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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, noi Verdi voteremo contro la questione di fiducia posta dal Governo, questione che ormai è organica all'approvazione del disegno di legge finanziaria. Ventisette voti di fiducia per un Governo che dovrebbe poter contare su una maggioranza schiacciante è un buon record, non c'è che dire!
Che il Parlamento esca umiliato da questa sessione di bilancio è fuor di dubbio. Perfino il relatore Crosetto ha parlato, addirittura, di doppia umiliazione per la Camera dei deputati ed ha paragonato l'iter del disegno di legge finanziaria ad uno psicodramma collettivo, specchio in cui risultano deformati e amplificati tutti i difetti dei processi decisionali. Attività legislativa, insomma, che non riesce ad organizzarsi intorno ad assi chiari ed obiettivi prioritari.
Il Presidente Casini, ieri, ha stigmatizzato il fatto che nel testo riconsegnatoci dal Senato si ritrovano quelle norme microsettoriali o estranee alla materia che egli aveva dichiarato inammissibili. In effetti, al Senato, sono stati accolti centinaia di emendamenti, spesso scoordinati, dall'incerta se non fittizia copertura, rispondenti a microinteressi, istanze localistiche o, peggio, clientelari.
Altro che svolta rispetto alle manovre firmate da Tremonti, che hanno avviato la pratica delle una tantum, dei condoni preventivi o tombali come via privilegiata per far pagare le tasse e che hanno causato il crollo delle entrate e l'aumento dell'evasione fiscale!
Questa, però, è la finanziaria della menzogna. Il Governo afferma di riequilibrare i conti; invece, con le tante misure prive di copertura certa, rischia di aprire una voragine nelle finanze pubbliche. Dice di porre un tetto alla spesa del 2 per cento e, al contrario, la taglia del 3 per cento. Sbandiera la diminuzione delle tasse e, invece, non soltanto i cittadini meno abbienti si troveranno a sostenere un carico fiscale complessivo superiore a quello del passato, ma dovranno far fronte anche agli aumenti delle tariffe e dei prezzi dei servizi pubblici già preannunciati.
Il Governo promette crescita e benessere diffuso, ma con la sua politica redistributiva toglie ai poveri per dare ai ricchi, deprime la domanda interna e strozza ogni possibilità di crescita. Ciò avviene in un frangente in cui la condizione sociale più diffusa è caratterizzata da precarietà, incertezza per il futuro, insicurezza e sfiducia nelle istituzioni.
Non c'è traccia in questa manovra di misure davvero eque ed equilibrate, che diano risposte adeguate alla situazione drammatica in cui versa il paese. Non c'è un accenno sulla restituzione del drenaggio fiscale, sugli interventi a favore degli incapienti, sulla tutela del potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni, e nulla per il fondo per la non autosufficienza. È previsto un contributo etico del 4 per cento sui redditi appartenenti alla fascia più alta. «Contributo etico»: la definizione è tutto un programma. La si vuole far passare come una provvisoria cessione caritatevole da parte dei più ricchi a
vantaggio dei più bisognosi e si continua così a fare carta straccia della Carta costituzionale, laddove è scritto il criterio di progressività a cui si deve attenere il sistema fiscale, laddove è previsto il dovere di solidarietà sociale ed è stabilita - non dimentichiamolo - la funzione sociale della proprietà privata stessa.
In questa finanziaria non c'è nulla che vada incontro alla necessità di rendere il nostro paese davvero più moderno ed innovativo attraverso politiche per la città, la mobilità, la riqualificazione urbana e la valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale e del mondo degli animali. È assente qualsiasi tentativo di confrontarsi con il Protocollo di Kyoto, tra poco legge dello Stato, attraverso un grande piano di innovazione tecnologica, finalizzato al risparmio energetico, alla sostenibilità e compatibilità ambientale e sociale dei progetti di sviluppo. Ciò che più serve al paese e ciò che più urge per uscire dalla deriva cui ci state conducendo è assente da questa finanziaria.
Il nostro voto sulla fiducia non può che essere convintamente negativo, in sintonia - ne sono convinta - con il giudizio sul vostro operato della maggior parte delle cittadine e dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luigi Pepe. Ne ha facoltà.
LUIGI PEPE. Ancora una volta il Governo usa l'arma della fiducia perché, di fatto, vuol dire che non è più in grado di governare davvero. È evidente che ci troviamo di fronte ad un nuovo ulteriore segno di crisi: si tratta di un esecutivo che riesce solo ad approvare provvedimenti ponendo la questione di fiducia, confermando in questo modo di non essere d'accordo su niente. Di fatto, ci troviamo di fronte non solo ad una finanziaria enormemente iniqua, che toglie ai poveri per dare ai ricchi, ma anche di fronte ad una finanziaria che è contro la Costituzione, anche perché nasce da un Governo in evidente crisi strutturale.
La finanziaria per il 2005 ha attraversato un percorso assai confuso, accidentato e tortuoso, criticato anche duramente dalla stessa maggioranza, con un risultato finale ambiguo e contraddittorio. La finanziaria, legge che delinea la politica economica del paese e che, pertanto, dovrebbe rappresentare un appuntamento annuale molto importante, è stata ridotta dall'attuale Governo ad una sequenza ininterrotta di maxiemendamenti e voti di fiducia. Ancora una volta, l'esperienza della sessione di bilancio per il 2005 ha dimostrato che la finanziaria per il 2005 omnibus è uno strumento inadeguato per la gestione della finanza pubblica.
Alla luce di tale situazione, noi Popolari-UDEUR esprimiamo il nostro forte dissenso nei confronti di una manovra finanziaria che, così come predisposta dal Governo, sembra non rispondere ad alcuna logica e coerenza in materia di politica economica e di bilancio, preannunciandosi finta e poco attendibile.
Manca una logica di rigore e risanamento dei conti pubblici. Manca un sostegno mirato allo sviluppo mediante una selettiva politica dell'offerta puntando sulla qualità del nostro sistema paese. Manca un intervento di effettivo sostegno alla domanda interna per supplire al ristagno della domanda internazionale.
La legge finanziaria 2005 certifica, altresì, una politica di progressivo impoverimento generale che dura ormai da quattro anni. L'Italia registra una situazione preoccupante perché ha un disavanzo pubblico che supera il 3 per cento del PIL, parametro che avremmo dovuto rispettare in osservanza a quanto previsto dal Trattato di Maastricht. Il processo virtuoso iniziato un decennio fa con la riduzione del debito e l'aumento dell'avanzo primario è stato interrotto negli ultimi tre anni.
Tutte le previsioni fatte dal Governo e dalla maggioranza di aggiustamento dei conti e di crescita sono state smentite. Dal punto di vista sociale il disagio è cresciuto ed un numero sempre maggiore di famiglie lambisce la soglia della povertà stabilita
dall'ISTAT in circa 820 euro mensili. L'apparato produttivo perde quote di mercato estero ed i consumi interni non crescono. I finanziamenti pubblici in innovazione e ricerca sono tra i più bassi in Europa e la spinta alla riduzione della forbice tra nord e sud, che pure era notevole, si è affievolita.
Dunque, si tratta di una manovra giudicata da tutti negativamente perché recessiva e demagogica allo stesso tempo. Per di più tale manovra ha un impatto pesante e negativo sull'economia del paese perché taglia in modo indiscriminato la spesa pubblica e colpisce duramente il sistema delle autonomie locali, la sanità, l'assistenza, la scuola, la ricerca, l'occupazione ed il reddito dei lavoratori pubblici, sottostimando le risorse necessarie per rinnovare il contratto nazionale di lavoro.
In sostanza, la proposta contenuta nella legge finanziaria non solo non aiuta la ripresa, ma la rende ancora più lontana ed incerta. Inoltre, ripropone la separazione in due tempi delle politiche di risanamento e sviluppo e, attraverso la riforma fiscale, compie la più grande ed iniqua redistribuzione della ricchezza a favore dei più ricchi. Formalmente si annunciano e proclamano tagli fiscali ma, in realtà, si aumentano i costi per tutti i cittadini.
Il paese si è impoverito. Le famiglie hanno subito una forte caduta del loro potere d'acquisto e non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese. Tutti gli indicatori economici, oltre a confermare purtroppo tale realtà, non fanno intravedere un'inversione di tendenza. Infatti, si registra una forte caduta dei consumi in tutti i settori, dall'abbigliamento ai beni durevoli, senza dimenticare il settore alimentare che, a seguito del rincaro dei prezzi, penalizza fortemente le famiglie italiane. A tutto ciò si accompagna una diminuzione delle capacità di risparmio ed un crescente tasso di indebitamento delle famiglie, che ha raggiunto cifre da capogiro con l'aumento di oltre il dieci per cento rispetto al 2003.
Ancora più grave è che non solo non si intravedono all'orizzonte mutamenti di sorta, ma che anzi le stesse scelte in tema di politica economica che si vogliono attuare fanno presagire un ulteriore aggravamento delle condizioni socio-economiche degli italiani. Nessuna campagna propagandistica potrà tralasciare il fatto che il 60 per cento della popolazione non trarrà alcun beneficio dalle misure fiscali fortemente volute da Berlusconi che determineranno, invece, una redistribuzione di ricchezza a favore dei ceti più forti. Tutta l'operazione in materia di imposte sui redditi comporta sgravi fiscali consistenti, anche di qualche milione di euro, per i più ricchi e solo una misera mancia per i redditi più poveri.
PRESIDENTE. Onorevole Pepe, deve concludere...
LUIGI PEPE. I cittadini meno abbienti, a fronte di qualche centesimo di risparmio, si troveranno a pagare altre imposte - aumento del bollo dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale - ed a sopportare la conseguente maggior onerosità dei servizi essenzialmente forniti a livello locale, stante il taglio delle risorse alle regioni ed agli enti locali che, soprattutto nel Mezzogiorno, hanno margini di manovra più ridotti e dipendono maggiormente nei trasferimenti dal centro.
Quella perseguita dall'attuale esecutivo è una politica economica basata sulla finanza creativa e pressappochista, le cui scelte inique non daranno il minimo sostegno alla domanda di mercato per avviare un circuito virtuoso di rilancio dei consumi del paese. Si pensi solo al taglio dei trasferimenti agli enti locali che produrrà inevitabilmente sia aumenti di tariffe nei servizi, sia il netto peggioramento dei sistemi locali di welfare.
Si tratta di una manovra improduttiva e deleteria...
PRESIDENTE. Onorevole Pepe, io sono molto indulgente, ma bisogna che lei concluda. Se vuole, può lasciare agli atti il testo integrale del suo intervento, così lo leggeremo sui resoconti, naturalmente con grande interesse.
LUIGI PEPE. Concludo, Presidente, evidenziando la grave disattenzione verso il Mezzogiorno d'Italia. Il 18 settembre 2002 ebbi modo di chiedere, in diretta televisiva, le dimissioni del ministro Tremonti, proprio per la sua scarsa attenzione verso il Mezzogiorno d'Italia.
Signor Presidente, l'Italia si gioca il suo futuro nel Mezzogiorno, ma constatiamo con grande amarezza che nella provincia di Lecce arriva la mannaia della scadenza degli ammortizzatori sociali per circa 6 mila lavoratori; fatto che spingerà il Salento in uno stato di vera emergenza (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari - UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, bisogna attenersi ai tempi, così si evitano i richiami da parte del Presidente. Personalmente non tolgo mai la parola - questo è un mio difetto -, però ogni tanto bisogna farlo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Rifondazione comunista negherà la fiducia al Governo, come atto necessario e pregiudiziale per costruire l'alternativa al Governo stesso. Questa finanziaria, infatti, «strombazzata» senza alcun pudore dal Presidente del Consiglio come storica ed epocale, si è rivelata, grazie anche all'opera di controproposta e di analisi critica da parte delle opposizioni, per quello che è e che appariva essere sin dal primo momento, quando è iniziata questa lunga discussione, circa due mesi fa: cioè un organico ed iniquo disegno liberista, una stangata pesantissima, un'operazione ingente di redistribuzione verso l'alto e di concentrazione delle ricchezze verso i ricchi. Essa è stata imposta, peraltro, a colpi, a nostro avviso, di incostituzionalità, come il maxiemendamento e le questioni di fiducia, susseguentesi l'una all'altra, negando così trasparenza allo stesso Parlamento e ponendo le misure singole di questa finanziaria in un cono d'ombra, come si è potuto rilevare nella stessa giornata di ieri, quando taluni profili di incostituzionalità sono stati corretti dallo stesso Governo e dal relatore, a seguito del rinvio in Commissione bilancio.
Questa finanziaria è l'elogio dei miliardari, ritenuti il motore della società, mentre la povertà è, dal Presidente del Consiglio, ritenuta una bestemmia, un peccato mortale, una maledizione di Dio. Hanno detto giustamente i segretari confederali CGIL CISL UIL che è impressionante che la politica industriale, pur dopo cinque anni di stagnazione, sia completamente ignorata. Il centro studi della Confcommercio - anch'esso non certo un covo di estremisti -, presieduta da Sergio Billè, a cui fa eco la Confesercenti, commentando i dati ufficiali ISTAT di 96 ore fa, parla di anno pessimo per il commercio al dettaglio e di una «picchiata» che fa venire i brividi; cito testualmente: «concludendo, per i consumi è un crollo senza fine». Ciò vuol dire che gli italiani e le italiane, in grande maggioranza, non hanno i soldi per sbarcare dignitosamente il lunario.
La grottesca tragedia è che Berlusconi parli di operazione storica, di fronte ad una mediocre e banale operazione fiscale, attuata sbandierando l'odioso e sciocco ideologismo del rilancio della domanda, tagliando le tasse solo ai ricchi molto ricchi. Il ministro Siniscalco, il quale ha cultura economica, sa che persino l'economia borghese, oltre che l'economia classica, ci insegna che di fronte a consumi già opulenti l'abbattimento del carico fiscale per i ceti più ricchi non viene affatto incanalato verso una crescita della domanda interna. Pertanto, il segnale vero, che a nostro avviso Berlusconi vuole dare, è molto più pericoloso. Esso riguarda il modo di concepire la statualità e la formazione sociale. Riguarda il rapporto tra individuo e contratto sociale, tra pubblico e privato, nel tentativo di devastare il modello culturale e sociale europeo. L'operazione ha un senso quasi esclusivamente ideologistico. In questo contesto, essa è molto simile alle propensioni neocon dell'amministrazione statunitense: quelle di
schierare l'individuo contro il contratto sociale, in una sorte di feroce selezione sociale, classista, individualista e privatistica. Cogliamo peraltro la centralità di questo punto nella cosiddetta sbandierata riforma fiscale.
Questo è il motivo per il quale noi dell'opposizione, di fronte alla vuota e falsa litania berlusconiana, dobbiamo riaprire, senza arretramenti o coazioni a ripetere errori del recente passato, l'elaborazione del confronto sul tema che a noi appare prioritario, cioè l'intervento pubblico e socializzato, la programmazione e lo sviluppo autocentrato.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Questa finanziaria ha in odio il paese che soffre, che quotidianamente vive la disperazione di salari e stipendi, che valgono sempre meno, e di lavori sempre più nomadi e volatili. Il tratto fondamentale della formazione sociale è l'insicurezza. Attorno ad essa, vengono costruite le campagne emergenzialiste della tolleranza «zero», dell'ossessione securitaria e del proibizionismo.
È una disperata, ma pericolosa manovra del Governo, ormai in crisi strutturale, al di là dei sondaggi falsi e sbandierati del Presidente del Consiglio in queste ore, basata sulla campagna di «legge ed ordine» per i poveri e sull'impunità per i potenti, che sta sfibrando la democrazia.
La grande questione del paese, in crisi recessiva, è, invece, quella del reddito, del salario, del lavoro, del salario sociale; si pone qui il tema della ridistribuzione delle risorse, anche attraverso la leva fiscale, rilanciando il profilo costituzionale della progressività sulla curva dell'IRPEF, recuperando il drenaggio fiscale, sovrattassa iniqua a danno dei lavoratori, tassando le grandi rendite finanziarie, andando ad intaccare l'evasione che, insieme all'elusione (se ne parla troppo poco), è il vero dato abnorme ed inedito dell'Italia all'interno del sistema fiscale europeo (basti guardare i dati di pochi giorni fa che riguardano il 2004 del rapporto della Guardia di finanza che ci dice plasticamente che la questione fiscale in Italia è una questione di classe, è una questione classista vera e propria).
Le opposizioni hanno certamente fatto grandi passi in avanti, tentando in questa finanziaria un lavoro unitario intenso sul piano programmatico, grazie anche, se non soprattutto, all'elaborazione e alle iniziative dei sindacati, dei movimenti, dell'associazionismo, cioè di un circolo virtuoso che si è creato, il quale rilancia la concezione dello sviluppo autocentrato, del parametro della produttività sociale, della sovranità alimentare, della non mercificabilità dei beni comuni, a partire dall'acqua, che non possono diventare luogo di profitto o di rendita, ma devono essere luogo pubblico per assicurare i servizi alle cittadine ed ai cittadini.
Proprio dentro la crisi della globalizzazione liberista si possono, infatti, innescare processi, certo difficili, ma reali di fuoriuscita dal liberismo. Altrimenti si ricade in una selezione sociale razzista e censitaria, perché una terza via non c'è. Il liberismo temperato è un'ipotesi oggi non solamente falsa, sbagliata ed inefficace, ma fuori contesto e, quindi, sarebbe destinata a sicuro fallimento.
Intervento pubblico, sostegno alla domanda, potenziamento dell'offerta costituiscono la triade reale, l'unica possibile ed equa operazione antirecessiva. È una strada, tra l'altro, che passa necessariamente attraverso forti meccanismi di partecipazione e di socializzazione delle comunità locali, delle nuove municipalità, cioè di un diffuso reticolo antiliberista che si è messo al lavoro sul territorio e che sta in qualche modo ripercorrendo una strada del consenso contro la politica economica del Governo Berlusconi.
Concludo, dicendo che, nel corso degli ultimi mesi, importanti movimenti hanno costruito un vero e proprio mutamento di fase. Grandi categorie di lavoratori, sciopero generale della scuola, della cultura, manifestazioni di emigranti, hanno composto un quadro complessivo di critica
radicale all'operato di questo Governo. Sono essi l'asse portante di una nuova politica nel campo dell'economia dei diritti del lavoro e dei diritti sociali.
Noi opposizioni dobbiamo saper connettere fra loro i movimenti perché costruiscano una massa critica che possa mettere in crisi le politiche del Governo, indicando a noi stessi un'alternativa. Vogliamo cioè riconnettere sofferenza sociale del paese ed il bisogno di giustizia e di democrazia; vogliamo dire basta a questa destra che amplifica tutte le iniquità e tutti i privilegi, mettendo a rischio coesione sociale e tenuta democratica del paese!
Su questi assi di fondo, su questi terreni l'impegno di Rifondazione comunista nei prossimi mesi sarà appassionato, determinato, radicale ed unitario (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Peretti... Mi scusi, ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, ogni tanto abbiamo qualche scontro, ma ho il massimo rispetto delle istituzioni.
Signor primo ministro, la Lega Nord Federazione Padana esprimerà un voto favorevole sulla questione di fiducia posta sulla legge finanziaria per il 2005 sia nel merito che nel metodo. Al di là delle sterili polemiche alimentate dall'opposizione non ci preoccupa la richiesta di votazione mediante fiducia. Da anni, infatti, diciamo che la legge finanziaria dovrebbe seguire un iter diverso, come accade da sempre nella maggior parte dei paesi occidentali più evoluti.
Questa legge, trattando sostanzialmente le modalità di riscossione dei tributi e la loro quantità, nonché la conseguente possibilità di impiego nei servizi che lo Stato offre ai cittadini, è di fatto l'atto legislativo più importante dell'anno e al suo interno vi è la vera politica, non solo economica, della maggioranza di Governo. Riforme, modifiche dell'assetto burocratico, incentivi ai comparti economici, correttivi ed aiuti alle politiche sociali passano da questa legge; in essa, quindi, ci dovrebbe essere la sintesi della volontà amministrativa della maggioranza.
Da anni siamo invece obbligati ad assistere al triste spettacolo di articoli, commi, emendamenti dell'ultimo minuto, riguardanti interventi di dettaglio, locali o settoriali, che assumono la stessa dignità, e spesso addirittura maggior peso, di argomenti riguardanti le grandi voci di spesa di bilancio dello Stato.
La legge finanziaria dovrebbe essere definita nei grandi principi dai responsabili dei partiti di maggioranza, discussa nel dettaglio operativo nelle Commissioni competenti e dovrebbe arrivare in aula solo per dichiarazioni di voto finale per poi essere approvata o respinta con una sola votazione.
Speravamo che la prassi già applicata nel 2003 diventasse regola quest'anno e così si potesse procedere. Ancora ieri, invece, sono stati presentati emendamenti di assoluto dettaglio in Commissione bilancio (il 27 dicembre). Ci auguriamo veramente che quest'ultima esperienza possa far riflettere tutti per avviare un nuovo meccanismo di approvazione per il prossimo anno.
È, invece, assolutamente riprovevole che, fiducia o non fiducia, si sia qui a votare il 28 dicembre in terza lettura, con l'obbligo di un quarto passaggio al Senato e con la possibilità, non così remota, dell'esercizio provvisorio. E, considerando che si sta discutendo da settembre e che sostanzialmente non vi è stato dibattito in aula, ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione.
Con altre maggioranze e altre Presidenze della Camera questo certo non sarebbe mai successo. Su tale questione, signor primo ministro, vorremmo che anche lei svolgesse qualche seria riflessione.
Siamo favorevoli sul merito della legge in esame. Con questa finanziaria, per la prima volta, sono stati introdotti elementi estremamente positivi. Vi è una prima
riduzione della tassazione, sia per le persone fisiche (IRPEF), sia per le persone giuridiche, cioè le imprese (IRAP); non sono grandi numeri e avremmo voluto sicuramente di più, ma essere passati dalle parole ai fatti è un elemento di estrema importanza.
Chi oggi critica questo intervento, e manda la gente in piazza o blocca il paese con scioperi generali perché il Governo abbassa le tasse, dovrebbe invece spiegare perché, quando ha governato, le tasse le ha aumentate o ne ha addirittura inventate di incostituzionali, come l'IRAP che riesce a tassare anche le aziende in perdita.
I numeri non sono grandissimi, è vero, ma vanno nella direzione giusta: l'allargamento della no tax area per i lavoratori con familiari a carico, l'innalzamento degli scaglioni IRPEF che privilegiano le fasce di reddito medio-basse favoriscono la famiglia e i cittadini responsabili che investono nel futuro della società.
In questa battaglia, signor primo ministro, la Lega le è sempre stata vicina con determinazione, combattendo con decisione contro chi, all'interno della maggioranza, remava contro dichiarando che la riduzione delle tasse non era possibile. Abbiamo visto, invece, che tutto è diventato immediatamente fattibile semplicemente con qualche posto di ministro o di sottosegretario in più.
Ricordo, senza acredine, ad alcuni colleghi di maggioranza che oggi tappezzano i muri di Roma e di altre città d'Italia con manifesti che indicano loro come i fautori della riduzione delle tasse che, senza la testarda volontà della Lega, oggi di questo risultato non potremmo nemmeno parlare.
Lo stesso dicasi per l'IRAP che, dopo anni, viene finalmente ridotta anche se di poco. Avremmo voluto - e sarebbe stato opportuno farlo - una riduzione maggiore, ma il solo fatto di procedere nella giusta direzione va sottolineato con grande soddisfazione. Questa tassa ingiusta, illegittima, incostituzionale, deve essere eliminata e speriamo che, con la prossima finanziaria e con i prossimi Governi di centrodestra, si arrivi alla sua totale eliminazione.
Vogliamo sottolineare in maniera altrettanto positiva che la copertura di tali interventi è stata realizzata finalmente nell'unico modo che si dovrebbe adottare anche nei prossimi anni, vale a dire attraverso la riduzione della spesa pubblica.
Il nostro paese ha il primato negativo del numero di dipendenti pubblici (3 milioni e mezzo a tempo indeterminato e oltre un milione con contratti di altro tipo). I quasi 5 milioni di dipendenti pubblici sono un peso insopportabile per la nostra economia, soprattutto se confrontati con quelli degli altri paesi europei (i 2 milioni dell'Inghilterra, che ha gli stessi nostri abitanti o i 2 milioni 200 mila della Germania, che ha 20 milioni di abitanti in più dell'Italia).
Aver introdotto un tetto del 2 per cento sulla spesa pubblica e, soprattutto, aver stabilito regole precise per un primo parziale blocco del turn over nel pubblico impiego stabilisce finalmente un chiaro principio amministrativo, quello che la riduzione delle entrate deve essere bilanciata da una riduzione delle uscite, soprattutto se improduttive come quelle della burocrazia superflua statale.
Pertanto, accogliamo con estrema soddisfazione la sua decisione di voler portare tenacemente a termine questo principio e di avere, quindi, accolto un'indicazione che il nostro movimento le fornisce da anni. L'estremo favore con cui i cittadini italiani hanno accolto la volontà di ridurre le tasse e, contestualmente, le spese le avrà confermato quanto giuste fossero le nostre indicazioni.
Invece, altri passaggi di questa legge non ci lasciano particolarmente soddisfatti. Mi riferisco all'aumento di alcuni tributi minori e alla non proprio equilibrata distribuzione di risorse agli enti locali, sempre troppo precaria nella quantità, pur con l'introduzione - sempre su indicazione e pressione della Lega - di una differenziazione tra enti virtuosi e non.
Rileviamo, altresì, che non si è voluta intaccare ancora una volta un'altra voce estremamente gravosa per il nostro bilancio, ovvero la legge n. 488 del 1992, degna figlia della funesta Cassa per il Mezzogiorno. Questa legge costa ancora oggi alle tasche dei contribuenti 50 mila miliardi di vecchie lire all'anno e mantiene inalterato il meno virtuoso dei princìpi economici: il fondo perduto. La Lega avrebbe voluto un atto di coraggio ed un primo, deciso intervento su questa legge, con almeno l'introduzione di una prima trasformazione, ovvero il passaggio dal fondo perduto al prestito a tasso agevolato, o anche a tasso zero, ma con l'obbligo di restituzione almeno parziale. Se, infatti, non si introduce un vero principio di imprenditorialità nel Mezzogiorno, continueremo ad assistere allo spreco di pubbliche risorse, senza creare nuova ricchezza né nuovi posti di lavoro.
In proposito, signor primo ministro, avremmo davvero voluto da parte sua maggiore coraggio. Facciamo tali affermazioni con lo spirito costruttivo di chi partecipa a questa maggioranza con lealtà e senso del dovere nei confronti dell'intero paese. I cittadini vogliono e premiano scelte coraggiose nonché idee chiare, precise e portate avanti con decisione. Di questo ormai, signor primo ministro, dovrebbe essere ben cosciente.
Questa legislatura nei prossimi anni sarà ricordata soprattutto per i provvedimenti che il suo esecutivo è riuscito a chiudere grazie alla volontà, alla determinazione e all'appoggio leale del nostro movimento. Mi riferisco alla riforma del lavoro, a quella del sistema pensionistico, a quella dell'ordinamento giudiziario, a quella in senso federale, alla legge di regolamentazione del flusso migratorio del ministro Bossi. Se a questo si aggiunge che anche la riduzione delle tasse e della spesa pubblica sarà portata a termine soprattutto grazie al nostro appoggio, si renderà ben conto che l'apporto della Lega nord, già determinante da un punto di vista elettorale, è in realtà ancora più importante dal punto di vista delle idee e della capacità riformatrice che apporta alla sua maggioranza. In questo senso, finché lei avrà il coraggio di portare avanti il programma elettorale proposto agli italiani nel 2001, avrà la Lega al suo fianco, come nel passaggio odierno.
Quindi, la invitiamo ad ascoltare un po' meno qualche suo consigliere, ormai troppo abituato ai marmi del palazzo, che non ha mai visto il cemento dei capannoni industriali, pronto ad andare in Cina a rappresentare chissà cosa, ma sordo alle richieste di aiuto reale provenienti dal paese che produce, ovvero dalle medie, piccole e piccolissime aziende che oggi sono le uniche a creare ricchezza, occupazione e gettito fiscale.
Allo stesso modo non usi più quell'atteggiamento paternalistico nei nostri confronti - come si fa con i ragazzi che scalpitano, ma che tanto diventeranno grandi - su altri argomenti di fondamentale importanza per il futuro del nostro paese. Evidentemente, le sto parlando del problema dell'allargamento ai paesi islamici dell'Unione europea. Capiamo bene che riceverà pressioni enormi da parte dei poteri forti, ma in proposito non è accettabile non sentire la voce del popolo.
Oggi si vota la legge finanziaria, ma la finanza non può essere disgiunta dall'economia, così come l'economia non può essere separata dalla cultura, la cultura dalla storia e la storia dall'identità. Il nostro paese attraversa una crisi profonda, la stessa che attanaglia l'Europa, all'interno della quale, ormai, abbiamo riposto il nostro futuro. I prossimi anni vedranno confronti - speriamo non scontri - tra grandi blocchi omogenei: gli storici Stati Uniti e il Giappone, ma ormai anche la Cina è, tra pochissimo, perfino l'India. Si tratta di blocchi che fondano la propria forza economica sulla compattezza culturale. Se vuole competere alla pari con loro, l'Europa non può passare i prossimi anni in inutili diatribe sulle proprie origini e in lotte, fin troppo facilmente prevedibili, tra antitetiche concezioni della vita e della società civile.
In conclusione, signor primo ministro, le rinnoviamo ancora oggi la fiducia, apprezzando lo sforzo fatto in questa legge
finanziaria per andare nella direzione giusta. Abbiamo ancora un anno per completare questo percorso e per portare a termine tutti i provvedimenti che i cittadini si aspettano dalla nostra maggioranza. Si deve portare il paese definitivamente fuori dalla crisi, per avviarlo verso un futuro di certezze e di sviluppo. Si deve reinquadrare un'Unione europea troppo confusa e, soprattutto, occorre evitare la sciagura più grande: un Governo di sinistra in questo paese.
Pertanto, ci auguriamo nell'interesse di tutti che, da parte sua, ci saranno coraggio e decisione adeguati a queste imprese. Se così sarà, avrà la Lega, criticamente ma lealmente, al suo fianco, come sempre (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.
ETTORE PERETTI. Signor Presidente, signor ministro, l'UDC voterà la fiducia al Governo sulla legge finanziaria. Siamo all'epilogo di un iter tormentato ma, dal nostro punto di vista, lineare nei contenuti. Siamo chiamati a gestire i conti pubblici in un momento di bassa crescita. Ciò è molto difficile, ed è ancora più difficile garantire, in queste condizioni, il pareggio di bilancio. Infatti, paesi importanti quali la Francia e la Germania non ci sono riusciti e non ci stanno riuscendo.
Possiamo essere criticati su tutto, ma ritengo che possano essere svolte due considerazioni non criticabili. Abbiamo sempre rispettato il rapporto deficit-PIL: ci siamo avvicinati al 3 per cento, ma il limite previsto dagli accordi di Maastricht non è mai stato superato dalle leggi finanziarie di questo Governo. Vi è stata inoltre una leggera ma costante riduzione del rapporto debito-PIL: credo non si tratti di un'impresa da poco, con un bilancio che prevede 140 mila miliardi di vecchie lire di spesa per interessi su un debito pubblico di 2 milioni 700 mila miliardi di vecchie lire.
L'opposizione, che fa il proprio mestiere, critica i nostri documenti di bilancio. Ritengo tuttavia che non possa farlo, in quanto negli anni in cui l'opposizione è stata chiamata al Governo non è riuscita a creare condizioni permanenti di equilibrio del bilancio, pur potendo contare in quegli anni sull'economia in crescita, e il suo sistema di controllo dei conti pubblici era basato sull'aumento delle tasse e sulla riduzione della spesa per investimenti. Anche l'attuale opposizione ha fatto allora ricorso alla cartolarizzazione di immobili e di crediti e ha inventato il patto di stabilità interno, che chiama i comuni, anche quelli virtuosi, a contribuire al risanamento dei conti pubblici. Inoltre, l'opposizione non ha una proposta alternativa di politica economica. Abbiamo ricevuto molti consigli su come spendere, ma non vi è stata da parte dell'opposizione alcuna indicazione relativa alla compatibilità finanziaria delle proprie proposte.
Con la legge finanziaria e con i documenti di bilancio in esame abbiamo imboccato, anche se in modo non definitivo, una direzione di marcia ben precisa. Gli interventi vanno in tre direzioni: vi è la riduzione delle tasse; vi è, anche se ancora in nuce, la lotta agli sprechi e la verifica della spesa; vi è il tentativo serio di questo Governo di determinare un aumento di produttività del nostro sistema con proposte legislative coerenti.
Per quanto riguarda la riduzione delle tasse, siamo partiti dal presupposto di restituire almeno in parte il potere d'acquisto perso con il passaggio dalla lira all'euro. L'introduzione di quest'ultimo è stata positiva: l'euro ha ridotto i tassi di interesse, ha controllato l'inflazione, ha stabilito una sorta di stabilità del cambio, almeno per quanto concerne l'Unione europea. Tuttavia, l'euro ha portato con sé uno «scalino» di inflazione che in qualche misura dobbiamo scalfire.
Vogliamo aiutare i soggetti più deboli, in particolare le famiglie con i figli. L'UDC, con una proposta molto forte e coerente, ha garantito che in questa legge finanziaria fossero inseriti interventi per la famiglia. Abbiamo sostanzialmente chiesto e
ottenuto un'operazione di equità sociale. Anche su questo fronte abbiamo ricevuto molte critiche.
Si è detto che questa è una riduzione fiscale non significativa, non coperta o, laddove lo fosse, che viene coperta attraverso gli aumenti di altre imposte; intanto noi possiamo cominciare a dire che, se sommiamo il primo modulo con il secondo, quello della riduzione fiscale (cioè, le detrazioni portate sulla famiglia nel 2003 e ciò che è inserito in questa legge finanziaria), le riduzioni fiscali, e segnatamente quelle sulla famiglia, iniziano ad essere significative.
Devo dire, inoltre, che abbiamo ottenuto anche un altro risultato: prima l'opposizione non aveva una proposta di riduzione delle tasse, ora invece essa annuncia che presenterà una propria proposta e che è dunque passata da una fase di demonizzazione ad una di imitazione. Noi riteniamo che questo sia un passo in avanti, un punto positivo in quanto, anche se l'opposizione non ha mai avuto nel proprio DNA la riduzione fiscale, il fatto che essa inizi a ragionare in questi termini è sicuramente importante.
Certo, noi sappiamo che le proposte inserite in questa legge finanziaria non sono definitive, che ci troviamo in un momento di passaggio, e che l'approdo definitivo riguarderà il quoziente familiare, cioè la possibilità di tener conto, all'interno della dinamica fiscale, del numero dei figli.
La seconda questione, che questa legge finanziaria, e segnatamente la riduzione fiscale, porta con sé, è quella della riduzione degli sprechi. La riduzione delle tasse, poiché viene effettuata in limine delle possibilità, in quanto svolta all'interno delle difficoltà di mantenimento del pareggio del bilancio, porta con sé la necessaria azione positiva di guardare all'interno della spesa pubblica, non solo ai livelli ma anche alla qualità, al modo in cui si spende. Ritengo, quindi, che siamo all'interno di un meccanismo ormai avviato (da affinare, ma importante) di capacità di spesa e anche di selezione e di qualità della spesa medesima. Ciò porterà certamente ad una eliminazione della spesa meno efficiente, di quella più superflua, ad una lotta agli sprechi, che non potrà non essere positiva per il cammino di questo paese, mettendo fine all'idea, tutta di sinistra, che tutta la spesa è buona semplicemente perché è spesa pubblica: anche questo credo sarà un risultato complessivamente positivo per il nostro paese!
All'interno di tali considerazioni, noi non comprendiamo l'atteggiamento della sinistra di irridere al tentativo che il Governo italiano sta facendo di modificare il patto di stabilità. È stato proprio Prodi a dire che il patto di stabilità è stupido, come stupido è obbligare gli Stati al pareggio di bilancio in momenti nei quali l'economia non tira, in cui - diremmo noi - è economicamente dannoso e socialmente irresponsabile.
Credo che il Governo faccia bene ad insistere per eliminare le spese di investimento e quelle di ricerca dal calcolo del pareggio di bilancio, così da aprire spazi di interventi e prospettive di sviluppo nuove: si investe oggi per avere sviluppo domani! Forse la sinistra teme che con questa manovra possano essere trovate ulteriori risorse per la riduzione fiscale.
Infine, vi è il problema della competitività del nostro sistema economico produttivo. Negli anni passati, quando la sinistra era al Governo, essa ha sempre negato che il nostro sistema economico soffrisse di una perdita di competitività; oggi invece vedo che la sinistra insiste molto, forse per il pensiero recondito di poter addossare la responsabilità al Governo, il quale a giorni presenterà un proprio provvedimento e mi fa piacere pensare che questa potrà essere l'occasione per riaprire un confronto con le parti sociali.
Il problema della competitività giunge da molto lontano, deriva da errate o mancate scelte di politica economica o industriale, scelte pubbliche e private; deriva anche dall'avere mortificato, dal 1968 in poi, valori importanti costituenti, come quello del merito, del rischio, della competizione, valori che sono stati soppiantati
da un egualitarismo che ha finito per non stimolare la crescita dell'economia ed i comportamenti competitivi.
Credo che tali valori vadano, per così dire, riportati in vita, fino a farli diventare valori di riferimento in grado di far cambiare i nostri comportamenti economici, sociali ed istituzionali.
Noi consideriamo quello della competitività non un problema settoriale, ma di strategia complessiva, che travalica i cicli elettorali e che riguarda tutti i soggetti dello sviluppo economico e della redistribuzione della ricchezza: sostanzialmente, le istituzioni, le imprese, i lavoratori, la politica e tutti i livelli di Governo, da quelli sovranazionali, come l'Unione europea, al livello di Governo per eccellenza, che è quello nazionale, nonché alle autonomie locali.
Insomma, si avverte il bisogno di un cambiamento dei comportamenti a trecentosessanta gradi.
Quando sarà il momento di discutere le proposte che avanzeremo sulla competitività, dovremo fare chiarezza su dove occorra veramente intervenire. Ad esempio, ci illuderemmo se pensassimo di poter modificare a nostro piacimento i livelli di cambio (allo scopo di ottenere effetti positivi sulle nostre esportazioni); allo stesso modo, sarebbe illusorio pensare che, almeno nel breve periodo, paesi come la Cina e l'India siano indotti ad introdurre una legislazione ambientale e sociale in grado di tutelare meglio i lavoratori e le popolazioni e di aumentare anche il costo del lavoro.
Invece, possiamo pensare di intervenire sui fattori interni, stimolando la capacità di innovazione e, quindi, cambiando, in parte, il nostro ...
PRESIDENTE. Onorevole Peretti...
ETTORE PERETTI. ... sistema produttivo e creando un ambiente favorevole alle attività economiche. Servono interventi di fondo più che di superficie, interventi di medio e lungo periodo più che di breve periodo.
Credo che queste considerazioni ci porteranno, da gennaio in poi, ad approvare, in quest'aula, un provvedimento chiaro sulla competitività, un provvedimento nell'interesse del paese in qualche modo agganciato ad un disegno di legge finanziaria che, pur tra le attuali, gravi difficoltà di gestione dei conti pubblici, sta dando risposte in termini di equità sociale e di rilancio dello sviluppo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alberto Giorgetti. Ne ha facoltà.
ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, a conclusione di un iter complesso e difficile che noi abbiamo condiviso con soddisfazione, insieme alle altre forze della maggioranza, i deputati del gruppo di Alleanza Nazionale voteranno con convinzione a favore della manovra finanziaria e, quindi, sulla questione di fiducia posta dal Governo.
Alla fase finale dell'esame del disegno di legge finanziaria per il 2005 giungiamo dopo un confronto particolarmente positivo e fecondo con il ministro Siniscalco, che ringraziamo perché, insieme a tutte le forze della maggioranza, è riuscito a portare avanti un'iniziativa di carattere normativo particolarmente importante: sono ben 590 i commi di un disegno di legge finanziaria che affronta tutti i temi di interesse strategico per la politica economica del paese. Si tratta di un provvedimento che si muove all'interno della cornice del patto di stabilità europeo che, al contrario di quanto sostiene l'opposizione, questo Governo e questa maggioranza hanno rispettato ed intendono con forza continuare a rispettare.
Le scelte adottate sono coraggiose ed intelligenti e vanno a perfezionare ulteriormente un complessivo intervento di rigore sui conti pubblici che presenta rilevanti aspetti innovativi che i Governi precedenti non sono stati capaci di elaborare e che questo Governo, invece, ha avuto la lucidità e la forza di avviare con particolare energia anche in questi ultimi giorni, producendo il testo al nostro esame.
Penso soprattutto ai temi legati al tetto del 2 per cento, una scelta che, comunque,
non agisce in modo cervellotico su tutte le poste di bilancio.
È un intervento che agisce su poste realmente controllabili e si muove in modo diverso per quanto riguarda l'articolazione dell'impatto sugli enti locali, che vengono chiamati ad una corresponsabilità sul tema del risparmio e del controllo della spesa pubblica, potendo comunque usufruire di spazi di manovra interessanti per quanto riguarda questo anno in riferimento ad un possibile mix di spese correnti e spese per investimento. L'intervento responsabilizza gli enti locali e le autonomie locali su questo versante, dando comunque loro la possibilità, al contrario di quanto è stato sostenuto dall'opposizione, di proseguire - in particolar modo le amministrazioni virtuose che hanno rispettato il patto di stabilità interno - sul versante degli investimenti, anche attraverso l'attivazione di nuovi strumenti. Penso, per esempio, al fondo predisposto presso la Cassa depositi e prestiti, che consentirà alle amministrazioni locali di continuare i lavori avviati.
Penso alla scelta riguardante il blocco delle addizionali, che parte dalle decisioni prese dal Governo centrale in materia di abbassamento della pressione fiscale, che vengono ad impattare con le disponibilità legate all'aspetto normativo su cui il Parlamento può oggi intervenire. Il patto di stabilità va ad articolarsi complessivamente su tutta la materia legata alla pubblica amministrazione stabilendo che la pubblica amministrazione non deve soltanto risparmiare - dato sicuramente acquisito, la cui efficacia è dimostrata già dall'intervento operato dal cosiddetto decreto taglia-spese, che ha portato ad un risparmio di circa 10 miliardi di euro e che sicuramente troverà ulteriore compimento attraverso questa legge finanziaria - ma deve anche essere maggiormente responsabilizzata per quanto riguarda i criteri legati al blocco del turn over e alla stessa responsabilizzazione sull'innovazione tecnologica; si tratta di segnali importanti che spingono la pubblica amministrazione verso una ulteriore presa di coscienza delle potenzialità legate alle nuove tecnologie, producendo delle risposte nei confronti dei cittadini che possono essere più efficaci e coniugate ad un criterio complessivo di risparmio che noi riteniamo oggi indispensabile e necessario. Esso deve rappresentare una linea guida per quanto riguarda il confronto tra sistemi Stato, anche nel percorso della cosiddetta competitività internazionale.
Ha ragione il Governo, in particolare il ministro Siniscalco, quando chiede un rigoroso rispetto del patto di stabilità da una parte e dall'altra sottolinea la necessità di stabilire un'alleanza in sede europea con i paesi che hanno prodotto di fatto la ricchezza in Europa negli anni del dopoguerra e oggi si trovano, pur all'interno di un'area monetaria condivisa, che rappresenta sicuramente una grande opportunità nel confronto monetario internazionale all'interno degli schemi della finanza internazionale, in difficoltà per chiedere di interpretare il patto in modo più intelligente. Occorre rimettere in moto i meccanismi virtuosi per riprendere un percorso di sviluppo di cui oggi l'Italia e l'Europa hanno particolare necessità, svincolando le spese per investimenti e ricerca dai limiti predisposti dal patto di stabilità, in quanto sono ormai elementi ritenuti essenziali dall'agenda europea e anche dalla politica economica del Governo italiano.
La legge finanziaria, nella sua complessità ed organicità, dimostra che questo Governo e questa maggioranza hanno un disegno di politica economica che punta a valorizzare gli aspetti fecondi di un sistema Italia ancora in grado di crescere, che deve però essere aiutato da un arretramento dello Stato, che a volte pone freni allo sviluppo, e da una produzione normativa che possa progressivamente mettere il sistema produttivo nelle condizioni di rilanciare la prospettiva naturale di crescita che in qualche modo oggi si trova compressa dalla trappola di una congiuntura internazionale non particolarmente felice.
All'interno di questo percorso sono giuste le iniziative in sede europea sul versante delle spese per investimenti e ricerca,
ma è anche importante proseguire sul versante degli aspetti legati alla competitività che noi vogliamo rimarcare; penso al tema del marchio e del brevetto europeo, tema su cui il Governo sta lavorando in modo efficace e positivo. Penso al tema delle legislazioni omogenee per i ricercatori, che sono i cervelli d'Europa, e all'attenzione che dovrà essere prestata, anche da parte del sistema Italia, a tale realtà. Si tratta, dunque, di un patto di stabilità su cui un Governo forte deve lavorare con determinazione, per difendere l'interesse nazionale. Il gruppo di Alleanza Nazionale vuole ribadire che, nell'ambito di questo percorso, c'è una priorità, vale a dire la difesa dell'interesse nazionale, sicuramente leali con i partner europei, ma determinati nella difesa delle potenzialità di un sistema Italia che questo Governo ha contribuito a tenere in vita.
In questo disegno di legge di finanziaria è posta attenzione alla competitività in generale e all'abbattimento della pressione fiscale in particolare. Anche Alleanza Nazionale ha contribuito in modo determinante all'abbattimento della pressione fiscale che, al contrario di quanto sostengono i colleghi dell'opposizione, è rilevante e, nel triennio, ammonta a circa 19 miliardi di euro. Sicuramente, determinerà effetti positivi rispetto alla maggiore capacità di acquisto delle famiglie, alla ripresa della domanda interna, al sostegno al settore delle imprese che potranno beneficiare complessivamente di significativi interventi di riduzione della pressione fiscale.
Una questione importante per la quale ci siamo battuti riguarda la necessità di prestare particolare attenzione alle famiglie e ai soggetti più deboli, il cosiddetto contributo di solidarietà, e la progressiva riduzione dell'IRAP, con l'obiettivo di eliminare questa tassa che, di fatto, è iniqua, una gabella che abbiamo combattuto quando fu approvata dal Governo di centrosinistra e che vogliamo continuare ad abbassare fino all'eliminazione definitiva. Portare ad una maggiore forfettizzazione i costi del lavoro legati all'imponibile è un segnale non risolutivo rispetto alle attese del mondo dell'impresa. È, comunque, un segnale significativo per le esigenze soprattutto della piccola e media impresa cui i colleghi della Lega nord facevano riferimento e che vogliamo tenere nella massima attenzione e sostenere con forza.
PRESIDENTE. Onorevole Giorgetti, ...
ALBERTO GIORGETTI. Dunque, quello dell'abbassamento della pressione fiscale è sicuramente un tema rilevante.
Mi avvio alla conclusione, ricordando un'ultima questione. In questo provvedimento, vi sono segnali importanti anche sul versante della competitività. Penso ad una serie di interventi e, in particolare, al Fondo per il sostegno alle imprese, introdotto dalla Commissione bilancio della Camera in accordo con i gruppi parlamentari. Tale fondo darà la possibilità di immettere sul mercato 6 miliardi di euro, che saranno attivati dalla Cassa depositi e prestiti con il risparmio postale, con riferimento a progetti in disponibilità proposti dalle imprese al CIPE, riguardanti nuove iniziative imprenditoriali. Si tratta di 6 miliardi di euro che, se ben utilizzati da parte del Governo, in un percorso di forte attenzione nei confronti delle imprese che portano reale innovazione (innovazioni di processo e di progetto), possono costituire un elemento di svolta determinante per la competitività del sistema paese.
Concordiamo con i colleghi dell'UDC e della Lega sulla necessità di avviare un confronto forte sulle questioni legate alla competitività del sistema Italia. Siamo pronti ad affrontare tale confronto in tutta la sua organicità e complessità, ma riteniamo che già in questo disegno di legge finanziaria ci siano elementi particolarmente importanti per affermare che il rilancio della competitività comincia da questo primo grande intervento e dovrà trovare adeguata prosecuzione nel prossimo provvedimento che sarà presentato dal Governo.
Su questo, Alleanza Nazionale è pronta al confronto. Sostiene con forza questo disegno di legge finanziaria e ritiene che il successivo importante provvedimento costituirà
un fattore di sviluppo fondamentale per la competitività del sistema Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, parlo a nome dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, della componente dei Socialisti democratici italiani del gruppo misto e della collega Mazzuca Poggiolini, dei Repubblicani europei. Il Governo chiede la fiducia per la diciassettesima volta negli ultimi 12 mesi, nonostante i circa 90 voti di maggioranza alla Camera e i circa 50 voti di maggioranza al Senato. Questa posizione esasperata del voto di fiducia, insieme ad altri fattori degenerativi, sta cambiando la natura del Parlamento. Prende piede una regola materiale, in base alla quale il Parlamento, nella sua unità costituzionale e politica, appare sostituito da una maggioranza sempre più spesso trattata come puro braccio esecutivo del Presidente del Consiglio dei ministri e da una opposizione priva del diritto di interlocuzione con il Governo e con la maggioranza.
Più volte, in quest'aula, abbiamo fatto riferimento ai diritti dell'opposizione, ma oggi qui parliamo di altro e di più grave: dobbiamo parlare dei diritti del Parlamento in quanto tale e, quindi, dei diritti dei cittadini elettori a vedere rappresentati i propri interessi, indipendentemente dal voto espresso nell'urna. Stiamo scivolando silenziosamente verso una Repubblica maggioritaria. Per Repubblica maggioritaria intendo un sistema politico che non si cura della rappresentanza degli interessi generali del paese, che confonde questi interessi con quelli della maggioranza politica o di chi tiene le redini della maggioranza politica, che mantiene un rapporto con il paese non attraverso la mediazione parlamentare, che è faticosa e problematica, ma attraverso i mezzi di comunicazione, che permettono un messaggio semplificato, senza l'onere del contraddittorio.
Se nella prossima legislatura dovesse governare il centrodestra, questa prassi diventerebbe regola formale; se invece governasse il centrosinistra, sarebbe difficile per i nuovi governanti resistere alla tentazione di replicare questa prassi, i cui vantaggi immediati rischiano di far aggio sulle degenerazioni successive.
La domanda è la seguente: c'è il rischio che il sistema elettorale maggioritario dia vita ad una Repubblica maggioritaria? O meglio: come possiamo impedire che il sistema elettorale maggioritario - da difendere, a mio avviso, perché garantisce stabilità ai Governi - diventi il presupposto per una Repubblica maggioritaria, che costituisce invece un grave rischio per i valori della democrazia? Poiché la Repubblica maggioritaria tende a fare a meno del Parlamento, solo una forte riaffermazione, nelle regole e nelle prassi, dei diritti, delle responsabilità e del ruolo del Parlamento, in particolare quando si esaminano i documenti di bilancio, può impedire che quel modello si affermi.
Il richiamo ai diritti e alle responsabilità del Parlamento e dei rischi di quel modello di Repubblica è determinato non da una preoccupazione accademica, ma dalla specifica situazione nella quale si trova il paese. Gli indici di sviluppo significativi sono tutti negativi; c'è una crisi di fiducia delle famiglie e degli imprenditori nella forza del paese; manca la sfida per il futuro; in questo momento - e mi rincresce dirlo, colleghi - appariamo un paese che ha perso le sue ambizioni. Un commentatore americano, su un quotidiano di quel paese, segnalava nei giorni scorsi quella che a lui appariva una stranezza delle nostre televisioni, che quotidianamente sono piene tanto di signorine scollacciate quanto di attempati sacerdoti. Temo che quell'apparente contraddizione riveli una crisi profonda dell'identità nazionale, pericolante tra l'assopimento proprio di una sessualità ridotta a voyeurismo
e la ricerca di un ethos capace di dare un senso alla vita e di permettere che la vita abbia un senso.
Noi crediamo nella forza dell'Italia e sono certo che anche molti di voi, colleghi della maggioranza e del Governo, abbiano lo stesso sentimento. Ma chiedo: oggi questa forza chi la rappresenta? Chi la indirizza? Chi la rassicura? Inoltre, come la si rappresenta, come la si indirizza, come la si consolida? La domanda non è rivolta soltanto a voi, colleghi della maggioranza, è rivolta anche al centrosinistra. Chi ha responsabilità politiche, di maggioranza come di opposizione, ha il dovere di indicare al paese una meta e di impegnarsi a perseguirla. La legge finanziaria dovrebbe costituire la carta fondamentale per decidere anno per anno il tipo di meta che si indica alle famiglie, ai singoli, alle imprese, i tempi e i costi, i vantaggi e i sacrifici. La legge finanziaria dovrebbe segnare le linee strategiche per il futuro del paese, dovrebbe contenere un quadro di certezze, dovrebbe costituire un esercizio di autorevolezza e di credibilità, anche nei confronti delle altre nazioni.
Il testo che abbiamo davanti non risponde a questi criteri. Il punto qualificante avrebbe dovuto essere la riduzione del carico fiscale. Siamo tutt'altro che contrari ad una riduzione della pressione fiscale; infatti nel 2000 riducemmo l'IRPEF per circa 10 mila miliardi di lire e nel 2001 per circa 20 mila miliardi di lire.
La critica è un'altra; è diversa.
Riteniamo, infatti, che non si sia ridotta la pressione fiscale complessiva e che il disegno di legge finanziaria sia, quindi, privo di un'idea di futuro. Cito cifre esposte in documenti del Governo e della maggioranza, dati la cui fonte, perciò, non è riconducibile a noi. Ebbene, nel testo approvato dalla Camera - che era privo delle misure fiscali - la pressione fiscale era indicata al 41,2 per cento; nel testo approvato dal Senato, che contiene, invece, le misure di riduzione fiscale, la pressione resta al 41,2 per cento. È, questa, la dimostrazione più indiscutibile di come esse non abbiano portato ad alcuna riduzione; infatti, a fronte di circa 6 miliardi di euro di sgravi sulle imposte dirette, gli italiani dovranno pagare, sulla base del decreto-legge convertito nel luglio scorso e di questa manovra finanziaria, oltre 9 miliardi di aumenti di imposte, tasse e tariffe. Inoltre, l'aumento dal 18 al 23 per cento della tassazione sul trattamento di fine rapporto e la mancata restituzione del fiscal drag sottraggono alle famiglie, secondo i nostri calcoli, oltre 2 miliardi 600 mila euro.
Complessivamente, si prelevano dalle tasche degli italiani oltre 12 miliardi di euro; sottratti da questa cifra i 6 miliardi di sgravi, resta un aumento complessivo di oltre 6 miliardi. Si è dunque dato con una mano ma si è tolto con due; d'altra parte, il mancato conseguimento dell'obiettivo della riduzione della pressione fiscale risulta dalla comparazione dei dati del documento di programmazione economico-finanziaria con quelli recati dal disegno di legge finanziaria. Anche in tal caso, peraltro, uso dati indicati dal Governo; ebbene, nel documento di programmazione economico-finanziaria presentato quest'anno, si sosteneva che la pressione fiscale si sarebbe attestata al 40,8 per cento mentre questo disegno di legge finanziaria la indica al 41,2 per cento.
Dovremmo correggere le iniquità sociali; invece, questo disegno di legge ne produce di nuove; il 30 per cento delle famiglie con redditi più bassi, godrà, infatti, del 6 per cento delle risorse destinate alla riduzione dell'IRPEF mentre il 30 per cento delle famiglie più ricche del paese disporrà del 66 per cento di quelle risorse.
Nulla è previsto per i cosiddetti incapienti, i quali, però, pagheranno di più il riscaldamento della casa per l'aumento dei prezzi del gasolio, i trasporti, i servizi e via dicendo.
Dovremmo lottare contro l'evasione fiscale; l'onorevole Tremonti - riportava un quotidiano nazionale - ha recentemente ricordato come in Italia risultino solamente 1.181 persone che dichiarano un reddito pari o superiore ad 1 milione di euro e solo 15 mila 953 che dichiarano un reddito di 300 mila euro. Una cifra non corrispondente alla realtà, se si considera
che soltanto l'anno scorso sono state immatricolate 220 mila grandi imbarcazioni da diporto nonché fuoristrada di grossa cilindrata.
Secondo l'Agenzia delle entrate sfuggono al fisco almeno 100 miliardi di euro; è chiaro che non si può perseguire una politica basata sui condoni e contemporaneamente lottare contro l'evasione fiscale.
È nella tradizione nella destra, della grande destra italiana ed europea il controllo della spesa pubblica ma la spesa è salita dal 37,1 per cento del PIL del 2001 al 40 per cento di oggi. Gli errori di previsione hanno fatto spendere un punto e mezzo di PIL in più, pari a 18 miliardi di euro ed hanno fatto incassare un punto di PIL in meno, pari a 12 miliardi di euro. La macchina pubblica non si è snellita e anzi si contano 116 mila dipendenti pubblici in più.
Alla radice di questa situazione, a nostro avviso, sta un'arroganza politica che considera il passaggio in Parlamento un puro onere procedimentale anziché il confronto di merito con chi rappresenta, per effetto del voto, l'interesse della nazione. Confrontarsi in Parlamento, accettare la mediazione delle idee e degli interessi che è propria della sede parlamentare avrebbe consentito, forse, di evitare alcuni errori - e ieri, alcuni, li abbiamo evitati - e di tenere conto meglio delle aspirazioni delle diverse classi sociali e dei diversi ceti professionali; avrebbe, altresì, consentito di tenere conto della ricchezza di posizioni e prospettive proprie del nostro paese; avrebbe consentito, infine, colleghi, di favorire, in un clima di confronto, la costruzione di speranze e di fiducie.
È in corso sotto i nostri occhi - tale è la nostra preoccupazione - un processo di dissipazione delle risorse, materiali ed intellettuali, della nazione, la mortificazione dei talenti, la disincentivazione dell'impegno, la fuga delle intelligenze imprenditoriali; la dispersione, in breve, di quanto ci è più prezioso per la rinascita dell'Italia.
Non intendiamo sfuggire alle nostre responsabilità e le linee strategiche che presenteremo per tornare al Governo dovranno fondarsi su una grande opera di coesione civile, sullo slancio per tornare a competere, sul rispetto delle regole come garanzia della correttezza dei comportamenti politici, su un'idea di nuova modernità fondata su passioni civili forti e valori politici duraturi.
Noi ci impegneremo per tali obiettivi, e crediamo di avere la capacità di conseguirli, ma adesso siete voi che governate, e lo fate, colleghi, chiudendovi troppo spesso nel Palazzo e sfuggendo sistematicamente al confronto con l'opposizione ed anche con il paese, come risulta dalle analisi comuni sulla crisi che formulano sia gli imprenditori sia i sindacati dei lavoratori.
Avete agito, e a volte agite, come se foste «figli di un Dio maggiore»: per questo, la responsabilità delle gravi condizioni in cui versano le famiglie, le imprese ed i giovani ricade interamente sulle vostre spalle, ed è per tale motivo che vi neghiamo la fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Casero. Ne ha facoltà.
LUIGI CASERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, l'intervento svolto dall'onorevole Violante ha introdotto una questione istituzionale all'interno della discussione su un voto di fiducia sul disegno di legge finanziaria. Egli, infatti, ha parlato di sistema maggioritario e di rapporto diretto tra chi governa ed il cittadino, denunciandolo come un pericolo ed introducendo una serie di rilevanti argomenti di discussione, che potranno essere affrontati in un altro momento.
Ciò dimostra che, dal nostro punto di vista, con il disegno di legge finanziaria in esame, attraverso la questione della riduzione delle tasse, abbiamo toccato un tema fondamentale della politica economica del paese, vale a dire il rapporto diretto tra chi governa ed il cittadino. Per la prima
volta, infatti, ponendo la questione del livello della pressione fiscale, si è affrontato in modo diretto, e senza troppi schermi, il tema fondamentale della presenza del settore pubblico in uno Stato moderno e di quanto i cittadini devono contribuire a tale presenza.
In una prima fase, a mio avviso, è necessario precisare che qualsiasi valutazione del disegno di legge finanziaria in esame non può prescindere dal quadro macroeconomico complessivo nazionale ed internazionale, da una situazione congiunturale che colpisce, in questo momento, il nostro paese e da una serie di elementi di debolezza economica accumulati dall'Italia negli ultimi decenni. Mi riferisco agli ultimi decenni perché, quando si parla dell'evoluzione della politica economica degli ultimi decenni, possiamo essere accusati di fare della storia economica, ma vorrei osservare che numerosi di tali fattori sicuramente incidono ancora sulle scelte compiute in questi giorni.
In un quadro come questo, infatti, caratterizzato ancora da notevoli difficoltà strutturali, vorrei ricordare che il Documento di programmazione economico-finanziaria, approvato nel mese di luglio dal Parlamento, individuava in tre elementi fondamentali le scelte di politica economica dell'attuale Governo in questo paese: la stabilità dei conti, il rilancio del sistema-paese e della fiducia dei cittadini ed il necessario recupero di competitività dell'Italia nei confronti dei principali competitori europei e mondiali.
Il disegno di legge finanziaria al nostro esame, indipendentemente da una serie di polemiche sollevate in questi giorni, cerca di declinare tali obiettivi, e deve essere valutata, a nostro avviso, in base alla loro realizzazione. Per quanto concerne il primo obiettivo, vale a dire la stabilità dei conti, vorrei osservare che una situazione europea caratterizzata da una crescita economica molto bassa, specie se confrontata con le altre grandi aree mondiali, dimostra come il nostro paese viva comunque nell'ambito di un sistema a basso sviluppo. Ciò comporta la difficoltà di mantenere gli impegni assunti, in sede comunitaria, in una fase sicuramente caratterizzata da aspettative di crescita economica diverse, e molto più elevate rispetto a quelle concretamente realizzatasi.
L'azione svolta dall'attuale Governo per mantenere la stabilità dei conti in tale situazione congiunturale è sicuramente difficoltosa ed impegnativa. Vorrei ricordare, al riguardo, che in questi anni il Governo Berlusconi ha sempre mantenuto, a differenza di altri partner europei, gli impegni assunti in sede comunitaria, rispondendo con i fatti a tanti «cantori di sventure» che, sempre in questi ultimi anni, annunciavano ogni volta il mancato rispetto dei limiti fissati dal patto di stabilità e crescita.
Noi rispondiamo alle critiche che ci sono state rivolte anche in questi giorni ricordando ciò che è stato fatto nel passato ed anche che l'anno prossimo gli impegni saranno mantenuti.
Anche quest'anno, infatti, l'azione atta a rispettare gli impegni presi e salvaguardare la credibilità internazionale acquisita dall'Italia è proseguita, anche con questa legge finanziaria, che ha previsto un'azione di 24 miliardi di euro sul tendenziale, per riportare le spese entro le cifre previste. Si tratta di un'azione consistente di intervento sulla spesa. L'inserimento del tetto del 2 per cento sull'incremento della spesa pubblica, infatti, unitamente all'obiettivo di riportare il bilancio corrente in pareggio, finanziando solo con il disavanzo la spesa per investimenti, sono le principali azioni metodologiche che hanno supportato la salvaguardia dei conti.
Il passaggio della spesa pubblica dal 48,4 al 47,4 per cento del PIL, la contrazione della spesa corrente dal 44,9 al 44 per cento, la contrazione del differenziale tra i tassi d'interesse sulle obbligazioni italiane e tedesche dimostra che l'azione di rigore sui conti e di recupero della credibilità internazionale ha avuto esito positivo.
Cito altri due dati ricordati dal ministro Siniscalco, nel suo intervento al Senato: la diminuzione del tasso di disoccupazione e del tasso d'inflazione, che gli
economisti considerano indicatori della miseria. Questo paese ha assistito ad un grande recupero per quanto riguarda la diminuzione di tali tassi e si sta avviando verso una situazione positiva. Si tratta, dunque, di un'azione positiva nella salvaguardia della stabilità dei conti, compiuta per il rilancio del sistema paese, in un quadro caratterizzato da un tasso di cambio euro-dollaro proibitivo - dal 2000 ad oggi, il dollaro si è svalutato di circa il 50 per cento sull'euro - dato sottovalutato da molti commentatori di politica economica e certamente pesante per un paese abituato ad esportare ed avere come elemento positivo per le proprie esportazioni le svalutazioni competitive. L'introduzione dell'euro ha portato molti vantaggi ma, dal punto di vista delle esportazioni, ha provocato problemi alle nostre industrie. Con un andamento del prezzo del petrolio negativo, gli interventi legati alla competitività e al ripristino della fiducia del consumatore divengono fondamentali per far ripartire l'economia italiana. Come ha ricordato, in precedenza, l'onorevole Alberto Giorgetti, questa legge finanziaria contiene interventi relativi alla competitività e al ripristino della fiducia del consumatore. Azioni di privatizzazione, liberalizzazione, di semplificazione amministrativa, di sviluppo della competitività di alcuni settori trainanti del paese sono operazioni necessarie e fondamentali per la ripresa economica e sono contenute in questa legge finanziaria.
L'azione che noi riteniamo fondamentale, dal punto di vista teorico e pratico, come ho già rilevato in precedenza è, tuttavia, la riduzione delle tasse. Questa legge finanziaria è per noi caratterizzata da due elementi fondamentali: la stabilità dei conti e la riduzione delle tasse. Come ha ricordato il ministro Siniscalco, in Senato, la riduzione delle tasse ha per noi un valore teorico. Cito le sue parole: «(...) riguarda una minore invasività dello Stato nei confronti dei cittadini (...)». L'onorevole Palmieri, che ha dettato alcuni slogan di Forza Italia, ha molto semplificato sui manifesti, affermando: «meno spesa pubblica uguale meno tasse». Per noi, meno spesa pubblica non significa riduzione della spesa sociale, come avete sostenuto; non significa riduzione della spesa essenziale, ma intervenire su tre livelli: taglio degli sprechi, taglio della spesa inefficiente e minor presenza dello Stato in settori non fondamentali. Noi riteniamo che lo Stato debba arretrare la propria azione in settori non fondamentali, favorendo processi di sussidiarietà orizzontali e uscendo da settori in cui i privati possono far concorrenza al pubblico. Questa è una visione completamente diversa da quella della sinistra, e che porta ad una riduzione delle tasse. Considero utile ed importante, dal punto di vista teorico, il dibattito su tale azione. Cito una frase contenuta in un libro dell'onorevole Pennacchi, L'uguaglianza e le tasse, in cui si sostiene che la spesa pubblica finanziata con le imposte contribuisce al benessere individuale ed è più efficace della spesa privata. Ciò dimostra una visione diversa dalla nostra. Noi riteniamo che la spesa privata possa essere competitiva con la spesa pubblica. Mi complimento con l'onorevole Violante, per la sua affermazione secondo cui la sinistra è tutt'altro che contraria alla riduzione delle tasse, ma mi sembra che una buona parte dei suoi colleghi abbiano una visione metodologia differente. Come afferma l'onorevole Pennacchi nel suo libro - molto bello -, la sinistra ha una visione dello Stato e dell'utilizzo dello Stato stesso per sostenere la spesa pubblica diversa dalla nostra.
Quindi, un'azione di riduzione delle tasse dal punto di vista teorico, con una minore presenza dello Stato nei confronti dei cittadini, deve essere coordinata con un'azione di sostegno ai consumi, al fine di dare anche maggiore potere di acquisto ai consumatori.
Tutto ciò, naturalmente, salvaguardando i conti del paese e quindi per il tramite di un modulo di riduzione delle tasse che rappresenta il massimo che si poteva fare in questa situazione. Dobbiamo tuttavia valutare l'azione di riduzione delle tasse negli anni del Governo Berlusconi, quindi a partire dal 2001 sino ad oggi. I principali Stati che hanno effettuato
una riduzione delle tasse lo hanno fatto attraverso la previsione di più moduli. Anche noi dobbiamo considerare i diversi moduli previsti dal Governo Berlusconi, che possono essere sintetizzati in quattro punti, che vado a ricordare.
In primo luogo, dal 2001 ad oggi, 31 milioni di contribuenti sono stati favoriti dalla riduzione delle tasse, e si tratta di un dato sicuramente importante. Nessun contribuente è stato svantaggiato attraverso la previsione della cosiddetta clausola di salvaguardia dal 2001 ad oggi: anche questo aspetto è particolarmente importante e deve essere sottolineato.
I soggetti che usufruiscono della cosiddetta no tax area passano da 6,8 milioni a 13,5 milioni, per cui un terzo dei contribuenti italiani non paga più tasse ed un cittadino con due figli a carico e 14 mila euro di reddito ne è completamente esente.
Questi sono elementi fondamentali che dobbiamo comunicare al paese e lo stiamo facendo, unitamente ad altri aspetti relativi alla riduzione delle tasse sulle imprese, come gli sgravi previsti sull'IRPEG e sull'IRAP.
In conclusione, noi consideriamo valida tale manovra ed esprimeremo pertanto un voto positivo su di essa. Tuttavia, il percorso non si esaurisce qui: è necessario che nel 2005 il Governo prosegua il percorso attraverso la previsione di un ulteriore modulo di riduzione delle tasse, proprio al fine di ottenere gli obiettivi prestabiliti. È necessario che il Governo prosegua quindi in un'azione di recupero della competitività del sistema paese, che non deve riguardare soltanto l'industria, ma anche i servizi, la pubblica amministrazione e la finanza pubblica; e che prosegua infine, attraverso il relativo dibattito, ad una revisione del patto di stabilità e crescita, che non investa però i due parametri fondamentali, ma, come ricordato giustamente dal ministro dell'economia e delle finanze in Commissione, che riguardi, ad esempio, la possibilità di rivedere le spese di investimento considerate - è un grave limite del patto di stabilità - al pari livello della spesa corrente. Tutto ciò porterà questo paese nella condizione di uscire da una fase difficile e recessiva dell'economia e di avviarsi verso un maggiore sviluppo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Poiché la relativa votazione è prevista per le ore 19,20, sospendo la seduta, che riprenderà a tale ora con lo svolgimento della chiama.
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