro fosse in aula, visto che non ha avuto il buon gusto né la sensibilità istituzionale, almeno nel momento in cui si fanno le dichiarazioni di voto sull'ultima finanziaria della legislatura, di venire di fronte a questa Assemblea.
Caro ministro, la finanziaria che il Parlamento si appresta a votare, come sappiamo, è l'ultima di questa legislatura ed assume pertanto una particolare ed oggettiva rilevanza, perché come ogni anno riguarda l'economia dell'anno successivo, di cui detta le linee, ma anche perché consente di fare un bilancio su quanto il Governo e la maggioranza hanno compiuto in questi anni in materia di politica economica e di bilancio.
Per quanto concerne il merito, vorrei preliminarmente esprimere la mia opinione sul cosiddetto carattere non elettorale della legge finanziaria. Il ministro dell'economia, che non c'è, e altri autorevoli membri del Governo hanno fatto e continuano a fare riferimento al carattere non elettorale, quasi rivendicando il riconoscimento di un merito speciale per questa presunta caratteristica.
Ora, prescindendo dal considerare alcuni esempi non proprio virtuosi sull'argomento, che si possono rinvenire nell'elenco sterminato dei commi dell'unico articolo di cui, con scarso gusto estetico-espositivo, si compone la legge, mi preme


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fare un'osservazione più sostanziale su questo tema della cosiddetta finanziaria non elettorale. Come è del tutto evidente, questa è una finanziaria scritta sotto dettatura dell'Unione europea che, oltre ad imporci un rientro dal deficit tendenziale sin dall'estate scorsa, ci ha poi successivamente richiamato ad ulteriori correzioni in pochi mesi, sino all'ultima strigliata di pochi giorni fa, che ha ispirato il contenuto del voluminoso maxiemendamento sul quale stiamo votando la fiducia, l'ennesima fiducia, al Governo.
Alcuni colleghi dell'opposizione, tra i quali l'onorevole Agostini, l'onorevole Morgando e l'onorevole Soro, hanno già compiutamente ricordato la sequenza, frenetica e drammatica, che ha segnato, in meno di due mesi, la necessità di ben cinque interventi correttivi dell'iniziale disegno di legge finanziaria: mi astengo, dunque, dal ribadirli, se non per dire che, tranne quello in materia fiscale - lo dico anche al viceministro Vegas, che è stato protagonista di questa performance, diciamo così ... -, ognuno di essi ha fatto seguito alla precedente, ravvicinata negazione della sua necessità e che ci troviamo, oggi, di fronte ad una manovra che risulta più che duplicata rispetto a quella di partenza!
Un bel risultato, direi con compiaciuta ironia se non ci fosse di mezzo la grave situazione in cui versa l'economia del nostro paese! Proprio un «bel risultato», dopo aver strombazzato a destra e a manca, appena l'estate scorsa, che eravamo tornati in piena regola con l'Europa, soprattutto dopo aver conquistato un'interpretazione più flessibile del Patto di stabilità, essendo il nostro, ahimè, un paese a crescita lenta del PIL!
Possiamo anche prendere atto, dunque, caro ministro che non c'è, che non vi siete fatti prendere la mano dalla febbre elettorale; ma per voi, ed anche personalmente per lei, questa è stata una mera necessità, conseguente ai guai che avete combinato in tutti questi anni. Non credo, pertanto, vi si possano riconoscere particolari meriti, perché sarebbe curioso esprimere lodi per apprendisti pompieri che sono risultati dediti per anni alla piromania!
La verità è, signor ministro, che non è possibile vestire il saio se non si ha la vocazione! E voi avete un'altra vocazione! Ne avete dato ampia prova - ahinoi! - nel tempo in cui vi abbiamo visto all'opera.
Lei in persona, signor ministro, è responsabile di avere dissipato quanto di buono si era cominciato a fare. Lo ha fatto venendo in quest'aula, per anni - glielo ricordo, signor ministro -, a parlarci di tassi di crescita del PIL che erano del tutto immaginari. E nel mentre ne parlava, autorizzava provvedimenti di spesa che, in attesa del miracolo, venivano coperti da una tantum, condoni e quant'altro appartiene al genere letterario della cosiddetta «finanza creativa», che ha avuto molta fortuna in Italia in questi anni.
Il suo appare, signor ministro, come un vero, colpevole esempio di wishful thinking (come dicono gli americani), cioè della realtà scambiata con il desiderio. Ad un'analisi ex post, infatti, il miracolo non si è avverato, mentre le spese si sono accumulate, le una tantum non si possono più replicare ed i parametri fondamentali della nostra finanza pubblica sono nettamente peggiorati.
Circa due mesi e mezzo fa, analizzando il trend della spesa corrente primaria a partire dal dato ereditato dal centrosinistra (compreso il famigerato «buco Visco»), Il Sole 24 Ore - che non mi pare un giornale di sinistra, come si usa dire, in genere, quando si critica il Governo - ha commentato (leggo testualmente): «Il combinato disposto Tremonti-Siniscalco ha aggiunto quasi due punti e mezzo di PIL alla spesa. Questi punti in più valgono almeno trenta miliardi di euro. Insomma, se solo il Governo non avesse dissipato l'eredità dell'esecutivo precedente, oggi non ci sarebbe stato alcun bisogno di fare una finanziaria difficile e i conti italiani terrebbero la testa alta in Europa» (la citazione è tratta dall'articolo di Fabrizio Galimberti, Il piombo della spesa, pubblicato il 5 ottobre 2005).


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Poco tempo dopo, un altro articolo ha preso in esame la competitività, il ciclo della competitività del nostro paese negli ultimi dieci anni, citando dati del World Economic Forum (non dati domestici). Ebbene, anche con riferimento all'indice aggregato di competitività, è stato evidenziato che, nel periodo 2001-2005, l'Italia ha registrato una netta inversione di tendenza rispetto al periodo 1996-2001. Forse, farebbe bene a dire queste cose anche il Presidente del Consiglio, quando si reca nell'altro ramo del Parlamento, quello televisivo di Porta a Porta, dove sembra che viviamo nel paese di Bengodi.
Cito ancora Il Sole 24 Ore: «Negli ultimi cinque anni, la governance della competitività del sistema paese si è come dissolta, dando luogo ad una dinamica involutiva che non ha equivalente in nessun altro paese sviluppato» (il brano è tratto dall'articolo di Pier Luigi Sacco, Competitività, chi l'ha vista?, pubblicato il 2 novembre 2005).
Dinanzi ad una condizione così critica, nel disegno di legge finanziaria in esame registriamo, come per gli anni scorsi, la mancanza di una strategia, di un disegno coerente di politica economica e di politica industriale che ci permetta di uscire dal tunnel in cui siamo finiti. Senza parlare, infatti, né degli Stati Uniti né del cosiddetto far east, distanziati da noi di parecchio, siamo lontani, oggi, anche dalla condizione della Francia, della Germania e della Spagna: «ciondoliamo» oramai agli ultimi posti della stessa area dell'euro (e cito non a caso l'euro)!
Ancor meno consolatoria risulta, onorevoli colleghi, l'analisi degli effetti sociali che la situazione descritta produce sulla vita reale della nostra comunità nazionale.
Lei, signor ministro che non è in quest'aula, aveva promesso, a suo tempo, che non avrebbe fatto «macelleria sociale». La inviterei a fare un giro per i comuni del nostro paese, per vedere come vivono, ormai, e per vedere che cosa sono costretti a tagliare, dal momento che lei non ha accettato nemmeno di verificare la dinamica della finanza locale attraverso il controllo dei saldi, in modo da consentire a chi avesse conseguito entrate di poter spendere conseguentemente. Nemmeno questo avete consentito, perché avevate bisogno di iscrivere una cifra certa, costringendo gli enti locali ad agire in una condizione, ormai, di impossibilità ad erogare determinate prestazioni.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi e signor ministro che non c'è, mi viene da comparare la condizione attuale dell'Italia a quella della fine della scorsa legislatura e, soprattutto, alle promesse che voi avevate fatto alla fine della scorsa legislatura: lo sviluppo contro il declino, più pensioni, più servizi, meno tasse e cose di questo tipo! Oggi la situazione del paese, certamente, è cambiata ma è cambiata in peggio! Gli italiani lo sanno, che è cambiata in peggio, guardandosi in tasca e vedendo che cosa potranno spendere, anche in occasione delle prossime feste natalizie, andando al banco del monte dei pegni...

PRESIDENTE. Onorevole Duilio...

LINO DUILIO. Sto per concludere, signor Presidente.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione, che riguarda anche le vicende che stanno caratterizzando questi giorni. A me sembra, onorevoli colleghi, che vi sia un diffuso livello di ipocrisia, dentro e fuori il Palazzo, nel commento su quanto sta accadendo in alcuni mondi e nella stessa singolare frenesia con cui si annunciano decisioni riparatorie di alcune distorsioni in atto. Collego questo a quanto ho affermato in precedenza. In politica, anche in politica, a mio sommesso parere, tutto si tiene. Lo dico perché, rispetto alle vicende di questi giorni, sarebbe forse interessante ricordare, visto che siamo alla fine della legislatura...

PRESIDENTE. Onorevole Duilio...

LINO DUILIO. Concludo, signor Presidente.
Ricordo, semplicemente, le privatizzazioni senza liberalizzazione, che sono state un regalo di Stato per i privati cittadini, la


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depenalizzazione del reato di falso in bilancio e la pratica «condonista», la benevolenza con la quale si sono fatti rientrare i capitali dall'estero e così via. Una serie di fatti che hanno ridotto il tasso di legalità nel nostro paese, per cui oggi non ci si può stupire. Voi lascerete un'eredità molto onerosa: lascerete, soprattutto, la lacerazione del tessuto istituzionale e dell'etica pubblica del nostro paese.
Dopo cinque anni, dopo cinque manovre finanziarie per un ammontare complessivo di quasi 94 miliardi di euro, cioè 180 mila miliardi di lire, che non hanno prodotto alcun effetto, non possiamo che dire «no» anche a questo disegno di legge finanziaria, non possiamo che esprimere voto contrario. A questo punto, la parola deve solo passare al corpo elettorale che, democraticamente, si pronuncerà su una stagione che speriamo di dimenticare e che noi confidiamo sia conclusa, senza possibilità di appello (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.

ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, finalmente si conclude, stancamente, questa discussione parlamentare sull'ultimo disegno di legge finanziaria di questa legislatura. Ho detto « stancamente » per una serie di motivi. Il primo è fornito dalla stessa modalità della discussione. Sia al Senato, sia alla Camera, abbiamo assistito alla presentazione di maxiemendamenti collegati alla richiesta di un voto di fiducia. Dal momento che ciò si è ripetuto ogni volta, durante i cinque anni di governo del centrodestra, è evidente che stiamo scrivendo l'epitaffio della riforma del 1978 che istituì la legge finanziaria e delle stesse modifiche regolamentari successive che istituirono la sessione di bilancio, con i vincoli relativi alla presentazione degli emendamenti e alla possibilità di discutere disegni di legge che non siano collegati ai documenti finanziari in senso stretto.
La ragione di questo epitaffio, di questa morte ormai annunciata - aggiungerei: qui certificata - è chiara: il binomio che si è venuto consolidando nella prassi (e per alcuni persino, sciaguratamente, nella teoria) tra maxiemendamenti - confusi, dislegati nella forma e, soprattutto, incomprensibili per gli operatori economici e per i cittadini comuni - e applicazione della votazione fiduciaria ha configurato i documenti di bilancio come una sorta di decreto-legge con conversione obbligata nei tempi e nella necessità di rispondere ai dettati del sistema finanziario internazionale.
Ritengo, signor Presidente, che noi siamo l'unico Parlamento al mondo, almeno nel consesso dei paesi formalmente democratici, costretto a condursi in questo modo e ad essere completamente esautorato da ogni funzione critica nei confronti dei documenti fondamentali che un Governo presenta al paese, documenti quali sono, appunto, quelli di bilancio. È l'esatto contrario di quanto avviene nei sistemi marcatamente bipolari e fortemente presidenzialisti; più forti sono quei sistemi in senso bipolare e presidenzialista - peraltro, noi non amiamo e, anzi, abbiamo sempre contrastato e continuiamo a contrastare tali soluzioni che, purtroppo, però esistono e vigono in alcuni paesi importanti sullo scenario internazionale - ebbene, più forti sono quei sistemi, più è garantita, tuttavia (e, logicamente, soprattutto per chi è all'opposizione) la possibilità di discussione, di intervento e di modificazione sui documenti di bilancio. Da noi, tale possibilità è radicalmente conculcata da un Governo che, pur avendo in entrambi i rami del Parlamento una maggioranza parlamentare larghissima, come raramente si era verificato nel corso della storia di questo paese, ha proseguito la propria azione a colpi di voti di fiducia.
Spetterà dunque - ed è la prima considerazione in positivo che voglio compiere - a chi seguirà nel Governo, dopo le elezioni politiche ormai imminenti, porre mano alla sessione di bilancio in termini di modifica legislativa e dei regolamenti parlamentari. Lo dovremo


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fare - dico: «dovremo» perché non credo, viceministro Vegas, che voi succederete a voi stessi - valorizzando il ruolo programmatorio, tuttora inesistente, del documento di programmazione economico-finanziaria su scala pluriennale, restituendo ai documenti di bilancio la loro vera natura, senza gabbie costrittive, e permettendo una reale dialettica parlamentare: è anche questo, onorevoli colleghi, l'unico sistema per mantenere l'ispirazione unitaria dei documenti di bilancio. Non è vero che conculcare il dibattito parlamentare, strangolarlo attraverso il voto di fiducia, ci protegga dalle tante lobby che nel paese spingono per inserire questa o quella misura favorevole all'interno dei documenti di bilancio.
È piuttosto vero il contrario, e lo documenteranno gli storici futuri. Proprio la logica del maxiemendamento, in uno scambio da suk arabo - questo sì, con tutto il rispetto per la cultura araba del do ut des -, chiude infatti il cerchio delle provvidenze a favore di questo o quel gruppo, considerandolo «inviolabile» da parte degli stessi componenti della maggioranza, oltre che dai parlamentari dell'opposizione!
La presentazione del maxiemendamento, unitamente alla posizione della questione di fiducia da parte del Governo, rappresenta una spinta alla corporativizzazione degli interessi del paese. Si tratta di una strozzatura che riguarda non solo il collo di bottiglia delle istituzioni parlamentari, ma anche l'impedimento allo sviluppo della naturale dialettica sociale e del giusto conflitto sociale nel paese, riducendolo in questo modo alla possibilità, per alcuni ristretti ceti privilegiati, di avere, possedendo «santi in paradiso», voce in capitolo nella formulazione dei dettagli dello stesso maxiemendamento.
Si conclude «stancamente» e priva di interesse, come quest'aula plasticamente dimostra, la discussione sul disegno di legge finanziaria in esame, anche perché, da diversi giorni, l'attenzione del paese, nonché degli operatori internazionali, è rivolta ad altre preoccupazioni. Mi riferisco alla questione delle dimissioni rassegnate, finalmente, dal Governatore Fazio e della sua successione; ma di ciò, se ho ben inteso, parleremo diffusamente nelle prossime ore e nelle prossime giornate.
Sul merito del disegno di legge finanziaria - sul quale preannunciamo, naturalmente ed ovviamente, il voto contrario del nostro gruppo - c'è ormai poco da aggiungere a quanto, con molta precisione, hanno sostenuto le mie colleghe ed i miei colleghi di gruppo intervenuti nella discussione finché si è potuto, prima che la posizione della questione di fiducia tagliasse ogni possibilità di dialogo.
Siamo di fronte ad una manovra finanziaria di 28 miliardi di euro, tutt'altro che di poco peso; soprattutto, ci troviamo dinanzi al bilancio conclusivo, veramente disastroso, che le destre offrono al paese. Registriamo, infatti, un disavanzo che tende a crescere fino al 5 o al 6 per cento del prodotto interno lordo, nonché una crescita complessiva del debito che lo porta ad oltre il 108 per cento del PIL; vi è stato, inoltre il «prosciugamento» di quell'avanzo primario che si era manifestato, grazie ai precedenti Governi, nelle scorse legislature.
Malgrado tutto ciò, siamo di fronte a tagli alla spesa sociale, ad un prosciugamento dei finanziamenti agli enti locali e ad una logica di limitazione della spesa...

PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, concluda!

ALFONSO GIANNI. ... a fini sociali ed espansivi della domanda che costringono il nostro paese a vivere un declino al quale solo un cambiamento dello scenario politico potrà porre rimedio.
Ho concluso, signor Presidente. Nel maxiemendamento governativo, inoltre, rifà capolino la logica, vecchia e stantia, del condono fiscale, e vi è altresì il tentativo di procrastinare interventi necessari, scaricandone le conseguenze sulle spalle di coloro che verranno.
Non temiamo, tuttavia, la responsabilità che, tra qualche mese, ci troveremo probabilmente ad assumere. Ciò che è certo è che il disegno di legge finanziaria


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in esame ci impone di varare una riforma complessiva delle modalità di discussione del bilancio dello Stato, nonché di rilanciare un'idea della programmazione economica senza la quale il nostro paese è destinato ad un mesto e continuo declino, che gli italiani non meritano davvero (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, noi voteremo a favore di questo provvedimento, ma vogliamo ricordare - lo abbiamo già detto molte volte - che le procedure parlamentari per l'esame della legge finanziaria, a nostro giudizio, sono veramente assurde. Infatti, non ha senso che, ogni anno, i lavori dell'Assemblea e delle Commissioni della Camera e del Senato debbano essere bloccati per mesi da questa inutile liturgia. Molti colleghi vivono la legge finanziaria non come uno strumento per realizzare le grandi linee della politica economica del paese, bensì come la possibilità di inserire qualche comma che risolva problemi specifici, magari anche gravi e drammatici. Tuttavia, un paese che funzioni deve avere le procedure e gli strumenti per risolvere quotidianamente tali problemi, e lo strumento non è certamente la legge finanziaria.
Le cose, invece, dovrebbero funzionare così: il Governo ascolta tutte le persone, società, enti, sindacati, lavoratori, centri studi ed altri soggetti che possano dare utili indicazioni, inclusi naturalmente i membri del Parlamento, sia di maggioranza sia di opposizione, ma, poi, il Governo stesso deve assumersi le proprie responsabilità e presentare il suo testo, nel quale è configurata la politica economica che ritiene necessaria per il paese. Se le Camere approvano tale testo, si prosegue; se, invece, non lo approvano, vuol dire che la maggioranza dei membri del Parlamento non è d'accordo con le idee di politica economica del Governo, per cui, in tal caso, questo «se ne torna a casa» e si costituisce un nuovo Governo, oppure si va ad elezioni anticipate, perché non vi sono le condizione per lavorare assieme.
Anche quest'anno vi sono state polemiche perché il Governo ha posto la questione di fiducia, espropriando - secondo alcuni colleghi - il Parlamento di un suo diritto e di un suo dovere. A mio avviso, invece, il Governo ha fatto bene a chiedere la fiducia, perché ritengo che questa dovrebbe essere la regola. A mio giudizio, la legge finanziaria dovrebbe essere inemendabile.
Svolgo ora una considerazione sul contenuto del provvedimento in esame: vi sono molti aspetti validi e seri. Non è certo il caso di fare elenchi o di commentare singoli commi. È, invece, importante rilevare l'assenza di significativi interventi di puro assistenzialismo (Applausi di deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana). È, infatti, la cultura dell'assistenzialismo che, in questi anni, ha sottratto alle imprese risorse finanziarie preziose, che avrebbero dovuto essere investite in studi, ricerca, sviluppo, nuovi prodotti, nuovi processi e nuove tecnologie. È la cultura per cui lo Stato deve pensare alle pensioni, deve essere esso stesso a trovare il lavoro, a pensare alla casa ed a tutto il resto. È tale cultura che ha bloccato lo sviluppo del paese e l'ha fatto finire agli ultimi posti della classifica di competitività e di PIL pro capite tra i paesi OCSE ed ha riempito di debiti i nostri figli, anche quelli che devono ancora nascere.
L'esempio, che abbiamo già commentato in sede di discussione sulle linee generali e che dovrebbe assumere un valore emblematico, è quello di alcuni LSU, i lavoratori socialmente utili. Ricordiamo tutti l'articolo, molto documentato, apparso sul Sole 24 ore, che cominciava con la frase: «Negli ultimi due anni sono stati 17 mila i lavoratori socialmente utili che hanno rifiutato l'offerta di un posto fisso, preferendo il sussidio pubblico di 481 euro ad un lavoro sicuro». Vi risparmio i dettagli, ma devo dire che questi interventi, al pari di molti altri, non sono né welfare né assistenza, ma sono bieca caccia


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al voto (Applausi di deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)! La mia impressione - devo ripeterlo, con molta malinconia - è che il sottosviluppo di alcune zone d'Italia non sia visto come una sfida da vincere, ma come un'opportunità da non modificare, per avere uno strumento di pressione e per andare a caccia di consensi elettorali.
Questa, dunque, non è una finanziaria elettorale. È un testo pragmatico e responsabile, e per tale ragione il nostro voto sarà favorevole. Ciò vale per l'oggi. Per il domani, non bisogna assolutamente riprendere la politica assistenziale. Lo dico perché ho sentito parlare di un decreto-legge da adottare a gennaio per accontentare i professionisti dell'«assalto alla diligenza», ai quali il ministro Tremonti è riuscito, con questa finanziaria, ad imporre comportamenti responsabili.
La Lega, oggi, vota un testo serio, perché si è molto impegnata per portare in quest'aula una legge che forse avrà qualche difetto, ma che certamente non è una finanziaria elettorale. Sia ben chiaro che anche domani la Lega non accetterà alcuno spreco di denaro pubblico.
Certo, onorevoli colleghi, il paese deve crescere di più. Dobbiamo essere più competitivi per poter aiutare chi ha veramente bisogno, ma dobbiamo farlo senza trasferirne i costi sulle generazioni future (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana), al contrario di quanto è avvenuto in questi anni, durante i quali lo Stato centrale ha continuato a distribuire una ricchezza che non c'era, finanziando tale procedura con finti utili da inflazione e con l'aumento del debito pubblico. Le poche ricchezze che avevamo non sono state messe a frutto, perché, per anni, lo Stato non ha fatto investimenti nelle zone ricche, ma, anzi, le ha colpite con tasse e contributi sociali insostenibili, che sono stati immediatamente riversati per assistenza, solidarietà e perequazione nelle zone povere del paese. Il risultato di questa politica è che le aziende ubicate nelle cosiddette zone ricche sono diventate ogni giorno meno competitive. Ormai, da anni, nessuno viene ad investire in Italia, mentre moltissimi imprenditori italiani investono e aprono nuove fabbriche all'estero.
Per tornare ad essere competitivi e generare lavoro e benessere c'è una sola cosa da fare, e si chiama decentramento! Lo Stato centrale deve trasferire a regioni, comuni ed enti locali poteri, responsabilità e risorse finanziarie.
Non so se qualcuno di voi si è recato in Spagna negli anni Cinquanta, Sessanta o Settanta. Rispetto a noi, gli spagnoli erano veramente molto indietro: il fiato dello Stato centrale era dappertutto e bloccava lo sviluppo. Pensate che, negli anni Sessanta, se un cittadino di Barcellona comprava una bella macchina straniera, era obbligato a metterci la targa di Madrid, perché le belle macchine dovevano avere la targa della capitale! Non sono storie, ma cose che ho visto con i miei occhi! Però, oggi la Spagna cresce molto più di noi: in quel paese c'è più lavoro, la pressione fiscale è molto più bassa della nostra, c'è più benessere e lo Stato ha meno debiti.
Vorrei citare solo pochi dati. Prendiamo, ad esempio, il debito pubblico: il debito pubblico italiano è pari a 1.440 miliardi di euro, mentre quello spagnolo è pari a 391 miliardi di euro. Rapportiamo questo dato al prodotto interno lordo: risulta in Italia una quota pari al 107 per cento (il massimo è 60) e in Spagna una quota pari solo al 47 per cento (molto meno del valore massimo di 60 indicato dal Trattato di Maastricht). Dividiamo questo debito per il numero degli abitanti: in Italia, ogni abitante ha un debito pro capite di 24.800 euro, mentre in Spagna il debito pro capite è pari a 9.500 euro. Ponendo il valore della Spagna uguale a 100, noi siamo a 260!
Come mai è successo questo miracolo a pochi chilometri da noi? È semplice: in Spagna si è proceduto al decentramento. Lo Stato centrale ha fatto tanti passi indietro ed ha ceduto responsabilità e risorse finanziarie alle regioni. Gli spagnoli hanno fatto molto e non hanno alcuna intenzione di fermarsi. Proprio in questi giorni - forse, anche in questo


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momento -, il Parlamento di Madrid sta discutendo il nuovo statuto della Catalogna.
La logica finale è che, a regime, ogni regione dovrà avere la sua agenzia tributaria, che accerterà e incasserà tutti i tributi pagati nella regione, una parte dei quali verrà trasferita allo Stato centrale, che dovrà rendere conto dell'utilizzo che farà dei soldi che riceve dalle regioni: è l'inversione dei flussi fiscali. Con tale inversione si combatte seriamente l'evasione ed il sistema paese è molto più efficiente e molto più responsabile.
Dunque, colleghi, oggi ci accingiamo a votare un provvedimento che è pragmatico e non elettorale. A gennaio, spero, potremo ascoltare in quest'Assemblea la relazione sul lavoro svolto dall'Alta commissione di studio per il federalismo fiscale. La cosa più importante da fare, adesso, è una riforma fiscale, per far compiere un passo indietro allo Stato centrale - anzi due, tre, dieci passi indietro! - e dare più responsabilità, più risorse finanziarie, più autonomia alle regioni e ai comuni (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).

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