Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 487 dell'8/7/2004
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(Presunte responsabilità ed omissioni in relazione all'omicidio di Walter Tobagi - n. 2-01222)

PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01222 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il 10 dicembre 2003 l'onorevole Intini, qui presente, l'onorevole Biondi, vicepresidente della Camera, gli onorevoli Bielli e Pisapia, insieme al sottoscritto, primo firmatario, hanno presentato un'interpellanza di contenuto identico a quella che oggi viene discussa in quest'aula come interpellanza urgente. Come si può capire, abbiamo dovuto trasformarla in interpellanza urgente perché, dopo quasi sette mesi, non è stata fornita alcuna risposta da parte del Governo.
Purtroppo, in questi sette mesi di silenzio è anche trascorsa la ricorrenza, dopo 24 anni - per questo avevamo presentato tempestivamente l'interpellanza -, del tristissimo anniversario dell'assassinio, ad opera di un gruppo terroristico denominato Brigata 28 marzo, di Walter Tobagi, allora trentatreenne giovanissimo giornalista del Corriere della Sera, ucciso il 28 maggio 1980.
Ci auguravamo che, avendo presentato l'interpellanza nel mese di dicembre, vi fosse una risposta da parte del Governo non dico tempestiva ma almeno nell'imminenza di questo triste anniversario, che ha suscitato una rinnovata attenzione da parte dell'opinione pubblica nei confronti di tale tragica vicenda. Infatti, successivamente alla presentazione dell'interpellanza, RAI Educational, ad opera dell'ottimo giornalista Giovanni Minoli, nell'ambito della serie La storia siamo noi, ha proposto un servizio sulle vicende, ancora non del tutto chiarite, relative all'assassinio di Walter Tobagi.
Inoltre, in occasione dell'anniversario, lo scorso 28 maggio, anche l'attuale direttore del Corriere della sera ha dichiarato di non ritenere ancora chiusa la vicenda. Negli stessi giorni, il Corriere della sera ha pubblicato un'ampia intervista alla vedova di Walter Tobagi, e su un altro quotidiano, la Repubblica, è intervenuta la figlia Benedetta. Si tratta di una figura straordinaria: bambina all'epoca dell'assassinio del padre, divenuta adulta non soltanto ne ha coltivato la memoria, sul piano giornalistico, culturale e, oserei dire, spirituale, ma ha anche cercato di continuare a tenere viva l'attenzione sui lati ancora oscuri di quella tragica vicenda.
Abbiamo presentato l'interpellanza cui facevo riferimento il 10 dicembre dell'anno scorso, in quanto, poche settimane prima, era stato pubblicato, dalla casa editrice Franco Angeli di Milano, un libro scritto da un ex capitano dei carabinieri, Roberto Arlati, e da un autorevole giornalista, Renzo Magosso, che continua da molti anni a seguire con ostinazione e in modo documentato le vicende relative sia all'assassinio di Walter Tobagi sia alle carte di Aldo Moro. Tali carte furono scoperte in via Monte Nevoso, a Milano, nel 1978, ma una parte di esse fu rinvenuta successivamente, addirittura a distanza di dodici anni, nel 1990, poiché vi fu chi insistette nell'affermare che in quel covo esistevano altre carte. Ciò determinò l'imbarazzo del sostituto procuratore della Repubblica di Milano, dottor Pomarici, il quale aveva dichiarato che non poteva esserci nulla, in quanto nel 1978 l'appartamento era stato «scarnificato» mattonella per mattonella. Invece nel 1990 si scoprirono numerose altre carte, nascoste dietro un'intercapedine, a seguito di un semplice lavoro di restauro.
Il libro di Roberto Arlati e Renzo Magosso, che si intitola Le carte di Moro, perché Tobagi?, si sofferma soprattutto sulla vicenda relativa alla perquisizione


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del covo di via Monte Nevoso e al successivo sequestro delle carte di Moro, avvenuti nel 1978. Da tale libro, essendo stato il capitano Arlati, che ha fatto onore all'Arma dei carabinieri, protagonista all'epoca dell'iniziativa di polizia giudiziaria, emerge purtroppo con assoluta evidenza e chiarezza che, contrariamente a quanto ripetutamente dichiarato dai magistrati anche presso la Commissione stragi, quelle carte non furono consegnate, come sarebbe stato doveroso, subito e immediatamente ai magistrati di turno.
Esse furono sottratte - ad opera, su richiesta e su ordine del colonnello Umberto Bonaventura allora, credo, capitano, successivamente colonnello, poi purtroppo defunto - dal covo di via Monte Nevoso: fu ordinato al capitano Arlati di consegnarle prima che i magistrati le vedessero e furono poi restituite molte ore più tardi, dopo essere state fotocopiate. Ovviamente, nessuno è in grado di dire, né in un senso né nell'altro, se le carte restituite fossero quelle integre ritrovate all'epoca, perché nessun documento di polizia giudiziaria fu redatto preventivamente, ma solo successivamente.
Su queste vicende, del resto, è più volte intervenuto anche un altro ufficiale dell'Arma dei carabinieri, che ha fatto onore a quell'arma, l'allora colonnello, poi generale, Niccolò Bozzo, diretto collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che più volte, anche recentemente sul settimanale Gente, ha ricostruito le enormi difficoltà, tensioni e conflitti che all'epoca purtroppo esistevano all'interno di taluni settori dell'Arma dei carabinieri, alcuni dei quali erano anche pesantemente infiltrati dalla Loggia P2. Egli ha anche ricostruito più volte le grandi difficoltà che lo stesso generale Dalla Chiesa incontrò all'epoca da parte di alcuni suoi colleghi nell'espletare l'attività antiterroristica che gli era stata affidata, sotto la responsabilità politica del ministro dell'interno dell'epoca (che, se non ricordo male, era l'onorevole Rognoni).
Ciò è riportato in una parte del libro da cui ha tratto spunto l'interpellanza che ho voluto presentare, insieme ai colleghi Biondi, Bielli, Intini e Pisapia, senza alcuna malizia, malignità o malanimo, perché non siamo noi gli autori di queste rivelazioni. Le rivelazioni sono pubblicate in un libro che non mi risulta sia stato denunciato o sequestrato, e si basano su documentazioni e testimonianze. Coautore di questo libro, oltre al giornalista Renzo Magosso, è Roberto Arlati, che all'epoca era capitano dei carabinieri, in servizio nell'attività antiterroristica, protagonista delle vicende raccontate in questo libro.
Del resto, successe che il colonnello Bonaventura, che aveva sempre smentito, nel corso di un'audizione (nel 2000, se non ricordo male) - in Commissione stragi, rivelò, con stupore di tutti, a cominciare dal presidente Pellegrino e dai membri della Commissione, che effettivamente quelle carte erano state sottratte dal covo, fotocopiate al comando dell'Arma dei carabinieri di Milano - divisione Pastrengo, se non ricordo male - e poi restituite. Ovviamente, egli dichiarò che nulla era stato manomesso, ma rivelò una circostanza che il figlio del generale Dalla Chiesa - che è un collega senatore, Nando Dalla Chiesa - ha denunciato con forza, perché - disse - «il colonnello Bonaventura per tutti questi anni mi ha sempre smentito categoricamente che questo fosse avvenuto. Scopro adesso che in Commissione stragi rivela quello che aveva sempre dichiarato essere falso e non essere mai accaduto». Questa situazione credo abbia messo in difficoltà anche i magistrati dell'epoca e anche quelli di oggi, che - anch'essi - avevano sempre smentito queste circostanze.
L'altra parte del libro riguarda, invece, la vicenda dell'assassinio di Walter Tobagi. Il ministro Giovanardi, rispondendo sgradevolmente qualche giorno fa durante il question time - eravamo presenti, anche in quel caso, il collega Intini ed io - disse che queste rivelazioni miravano ad attribuire ai carabinieri la responsabilità di un omicidio commesso dai terroristi. Questa è una sciocchezza che nessuno si è mai sognato di dire! Walter Tobagi è stato assassinato da un gruppo terroristico, che è la Brigata 28 marzo: noi lo abbiamo


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detto e scritto. Senza attribuire alcuna responsabilità al Governo attuale - che, ovviamente, non ha responsabilità di alcun tipo, se non quella, eventualmente, di assumere iniziative di carattere meramente istituzionale -, noi abbiamo riportato - quindi, non sono rivelazioni nostre - ciò che è ampiamente documentato in questo libro e che, recentemente, è stato ripreso dal settimanale Gente. Mi riferisco alle rivelazioni di un sottufficiale dell'epoca, nome in codice «Ciondolo» - nessuno ha voluto rivelare il nome vero di questa persona, che aveva un nome in codice, operando nell'attività antiterroristica -, il quale aveva un confidente di nome Ricciardi, attraverso le rivelazioni segrete del quale già all'epoca erano stati effettuati numerosi arresti.
Nel dicembre del 1979 tale Ricciardi, il cui nome in codice di informatore era «Postino», aveva rivelato al sottufficiale dei carabinieri «Ciondolo» i nomi e le identità esatte delle persone che gli risultava stessero programmando l'assassinio di Walter Tobagi. Ed eravamo nel dicembre del 1979!
Ovviamente, questo sottufficiale comunicò ai suoi diretti responsabili, in particolare al capitano Bonaventura, che era il suo diretto responsabile, e prima ancora al capitano Ruffino, non solo queste sue rivelazioni, e cioè che si stava progettando l'assassinio di Walter Tobagi, ma anche i nomi ed i cognomi di coloro che, anni dopo, furono arrestati proprio per l'imputazione di questo omicidio. Nulla avvenne: l'unica preoccupazione fu quella di eliminare questo sottufficiale troppo intraprendente, portandolo prima a svolgere attività presso il Palazzo di giustizia e poi mandandolo al confine con la Svizzera.
È qui presente il collega Intini, che nel 1983, all'epoca del processo contro Barbone, era direttore dell'Avanti!. Quando questo quotidiano scrisse dell'esistenza della nota riservata all'interno dell'Arma dei carabinieri, che rivelava anticipatamente quali potevano essere gli assassini di Walter Tobagi, l'iniziativa della procura di allora e dei carabinieri non fu quella di cercare di capire le ragioni per cui non si era evitato l'assassinio terroristico di Tobagi - questo lo dico per il ministro Giovanardi -, ma quella di scoprire chi avesse dato, al quotidiano Avanti! ed al partito socialista dell'epoca, quella nota riservata e chi avesse rivelato ciò che si voleva mantenere segreto. A tal fine vi furono gli interrogatori, che vennero svolti, però, non per capire le ragioni di questa omissione di soccorso preventivo, ma per scoprire chi avesse rivelato l'interna corporis, che evidentemente non doveva essere rivelato.
Nel libro, e soprattutto nella recente intervista dell'8 giugno scorso (successiva, quindi, alla nostra interpellanza) al settimanale Gente, l'allora brigadiere «Ciondolo» - che attualmente lavora nel Pacifico, ma ha deciso, dopo tanti anni, di rivelare anche pubblicamente la verità che conosce - ha confermato per filo e per segno le circostanze che sto ricordando, dichiarandosi orgoglioso di essere appartenuto all'Arma dei carabinieri. All'epoca, c'erano ufficiali e sottufficiali «felloni», ma anche ufficiali e sottufficiali autenticamente fedeli ai loro doveri istituzionali e che hanno fatto onore all'Arma dei carabinieri cui sono appartenuti.
Nell'intervista recente - ho concluso l'illustrazione, Presidente - il cosiddetto «Ciondolo», nome in codice del sottufficiale di allora, racconta anche un drammatico colloquio avvenuto qui a Roma, al comando dell'Arma, in cui gli si impose il segreto assoluto su tale vicenda.
Queste sono le ricostruzioni non di nostra fonte, che abbiamo cercato di tramutare in una interrogazione a risposta immediata, da svolgere in pochi minuti, e adesso, più diffusamente, in un atto molto più ampio, nulla imputando al Governo attualmente in carica - sarebbe semplicemente ridicolo immaginarlo - ma chiedendo una interlocuzione con lo stesso rispetto a vicende che, come ho già detto, riteniamo siano ancora aperte e che vadano, se necessario, riaperte.

PRESIDENTE. Il sottosegretario per i rapporti con il Parlamento, senatore Ventucci, ha facoltà di rispondere.


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COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Le notizie riportate nell'interpellanza in esame, illustrata in modo così puntuale, secondo uno stile encomiabile, dall'onorevole Boato, sono tratte dal libro «Le carte di Moro, perché Tobagi», di Roberto Arlati e Renzo Magosso, ma non risultano confermate dagli accertamenti a suo tempo esperiti dalla procura della Repubblica di Milano.
Sulla base delle notizie riferite da tale autorità giudiziaria, in ordine alla presunta sottrazione di documenti dall'appartamento sito in via Monte Nevoso n. 8, covo delle brigate rosse, ad opera del generale Dalla Chiesa, cui sarebbero state consegnate dall'allora capitano Bonaventura, previa fotocopiatura, si precisa che le dichiarazioni rese in data 26 ottobre 1990 (successivamente alla scoperta di altro materiale nel covo suddetto) dallo stesso Arlati escludono categoricamente tale circostanza.
Inoltre, dalle dichiarazioni rese dai brigatisti Lauro Azzolini e Franco Bonisoli - interrogati dal pubblico ministero di Milano il 15 ottobre 1990 - emerge con chiarezza che i documenti rinvenuti, nel medesimo anno, all'interno del nascondiglio sito in un mobiletto a suo tempo non scoperto, furono da loro erroneamente denunziati come smarriti all'epoca del primo processo Moro. In particolare, i due brigatisti hanno precisato che, allorché fecero la suddetta denunzia, non si erano resi conto della mancata individuazione, da parte degli operanti, del nascondiglio stesso.
Quanto alla circostanza secondo cui venne dato l'ordine di interrompere la perquisizione della base cinque giorni dopo il 1o ottobre 1978, va evidenziato che il periodo di tempo sopra specificato fu quello necessario per redigere accurato processo verbale di sequestro del materiale rinvenuto nella base e che l'atto fu interrotto solo quando fu completo.
In ordine alla notizia secondo cui il generale Bozzo avrebbe attribuito all'infiltrazione della P2 (nella persona del colonnello Mazzei) nella Legione carabinieri di Milano la mancata esecuzione di una «completa ed efficace perquisizione», va detto che la sezione anticrimine dei carabinieri di Milano non dipendeva in alcun modo dalla stessa Legione, ma direttamente dal generale Dalla Chiesa, per il tramite proprio dello stesso Bozzo, sicché nessuna incidenza sul suo operato poteva avere la condotta del colonnello Mazzei.
Per quanto attiene all'inciso riferibile al contenuto dell'audizione dei dottori Pomarici e Spataro avanti alla Commissione stragi, va precisato che, nell'occasione, venne riferito quanto era a conoscenza dei detti magistrati, non risultando nota la circostanza, poi spontaneamente disvelata dallo stesso colonnello Bonaventura, della consegna al generale Dalla Chiesa di copia dei documenti rinvenuti nella base.
Con riferimento, invece, al rapporto relativo all'arresto dei brigatisti nel covo di via Monte Nevoso, il magistrato interessato ebbe a spiegare che nello stesso non vennero indicate le circostanze precise per effetto delle quali fu individuata la presenza di Lauro Azzolini nella base stessa né i nomi di coloro che collaboravano con gli investigatori al fine di prevenire attentati alla loro incolumità, già posti in essere dalle Brigate rosse in altre occasioni ai danni di persone che avevano arrecato analoghi contributi investigativi.
Per quanto concerne, infine, la vicenda relativa all'omicidio di Walter Tobagi, la procura della Repubblica di Milano ha reso noto: a) che non corrisponde al vero la notizia secondo la quale uno degli appartenenti al gruppo terroristico facente capo a Marco Barbone tenne informati organi pubblici dei progetti e delle attività del gruppo stesso. Poiché l'interpellanza si riferisce all'attività confidenziale del noto Rocco Ricciardi (attività pubblicamente confermata dal ministro dell'interno il 19 dicembre 1993), va precisato che Rocco Ricciardi non ha mai fatto parte del gruppo terroristico facente capo a Marco Barbone (cioè la «Brigata 28 marzo», responsabile del ferimento di Passalacqua e dell'omicidio di Walter Tobagi), persona con la quale non aveva avuto più contatti dal novembre 1978 e, cioè, dall'epoca in


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cui il Barbone era volontariamente fuoriuscito dalle «Formazioni combattenti comuniste» (in acronimo, FCC), in cui militava anche il Ricciardi; b) che, come risulta dal comunicato stampa emesso dal procuratore della Repubblica di Milano il 20 dicembre 1983, il Ricciardi non ebbe affatto a comunicare confidenzialmente ai carabinieri la notizia del prossimo attentato contro Walter Tobagi, ma, nel dicembre 1979, si limitò ad ipotizzare che una non precisata azione contro Tobagi potesse essere realizzata da altro gruppo denominato «Reparti comunisti d'attacco». L'illazione del Ricciardi si dimostrò del tutto infondata alla luce degli accertamenti all'epoca compiuti dai carabinieri di Milano. Nessun collegamento esiste, quindi, tra tale infondata illazione ed il successivo omicidio compiuto, oltre sei mesi dopo, da altra formazione armata (appunto, la «Brigata 28 marzo»), che nessun collegamento aveva con i «Reparti comunisti d'attacco». Peraltro, a seguito delle numerose confessioni di ex appartenenti ai predetti «Reparti comunisti d'attacco» (tra i quali si segnalano Antonio Marocco, Daniele Bonato, Pio Pugliese e Andrea Gemelli), è stato accertato che mai detta organizzazione eversiva progettò un attentato contro Walter Tobagi; c) che la Procura della Repubblica di Milano non ebbe alcuna notizia, neanche verbale o ufficiosa, della illazione del Ricciardi, fino al giugno dell'anno 1983 (cioè durante la celebrazione della fase dibattimentale del procedimento per l'omicidio Tobagi), a seguito di precisi accenni alla notizia confidenziale in questione che vennero fatti, nel corso della campagna elettorale, dall'onorevole Craxi e che indussero i magistrati di Milano a richiedere ai carabinieri di Milano gli opportuni chiarimenti; d) che non risultano omissioni da parte dei carabinieri di Milano, i quali vagliarono attentamente, effettuando conseguenti accertamenti, l'ipotesi avanzata dalla loro fonte confidenziale che, come si è detto, risultò del tutto infondata; e) che Tobagi, del resto, era stato più volte avvertito dell'esistenza di progetti o ipotesi di attentato ai suoi danni, a seguito del rinvenimento di documentazione che lo concerneva in possesso di formazioni di estrema sinistra; ciò nonostante rifiutò ogni forma di tutela da parte delle forze dell'ordine; f) che la procura della Repubblica di Milano aprì prontamente un procedimento penale (n. 233/84 R.G.) tendente ad accertare eventuali responsabilità per la comunicazione all'esterno di documenti costituenti atti interni d'ufficio del nucleo operativo carabinieri di Milano.
Dalle dichiarazioni rese sull'argomento, nell'ambito del procedimento penale 233/84, da Rocco Ricciardi, emerge con chiarezza l'assoluta estraneità di siffatte confidenze all'episodio omicidiario avvenuto a notevole distanza di tempo ad opera di formazione eversive del tutto diversa ed autonoma dai Reparti comunisti d'attacco cui apparteneva quel Mazzei che aveva parlato con il Covolo. Inoltre, dalle dichiarazioni rese sul punto, nell'ambito del procedimento sopra specificato, dal capitano in congedo Roberto Arlati, emerge tra l'altro che egli nulla seppe dell'argomento in quanto avvenuto quando era già in congedo da tempo.
In ragione di ciò, la procura della Repubblica di Milano ha comunicato di non aver intrapreso ulteriori iniziative.

PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di replicare.

MARCO BOATO. Signor Presidente, la cortesia del sottosegretario Ventucci e la stima che nutro nei suoi confronti sul piano politico e personale rendono al sottoscritto e al collega Intini qui presente molto difficile (ma lo dobbiamo fare, perché amicus Plato sed magis amica veritas) esprimere la nostra profonda insoddisfazione rispetto alla risposta che abbiamo ricevuto. So per esperienza istituzionale che, quando un sottosegretario di Stato, per di più per i rapporti con il Parlamento, viene in aula a rispondere per altri ministri o ministeri, legge doverosamente ciò che gli è stato preparato. Per cui, resta ferma la mia stima, insieme all'amicizia, per il sottosegretario Ventucci, il quale oltretutto ha letto la risposta con


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grande garbo. Purtroppo, il contenuto della risposta che abbiamo ascoltato con molta attenzione ci costringe a dichiararci profondamente insoddisfatti.
Ho già dichiarato che nulla imputiamo all'attuale Governo. Sarebbe ridicolo farlo. Noi chiedevamo all'attuale Governo una valutazione sul contenuto della nostra interpellanza e l'eventuale assunzione di iniziative di carattere meramente istituzionale, perché riguardano fatti risalenti ad un passato ormai lontano.
Purtroppo, il Governo è venuto a riferire soltanto - lo dico senza toni insultanti - una «velina», che in questo caso gli è stata passata, non dall'Arma dei carabinieri, ma da magistrati della procura della Repubblica di Milano. Noi siamo di fronte ad una situazione imbarazzante, perché il Governo non può essere il portavoce di una procura.
Nella risposta si afferma che è smentita radicalmente una presunta sottrazione di documenti, che è però stata confermata successivamente (i magistrati non lo sapevano; anch'io ritengo che i magistrati non lo sapessero: questa è stata l'illegalità commessa) dal capitano Bonaventura, poi colonnello, di fronte alla Commissione stragi. Posso citare solo documenti ufficiali. Oltretutto, il colonnello Bonaventura è morto e sarebbe sgradevolissimo attribuire ad un morto cose che non può smentire. Citiamo ciò che lui ha dichiarato alla Commissione stragi, smentendo i magistrati Spataro e Pomarici e indignando il collega Nando Dalla Chiesa, rimasto sconcertato da queste rivelazioni. Ciò che conta non è né l'indignazione di Nando Dalla Chiesa né l'ignoranza tecnica di Spataro e di Pomarici, ma il contenuto delle rivelazioni del colonnello Bonaventura alla Commissione stragi in relazione alle carte di Moro scoperte nel 1978 nel covo di via Monte Nevoso.
Per quanto riguarda la questione secondo cui tutto a questo punto sarebbe addirittura responsabilità dello stesso generale Dalla Chiesa - altra persona morta che non può intervenire -, mi limito a leggere - perché di mio non posso e non debbo sapere nulla - quello che sul settimanale Gente, che non credo sia un settimanale sospetto di essere eversivo, dice il generale Bozzo ancora oggi: «Dissi chiaramente al generale Dalla Chiesa, all'inizio del 1980, che eravamo stati tagliati fuori, a Milano, dalle indagini sul terrorismo e feci notare che ormai i capitani Ruffino e Bonaventura rispondevano praticamente solo ai colonnelli Mazzei e Panella, poi risultati iscritti alla loggia P2». Era chiaro che Mazzei e Panella operavano con il benestare del comando territoriale e con l'evidente avallo del comando generale.
Chi dice queste cose è un ex generale dei carabinieri, che era il braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Oggi, dalla procura di Milano, per bocca del Governo - e mi dispiace che questo avvenga - , viene detto che l'unica responsabilità era quella del generale Dalla Chiesa.
Per quanto riguarda la tragica vicenda di Walter Tobagi, signor sottosegretario, lei ha letto con garbo le cose che abbiamo ascoltato, ma provi a rileggerle; si parla di illazioni del Ricciardi del tutto infondate. In realtà, un sottufficiale dell'Arma dei carabinieri - meritorio -, ha per mesi coltivato il rapporto con l'informatore Rocco Ricciardi, che gli ha permesso di arrestare - e vennero effettivamente arrestati e poi condannati - numerosi terroristi dell'epoca (siamo a fine anni Settanta e inizio anni Ottanta). Nel dicembre del 1979 Ricciardi dice al sottufficiale: guardi che Tizio, Caio e Sempronio - e sono i nomi di coloro che poi sono risultati effettivamente responsabili - stanno progettando l'assassinio di Walter Tobagi. Invece, nell'anno di grazia 2004, dalla procura di Milano, tramite il Governo, si viene a dire che si tratta di illazioni di Ricciardi del tutto infondate!
Mi sono appuntato testualmente quello che ha letto, signor sottosegretario. Lei ha ancora detto - sempre riferendosi alla procura (non attribuisco a lei la responsabilità) - che la procura di Milano non ebbe alcuna notizia da parte dei carabinieri. È proprio quello che noi imputiamo: che i carabinieri avessero queste informazioni


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e non le abbiano riferite all'autorità giudiziaria! Guardi che l'esistenza di questa nota risulta da una interrogazione a risposta scritta in cui il ministro dell'interno, Oscar Luigi Scalfaro, il 19 dicembre 1983, rispondendo a colleghi socialisti dell'epoca, conferma che esisteva una nota redatta da un sottufficiale dell'Arma il 13 dicembre 1979, affermando che «va rilevato che l'attività dell'Arma dei carabinieri in tutte le vicende surriferite è attività di polizia giudiziaria, che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all'autorità giudiziaria, dalla quale dipende». Noi stiamo dicendo che non l'hanno fatto! Lo diceva già Scalfaro, in questo modo così corretto istituzionalmente, nel 1983!
La procura di Milano, nel 2004, per bocca del cortese sottosegretario Ventucci, ci viene a dire invece che è tutto falso! Ci vuole una bella faccia! Non la sua, ma quella di chi vi ha fatto dire queste cose. È vero che Walter Tobagi rifiutò la scorta di fronte a voci allarmistiche, ma nessuno gli ha detto: giornalista Walter Tobagi, c'è un gruppo ben individuato, con nomi e cognomi, che sta progettando il suo omicidio. Forse, Walter Tobagi qualche precauzione personale, non tanto per se stesso, perché era uomo generoso e disinteressato, ma per la moglie e i bambini piccoli, l'avrebbe presa. Quindi, è vero quello che lei ha detto, cioè che ha rifiutato la scorta, ma l'ha rifiutata di fronte a notizie generiche; lui scriveva di terrorismo ed era a rischio, come altri lo sono stati - pensiamo a Casalegno, a Montanelli - , ma nessuno gli ha detto: sappiamo da sei mesi che ti stanno puntando e conosciamo nomi e cognomi.
Sa che cosa è successo, per concludere, nel 1983, quando i socialisti hanno rivelato quella nota riservata (lei l'ha detto, anche se è scritto in modo criptico)? Che la procura di Milano ha aperto un'inchiesta per sapere chi avesse rivelato all'Avanti! e a Craxi quella nota riservata. Quella era la loro preoccupazione! È scritto testualmente: hanno aperto una indagine per accertare responsabilità su comunicazioni all'esterno di atti interni al nucleo operativo dei carabinieri. Quello che li ha preoccupati allora - e oggi fanno finta di niente e lo dicono con una «faccia di tolla» (così si direbbe in veneto) - non era che fosse successo questo, cioè che c'era una nota riservata (che a un certo punto l'Avanti! ha rivelato e Craxi all'epoca ha denunciato) che faceva capire che si poteva evitare l'omicidio di Tobagi, che è un omicidio terroristico. Non l'hanno ucciso i carabinieri, non stiamo dicendo questa idiozia.
Stiamo dicendo che si poteva evitare quell'omicidio terroristico, ma la loro preoccupazione - che lei ha letto poco fa - è quella di indagare per accertare chi ha rivelato all'esterno gli atti interni del Nucleo operativo dei Carabinieri di Milano. Per noi è sconcertante che ciò possa essere detto ancora nel 2004, con la conclusione che, quindi, nessuna ulteriore iniziativa è stata assunta dalla procura di Milano. Si dice che il capitano Arlati non era più in servizio; è vero, l'ho detto io: si era dimesso, perché non ne poteva più!
Ma noi diciamo che il brigadiere «Ciondolo» - perché lo dice lui, mica lo sappiamo noi! - sostiene di avere riferito non ad Arlati, ma a Ruffino e a Bonaventura. Poi, venne convocato a Roma, quando uscì la nota dell'Avanti!, ed egli ha affermato - leggo testualmente da Gente di quattro settimane fa - che:«(...) tre anni dopo, quando ormai il processo a Barbone e complici è finito, si viene a sapere ufficialmente della mia premonitrice informativa. La rende nota l'allora ministro dell'interno Scalfaro, dopo che l'aveva pubblicata a stralci l'Avanti!. Mi chiamano d'urgenza a Roma, al comando generale dell'Arma, trovo i capitani Ruffino e Bonaventura, ci riceve il generale Richero. Mi domanda: hai dato tu il documento riservato su Tobagi all'Avanti!, vero?»

PRESIDENTE. Onorevole Boato...

MARCO BOATO. «No, signor generale. E poi: a chi hai consegnato materialmente il rapporto? Ai qui presenti capitani. Ho comunicato anche i nomi dei terroristi che avevo segnato nei miei appunti


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riservati. Il generale Richero mi ha ordinato di mantenere il massimo segreto su quell'incontro (...)».
Bene: noi avremmo voluto che il Governo di oggi, che non ha alcuna responsabilità, si fosse fatto carico, assieme a noi parlamentari non solo di opposizione, ma anche della maggioranza, di procedere ad un chiarimento e ad un accertamento istituzionale che purtroppo - mi dispiace - è mancato!

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