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DOMENICO DI VIRGILIO, Relatore per la XII Commissione. Per mutilazioni dei genitali femminili si intendono tutte quelle pratiche tradizionali in cui si ha l'asportazione e/o la modificazione di una parte dell'apparato genitale esterno della donna. Erroneamente le mutilazioni genitali femminili erano state assimilate alla circoncisione maschile la cui pratica si limita esclusivamente a recidere la pelle che circonda il glande.
Ma cosa sono le mutilazioni dei genitali femminili?
L'Organizzazione mondiale della sanità ha distinto quattro tipi principali di modificazione degli organi genitali femminili esterni: la sunna, che consiste nel recidere il prepuzio o nella asportazione parziale o totale della clitoride; l'escissione, che consiste nel recidere il prepuzio e nell'asportazione, oltre che della clitoride, di parte o di tutte le piccole labbra; l'infibulazione, la forma più cruenta, che consiste nell'escissione della clitoride e delle piccole labbra e nella cucitura dell'apertura vaginale ridotta ad un piccolo pertugio per la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale. Quest'ultima di solito è effettuata in età precoce, tra i 4 e i 10 anni, a volte però anche nell'adolescenza o addirittura al momento del matrimonio. Vi sono poi tutte quelle procedure che vanno dal trafiggere o punzecchiare leggermente la clitoride per farne uscire alcune gocce di sangue e varie manipolazioni come l'allungamento del clitoride o delle labbra, cauterizzazione del clitoride, taglio della vagina, introduzione in vagina di sostanze corrosive per restringerla o renderla asciutta.
Va sottolineato inoltre che la mutilazione dei genitali è di solito effettuata in condizioni non igieniche, con strumenti affilati, di uso comune (lamette da barba, forbici, coltelli da cucina) e non vengono adottate per lo più tecniche antisettiche né l'anestesia; per tali ragioni la mutilazione provoca oltre al dolore intenso durante l'operazione, anche conseguenze severe come la frattura della clavicola, del femore o dell'omero, dell'anca causate dalla pressione con cui si tenta di tenere ferma la bambina o la donna, frequenti emorragie e talora il sopraggiungere della setticemia che spesso porta la bambina alla morte. Frequenti poi sono gravi alterazioni dello stato psicologico, infertilità e complicanze di ordine ostetrico in caso di gravidanza con severe ripercussioni durante il parto.
È noto che gli effetti fisici e psicologici di questa pratica sono spesso molto estesi e che colpiscono in particolare la sfera sessuale e riproduttiva, la salute mentale e il benessere integrale delle donne. Inoltre, la mutilazione genitale femminile rafforza le iniquità sofferte da queste donne nelle comunità che la praticano.
Nonostante il riconoscimento dell'importanza di questo problema così delicato e la consapevolezza che esso debba essere risolto se si vuole andare incontro alle esigenze sanitarie, sociali ed economiche della donna, la conoscenza del problema presenta ancora grandi lacune riguardo alla sua diffusione e ai tipi di interventi politico-sanitari che possano garantire la sua eradicazione.
Bisogna comunque tenere presente che le mutilazioni genitali femminili sono praticate in popolazioni e da donne che vi credono fortemente e non vengono percepite nel senso di perdita di una parte del corpo, ma al contrario si configurano come un atto eseguito nell'interesse della donna, la cui non esecuzione comporterebbe una condanna sociale all'interno della stessa comunità. La mutilazione genitale femminile viene comunemente praticata quando le bambine sono abbastanza piccole; per molte di esse la mutilazione genitale è una enorme esperienza di paura e di sottomissione. Questa esperienza diventa un vivido punto di riferimento nel loro sviluppo mentale, il cui triste ricordo persiste per tutta la vita.
Si calcola che queste pratiche, frequenti soprattutto in Africa, abbiano colpito circa 137 milioni di donne. Dalle ultime statistiche circa la popolazione femminile immigrata ufficialmente presente in Italia risulta che oltre 45 mila donne (Ministero dell'interno - 2000) provengono da territori a tradizione escissoria (Somalia, Nigeria, Ghana, Etiopia, Emirati Arabi, Costa d'Avorio, Yemen, Oman, Malaisia e Pakistan) e tra queste circa 4 mila sono bambine già infibulate o a rischio di mutilazione.
La maggior parte dei paesi industrializzati e alcuni paesi africani hanno leggi a tutela dell'infanzia potenzialmente applicabili per impedire che bambine e ragazze siano sottoposte a mutilazioni dei genitali femminili e della circoncisione femminile; quindi i governi hanno fatto sempre più ricorso alla legge nel tentativo di fermare tali pratiche.
Dei 28 paesi africani nei quali si praticano le mutilazioni genitali femminili o le circoncisioni femminili e le cui Costituzioni stabiliscono l'eguaglianza tra i sessi e il diritto alla vita e all'integrità fisica, 15 hanno almeno una legge o norma specifica riguardante la pratica, anche se rimane la forte difficoltà di mettere in opera iniziative concrete per sradicare il costume consolidato. Dodici di questi paesi hanno leggi penali, tre hanno norme costituzionali (Etiopia, Ghana e Uganda) e due hanno leggi a tutela dell'infanzia che proibiscono la pratica. Laddove vi è mancanza di leggi specifiche, comunque, vi sono le norme penali contro le lesioni fisiche che potrebbero essere invocate e interpretate per punire tali mutilazioni: ma ciò raramente accade.
Le Nazioni Unite, l'UNICEF e l'Organizzazione mondiale della sanità considerano le mutilazioni genitali femminili una violazione dei diritti umani e ne raccomandano la eradicazione. Inoltre, molte organizzazioni non governative stanno cercando di far crescere la consapevolezza della necessità di eliminare questa pratica.
Alcuni paesi europei hanno promulgato legislazioni che considerano le mutilazioni genitali femminili un reato specifico: la Svezia è stato il primo paese, nel 1982, a promulgare una legge chiara in merito con l'«Atto di proibizione delle mutilazioni genitali, femminile»; la Francia, anche se non ha una legislazione apposita in questa materia, preferisce una politica di assimilazione ed è meno tollerante verso il discorso «culturale» perseguendo legalmente chi fa uso di tali pratiche attraverso l'articolo 312 del codice penale; la Gran Bretagna, in un primo momento, si era affidata al cosiddetto «approccio softly softly», rifiutando di perseguire i contravventori e lasciando libertà di azione laddove si fa riferimento ad usanze, culture e tradizioni degli immigrati; anche se nel 1986 è entrato in vigore l'Atto di proibizione delle mutilazioni genitali femminili. Ultimamente però anche questo paese ha rinnovato una forte attenzione al problema delle mutilazioni e nel 2003 è stata presentata una proposta di legge per la rimessa in vigore dell'Atto del 1985 e per un rafforzamento della legislazione per vietare tali pratiche (divieto d'espatrio per una minore allo scopo di sottoporla a mutilazione sessuale e aumento della pena detentiva da 5 a 14 anni). Nonostante tutto ciò, in Gran Bretagna ci sono ancora dubbi sul fatto che sia necessaria una legislazione ad hoc per evitare le mutilazioni genitali femminili. La legge deve andare di pari passo con una maggiore sensibilizzazione verso il cambiamento dei comportamenti nelle comunità in cui si praticano tali mutilazioni e occorre attuare misure ragionevoli per assicurare che la legge non causi ulteriori sofferenze ai minori e non danneggi le famiglie; in Norvegia, nel 1998, è entrata in vigore una legge sulla proibizione delle mutilazioni genitali femminili che punisce con il carcere da 3 a 8 anni chiunque intervenga sugli organi genitali femminili.
In altri paesi europei, come Belgio, Germania, Olanda non esiste una legislazione specifica, ma le mutilazioni genitali femminili vengono interpretate come lesioni all'integrità fisica della donna e della bambina.
Il Parlamento europeo riconosce la necessità di lavorare con le comunità per
l'eliminazione della pratica ma nel 2001 con la risoluzione sulle mutilazioni genitali femminili precisa che: «la protezione di culture e tradizioni ha i suoi limiti, che consistono nel rispetto dei diritti fondamentali e nella proibizione di usanze simili alla tortura».
La risoluzione afferma che gli immigrati devono rispettare i sistemi giuridici nazionali che non consentono tali mutilazioni e puniscono con sanzioni detentive o pecuniarie coloro che le praticano; per far comprendere ciò, è necessario informarli prima che lascino il loro paese d'origine e al momento dell'arrivo nel paese di accoglienza.
Inoltre essa afferma che gli Stati membri sono tenuti a: «considerare ogni forma di mutilazione genitale femminile un crimine specifico, a prescindere se l'interessata abbia in qualche modo dato il suo consenso, e punire chiunque aiuti, incoraggi, consigli o dia sostegno a chi compia tali atti sul corpo di una donna o di una ragazza (...); «considerare che, dal punto di vista di leggi a tutela dei minori, la minaccia e/o il rischio di essere sottoposte a mutilazioni genitali femminili può giustificare l'intervento delle autorità; (...) si invita vigorosamente e fermamente l'Unione europea, e tutte le istituzioni e gli Stati membri a sostenere i valori europei fondati sui diritti umani, la legge e la democrazia. Non è ammissibile che pratiche culturali o religiose vadano contro questi principi che sono alla base della nostra democrazia». La risoluzione europea invita: «(...) il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a usare la clausola sui diritti umani per fare della lotta alle mutilazioni dei genitali femminili un tema prioritario nelle relazioni con gli Stati non membri, in particolare con quelli che hanno rapporti preferenziali con l'Unione europea in base all'accordo di Cotonou, e a esercitare pressioni su di loro affinché adottino ogni misura legislativa, amministrativa, giudiziaria e preventiva necessaria per porre fine a queste pratiche».
Inoltre è da considerarsi la forza morale persuasiva per i membri della società. Il semplice desiderio di rispettare la legge potrà bastare a persuadere certi individui ad abbandonare una pratica che sia stata criminalizzata dallo Stato. I genitori potranno temere le conseguenze potenziali nel caso decidano di far circoncidere illegalmente le figlie.
Inoltre l'approvazione di una legge potrà facilitare la comunicazione all'interno delle famiglie tra le generazioni, dando a coloro che si oppongono alla pratica l'occasione di discutere il problema con membri più tradizionalisti della famiglia.
Rimangono comunque alcuni ostacoli all'attuazione di leggi contro le mutilazioni genitali femminili a causa della condizione di inferiorità della donna. Sarebbe perciò necessario eliminare ogni forma di discriminazione promuovendo i diritti delle donne. Ci sono paesi in cui le mutilazioni genitali femminili sono considerate un prerequisito per il matrimonio e sarebbe difficile per donne e ragazze sfuggire a tali pratiche dal momento che la loro sicurezza economica dipende dalla possibilità di sposarsi. È quindi necessario che i governi adottino misure per il miglioramento dello status sociale, economico e politico delle donne, sostenendo la formazione e l'istruzione.
I governi dovrebbero assicurare la ratifica dei principali trattati che garantiscono i diritti delle donne, compresa la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Essi dovrebbero armonizzare tutte le leggi a livello nazionale in conformità dei diritti garantiti da quei trattati. Infatti leggi specifiche adeguatamente pubblicizzate potranno agire come strumenti educativi per informare comunità, singoli e membri dell'apparato giuridico e giudiziario sulla pratica, le sue conseguenze e gli strumenti di prevenzione a disposizione, e servire da deterrente per potenziali trasgressori.
In Italia, negli ultimi trent'anni, favorito dai ricongiungimenti familiari, si è avuto un accrescimento del numero di immigrati provenienti da aree geografiche con tradizioni e cultura profondamente diverse dalla nostra; essi tendono a mantenere gli usi e i costumi della società di
origine, in modo particolare per quello che riguarda l'educazione dei figli e la figura della donna nel contesto familiare e sociale. Ciò ha trasformato il nostro paese in una società multietnica, multiculturale e multirazziale in cui sono sorte nuove problematiche di varia natura: sociale e culturale, medica, etica e giuridica.
All'ospedale San Gallicano di Roma sono 189 i casi di donne con mutilazioni genitali assistite in 10 anni, ed una ricerca svolta in Emilia Romagna (la prima in Italia nel suo genere) rivela che un operatore sanitario su 4 ha avuto in cura donne straniere con mutilazioni genitali; il 16 per cento ritiene che siano state praticate in Italia.
Tutti noi ricordiamo il caso recente di un medico di un ospedale fiorentino che aveva richiesto l'autorizzazione alla regione Toscana di praticare una infibulazione, cosiddetta dolce, richiesta da una mamma per la propria bambina; l'autorizzazione è stata negata riconoscendo l'assoluta barbarie dell'atto richiesto, ma ciò fa anche riflettere sulla casistica e sull'ampiezza del fenomeno: quante mutilazioni dei genitali femminili saranno state praticate di nascosto?
Il 9 febbraio 2004, in modo del tutto trasversale, il consiglio provinciale di Firenze ha approvato una mozione che condanna qualsiasi pratica che sia lesiva dell'integrità psico-fisica delle donne e delle bambine e con la quale si chiede al Governo l'adeguamento del quadro legislativo in materia di mutilazioni, soprattutto alla luce del testo unificato che stiamo per discutere.
Nel nostro paese tale pratica non è vietata da una legge specifica, ma se denunciata dal medico a cui viene richiesto di praticarla, è considerata come lesione personale gravissima (articoli 582-583 del codice penale) e quindi perseguibile.
È perseguibile anche ai sensi degli articoli 2 e 32 della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (articolo 32).
Ed ancora con l'articolo 5 del codice civile si vietano «gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica». Né si può giustificare la legittimità dell'intervento sulla base del consenso «spontaneo e cosciente» da parte dell'interessata, che solitamente non può fare a meno di sottrarsi ai condizionamenti e alle pressioni della famiglia e del gruppo.
Il Comitato nazionale per la bioetica afferma che la pratica escissoria benché «profondamente radicata culturalmente, richiesta ed esigita anche dalle adolescenti non può essere ritenuta eticamente accettabile sotto ogni profilo e deve essere quindi combattuta e proscritta anche con l'introduzione di nuove norme di carattere penale».
Anche l'articolo 50 del codice di deontologia medica, che recita: «È vietato al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile», vieta senza alcun dubbio tali interventi.
L'Italia dovrebbe essere consapevole che la mutilazione genitale femminile potrebbe essere praticata nelle comunità di immigrati e che le donne immigrate che sono state sottoposte a questa procedura nei loro paesi di origine possano avere bisogno di una particolare assistenza medica e psicologica. Le preoccupazioni principali riguardano le possibili conseguenze psicosociali per le donne e le bambine che si sono trasferite da un paese in cui tali pratiche vengono accettate a livello familiare e sociale, ad un altro in cui essa è una pratica illegale e viene aborrita dalla comunità. Lo Stato pertanto dovrebbe stanziare delle risorse per l'educazione di gruppi di immigrati per dissuaderli dal praticare la mutilazione e per le ricerche sulle necessità socio-sanitarie delle donne e delle bambine immigrate.
Un approccio valido è quello di formare apposite figure professionali, come i mediatori culturali, che creino un legame tra le comunità locali e le istituzioni socio-sanitarie per trovare i migliori modi
possibili di sviluppare un sistema sensibile per la prevenzione, la dissuasione e la protezione delle bambine a rischio di mutilazione genitale e la riabilitazione delle donne e delle bambine che vi sono già state sottoposte. Vanno intraprese ricerche e studi per monitorare l'ampiezza del fenomeno. Occorre inoltre sviluppare un migliore accesso al Servizio sanitario nazionale attraverso una politica dell'accoglienza verso le bambine per prevenire il rischio di mutilazioni genitali femminili. L'approccio dovrebbe basarsi sul supporto alle famiglie attraverso attività di mediazione culturale e familiare. Notevole importanza riveste anche la figura del pediatra ambulatoriale o ospedaliero in occasioni come nascite, visite di controllo, consulenze specialistiche; con una apposita formazione potrebbe affrontare il problema delle mutilazioni genitali femminili insieme ai genitori, al fine di prevenirla, oppure avrebbe la possibilità di scoprire casi di giovani donne e bambine già infibulate che presentano modificazioni comportamentali.
Come il pediatra, anche gli insegnanti scolastici dovrebbero essere in grado di cogliere eventuali segnali d'allarme da comportamenti anomali di bambine, già sottoposte alla pratica; la prevenzione investe anche la scuola che, attraverso incontri con le famiglie, potrebbe informare sulle conseguenze negative di tali pratiche, sulla legislazione italiana e internazionale in materia. Ma è necessario anche potenziare l'azione del dipartimento materno infantile delle ASL con il coinvolgimento quindi delle regioni che, in accordo con i servizi sociali, elaborano programmi per la prevenzione e l'intervento dal punto di vista socio-sanitario. È importante quindi insistere e portare avanti le campagne informative già intraprese con determinazione dal Ministero per le pari opportunità.
Da tutto quanto riferito e dalle esperienze, sia nei paesi in cui ancora sussistono queste pratiche che in quelli europei, in cui sono state promulgate leggirestrittive, si evidenzia una chiara testimonianza: se si vuole raggiungere l'obiettivo, certo non facile né raggiungibile in breve tempo, di eradicare le mutilazioni genitali femminili, occorre agire innanzitutto attraverso una capillare, convinta e scientifica informazione con il coinvolgimento di istituzioni, strutture, ma anche, e soprattutto, di organizzazioni di volontariato per incidere sui fattori primari che sono alla base, atavicamente, di questa cruenta pratica, e far prevalere il rispetto della dignità della persona, in particolare del ruolo della donna nella società. Le norme restrittive di natura penale e amministrativa, pur necessarie, da sole hanno dimostrato di non riuscire ad eliminare in quei paesi tale nefanda tradizione. Sono queste le premesse che sono alla base della presentazione delle proposte di legge in discussione.
L'obiettivo primario di varare, anche in Italia, una legge ad hoc è quindi quello di prevedere e di coordinare le attività svolte dai ministeri competenti, innanzitutto ed in modo capillare attraverso una costante campagna di informazione a vari livelli, sia nei paesi di origine ed in particolare al momento della richiesta del visto presso i consolati italiani, sia alle frontiere italiane al momento del primo contatto degli immigrati con il nostro paese, al fine di prevenire ed eliminare tali pratiche; occorre quindi programmare, oltre ad attività di prevenzione ed informazione, con l'aiuto di organizzazioni di volontariato e non-profit e delle strutture sanitarie, anche corsi di preparazione al parto per donne infibulate in stato di gravidanza, un capillare monitoraggio presso strutture sanitarie e servizi sociali, la formazione del personale sanitario e non, affinché acquisisca le conoscenze specifiche per affrontare tali problematiche.
Particolare rilevanza riveste l'attivazione di un numero verde presso il Ministero dell'Interno che raccolga le segnalazioni di casi e che fornisca informazioni sulle istituzioni e sulle organizzazioni che operano nel settore, finalizzato a ricevere
segnalazioni da parte di chiunque venga a conoscenza dell'effettuazione delle mutilazioni genitali femminili, nonché per fornire informazioni sulle strutture sanitarie e sulle organizzazioni di volontariato che operano nel settore.
Accanto alle suddette iniziative finalizzate alla prevenzione, con il provvedimento si introduce uno specifico articolo nel codice penale (583-bis) che identifica chiaramente e specificamente il nuovo «reato» con sanzioni detentive e amministrative per tutti i soggetti coinvolti direttamente o indirettamente nella pratica delle mutilazioni genitali femminili.
Con l'approvazione di una tale legge l'Italia si avvierà concretamente a dare una risposta non solo di tipo umanitario, e ribadirà con forza l'irrinunciabile riconoscimento della dignità della persona ed in particolare il rispetto inviolabile dei diritti della donna e delle bambine che in alcun modo possono essere lesi e offesi.
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