![]() |
![]() |
![]() |
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, colleghi, credo che oggi dovremmo avere l'opportunità di riflettere sul comportamento tenuto in questi giorni dal Presidente del Consiglio, un comportamento che, con il passare delle ore, non può non generare nei cittadini e in noi parlamentari una crescente preoccupazione.
Molto probabilmente il Presidente del Consiglio sta vivendo - o forse sta mal sopportando - il clima interno alla maggioranza o l'insofferenza nei confronti quotidiani con le forze politiche e con i gruppi parlamentari che fanno parte della sua maggioranza. Li sta talmente mal sopportando che perde il contatto con la realtà e, soprattutto, non riesce a connettere la propria voce ai propri pensieri, per una corretta elaborazione degli stessi.
Credo che a nessuno sia sfuggita la serie di esternazioni che, a briglia sciolta, questa mattina il Presidente del Consiglio ha rilasciato a Radio Anch'io: controllate i politici che rubano.
Credo che questo sia un invito che, per fare nostro, non dovevamo aspettare ce lo rivolgesse il Presidente del Consiglio. Credo che ...
GIUSEPPE FIORONI. Attendiamo che il Presidente della Camera prenda posto, perché credo che questo argomento riguardi il Presidente Casini, cui lasciamo anche il tempo di riprendersi...
PRESIDENTE. Non si preoccupi, perché se me ne lascia un altro po'... le tolgo la parola (Si ride)!
GIUSEPPE FIORONI. Credo che il Presidente Casini avrà avuto modo di leggere sulle agenzie, e anche di avere ascoltato - perché ritengo siano cose cui presti attenzione - le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, le quali, rivolte a colleghi parlamentari non molto...
PRESIDENTE. No, non le ho lette.
GIUSEPPE FIORONI. Va bene, avrà modo di ascoltarle adesso da me, per cui potrà verificarle e quindi, conseguentemente, credo che non potrà fare a meno di prendere atto che quanto il Presidente del Consiglio ha esternato sono notitiae criminis, che riguardano non si sa bene quali parlamentari di quest'aula, non si sa bene in quale associazione o disegno criminale tra di loro. Tuttavia, il Presidente del Consiglio ha fatto apprendere agli italiani che vi sono colleghi che operano in queste aule, o che vi hanno operato, o che
vi opereranno - perché, purtroppo, in questi giorni il Presidente del Consiglio è un po' dissociato - e che rubano, e quindi invitava i cittadini a controllare.
Credo sia un suo preciso dovere, signor Presidente, chiedere al Presidente del Consiglio di spiegare meglio le accuse che ha rivolto a membri del Parlamento, di esternarle con dovizia di particolari e, soprattutto, di chiedere agli organi competenti di intervenire. Siccome era una delle espressioni più volte ricordate, credo che su questo punto dovremmo avere modo ed opportunità anche di ascoltare, nella prossima seduta della prossima settimana, dei chiarimenti da parte del Presidente Consiglio.
Certo è singolare che il Presidente del Consiglio, finalmente e giustamente, si preoccupi, dopo quasi tre anni di Governo, di impedire che il denaro pubblico venga speso male e, soprattutto, di garantire che in questo paese ci sia una giustizia giusta, che persegua i crimini e coloro che li commettono. Ci sembra strano che lo affermi lo stesso Presidente del Consiglio che in quest'aula, con grande determinazione, ha voluto prima depenalizzare il falso in bilancio, andando in controtendenza mondiale rispetto all'inasprimento delle pene per coloro che commettevano tale reato negli altri paesi occidentali.
Si tratta dello stesso Presidente del Consiglio che ha fatto approvare in questa Assemblea la legge sul legittimo sospetto (la cosiddetta legge Cirami) ed i provvedimenti sulle rogatorie internazionali, ed è lo stesso Presidente del Consiglio che, assieme al ministro della giustizia, si è strenuamente impegnato affinché il mandato di cattura internazionale non fosse realizzato nel nostro paese.
Credo che le affermazioni rilasciate questa mattina dal Presidente del Consiglio meritino, da una parte, l'impegno in tal senso del Presidente della Camera affinché siano chiarite, nell'interesse e nella dignità di questo Parlamento e di coloro che lo compongono, e, dall'altra, che vengano chiarite anche alle autorità competenti, qualora il Presidente del Consiglio disponga di dati così certi e precisi. Contemporaneamente, tuttavia, il Presidente del Consiglio ne tragga esempio e monito per i comportamenti propri e del suo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
È lo stesso Presidente del Consiglio che, in questi giorni, ha spiegato a tutti che siamo vittime di una legge barbara, come quella sulla par condicio, che va rapidamente abrogata. Si tratta dello stesso Presidente del Consiglio che, dopo avere affermato quanto abbiamo riferito sui parlamentari che rubano ed aver detto che la par condicio è una legge barbara, se la prende con la Corte costituzionale, rea di aver provato qualche volta a dire che sussistono anche profili di illegittimità costituzionale, in cui è incorso anche questo Parlamento, e che anche le leggi recentemente approvate dovevano essere riviste.
Solo per questo, la Corte costituzionale è diventata illegittima, ed abbiamo scoperto anche la causa della sua illegittimità: qualche giudice che questo Presidente del Consiglio non gradiva o non gradisce, è stato nominato dal Presidente della Repubblica emerito.
In questi giorni, abbiamo visto più volte accusare il Parlamento di intralciare le attività del Governo (non disturbate il manovratore, lasciateci andare avanti) e definire un'istituzione come il Parlamento italiano come qualcosa che intralcia, vale a dire un pesante fardello che impedisce il regolare svolgimento delle attività delle istituzioni repubblicane, e ritengo ciò un ulteriore elemento di preoccupazione.
Ebbene, il nostro Presidente del Consiglio, che se la prende con la legge sulla par condicio, con la Corte costituzionale, con i cittadini che pagano le tasse - ritenendoli sciocchi, perché quando le aliquote sono troppo alte, le tasse non dovrebbero essere pagate -, poi sente l'obbligo morale di chiedere ad altri di dimettersi per rispettare la propria dignità, perché ritiene che il mandato che rivestono in quel momento non sia compatibile con la possibilità di esprimere le proprie opinioni in merito alla politica interna del nostro paese.
Credo che tutto ciò meriterebbe una riflessione da parte del Presidente del Consiglio sia riguardo al controllo dei cittadini sui politici che, presumibilmente, possono aver rubato, sia con riferimento all'invito, rivolto al Presidente Prodi, di dimettersi per esigenze di rispetto sostanziale della dignità dell'incarico ricoperto. In particolare, per quanto concerne l'invito rivolto al Presidente Prodi, il Presidente Berlusconi farebbe bene a riflettere sul fatto che analogo consiglio potrebbe darlo prima di tutto a se stesso! Debbo dire, tuttavia, che noi comprendiamo il Presidente del Consiglio: questa inesistente, quanto estenuante, verifica all'interno della maggioranza deve averlo provato, nonostante il lifting ...
A tal proposito, signor Presidente, avvertiamo una grande ansia: stasera dovrebbe essere reso noto il documento che risolve i problemi della maggioranza e che, di conseguenza, dovrebbe anche giovare allo stato di salute del Governo. È diventato un po' come il bollettino sanitario che viene comunicato ogni settimana. In questo caso, però, siamo arrivati ai bollettini giornalieri sulla verifica.
Peccato che, qualche minuto fa, un autorevole segretario della maggioranza, l'onorevole Follini, abbia annunciato che non parteciperà al vertice di questa sera. Perciò, si tratta dell'ennesima bufala! Viene dato l'annuncio della chiusura della verifica e della conseguente presentazione di un documento che dovrebbe risolvere i problemi della maggioranza, mentre, in realtà non si è riusciti a partorire un bel nulla!
Credo che oggi dovremmo anche interrogarci sul perché di tanta ostinazione da parte del Presidente Berlusconi. Prima fa approvare questo decreto-legge «salva Retequattro» e, poi, minaccia - perché credo che di questo si tratti - di porre la fiducia anche sul progetto di legge Gasparri. Minacciare di porre la fiducia sulla legge Gasparri è come brandire una clava, è come minacciare noi parlamentari di farvi ricorso qualora lo intralciassimo ancora chiedendo che i rilievi del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale vengano recepiti da questo Parlamento in maniera corretta e idonea.
Tutto ciò può essere motivato soltanto da un mero interesse economico, peraltro consistente, significativo, fondamentale, o c'è anche dell'altro? Io credo che vi sia anche dell'altro, colleghi. Ritengo che il Presidente del Consiglio abbia chiaro il ruolo che la televisione esercita oggi, nella vita quotidiana, sui nostri ragazzi e sui nostri concittadini. Abbiamo assistito da spettatori, qualche volta anche colpevoli di omissioni, ad un progressivo deterioramento della vita politica di questo paese. Anzi, direi che abbiamo assistito ad un vero e proprio processo di depoliticizzazione che il Presidente Berlusconi ha messo in atto in questi ultimi anni.
Tale processo ha un obiettivo fondamentale: trasformare lentamente il cittadino in un consumatore. Mi spiego. Il cittadino, che era abituato, in Italia, a partecipare alla vita politica, ad uscire dall'urna dicendo: «non ho votato, ma sono ...» (e seguiva il nome del partito politico a cui si sentiva legato da un vincolo ideale di appartenenza, di adesione ad un progetto, ad un programma, a valori, a ideali), rischia di essere trasformato da cittadino che voleva capire, comprendere, partecipare ed agire in consumatore che, in maniera acritica, acquista il prodotto che meglio gli viene venduto sullo scenario politico.
È indiscusso che, in questo, il Presidente del Consiglio sia il miglior teleimbonitore che esista, il miglior piazzista: in questo paese, egli riesce a vendere prodotti di ogni genere, compresi quelli politici. Ebbene, nel perseguire questo processo di depoliticizzazione, egli ha talmente abituato il cittadino...
PRESIDENTE. Onorevole Fioroni...
GIUSEPPE FIORONI. ...a diventare consumatore che, nella stagione delle mode, è riuscito a propinargli anche le false illusioni, dalle pensioni alle dentiere, alle tasse, senza riuscire, però, a stimolarlo minimamente a seguire quello che accadeva nella nostra vita politica nazionale.
Credo che il ruolo vero del progetto di legge Gasparri e...
PRESIDENTE. Onorevole Fioroni, deve concludere.
GIUSEPPE FIORONI. ... del decreto «salva Retequattro» sia proprio quello che ho indicato; cioè non soltanto di natura economica (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ladu. Ne ha facoltà.
SALVATORE LADU. Signor presidente, onorevole sottosegretario, le ragioni del «no» a questo provvedimento sono tante e non si fondano né su un pregiudizio ideologico né su un pregiudizio riguardante la proprietà. Siamo convinti che questo provvedimento rafforzi, in modo spudorato, un'anomalia del duopolio (si fa per dire) e cancelli, per il futuro, ogni forma di pluralismo e, quindi, di libertà di informazione.
Signor Presidente, onorevole sottosegretario, contro questo provvedimento vi sarà la sollevazione di tutte le forze sane del paese (la gente si ribellerà), di tutte le forze autenticamente democratiche alle quali sta a cuore la vitalità democratica del nostro paese, la sua libera espressione, il suo elevamento culturale e la sua crescita civile. Tale patrimonio si cancella con quest'atto.
Per quanto riguarda il merito del provvedimento, io e tanti altri colleghi, durante le ore notturne (mentre il cavaliere riposava), abbiamo avuto modo di rilevare le ragioni vere che spiegano il contrasto con tutto il sistema costituzionale. La mancanza di chiari parametri rende complicata all'Autorità garante la formulazione di proposte e di interventi diretti a favorire l'incremento dell'offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso agli stessi.
L'Autorità, durante le audizioni, è stata chiara ed esplicita nel sollecitare il legislatore a definire rigorosamente i criteri e le modalità con cui procedere all'accertamento di questo mutato contesto. Il provvedimento in esame non glielo consente. Sarebbe stato opportuno rispondere seriamente alle richieste e alle perplessità sollevate da tutto il sistema istituzionale, dalla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Infatti, il presidente Cheli, più volte, ha insistito sulle incertezze interpretative che sarebbe stato opportuno chiarire in sede di conversione in legge del decreto-legge. Ma la risposta a queste attenzioni da parte degli organi di controllo è stata il voto di fiducia.
Si tratta di incertezze a fronte della sussistenza o meno del pluralismo. Tali incertezze riguardano le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e i provvedimenti che la stessa Autorità dovrà adottare in caso di verifica negativa.
Il Governo, tuttavia, ha scelto di porre la fiducia; essa rappresenta un «no» a qualsiasi volontà dell'opposizione e anche di settori importanti della maggioranza. Ha detto «no» a quest'esigenza di libertà nel sistema informativo.
Siamo stati inascoltati; sono stati inascoltati gli organi di controllo, inascoltate le autorità della Corte costituzionale, inascoltato il Presidente della Repubblica, inascoltato il Parlamento. A tutti questi e a noi il Governo, il Presidente Berlusconi, ha risposto che non ci sono le condizioni per sviluppare una dialettica democratica sul paese. Rischiamo di diventare un paese senza libertà, con un potere politico, un potere mediatico concentrato in un'unica persona, il Presidente del Consiglio.
Per trovare una situazione come questa, signor Presidente, dovremmo risalire a periodi storici oscurantisti della nostra storia. Un potere così ampio e così forte credo che ci debba riportare a momenti di confusione dei sistemi istituzionali della nostra storia. Sono passati due anni e mezzo di questa legislatura di questo Governo con un unico obiettivo: i cento giorni, che oggi sono diventati mille, di Governo Berlusconi, lo ripetiamo, sono serviti a sanare tutte le difficoltà economiche,
giudiziarie del Presidente del Consiglio, sono serviti a lui per garantirsi il mercato.
Noi abbiamo aziende che chiudono per un sistema di mercato che è quello che deriva dal sistema della globalizzazione. Nel Mezzogiorno l'apertura ai paesi dell'est e del centroest ha comportato la cancellazione di aziende, con tutte le difficoltà che ciò comporta per i nostri giovani. In questi mille giorni non c'è stata quella risposta complessiva di cui noi abbiamo sentito parlare, quella risposta che ha trovato nel 2001 l'entusiasmo di tanti elettori, di tante categorie, di tante espressioni sociali. Oggi, dopo mille giorni di questo Governo, abbiamo un solo dato: sanare le difficoltà, le illegittimità di un grande gruppo industriale. Questa è la risposta che è stata data, con determinazione, attraverso decreti legge, risposta che non ha soddisfatto tutte le istanze emerse sul paese.
Noi assistiamo ogni giorno a manifestazioni per il diritto alla salute, a manifestazioni perché non venga cancellato il sistema sanitario nazionale; assistiamo a manifestazioni perché ci sia una scuola per tutti; assistiamo alla cancellazione di diritti sacrosanti, perché si possa vivere in un sistema di libertà; assistiamo alla cancellazione di tutto il sistema industriale del paese. Gli ultimi dati, quelli di ieri dell'ISTAT, pongono in negativo la crescita della produzione in questo paese; non c'è crescita di produzione, c'è la cancellazione di posti di lavoro e all'orizzonte non c'è una nuova speranza per il sistema occupazionale del paese. Ma la preoccupazione è una sola: quella di salvare il gruppo economico del cavaliere e quella di dargli un mercato sicuro, un mercato dove non ci siano più opinioni avverse.
Capisco i colleghi della maggioranza, li capisco, perché questo potere economico serve anche a far vincere piccoli partiti della maggioranza; questo potere mediatico serve anche a far crescere movimenti insussistenti di gruppi della maggioranza; serve anche a tenersi l'alleanza con coloro che nulla hanno a che vedere con questa maggioranza.
Signor Presidente, la nostra maratona, che tanti ministri guardano con sufficienza, è volta a tenere in piedi la libertà. Signor Presidente, lei proviene dalla mia e dalla nostra storia, e credo che nella nostra storia non ci sia mai stato un atteggiamento di arroganza di questo genere da parte di un Governo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Loiero. Ne ha facoltà.
AGAZIO LOIERO. Signor Presidente, confesso che mi pesa compiere questo rito ripetitivo dell'ostruzionismo o inventare una quarta categoria parlamentare, come restare in aula senza votare, illustrare un ordine del giorno o svolgere una dichiarazione di voto, ossia trovare meri pretesti formali per poter parlare al paese. Il fatto è che la maggioranza è indifferente a questi problemi, alle esigenze elementari della democrazia, all'importanza del confronto, al valore della discussione.
In democrazia anche la discussione, il disaccordo, sono una risorsa, perché permettono alla maggioranza di cibarsi degli umori del paese e dell'opposizione stessa. Invece, qui troviamo arroganza, supponenza, come se il Governo fosse ancora in luna di miele.
Non è così, signor Presidente e anche lei - ne sono certo - lo sa. Gli umori del paese sono cambiati, è cambiata la sensibilità, è cambiata la «pancia» del paese, quella che vi ha sommerso di voti nel 2001.
Nel 2001 non vi era alcuna ragione per votare a favore del centrodestra, ve lo dico sinceramente. Vincere le elezioni sul sogno e sulle favole non è il viatico ideale per un paese civile: l'Italia merita altro! È stata, dunque - lo ripeto - la «pancia» a fare la differenza.
Questo decreto-legge è una follia per due ordini di motivi: innanzitutto, perché elude il problema centrale, il pluralismo dell'informazione, tema posto dal Presidente
della Repubblica e dalla Corte costituzionale.
Per quanto riguarda la Corte, signor Presidente, vorrei svolgere una sola considerazione. Noi immaginiamo che la Corte sia un organo terzo e che lo sia davvero: non può essere un organo liberale quando evita la galera a Bossi e diventare, invece, comunista in tutte le altre occasioni.
Il secondo motivo, signor Presidente, riguarda il momento storico. Vi è un malessere generale nel paese: una serie infinita di inquietudini lo percorrono e si concentrano nello stesso arco temporale. Tutti i comparti della vita associata dicono che l'Italia soffre, e lo dicono tutti gli indicatori sociali. Ciò non ci fa piacere, perché facciamo parte anche noi della comunità nazionale.
Vorrei accennare solo a qualche tematica che ci angustia: innanzitutto, povertà e lavoro, che sono temi interconnessi. In Italia vi è un processo di impoverimento; vi sono classi sociali che non sono mai state sfiorate dalla paura della povertà e che ora vi sono dentro; c'è uno scivolamento veloce, bruciante dal disagio all'indigenza.
In Calabria, la regione da cui provengo, tale problema si intreccia con altri, legandosi al lavoro, alla mancanza di lavoro tradizionale e al precariato che dissesta le famiglie.
E guardiamo alla scuola. Oggi in Italia è stato compiuto veramente un miracolo da parte del Governo: alcuni soggetti, che sono stati sempre antitetici (penso a docenti, studenti e ricercatori), sono uniti sotto la stessa bandiera, ma contro il Governo. È davvero un miracolo!
Poi vi è il welfare, signor Presidente, i cui presupposti culturali sono vergati nella nostra Costituzione. Il welfare è stato un elemento importante per tenere il paese; oggi lo state sfarinando. Esso ha accorciato le disuguaglianze, ha attutito lo scontro sociale; ma come possiamo pensare che questa sanità, la sanità che è un elemento che valeva per tutti, soprattutto per i più poveri, adesso venga tagliata da una forbice rigorosa e severa?
Signor Presidente, le ricordo che nell'articolo 32 della nostra Costituzione il diritto alla salute è definito fondamentale ed i costituenti usarono una sola volta questo aggettivo, soltanto in questo caso.
Senza contare che ci sono sentenze della Corte costituzionale che definiscono intangibili certi diritti, che nessuna maggioranza, neanche quella che si avvalesse del cento per cento dei suffragi degli elettori, può travolgere. Invece, noi cosa opponiamo? Lo slogan: «Si curi chi può»!
Io credo che già oggi come si viene curati in un ospedale a Milano non si viene certo curati a Catanzaro. Questo in attesa della devolution, che dovrebbe dissestare completamente la sanità nel Mezzogiorno. Che senso ha attribuire competenze esclusive in alcune regioni? Come fanno la Basilicata o la Calabria ad autosostenersi?
Signor Presidente, vorrei ricordarle che nel luglio scorso si è dimesso, nell'indifferenza generale, un sottosegretario di questo Governo, il sottosegretario per l'economia e le finanze Vito Tanzi. Si tratta di un personaggio di qualità assoluta che, credo, avesse chiamato al Governo Tremonti. Insegna alla facoltà di economia di Washington ed è consulente della Casa Bianca e del Senato americani; è alla guida del dipartimento di finanza pubblica del Fondo monetario internazionale e se ne è andato sdegnato!
Sa che cosa ha detto all'Espresso in un'intervista del 3 luglio dello scorso anno? Ha detto: Come si fa a dare autonomia fiscale alla Calabria e poi aspettarsi che ci sia una spesa per alunno come in Lombardia? Io credo che questa consapevolezza sia presente in molti degli amici della maggioranza: parlo spesso con loro e me ne accorgo.
Il problema tuttavia è la verifica: lo hanno ricordato i colleghi Pasetto e Fioroni. Bossi ha detto alle 14 che la verifica sarà chiusa stasera. Non è così e non sarà così! Magari fosse chiusa, ce lo auguriamo noi della minoranza! Magari si chiudesse questa tiritera infinita!
Voi la chiuderete formalmente con la firma e gli atti, ma è il tipo di chiusura che postula la sostanziale normalizzazione di questa alleanza, che sfarina la Costituzione, lasciando tutti i problemi in campo. Con un'aggravante: fino a quando la verifica è stata aperta, ognuno poteva sperare di risolvere i propri problemi. Una volta chiusa, lascia tutti scontenti e la legislatura andrà avanti inquieta, tra risse, scontri e conflitti. Andremo, signor Presidente, sino in fondo, senza mai toccare il fondo, come diceva Sciascia.
Il paese sarà ingovernabile e darà vita ad un incredibile paradosso. Lo dico a lei, signor Presidente: nella passata legislatura il centrosinistra che governava il paese, lo faceva anche lì tra risse, conflitti, ma per due anni in quest'aula, con tre voti di maggioranza è andato avanti, compatto. Ha approvato una riforma costituzionale!
Oggi, dopo aver dato un'idea di compattezza e aver vinto le elezioni, non bastano cento deputati per superare una votazione a scrutinio segreto. Questa è la verità!
La verità vera è che la distanza tra lei e Bossi, tra Follini e Bossi è infinitamente più ampia di quella che esiste tra Bertinotti e Rutelli. Avete mai visto una verifica nella quale un segretario implora come punto dirimente il rispetto degli alleati? Lo ha fatto Follini! Ma non è un presupposto il rispetto degli alleati?
In conclusione, è la Lega Nord Federazione Padana il vizio d'origine della Casa delle libertà. È la Lega Nord Federazione Padana il problema del paese. Finché resta in piedi questo nodo, non vi sarà pace nella Casa delle libertà!
Concludo rivolgendo un consiglio, se posso permettermi, al Presidente del Consiglio: vorrei dire che la Casa delle libertà nel 2001 ha vinto ricorrendo, lo dicono tutti gli analisti, al populismo: il ricorso diretto al popolo, senza filtri, senza sovrastrutture. Certo, ma se questa operazione permette di vincere in maniera bruciante, state attenti che proprio quel ricorso al popolo rischierà di farvi perdere (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.
ANDREA COLASIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, così come era agevolmente prefigurabile, così come era scritto nel copione che ha guidato la maggioranza, ci si avvicina all'epilogo di tale vicenda dai tratti non certo nobili. Si tratta di una pagina infelice nella storia delle istituzioni repubblicane. Tale pagina, tuttavia, non sarà facilmente archiviabile; la pratica - chiamiamola così - non verrà agevolmente classificata ed archiviata.
La consapevolezza della qualità della posta in gioco e la difesa dei valori, delle regole, delle procedure di un reale pluralismo informativo ci ha imposto, come opposizione, il sentiero obbligato lungo il quale ci siamo mossi durante gli ultimi giorni e le ultime lunghe notti. Non si tratta certo, lo dico al capogruppo di Forza Italia, onorevole Vito, della volontà o dell'interesse ad espropriare Retequattro, come egli ha dichiarato. Non è di questo che si tratta! Al contrario, ci interessa garantire che il mercato si sviluppi, che le aziende attive nel settore si consolidino, che siano in grado di competere in una dimensione europea ed in una dimensione internazionale.
Ci interessa che il mercato radiotelevisivo sia aperto, senza vincoli all'ingresso, senza la sussistenza di posizioni di monopolio che, di fatto, ne frenano lo sviluppo e riducono le opportunità degli operatori, degli imprenditori, quelli veri, che rischiano. Ci interessa un mercato vero e non innervato politicamente, non protetto e non squilibrato da regole asimmetriche - di questo stiamo parlando! - ad uso e consumo del signorotto locale. In altri tempi si sarebbe detto un mercato senza lacci e lacciuoli.
Vedete, contrariamente a quello che molti di voi pensano e che alcuni di voi
hanno praticato, il mercato ha una sua morale, una sua etica. Il mercato poggia su regole alla cui base vi è una secolare sedimentazione di valori condivisi. Vorrà pur significare qualcosa il fatto che le fondamenta dell'attuale Europa politica sono state costruite a partire dai mercati e dalla loro progressiva integrazione. Il mercato ha creato nuove regole come quelle della concorrenza, dell'antitrust. Il mercato nel nuovo spazio europeo non è certo più riconducibile ed assimilabile all'epopea della frontiera. Non si risolve, insomma, nel mito del west. Il problema è tutto qui.
Che altro è, allora, colleghi della maggioranza, quell'occupazione di fatto dell'etere e delle frequenze? Si tratta di una risorsa scarsa, un bene pubblico. Ripeto, vi è occupazione di fatto dell'etere e delle frequenze, come recita non un discorso dell'opposizione, ma una sentenza della Corte costituzionale. Tale occupazione è l'elemento fondativo su cui poggia tutta questa inenarrabile vicenda. Sì, colleghi della maggioranza, altro che volontà di esproprio di Retequattro!
Quello che è stato espropriato è uno specifico bene pubblico: dalle aziende del premier sono state espropriate le frequenze che appartengono legittimamente ad altri imprenditori non tutelati politicamente. Questo è il fatto! Il fatto ha, poi, cercato di costituire il diritto, di dargli nobiltà, dignità giuridica, fondamento normativo, dapprima con agenti procacciatori d'affari, poi, vista l'entità economica dell'affare, il mandante ha ritenuto più opportuno operare in proprio. Retequattro è, insomma, una sorta di cliente direzionale: meglio sbrigare la pratica senza intermediari. Poco importa se per trovare un fondamento giuridico all'esproprio di un bene pubblico si devono forzare i rapporti tra le istituzioni; poco importa se si deve procedere generando una situazione di grave sovraccarico istituzionale; poco importa se per legittimare l'abuso si devono larvatamente delegittimare le principali istituzioni del nostro paese.
L'aver posto la fiducia su questo provvedimento ci ha impedito di entrare nel merito. Lo abbiamo fatto in sede di discussione sulle linee generali ed in Commissione, ma in questa sede non vedo il relatore Romani né il sottosegretario o il ministro con cui abbiamo cercato vanamente di discutere una strategia emendativa che desse, quanto meno, una parvenza di dignità giuridica al decreto-legge in esame.
Nel merito alcune cose vanno dette. Il decreto-legge, a dispetto del titolo, non chiude il regime transitorio perché non ci sono tempi e modalità; lo traspone, al contrario, nel tempo della lunga durata. Ciò anche perché l'accertamento da parte dell'Autorità garante non potrà produrre effetti significativi - lo abbiamo già detto reiteratamente -, perché mancano gli indici di riferimento, quegli stessi indici di riferimento che Cheli ha ritenuto essere fondamentali e propedeutici all'accertamento, affermando che l'Autorità garante è un'autorità amministrativa e che dunque deve essere il legislatore a stabilire dei parametri chiari, precisi, operazionalizzabili, senza i quali l'Autorità non è nelle condizioni di verificare se e come sia mutato lo scenario, se cioè si sono veramente generate, nel sistema radiotelevisivo, condizioni di effettivo arricchimento del pluralismo. Senza indicatori empirici non vi è possibilità alcuna di verificare la congruenza o meno di ciò rispetto al mutato contesto: questo è il problema. Invece voi avete introdotto, al Senato, un inciso, che, anche se sibillino, lascia prefigurare l'esito. Avete inserito il riferimento alle generiche tendenze in atto nel mercato, ma non avete messo l'Autorità garante nelle condizioni di parametrizzarlo, di quantificarlo. Qual è il tasso di copertura minimale (lo chiede anche Cheli), cioè qual è la soglia minima dei decoder?
Mi dispiace che non ci sia il sottosegretario Innocenzi, ma di questo avremmo dovuto discutere in quest'aula. Altro che discorso ideologico! Qual è il tasso di copertura minimale, cioè la soglia minima che definisce il mutato contesto? È vergognoso che il sottosegretario Innocenzi evochi, in quest'aula, il caso di Berlino,
dove sanno tutti che la TV analogica copre solo il 10 per cento, perché la restante parte è coperta dalla TV satellitare e dalla TV via cavo. Che senso ha dire in quest'aula di guardare all'esperienza di Berlino? Gli studi dicono che a Berlino la transizione avverrà nel 2010. Gli esperti di settore dicono che la data di transizione in Italia non sarà il 2006 - assunto da noi come scadenza di riferimento -, bensì il 2010, il 2012 (la lunga durata, appunto). Questo è il dato. La copertura non c'è, non ci sarà mai, non è sufficiente. È l'effettività ricettiva l'aspetto rilevante rispetto alla determinazione di un contesto mutato, ma è proprio quello il dato che non c'è.
Colleghi della maggioranza, signori del Governo, la determinazione cieca con cui si procede, tra l'altro con questo decreto-legge inutile quanto incostituzionale (va detto con chiarezza), è emblematica di come il conflitto di interessi rappresenti per voi una sorta di vincolo esterno, cogente rispetto alla vostra libertà di gioco, cogente rispetto allo spazio di azione politica della vostra coalizione. Vedete, colleghi, è stato importante, anche recentemente, sottrarre questo Parlamento al peso della nostra storia. È stato importante ricucire, sul piano dei simboli, le lacerazioni di una storia politica segnata dai drammi di una sofferta guerra civile. È stato un bene per il paese, così come è stato un bene per il consolidamento istituzionale. Voi, però, come maggioranza, avete una grande responsabilità, perché dividete la comunità politica, dividete le istituzioni, e non certo su un interesse banale, perché lo fate sulle regole, sui principi non negoziabili, su ciò che tiene assieme un corpo politico. Lo fate sul pluralismo politico e sul pluralismo informativo.
Ci è difficile immaginare una comunità plurale, priva di un fondamentale pluralismo informativo, così come ci è difficile pensare ad una democrazia compiuta, ad una reale democrazia competitiva senza pluralismo informativo e, quindi, priva di pluralismo culturale e di pluralismo politico. Queste sono state le ragioni (non altre) per le quali abbiamo imboccato il sentiero di questa opposizione lunga e forte nelle sue motivazioni più profonde: un'opposizione dovuta, un imperativo categorico. Il fatto che ci avete messo in condizione di esercitarla, su una questione così nodale, con lo strumento degli ordini del giorno, è cosa che certo non vi fa onore, colleghi della maggioranza.
Quanto a voi, signori della maggioranza, e concludo, avete sacrificato sull'altare del digitale valori e principi della cultura liberale. Avete logorato ed eroso il lascito di una grande tradizione politica e culturale. Non siamo noi che usciremo sconfitti da questo voto. Noi siamo in pace con la nostra coscienza. Abbiamo onorato il nostro mandato, abbiamo tenuto fede ai nostri valori e alla nostra storia. La nostra non è certo stata una battaglia contro gli interessi di qualcuno; questo, casomai, è un vostro problema.
Noi, al contrario, abbiamo lavorato «per», nella consapevolezza che difendere il pluralismo informativo, politico e culturale significhi lavorare per una società più libera, più aperta e compiutamente europea (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggieri. Ne ha facoltà.
ORLANDO RUGGIERI. Signor Presidente, ieri, intervenendo nella discussione sull'ordine del giorno da me presentato, ho accostato il nostro Presidente del Consiglio al personaggio di don Rodrigo di manzoniana memoria. Con la prepotenza, infatti, don Rodrigo si opponeva al matrimonio di Lucia, come Berlusconi, con arroganza, si oppone al passaggio al digitale della sua amata Retequattro.
Don Rodrigo emanava grida che contenevano norme e regole che gli consentivano di perpetuare il suo potere nel territorio, mentre Berlusconi sforna leggi e decreti a suo uso e consumo. Tanti «bravi», feroci e fidati erano a servizio di don Rodrigo, tanti deputati, non meno accondiscendenti di quelli, sono pronti a votare per il cavaliere.
Più la miseria attanagliava i castellani, più il signorotto ingrassava e rafforzava le difese del suo castello. Più il nostro paese appare fermo, bloccato, con fasce sempre più numerose di nuovi poveri, con tante famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese a causa dell'aumento dei prezzi, a cui non corrisponde un adeguato aumento dei salari e degli stipendi, con crisi industriali latenti in diverse zone e città, più il Presidente del Consiglio assedia la propria maggioranza e lo stesso Parlamento a difesa dei suoi interessi personali.
La notte trascorsa, però, mi ha suggerito qualche diversità tra i due. Trovo qualche attenuante per il personaggio manzoniano che, nel suo agire, almeno, era mosso da una parvenza di sentimento verso Lucia, di cui si era invaghito e su cui malvagiamente intendeva esercitare potere e possesso personale. Il nostro, invece, seppure si dica assertore del partito genericamente definito dell'amore, che farebbe prefigurare bontà e positività di sentimenti, cura e gestisce, da Capo del Governo, il suo immenso capitale ed i suoi ricchi interessi.
La prepotenza di don Rodrigo ebbe facile gioco con don Abbondio, parroco ignavo e timoroso che si rifiutò di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia. Berlusconi, con la fortuna che si ritrova, di don Abbondio nella sua condizione ne ha trovati più di uno e tutti assai più ignavi del povero prete manzoniano.
Come interpretare, infatti, la stucchevole vicenda dell'infinita verifica di Governo, con quotidiani rimbombi di tamburi di guerra da parte di questo o quel partito della coalizione di maggioranza, miseramente conclusasi, a quanto pare, con la scoperta di un elemento metafisico sconosciuto, forse, allo stesso Berlusconi, che è quello della collegialità, parola magica e suadente che farà, si dice, da collante ed appianerà ogni divergenza ed ogni coscienza?
Gentile Presidente, il sottoscritto, da dieci anni è sindaco di un comune del Piceno e non esiterebbe un attimo a dimettersi, se, nella sua maggioranza, anche uno solo non sostenesse l'esigenza di collegialità. Questa richiesta sarebbe vissuta dal sottoscritto come un fallimento personale, oltre che politico, perché la collegialità in ogni esecutivo è come l'acqua, fonte primaria di vita ed elemento essenziale di democrazia e di libertà.
Per non parlare poi dei neo don Abbondio che trovano il coraggio di dire «no» al « bravo» dei «bravi» soltanto nel voto segreto e, nonostante tutto, con ciò mettendogli paura, tanto da costringerlo a ricorrere al voto di fiducia, al «sì» dichiarato davanti all'intero paese per proteggere la sua proprietà, il suo castello di milioni e milioni di euro ed il suo sistema di interessi.
Va detto, con estrema chiarezza, che siamo ormai oltre il conflitto di interessi. Da più di due anni di vita politica di questo paese, entrambe le Camere sono chiamate a legiferare solo ed esclusivamente sugli interessi del Presidente del Consiglio, siano essi interessi giudiziari, finanziari o, ancor più, come oggi, grettamente economici. In tale caso, parliamo soltanto di soldi e di biechi interessi economici, non altro.
L'odierno provvedimento, infatti, stabilisce che, per avere la copertura nazionale, basta raggiungere il 50 per cento del territorio nazionale.
L'assenza di un meccanismo centralizzato di allocazione efficiente delle risorse per la mancata attuazione del piano analogico e per il contestuale processo di accaparramento dello spettro frequenziale ha eretto forti barriere all'ingresso del mercato televisivo nazionale, limitando il numero di reti televisive nazionali in concorrenza.
Oggi, di fatto, solo due operatori televisivi hanno nella propria disponibilità reti a copertura nazionale. Tale circostanza altera strutturalmente il gioco concorrenziale del mercato a valle della raccolta pubblicitaria televisiva. L'asimmetria nella copertura effettiva delle reti televisive si riverbera nella concorrenza sugli ascolti, in quanto la strutturale disparità nel numero massimo di telespettatori che le diverse emittenti possono raggiungere incide
sulla disponibilità a pagare da parte degli inserzionisti, a danno degli operatori televisivi concorrenti.
Fatta questa premessa, il provvedimento cristallizza il presente assetto duopolistico. Desta, pertanto, forte preoccupazione l'assenza di un meccanismo che ponga rimedio a tale situazione, che la Corte costituzionale ha definito di occupazione di fatto delle frequenze e di esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni, al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere.
A differenza di altri paesi - ad esempio il Regno Unito -, che stanno disciplinando in modo puntuale e rigoroso la fase di transizione e, soprattutto, di allocazione delle risorse frequenziali necessarie al digitale terrestre, il provvedimento in esame rinuncia a dare piena ed effettiva attuazione al piano nazionale di assegnazione delle relative frequenze per la radiodiffusione televisiva terrestre.
La delibera dell'Autorità garante, a fronte dell'organizzazione dell'assetto frequenziale prevede, infatti, 12 reti a copertura nazionale assegnate all'emittenza nazionale e 6 reti a copertura nazionale assegnate all'emittenza locale. In tal modo, l'immediato ingresso nel mercato della televisione digitale viene precluso sia agli attuali operatori sia, nonostante la titolarità delle concessioni non abbia potuto avviare l'esercizio della radiodiffusione, ai potenziali nuovi entranti.
L'Autorità garante ci richiama al fatto che, in Italia, con tale legislazione, non vi è più un sistema di tutela giurisdizionale dei diritti; infatti, viene meno uno dei capisaldi della democrazia, lo Stato di diritto. Anche tutto ciò non conta! L'Autorità prosegue affermando che siffatta situazione prolunga le restrizioni concorrenziali della situazione attuale alla delicata transizione verso la nuova tecnologia digitale, condizionando pesantemente lo sviluppo corale di quest'ultima e vanificando il nesso virtuoso, pur sottolineato dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge, che collega all'innovazione tecnologica una maggiore apertura concorrenziale.
Il decreto-legge in esame non accoglie alcuno dei suddetti richiami. Perché non si possono accogliere i suggerimenti e procedere ad una legislazione rispettosa del pluralismo, che consenta l'ingresso di nuovi operatori? Forse perché vi sono in ballo 20 milioni di euro al mese, cioè 240 milioni di euro all'anno per le casse di Mediaset!
Il provvedimento in esame, adottato dal Consiglio dei ministri e firmato dal Presidente del Consiglio, produce un miliardo e 300 milioni di vecchie lire al giorno all'imprenditore-Presidente del Consiglio. Ma non è tutto. Una delle reti Mediaset avrebbe dovuto trasferire le proprie trasmissioni sul satellite e liberare così le frequenze occupate illegalmente a vantaggio del nuovo operatore, Europa 7, che ha vinto la gara.
Dunque, Europa 7 avrebbe potuto iniziare a trasmettere proprio in forza della vittoria di una gara. Per essere ancora più chiari, a beneficio soprattutto di qualcuno che ci ascolta da casa, un'impresa, Europa 7, ha vinto una gara per trasmettere con una propria rete televisiva. È come se un'impresa di trasporti avesse ottenuto l'autorizzazione ad effettuare un collegamento tra Roma e Milano, ma l'esercizio di tale attività le venisse impedito da un'altra impresa, che agisce senza l'autorizzazione e le occupa la strada e le autostrade, impedendole così di lavorare.
Con questo decreto si stabilisce che chi agisce in modo illegale può continuare a farlo e si impedisce di operare a coloro che vogliono agire in modo legale. Che importa a questa maggioranza se Europa 7 ha già acquistato gli strumenti per lavorare e se ha uno studio televisivo tra i più moderni ed efficienti del paese? Che importa se, in questa nuova impresa, potrebbero trovare occupazione oltre 500 lavoratrici e lavoratori? Perciò, non parliamo più di un conflitto di interessi del nuovo don Rodrigo!
Giganteschi e monumentali, come il Colosseo, sono gli interessi di Berlusconi, il
quale incasserà, grazie a questo decreto-legge, un miliardo e 300 milioni di vecchie lire al giorno. Ancora una volta si è perpetrata una bieca prepotenza e si ha la spudoratezza di dare lezioni di decenza a Prodi che, intelligentemente, ha seppellito l'ennesima provocazione con un sorriso e nulla più.
Noi, invece, come fra' Cristoforo, diciamo: verrà un giorno. E, insieme a tanti italiani che in questi giorni ci hanno dato solidarietà, questo giorno lo sentiamo sempre più vicino (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, su questo decreto-legge, su Retequattro e sulle TV, è stata posta la questione di fiducia. Non è la prima volta che questo avviene; rammento un'altra questione di fiducia su un altro provvedimento sulle TV nel luglio 1990. Si trattava della cosiddetta legge Mammì, quella che ha dato avvio e riconoscimento al dominio televisivo dell'azienda Berlusconi. In quell'occasione io mi sono dimesso, da ministro della pubblica istruzione, insieme ad altri colleghi di quel Governo, perché appariva chiaro quale sarebbe stata la conseguenza di quella legge. L'effetto è ciò che oggi in Europa tutti chiamano l'anomalia italiana; vale a dire la condizione in cui un solo soggetto ha un dominio televisivo grazie al quale è divenuto Capo del Governo e, mantenendo tale incarico, mantiene ancora anche il dominio televisivo. Questo è ciò che in Europa è, appunto, chiamata l'anomalia italiana. Anche nel nostro paese, tutti, tranne Forza Italia, più o meno chiaramente, più o meno sommessamente, prendono atto e parlano di quest'anomalia. Lo fanno anche i commenti dei grandi quotidiani che, allora, nel 1990, non capirono appieno l'importanza di fermare quella legge.
Signor Presidente, ci siamo dimessi allora anche per un altro motivo: perché era stata posta la fiducia su un articolo, su una norma che riguardava un particolare ed esclusivo interesse della Fininvest (come si chiamava allora l'azienda Berlusconi), cioè, si legava la sorte del Governo a quell'interesse particolare ed esclusivo dell'azienda Berlusconi. E ciò è inaccettabile!
Signor Presidente, sarebbe bene che il dottor Berlusconi quando parla di cosa si è fatto in passato, anziché ergersi a Minosse che, come ella sa, nella Divina Commedia, nel canto quinto dell'Inferno, giudica e manda, perché esamina le colpe - degli altri, si intende! - piuttosto si rammentasse quanti passaggi politici e quante leggi su misura sono state fatte in questi anni per aiutare e proteggere la sua attività di imprenditore. Anche questa volta, quindi, è stata posta la questione di fiducia e, a quanto annunziato questa mattina, lo sarà anche per la legge Gasparri sulle TV. Quante questioni di fiducia su questo argomento! Conosco la risposta: anche il Governo Prodi ha posto molte questioni di fiducia. È vero, anche il Governo Prodi ha posto più questioni di fiducia ma non l'ha mai posta su un interesse del Presidente del Consiglio.
GIACOMO BAIAMONTE. Non ce n'era bisogno!
SERGIO MATTARELLA. Non l'ha posta mai il Governo Prodi per l'interesse di un'azienda Prodi, che non esiste. Signor Presidente, vorrei dire ai colleghi della maggioranza che questo almeno poteva essere loro risparmiato: la questione di fiducia su Retequattro! Cioè, il far dipendere le sorti del Governo e della maggioranza da questo interesse concreto e personale del Presidente del Consiglio dei ministri.
È una strana cultura delle istituzioni quella che viene imposta ai deputati della maggioranza; ma non sorprende perché, come è stato ricordato, ieri e l'altro ieri, il Presidente del Consiglio Berlusconi ha affermato che se le aliquote fiscali sono alte al 50 per cento, è moralmente legittimo evadere le imposte. Anzi, ha aggiunto che
in questi casi vi è un diritto naturale a non pagare le tasse. Considerato che tali aliquote non sono quelle dei redditi bassi e neppure quelle del ceto medio, che viene tartassato dalla politica di questo Governo, ma sono le aliquote che attengono ai redditi ricchi, molto ricchi, è ai ricconi - ai miliardari - che il Governo attribuisce il diritto morale di non pagare le tasse.
Ma vi è una logica nel fatto che questo Governo autorizzi i ricchi a non pagare le tasse: Berlusconi ha vinto le elezioni promettendo che avrebbe diminuito le imposte, ma queste non scendono, il Governo non le taglia, non le ha tagliate e non le taglierà. E dunque il Governo invita i cittadini - quelli ricchi, si intende - a provvedere da soli, dicendo loro: evitate di pagarle, ricorrete all'evasione. Peccato che si tratti di un reato!
Si tratta di una strana cultura delle istituzioni, la stessa che è alla base del decreto-legge in esame. Come è stato poc'anzi ricordato, tra coloro che ascoltano per radio questo dibattito forse pochi sanno che la frequenza televisiva su cui trasmette Retequattro è di spettanza di un'altra azienda, che aspetta invano di poter trasmettere e non può farlo, perché, di proroga in proroga, la frequenza resta indebitamente utilizzata da Retequattro, malgrado le sentenze della Corte costituzionale e i messaggi del Capo dello Stato. Va dunque chiarito a coloro che ci ascoltano per radio che il passaggio di Retequattro sul satellite non farebbe diminuire il numero di emittenti che trasmettono e offrono programmi agli utenti, ma sostituirebbe a Retequattro un'altra emittente, che non apparterrebbe né alla RAI né a Mediaset. Ciò aumenterebbe la concorrenza e costituirebbe un contributo al miglioramento dei programmi televisivi, a vantaggio degli spettatori. La reale conseguenza del decreto-legge in esame e il suo unico scopo è che Retequattro continui a percepire i suoi altissimi proventi pubblicitari.
Onorevoli colleghi dalla maggioranza, sapete bene tutto ciò. Così come siete stati chiamati a votare la fiducia, siete ora chiamati a votare la conversione di questo decreto-legge per garantire gli incassi e i profitti dell'azienda Berlusconi. So che per molti tra voi non è questa la cultura delle istituzioni alla quale fare riferimento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, sono diffidente nei confronti dell'eccessivo ricorso al concetto di anomalia per descrivere la situazione italiana, ma in questo caso ritengo che il collega Mattarella abbia utilizzato il termine giusto, individuando nella discussione che stiamo conducendo l'evidenza di un'anomalia particolare che caratterizza il nostro paese.
Si tratta di un'anomalia che va analizzata profondamente. Ho provato a farlo, non essendo un esperto in materia di informazione, utilizzando una pubblicazione nella quale numerosi professori universitari, molti dei quali della mia città, Torino, approfondiscono la questione della libertà. Il libro si intitola Quale libertà? ed ha un sottotitolo molto interessante: Dizionario minimo conto i falsi liberali. Uno dei saggi in esso contenuti evidenzia due importanti anomalie. La prima è che il potere dell'informazione televisiva genera, nel caso italiano, un altro potere, quello politico, che dovrebbe trovare nell'informazione, secondo la concezione liberale della democrazia, un contraltare e non una scala per arrampicarsi. La seconda è che in Italia il potere politico e l'informazione sono un'altra dimensione della ricchezza: il Presidente del Consiglio italiano è l'uomo più ricco d'Italia e l'uomo politico più ricco del mondo.
Non intendo utilizzare strumentalmente tali argomenti, ma si tratta di temi ai quali non possiamo sfuggire, perché questo intreccio tra potere politico, potere mediatico e ricchezza è ciò che rende unico il caso italiano e ne costituisce la fondamentale anomalia. Pertanto, l'attenzione
che rivolgiamo a tali questioni e al decreto-legge in esame è assolutamente giustificata, e si accompagna all'attenzione che abbiamo rivolto alla legge Gasparri.
Siamo in una linea forte. Nel luglio 2002, per la prima volta, un Presidente della Repubblica ha fatto del tema dell'informazione l'oggetto di un messaggio alle Camere. Non era mai accaduto. Siamo in una linea forte perché il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge Gasparri, testo approvato dal Parlamento, dalla maggioranza del Parlamento, riferendosi ai contenuti del proprio messaggio, trasmesso tempo prima.
Ha ragione il collega Bianco, che è intervenuto in precedenza: noi non eravamo pregiudizialmente contrari alla proroga dei termini, ma volevamo che fosse evidente che c'era un legame tra il decreto-legge e la decisione di rinviare la legge Gasparri alle Camere. Volevamo che il decreto-legge affrontasse i nodi della legge di riforma di sistema. Da una parte, voi presentate un provvedimento di urgenza sul quale apponete la fiducia e, dall'altra, avete una strategia di modifica della legge di sistema limitata e che non affronta i problemi generali della legge che, come noi abbiano sottolineato, dovevano essere affrontati. Anzi, adesso avanzate l'ipotesi di porre la questione di fiducia anche sulla legge Gasparri.
Questo atteggiamento evidenzia un problema culturale di fondo al quale voglio richiamarvi. Con questo provvedimento, come con tanti altri, voi operate un tradimento del mercato. Operate un tradimento - come ha ricordato il collega Colasio, poco fa - di ciò che avete proclamato come impostazione generale, come strategia generale della vostra politica. È impossibile trovare nel museo degli orrori del capitalismo italiano una legge che, per tutelare gli interessi di un monopolista privato, infranga più regole di sistema di quante ne infranga la legge Gasparri.
Questo atteggiamento culturale, questo problema culturale di fondo è ben evidenziato in una battuta del Presidente del Consiglio il quale, ad un interlocutore che evocava, per l'ennesima volta, il problema del conflitto di interessi e la necessità di risolverlo mediante l'adozione di opportune regole, ha replicato: voi vi riempite la bocca di regole, noi ci riempiamo la bocca e il cuore di libertà. Questa incapacità di capire il nesso tra libertà e regole, questa incapacità di capire le regole che sono coessenziali ad un mercato che funziona e necessarie al fine di garantire la libertà, costituisce, a mio avviso, l'elemento più grave del provvedimento che stiamo discutendo. Non a caso, applicando questa analisi alla legge Gasparri, ciò risulta essere coerente con quanto affermato dall'Autorità di garanzia, la quale ha evidenziato le lesioni al mercato e le carenze di regole presenti nei provvedimenti che stiamo discutendo, di cui le principali sono - lo ricordiamo bene - la ricaduta sul sistema complessivo dell'informazione, l'aggiramento delle regole antitrust nonché il danno ai giornali e alla carta stampata operato sia con l'escamotage del SIC, il sistema integrato delle comunicazioni, sia con l'utilizzo improprio dell'arma della tecnologia.
Come è stato molto ben ricordato in precedenza, l'idea che l'utilizzazione della trasmissione in tecnica digitale risolva il problema del pluralismo e della pluralità degli strumenti costituisce un improprio ricorso all'arma della tecnologia perché, come ben sappiamo, il problema rilevante è quello dei tempi della diffusione di questa tecnica. Sappiamo bene, infatti, che prima che una quantità significativa di cittadini italiani possa utilizzare tale tecnica di trasmissione trascorreranno molti anni, non quelli individuati nella legge per giustificare questa scelta. Queste sono le ragioni di fondo, a mio avviso, per le quali abbiamo voluto marcare con molta forza la nostra opposizione. Abbiamo praticato l'ostruzionismo sul decreto perché il decreto è la faccia della legge Gasparri.
È la faccia di una legge di riforma del sistema che non riforma nulla, ma che introduce elementi di interesse soltanto per chi è proprietario di una grande fetta degli organi di produzione di informazione
televisiva come imprenditore privato ed è contemporaneamente in grado di influenzare la televisione pubblica.
Signor Presidente, concludo con una riflessione su questo punto. Nel momento in cui il problema del rapporto tra le risorse finanziarie e la politica ed il rapporto tra le risorse finanziarie e l'informazione diventa uno dei problemi centrali del dibattito della nostra democrazia, dobbiamo interrogarci di nuovo sul significato del servizio pubblico. Dobbiamo interrogarci di nuovo su come costruire uno strumento che sia davvero capace di rendere effettiva la possibilità di accesso al mondo dell'informazione e che sia capace di rendere effettiva la possibilità per tutti di utilizzare strumenti di discussione e di informazione. Noi stiamo discutendo in questo periodo di uno dei nodi fondamentali del futuro della società che vogliamo costruire. Per chi guarda i telegiornali, per chi guarda la RAI, è facile capire che oggi questo non viene garantito.
La battaglia che abbiamo condotto contro questo decreto-legge è anche una battaglia per richiamare l'importanza di un sistema e di un servizio di informazione pubblica capace di essere veramente al servizio della pluralità di opinioni, al servizio della libertà e capace di essere davvero uno degli elementi del pluralismo del nostro paese, come nostra maggiore ambizione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, il mio intervento cade dopo 48 ore che i rappresentanti dell'opposizione, con determinazione e tenacia, richiamano l'attenzione del Parlamento e del paese su questo decreto-legge che rappresenta una delle molte manifestazioni della situazione di emergenza che conosce l'informazione nel nostro paese.
Si tratta di una situazione di emergenza che intanto è plasticamente rappresentata dalla condizione in cui si trova il Presidente del Consiglio, il quale, come imprenditore privato, del tutto legittimamente, naturalmente, è proprietario del 50 per cento del sistema televisivo italiano; è proprietario della principale società di pubblicità televisiva del paese che controlla il 70 per cento del mercato pubblicitario televisivo; è proprietario della principale casa editrice di questo paese e attraverso la proprietà di questa casa editrice controlla, perché ne è proprietario, il principale magazine di attualità politica del paese.
Non pago di tutto ciò, è anche proprietario di due quotidiani. Infatti, con molta imprecisione si parla de Il Giornale come del quotidiano del fratello del Presidente del Consiglio: informo quest'aula che nel pacchetto azionario il principale azionista è invece la Mondadori, casa editrice di cui è proprietario il Presidente del Consiglio.
La situazione che vede l'onorevole Berlusconi essere in posizione del tutto dominante nel mercato televisivo ed editoriale italiano è integrata dalla collocazione politica dell'onorevole Berlusconi che, in quanto Presidente del Consiglio, diciamo che esercita quantomeno un'influenza, per usare un eufemismo, sul restante 50 per cento del sistema televisivo italiano, sull'altra società di pubblicità che controlla il mercato, che è proprietà della RAI. Insomma, una condizione che non si conosce in nessun paese al mondo. In questo sta il problema.
Vorrei ricordare, all'attenzione del Presidente e dei colleghi che sono qui presenti, la condizione surreale in cui questo paese e perfino questo Parlamento e il dibattito politico-giornalistico si sono trovati quando si è trattato di adottare il decreto-legge di cui stiamo discutendo. Per 48 ore - ed è parso normale che fosse così (e già questo la dice lunga sulla situazione di emergenza in cui siamo) - si è discusso di chi doveva firmare il decreto-legge e ci si è arrabattati a pensare che lo potesse firmare il vicepresidente del Consiglio, il ministro dell'economia e delle finanze o qualcun altro.
Poi, alla fine, si è constatato quello che le norme stabiliscono, vale a dire che il decreto-legge lo poteva firmare soltanto il Presidente del Consiglio. Ma per 48 ore, in questo paese, è apparso normale che si cercasse qualcuno che firmasse un decreto che il Presidente del Consiglio non poteva firmare, perché evidentemente era conclamato il conflitto di interessi che quel decreto rappresentava! È un fatto che è stato sui giornali per 48 ore e noi l'abbiamo trovato tutti normale! Non c'è stato nessuno che abbia detto: ma signori, già solo il fatto che si discuta chi deve firmare il decreto significa che probabilmente c'è un problema grosso come una casa, che andrebbe risolto in un altro modo!
Questa è la situazione in cui ci troviamo, una situazione di emergenza e di anomalia che, ripeto, non è conosciuta in nessun altro paese al mondo.
Solo un altro paese, la Thailandia, ha preso a prestito il modello Berlusconi e in esso c'è un tycoon del sistema televisivo che, anche lì, si è comprato mezzo sistema politico e fa il Presidente del Consiglio; ma non credo sia un grande modello, con tutto il rispetto, naturalmente, per la Thailandia e i suoi cittadini.
Siamo quasi a mille giorni di Governo Berlusconi; ma il Presidente del Consiglio non aveva detto che avrebbe risolto il conflitto di interessi nei primi cento giorni del suo Governo? Noi stiamo discutendo un decreto-legge figlio di una legge che è stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica. E siccome tutti sappiamo che il Presidente della Repubblica è uomo saggio, prudente ed equilibrato, se nonostante la sua saggezza, la sua prudenza e il suo equilibrio ha ritenuto di rinviare alle Camere una legge - che è fatto diciamo non consueto -, vuol dire che il Presidente della Repubblica ha rinvenuto, nella legge da cui è originato questo decreto, una evidente condizione di anomalia insopportabile e non tollerabile, tale da chiedere al Parlamento di riesaminare quella legge.
Non solo, ma nel momento in cui questo decreto-legge viene fatto nel modo che ho richiamato e viene sottoposto al Parlamento, non si mette neanche il Parlamento nella condizione di discuterlo e lo si blinda con la fiducia, così come si blinderà la legge Gasparri, così come il Presidente del Consiglio, ormai scatenato nell'apertura della campagna elettorale, annuncia l'intenzione di abolire la par condicio... Siamo in una situazione che credo dovrebbe allarmare qualsiasi spirito liberale!
Vedo qui che ascolta il mio intervento - e lo ringrazio per l'attenzione - l'onorevole Adornato, il quale da sempre qualifica se stesso come un liberal. Bene, io credo che una situazione di questo genere contraddica qualsiasi regola e qualsiasi principio liberale! Siamo in una condizione di assoluta anomalia e di assoluta emergenza! Se poi andiamo a vedere come viene gestito il sistema televisivo pubblico e quello che è accaduto alla RAI in questi mesi e che dà luogo ogni giorno a manifestazioni di disagio che coinvolgono i lavoratori, i giornalisti, gli operatori dell'informazione di quella azienda... È stata archiviata, come se fosse un fatto individuale e personale, la denuncia della dottoressa Tagliafico. Vorrei sottolineare a questo Parlamento che quella denuncia ha raccolto la solidarietà di oltre il 50 per cento dei redattori del TG1 e forse bisognerebbe riflettere su questo, perché indica uno stato di malessere che va molto al di là del disagio di una pure apprezzata professionista, perché diventa un disagio collettivo!
Non ho bisogno di ricordare a quest'Assemblea che, da quando il centrodestra guida questo paese, alla RAI si è applicata una discriminazione nei confronti di alcuni operatori dell'informazione; il centrosinistra avrà avuto tutte le sue colpe, ma con il centrosinistra Porta a Porta lo conduceva Vespa, come lo conduce adesso; invece, con il centrodestra, Porta a Porta continua a farlo Vespa, ma Biagi è stato cacciato, Santoro è stato cacciato, di Luttazzi non si ha più nozione e una serie di altri professionisti vengono discriminati e messi al bando!
Ho sempre polemizzato contro coloro che hanno usato la parola «regime» e
continuo a pensare che in Italia non ci sia un regime; ma non credo di dire una cosa fuori dal mondo se affermo che invece c'è una vera emergenza democratica per quello che riguarda il tema dell'informazione e del pluralismo. E l'aggressività con cui il Presidente del Consiglio affronta quotidianamente, anche in questi giorni, anche in queste ore, questo tema dovrebbe allarmare tutti, perché è la dimostrazione di un'assenza totale di sensibilità democratica ed istituzionale, corredata dalle volgari affermazioni con cui il Presidente del Consiglio oggi ha ritenuto di apostrofare tutti coloro che fanno politica.
Credo siano affermazioni che dovrebbero suscitare rifiuto e rigetto in chiunque abbia un minimo di sensibilità democratica ed istituzionale, in primo luogo perfino in coloro che siedono nella maggioranza del Presidente del Consiglio. Perché se è vero che quelli che fanno politica sono persone che rubano il pane a tradimento e che non lavorano, forse il Vicepresidente del Consiglio, che da sempre fa politica, ha qualche ragione di chiedersi perché deve stare con il Presidente del Consiglio che lo considera così (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani)!
Naturalmente, per rispetto alle istituzioni, non ho chiamato in causa nel paragone il Presidente della Camera, che anche lui ha la disavventura di fare politica da sempre (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita).
È questa, allora, la condizione nella quale ci troviamo. Il decreto-legge in esame è figlio di questa cultura, è figlio di questa assenza di sensibilità istituzionale, è figlio di questa concezione arrogante e protervia, direi padronale, di un bene prezioso in una democrazia moderna, come l'informazione, che è intollerabile ed inaccettabile.
Per questo motivo abbiamo condotto questa battaglia con vigore: perché riteniamo debba essere richiamata l'attenzione del Parlamento e del paese su una condizione anomala ed intollerabile, che rischia di diventare esiziale nel momento in cui ci si avvicina ad una campagna elettorale nella quale il pluralismo e la pari accessibilità all'informazione rappresentano alcune delle condizioni affinché tale campagna elettorale sia rispettosa delle opinioni di tutti gli elettori e gli elettori ed i cittadini siano posti nelle condizioni di avere tutte le informazioni per potersi pronunciare con piena cognizione di causa. Oggi tutto ciò è a rischio, e ritengo giusto denunciarlo e richiamare l'attenzione di tutti su tale problema.
Sono queste, quindi, le ragioni della nostra battaglia, che continuerà ancora e che vedrà altri colleghi del centrosinistra prendere la parola per ribadire il nostro giudizio e la nostra allarmata valutazione. Mi rammarico che i rappresentanti della maggioranza di centrodestra pensino che si tratti di un rito formale cui non prestare attenzione: il fatto che i banchi dell'aula siano deserti non è un buon segno, perché ritengo che una tema di questo genere interessi la credibilità e il funzionamento della democrazia italiana.
Credo che dovremmo avere tutti a cuore - quale che sia la parte politica cui si appartiene - l'affermazione di quel principio fondamentale che il Presidente della Repubblica Ciampi ha ritenuto di dover scrivere nel suo messaggio alle Camere nel luglio 2002, quando ha ricordato che un'informazione libera e pluralista è il sale della democrazia e rappresenta una condizione fondamentale affinché ogni cittadino si senta di vivere in un paese democratico e libero.
Ho l'impressione che il fatto che numerosi colleghi del centrodestra non siano qui rappresenti una grave sottovalutazione ed una grave assenza di sensibilità politica e istituzionale riguardo ad un tema cruciale, per l'oggi e per il domani, della nostra democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maccanico. Ne ha facoltà.
ANTONIO MACCANICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendo anch'io la parola per preannunciare il mio voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge al nostro esame, e lo faccio con un sentimento misto di irritazione e di sdegno. Si conclude in modo aberrante, infatti, la prima fase della discussione di quella riforma del sistema televisivo che ha rappresentato uno degli impegni dominanti dell'attuale legislatura e che doveva aprire la via ad un vero pluralismo, fondamento irrinunciabile di una democrazia moderna.
Ricordare i passaggi fondamentali di questa vicenda - dalla sentenza della Corte costituzionale n. 446 del 2002 al messaggio del Presidente della Repubblica del 23 luglio 2002, dalla prima, tormentata approvazione della cosiddetta legge Gasparri al messaggio di rinvio della stessa alle Camere per un nuovo esame del Presidente della Repubblica del 15 dicembre 2003, fino al decreto-legge in esame ed alle sue peripezie in Senato prima, e poi qui alla Camera dei deputati, con la richiesta di un voto di fiducia per blindarlo -, significa ripercorrere una sorta di via crucis di crescenti mortificazioni del Parlamento, della maggioranza e dell'opposizione sull'altare del più smaccato, sfacciato e spudorato conflitto di interessi.
Su un punto il messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica era stato di estrema precisione, con rilievi rigorosi ed ineccepibili: l'obbligo di ottemperanza puntuale alla sentenza della Corte che dichiarava improrogabile il termine del 31 dicembre 2003 per la fine del regime transitorio, cioè di quella condizione di violazione della norma della legge n. 249 del 1997 che stabiliva un limite del 20 per cento dei canali irradiabili, condizione che permane da ben sette anni.
Due rilievi aveva mosso il Presidente della Repubblica a questo riguardo: il primo segnala la necessità di ridurre il termine di un anno ed un mese concesso all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni allo scopo di accertare se, al 1o gennaio 2004, si fosse determinato il miracolo della moltiplicazione dei canali per l'avvento della tecnologia digitale; il secondo addita la necessità di indicare una sanzione precisa nel caso che la procedura di accertamento fosse risultata negativa (cioè, una vera norma di chiusura in materia).
La risposta del Governo è stato questo decreto-legge, che, nella versione originaria, presentata alla firma del Capo dello Stato, era solo parzialmente accettabile. Dico parzialmente perché, mentre la riduzione del termine da un anno a quattro mesi era adeguata, il richiamo al comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, come sanzione di una verifica negativa, era, invece, certamente improprio. Sarebbe stato più opportuno il riferimento al comma 7 dell'articolo 3 della medesima legge, che prevede la sanzione appropriata al caso.
Durante l'esame in Senato non solo non è stata sanata questa vera improprietà - la sanzione consiste nella riapertura di un'istruttoria che può durare un altro anno -, ma si sono introdotti altri notevoli peggioramenti. Si è stabilito, con apposito emendamento, che la popolazione coperta dalle nuove reti digitali terrestri non può essere comunque inferiore al 50 per cento. La legge n. 249 del 1997 definiva reti nazionali quelle che raggiungevano l'80 per cento del territorio. Come si fa a sommare le reti analogiche rette da questo criterio con le reti digitali rette dall'altro criterio citato?
Che significa, poi, la parola «coperta», che sostituisce quella «raggiunta»? Che, forse, basta verificare se vi siano ripetitori terrestri del digitale perché la condizione sia soddisfatta? Se, poi, nessuno vede le trasmissioni, questo non conta nulla! L'aggiunta della dizione «anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato» è fatta proprio per rendere più indeterminato e vago il compito dell'Autorità. All'Autorità, che aveva invocato chiarezza, si risponde rendendo il suo compito ancora più ambiguo ed incerto!
Ma tutti i possibili miglioramenti sono stati preclusi dalla questione di fiducia,
che mai come in questo caso è risultata essere un brutale ricatto alla stessa maggioranza parlamentare.
Qual è il risultato di tutto ciò? È molto chiaro. Quel termine che la Corte costituzionale ed il Capo dello Stato avevano dichiarato improrogabile e definitivo è stato sostanzialmente dichiarato suscettibile di essere prorogato ancora per un anno: risorse in più a Mediaset e, soprattutto, posizione dominante nei media che si protrae in un anno elettorale. Questo è il risultato, che non può non suscitare indignazione!
In questo caso, non si dovrebbe parlare di conflitto di interessi, ma, semmai, di piena convergenza dei due interessi - quello dell'imprenditore in posizione dominante e quello del leader politico di Forza Italia e del Governo -, piena convergenza nel fare strame delle norme costituzionali, delle norme di legge e dei principi democratici!
Credo, comunque, che il Governo si illuda se ritiene di aver posto una pietra tombale su quest'ordine di problemi con questa iniziativa legislativa. Credo che ci si illuda anche quando l'impresa del Presidente del Consiglio, in posizione così scandalosamente dominante, continua a fare incetta di frequenze allo scopo di rendere impossibile l'ingresso di nuovi soggetti nell'era della tecnologia digitale a venire.
Esistono la Corte costituzionale, le autorità di garanzia, la magistratura e, soprattutto, una determinazione nostra nel contrastare tenacemente questa deriva. Sono in corso mutamenti ed evoluzioni inarrestabili che faranno saltare ogni protezionismo normativo.
La battaglia non si chiude qui. Si riaprirà sulla legge e noi la combatteremo fino in fondo, perché è un imperativo morale, prima che politico. È una battaglia per la libertà e per la dignità del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, e Misto-Verdi-l'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Reduzzi. Ne ha facoltà.
GIULIANA REDUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, non sfugge ad alcuno il rilievo politico istituzionale del provvedimento in discussione, provvedimento che, pur nella sua contingenza, incide su principi costituzionali di rilevanza fondamentale.
Questo decreto-legge ha lo scopo, infatti, di definire normativamente i parametri che permetteranno all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di accertare se, nel nostro sistema politico, si siano realizzate o meno quelle condizioni che autorizzano a sostenere legittimamente la sussistenza di un sistema pluralistico.
È evidente che stiamo affrontando temi che sono alla base di una moderna democrazia liberale. Procedere alla verifica dell'effettivo avvenuto arricchimento del pluralismo informativo nel nostro paese e sostenere, quindi, l'avvenuta rimodulazione del suo assetto e della sua configurazione significa affrontare nodi ineludibili che attengono al funzionamento della democrazia competitiva nel nostro paese.
Non si sta discutendo banalmente di una norma che definisce criteri distributivi o regolativi tra interessi divergenti. In questo momento, non ci interessa neppure sottolineare il paradosso di una norma che riveste un preciso e reale interesse per il premier. Ci interessa, invece, capire come si stia affrontando il nodo del pluralismo dell'informazione. Ci interessa capire se, con questo provvedimento, si operi per incrementare il grado di competitività tra gli attori del sistema.
È senz'altro significativo che la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia dovuto ricordare che la tutela del pluralismo dell'informazione rappresenta un obiettivo che, non solo nel nostro ordinamento costituzionale, ma anche a livello europeo, trova un preciso riconoscimento e che questo deve essere garantito, in primo luogo, attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
Si tratta di impedire che il controllo delle società del settore massmediatico si concentri in misura tale da mettere in pericolo il pluralismo informativo.
Per questo, gli strumenti adottati da diversi legislatori nazionali in ambito europeo e non solo prevedono misure e vincoli più restrittivi al comportamento delle imprese, proprio in ragione della necessità di garantire il bene del pluralismo, bene riconosciuto meritevole di una sorta di tutela rafforzata, rispetto alla quale le sole regole della concorrenza potrebbero essere ritenute, a ragione, insufficienti.
La concorrenza è un presupposto essenziale dello stesso pluralismo. Il mercato deve essere libero, senza barriere all'ingresso per i nuovi entranti, privo di posizioni dominanti e, pertanto, in grado di assicurare una pluralità di voci.
Un mercato televisivo aperto, plurale nelle voci, rappresenta il prerequisito del pluralismo e di un modello democratico competitivo. Il grado di apertura e il tasso di competitività nel mercato televisivo sono indicatori essenziali nel connotare la qualità della democrazia italiana per avvicinarla a quel modello di democrazia compiuta evocato nel messaggio alle Camere dal Presidente della Repubblica.
Purtroppo, con questo provvedimento, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non è messa nelle condizioni di operare in modo rigoroso e trasparente. L'Autorità, in modo chiaro ed esplicito, aveva invitato a definire i criteri e le modalità con cui procedere all'accertamento di un mutato contesto, a fronte di un effettivo maggior pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre.
Requisito quest'ultimo che costituisce l'unica condizione in grado di giustificare il possibile superamento del termine inderogabile del 31 dicembre 2003. L'invito dell'Autorità non è stato accolto. Si possono nutrire dubbi su tutto, ma non di certo sul pluralismo. Non è chiaro quali siano le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e neppure quali saranno i provvedimenti che la stessa autorità dovrà adottare in caso di accertamento negativo. Vorrei ribadire che non sarebbe stato un problema se, dopo avere inserito al Senato il criterio della valutazione contestuale dei parametri, si fosse fatto tesoro delle richieste dell'Autorità, che voleva la specifica definizione da parte del legislatore di precisi indici di riferimento in ordine al grado di diffusione dei decoder sul mercato, alla misurazione dell'accessibilità del prezzo, alla valutazione dell'effettività dell'offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi sulle reti analogiche.
Non è certo banale la motivazione sottesa a questa richiesta di indici di parametri di indicatori empirici. Il fatto, dice l'Autorità, è che i poteri di accertamento e sanzionatori conferiti dalla legge all'Autorità attengono a materie coperte dalla riserva di legge, di cui agli articoli 21 e 41 della Costituzione, in quanto pongono in gioco profili che investono sia la libertà di espressione del pensiero sia il diritto di iniziativa privata, nei confronti dei quali spetta al legislatore indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalità del soggetto amministrativo investito del potere di intervento e di sanzione. Proprio quello che il decreto-legge non fa.
Dovevate assumervi precise responsabilità e non l'avete potuto fare; al contrario avete sovraccaricato di funzioni improprie l'autorità amministrativa. Di fatto create solo una situazione funzionale ad una tattica dilatoria, ad una tattica elusiva del significato racchiuso nel messaggio del Presidente e dei termini non eludibili riferiti alla fine del periodo transitorio, cui da ultimo si riferisce la Corte costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.
Per queste ragioni siamo contrari a questo provvedimento. Si chiede di dare fiducia a questa maggioranza per salvare una televisione del Presidente del Consiglio, non per operare la riforma del sistema televisivo, non per disegnare il futuro del paese, non per accompagnare l'innovazione tecnologica o, come amate dire, la modernizzazione del paese.
Per queste ragioni voteremo contro un provvedimento che avete voluto blindare a
qualsiasi ipotesi di miglioramento, perché, sapendo di aver torto, avete avuto paura di confrontarvi e avete avuto paura di voi stessi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni ).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volpini. Ne ha facoltà.
DOMENICO VOLPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendo la parola per annunciare il voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge di conversione del decreto legge n. 352 del 2003. Si tratta di un voto contrario che ha tre motivazioni: in primo luogo, per l'evidente incostituzionalità del provvedimento; in secondo luogo, per l'evidente carenza nel merito delle norme proposte; in terzo luogo, per ciò che dal contenuto del decreto si può dedurre sulla linea politica generale del Governo e della sua maggioranza. Il decreto-legge si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento su satellite di una delle reti Mediaset, Retequattro, e l'eliminazione della pubblicità da una delle reti RAI (RAI3). Questa era la prescrizione della Corte costituzionale nel novembre 2002. Il decreto ha quindi il solo obiettivo di evitare la prescrizione della Corte. Risulta, così, totalmente mortificato l'insieme delle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente Ciampi. In altre parole, il decreto-legge non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
Fino a quando la nuova legge di sistema, come è stata chiamata, non verrà approvata dal Parlamento, il decreto-legge, se convertito in legge, costituirà l'unica fonte normativa di legittimazione per Retequattro, in contrasto con le dichiarazioni precise e chiarissime della sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002, che prevedono l'accertamento della reale diffusione del digitale terrestre come unico rimedio all'attuale e conclamata assenza di quel minimo di pluralismo richiesto dal nostro ordinamento.
L'argomento della incostituzionalità basterebbe, da solo, a motivare un voto contrario; ma, oltre all'incostituzionalità, vi è anche il merito. I problemi che il decreto-legge lascia irrisolti sono molti. L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo sui criteri per verificare la diffusione del digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante, quanto, invece, sinonimo di mancanza di regole. È, quindi, l'anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già previsto dall'ordinamento vigente e, soprattutto, che si parli di copertura e non di reale utilizzo del digitale terrestre o, almeno, di decoder venduti.
Prevediamo anche che sarà impossibile per l'Autorità definire quale sia e cosa voglia dire prezzo accessibile dei decoder. Troviamo, altresì, molto grave che sia stata rifiutata la richiesta di chiarire le caratteristiche della qualità e dei generi dei programmi che verranno trasmessi in digitale. Saremo sommersi, probabilmente, da canali digitali che trasmetteranno programmi di televendite o simili, alla faccia dell'arricchimento del pluralismo!
Inoltre, il decreto-legge non prevede termini temporali essenziali a partire dalla data entro la quale l'Autorità sarà chiamata ad adottare i provvedimenti sanzionatori. Rileviamo che, da calcoli approssimativi, questo termine può sfiorare i ventiquattro mesi.
Il presidente dell'Autorità Cheli ha ripetutamente ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto-legge sia sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo
attraverso l'introduzione del digitale terrestre alla data del 31 dicembre scorso.
Ma la maggioranza ha dimostrato di non voler sostanzialmente tener conto delle indicazioni del presidente Cheli né delle sue preoccupazioni. La maggioranza dimostra un evidente disinteresse nei confronti delle indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Antitrust, ma anche nei confronti di quelle del Presidente della Repubblica e delle prescrizioni della Corte costituzionale. I presidenti dell'Antitrust e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni li abbiamo ascoltati in Commissione: hanno parlato chiaramente. Il messaggio del Presidente Ciampi lo abbiamo letto e lo abbiamo tutti apprezzato. Verso la sentenza della Corte costituzionale abbiamo un solo dovere: rispettarne le indicazioni.
Però, questa non è l'idea né del Governo né della maggioranza. Questo decreto-legge ha il solito obiettivo: addomesticare il mercato televisivo nazionale a favore di chi detiene una posizione dominante ed ostacolare, in ogni modo, lo sviluppo di un reale, effettivo pluralismo dell'informazione.
L'obiettivo deve essere raggiunto a tutti i costi, blindando il provvedimento con la questione di fiducia per paura di qualche modifica, cosicché gli interessi del dottor Silvio Berlusconi vengano protetti e garantiti.
Per questi motivi, signor Presidente esprimeremo convintamente un voto contrario sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo di avere preannunciato che il voto finale non avrebbe avuto luogo prima delle ore 20 di oggi. Rilevo altresì che vi sono ancora numerosissimi deputati che hanno chiesto di parlare (più di sessanta) per dichiarazione di voto finale.
Pertanto, al fine di assicurare una razionale organizzazione dei nostri lavori, annuncio sin d'ora che il voto finale sul provvedimento al nostro esame avrà luogo domani non prima delle ore 10. La seduta proseguirà, poi, secondo l'ordine del giorno, con la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
Domani la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata per le ore 12; in quella sede si stabilirà l'organizzazione dei nostri lavori per la prossima settimana.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frigato.
Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo, come molti colleghi, per la terza volta su questo provvedimento.
GABRIELE FRIGATO. Vorremmo realmente che potesse servire a qualcosa, se non per questo specifico provvedimento, quanto meno per poter iniziare a ragionare rispetto ai temi che nell'articolo 21 della nostra Costituzione sono chiaramente indicati.
Nel primo intervento ho speso il mio tempo per ragionare intorno al merito del provvedimento; nel secondo mi sono permesso di sottolineare lo stretto rapporto che, a mio parere, esiste tra questo decreto-legge in corso di conversione e la mancata approvazione della proposta di legge sul conflitto di interessi, sostenendo, e lo ribadisco, che se quella proposta di legge che noi consideriamo insufficiente e timida, oggi «ferma» al Senato, fosse stata approvata, sicuramente il Governo non sarebbe stato nelle condizioni di proporre questo decreto-legge e di porre la questione di fiducia sul medesimo provvedimento.
In questo terzo intervento mi permetto di esprimere una qualche riflessione di ordine più generale sulla politica del Governo, che ormai mi sembra segnato sostanzialmente dal tema della giustizia (per qualcuno) e da quello delle televisioni, che
riguarda qualcun altro, nonchè dal tema del conflitto di interessi che invece non viene affrontato.
Signor Presidente, qualche ora fa, intervistato ad Atene, il nostro Presidente del Consiglio ha rivolto parole, a mio modo di vedere pesantissime e pericolose, nei confronti di questo Parlamento e nei confronti del nostro paese.
Leggo testualmente: «Nell'opposizione ci sono signori che hanno un tenore di vita incompatibile con il loro reddito. Signori che si sono comprati la barca o la villa al mare, con soldi rubati. Queste persone» - continua la dichiarazione del Presidente del Consiglio Berlusconi - «che non hanno mai messo piede in un'azienda e nel mondo del lavoro sono persone che hanno soltanto chiacchierato nella loro vita, che non hanno combinato niente altro che prendere i soldi ai cittadini. E poi ci sono anche tanti signori che sento che hanno la casa al mare, in città, la casa ai monti, la barca.
Guardando a quel che guadagnano questi signori ogni mese e a quello che a volte devono anche dare ai loro partiti, mi chiedo: ma come hanno fatto a farsi tutte queste proprietà? Sono soldi rubati, sono soldi rubati».
Che cosa sottende questa dichiarazione? Chi fa politica è sostanzialmente un parassita, non servono i partiti, né il Parlamento, né gli organi di controllo. È sufficiente un nuovo sovrano, basta Berlusconi! Vorrei dire che per noi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo basta e avanza! Questo è il populismo più becero e più bieco.
Ma quali sospetti insinua una dichiarazione del genere? Se Berlusconi parla di soldi rubati significa che lui pensa ed ha chiaro anche chi siano i ladri, che sarebbero soltanto, a suo dire, nel recinto dell'opposizione.
Sarebbe, per la verità, un riconoscimento di qualità politica, visto che Berlusconi, a suo modo, parte dai politici veri per rintracciare chi ruba.
Dove mira tale dichiarazione? Credo sia un messaggio devastante e pericoloso, tutto rivolto alla sua maggioranza. Forse, quando Berlusconi parla di barche e di case possedute non pensa solo ai politici di professione del centrosinistra, come possiamo essere io o il collega Ruzzante (faccio questo nome perché l'amicizia me lo consente). Forse - io ne sono convinto - ha qualcosa da dire a Giovanardi, a Follini, a Fini, a Fiori, a Cicchitto, a Bondi, a Vito, a Tremaglia, a Pisanu? Non vorrei - e mi dispiace che il Presidente Casini non stia presiedendo in questo momento - che, conoscendo l'interesse che il Presidente Casini ha per le barche, il cavalier Berlusconi intendesse colpire anche il Presidente della Camera (Applausi del deputato Santino Adamo Loddo)!
A me pare, colleghi, che dobbiamo stare veramente attenti e cogliere l'impostazione di tali dichiarazioni. Queste non sono solitarie, perché vi è un filo conduttore in tale atteggiamento. Mi riferisco alla cultura del disprezzo dell'altro, una cultura arrogante e padronale.
Il secondo elemento che ritengo di dover sottolineare con preoccupazione è che nel leggere tali dichiarazioni sembra che la categoria dell'imprenditore sia la sola che può garantire presenza e qualità in Parlamento. Grazie a Dio, la storia di questo paese è diversa e migliore! L'impresa, o meglio, vorrei dire anche a Berlusconi, il valore dell'impresa, è certamente grande nel nostro paese, nel mondo occidentale e, ormai, anche in altri paesi ed in altri mondi. Tuttavia, sappiamo che non è il solo valore ad essere più importante. Questo Parlamento, nella rappresentanza che esprime, ne è chiara testimonianza. Qui, insieme, portiamo esperienze diverse: c'è chi conosce il mondo dell'impresa e chi quello del lavoro; chi porta le istanze del lavoro pubblico e chi di quello privato; chi dell'impresa grande e chi dell'impresa piccola; chi dei grandi centri urbani e chi dei piccoli comuni. Signor Presidente, dire che rispetto a tali dichiarazioni vi è bisogno di un impegno serio per difendere il ruolo, la sensibilità e la dignità del Parlamento è dire il minimo indispensabile.
Anche se so bene che nelle nostre campagne si dice che per pregare si va in
chiesa, mi permetto di formulare una preghiera a quei colleghi che, in occasione di votazioni segrete, hanno dimostrato il loro disagio rispetto ad una politica che riguarda sempre più gli interessi di pochi e non ha a cuore il bene comune degli italiani ed il futuro del paese. Colleghi, trasformate il vostro disagio in coraggio. Pensate agli interessi del paese. Chi ha conosciuto la Democrazia cristiana - ed io ho l'onore di averne fatto parte con qualche responsabilità nei miei anni giovanili - sa che vi sono state anche carenze ed errori.
Tuttavia, il senso dello Stato e il rispetto delle istituzioni sono sempre state una costante nella lunga esperienza democristiana (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo). È stata una costante, che ha costruito questo paese e che ha dato lustro alle istituzioni, a tutte le istituzioni, nelle quali insieme, la maggioranza e l'opposizione erano (e sono) chiamate a confrontarsi. Tanto è vero che - lo ha già ricordato, con diretta testimonianza, il collega Sergio Mattarella - nel 1990 cinque ministri della democrazia cristiana si dimisero per segnare la differenza e la distanza dalla legge Mammì, che segnò il primo grave atto di confusione e di commistione tra politica, informazione e affari. Mi sembra di ricordare, anche se sono passati 14 anni (ed io ero probabilmente un po' più giovane), che uno dei soggetti, che trattava in quel tavolo, fuori di questo Parlamento, ma condizionando il Parlamento, era ancora una volta il cavalier Berlusconi.
PRESIDENTE. Onorevole Frigato, la invito a concludere.
GABRIELE FRIGATO. Concludo Presidente, con una preghiera rivolta ai colleghi dell'UDC, di Alleanza nazionale e di Forza Italia: svegliatevi, prima che sia troppo tardi! Svegliatevi, per il bene del nostro paese, per una società libera e democratica, che l'articolo 21 della nostra Costituzione prevede, ma che tutti, in particolare noi parlamentari, siamo chiamati a garantire. Questa è la mia preghiera, colleghi: svegliatevi, prima che sia troppo tardi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)! Elezioni!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanni Bianchi. Ne ha facoltà.
GIOVANNI BIANCHI. Chissà, se a questo punto, in quest'aula, repetita iuvant: nell'incertezza, ci si prova.
Brutta toppa, e sbagliata, quella del decreto in esame, tra frequenze analogiche e frequenze digitali, in un naufragio voluto e programmatico. È istruttivo confrontare la condizione della democrazia con questa ultima forzatura, per il vantaggio degli interessi del premier. Vi è un'accelerazione enorme del rapporto tra media e democrazia, dove l'informazione si presenta come elemento e stoffa irrinunciabile per il tessuto della democrazia medesima. In proposito, la sociologia francese ha scritto: l'immagine mangia il territorio. È vero, anche se non dobbiamo arrenderci alla sparizione e all'azzeramento del territorio. In questa circostanza, cala come un ariete il conflitto di interessi dell'inquilino di Palazzo Chigi. Da qui la nostra opposizione, che si aggiunge a quella della società civile e se ne fa interprete. Da qui l'opposizione, sorda ma tenace, di un settore della maggioranza, che esprime un disaccordo, che si è manifestato all'ombra del voto segreto (ma solo a quello, purtroppo, si è limitato).
Ricordavo ieri una previsione - che purtroppo si è rivelata errata - del collega Mussi, che ora è Presidente di turno. Richiamando l'abitudine proba dei sindaci di uscire dalla sala dove si riunisce la Giunta, quando è in discussione un provvedimento che ne lambisce gli interessi, Mussi prevedeva (egli si ricorderà) che a Palazzo Chigi, per il premier, sarebbe stato necessario installare la porta girevole di un Grand Hotel. Ma non vanno così le cose: non gira la porta girevole; si evita tranquillamente la ginnastica e il disturbo! Ci pensa il Parlamento a togliere le castagne dal fuoco.
Già ieri, continuando la sua inutile educazione sentimentale nei confronti del premier, il collega Gerardo Bianco ha mostrato quanta distanza separi Arcore da Boboli e, si badi, che fu lo stesso Don Giuseppe Dossetti ad individuare voglia di principato, già allora, in Berlusconi. Ma Lorenzo il Magnifico - lo dico con rammarico, come uno che abita in quelle contrade - non risiede nei paraggi del Parco di Monza. Certe storie non tenterebbero il segretario fiorentino. Ci vorrebbe il Gadda de La cognizione del dolore, ma bastano Piero Chiara e anche Gianni Brera.
Vorrei fare due osservazioni sul contesto, signor Presidente. La prima osservazione riguarda una costante, sempre più evidente e dolorosa: un conto è l'Agenda del Governo, altra cosa è l'Agenda del paese (totalmente altra). Da qui l'incapacità di dar forma ad un blocco sociale, con una reazione curiosa, sulla quale mi soffermerò tra un attimo.
La seconda osservazione è la seguente: con la nostra battaglia parlamentare non ci si propone di vincere o, almeno, si sa di non riuscire a farcela, neppure a bloccare la conversione del decreto-legge, ma vogliamo richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica nei confronti di un premier che sfiducia la sua maggioranza, nel momento in cui chiede il voto di fiducia.
Che cos'è allora questo ostruzionismo? Una battaglia di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed un ultimo appello alla stessa maggioranza, sperando che inquietudine e subordinazione non facciano coppia fissa.
Perché? Perché il paese, spaesato, ha bisogno di indicazioni. Verrebbe voglia di dire che questo provvedimento si inserisce a suo modo nella logica del condono. Non è solo così! Vi è anche una sfiducia smisurata nelle virtù taumaturgiche del decoder, ma è questa la vera pietra di inciampo, un macigno che sta di fronte a questo provvedimento. Vi è la constatazione prima ancora che la convinzione che il pluralismo non possa essere virtuale.
L'enfasi sul digitale può legittimarsi per passione nei confronti della tecnologia, ma dimostra una distanza incolmabile, quella che la filosofia classica e poi la scolastica stabiliscono tra la potenza e l'atto.
Si possono illustrare le potenzialità tecnologiche o di mercato del decoder, ma il problema consiste nel fatto che il cavallo non beve, il mercato non tira, i decoder non invadono le nostre case. La base materiale del pluralismo viene così meno. Non è un inciampo da poco.
Il decreto-legge passa con il voto di fiducia, ma non decolla, perché manca la piattaforma materiale. Tutto il resto segue.
Eccoci qua, rari nantes in gurgite vasto - il poeta è già stato citato questa mattina dal collega Rossiello - è, in fondo, decadenza. I vostri elettori vi stanno abbandonando; prima la Confindustria degli abitanti di Quarto Oggiaro. Nelle scuole e nelle università avete messo d'accordo rettori, presidi e studenti, così come negli ospedali, primari e pazienti fanno fronte comune, attanagliati da un disagio palpabile e comune.
È sempre più facile morire in un'ambulanza, alla ricerca di un letto in corsia che non c'è, che, spesso, non c'è più e che prima c'era.
La Confindustria, quella di D'Amato, che rappresentò una parte consistente del vostro patto e del vostro successo del 2001, vi accusa di non avere un piano industriale, circostanza che anche gli abitanti di Quarto Oggiaro hanno, ormai, colto e capito.
Rogatorie, falso in bilancio, Schifani, Gasparri, tassa sulle successioni! Non è la nostra funebre litania, ma la vostra Redipuglia, un male non oscuro che vi attanaglia fin dai primi cento giorni.
La congiuntura internazionale non può da sola essere chiamata sul banco degli imputati. Declino? Di più! Interi comparti sono chiusi e spariti, dalla chimica, assegnataci in ruolo primario dalla divisione del lavoro internazionale, alla siderurgia, all'alimentare, di talché Parma funziona nell'immaginario come Macondo, provincia reale di un disastro sudamericano annunciato.
Non c'è genio in questa follia, ma una mentalità da non sottovalutare, perché, lo
dico ai colleghi dell'opposizione, piaccia o dispiaccia - a me dispiace assai - è diffusa nel paese e fa sì che Berlusconi sia parte non piccola dell'autobiografia degli italiani.
Se fossi un moralista ingenuo userei la dicotomia che McGovern utilizzò nei confronti di Nixon e della sua parte. McGovern contrappose allora l'America migliore all'America peggiore. Non gli portò fortuna elettorale e dovette accontentarsi di avere ragione successivamente, di vedere le sue idee trionfare in seguito nel grande paese, perché, se anche la storia può sbagliare, figuriamoci il sistema elettorale.
Il primato indiscusso accordato dal premier agli affari personali di famiglia non è solo frutto di spiriti animali e di furbizia. Le sue azioni salgono nel cielo della Borsa, dopo i voti della sua maggioranza in Parlamento (più del 3 per cento), con danno evidente non solo per i concorrenti. Sono in gioco milioni di euro (240 milioni di euro l'anno, 8 euro al secondo, come ha sapidamente calcolato il collega Duca).
Protervia democratica di un tycoon? Non solo; ribadisco che ha ragione il direttore del Il Foglio, Giuliano Ferrara, quando parla di concezione patrimoniale dello Stato, di senso proprietario della cosa pubblica. Successe già nel Bel Paese con la banda che si raccoglieva intorno a Francesco Crispi ed il precedente non porta bene.
Qui siamo oltre la mitologia antiberlusconiana, perfino oltre la leggenda metropolitana che fa dire ad un ceto antico, presente nella città eterna, che Berlusconi dice la verità quando è a corto di bugie. No, c'è dell'altro e c'è di più: c'è un pezzo consistente dell'autobiografia di questo paese che il premier riscopre ed elettoralmente solletica e sollecita. Le battute ateniesi sui soldi rubati non sono un siparietto, fanno parte del programma elettorale. Ovviamente, quella parte del paese non vive una sindrome patrimoniale della cosa pubblica, ma si sente esistenzialmente e storicamente estranea rispetto allo Stato.
Estraneità è più che opposizione, contiene un pericolo maggiore e un contagio diffuso. Con questa estraneità la concezione patrimoniale dello Stato si combina, questa estraneità sfrutta, di essa si giova. Il mondo cattolico dal quale provengo e al quale mi sento appartenere ne è tutt'altro che immune, soprattutto nel lombardo-veneto. Questo fu l'atteggiamento tradizionale della cosiddetta Intransigenza; il suo giornale, Il Cittadino, diretto dai fratelli Scotton, alla morte di Vittorio Emanuele II, primo Re d'Italia, arriverà a scrivere: «Il Re è morto, il Papa sta bene», neanche Libero di Feltri titolerebbe così.
Ma, non a caso, gli atti della Costituente ci consegnano il giovane Aldo Moro, il quale insisteva sul fatto che non si concedono libertà civili e di mercato, se non garantite nella cornice dello Stato di diritto. Ciò nello sforzo di far superare una storica diffidenza, che individuava gli agenti simbolici dello Stato nel carabiniere e nell'esattore.
Berlusconi, che non si capisce in base a quale prodigio etilico arrivi a considerarsi l'erede di Alcide De Gasperi, si muove decisamente controcorrente, anche perché vien facile alla sua cultura leggere nel cittadino - sempre più ex cittadino, anche perché sempre più spogliato di servizi essenziali - piuttosto un consumatore. Un consumatore al quale vendere mediaticamente la propria immagine all'ONU, rafforzata dagli applausi in scatola registrati durante l'intervento di Kofi Annan come in una fiction, come ci informa oggi - non certo in tempo reale - Giovanni Sartori sul Corriere della Sera.
Cosa può importare il pluralismo dell'informazione, raccomandato dal Capo dello Stato, quando a fondamento della Repubblica viene posto l'interesse di uno, la bottega? Diciamolo con Verga: La roba, sia pure mediaticamente agghindata, passione che neanche la morte arriva a contenere, trasformandola piuttosto in tragedia del grottesco.
L'aver colto tale congiuntura ci ha spinto a questa battaglia parlamentare con l'accanimento terapeutico notturno. Ovviamente, non finisce qui, non soltanto con
un voto decisamente contrario. Ho detto che il paese non è univoco, ma a tutto attento, questo sì! Perché l'indigenza e il sondaggio ineludibile del borsellino non possono certamente funzionare da sedativo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zunino. Ne ha facoltà.
MASSIMO ZUNINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come gli altri parlamentari di centrosinistra che mi hanno preceduto, esprimerò un voto contrario su questo provvedimento, manifestando innanzitutto un sentimento di ribellione, di libertà.
Sono parole forti, che tuttavia manifestano uno stato d'animo reale nei confronti di un Governo e di una maggioranza arroganti, che hanno ancora una volta rifiutato ogni discussione di merito, ponendo la fiducia sul decreto-legge «salva Retequattro», cioè sul caso più evidente di conflitto di interessi del Presidente del Consiglio.
È infatti - o, meglio, dovrebbe essere - inconcepibile, per una persona normale in un paese normale, che il Presidente del Consiglio faccia approvare un decreto-legge che salva una sua azienda e, non essendo sicuro neanche dei voti della sua maggioranza, ponga su questo la questione di fiducia.
Non c'è prudenza - quella che avrebbe dovuto guidare la maggioranza in questa occasione -, non c'è sensibilità istituzionale, ma ciò non ci meraviglia, visti altri provvedimenti come questo - sempre relativi a interessi del Presidente del Consiglio - che la maggioranza ha approvato, non c'è neppure un po' di vergogna.
E la maggioranza non si nasconda dietro presunte questioni tecniche, in quanto in questo voto di fiducia di tecnico non c'è proprio nulla. E a nulla valgono i riferimenti con i passati Governi. Noi non facciamo finta di non capire e non contestiamo la legittimità della questione di fiducia; contestiamo il fatto che il voto di fiducia sia posto su questo specifico decreto-legge. Non c'era da parte dell'opposizione, come hanno già ricordato altri colleghi, un atteggiamento ostruzionistico; c'era la possibilità, dopo il messaggio del Presidente della Repubblica di rinvio al Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e in relazione anche alla scadenza del termine indicato nella sentenza della Corte costituzionale per porre fine alla situazione d'indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive (31 dicembre 2003), di riaprire, se solo la maggioranza lo avesse voluto, un dibattito ampio, di ripartire da zero, di affrontare i problemi reali del sistema televisivo e pubblicitario nel nostro paese. È quello che questo Governo e questa maggioranza non hanno voluto fare.
Voterò contro, convinto di aver partecipato in questi giorni ad una battaglia faticosa e unitaria di tutto il centrosinistra per difendere il pluralismo e la libertà di informazione; convinto che questa sia una grande questione e un fatto fondamentale per la democrazia nel nostro paese. Non credo di aver perso del tempo; un quotidiano questa mattina definiva i deputati dell'opposizione dei perditempo: io non credo di aver perso del tempo. Credo che ciò che abbiamo fatto sia servito per spiegare in maniera completa la nostra contrarietà a questo provvedimento e per far capire a chi sta fuori da quest'aula e a chi ci sta ascoltando la gravità dell'atto che qui si sta per compiere. Certamente continueremo a spiegare queste ragioni dopo il voto al di fuori di quest'aula.
Voterò contro perché penso, come la maggioranza degli italiani, che il Presidente del Consiglio non mantenga gli impegni e non faccia altro che rinnovare le promesse. Lo ha fatto in questo caso sul conflitto di interessi; i giorni sono passati, da cento sono diventati mille, ma della legge si sono perse le tracce e non se ne parla proprio più. Era questo il tema più delicato, l'impegno più grande che il Presidente del Consiglio dei ministri si era assunto di fronte agli italiani; ma l'impegno non l'ha mantenuto. E non l'ha mantenuto
- ora appare del tutto evidente - perché qualunque legge sul conflitto di interessi avrebbe, se fosse stata varata, reso impossibile l'approvazione di un decreto-legge come quello di cui stiamo discutendo.
Voterò contro perché abbiamo, ogni giorno, se ve ne fosse ancora l'esigenza ed il bisogno, ulteriori conferme che abbiamo ragione noi. Nel suo intervento del 17 febbraio, l'onorevole Giulietti poneva in evidenza alcune questioni relative al rapporto tra il decreto-legge e il mercato della pubblicità. Cito testualmente: le delicatissime questioni delle telepromozioni, dei mini-spot e della pubblicità istituzionale, che sono materie urgenti per riaprire un mercato, non le avete inserite in questo decreto-legge e le avete escluse dalla legge Gasparri. Perché avete respinto le richieste degli imprenditori, degli editori, del presidente della FIEG, Montezemolo, e di numerose imprese italiane? Si sarebbe potuta approvare una legge sull'editoria nuova e moderna; essa, invece, giace nei cassetti del Parlamento da un anno. Perché si è corso solo per un'impresa?
Dalle agenzie di stampa di questa mattina - spero che i rappresentanti della maggioranza le abbiano lette - cito quanto affermato nelle audizioni svoltesi al Senato, presso la Commissione lavori pubblici e comunicazioni, dal presidente della FIEG, Luca Cordero di Montezemolo: «In Italia non c'è un calo del numero dei lettori dei giornali, con 20 milioni di quotidiani ogni giorno e 30 milioni di lettori di periodici ogni settimana. Il nodo è la crisi della pubblicità. Per la prima volta il rapporto tra pubblicità e vendite, tradizionalmente al 50 per cento, sta variando a sfavore con una contrazione degli introiti pubblicitari». E ancora: «Il nodo è dei grandi problemi di una carta stampata che, per essere libera e competitiva, deve mettere gli imprenditori in condizione di avere bilanci buoni perché altrimenti inciderebbero non solo sulla competitività, ma anche sulla libertà e sull'autonomia di questo settore». Sempre citando Montezemolo: «Il fortissimo e ormai pluriennale decremento della pubblicità, nel triennio tra il 2000 e il 2002, l'incidenza dei ricavi pubblicitari sul totale dei ricavi editoriali dei quotidiani è passata, infatti, dal 58 al 51,5 per cento e nel 2003 è prevedibile che scenda, per la prima volta, sotto 50 per cento».
E ancora: «Il trend della raccolta pubblicitaria per il mondo dell'editoria dal 2000 ad oggi è preoccupante e soffocante. C'è un'obiettiva crisi pubblicitaria: il primo anno si reagisce, il secondo anno si reagisce, ma il trend dal 2000 ad oggi è preoccupante e soffocante, e non vedo segnali che possano modificare questo andamento».
Luca Cordero di Montezemolo conclude così: «In un paese moderno ci deve essere coesistenza tra carta stampata e televisione in materia di pubblicità». Non mi sembrano parole dette da un pericoloso comunista. Sottolineo che in esse si dice: «in un paese moderno». Di cosa stiamo parlando? Neppure questo grido d'allarme preoccupa il Presidente del Consiglio e la maggioranza. Cosa sta diventando questo paese, anche a giudizio di persone che certamente non possono essere tacciate di connivenza con i comunisti?
Esprimerò un voto contrario perché sono ormai disgustato e scandalizzato - scegliete l'aggettivo che preferite - nel vedere questa Assemblea discutere ed approvare provvedimenti che riguardano gli interessi privati del Presidente del Consiglio. Come ho già evidenziato negli interventi precedenti, è sconcertante l'anomalia di questo dibattito in relazione a ciò che accade fuori da quest'aula, in quello che viene definito, a volte anche a sproposito, il paese reale, che tuttavia esiste ed è vivo, e a ciò che i cittadini pensano.
Le cronache quotidiane fotografano una realtà in profonda crisi e ci parlano dei problemi delle famiglie italiane: difficoltà a mantenere il posto di lavoro, aumento dei prezzi delle tariffe, aumento della povertà. Centinaia di aziende sono a rischio. Alcune aziende importanti sono in crisi, come è già stato ricordato: le acciaierie di Terni, l'Ilva di Cornigliano a Genova, la Ferrania di Cairo Montenotte in provincia di Savona, con conseguenti
difficoltà per migliaia di dipendenti, che non conoscono il loro futuro occupazionale. Di tutto ciò non si riesce a parlare, sono problemi che non riguardano questa maggioranza e questo Governo.
Esprimerò un voto contrario perché di questo paese, che guarda alla vita quotidiana e al proprio futuro con grande incertezza, inquietudine e insicurezza, in questa Assemblea non si parla. Ritengo pertanto, a maggior ragione, che la battaglia che abbiamo condotto sia giusta, e la continueremo nel paese, in quanto ritengo che le nostre ragioni siano le ragioni della maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, nel motivare le ragioni del mio voto contrario porrò ai colleghi, al Governo e ai cittadini che ci ascoltano, quattro questioni.
Perché il pluralismo culturale e politico dei mezzi di comunicazione di massa, e in particolare delle reti televisive, è più importante oggi rispetto a ieri? Un monopolio mediatico costituisce una forma di regime? Che differenza c'è tra la censura di ieri, politica e culturale, e quella di oggi? Cosa significa, in questo contesto, l'espressione «arroganza del potere» che tutti abbiamo evocato?
Quanto alla prima questione, il pluralismo culturale, prima che politico, dei mezzi comunicazione di massa, e in particolare delle reti televisive, è più importante oggi rispetto a ieri perché in una società così altamente differenziata non disponiamo di certezze ideologiche e di verità preconfezionate per affrontare il futuro. Di fronte all'incertezza delle opzioni e delle prospettive, abbiamo bisogno del maggior numero di punti di vista e di scenari possibili, per ridefinire collettivamente l'orizzonte delle visioni, dei valori, delle pratiche tolleranti, dell'incontro fra diverse culture. Si tratta, credo, di un'impostazione tipicamente liberale, non certo acriticamente liberista.
In una società nella quale la sintesi politica si fa più difficile e spesso diventa occasionale, non abbiamo meno bisogno di regole di condotta, di significati condivisi, di orizzonti di senso. Semmai, al contrario, ne abbiamo maggiore necessità. Ma non possiamo costruire sintesi politiche ponendo un silenziatore alle voci delle culture, dei gruppi, delle associazioni, delle esperienze di vita quotidiana diverse dalla nostra.
Le garanzie di libertà devono accompagnare l'esperienza delle persone, delle associazioni, dei gruppi e dei partiti e devono costruire piattaforme di incontro e proporre percorsi di riconoscimento. Abbiamo evocato una televisione più rispettosa della relazione educativa tra bambini e famiglia a garanzia delle relazioni e delle responsabilità genitoriali, non del potere sui figli. Per questo, non invochiamo la televisione di un pater familias che, mentre si arricchisce personalmente, ci incita - quale esempio! - a non pagare le tasse; mentre «spara» stereotipi da tutte le sue televisioni (saremmo in un paese in cui tutti gli oppositori sono mangiabambini), pretende di parlare solo lui, per tutti ed a nome di tutti.
Sapete cos'è il pluralismo culturale dei media in una società della incertezza normativa, della globalizzazione e della comunicazione? Esso può costituire una piattaforma di dialogo in cui si ricompongono gli aspetti laceranti dei conflitti di identità mentre si costruisce una nuova mixtura in cui ciascuno, donna o uomo, italiano o straniero, etero o omosessuale, credente o non credente, può riconoscersi nell'esperienza umana dell'altro e mentre ciò che è offerto a tutti è comprare gli stessi prodotti comunicativi, passivizzarsi in tutti i programmi trasformati, dalla pubblicità, in pubblicità. Non voglio offendere affatto il lavoro dei pubblicitari, ma con questo monoculturalismo si rischia di scambiare ogni messaggio per prodotto e di considerare tutto ciò che non si può comparare con il denaro come un non valore. Dunque, anche la creatività dei
pubblicitari, di coloro che producono la televisione, si trasforma in pura merce, valida in quanto denaro equivalente.
Questa è la risposta alla prima domanda e ciò mi consente di passare alla seconda. Ebbene sì, un monopolio mediatico costituisce una forma di regime, non voglio dire regime politico bensì regime mediatico, scritto alla tedesca come fosse una parola sola. Regime mediatico significa linguaggio omologato, pervadente ogni dimensione culturale, significa dominio di un discorso sulle differenze naturali delle lingue. Se a questo aggiungiamo che è unico il soggetto che intende lucrare doppiamente su tale operazione, sul piano politico ed economico, dobbiamo davvero preoccuparci. Se non fosse per le capacità di resistenza dei cittadini, consapevoli che cambieranno canale votando « no », tra poco, come noi faremo oggi, se non fosse per i giovani che sanno parlarsi via SMS, con e-mail, con fans line, con la musica anti-Sanremo e in mille altri modi, davvero il Grande fratello sarebbe capace di passare dai nostri occhi e dalla nostre menti. Ci sono le condizioni perché ciò avvenga anche che se un regime mediatico (inteso come un'unica parola) non è un regime ma ne mostra tutte le tentazioni alla società, seminando cinismo e rendendo, perciò, meno aperta e comunicativa tutta la sfera pubblica per noi tutti.
La terza domanda riguarda la censura di oggi e quella di ieri. La censura di ieri era direttamente violenta, in senso simbolico, ma si riferiva ad un mondo tradizionale, l'Italia delle masse contadine, e manteneva una sua congruenza tra il mezzo e i messaggi. Inoltre, le agenzie di socializzazione o di contro socializzazione disponevano di una loro coerenza affettivo-normativa o politico-normativa, tale, di per sé, da costituire aree forti di pluralismo culturale che, del resto, attraversavano nel conflitto modernità-tradizione le diverse ideologie, i ceti, i generi ed i contesti di vita. Insomma, dietro il conflitto per l'egemonia culturale, ieri, si nascondeva molto più pluralismo o si costruivano molti più geni di pluralismo di quanto non avvenga oggi. Oggi, censurare significa eliminare direttamente dalla sfera pubblica molto più di quel che non accadesse ieri. È per questo che i Biagi e i Santoro rappresentano un po' tutti noi. Infine, in questo contesto, la normale quota di arroganza del potere prende tutt'altra estensione e significato.
La videocrazia è l'arroganza del linguaggio unico, ma la videocrazia che si fa impresa monocratica aggiunge all'egemonia del discorso la forza del denaro, che si sa ma non si vede, che ha effetti di potere senza manifestarsi come potere. Strizza l'occhio a tutti, mentre fa solo i propri interessi; è arrogante perché produce distanza tra i cittadini e il senso del bene pubblico, come ha detto meglio di me Giovanni Bianchi e come hanno detto molti altri. Vorrebbe spingere tutti inconsapevolmente a imitarlo, mentre dà a tutti noi, con il suo indecente guadagno, una solenne fregatura.
Noi, votando contro, ci ribelliamo a questo e invitiamo gli italiani a ribellarsi. Facciamo appello, in particolare, a quelli che in buona fede l'hanno votato sperando in una politica che giustamente fosse in grado di combinare più libertà privata con più bene pubblico. Questa legge è la negazione di tutto ciò e per questo la rifiutiamo.
Per finire, vorrei ritornare, riprendendo il mio primo intervento di questa maratona, a Cervantes. «Io non stampo i miei libri allo scopo di ottenere fama nel mondo: voglio un utile senza il quale il buon nome non vale un quattrino». Berlusconi aggiungerebbe: comprate il mio libro, titolo «digitale terrestre» e guardateci dentro. Dentro ci sono io, la mia foto che sorride, la stessa, pagina dopo pagina.
Questo ci regala. Un vuoto mediatico, un sorriso e mentre una mano è messa sui nostri occhi, l'altra è nelle nostre tasche (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lucidi. Ne ha facoltà.
MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, mi ha molto colpito in questi giorni vedere
come, senza improvvisazione ma anzi con preparazione e con argomenti, i miei colleghi di opposizione abbiano condotto da questi banchi, anche di notte, una opposizione seria e ragionata alla conversione in legge del decreto-legge in esame. Si sono succeduti interventi che hanno tenuto insieme il merito e le questioni politiche di fondo che il decreto-legge richiama e questo è stato fatto non per perdere tempo in quest'aula parlamentare, né per ingannare il tempo, ma per usare il tempo al fine di affrontare i temi e di trasmettere alcuni importanti messaggi. Sarebbe di grande significato percorrere sempre insieme, maggioranza e opposizione, la via lungo la quale questo luogo, quest'aula possa parlare al paese, agli elettori di destra, come di sinistra, di uno Stato di diritto fondato su una Costituzione democratica; in altre parole, di uno Stato che non impone il consenso e che, al contrario, legittima il dissenso, di uno Stato dove la legalità procedurale comprende e riconosce il gioco di maggioranza e minoranza nel rispetto comune dei diritti fondamentali, quei diritti che nessuna maggioranza può decidere e che non possono essere negati a maggioranza.
Voi capite che quanto dico serve a voler garantire che questo Parlamento mantenga alta la propria dignità e la propria funzione politica e legislativa senza essere ritenuto pietra che intralcia, né temuto come pietra di inciampo per quella che Nietzsche chiamava la democrazia dei camerieri. Non accetto, perché offende la mia attività di deputata - non di deputata di opposizione, ma di deputata come tutti voi -, sentir dire che il ricorso al voto di fiducia è servito ad evitare lungaggini perché il Parlamento ha da fare. Fatte salve le regole che governano sempre per volontà parlamentare il nostro lavoro, è un abuso volere imporre o stabilire fuori da questa Camera quanta riflessione comune meriti un testo di legge e quali siano le priorità dell'agenda parlamentare.
Non premia la serietà con la quale il Presidente della Camera ha mostrato di voler seguire personalmente il dibattito di queste faticose giornate l'atteggiamento del ministro Gasparri che svilisce, dicendo di divertirsi, l'attività di opposizione al decreto-legge. Noi non ci stiamo divertendo. Il ministro Gasparri ha ben compreso che si tratta di una battaglia politica ed allora bene farebbe a riconoscere il merito che ha questa battaglia. Lui che, come noi, ha avvertito che la libera espressione maggioritaria di quest'Assemblea, della quale egli è anche deputato, avrebbe evidenziato il malessere e la contrarietà, sbaglia a nascondersi e a rimanere succube di una volontà che gli è imposta. Se fosse vero, come il ministro dice, che gli italiani non si accorgono delle battaglie parlamentari, egli, che domani non sarà più ministro, che forse sarà ancora deputato e deputato di opposizione, avrebbe una ragione in più per preoccuparsi degli esiti di un sistema informativo che il Governo intende difendere.
L'ostruzionismo parlamentare, se concepito in una concezione aziendale della cosa pubblica, impedisce al capo l'autonomia piena di decisione, l'esercizio di responsabilità di comando alla quale un personale deve uniformarsi senza porre ostacoli. Ma il paese non è una azienda di proprietà, né il Parlamento e il Governo sono i livelli di una organizzazione aziendale. Questa è una sede politica e in questa sede può trovare ragione la dinamica ostruzionistica della quale, vorrei far presente con la responsabilità che ci compete, sappiamo di non dover abusare (e lo abbiamo anche provato).
La dinamica ostruzionistica, strumento di pressione parlamentare, serve a quella concezione alta della politica che Weber definisce come «lento e tenace superamento delle difficoltà da compiersi con passione e discernimento». Cosa sia il lento e tenace superamento delle difficoltà, cosa siano la passione e il discernimento sfugge a chi manca di sapienza politica. Ma costui - o costoro - farebbe bene allora ad occuparsi di altro o, quanto meno, a non voler nobilitare il proprio uso strumentale della politica, assumendo le responsabilità che della politica sono proprie.
Un Governo non può porsi in modo così arrogante verso l'istituzione alla quale la Costituzione assegna in via primaria la funzione legislativa, a meno che non intenda tradurre l'espressione maggioritaria di un voto in tirannia della maggioranza. Se così non fosse, non avrebbe da temere ciò che in quest'aula può accadere. Non avrebbe una posizione da dover difendere, non nel Parlamento, ma contro il Parlamento.
Difendersi dalla democrazia è e resta comunque un segno di grande debolezza e di viltà. Il gioco democratico reca con sé sconfitte e vittorie perché fa prevalere sulla ragione personale la ragione pubblica. Quando, invece, la sconfitta viene temuta al punto di voler cambiare il gioco e le sue regole pur di vincere sempre, si riduce lo spazio della politica al servizio del bene comune e si rende la politica serva dell'interesse particolare, di un interesse che rifiuta il gioco perché il gioco ne svelerebbe la meschinità. Debolezza e meschinità sono anche l'anima di questo decreto-legge. Il pluralismo del sistema informativo propone all'utente - donna, uomo, giovane, anziano, bambino - una condizione di libertà, libertà di scegliere, di decidere, di giudicare ed anche di cambiare.
È evidente che l'informazione può determinare identificazione, ma proprio per questo è altrettanto evidente che un'informazione plurale rende molteplici i modelli sociali, culturali e politici ai quali decidere di far riferimento. Chi ama la democrazia, trova in questo un vantaggio; chi la teme, sente il rischio di perdere potere.
La palese ostinazione a voler monopolizzare l'informazione attraverso il mezzo televisivo, il quale, seppure non sia l'unico mezzo di comunicazione, è indiscutibilmente di grande efficacia e di più immediato impatto, serve a mantenere un potere che si sa che può essere perduto, se lo si misura con una libertà che può opporre critica e dissenso. In tal modo, questa libertà, oltre che decidere di cambiare, può produrre cambiamento.
Vedete, colleghi, il punto è capire se ciò faccia paura, o se invece, come credo, risponda ad una concezione democratica dei rapporti tra le persone. Per fornire una risposta, occorre capire quale sia la posta in gioco, se sia l'interesse privato o quello pubblico.
Il Presidente del Consiglio ha paura, perché la posta in gioco è il suo interesse privato. Per paura, egli tenta di imporre il silenzio del dissenso (questo è accaduto anche nei confronti della magistratura, lungo l'intero svolgimento di un processo che lo riguardava).
Per paura, egli tenta di introdurre l'illegalità attraverso la legge: lo abbiamo appurato, contrastandolo, in occasione dell'approvazione del provvedimento sul cosiddetto scudo fiscale, e lo ritroviamo nelle dichiarazioni rese, nei giorni scorsi, sulla pressione fiscale.
PRESIDENTE. Onorevole Lucidi, la invito a concludere.
MARCELLA LUCIDI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente.
Per paura, egli difende un'informazione viziata e malata, mentre vuole che restino in salute solo i suoi conti e le sue aziende. Noi, in nome della democrazia e dell'interesse pubblico, voteremo invece contro la conversione in legge del decreto-legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bettini. Ne ha facoltà.
GOFFREDO MARIA BETTINI. Signor Presidente, anche in sede di dichiarazioni di voto finale, vorrei motivare il mio voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge in esame, perché credo che siamo alla conclusione di una brutta storia.
Si tratta di una storia brutta dal punto di vista della condotta parlamentare. Mi rivolgo soprattutto a voi, colleghi della maggioranza, che avete subito dal Governo
una prepotenza, perché è evidente che la posizione della questione di fiducia era rivolta principalmente a voi, con lo scopo di intimorirvi, di richiamarvi all'ordine e di ridurre la vostra libertà.
È una brutta storia anche sotto il punto di vista politico-istituzionale: basterebbe osservare il susseguirsi degli eventi. Retequattro, per una sentenza della Corte costituzionale, dovrebbe trasmettere via satellite, anche perché occupa abusivamente le frequenze di un'altra azienda, probabilmente senza sufficienti protezioni politiche. Il Governo, varando la cosiddetta legge Gasparri, cambia le carte in tavola e salva Retequattro, ma tale legge, non rispettando minimamente il ripetuto appello del Presidente della Repubblica Ciampi a favorire il pluralismo nell'informazione, suscita tali dissensi nella stessa maggioranza al punto da doverne rinviare l'esame. Il Governo, allora, si inventa il decreto-legge «salva Retequattro» ma, non sicuro dell'appoggio di tutti i parlamentari della Casa delle libertà, impone la fiducia.
Questa è la storia - ripeto, una brutta storia -, fatta di strappi, forzature ed intimidazioni, con la sola motivazione di difendere un'azienda del premier.
Credo che l'Italia sia stanca di questo andazzo, stanca di vedere una classe dirigente che, dopo aver promesso traguardi mirabolanti, a due anni e mezzo dal suo insediamento al Governo dell'Italia, ci consegna un paese fermo, sfiduciato e più insicuro, nel quale tanta gente pena con stipendi troppo bassi, mentre vengono incoraggiate apertamente furbizie e illegalità. Dunque, questa brutta storia di Retequattro conferma l'aggravarsi di un dato politico e, direi, anche culturale.
Questo Governo non è la sola causa dei dissesti dell'Italia di oggi - anche se è una delle cause fondamentali -, ma sicuramente esso non ha alcuna autorevolezza, tempra morale e senso dello Stato per essere efficace e credibile nel fronteggiare questo passaggio complesso e critico della vita nazionale.
Ci rimproverate di voler oscurare Retequattro, di voler sfasciare un'azienda e di voler punire i suoi telespettatori. Ma non scherziamo! E cerchiamo di non continuare con questo festival di bugie! Noi vogliamo solo il diritto, il pluralismo e la giustizia. Vogliamo che tutti, in un sistema equilibrato dell'informazione, possano vivere ed espandersi. Vogliamo, e non crediamo di chiedere troppo, che quando si parla di difesa del lavoro, di imprenditorialità e di legittimi interessi - sì, è sacrosanto -, tutto ciò non debba valere solo per le aziende di Berlusconi, ma per le aziende di tutti: le aziende sono tutte uguali! Purtroppo, con questo provvedimento, il Governo ha ulteriormente dimostrato che non la pensa così. È così che si diffonde la sfiducia.
A mio avviso, l'aria sta cambiando. Da tempo, ormai, c'è una crescente reazione democratica. Ora, questa reazione democratica si sta riorganizzando politicamente come alternativa di Governo. Berlusconi ha reagito con grande nervosismo al discorso di Prodi. Sono state le invettive politiche, ulteriori minacce ad organi costituzionali, altre promesse mirabolanti ai cittadini la risposta, abbastanza sconclusionata, a quel discorso.
Lo capisco. C'è un certo timore. Ma questo agitarsi un po' scomposto, cari colleghi, non farà altro che esaltare la sobrietà, la concretezza, la serietà dell'alternativa di Governo che si sta via via costruendo nel paese rispetto all'andazzo miserabile che, purtroppo, il Governo in carica li sta imponendo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Motta. Ne ha facoltà.
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, a questo punto della giornata, credo siano chiare e ben motivate, sia sul piano tecnico sia su quello politico, le ragioni del nostro voto contrario sul provvedimento in esame. Sono ragioni che condivido. Aggiungerò soltanto qualche considerazione, senza alcuna pretesa di originalità. Ritengo giusto ribadire qualche concetto
perché reputo importanti i contenuti che, sia pure sinteticamente, intendo illustrare.
Riprendendo il filo del discorso seguito nella fase dell'illustrazione degli ordini del giorno, parto dal pluralismo dell'informazione. Si impone una domanda cruciale, alla quale la maggioranza ed il Governo devono una risposta non solo a questa Assemblea, ma anche ai cittadini: questo decreto-legge definisce i parametri per l'esistenza di un vero sistema pluralistico?
Se la risposta fosse affermativa - come pare di intendere da parte di chi governa il paese - allora, nel decreto-legge dovrebbe essere contenuto quanto prescritto dalla Corte costituzionale e le indicazioni assai chiare contenute nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica.
Nel provvedimento non vi è traccia di tutto questo. Quindi, per onestà intellettuale prima ancora che politica, a questa domanda il ministro, il Governo, la maggioranza parlamentare devono rispondere «no». E non è cosa di poco conto.
I temi legati al pluralismo sono molto seri - come hanno ribadito, in quest'aula, molti colleghi -, e nessuna barzelletta o show televisivo o radiofonico può banalizzare. Si tratta di temi seri, perché caratterizzano il profilo delle istituzioni di un paese, perché proprio quel profilo rende una nazione autorevole, credibile ed affidabile.
Se il tema del pluralismo viene piegato a logiche di puri interessi aziendali, privati, tendenti a configurare una situazione di vero e proprio monopolio, si lede, non solo la libertà del mercato, altare di fronte al quale questa maggioranza si inchina e di cui si fa unica ed autentica interprete, ma anche la credibilità delle istituzioni, le si mortifica volutamente.
Questo, evidentemente, è un valore sul quale si possono avere anche distrazioni. Non vi appassiona, cari colleghi della maggioranza, non vi sentite paladini di libertà! Eppure, il pluralismo non è un vezzo, un concetto di cui abusare, da utilizzare solo quando fa comodo. È un valore fondante del sistema democratico, di ogni sistema democratico degno di questo nome. È un valore fondante di una comunità che, in quel valore, si riconosce e dal quale si sente garantita. Perché il pluralismo dell'informazione - piaccia o no - è, in epoca massmediatica, tema cruciale per la democrazia. E la democrazia è un valore per affermare il quale anche nel nostro paese il costo in vite umane è stato elevato. Vorrei che non si dimenticasse: quelle vite non sono pagine di storia lontane da archiviare, sono state vite vere.
Il Governo e questa maggioranza attuano, con questo provvedimento, il pluralismo virtuale, assolutamente teorico, sconfessato dalla realtà dei fatti.
Sulla stampa odierna rigettate, colleghi della maggioranza, quest'accusa e la rovesciate su chi ve la rivolge. Semplicemente, assicurate che non è vero, esperti, anzi espertissimi come siete della tecnica dello spin che, nel lessico giornalistico anglosassone, indica la manipolazione attuata dalla comunicazione politica quando ad un fatto si fa compiere una torsione a tutto beneficio della tesi che si vuole accreditare, anche se palesemente falsa.
Non si sta al merito dei problemi, anzi, il problema non è la salvaguardia del pluralismo, ma la par condicio, a giudizio del Presidente del Consiglio, una vera e propria legge liberticida. E nel merito, colleghi, rientra o no la non calendarizzazione al Senato della legge Frattini? Se tale atto fosse stato esaminato, non poteva essere affrontato l'esame di questo decreto-legge. Rientra nel merito che RAI 3 nulla a che fare con il salvataggio di Retequattro, rientra nel merito che le preoccupazione dei lavoratori di Retequattro non sono mai state ignorate dall'opposizione. Per noi sono lavoratori come gli altri. Se Retequattro trasmettesse non più in analogico ma via satellite, presumibilmente, lavoratori ed eventuali esuberi potrebbero essere ragionevolmente impiegati nuovamente nell'azienda Mediaset. È sì o no un'azienda in piena salute, con guadagni in continuo aumento e con titoli al rialzo? E nel merito rientra anche la seguente considerazione: per la norma in esame è sufficiente che il segnale digitale copra il 20 per cento del territorio nazionale, ma non che il segnale sia utilizzato
dalla popolazione che vive in quel 20 per cento di territorio nazionale. Domanda di merito: quei cittadini hanno accesso a quel tipo di informazione? Quante case di italiani sono raggiunte dal digitale terrestre? Lo comunichi il ministro Gasparri, è un'informazione preziosissima!
Vorrei chiedere ai colleghi della maggioranza (se fossero presenti avrei la speranza che qualcuno di loro mi ascoltasse), se ritengano che, in tante parti del paese colpite da gravi crisi economiche tra le quali quella riguardante il territorio da cui provengo, Parma, i cittadini di questi territori, i lavoratori e le mitiche massaie sempre nei pensieri del nostro Presidente del Consiglio, abbiano, come occupazione e preoccupazione primaria, l'acquisto della tecnologia digitale. Non è una domanda retorica.
Non so se almeno a questa domanda avremo risposta, forse perché anche in questo caso si paventa un conflitto di interessi: il conflitto per i cittadini se far fronte alle esigenze fondamentali della vita quotidiana (e come farvi fronte) o dotarsi delle nuove tecnologie che li tengano al passo coi tempi per essere partecipi dell'informazione plurale. Un bel dubbio amletico!
Quando in quest'aula si discuteranno i provvedimenti necessari per affrontare i problemi che attraversano i settori agroalimentari, di autotrasporto, di servizi e della logistica colpiti dalla crisi Parmalat, misureremo la sensibilità e la volontà del Governo di sostenere imprese e imprenditori, che ogni giorno e con la fatica hanno costruito la loro attività, hanno creato posti di lavoro, oggi in pericolo. Vedremo se il Governo troverà le risorse economiche necessarie per consentire a queste aziende, non di avere regalie, ma il tempo necessario per recuperare i crediti e, dunque, mantenere la continuità produttiva.
Vedremo se il Governo vorrà dedicare tutta l'attenzione necessaria a quella parte di queste piccole e medie imprese, che è l'ossatura portante di gran parte dell'economia del nostro paese; si tratta di imprese che non hanno fatto speculazioni finanziarie, che non hanno fatto investimenti azzardati, ma hanno creduto nella qualità dei propri prodotti. La realtà, la dura realtà è una bussola certa nel labirinto della vita: perderne il senso è pericoloso; in politica, mi permetto di dire, inammissibile, oltre che inaccettabile. Questo Governo e questa maggioranza si sono incamminati per questa strada, i vostri banchi vuoti ne sono una conferma. Si è purtroppo diffuso tra voi il punto di vista del Presidente del Consiglio che la pratica del confronto parlamentare, l'autonomia reciproca ed equilibrata delle diverse istituzioni e, soprattutto, il Parlamento siano impacci, i famosi lacci e lacciuoli che impediscono la piena libertà dell'attività imprenditoriale, il pieno dispiegarsi dell'etica degli affari, cioè il profitto.
Domanda di merito: profitto sempre e comunque con qualsiasi mezzo? Eppure è ben noto a molti di voi, perché la storia ce lo ha insegnato, che l'interesse fine a se stesso, i conflitti di interesse non risolti sono un pericolo grave per l'equilibrio delle istituzioni democratiche, che, al contrario, dovrebbero essere tenute al riparo da squilibri del mercato. In un settore così delicato come quello dell'informazione e dei mass media il mercato ha bisogno di regole certe, condivise, non di parte, di garanzia per tutti. Nei paesi civili funziona così, qui da noi no. Il Parlamento non è un consiglio di amministrazione: se la maggioranza di esso, purtroppo, si è adeguata senza un sussulto di orgoglio, senza un moto di autonomia di pensiero, a piegarsi nella difesa degli interessi di una sola persona, il Capo del Governo, non solo ci dispiace, ma ci preoccupa seriamente. Per questo, abbiamo condotto questa battaglia in nome della libertà, nel rispetto della nostra Costituzione e delle massime rappresentanze istituzionali per il paese che rappresentiamo. Per questo sono stonate e fuori luogo le ironie sulla scelta dell'opposizione di condurre questa battaglia parlamentare. A chi oggi è ironico auguro di doverci ringraziare in un futuro che personalmente spero assai prossimo, perché questa battaglia la conduciamo per
tutti, per una nazione che non ha bisogno di lifting, ma di certezze, speranze, cultura, innovazione, valori, soprattutto per le giovani generazioni. Da questo versante, per il momento, ci sentiamo più attrezzati e imprenditorialmente più seri, anzi, vincenti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bogi. Ne ha facoltà.
GIORGIO BOGI. Signor Presidente, anche per non ripetere i mille argomenti che abbiamo già esposto, proverò in breve tempo a giustificare il mio voto contrario, cercando di valutare qual è la cultura di fondo che la destra applica nel riformare il nostro sistema della comunicazione, al di là della tutela di interessi particolari. Farò quindi un breve riassunto di come io leggo il sistema che ci viene proposto.
Certamente ci si propone un sistema della comunicazione ormai unitario (non perdiamo un secondo di più). Ci si propone però un sistema con una netta prevalenza della rete di diffusione broadcast, cioè per onde hertziane, nel momento in cui non è neppure in termini di mercato prevedibile se sarà questa la rete che prevarrà la rete di telecomunicazioni e i suoi vari meccanismi di integrazione. Che rapporto avranno le reti? Ci si propone nettamente una scelta prevalente: il digitale terrestre, l'avvenirismo sul digitale terrestre. È un problema, ripeto, assolutamente aperto, in termini di mercato.
Nel contesto di questa prevalenza della rete di diffusione broadcast, si sceglie la conservazione del duopolio e la tutela di Retequattro. Da questo punto di vista, il decreto-legge di cui viene chiesta la conversione in legge, è simbolico. Se togliessimo Retequattro, il sistema, così come ci viene proposto, non starebbe in piedi e così, concretamente e simbolicamente, il decreto-legge ne chiede la tutela in termini ben identificabili.
In questo contesto, i soggetti dominanti nell'analogico, anche per i meccanismi previsti dalla legge n. 66 del 2001, ma certo non prevalentemente per questo, resteranno dominanti successivamente. La pianificazione delle frequenze è bloccata sulla fotografia dell'occupazione di fatto e la possibilità di modificare il sistema, da questo punto di vista, è veramente modesta.
Con certezza non è questo che ha preoccupato il ministro Gasparri. Inoltre, la regolazione del mercato pubblicitario o, meglio si direbbe, la non regolazione mette gli imprenditori della carta stampata in una condizione di grande difficoltà, per la stretta che riguarda la fonte principale della loro sopravvivenza: la pubblicità. I produttori indipendenti sono in difficoltà; l'Italia è un paese che ha sempre avuto una produzione indipendente non forte: vi era Mediaset, vi era RAI, vi erano riprese di produzioni cinematografiche, ma la produzione indipendente è stata molto debole, diversamente da quanto è accaduto in Gran Bretagna.
Sostanzialmente, l'ipotesi che si propone è fortemente restrittiva, non solo in termini di articolazione della libertà di comunicazione, ma anche dal punto di vista dello sviluppo del sistema. In fondo, è una visione, per così dire, nazionalprovinciale. I nostri restano soggetti nazionali, nel momento in cui prevalgono soggetti che producono programmi a destinazione sovranazionale (le famose major statunitensi o altri grandi imprenditori) ma anche soggetti che entrano nella trasmissione sovranazionale. I programmi prodotti da RAI e da Mediaset in modestissima quantità sono commerciabili oltre i nostri confini. La loro possibilità di reggere la concorrenza è modesta da questo punto di vista e, quindi, potrebbero essere protetti in un mercato nazionale e però non è più così.
Pertanto, il sistema che si propone è contraddittorio, con modeste prospettive industriali e con un'ipotesi di assetto, come dicevo, fortemente restrittiva.
Vi è un concorrente forte che attrae i programmi di forte audience: la televisione a pagamento. È chiaro che nessuno fruirebbe a pagamento di un programma se non avesse una qualità diversa da quelli
che ci vengono offerti gratuitamente dalla televisione generalista, la quale, non accidentalmente, va verso un appiattimento dei suoi programmi, perché quelli migliori costano molto. E la televisione a pagamento, naturalmente, si diffonde. È uno dei settori di mercato del sistema televisivo per cui si prevede un buono sviluppo. Però, è monopolistico in un sistema già duopolistico nelle TV generaliste. Il ministro Gasparri ha rifiutato anche ciò che aveva chiesto l'Autorità: che il Parlamento desse norme legislative che indirizzassero un regolamento che disciplini l'accesso ai mezzi. Ma si aveva fretta e la richiesta non è stata accolta.
Allora, il sistema è appiattito nelle sue prospettive di sviluppo industriale, è stretto in termini di esercizio della libertà dalle condizioni di forte dominanza che lo connotano. Questo è quanto noi paghiamo per tutelare il duopolio e la sopravvivenza di Retequattro. E lo paghiamo, appunto, non solo in termini di libertà della comunicazione, ma anche di interessi industriali del paese. Il mercato della comunicazione, al di là delle bolle finanziarie, è tuttora ritenuto un mercato capace di produrre ricchezza. Il nostro è un mercato pregiudizialmente reso asfittico: da lì non verrà ricchezza rilevante.
Però, al di là degli interessi particolari che vengono tutelati e di cui si è parlato ripetutamente nel dibattito, vi è qualcosa di più, secondo me, vi è sotto la cultura della destra moderna. Questo non è un giudizio di valore: «moderna» vuol dire di oggi. Naturalmente, questa cultura è interpretata in Italia ai livelli delle caratteristiche del nostro personale politico. Possiamo benissimo immaginare che Bush sbagli usando la forza in Iraq, ma sta in un sistema con equilibri di potere molto complessi di cui effettivamente in Italia constatiamo in questo momento l'indebolimento.
La destra, secondo me, ha enfatizzato molto quello che è un suo connotato storico: l'uso della forza. L'ha enfatizzata fino al punto che non raramente in Italia diventa un elemento di deistituzionalizzazione. Può essere la forza del denaro ma può essere la forza che si esprime contro i poteri terzi e che produce un grande fenomeno di deistituzionalizzazione.
È infatti di ogni giorno la protesta contro i poteri che hanno titolo per giudicare, siano essi la magistratura o le Autorità indipendenti. Il potere terzo non ha parte nella visione d'uso della forza enfatizzata che la destra moderna italiana esprime.
C'è una sorta di intolleranza verso la realtà, un tentativo di costringerla in meccanismi che non la possono contenere senza un forte aumento di tensione. Si tratta di un tentativo di forzare la realtà, quando in fondo il realismo tradizionale della destra era anche un modo di accompagnare la realtà a fronte dell'utopia della sinistra.
Ebbene, questa destra attiva contro la realtà incontra così uno dei suoi grandi limiti di governo. Non è accidentale che non riesca a trovare un quadro nel quale poter ricomporre gli interessi legittimi di settori particolari.
È incapace di produrre un quadro progettuale che li ricomprende; questo perché essa sta forzando la realtà. Dal momento in cui forza la realtà e deistituzionalizza, si verifica un fenomeno tipicamente italiano diverso, ad esempio, dal caso inglese. La Thatcher ha dato prova di un esercizio della forza nello scontro con i sindacati, un momento storico in termini di definizione del comportamento della destra, ma non ha certo deistituzionalizzato. Da noi è invece in corso un grande processo di deistituzionalizzazione.
Come viene compensato il fenomeno di deperimento della capacità di rappresentanza nella nostra democrazia, cioè l'organizzazione della libertà nelle società moderne, che noi abbiamo sempre immaginato di dover tutelare mediante la forza delle istituzioni o lo Stato di diritto? Come viene compensato?
Viene compensato con il populismo: l'indebolimento delle istituzioni viene compensato con il populismo e con l'offerta di una leadership carismatica, che
proprio per questo necessita del controllo del sistema delle comunicazioni. La democrazia populistica!
Si va al di là della tutela degli interessi particolari. Qui non sono in gioco le entrate finanziarie del Presidente del Consiglio: è in gioco una concezione culturale; è in gioco una concezione della democrazia nella società moderna con grandi spinte di individualizzazione.
Se c'è un processo di deistituzionalizzazione, che cosa può consentire, in queste società fortemente individualizzate, che i cittadini partecipino di un costume diffuso? Il populismo, come ricerca di rappresentanza diretta fortemente emotiva. Di questo tipo di democrazia noi abbiamo cercato di fare sempre a meno.
GIACOMO BAIAMONTE. In passato era la sinistra!
GIORGIO BOGI. È per questo che il sistema della comunicazione, depresso in termini industriali e senza la capacità di accogliere i veri sviluppi tecnici che ci fornisce la ricerca tecnologica, deve essere controllato ed è depresso perché è più facile controllarlo. È questo che giustifica il mio voto contrario sul provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bellini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI BELLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio ha recentemente dichiarato che la carta stampata è una cosa vecchia, fa vecchia informazione. Un modo superato che ormai non serve più. Credo che quelle affermazioni siano completamente sbagliate.
Per un paese è molto importante invece tutelare la carta stampata, l'informazione sulla carta stampata che, a differenza della televisione, dà la possibilità di riflettere, dà una possibilità in più per arricchirsi anche culturalmente, riflettendo criticamente.
Stamani mi ha colpito, ad esempio, sul Corriere della Sera, l'articolo di fondo di Giovanni Sartori che mi permetto di leggere per certi tratti. Dice Giovanni Sartori: «Nelle dittature il dittatore mente quanto vuole senza tema di smentite. (...) E in democrazia? In democrazia non dovrebbe essere così. La democrazia postula una pluralità di voci libere, e cioè effettivamente indipendenti, che finiscono per controllarsi l'una con l'altra. Se il canale A, per esempio, ci comunica che la terra è piatta, il canale B deve essere libero di ribattere che questa è una sciocchezza. Beninteso, non è che se il canale A dice il falso, il canale B, nel rispondergli, dice necessariamente il vero. Possono mentire entrambi. E dunque stiamo attenti: una voce che ne contraddice un'altra non stabilisce ancora quale sia la verità. La verità è un parolone, lo so. Ma io lo scrivo con la minuscola, senza troppo pretendere, e con riferimento a verità "modeste" e accertabili. Per esempio, nel corso della Presidenza italiana dell'Unione europea, Berlusconi ha parlato, a New York, alle Nazioni Unite. In quell'occasione in Italia abbiamo visto sulle nostre televisioni una sala gremita che applaudiva calorosamente. Era un falso, un videomontaggio, che trasferiva su Berlusconi l'applauso a Kofi Annan, il Segretario generale dell'ONU. Quel falso era clamoroso, stupido (era innecessario) e molto rischioso, visto che in qualsiasi paese di televisione libera sarebbe stato vistosamente denunciato dalla concorrenza. Da noi sette reti su sette (anche La7, che davvero avrebbe avuto interesse a fare lo scoop) non hanno fiatato, hanno avallato. Eppure quell'inganno sarebbe stato facilissimo da provare. (...) Allora la triste morale di questa storia è che in Italia anche la TV "di tutti" è imbavagliata; il che consente a Berlusconi e alla sua squadra di mentire senza "spazio di controprova", senza par condicio per le smentite. Si capisce, a mentire ci provano tutti. Ma dove la TV è autenticamente libera, le bugie hanno le gambe corte, mentre da noi hanno le gambe lunghissime. La verità, sulla nostra TV, non è accertabile».
Ecco perché, signor Presidente, in più interventi abbiamo detto che la situazione è davvero straordinaria e che il nostro impegno in questi tre giorni è stato straordinario per tale eccezionale situazione. Abbiamo voluto parlare in tanti per parlare in quest'aula e per parlare al paese, con dignità e con argomenti: questo abbiamo fatto nel corso di tutte queste ore.
Per noi è ora giunto il momento di votare contro la conversione in legge del decreto-legge in esame. Non ci siamo avvicinati all'esame di tale provvedimento con pregiudiziali, come hanno detto coloro che hanno seguito i lavori nelle Commissioni di merito. D'altronde, eravamo di fronte ad un decreto-legge su cui, alla fine, voi avete messo la fiducia impedendo, così, un leale confronto parlamentare.
Vi ostinate a chiamarla legge per salvare Retequattro ma, in realtà, riguarda innanzitutto il mantenimento delle frequenze e, soprattutto, della proprietà, che spetterebbe ad altri operatori, nella disponibilità privata del Presidente Berlusconi. State facendo, quindi, un bel regalo al Presidente del Consiglio: gli farà guadagnare altri 200 milioni di euro nel corso del 2004, rastrellando nuova pubblicità.
Sappiamo tutti che vi era tempo sin dalla sentenza della Corte costituzionale del 1994 per preparare soluzioni adeguate e per sistemare la ricollocazione di Retequattro, mantenendo gli attuali livelli occupazionali senza ricorrere, come invece fate molto spesso, signori del Governo, alla demagogia occupazionale. Allora, la Corte costituzionale emise una sentenza che metteva in guardia sul grave deficit di pluralismo. Tale concetto è stato ribadito anche nel 2002 quando la Corte ha stabilito il termine del 31 dicembre 2003 oltre il quale Retequattro doveva trasmettere per via satellitare. La Corte costituzionale ha detto in modo chiaro che quella data è un termine finale assolutamente certo, definitivo e, dunque, non eludibile, almeno fino a quando la tecnologia prevalente è quella analogica.
Voi, invece, che fate? Visto che non riuscite ad approvare la brutta legge Gasparri, vi inventate una «gasparrina». È un ennesimo aggiramento della Corte costituzionale e degli stessi rilievi del Presidente della Repubblica. Vi inventate un nuovo sistema digitale terrestre, che non c'è e non ci sarà nei prossimi anni, perché si parla del 2009-2010 per le nazioni europee che sono più avanti di noi nella tecnologia digitale. Dite, inoltre, che entro il 30 aprile 2004 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ci dovrà dire che tutto è a posto, che sussiste effettivamente il pluralismo dell'informazione. Ma voi sapete bene che non è realistico che fra quattro mesi l'Autorità possa arrivare a quelle conclusioni. Mancano persino chiare e certe regole per fare i controlli, come ha chiesto il Presidente dell'Autorità di garanzia.
Voi sfidate, in questo modo, l'impossibile, con un decreto che contiene false indicazioni. È un'azione arrogante e insopportabile nel nostro sistema democratico parlamentare, dove il rispetto delle norme e delle istituzioni costituisce la base fondamentale per il buon funzionamento del sistema stesso. È un inganno ed un atteggiamento anche un po' ipocrita, per ottenere inizialmente la firma del Presidente della Repubblica, per modificare poi questo decreto-legge al Senato, per guadagnare qualche mese e con fatica tentare - perché così voi state facendo - di votare una «Gasparri 2».
Voi, signori della maggioranza e del Governo, che parlate spesso di mercato, in realtà siete i primi a non voler far funzionare correttamente il libero mercato. Fate di tutto per chiuderlo e blindarlo, solo e soltanto secondo gli interessi del Presidente del Consiglio. Perfino l'Unione europea ha aperto una procedura ai nostri danni, con il fondato sospetto che non ci sia, nel nostro paese, il pluralismo dell'informazione. Vi assoggettate, così, solo al comando del principe, uno che pretende di concedere gli spazi di libertà, come se la libertà fosse una merce da prendere, da tenere, da racchiudere e magari da scambiare in qualche vertice di maggioranza, come avviene in queste ore. Eppure, tutti noi siamo pressati da tanta inquietudine che aumenta, dalla crescente difficoltà di
tanti cittadini a vedere soddisfatte le loro esigenze in campo economico e sociale, dalla crisi industriale, da quella degli alloggi, da quella della scuola e della formazione. È la stessa inquietudine che circonda anche le vostre riflessioni, perché vi sentiamo parlare di questi argomenti nelle Commissioni (quando è possibile che non tutti ascoltino).
Signori della maggioranza, credete davvero che il nostro paese si possa governare con un principe, senza principî? Non basta la propaganda del Presidente e nemmeno quella dei suoi ministri e non è con la manipolazione dell'informazione, anche di quella politica (che fa apparire ciò che realmente non c'è), che voi potete pensare di andare avanti e che potete pensare di presentarvi di fronte ai problemi del paese. Non potete andare avanti con queste finzioni, senza ammettere che è stato un fallimento anche l'irripetibile occasione che si è presentata nei mesi scorsi con la Presidenza di turno dell'Unione europea, che purtroppo ha coinciso con le gravi divisioni politiche e con la rinuncia al nuovo trattato costituzionale, che ha solo messo in evidenza la debolezza e l'inaffidabilità del nostro Presidente del Consiglio, il quale sarà ricordato - lo dico anche con un po' di tristezza - solo per le gaffes e per le barzellette (un uomo che va in giro per il mondo a parlar male dell'Italia!).
Adesso il Presidente del Consiglio ci dice che intende eliminare anche la legge sulla par condicio. Sarebbe incredibile far venire meno le condizioni di parità e di libertà di accesso all'informazione, in una particolare fase dello scontro politico, in vista delle elezioni europee. Non siete in grado - lo sappiamo, lo abbiamo capito - di accettare, non dico un serio confronto politico attorno ai diversi progetti di sviluppo del paese, ma di accogliere nelle televisioni e nell'informazione, che voi controllate, chi non vi ossequia.
Oltre ad attuare il blitz bulgaro contro l'informazione di Biagi, di Santoro, vi siete addirittura scagliati contro la satira, perfino contro un comico che voleva recitare Pericle, perché, a vostro avviso, quello che diceva uno come lui è pericoloso (per il vostro dominio). Pericle diceva, cinque secoli prima di Cristo: il nostro Governo favorisce i molti invece dei pochi; per questo è detto democrazia. Le leggi assicurano una giustizia uguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ne ignoriamo i meriti. Ci è stato insegnato - diceva Pericle - di rispettare i magistrati e le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono un'offesa. Noi non consideriamo la discussione - finiva Pericle - un ostacolo sulla strada dell'azione politica. Crediamo che la felicità sia il frutto della libertà e la libertà sia il frutto del valore.
Questo è quello che diceva Pericle nella guerra del Peloponneso, nel libro secondo di Tucidide (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, la nostra maratona continua in quanto le questioni che sono al centro dei nostri interventi e dell'iniziativa del centrosinistra sono cruciali per il futuro del paese: si tratta di aspetti inerenti il sistema dell'informazione e il sistema televisivo.
Partiamo dalla convinzione che il pluralismo dell'informazione, in particolare di quella televisiva, sia un tema decisivo delle democrazie moderne. Ecco perché continuiamo questa nostra iniziativa e battaglia politico-parlamentare, che è rivolta contro la scelta del Governo di porre la fiducia su un provvedimento del quale, invece, era necessario discutere dopo quanto è avvenuto nel corso di questi mesi. E voi, attraverso la fiducia, non avete favorito alcuna discussione.
Tuttavia, a questo punto, a noi sembra sia possibile trarre alcune conseguenze politiche da quanto accaduto in quest'aula. Innanzitutto, il Governo - è stato affermato a più riprese - teme la propria maggioranza; del resto, si è giunti al decreto quando l'esecutivo è stato costretto a ritirare la legge Gasparri, che
rischiava di cadere sotto i colpi dei franchi tiratori.
Questa è la conferma che il centrodestra è diviso e che non vale ricordare, come è stato fatto - voglio ripetere questa considerazione -, che anche il centrosinistra ha fatto ricorso alla fiducia. Il centrosinistra aveva una maggioranza risicata, voi disponete di una maggioranza ampia (uno scarto di oltre 100 deputati); dunque, se chiedete la fiducia, è perché temete che la vostra coalizione non regga alla prova di un eventuale voto segreto. E non è cosa da poco il fatto che vi sia una crisi di tenuta politica del centrodestra, che vantava solidità e sicurezza.
Il secondo punto riguarda la proposta, anch'essa ambiziosa, che avevate prospettato al paese e al Parlamento negli scorsi mesi, affermando che avreste riformato l'assetto globale del sistema televisivo. La cosiddetta riforma Gasparri non c'è più, il decreto approvato con la fiducia suona come un de profundis per la Gasparri e per qualsiasi sua nuova versione ripensata o riconsiderata.
Una volta garantito che Retequattro continui le trasmissioni in chiaro, è stato detto: chi si è visto, si è visto! Magari se ne discuterà dopo le elezioni ma, dopo tale momento, siamo convinti che avrete ben altri grilli e guai per la testa.
In sostanza, non siete stati in grado di riaprire seriamente, in modo convincente, sulla base di un confronto autentico, la discussione sul sistema televisivo italiano e sul suo futuro, sanando in tal modo anche il vulnus costituzionale che ha indotto il Capo dello Stato a rinviare alle Camere il testo Gasparri. Ecco perché ripiegate sul decreto: la montagna partorisce un topolino!
Del resto, la proposta del ministro Gasparri non costituiva la risposta ai problemi di un moderno riassetto del sistema televisivo.
Non solo non predisponeva le misure necessarie per tutelare l'effettiva esplicazione del pluralismo di idee, della imparzialità e completezza dell'informazione, ma la legge Gasparri lasciava nella sostanza immutata l'attuale situazione di duopolio e si ispirava, come ho avuto modo di dire, ad una sorta di riformismo gattopardesco: cambiare le forme purché la sostanza restasse la stessa.
Queste sono state le ragioni della nostra opposizione. E, nel condurla, siamo entrati nel merito; abbiamo ricordato che la successione del digitale aveva tempi diversi da quelli previsti, ed abbiamo ricordato soprattutto che la legge Gasparri non superava il duopolio RAI-Mediaset. E, a ben vedere, il duopolio televisivo non è altro che la dimostrazione evidente che il nostro paese non ha saputo risolvere alcuni nodi strutturali, e che questa mancata soluzione ha impedito una piena modernizzazione sotto una varietà di profili del sistema Italia nel suo complesso.
La verità è che di una riforma del sistema televisivo l'Italia ha bisogno. Ne ha bisogno perché le pressioni del mercato globale, le dinamiche dell'industria, su scala europea e mondiale, chiedono che il sistema italiano cambi; sono pressioni che si faranno tanto più forti quanto più il sistema italiano rimarrà ingessato. E la struttura del mercato italiano è ancora quella, come è stato detto, di un oligopolio asimmetrico a tre: il suo è un assetto che ha una scarsa propensione all'innovazione culturale e industriale: è un sistema chiuso. Ecco perché il nostro ragionamento sul sistema televisivo - e, come centrosinistra, lo facciamo avendo riflettuto anche criticamente su vecchie impostazioni - parte dal convincimento che esso ha bisogno non solo di regole aggiuntive ma soprattutto di libertà, di aperture, in una parola, di mercato, quello che voi evocate tanto spesso a vanvera.
Siamo convinti in sostanza che di fronte all'impasse che in tal modo si è generata, al conflitto di interessi, al rischio di un uso strumentale dell'informazione monopolistica, sia necessario - lo pensiamo come centrosinistra - uscire dalla logica dei correttivi che si stratificano: occorre una riforma di sistema. Voi non ci siete riusciti ad intervenire su questo tema delicato dell'informazione, della sua libertà e della sua modernizzazione. Voi avete fornito su questo terreno una manifestazione
ulteriore di una mediocre capacità di Governo. La verità è che c'è nel centrodestra, in gran parte di esso probabilmente, una difficoltà ad operare in funzione dell'interesse generale del paese. Un'assenza di consapevolezza della necessità delle mediazioni nel Governo; e la cultura di Governo non esiste senza mediazioni e senza riconoscimento delle ragioni dell'altro e della complessità delle questioni. Di qui le forzature e gli strappi.
Voi, credo, che non vi siate posti nemmeno in questo quadro - e questo lo chiedeva anche l'elettorato che è stato dalla vostra parte - una moderna, equa ed efficace regolazione del conflitto di interessi. Mi chiedo spesso se sia possibile che voi non avvertiate che tutto ciò non serve al paese e nemmeno a voi, cioè al futuro di una coalizione liberal-conservatrice che abbia, però, una visione del paese e dei suoi problemi, della sua complessità, della sua prospettiva, che governi in alternativa alla sinistra e lo faccia bene nel vero senso della parola, senza strappi e forzature.
La verità è che voi, proseguendo lungo questa strada, non andrete lontani. Del resto, si sente e l'avvertite anche voi che l'opinione del paese nei vostri confronti è cambiata. E, però, della riforma del sistema televisivo, così come del sistema dell'informazione nella sua complessità e di tante altre riforme, il nostro paese ha bisogno per stare stabilmente, come paese protagonista, nell'Europa e nel mondo globale.
Ritengo pertanto che dinanzi al vostro fallimento e alla vostra esperienza mediocre, toccherà al centrosinistra affrontare tali problemi senza i settarismi che hanno caratterizzato la vostra azione e che molto probabilmente vi porteranno alla sconfitta: non so se vi sia da parte vostra consapevolezza di ciò, ma i dati ve la forniranno (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bielli. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Signor Presidente, annuncio il mio voto contrario al disegno di legge di conversione in esame. Si tratta di una contrarietà sofferta, perché dopo quasi mille giorni di Governo di centrodestra, pur essendo laico e poco propenso a credere nei miracoli, sono stato turbato dalle straordinarie capacità ultraterrene manifestatesi in Italia per merito di Silvio Berlusconi. Se esistono i miracoli, essi devono essere temuti da coloro che, sacrileghi - sono tra questi -, mettono in discussione le virtù divine del Cavaliere.
Egli ha portato l'Italia ad essere un paese da Guiness dei primati nei campi più svariati. Ricordo almeno dieci primati, ma sicuramente ne tralascio alcuni significativi.
Primo: in nessun paese si fa l'elogio di chi ruba, e non pagare le tasse è reato. Il Capo del Governo promuove invece quale valore etico l'evasione fiscale.
Secondo: l'esponente politico di maggiore rilievo e Capo del Governo denuncia i politici, ovvero coloro che hanno fatto della politica una scelta, considerandoli quali arricchiti a spese dei cittadini. E in tal modo insulta il suo vice premier, da sempre in politica, al quale ha affidato, dopo la verifica, il compito di sovrintendere alle politiche economiche del paese. Dunque, la nostra economia, come se non bastasse Tremonti, è nelle mani di chi si è arricchito sulla pelle degli italiani.
Terzo: dal momento che non ha paura della giustizia, ha fatto solo ed esclusivamente del bene. Ha pensato bene di attaccare i magistrati, in quanto «toghe rosse», e siccome lui è giusto, i processi si fanno ai giudici e per se stesso si fa votare l'impunità.
Quarto: aveva promesso la risoluzione del conflitto di interessi entro cento giorni dal suo insediamento a Palazzo Chigi. Ne sono trascorsi quasi mille, e la questione - è questo il miracolo - è ancora aperta.
Quinto: è entrato in politica con le proprie aziende, che non sembravano al meglio della loro situazione finanziaria e che oggi vanno a gonfie vele. Il nostro si vanta di essere il più ricco del paese e il miglior imprenditore: peccato che quando non era in politica non fosse così bravo.
Sesto: è il nostro uomo rifatto, sia nei lineamenti sia quale imprenditore, ma incapace di intromettersi nelle questioni riguardanti le sue imprese. Ma - è questo il miracolo - con la richiesta del voto di fiducia ha visto crescere il titolo Mediaset di oltre il 3 per cento.
Settimo: ha dimostrato, e anche questo è un miracolo, che in Italia non c'è inflazione, e che, anzi, quasi tutti i prezzi hanno subìto un calo. E, finalmente, ha insegnato alle nostre massaie e a tutti noi come ci si debba comportare, facendo la spesa, nella scelta dei prodotti: basta andare nel negozio giusto e comperare il prodotto giusto. Peccato che, come spesso accade agli dei, il miracolo gli sia riuscito solamente a metà: si è infatti dimenticato di dire dove si trovano tali negozi e tali prodotti.
Ottavo: il Cavaliere non si ferma neppure la domenica, non ha bisogno di riposo e, a differenza di chi creò il mondo, che pensò al settimo giorno quale giorno di riposo, il nostro uomo lavora anche l'ottavo giorno. L'ottavo miracolo consiste nella resurrezione di tutti gli ex, di cui si è circondato. Bondi: è una figura che ha poco di terreno, appare già angelo, appare già oltre l'umano, è ex comunista. Adornato: liberal, uomo di straordinaria cultura, sperimentato alla direzione di Nuova generazione, settimanale dei giovani comunisti, liberale DOC, che conosce la divisione dei poteri, laico, che la scorsa settimana ci ha insegnato tutto sul «no» alla procreazione assistita, ex comunista ma anche ex esponente di Alleanza democratica.
Cicchitto, ex socialista, ex anti craxiano, ex socialista lombardiano, oggi è il leader e teorico del liberismo inteso come libertà per uno solo, per il suo capo, il Cavaliere. Elio Vito, un ex radicale, aveva fatto delle battaglie per i diritti civili una ragione di vita e oggi, in questa situazione, è molto impegnato, come difensore dei diritti civili, nella salvaguardia dei diritti e degli interessi del Primo ministro. È tutta gente che non aveva mai fatto politica. Miracolo: li ha resuscitati e portati tutti alla propria corte.
C'è un nono miracolo. Il paese è in declino ma egli sostiene che non è vero. La colpa è degli operai che stanno fuori dalle fabbriche.
Come decimo miracolo, ha salvato l'Italia dalla dittatura della sinistra e teorizza che il pericolo è sempre costituito dagli ex comunisti, che sono i più pericolosi, soprattutto quelli che non lo dicono. Anche per questo motivo Putin è il suo migliore amico e - miracolo - al pari della sacra Rota ha fatto in modo che Putin non sia stato né nel KGB né nel PCUS.
Ma il miracolo più grande è il suo, è quello del Cavaliere. È un miracolo tanto grande che lo Spirito Santo ha avuto modo di annunciarlo a Baget Bozzo il quale, per fortuna, lo ha riferito al popolo ed ha verificato in proprio che è vero, che questo è proprio l'uomo unto dal Signore.
Esprimo un voto contrario a malincuore, signor Presidente, e con sofferenza perché non ho mai creduto ai miracoli e di miracoli, invece, stando a quanto ho detto, sembra esserne avvenuti. Tuttavia, signor Presidente, onorevoli colleghi, ho un dubbio che diviene certezza: forse è tutto un bluff, forse non è tutto vero. Se lo fosse, la fede, che è un sentimento immateriale, dovrebbe essere qualcosa che non rimane in terra ma dovrebbe andare nei canali dell'etere. Invece, Fede vogliono continuare a tenerlo alla direzione di Retequattro.
Ecco perché credo che ci siano molte questioni alle quali fare riferimento e, forse, faccio bene ad esprimere un voto contrario. Faccio bene perché quei miracoli erano solo una illusione; una illusione che il padrone delle TV ci propina ogni giorno; una illusione tale per cui io credo che, in questo momento, sia opportuno votare contro perché è tempo di farla finita con le illusioni che non trovano una risposta. Soprattutto, ho la sensazione che questo decreto, in verità, voglia salvare solamente gli interessi del Cavaliere e di coloro che gli sono vicini. Per questo, io penso che tutto ciò sia una vergogna e credo proprio di fare bene ad esprimere un voto contrario, anche perché spero che,
senza miracoli, Berlusconi e il suo Governo siano rimandati a casa al più presto possibile.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ciani. Ne ha facoltà.
FABIO CIANI. In questo mio intervento, signor Presidente, voglio sottolineare tre aspetti. Il primo riguarda il Parlamento ed il suo ruolo o, meglio, il ruolo che questa maggioranza e questo Governo gli attribuiscono. Il secondo aspetto riguarda il Presidente del Consiglio dei ministri ed il suo ruolo sia nel nostro paese sia in campo internazionale. Il terzo aspetto riguarda la maggioranza che sostiene questo Governo.
Mai, nella storia della nostra Repubblica, il Parlamento è stato così umiliato come in questi ultimi tempi. Una parte di responsabilità - me lo permetta, signor Presidente - la attribuisco alla Presidenza di questa Camera.
Vede, signor Presidente, il fatto che lei non sia riuscito a far capire al Presidente del Consiglio che venire in quest'aula a rispondere al question time non è una diminutio, ma un dovere ed un segno di rispetto nei confronti del Parlamento e che non sia riuscito a far capire che i ministri di questo Governo, in caso di provvedimenti importanti, devono essere presenti in quest'aula e interloquire con il Parlamento e non fare soltanto fugaci apparizioni quando si tratta di votare provvedimenti che riguardano compagni di merende del Presidente del Consiglio o i suoi interessi personali - in questo senso, signor Presidente, sono convinto che domani il Governo sarà tutto schierato su quei banchi: anzi, non ci saranno posti sufficienti -, ecco tutto questo non ci ha aiutato a far capire che il Parlamento ha perlomeno pari dignità nei confronti dell'esecutivo e non è un esecutore materiale di ordini.
Attenzione, però, signor Presidente. Ricordo nella scorsa legislatura le crisi isteriche del presidente Vito o del presidente Cè in presenza di una qualche forzatura dell'allora presidente Violante o dell'assenza di qualche ministro in caso di provvedimenti importanti. Sono convinto che questo è un rischio anche per la tenuta democratica delle istituzioni del nostro paese. Avverto che, di legislatura in legislatura, il Parlamento rischia di perdere il proprio ruolo a tutto vantaggio dell'esecutivo con grave danno per le istituzioni del paese. Non è un bene per nessuno: non è un bene per chi oggi è maggioranza, non è un bene per chi lo è stato ieri, non è un bene per chi lo sarà domani. Io penso che in questo senso si debba fare una riflessione complessiva per cui tutti i parlamentari, di maggioranza e di opposizione, abbiano il dovere di riportare il ruolo del Parlamento al suo giusto livello in una democrazia come la nostra.
Il secondo aspetto riguarda il Presidente del Consiglio, questo strano Presidente del Consiglio ed il ruolo che ha svolto a livello nazionale e internazionale. Noi ci eravamo permessi di avvertire il nostro Presidente del Consiglio che a livello internazionale la politica degli inviti in Sardegna, delle pacche sulle spalle, del cappello da cow boy o del colbacco nella tundra siberiana non avrebbe pagato e non avrebbe dato il risultato che lui sperava: purtroppo i fatti ci hanno dato ragione. Proprio in questi giorni, dopo la guida del semestre europeo da parte dell'Italia, per la prima volta si fa un vertice in Europa e l'Italia, paese fondatore, non viene nemmeno consultata. Ci sono paesi che si riuniscono per dare indirizzi, per cercare di risolvere i problemi e l'impasse che l'Europa sta attraversando e noi siamo esclusi da questi ragionamenti. Credo che questo dovrebbe far pensare il nostro Presidente del Consiglio. Mentre in Europa ci considerano partner di serie B, il nostro ineffabile Presidente si permette di dare giudizi di valore nei confronti di alleati e di avversari, anzi di pericolosi comunisti, perché i suoi avversari è riuscito a farli diventare tutti comunisti: Scalfaro, Montanelli, Biagi, tutti pericolosi comunisti, tutti camuffati. Tutta gente che nella loro vita hanno fatto di tutto per essere considerati liberali, moderati, che improvvisamente
diventano pericolosissimi infiltrati nelle istituzioni. Questo è l'unico vero miracolo che il nostro Presidente del Consiglio è riuscito a fare.
Non solo. Attribuisce all'euro la colpa dell'aumento dei prezzi, poi però si appresta a dire che non è vero, che i prezzi sono aumentati perché la sua famosa zia - la mamma e la zia vanno spesso insieme -, girando per le bancarelle dei mercati, riescono a fare la spesa addirittura con meno soldi di prima. Poi però ci spiega che l'euro ci ha salvato dalla bancarotta nei casi Cirio e Parmalat. Quindi, come al solito, è in contraddizione con sé stesso: oggi dice una cosa, domani ne dice un'altra. Dice che è legittimo evadere le tasse per chi ne paga troppe, poi il suo ministro dell'economia e delle finanze, invece, spiega che da oggi in poi saranno tartassati tutti quelli che hanno fittiziamente aumentato i prezzi, aumenti che secondo il Presidente del Consiglio, non ci sono stati perché la responsabilità è esclusivamente dell'euro.
La politica del suo Governo ha impoverito le famiglie del nostro paese e ha gettato discredito sul nostro paese a livello internazionale.
L'ultimo aspetto che voglio affrontare è quello che mi sembra veramente il più singolare è cioè il fatto che, all'interno della maggioranza che sostiene questo Governo - che naturalmente, per quanto mi riguarda, non condivido -, vi sono partiti che hanno una storia e che sono ancorati a valori che nella nostra società hanno comunque una loro rappresentazione. Ebbene, mi pare che questi partiti siano ormai votati al suicidio. Dopo oltre 250 giorni, la verifica della maggioranza si chiude con un documento che nemmeno il più raffinato dei dorotei di buona memoria sarebbe stato in grado di accettare. Sembra evidente che l'unico obiettivo del Presidente del Consiglio è diminuire il consenso dei propri alleati. Si candiderà alle elezioni europee, metterà in campo somme enormi; vuole cancellare la par condicio per avere la padronanza assoluta dei mass media, vuol far recuperare voti al suo partito, Forza Italia, a danno dei suoi alleati. È solo questo ciò che vuole, per riportarli alla ragione, per far capire loro che l'unico vero padrone è lui e che chi si permette di dissentire deve sparire dalla scena politica del nostro paese! Questo, effettivamente, è un fatto strano. Questa maggioranza, in cui qualche deputato, nelle votazioni a scrutinio segreto, ha il coraggio - coraggio si fa per dire - di ricordarsi di avere una dignità, che lo porta a valutare con spirito libero le leggi ad personam che il Presidente del Consiglio obbliga a votare, non è affidabile e, quindi, su ogni legge importante - mi riferisco a quei provvedimenti che riguardano direttamente i suoi interessi -, da oggi in poi, in Parlamento, verrà posta la fiducia.
Questi suoi alleati, signor Presidente, rischiano di vedere le loro forze politiche sacrificate sull'altare degli interessi del Presidente del Consiglio e anche questo non è un bene per la nostra democrazia. Nella prossima legislatura avremo bisogno di un'opposizione democratica con la quale ci si possa confrontare per mediare gli interessi del nostro paese e non di una forza che rappresenti soltanto gli interessi di una persona o di un'azienda. Se le cose continueranno così, il rischio reale è che il prossimo Parlamento si presenterà con una opposizione che avrà soltanto a cuore gli interessi del suo padrone, cioè dell'attuale Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, il dibattito su questo provvedimento è arrivato alle dichiarazioni di voto ed io preannuncio che il mio voto sarà contrario. Questo decreto-legge è destinato a pesare nel patrimonio della nostra Repubblica. È sempre stretta la relazione tra le forme della comunicazione e le forme stesse della sovranità politica. Si tratta di un patrimonio acquisito dalla cultura costituzionale
democratica ed è proprio di questo che oggi stiamo parlando, non della salvezza di una rete o degli interessi del suo proprietario. Stiamo parlando della Costituzione e delle sue fondamentali implicazioni per la democrazia e cioè che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Tale libertà, che suole chiamarsi libertà di pensiero, viene definita in modo particolare dalla Corte costituzionale: «una pietra angolare dell'ordine democratico».
«Infatti, può ben dirsi che un ordinamento non può funzionare democraticamente in mancanza di una libera circolazione delle idee politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume, ed il diritto fondamentale si incentra sulla libertà di tentare di persuadere gli altri» - prosegue la sentenza - «e nel caso in cui i mezzi economici necessari per potere, di fatto, esercitare una libertà siano ingenti, e dunque a disposizione di pochissimi, si impone un principio di trasformazione, per cui il diritto, che sostanzia l'istituto giuridico ispirato al valore della libertà, non viene più in considerazione come diritto individuale, bensì come valore costituzionale inviolabile».
È questo, dunque, il grande tema della libertà nel pluralismo, ossia nella garanzia di un diritto individuale e collettivo. Questo è alla base di tutte le sentenze della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 826 del 1988, non emessa da magistrati nominati da un recente Presidente della Repubblica, accusato di aver proceduto a nomine di parte.
Quella sentenza fu interamente incentrata sulle esigenze di un'effettiva tutela del pluralismo nell'informazione, il quale «(...) va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti, e comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale».
Ho voluto ricordare tali questioni di fondo perché ad esse questo provvedimento non risponde: anzi, le contraddice profondamente. Proprio per questo, per il fatto di contraddire un elemento fondamentale di libertà, non è compreso dai nostri cittadini. Non la stiamo tirando alla lunga quando incentriamo la nostra battaglia politica sul grande tema delle libertà. Quando si obnubila questo, allora si comprende perché vi stiate allontanando molto dalla sensibilità dei cittadini.
Dite parole grosse, ma non riuscite a dire le parole giuste a chi è investito dal declino industriale e vede messo in pericolo il proprio posto di lavoro. Non state dicendo le parole giuste alle famiglie, che faticano ad arrivare alla fine del mese con i loro redditi sempre più scarsi. Non siete capaci di dire le parole giuste a quei giovani che, per la prima volta, percepiscono che il loro futuro può essere peggiore di quello dei loro padri. Non siete capaci di dire le parole giuste a quell'Italia che oggi sta faticando, in modo immane, nelle aziende, negli ospedali, nelle scuole e nel volontariato, e che di tanto in tanto alza gli occhi, ma non vi vede.
Ciò perché non ci siete, perché ormai siete lontani dai bisogni dei cittadini, perché pensate a voi stessi, perché girate a vuoto e dite parole vuote. Dov'è l'Italia nelle vostre azioni di Governo? Questo è un provvedimento che parla al nord? È un provvedimento che parla al sud? Cosa ne dice la Lega Nord Federazione Padana? Leggo oggi che pare che la prima preoccupazione, anche di Umberto Bossi, sia quella di sbrogliarsi alla svelta dalla verifica di questi provvedimenti, perché si è autoinvitato ad andare in Sardegna, in una delle ville del Presidente del Consiglio!
Rispetto alla gravissima incapacità di rispondere ai problemi, Berlusconi usa invece parole grosse, come le offese oggi pronunciate ad Atene. Egli appare ormai - dice un'agenzia - come un uomo che invecchia male, ed è una cosa che dispiace.
Egli inveisce contro i politici che rubano, e a giorni protesterà contro i calciatori perché sono pagati troppo, ed inveirà contro la televisione, che è piena di schifezze, ma il trauma esploderà quando, finalmente, gli spiegheranno che è proprio lui il Capo del Governo, il presidente di una squadra di calcio ed il proprietario delle televisioni!
Per lui sarà, quindi, un brutto momento. Mi sembra di ricordare, insomma, quel personaggio di un piccolo paese delle mie parti che, nei momenti di difficoltà, ad una certa ora gridava «ubriaconi!» a tutti coloro che passavano, e li rincorreva, con passo malfermo, con un fiasco di vino rosso in mano. A questo siamo, ormai! Questa è l'immagine del nostro paese! Abbiamo bisogno di un Governo; abbiamo bisogno della parole giuste! Qui non ci sono. Ci sono, invece, le denunce ai deputati che hanno presentato interrogazioni: il nostro collega Grandi è stato reiteratamente denunciato per un'interrogazione presentata su Mediaset.
Ci sono tutte le ragioni, ormai, per rilevare, con grande preoccupazione, lo scarto tra il mondo virtuale, il mondo in cui vuole vivere Berlusconi, ed il mondo reale, che è estremamente lontano dal primo: quello è il mondo dei suoi amici e dei suoi interessi, ma è molto lontano dal mondo dei bisogni dei cittadini, i quali vorrebbero un'Italia migliore (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.
LAPO PISTELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, stamattina abbiamo ospitato nelle tribune dell'aula, come capita tutti i giorni dell'anno ed anche più volte al giorno, una delle tante scolaresche che vengono a visitare questo palazzo.
Come conviene quando arriva una scolaresca del collegio in cui si è stati eletti, sono andato ad incontrare gli scolari anche per spiegare loro, preventivamente, a quale spettacolo avrebbero assistito. Ora, i ragazzi che vengono in visita alla Camera, qualunque età abbiano, si affidano, in qualche modo, alla fortuna: può capitare loro tanto di assistere ad una seduta solenne, nella quale si discute la fiducia al Governo o la partecipazione italiana ad una missione militare o un disegno di legge finanziaria, quanto di assistere ad una discussione durante la quale molti di noi telefonano, leggono i giornali o scrivono.
Agli scolari che ho incontrato stamane ho spiegato che avrebbero assistito a questa bizzarra situazione: pochi colleghi a parlare, l'aula semideserta e soltanto gli amici del servizio resoconti ed i funzionari seduti ai lati del banco della Presidenza. In particolare, ho voluto spiegare loro perché questo stia accadendo da tre giorni di fila, giorno e notte.
Trattandosi di bambini, e non volendoli strumentalizzare - ho capito, dalle intenzioni della maggioranza, che potrei essere perseguibile per una sorta di abuso politico di minore! -, ho spiegato che stavamo facendo, più o meno, quello che fa il cittadino comune quando, talvolta, si incatena davanti al municipio o minaccia di gettarsi dal balcone perché non gli viene riconosciuta la possibilità di rimanere in una casa dalla quale è stato sfrattato o di ottenere un lavoro per sopravvivere. Insomma, ho detto loro che, in quest'aula dai legni storici, in cui tutti noi contestatori portiamo la cravatta, questo è il massimo che ci è consentito per denunciare al paese quanto sta accadendo.
Non avendo abusato politicamente dei piccoli amici provenienti dal mio collegio, posso utilizzare questi dieci minuti per dare il mio contributo di parlamentare della Repubblica, anche se mi ascolteranno soltanto i colleghi dell'opposizione e non quelli della maggioranza. Questi ultimi, fatto salvo il momento in cui si voterà, pronti a ritornare per dare questa prova di disciplina, hanno pensato bene di trascorrere in altro modo il loro tempo.
Anzitutto, noi stiamo dimostrando che se, anziché imporre il provvedimento in via di decreto-legge e con queste modalità, fosse stato accettato il confronto, forse, avremmo perso tutti meno tempo. Questa è un'osservazione banale, ordinaria, quotidiana.
La verità vera è quella che sta venendo fuori dagli interventi di molti colleghi (di quelli che mi hanno preceduto e dei molti che ancora parleranno dopo di me). Quando, nel 2001, l'Ulivo ha perso le
elezioni, è iniziata, come conviene nell'opposizione, in quella che, allora, è diventata l'opposizione, un lungo lavoro di autoanalisi per capire dove si era sbagliato. Quando uno capisce dove ha sbagliato, presumibilmente non ripeterà meccanicamente l'errore in futuro. Certo, vi erano tante spiegazioni relative al formato dell'alleanza - all'unione o alla disunione -, ma ce n'era una che, mano a mano, si è prepotentemente affacciata, anche se, all'inizio, noi non volevamo riconoscerla: eravamo stati visti eccessivamente sulla difensiva rispetto a quanto avevamo fatto nei cinque anni precedenti e troppo continuisti per il futuro; inoltre, avevamo, per così dire, scambiato o incrociato le due opposte attese dei cittadini italiani.
I cittadini italiani, nella primavera 2001, ci chiedevano la rassicurazione su alcune incertezze collettive, largamente veicolate da una massiccia campagna elettorale della destra (immigrazione e sicurezza), ed un grado maggiore di libertà nel campo delle cosiddette libertà civili, economiche ed individuali. La destra sembrava cogliere questa domanda. Noi eravamo, invece, eccessivamente elastici - così ci dicevano - sui temi dell'immigrazione e della sicurezza e un po' troppo occhiuti sul tema delle regole individuali, civili ed economiche (quelli che dicono che bisogna rispettare una regola non sono mai simpatici). Quindi, potrei sostenere che, a quel tempo, la destra (in politica non c'è mai il bene e il male in termini assoluti) aveva stabilito una maggiore sintonia con il paese.
Abbiamo girato la boa di metà legislatura e ciò che si consuma - a nostro vantaggio, evidentemente, ma non a vantaggio del paese - è la graduale ed ormai completa perdita di sintonia con il paese reale da parte della maggioranza che governa l'Italia.
È come se, in questi due anni (certo, l'11 settembre ha giocato un bel ruolo, ma lo ha giocato in tutta Europa; certo, la crisi economica ha giocato un bel ruolo in tutto il mondo e, quindi, anche in Italia), la destra avesse continuato a ripetere i suoi mantra elettorali del 2001, senza capire che il paese le stava cambiando tra le mani e si stava arrabbiando progressivamente.
Sabato scorso, alla convenzione della lista unitaria, un amico e collega, efficacemente, ha affermato: c'è chi, all'inizio dell'anno, si rifà il lifting e chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. È una battuta, se volete, ma è la stessa fotografa, in modo molto efficace, dello scollamento esistente tra il Presidente del Consiglio e i cittadini, anche quelli che lo hanno votato.
Non annoierò l'Assemblea parlando delle fatiche del ceto medio, ma una cosa fatemela dire. Per dieci anni, il ceto medio, che rappresenta il «corpaccione» ampio di questo paese, ha avuto una certezza: si poteva avanzare di poco o di molto, si poteva avanzare rapidamente o lentamente, ma si avanzava. Non era in discussione il senso di marcia. Da un anno a questa parte, quando va bene, si resta dove si è, e per molti di coloro che appartengono, per reddito, al ceto medio è cambiata la direzione di marcia: si arretra. Questo è ciò che capiscono gli italiani.
Giuliano Amato ha affermato che leggere in una legge finanziaria che le poche risorse disponibili sono previste - tra l'altro in modo figurativo - per fare acquistare i decoder, potrebbe far sembrare che questo paese abbia risolto tutti i problemi fondamentali; ormai si candida a fare gli ultimi completamenti tecnologici, per permettere al suo corpo sociale di compiere un definitivo salto in avanti.
In realtà, si tratta di uno dei tanti esempi che rivelano come l'agenda che il Governo impone alla maggioranza non corrisponda più all'agenda reale del paese. Due sono stati gli argomenti per i quali questa maggioranza ha lavorato nei giorni festivi, di notte, in agosto e con lo strumento del decreto-legge, costringendo a stare in aula i ministri più importanti di questo Governo che spesso non vengono quando si parla di materie di loro competenza. I due argomenti sono: giustizia e televisione (da ciò non si è mai scappati).
Abbiamo discusso su provvedimenti relativi alla sanità senza il ministro della sanità. Abbiamo discusso su provvedimenti
riguardanti la situazione mondiale senza il ministro degli affari esteri. Abbiamo discusso di problemi riguardanti l'ordine pubblico senza il ministro dell'interno, ma puntualmente, quando si è parlato di giustizia e di televisione, tutti questi autorevoli, colleghi, amici e ministri sedevano puntuali ai banchi del Governo per svolgere il loro dovere di scolaretti. Tutto questo perché quei due argomenti rappresentano l'agenda reale, il core business, del Presidente del Consiglio e, dunque, del Governo che presiede.
Il conflitto di interesse in Italia non è banale, ordinario. Non si tratta di avere la proprietà del più grande biscottficio ed entrare in conflitto nel caso si legiferi di biscotti. La proprietà della televisione e, in generale, dei principali mezzi di comunicazione di massa di questo paese e il controllo politico diretto - e, per ignavia, indiretto - che si ha su tutti i gangli dell'informazione pubblica fanno in modo che questo sia il vero asset politico del Presidente del Consiglio.
Con la televisione si fa informazione, si crea senso comune, si fa quello che gli americani chiamano agenda setting, cioè si impongono innanzitutto le domande e le questioni su cui il paese deve pensare; poi, magicamente, ci si offre come soluzione politica. Il vero conflitto di interessi non è una questione banalmente economica, ma è proprio il conflitto che esiste in uno Stato di diritto liberaldemocratico tra il principio di equilibrio fra i poteri, che ne regolano la democrazia sostanziale, e la sua violazione reale, che sussiste quando il Presidente del Consiglio entra pesantemente, mani e piedi, nel delicato tout se tient della scuola ispirata da Montesquieu, che tutti noi abbiamo imparato a suo tempo. Noi assistiamo a telegiornali come quelli di RAI 1, del direttore Clemente Mimun (siamo deputati, possiamo parlare per nome e cognome e citare ciò che il direttore ha dichiarato in un'intervista pubblicata pochi giorni fa), e siamo costretti a sentire che i TG devono poter dare soltanto le notizie che danno speranza alla gente, per cui scompare la crisi, scompare la stagnazione, scompare la guerra (salvo quelle molto lontane) e c'è soltanto un po' di cronaca nera qua e là e un po' di cronaca rosa (il nero e il rosa si sposano molto bene)!
Noi abbiamo dato le immagini delle convenzioni politiche all'esterno, in appalto, in modo tale che si possa controllare anche come esce l'immagine del Presidente del Consiglio e del suo Governo. Noi abbiamo assistito amaramente (in occidente siamo stati tra i primi paesi) ad immagini taroccate, come quando, nel caso del discorso del Presidente del Consiglio alle Nazioni Unite, sono state giustapposte le immagini degli applausi che avevano seguito il discorso di Kofi Annan. Una roba che non avremmo mai voluto vivere. Sono queste, ma sarebbero molte altre le ragioni, per cui un po' stanchi, si direbbe, ma felici, siamo fieri di continuare a fare questa battaglia ostruzionistica e di dire «no» nella nostra dichiarazione di voto finale a questo decreto ignobile (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, il voto che oggi ci accingiamo ad esprimere è l'ennesima grave prova di forza a cui questa maggioranza e, nella specie, il Governo ci costringono dall'inizio della legislatura. Il Capo dello Stato, con il messaggio di rinvio alle Camere del 15 dicembre 2003 della legge Gasparri sull'assetto radiotelevisivo, ha sollevato, come è noto, nel merito, quattro rilievi.
La prima questione è quella del termine massimo assegnato all'Autorità per la verifica delle condizioni del pluralismo televisivo, che già la Corte costituzionale aveva fissato per il 31 dicembre 2003 e che il disegno di legge proroga di fatto sine die.
La seconda questione è relativa ai poteri effettivi dell'autorità (in pratica dissolti dal disegno di legge).
La terza questione sollevata dal Capo dello Stato riguarda la configurazione del
cosiddetto SIC, il sistema integrato delle comunicazioni, un modesto escamotage che, anziché assolvere alla sua funzione antitrust, consente, a causa delle sue dimensioni, la crescita ulteriore della concentrazione.
Infine, la quarta questione sollevata dal messaggio del Capo dello Stato riguarda la raccolta pubblicitaria, saldamente concentrata nelle mani del Presidente del Consiglio a scapito dell'editoria e dell'equilibrio del sistema informativo. A fronte della serietà del messaggio di rinvio del Capo dello Stato, della delicatezza e della rilevanza delle questioni, delle pronunce della Corte costituzionale e dei pareri delle autorità garanti, questa maggioranza, nonostante le effimere promesse elettorali, incurante del gigantesco conflitto di interessi che dilania il paese in molti campi (le citazioni della crisi del capitalismo finanziario sono sotto gli occhi del paese e delle preoccupazioni dei cittadini) - un conflitto di interessi senza risposta alcuna - , ha avuto l'impudicizia di non rispondere ad alcuna delle questioni sollevate dal Capo dello Stato, limitandosi a tutelare d'urgenza con il decreto ora in aula i soli interessi di bottega, l'incostituzionale concentrazione di reti televisive di proprietà del Presidente del Consiglio.
Lo avete fatto, colleghi della maggioranza, per di più con il metodo più adeguato, ponendo cioè la questione di fiducia, affinché non vi potessero essere miglioramenti del testo né dibattito o dissenso, neanche al vostro interno. È un metodo da caserma delle libertà, caserma di antica memoria.
Così, mentre il paese impoverisce, voi garantite che il vostro padre padrone diventi sempre più ricco, come dimostrato dal rialzo delle quotazioni Mediaset al solo annuncio del voto di fiducia sul decreto-legge.
Insider trading? Sciocchezze! Bancarotta fraudolenta? Sono pronte in Commissione giustizia le vostre proposte di legge per la sostanziale depenalizzazione anche di questo reato. Falso in bilancio? Già fatto. Conflitto di interessi? Per voi sono solo panzane messe in giro dall'opposizione!
PIERLUIGI MANTINI. Fingete di non capire (salvo poche ma, allo stato, anche insignificanti eccezioni) che la democrazia nelle società complesse è basata sulla separazione e sul delicato equilibrio dei poteri, sulla regolazione dei conflitti di interesse, come ben dimostrato dalla crisi del capitalismo finanziario. La democrazia è basata su quella rete invisibile di regole di cui già parlava de Tocqueville, come ricordava il collega Duilio in occasione del suo poco affollato intervento in quest'aula, alle quattro di mattina di ieri.
Fingete di non sapere e di non capire ciò che, da Marshall McLuhan in poi, tutti sanno, ossia che i mezzi di comunicazione sono il messaggio, che siamo tutti nell'iperealtà televisiva, come ha ricordato di recente Bauman, e che il dominio monopolistico di questi mezzi e di questa realtà è un attentato alla democrazia e alle libertà.
Fingete, ma solo per modesto e scandaloso interesse di bottega, di non vedere la priorità che dovreste avere nelle aule del Parlamento con riferimento ai lavoratori rimasti senza lavoro, alle famiglie senza consumi, all'Italia senza ricerca e innovazione e senza riforme, ormai quasi fuori dall'Europa e impantanata in un'ingiusta condizione di guerra in Iraq. Lo scandalo che rappresentate per l'Italia non può passare sotto silenzio ed impegna oltremisura le coscienze di ognuno.
Per questo motivo, signor Presidente, annuncio che, da oggi, aderisco allo sciopero della fame che il collega Giachetti sta ormai conducendo da 16 giorni, affinché le massime autorità e, in primo luogo, il Presidente del Senato, avvertano la doverosa responsabilità di definire l'iter di approvazione della legge sul conflitto di interessi.
Non chiediamo la nostra legge, ma una legge del Parlamento, in nome del Parlamento
e delle sue responsabilità dinanzi al paese. Compio questo atto a malincuore, nel desiderio di alleggerire, in qualche misura, il peso che il collega Giachetti si è assunto per noi, ma lo compio con convinzione insieme a decine di altri parlamentari dell'Ulivo, all'associazione Articolo 21 e alla società civile, che nei prossimi giorni si uniranno a questo sciopero in una staffetta, affinché si risponda alla fame di democrazia e di libertà che, purtroppo, sta crescendo anche nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Enzo Bianco. Ne ha facoltà.
ENZO BIANCO. Signor Presidente, sono onorato di parlare mentre ella è appena giunto in aula.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Bianco.
ENZO BIANCO. Noi, signor Presidente, ci conosciamo da quasi 28 anni. Vorrei rivolgermi ai pochissimi colleghi della maggioranza che in questo momento sono presenti ed ai rappresentanti del Governo.
Vorrei provare a spiegare con umiltà e, se possibile, con ragionevolezza perché uomini che si sono formati ad una scuola politica nella quale il valore della moderazione rappresenta un valore essenziale, predicato prima da uomini come Ugo La Malfa e da quel grande maestro di moderazione che si chiamava Giovanni Spadolini, o che hanno servito lo Stato con quello spirito prudente e razionale, come Antonio Maccanico, intervenuto qualche minuto fa, o che della mancanza di pregiudizio e della disponibilità al dialogo fanno ed hanno fatto un punto di riferimento nella lunga vita politica, come Gerardo Bianco, mio omonimo prestigioso e compagno di banco in questa avventura parlamentare, oggi partecipano con profonda convinzione a questa lunga maratona parlamentare e ricorrono, senza dubbio alcuno, ad uno strumento che è molto lontano da noi, quello dell'ostruzionismo.
Vedete, onorevoli colleghi della maggioranza, voi avete vinto le elezioni certamente per gli errori politici del centrosinistra che si presentava diviso a quell'appuntamento elettorale. Se non si fosse presentato diviso, la somma elettorale potenziale avrebbe certamente modificato quel risultato elettorale.
Certo, voi avete vinto le elezioni probabilmente anche per il grande potere mediatico che contraddistingue e caratterizza il leader del vostro schieramento e certamente anche per la grande professionalità nell'uso degli strumenti di comunicazione.
Avete vinto le elezioni anche per la maggiore propensione all'astensione degli elettori potenziali del centrosinistra, una parte dei quali, quelli della sinistra antagonista, era stanca probabilmente anche dei compromessi che chi governa deve portare avanti.
Voi avete vinto tuttavia legittimamente le elezioni soprattutto perché avevate promesso al paese una grande crescita economica, addirittura una straordinaria crescita economica.
Questa crescita economica non vi è stata non solamente perché vi sono stati eventi internazionali quali una crisi congiunturale e le vicende dell'11 settembre 2001, ma perché non ci sono le condizioni perché il nostro paese oggi possa conoscere una grande crescita economica.
Per avere una grande crescita economica c'è bisogno da parte dei cittadini e dei potenziali consumatori, di chi lavora e produce, di avere entusiasmo e passione, di riconoscersi in un paese, con una spinta ideale, cosa della quale adesso non c'è traccia.
L'unica cosa della quale c'è traccia è uno spirito di assalto alla diligenza, il tentativo di approfittare della condizione per ricavarne un qualche vantaggio personale. Non si costruisce un grande paese sulla spinta di questi sentimenti così particolari!
Avevate vinto le elezioni perché avevate promesso di portare l'Italia verso un importante
ruolo istituzionale ed una significativa presenza all'estero. Ebbene, l'Italia, nel momento in cui ne avete preso la guida, era un paese che contava, che entrava nel sistema dell'euro, sia pure tra mille difficoltà. Che l'Italia contasse lo dimostrava il fatto che Romano Prodi fosse presidente della Commissione europea con designazione unanime dei governi di centrosinistra e di centrodestra. Ebbene, oggi, a mille giorni di distanza, l'Italia, è cronaca di ieri, è clamorosamente esclusa dal direttorio a tre che naturalmente deve e poteva essere un organismo nel quale l'Italia fosse tra i quattro grandi paesi. L'Italia ci sarebbe stata se la vostra guida fosse stata una guida credibile!
Voi avete vinto le elezioni perché avevate promesso un grande processo di infrastrutturazione del paese, una trasformazione radicale.
Ebbene, non uno dei grandi progetti di infrastrutturazione del paese - quelli reali e materiali e, meno ancora, quelli virtuali - è partito: gli unici cantieri aperti nel paese, in questo momento, sono quelli varati dai Governi precedenti. Per il resto, soltanto promesse.
La ragione fondamentale per cui una parte rilevante e significativa del paese vi aveva votato è che si aspettava un processo di semplificazione, di riforme, di alleggerimento del paese. Tale parte dell'opinione pubblica, infatti, era convinta che il centrosinistra avesse fatto qualcosa con le leggi Bassanini e con altre leggi in tale campo. Tuttavia, ciò non bastava e per far correre il paese occorreva un più radicale processo di riforma.
È proprio in tale settore, colleghi del centrodestra, che avete tradito in modo più clamoroso le aspettative che gli italiani avevano riposto in voi. Il processo di semplificazione, di riforma, di liberalismo del paese non vi è stato, anzi. Paradossalmente, l'Italia sta facendo clamorosi ed evidenti passi indietro. Non v'è traccia di quella serie di interventi e vi è al contrario - questo sì - un'azione molto efficace laddove occorre tutelare, nelle aule parlamentari come nelle azioni di Governo, i problemi personali del Presidente del Consiglio e dei suoi cari. Si tratta di una definizione che l'onorevole Andreotti coniò con efficacia - il collega Gerardo Bianco lo ricorderà - quando il Presidente del Consiglio Craxi ricevette qualche critica per l'alto numero di seguaci che lo avevano accompagnato in un viaggio in Estremo Oriente. L'onorevole Andreotti disse: in fondo cosa ha fatto di male a fare un viaggio con i suoi collaboratori ed i loro cari? Nei confronti dei cari del Presidente del Consiglio vi è una grande attenzione!
Tutto ciò fa dire con straordinaria efficacia ironica ad un autorevole esponente della stessa maggioranza che ha un ruolo istituzionale di primo piano nell'Italia centrale, il presidente della regione Lazio, che questo Governo rischia di passare alla storia per aver fatto due cose realmente importanti per il paese: il rientro dei Savoia in Italia, che stanno infestando le cronache rosa del paese con straordinaria capacità, e la patente a punti. Non vi è traccia, invece, delle azioni di riforma.
Signor Presidente, ciò che mi ha indotto a partecipare con profonda convinzione a questa battaglia politica è l'atteggiamento di arroganza e di violenza inaudita che accompagna quanto sta accadendo nel nostro paese. In fondo, per il resto saremmo nella normale dialettica democratica: la maggioranza fa il suo mestiere, il Governo pure, l'opposizione la propria parte. Ogni giorno vi sono esternazioni sempre più imbarazzanti da parte del Presidente del Consiglio. Ieri vi è stata quell'affermazione quanto meno infelice e clamorosa sulle tasse; oggi ve ne è stata una ancora più grave, signor Presidente. Mi riferisco alla frase inaccettabile, che noi restituiamo al mittente, secondo cui coloro i quali fanno politica in questa sede sono ladri. Il Presidente del Consiglio misuri le parole! È inaccettabile quello che ha detto!
Il Presidente del Consiglio tutte le volte che parla a ruota libera combina guai incredibili per sé e, soprattutto, per il paese, a cui fa perdere credibilità (ricordo
l'esperienza del Parlamento europeo). Il Presidente del Consiglio non può consentirsi di parlare nei termini in cui parla della Corte costituzionale e del suo presidente, tra l'altro eletto all'unanimità. Il Presidente del Consiglio non può comportarsi con gelo nei confronti del Presidente della Repubblica: vi possono essere simpatie o antipatie, ma vi sono questioni istituzionali che bisogna seguire con grande attenzione.
Il Presidente del Consiglio non può consentirsi, per scopi elettorali, di attaccare in modo simile il Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, chiedendone le dimissioni. Il Presidente della Commissione europea, con grande responsabilità, nonostante l'invito rivoltogli, ha deciso di non candidarsi a guidare la lista alle elezioni del Parlamento europeo.
Un Presidente della Commissione europea che dà una lezione di stile al Presidente del Consiglio (che si candida), il quale, al contrario, lo attacca in questo modo così clamoroso.
Per queste ragioni, signor Presidente, per la violenza inaudita di avere non solo approvato un decreto-legge, ma di avere anche posto su di esso la questione di fiducia (su una vicenda che riguarda interessi strettamente personali del Presidente del Consiglio), per questo cattivo gusto istituzionale, per queste ragioni, un moderato come me non solo vota «no», ma è orgoglioso di unire la sua modesta voce a questo grido di rabbia, che l'opposizione lancia oggi anche in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Caro Presidente, preso dal mio compito qui in aula e costretto a discutere, quasi sempre, di norme regolamentari, avere dieci minuti a disposizione per un intervento politico, nel contesto di una forte azione di opposizione che stiamo svolgendo, mi offre finalmente la possibilità di esprimere un'opinione di respiro diverso.
Sono convinto, ma ormai mi pare che, almeno qui dentro, lo siano tutti, che si stia scrivendo una pagina infelice nella storia del nostro paese e di queste Assemblee parlamentari. Valori, regole, principi, che sembravano scritti in maniera indelebile, sulla pietra, sono ripetutamente trasgrediti e ridotti nella loro portata. Sin dagli anni della mia formazione democristiana, cattolico-democratica, i valori del pluralismo, in senso lato, e il principio contenuto in tali valori avevano un'essenza vitale, fondamentale, basilare. Questi valori e questi principi oggi si coniugano benissimo con i compagni con i quali nel mio partito, pur provenendo da esperienze diverse, mi trovo a fare battaglie e ad assumere iniziative politiche e legislative per disciplinare la vita della comunità. Più in generale, mi sento veramente a mio agio in una coalizione che, non solo in questa circostanza, ma sempre, di questi principi e di questi valori fa il suo cemento. Quando sento certe critiche sulla prima Repubblica, sulla Democrazia cristiana, sui partiti del centrosinistra, che hanno governato per tanti anni il paese, penso a quel tempo, non solo alle fasi finali di «Telekabul» e al Costanzo show, ma ad Andrea Barbato, a Curzi, a Peppino Fiori, al TG7, alle tribune elettorali, dove i Presidenti del Consiglio non avevano paura di farsi pubblicamente interrogare. Penso ai dibattiti televisivi, dove il confronto in fondo era anche bipolare e nessuno vi si sottraeva. Penso alle campagne elettorali, dove i candidati alla Presidenza del Consiglio non avevano paura di misurarsi pubblicamente con gli altri candidati. Penso alle aule parlamentari, dove pure vi furono esperienze di question time in cui il Presidente del Consiglio non aveva paura della replica di due minuti, che gli faceva il deputato in Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo). Penso alla deprecata lottizzazione: il TG1 alla DC; il TG2 ai
socialisti; il TG3 al partito comunista. Penso a quel tempo, come ad un tempo di pluralismo.
Mi sento a mio agio nel gruppo della Margherita e nel centrosinistra; in questi giorni, vedo affermati gli stessi principi e sento di poter continuare a portare avanti, grazie anche alle contaminazioni che si vanno realizzando, le stesse battaglie di prima, anche perché vedo esaltata la bontà di una scelta, evidentemente, nella sua portata liberale e democratica, contro ogni tentativo monopolistico, contro ogni autoritarismo e visione assolutista.
Signor Presidente, mi consenta di svolgere un'osservazione e mi rivolgo anche a lei: non so se si trovano a proprio agio gli amici democristiani che hanno scelto di stare dall'altra parte, costretti a fare quello che mai nessuno della cosiddetta prima Repubblica e tanto meno della Democrazia cristiana avrebbe mai fatto o si sarebbe permesso di tentare di fare: vale a dire un decreto-legge che, direttamente, porta soldi nelle tasche di un privato che è, contemporaneamente, padrone della TV interessata, capo del partito di maggioranza relativa, capo della coalizione che governa il paese e Presidente del Consiglio dei ministri. Valori, regole e principi, dunque, che abbiamo difeso e difendiamo in questi giorni!
Per tale motivo, esprimeremo con forza un voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge in esame. La bontà della nostra scelta è riscontrabile ed in questi giorni non abbiamo bisogno di attendere controprove.
Viene detto nelle TV di Berlusconi che stiamo conducendo quest'opposizione per controbilanciare ciò che sta avvenendo nelle aule del Senato e che, in fondo, non c'entra niente Retequattro: poveracci! Vi è un problema della pubblicità della terza rete, quindi, saremmo addirittura noi ad essere interessati. Si dice, inoltre, che intendiamo oscurare una voce libera, si fa per dire, quella di Fede. Si usa la propaganda, cioè i mezzi di informazione per plagiare gli italiani.
È una legge madre che annuncia ciò che accadrà quando sarà approvata. Chi ha detto nelle televisioni di Berlusconi che, da tempo, una legge dello Stato è trasgredita da Berlusconi, che, al riguardo, vi è stato un pronunciamento della Corte costituzionale, che sono state intraprese alcune iniziative da parte dell'autorità competente che ha preso posizione in merito, rilevando la mancanza di rispetto della medesima, che vi è stato un monito del Capo dello Stato che ha chiarito il senso dei principi e dei valori del pluralismo e che ha fatto chiaramente intendere che non erano rispettati?
Quale televisione di Berlusconi ha spiegato ai cittadini italiani che, da parte della maggioranza, è stato approvato un provvedimento, tentando di operare un colpo di mano, in dispregio alle sentenze della Corte costituzionale, nonché ai richiami del Presidente della Repubblica, e che è stato poi rinviato alle Camere da parte dello stesso (è stato inviato alle Camere un messaggio ineccepibile) per impedire, in modo puntuale e netto, che il tentativo andasse in porto? Non si dice nemmeno che la maggioranza di questa Camera ha impedito la discussione, anzi l'esame di alcune parti del provvedimento, sicuramente interessate dal messaggio del Capo dello Stato, a mio avviso, in modo illegittimo.
Nessuno ha spiegato agli elettori ed ai telespettatori delle reti di Berlusconi che la stessa maggioranza, modificando alla fine il provvedimento, ha riconosciuto l'esistenza di profili di anticostituzionalità. Nessuno ha detto che, in quest'aula, ben 44 deputati della maggioranza, con il loro voto segreto, contrario al provvedimento, hanno dissentito e questo è il segno che c'è ancora una parte dei colleghi che, in cuor loro, quando possono liberamente esprimersi e votare fuori dai comandi di una persona - sempre lui, il padrone delle ferriere, anzi il padrone delle televisioni - finalmente votano secondo coscienza.
Chi ha detto con chiarezza che, per ottenere dalla finestra ciò che non si è potuto ottenere dalla porta, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto-legge, vale a
dire un provvedimento d'urgenza ed eccezionale per salvare Retequattro, una televisione del suo Presidente?
Chi ha detto - onorevole Bianco - che un qualsiasi altro amministratore pubblico, per una siffatta deliberazione, sarebbe stato arrestato immediatamente in base alle leggi dello Stato mentre il Presidente Berlusconi, bersaglio di tutte le procure, governa indisturbato e, anzi, usa le sue televisioni per affermare che sono gli altri i malfattori.
Chi ha detto con chiarezza che sempre lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ha deciso di porre la fiducia su questo decreto-legge affinché, prima ancora che l'Assemblea potesse discuterlo, decadessero tutti gli emendamenti? E ciò è avvenuto per non correre il rischio che quei 44 cuori nobili, nel segreto, votassero per una volta per dire «no» a questa ignominia.
Questo è il pluralismo che vuole Berlusconi, che vuole la maggioranza, che vuole il Governo, questo è il pluralismo che il presente provvedimento sancisce nei sistemi di informazione del nostro paese.
Certo, se la gente non ha preso compiutamente coscienza di tutto ciò - compresa la nostra forte e convinta battaglia di questi giorni -, è perché i mezzi di maggiore comunicazione - prevalentemente sostenitori, a diverso titolo e per diversi interessi, di Berlusconi - hanno offuscato o artefatto la realtà.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la invito a concludere, ha già superato il tempo a sua disposizione di due minuti.
ANTONIO BOCCIA. Grazie, Presidente, il tempo - per mia fortuna - sta per scadere anche per Berlusconi perché, appena si torna a votare, se ne andrà a casa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fumagalli. Ne ha facoltà.
MARCO FUMAGALLI. Signor Presidente, siamo stati costretti alla scelta dell'ostruzionismo dinanzi ad una forzatura e ad un atto di prepotenza che il Governo ha compiuto, vale a dire la posizione della questione di fiducia su un decreto che riguarda Retequattro, televisione di proprietà del Presidente del Consiglio.
Non solo, una fiducia non contro l'ostruzionismo dell'opposizione, ma contro le divisioni della maggioranza di questo Parlamento. Una maggioranza che non ha eguali nel passato e che, nonostante ciò, all'inizio del provvedimento ha dimostrato più volte divisioni e lacerazioni al suo interno.
Vorrei essere chiaro: ciò che stiamo facendo non è un atto punitivo e non è neppure una scelta contro una rete televisiva. Da un lato, stiamo lanciando un allarme a tutela dell'informazione e della democrazia in questo paese e, dall'altro, stiamo battendoci in quest'aula per affermare un paese nel quale vi sia il pluralismo e per difendere le regole della legalità che voi state calpestando ormai da mesi. Dunque, la nostra scelta non è di ritorsione - non ci muove la ritorsione, la vendetta o la volontà punitiva -, ma si tratta di una scelta responsabile nell'interesse del paese e del pluralismo informativo.
Mi hanno molto colpito anche alcuni argomenti che la maggioranza ha evidenziato in questa sede. In particolare, il capogruppo Elio Vito che, due giorni fa, ha affermato: voi volete il caos, noi vogliamo rimettere ordine in questo sistema. Invidio il capogruppo Vito, perché riesce a dire cose tremende senza che il suo volto faccia mai trasparire un imbarazzo o un'incertezza. Ricorda quelle vecchie maschere cinesi, dietro le quali si può dire qualsiasi cosa, senza imbarazzo. Inoltre, il collega Vito ha aggiunto: vergognatevi voi dell'opposizione, solamente in Italia può succedere che l'opposizione faccia ostruzionismo!
Purtroppo, vorrei ricordare all'onorevole Elio Vito che in Italia stanno avvenendo cose ben più gravi. L'Italia è, difatti, l'unico paese al mondo in cui il Capo del
Governo detiene tre reti televisive e controlla il sistema dell'informazione; l'Italia è anche il paese al mondo dove una sentenza della Corte costituzionale prevedeva che al 31 dicembre 2003, 48 giorni fa, Retequattro andasse sul satellite e che questa prescrizione potesse essere aggirata attraverso un decreto-legge della maggioranza di quel Presidente del Consiglio dei ministri che è proprietario di quella rete televisiva. L'Italia è, ancora, un paese in cui vengono quotidianamente violati i principi liberali di uno Stato moderno; e ciò lo vediamo nell'informazione ma anche in una campagna, in un'offensiva e nei toni inaccettabili in un confronto normale tra maggioranza ed opposizione.
Come può questo decreto normare le coscienze libere di questo paese? Non, quindi, solamente l'opposizione, ma anche le coscienze presenti all'interno della maggioranza di questo Parlamento; quelle coscienze che quando hanno potuto nella sede dell'urna hanno espresso il loro voto in dissenso dalla maggioranza di Governo.
Ed è falso quello che sostiene l'onorevole Elio Vito secondo cui noi vogliamo il caos. La sentenza in questione risale ad alcuni anni fa, e Mediaset avrebbe avuto tutto il tempo per realizzare un processo di riconversione sia sul satellite sia sul digitale, imboccare, quindi, quello che voi definite la nuova frontiera: il grande luogo degli ascolti e della ricchezza. C'era il tempo e la possibilità e c'era una sentenza che lo imponeva. Non si è voluta rispettare quella sentenza, e non si è voluto procedere. E questo avrebbe avuto effetti positivi in più parti; da un lato avrebbe favorito uno sviluppo vero ed ampio delle tecnologie che sono davvero una nuova frontiera nel sistema radiotelevisivo, dall'altro avrebbe avuto la possibilità di uscire dal duopolio televisivo che oggi è molto simile ad un monopolio sotto la Presidenza del Consiglio dei ministri, quel regime che non solamente soffoca il pluralismo ma che oggi restringe la stessa qualità dell'informazione radiotelevisiva in cui c'è un appiattimento al ribasso e non c'è, invece, uno sforzo di un confronto pluralista che arricchisca anche il contenuto stesso dell'informazione.
Tutto ciò non è avvenuto, voi avete aspettato ed oggi si grida che il centrosinistra vuole mettere il silenzio ad una rete televisiva; e si emana un decreto-legge che svuota quella sentenza.
Noi non stiamo parlando solamente di un decreto-legge; difatti, quello che a me allarma seriamente è che sta avvenendo in questo paese qualcosa di più profondo, e cioè si stanno violando quelle regole e quei principi democratici e quel senso di appartenenza ad una comunità e ad una collettività che sono il fondamento stesso di una nazione unitaria; cioè, si sta affermando un'idea secondo cui in questo paese trionfano i furbi, il privilegio, la violazione delle regole; trionfano cioè quegli elementi che minano quello che si può chiamare la comunità nazionale, il senso civico di appartenenza. E questo è un allarme serio; ieri i concordati, oggi questo decreto-legge e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che dice che chi oggi evade le tasse ha un diritto morale per via delle alte aliquote fiscali, dimenticandosi che le tasse le evadono quelli che non sono dipendenti e che quindi non hanno il prelievo direttamente sulla busta paga, mentre gli altri, che rappresentano la maggioranza degli italiani, sono quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese; e ancora, quel Presidente che oggi afferma che chi fa politica in questo Parlamento ruba, mentre lui è l'unico onesto.
Guardate, non voglio lasciarmi andare a facili battute ricordando sentenze, procedimenti penali; è un'altra cosa quella che intendo dire anche perché non voglio fare propaganda. Com'è possibile costruire una coscienza elevata nel paese quando la massima autorità del Governo dice: viva i furbi, viva il privilegio, e chi rappresenta i cittadini in questo Parlamento è un ladro? Com'è possibile così costruire una coscienza civile? Qual è il messaggio che noi diamo alle nuove generazioni quando gli diciamo che le regole vanno calpestate e chi le evade fa bene? Che messaggio lanciamo alle nuove generazioni quando
diciamo che chi oggi rappresenta i cittadini in questo Parlamento è un ladro ed un farabutto? Questo è quello che oggi m'inquieta. E la questione dell'informazione è un pezzo di un paese che rischia di deragliare e di perdere quella coscienza civile che è il fondamento di uno Stato moderno.
Per tale motivo, annuncio il mio voto contrario. La battaglia che stiamo conducendo, lo dico per i pochi che ci ascoltano, è una battaglia nell'interesse del paese, nella quale la minoranza, con la scelta estrema dell'ostruzionismo, dice al paese che vuole candidarsi a governare nel nome di un'altra Italia. Siamo convinti che i motivi di tale battaglia saranno compresi, che avremo il consenso del paese e le elezioni dimostreranno che gli italiani, dopo aver rincorso un sogno, hanno scoperto un incubo dal quale vogliono liberarsi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Serio D'Antona. Ne ha facoltà.
OLGA DI SERIO D'ANTONA. Signor Presidente, nell'annunciare il mio voto contrario al disegno di legge di conversione in esame, mi unisco agli interventi svolti, in questi giorni e in queste notti, da numerosi colleghi, che, con competenza e serietà, sono entrati nel merito e nel dettaglio sia della legge Gasparri sia del decreto-legge in discussione.
Intendo tuttavia iniziare il mio intervento dando lettura di alcune frasi dell'appello che il Presidente Ciampi ha rivolto a questo Parlamento: «la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta. Si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile». E ancora: «non c'è democrazia senza pluralismo e l'imparzialità dell'informazione. Sono fiducioso che l'azione del Parlamento saprà convergere verso la realizzazione piena di questo principio».
Possiamo ben dire che la fiducia del Presidente della Repubblica è stata tradita. Ci troviamo infatti di fronte a un clamoroso conflitto di interessi sul decreto-legge adottato per salvare Retequattro, che è di proprietà del Presidente del Consiglio. Nonostante la consistente maggioranza, il Governo ha posto la questione di fiducia. È evidente che il Presidente del Consiglio inizia ad avere paura del malessere che serpeggia nelle file della sua stessa maggioranza. Tale malessere giustificherebbe uno scatto d'orgoglio da parte di quei parlamentari, eletti dal popolo e per tale motivo chiamati «onorevoli», costretti a sopportare atti che non sono certamente onorevoli.
A Berlusconi, che sostiene che il referendum del 1995 lo autorizza a conservare la titolarità di tre reti, suggerisco di fare attenzione. Gli italiani che hanno votato in quel referendum e che successivamente hanno votato per Berlusconi si sono probabilmente resi conto, nel corso di questi anni, della relazione esistente tra il conflitto di interessi, la supremazia dei mezzi di informazione e le politiche di questo Governo, da una parte, e il progressivo impoverimento degli italiani, dall'altra.
In questo caso, condivido un'affermazione del ministro Tremonti: il denaro non svanisce, se esce dalle tasche di qualcuno è per finire nelle tasche di qualcun altro. Con il decreto-legge in esame si svuotano le tasche degli italiani per riempire le tasche del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
Altro che 150 euro di contributo per l'acquisto dei decoder! Parliamo dell'equivalente di circa un miliardo e 300 milioni di lire al giorno che finiscono nelle sue tasche con questo decreto. Sono d'accordo con Bersani: ha ragione. Spieghi lei agli italiani tutti e ai parlamentari che la sostengono quanto guadagna con la pubblicità su Retequattro; spieghi come mai, negli ultimi anni, Retequattro ha guadagnato il 60 per cento in più rispetto agli altri media e ai titoli della Borsa. Spieghi ancora come mai, in questi ultimi giorni, da quando il Presidente del Consiglio dei
ministri ha firmato un decreto per salvare una sua emittente, i titoli di tale emittente sono aumentati di 3 punti, rimpinguando ulteriormente le casse del Presidente del Consiglio. Siamo qui da due notti e tre giorni, senza interruzione, utilizzando tutto il tempo che ci è consentito. Queste ore trascorse qui, con impegno e con tenacia, le abbiamo chiamate «30 ore per la libertà».
Lei irride tutto questo, signor Presidente del Consiglio dei ministri, e afferma che gli italiani non si accorgeranno neppure della nostra opposizione. Probabilmente, in parte questo è vero e abbiamo anche visto che lei fa di tutto perché non se ne accorgano. Il suo dominio sui mezzi di informazione è tale che ha anche il potere di oscurare tutto questo. Ora vuole abolire la disciplina della par condicio. Questi sono elementi davvero pericolosi. Lei fa questo utilizzando, senza alcuna remora, le forme più becere e più volgari della comunicazione, sperando che «sparandola grossa» e pronunciando provocazioni tanto violente e tanto ingiustificate riuscirà a distrarre l'attenzione pubblica dall'ingiustizia che si sta compiendo in questo Parlamento. Lei fa ciò insultando i parlamentari con accuse generiche e immotivate. Non ripeterò le parole dell'onorevole Enzo Bianco e dell'onorevole Fumagalli, con i quali mi trovo pienamente d'accordo, ma affermo che quando si formulano accuse tanto gravi si ha il dovere di denunciare nomi e fatti, altrimenti sono ingiurie, ignobili, volgari e ingiustificate ingiurie, tanto più gravi in quanto formulate da un Presidente del Consiglio nei confronti di esponenti del Parlamento.
Noi sappiamo - ce lo ha dimostrato in più occasioni - che lei irride l'istituzione parlamentare, la considera un fastidioso intralcio alla realizzazione dei suoi progetti. Tuttavia, è sempre più evidente che i suoi progetti sono finalizzati ai suoi interessi personali, al suo personale arricchimento e sono contrari agli interessi degli italiani, che scivolano ogni giorno verso condizioni di vita peggiori. La più importante compagnia aerea italiana è in crisi. Circa 900 operai delle acciaierie di Terni, 2700 operai dell'Ilva di Conegliano, 1500 lavoratori tra operai, dipendenti e indotto della Ferrania: migliaia di lavoratori rischiano di restare senza occupazione e senza stipendio. Il malessere tra i lavoratori è forte e comincia a manifestarsi in modo preoccupante.
Intanto, la sanità pubblica va in pezzi, la scuola perde in qualità e i servizi sociali sono impauriti. Avete celebrato l'anno europeo del disabile, ma ai disabili avete tagliato i fondi. Così, a fronte di un preoccupante impoverimento delle classi medie e al sorgere di nuove povertà, i ricchi diventano sempre più ricchi. Emblematica è stata l'abolizione della tassa di successione per i miliardari e, contemporaneamente, la diminuzione delle spese sanitarie nelle carceri, l'abolizione del reddito minimo di inserimento e il taglio dei fondi per i servizi ai cittadini più deboli. Non è irrisione dare buoni consigli alle massaie sul modo in cui fare la spesa al mercato, mentre molte famiglie italiane non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese?
Questo Governo che pone la fiducia su questo decreto-legge adducendo come motivazione un particolare carattere d'urgenza mostra di infischiarsene delle priorità e delle urgenze reali del paese, dei problemi che drammaticamente investono la vita delle persone. Tuttavia, i nodi stanno per venire al pettine e tra non molto gli italiani avranno l'opportunità di dare un segnale del loro dissenso. Lei, signor Presidente del Consiglio, ha già messo le mani avanti. Lei che si autodefinisce eletto dal popolo, che in nome del popolo sta compiendo ogni ignominia e ogni possibile attacco alle istituzioni democratiche, ha già detto che, pur candidandosi alle elezioni europee, in caso di esito negativo non si dimetterà. Complimenti, signor Presidente del Consiglio! In ogni caso, noi oggi voteremo «no» a questo decreto-legge e io spero che saranno gli italiani a votare «no» alla sua legittimazione a governare ancora questo paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gasperoni. Ne ha facoltà.
PIETRO GASPERONI. Signor Presidente, ho chiesto anche io di parlare per motivare le ragioni del mio voto contrario a questo provvedimento. Siamo in presenza, come è stato sistematicamente ripetuto nel corso di questa lunga discussione in questi giorni, dell'ennesimo atto che si compie a tutela degli affari di famiglia del Presidente del Consiglio. Infatti, con questo decreto-legge si salva Retequattro e con esso si rafforza il potere economico e quello monopolistico nel campo dell'informazione - si fa per dire - del Presidente del Consiglio. La nostra battaglia di opposizione è stata ed è, innanzitutto, come è già stato ampiamente detto e ripetuto, una battaglia di libertà e per la democrazia. Libertà e democrazia che vengono continuamente mortificate dall'uso spregiudicatamente privato che il Presidente del Consiglio fa della propria posizione di potere. Si potrebbe sintetizzare così: uso privato del potere pubblico. Ecco la ragione per cui non si risolve la questione del conflitto di interessi e perché essa confligge con l'interesse generale del paese e degli italiani. Per un'intera settimana questo Parlamento è stato paralizzato per favorire gli interessi particolari del capo del Governo, nell'indifferenza per i problemi degli italiani, costretti a fare i conti con retribuzioni e pensioni sempre più insufficienti per arrivare a fine mese o verso quelle decine di migliaia di lavoratori che vedono minacciato il proprio posto di lavoro e con esso il loro futuro, ma vorrei aggiungere anche in sfregio di qualsiasi principio di concorrenzialità tra imprese e di un corretto pluralismo dell'informazione quale presupposto fondamentale di libertà e di democrazia in ogni nostra moderna società. Per favore, non si dica come ci avete abituato a sentire, ribaltando la verità, che il Parlamento è stato paralizzato dalla nostra determinata battaglia di opposizione: non imbrogliate le carte scambiando la causa con l'effetto; non potevamo che fare ciò che stiamo facendo. Con il voto di fiducia il Parlamento è stato preso in ostaggio, c'è stato impedito qualsiasi confronto pur sapendo che la democrazia vive e si nutre di confronto democratico. Non avevamo altra possibilità che quella di lanciare un grido di allarme al paese, di urlare da questi banchi parlamentari lo scempio di fronte al quale si trova il paese e di informare gli italiani che ancora una volta il Governo, che aveva promesso il miracolo economico, di fare gli italiani tutti più ricchi, di aiutare chi era rimasto indietro, si sta occupando d'altro, mentre la condizione degli italiani peggiora giorno dopo giorno.
Perché, signori del Governo, non dite la verità ai pensionati al minimo? Perché non gli dite che solo una piccola parte di loro è arrivata ad un milione di vecchie lire al mese perché dei 4 mila e 200 miliardi che erano stati stanziati con la legge finanziaria del 2002 ne avete spesi effettivamente solo duemila e gli altri li avete destinati ad altre operazioni, magari per coprire l'ammanco che si veniva a determinare nelle casse dello Stato a seguito del regalo fatto ai grandi evasori o agli esportatori di capitali oppure ai ricchi che hanno potuto beneficiare delle grandi successioni e donazioni? Questi, signor Presidente del Consiglio, sono i veri furti legalizzati da lei e dal suo Governo! Chi sono allora i ladri, in questo paese e dentro questo Parlamento?
E ancora. Quella per i pensionati al minimo non doveva essere solo la prima tranche, perché ne sarebbero seguite altre negli anni successivi? Dove sono finite quelle promesse, dal momento che avete persino sottratto loro più della metà di quello che era stato stanziato a loro favore? Resta, invece, la promessa di ridurre le tasse. Ma, anche qui, fatevi capire bene dagli italiani: meno tasse per chi? Per i ricchi, naturalmente. E a chi toccherà poi pagare il conto di quella riduzione di gettito per lo Stato? Naturalmente ai ceti più bisognosi, ai lavoratori, ai pensionati e, soprattutto, ai giovani, in termini di taglio delle prestazioni solidaristiche pubbliche: meno sanità, meno pensioni, meno scuola pubblica, meno tutele e diritti nel lavoro e
nella società. Quelle che voi chiamate riforme, dalla scuola al lavoro, alle pensioni, alla sanità, in verità sono esattamente il contrario: sono misure di smantellamento progressivo del sistema di diritti, tutele e protezioni sociali costruito in decenni di storia democratica in Italia e nell'intera Europa. Che cosa è la riforma del mercato del lavoro se non la precarizzazione generalizzata del lavoro e la sua marginalizzazione? State trasformando la precarietà nel lavoro da condizione temporanea in condizione stabile e duratura per l'intera vita lavorativa! Questo è ciò che proponete alle nuove generazioni!
E che dire poi della cosiddetta riforma pensionistica in discussione al Senato? Forse che vi preoccupate di estendere le tutele previdenziali a chi ne è escluso, a partire dai giovani? Nulla di tutto ciò: state solo tagliando i diritti e riducendo le prestazioni. Il vostro gioco è fin troppo scoperto. Ecco ciò che state offrendo agli italiani, ecco ciò che stiamo faticosamente tentando di dire agli italiani che, in verità, ho l'impressione comincino a capire quante bugie si nascondono dietro le vostre parole e la vostra azione di governo, bugie e mistificazioni della realtà cosparse a piene mani, anche nel corso della vicenda parlamentare di questi giorni. Come definire diversamente le ripetute dichiarazioni alla stampa e ai telegiornali, anche del ministro Gasparri, che francamente sono risultate anche un po' sconcertanti? Quando si dice: abbiamo posto la questione di fiducia per una ragione tecnica, mentre il Governo Prodi l'ha utilizzata molte più volte di quante non la stiamo utilizzando noi, non solo si nega l'uso vero che è stato fatto della questione di fiducia - e cioè per tutelarsi dalla propria maggioranza -, non solo la si pone su un decreto-legge fatto su misura per difendere gli interessi del Presidente del Consiglio, ma si tira in ballo il raffronto con le fiducie di Prodi, utilizzando unicamente il dato quantitativo e ovviando il contesto nel quale furono poste allora le questioni di fiducia! Tutti ricordiamo bene le ragioni di quelle fiducie!
Altri esponenti della maggioranza tentano di accreditare l'idea che questo decreto-legge traduca la volontà espressa dal Presidente della Repubblica con il rinvio alle Camere della legge Gasparri.
Per cortesia, non continuate ad alterare la verità: avete varato il decreto-legge per allungare la vita a Retequattro, perché una sentenza della Corte costituzionale ne aveva deciso il trasferimento sul satellite per porre fine all'indebita concentrazione delle frequenze televisive ed alla conseguente limitazione del pluralismo nel sistema dell'informazione.
So bene di chiedere forse l'impossibile, dal momento che ormai la mistificazione dei fatti e l'arroganza nei comportamenti è per voi pratica costante. Con il decreto-legge al nostro esame - ed ho concluso, signor Presidente - salverete Retequattro, ma sappiate che i cittadini, ingannati da tutte le vostre false promesse, non lo dimenticheranno. A noi, in questi giorni, avete tolto il diritto al confronto democratico, ma non avete sottratto ai cittadini italiani il diritto al voto. Il diritto al voto i cittadini lo conservano e, statene pure certi, lo useranno per scrivere la parola «fine» a questa vostra azione di governo disastrosa, arrogante e oltremodo intollerabile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giacco. Ne ha facoltà.
LUIGI GIACCO. Signor Presidente, preannunzio che voterò contro la conversione in legge del decreto-legge «salva Retequattro» dopo aver svolto una battaglia per la libertà e il pluralismo nell'informazione, che è stata definita con lo slogan «30 ore per la vita e per la libertà».
Questa maggioranza non comprende, o fa finta di non capire, che il pluralismo dell'informazione è un principio fondante della nostra Costituzione, e non ha ascoltato gli autorevoli interventi che, in questi anni, vi sono stati sulla materia radiotelevisiva.
Basti pensare al messaggio del Presidente della Repubblica, che verteva sul pluralismo dell'informazione come caposaldo della democrazia, all'intervento della Corte costituzionale sulle ripetute violazioni della legislazione vigente e alla sentenza della stessa Corte, ai richiami del Parlamento europeo, volti a superare una situazione di monopolio dell'informazione ed agli appelli formulati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il decreto-legge che state per approvare non accoglie alcuno dei citati richiami.
È evidente che il presente provvedimento costituisce una risposta alla sentenza della Corte costituzionale, la quale stabiliva che al 31 dicembre 2003 Retequattro sarebbe dovuta essere trasferita sul satellite. Sarebbe stato certamente possibile percorrere un'altra strada, avviando tempestivamente la riconversione, favorendo un passaggio graduale di Retequattro sul satellite ed anche sul digitale terrestre e rispettando, così, i diritti dei nuovi entranti, quali Europa 7 ed altre imprese.
Mi chiedo: perché non si è proceduto a varare una legge rispettosa del pluralismo, che consentisse l'ingresso di nuovi operatori della comunicazione? Forse perché sono in ballo gli interessi del Presidente del Consiglio, che consistono in ben 240 milioni di euro all'anno per le casse di Mediaset. Solo ieri, infatti, Mediaset è salita in borsa di 3 punti percentuali.
Da questo punto di vista, vorrei dire che, mentre si sta salvaguardando Retequattro (che non andrà sul satellite grazie al presente decreto-legge), le televisioni di strada non vengono regolamentate, con il rischio di essere chiuse, come è già avvenuto per Disco volante di Senigallia, di cui mi onoro di essere presidente, costituita e gestita da una cooperativa di persone anche disabili.
La comunicazione partecipativa rappresenta una frontiera per una compiuta libertà di informazione. La comunicazione che parte dal basso trova nelle televisioni di strada uno degli strumenti innovativi imprescindibili per piccole comunità, quartieri e collettività peculiari, ed esse sono tecnologicamente alla portata di tutti.
La televisione di strada costituisce una risposta ad un sistema sempre più dominato dai grandi gruppi e sempre più lontano dalle esigenze dei singoli e delle piccole realtà. Le televisioni di strada utilizzerebbero i canali d'ombra delle frequenze, e dunque non creerebbero alcun disturbo alla corretta ricezione dei canali tradizionali. Un settore tanto vivo ed in espansione necessità di una regolamentazione onde evitare, come già è avvenuto per Disco volante di Senigallia, che le forze dell'ordine, la magistratura e gli ispettori ministeriali intervengano per far chiudere tali emittenti, creando situazioni di disagio ed anche limitazioni nelle possibilità di espressione.
Ritengo legittimo impegnarsi per far sì che le associazioni di diverse categorie, come quella dei disabili, possano utilizzare, per attività di comunicazione e di informazione, la televisione di strada.
È necessario che il Governo, in tempi brevi, intraprenda iniziative normative specifiche volte a stabilire i criteri con cui concedere le autorizzazioni per far sì che le porzioni di frequenza libere in ambito locale, risultanti dalle zone d'ombra nell'irradiazione dei segnali televisivi, possano essere utilizzate su base non interferenziale.
Da questo punto di vista, allora, c'è anche da chiedersi come mai sia stata posta, di nuovo, la fiducia su un decreto-legge. Probabilmente, la maggioranza aveva paura che i colleghi potessero esprimersi liberamente su questo provvedimento che riguarda le libertà in senso soggettivo ed oggettivo. Voi non vi fidate più di voi stessi! Questo è l'elemento di crisi politica che emerge oggi. Evidentemente, ci sono buoni motivi per ispirare tale sfiducia.
Avete sostenuto che quella di porre la fiducia è stata una soluzione tecnica, adottata per non perdere tempo. Ma vi chiedo: è perdere tempo discutere su un tema che, come ha sostenuto il ministro Gasparri, rappresenta un evento storico ed epocale per l'avvio del digitale terrestre? La sfida dell'innovazione interessa molto anche noi: le tecnologie, se usate correttamente,
possono rappresentare potenti strumenti di crescita dei singoli, soprattutto in presenza di sistemi agili e interattivi. Per questo occorre garantire quel pluralismo che è diversità di opinioni, di idee, di punti di vista diversi e che abitua ad esercitare un'autonomia di pensiero e di capacità critica e che insegna ad essere liberi. Don Milani, nella Lettera ad una professoressa, affermava che il sapere e la cultura sono le premesse per un'autentica libertà.
Questo decreto-legge non garantisce il pluralismo, ma regala al Presidente del Consiglio 200 milioni di euro all'anno: 20 milioni di euro al mese; 4,3 milioni di euro a settimana; 623 mila euro al giorno; 26 mila euro all'ora; 490 euro al minuto; 8 euro al secondo! Ciò spiega perché sia stata posta tanta attenzione a Retequattro ed a Mediaset e perché, nel contempo, non si dimostri altrettanta attenzione per i lavoratori dell'Ilva di Cornigliano e di Taranto, per i lavoratori in crisi del settore calzaturiero, per i lavoratori siderurgici di Terni e per le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese con i loro salari e stipendi, che sono sempre più scarsi.
Ci saremmo aspettati interventi urgenti soprattutto per le fasce più deboli, soprattutto per quanto riguarda le case nelle città metropolitane. Ci saremmo aspettati interventi a favore dei pensionati, i quali stanno assediando le sedi dell'INPS e dell'INPDAP essendosi resi conto che percepiscono di meno nel 2004. Le pensioni che ricevono sono inferiori a quelle del 2003, nonostante l'adeguamento del 2,5 al costo della vita!
È sui temi del caro prezzi, dell'assistenza, della sanità che dovreste adottare provvedimenti di urgenza! Questi sono i problemi che interessano i cittadini italiani! È evidente che, a questo punto, dobbiamo cercare di dare una risposta in termini generali. Spero che gli italiani possano farlo nelle prossime elezioni amministrative ed europee.
Un'ultima considerazione. Il Presidente Berlusconi accusa i politici di essere nullafacenti e di essere ladri, per vivere essi alle spalle della politica. Signor Presidente Berlusconi, io, prima di essere parlamentare, ho lavorato - per ben 30 anni - con soggetti handicappati gravi, per cercare di aiutarli ad acquisire capacità di autonomia, di comunicazione, di socializzazione, per dimostrare concretamente cosa significa la solidarietà e non l'egoismo, per dare loro un aiuto concreto per farli crescere e per farli sviluppare.
Mai ho corrotto finanzieri, pagato tangenti ad amministratori, evaso le tasse, corrotto i giudici, defraudato delle frequenze televisive un'azienda come Europa 7, che aveva vinto la gara e che avrebbe dato lavoro a 700 dipendenti!
Io cercavo di costruire le persone, di riabilitarle; lei cercava di costruire palazzi, quartieri, il suo sistema televisivo. Vergogna! Vergogna! Vergogna (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, sono quasi 52 ore che prosegue questa nostra battaglia di libertà, di verità e di speranza.
La decisione arrogante e prepotente che nasconde la debolezza politica della maggioranza parlamentare oramai commissariata dal Governo si sta rivelando un boomerang.
Sì, domani avrete il decreto. Avete i numeri per averlo, avete la forza, avete i muscoli, ma vi manca la ragione, vi manca l'intelligenza, vi manca la consapevolezza.
Questo atto di imperio è diventato un boomerang, perché molte centinaia di migliaia di persone, malgrado il silenzio della TV pubblica e di Mediaset, persone che magari potevano pensare che fosse vera la frottola di un'ostinazione contro il buon Emilio Fede, hanno saputo la verità, vale a dire che, con questo decreto-legge da lui stesso firmato, Berlusconi ha regalato alla sua famiglia e alla sua azienda, in cinque mesi, 163 milioni di euro di introiti pubblicitari.
Siete minoranza nel paese (per la verità, già lo eravate, seppure di poco, nel
2001; allora solo le divisioni del centrosinistra spalancarono le porte alla vittoria del centrodestra), ma oggi siete minoranza in modo molto più forte. A quale prezzo il paese sta pagando un'alleanza costruita allora per vincere e non per governare!
Si è parlato molto del decreto nel merito, sulle procedure; non ci voglio ritornare. È stato sezionato. Ma vorrei dire che i politici che rubano (Presidente Casini, nell'assoluto rispetto della sua funzione, abbiamo la certezza, per la stima che riponiamo in lei, che domani, nel corso del dibattito, avrà modo di difendere la dignità e l'onore del Parlamento e dei deputati), noi, politici che rubiamo, abbiamo rubato una sola cosa: qualche ora al Parlamento per costruire, senza neanche volerlo all'inizio, una grande rassegna, un grande mosaico. Qui, si sono sentiti le fabbriche, gli operai che perdono il posto di lavoro, i lavoratori flessibili, senza sicurezze e certezze, la gente con i bassi salari, le donne che non ce la fanno a fare la spesa, le voci dei mercati, gli anziani che, con i sacchetti di plastica, con le medicine contate, non hanno i soldi per comprarle, le famiglie, gli insegnanti e i ragazzi colpiti dalle folli decisioni volte a cancellare, oltre che la scuola pubblica, anche il tempo pieno.
Un paese che sta «ribollendo» (non troverei altra definizione), che - è stato detto - rischia il declino, ma in cui non si è mai vista una conflittualità sociale così alta. Un paese che sente una ribellione profonda nei confronti dell'immoralità di quelle classi dirigenti (penso allo scandalo Parmalat) che, coperte dalle vergogne dell'abolizione del falso in bilancio, in questi anni non hanno pensato a produrre ma a mettere i soldi dei risparmiatori nella propria saccoccia.
Tuttavia, c'è qualcosa di più. Chiedete la fiducia su un modello di televisione. Chiedete la fiducia su quel modello che si chiama analogico - il grande pubblico non capisce -, su quel modello che vi ha portato a costruire la televisione commerciale negli anni Ottanta e negli anni Novanta. Non voglio parlare delle frequenze, costruite all'ombra delle protezioni politiche degli anni Ottanta. Non voglio parlare dei grandi interrogativi sulle storie delle origini del gruppo Mediaset; ma parlo delle merendine, della pubblicità, di quel modello di vita venduto per oro colato ai ragazzi negli anni Ottanta e Novanta, ad intere generazioni cresciute con quella ideologia!
Ebbene, credo che tutti, su questo punto, dobbiamo fare una riflessione autocritica.
PIETRO FOLENA. Non abbiamo compreso per tempo cosa c'era dietro: non un gruppo economico, ma un certo modello televisivo. Ci è mancato un Pier Paolo Pasolini degli anni Novanta.
Ricordo come Pasolini fustigava la televisione pubblica, quando la televisione negli anni sessanta era monopolio di un solo partito: la Democrazia cristiana.
Pasolini, rispondendo polemicamente nel 1968 - in uno dei suoi scritti più belli, la rubrica «Il caos», pubblicata sul settimanale Tempo - diceva (paradossalmente ben prima che si riformasse la televisione): ammettiamo che la televisione non rappresenti più genericamente il potere, ma direttamente e concretamente il Parlamento, ammettiamo che sia diretta dai rappresentanti dei partiti, che verrebbero così ad avere su di essa una fetta di responsabilità proporzionale alla loro rappresentanza in Parlamento; cadrebbe - lo diceva allora (pensate che tempi diversi) - ogni autoritarismo e ogni forma degradante della comunicazione e, infatti, l'ascolto, proprio perché dovrebbe ascoltare tante voci, diventerebbe per forza un ascolto critico. Ebbene, quelle fustigazioni di Pasolini portarono alle riforme degli anni settanta, che poi hanno avuto tanti limiti. Io non sono un nostalgico; il collega Boccia ha parlato prima della lottizzazione e la ritengo una pagina nera della storia della Repubblica.
Tuttavia, non c'è alcun dubbio che quel pluralismo politico è un pluralismo che gli
italiani, non noi, ricordano con nostalgia. La TV commerciale, invece, nella sua lunga marcia nel corso degli anni Ottanta e Novanta, ha dilagato fino a diventare il modello di riferimento per la televisione pubblica. Oggi non esito a dire che la televisione pubblica produce tante volte programmi e contenitori di peggiore qualità, perché inseguono su quel terreno la televisione commerciale.
Tuttavia, voi chiedete la fiducia perché volete difendere il protezionismo con cui avete costruito questo potere, e oggi cercate di prendere un pezzettino di digitale. Il digitale non ha nulla a che vedere con le dita, con le dita che contano i soldi dei decoder del «Biscione», il digitale è un'esplosione fuori dalla società, da questo Parlamento, dalla maggioranza che mette la fiducia, è la rete, è Seattle, sono le opportunità, è una velocità senza precedenti della comunicazione e delle informazioni, è qualcosa che mette in discussione l'autoritarismo del video. C'è più orizzontalità; ogni tentativo protezionistico è patetico e noi useremo questa leva, noi sinistra, noi centrosinistra, useremo la leva del sapere, della conoscenza per tutti, come leva dello sviluppo di un'altra idea di società, in cui non c'è bisogno di lasciare tutto al selvaggio spirito di mercato, no, c'è bisogno di un nuovo intervento pubblico, di liberare risorse in sede europea dai parametri di Maastricht per la cultura, l'innovazione, la ricerca, la conoscenza.
Le nuove frontiere dell'insegnamento a distanza, dell'e-learning, per raggiungere i più deboli, l'innovazione tecnologica per le imprese (quelle italiane sono le meno aiutate ad innovarsi), l 'e-government per la pubblica amministrazione, la grande sfida del diritto alla conoscenza con la rivoluzione digitale per il sud del mondo: questi sono i temi. E voi siete arcaici perché volete difendere un pezzettino di potere, anche sul digitale, del vecchio sistema protezionistico. Avete provato qualche settimana fa a far passare il decreto del Grande fratello per controllare financo le e-mail e il traffico on line di tutti i italiani; vi è andata male, vi è stata una rotta in Parlamento, siete stati costretti - io lo riconosco ai colleghi che in quel momento non avevano fiducia, che hanno votato con noi - , e abbiamo cassato quelle norme illiberali, perché vi fa paura questa grande libertà della cultura, della conoscenza e del sapere. La sinistra è la bandiera di questa libertà; lo voglio dire a coloro che nel nostro campo, quello del centrosinistra, ci hanno rappresentato (un centrosinistra che sembra possa vincere solo se diventa tutto degasperiano).
I nostri amici popolari, democristiani, giustamente hanno un grande orgoglio per De Gasperi; io voglio ricordare Giuseppe Di Vittorio, la sua battaglia perché i braccianti, che non sapevano né leggere né scrivere, potessero un giorno avere un diploma e i loro figli potessero diventare avvocati, medici, professionisti. Quella battaglia per la cultura per tutti è la battaglia del sindacato, della sinistra, delle bandiere rosse, delle grandi forze socialiste, socialdemocratiche e comuniste di questo paese, ed è una battaglia a cui non rinunciamo, che noi mettiamo al centro di un nuovo progetto di centrosinistra, al centro di quella sfida che ci faccia ritornare presto maggioranza anche nel Governo.
Dobbiamo dare voce a una maggioranza del paese, non contro di voi; voi siete ormai il passato, ma per l'Italia che lavora, che studia e che soffre. E noi questa battaglia oggi, nel nome del diritto alla cultura, la facciamo. È una battaglia per la speranza e per il futuro (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grillini. Ne ha facoltà.
FRANCO GRILLINI. Signor Presidente, il ministro Gasparri ha ironizzato sulla nostra decisione di fare ostruzionismo su questo provvedimento. Egli ha detto che non serve, perché tanto la legge verrà approvata lo stesso, ed ha affermato che mediaticamente l'ostruzionismo è inefficace, non rende. Ho citato il ministro Gasparri perché su Libero - mi dispiace che il Presidente Casini non sia più presente
in aula, ma mi rivolgo a lei - si legge, in un articolo dal titolo «Un piano contro i perditempo», che martedì prossimo la Giunta per il regolamento cancellerebbe definitivamente anche questa possibilità di espressione dell'opposizione.
Nell'articolo si dice che lo stesso Presidente Casini, nonostante sia notoriamente molto attento ai diritti delle minoranze, avrebbe detto: non ne posso più! Mi spiace che il Presidente Casini non sia in aula, perché avrei voluto sapere da lui se ciò corrisponde a verità e se l'opposizione avrà ancora la possibilità di fare una battaglia parlamentare. Certo è che il monopolio di fatto dell'insieme delle televisioni consente al premier ed alla maggioranza di oscurare l'opposizione stessa, di parlare di questa battaglia parlamentare in termini folcloristici, senza mai informare sul merito dei nostri interventi.
Basterebbe questo per dare ragione della nostra battaglia. D'altra parte, è solo di qualche settimana fa il rinvio alle Camere della legge Gasparri da parte del Presidente della Repubblica, mentre la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità del lodo Schifani, altro provvedimento, dopo una lunga collezione di leggi su misura, ritagliato in modo sartoriale sulle esigenze aziendali del premier. Non è un caso che nella maggioranza qualcuno già pensi di rilanciare, tirando fuori dal cassetto nuove leggi ad personam, ad esempio, quella che renderebbe non punibili gli ultrasessantacinquenni incensurati annunciata nell'ambito della riforma dell'ordinamento giudiziario (e tutti sanno a chi ci si riferisce quando si parla di ultrasessantacinquenni incensurati), cercando di delimitare al massimo le modifiche alla cosiddetta legge Gasparri, escogitando progetti di riforma costituzionale che mirano a manomettere le attribuzioni del Presidente e a ricondurre la Corte costituzionale sotto il controllo diretto della maggioranza politica, vanificandone così ogni funzione. Lo lascia chiaramente intendere il Presidente del Consiglio quando, proprio avant'ieri, ha lanciato l'ennesima accusa contro l'Alta Corte, cioè quella di essere di sinistra. Ne ha persino delineato i numeri: 10 a 5 e, pertanto, non credibile. Come se essere di sinistra (ammesso che sia un discorso da farsi con riferimento alla Corte) sia un peccato!
Però, ciò che stupisce in questa ormai lunga stagione politica italiana è che si vorrebbe una reattività relativamente fiacca, una sostanziale acquiescenza del paese, di larga parte della società civile, della cultura e, magari, della stessa opposizione parlamentare ad una serie ormai strabiliante di strappi, di stravolgimenti, di improntitudini istituzionali, per non parlare dell'involgarimento senza limiti della prassi e del linguaggio che hanno mutato il volto dell'Italia e la sua immagine in Europa e nel mondo. «Da noi non potrebbe mai accadere» si sente ripetere in ogni capitale del continente, «da noi sarebbe impensabile».
Ha ragione Michele Serra: l'onorevole Berlusconi vive l'opposizione come un'offesa personale, come il mancato riconoscimento della propria eccezionalità e del proprio destino fatale.
È bizzarro, ma il premier rimprovera spesso l'opposizione di esacerbare i toni e di impedire una normale dialettica politica in nome di una presunta emergenza democratica, salvo poi irritarsi per ciò che nella vita di un paese di consolidata democrazia viene considerato normale, ad esempio, una forte ed a tratti accesa dialettica parlamentare e la legittima tendenza dell'opposizione a criticare gli atti del Governo.
È il premier stesso che non anela alla normalità di un duro confronto politico. Non dirò, come altri, che egli è essenzialmente estraneo alla democrazia, bensì un «tantinello» resistente e ciò per ragioni personali e culturali. Non vi è dubbio, infatti, che la sua esperienza di imprenditore lo abbia fortemente influenzato. L'onorevole Berlusconi, in più di una circostanza, ha dimostrato di sognare uno Stato modello Mediaset, senza conflitti e contrapposizioni che rallentino la realizzazione degli obiettivi del Governo illuminato del migliore.
Egli ama riferirsi ad autori liberali, per quanto i riferimenti tendono a diradarsi, ora che aspira a diventare un campione del popolarismo italiano.
Tuttavia, l'idea di Stato al quale mi sembra più affine è una sorta di Repubblica platonica, dove ai re filosofi occorre sostituire i re imprenditori, meglio se lombardi. A ciascuno il proprio compito: tutti impegnati alla realizzazione del bene comune, senza fastidiosi conflitti.
Il premier non comprende nemmeno che il tempo, il ritmo della politica, in democrazia è più lento e che la risoluzione dei problemi impone prospettive di compromesso molto lontane da un decisionismo rapido e talvolta estemporaneo, tipico dell'attività di un imprenditore.
Da Berlusconi non possiamo neanche attenderci l'ironico disincanto di un conservatore come Churchill, per il quale la democrazia è un pessimo sistema, ma è il meno peggiore fra quelli conosciuti. No: egli protesta, grida al complotto, chiede di poter lavorare e di non disturbare con la critica l'attività di Governo. Quale leader europeo pretende dall'opposizione che questa abdichi alla propria funzione, ossia quella di esercitare critica e controllo rispetto all'attività di Governo?
Ho qui un'agenzia Ansa delle ore 21 che riepiloga le affermazioni del Presidente del Consiglio a proposito dell'opposizione e di questo ostruzionismo che, secondo Gasparri, sarebbe inutile. Si tratta di un florilegio incredibile di insulti verso l'opposizione. Dice, per esempio, che l'opposizione è fatta da professionisti della polemica che rubano ai cittadini, che sono dei nullafacenti che non hanno mai fatto niente nella vita. Molti hanno la casa in città, al mare, ai monti ed anche la barca. Guardate un po'! Signori che non hanno mai lavorato; l'opposizione non trova di meglio che sfruttare l'occasione per fare del male ad un'azienda fondata dal Presidente del Consiglio, nella quale la sua famiglia ha rilevanti interessi. Lo sapevamo già e lo stiamo dicendo da tre giorni che la sua famiglia ha rilevanti interessi. È inutile che il Presidente del Consiglio ce lo ricordi!
Mentre l'Italia si impoverisce fra crisi industriali, depauperamento generalizzato, scandali finanziari e conti pubblici precariamente aggiustati condonando ogni illegalità, il Parlamento praticamente è sequestrato a discutere i singoli provvedimenti che interessano il Presidente del Consiglio e le sue proprietà, le sue aziende e le sue vicende giudiziarie. Financo i ragni di casa sua, come è successo con la ridicola legge che vieta l'importazione degli aracnidi. Sarebbe stato meglio approvare una legge che impedisce la clonazione degli invertebrati che stanno infestando le reti nazionali, francamente!
Il premier è diventato un problema, un peso per il suo stesso paese e l'opinione pubblica comincia a convincersene. Insieme il gruppo Mediaset e la RAI coprono il 97 per cento dell'informazione televisiva italiana ed entrambe, secondo l'Autorità delle comunicazioni hanno superato i limiti stabiliti dalla legge sulla raccolta pubblicitaria: la RAI con oltre il 30 per cento e Mediaset con oltre il 56 per cento.
Tale realtà è già uno scandalo in sé, ma lo è ancora di più se consideriamo che consente di perpetuare un duopolio che è palesemente in contraddizione con lo sviluppo di un sistema delle comunicazioni plurale, e quindi pluralistico. Dopo che il premier stesso ne aveva pubblicamente chiesto il licenziamento in una conferenza stampa tenuta in Bulgaria, la RAI, la televisione pubblica, ha cacciato i conduttori di tre importanti trasmissioni televisive, adducendo motivazioni risibili. Berlusconi controlla inoltre, tramite i suoi stretti congiunti per eludere la normativa antitrust, gran parte dell'informazione stampata. Grazie al suo potere mediatico, a quello politico ed al controllo diretto delle principali imprese pubblicitarie, di cui è anche proprietario, egli esercita un'ampia capacità di intimidazione anche su gran parte dell'informazione che non controlla direttamente.
Il risultato è che, salvo pochissime eccezioni, i media minimizzano sistematicamente il ruolo e le proposte dell'opposizione, mentre il profilarsi della campagna elettorale ci ha già regalato il vademecum
Cattaneo sui TG RAI, con il «panino» istituzionalizzato: un terzo dell'informazione al Governo, un terzo all'opposizione e un terzo alla maggioranza.
Se si considera che Retequattro è di fatto una monocolore forzaitaliota e che l'informazione Mediaset è a senso unico, possiamo affermare che siamo di fronte ad un serio pericolo per la libertà di espressione e di informazione, che sono poi il sale della democrazia.
Concludo ricordando un aspetto che mi sta particolarmente a cuore. In questi giorni - l'ho già detto in un intervento precedente - abbiamo avuto la possibilità di vedere direttamente cosa significhi il monopolio, cosa voglia dire il possesso ed il controllo dell'intero sistema radiotelevisivo. Vuol dire che a molte voci è negata la possibilità di esprimersi in televisione, per molte voci non vi è contraddittorio, per moltissime persone, per moltissime associazioni, per moltissime istituzioni e per moltissimi enti esiste solo una voce: quella del pensiero unico di Silvio Berlusconi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, poco fa, insieme al collega Innocenti, ho avuto notizia che domani mattina alle 10, in concomitanza con il voto che dovremo esprimere sul provvedimento in esame, sono state convocate le competenti Commissioni riunite per lo svolgimento di importantissime audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla vicenda Parmalat. Lei ricorderà che ieri sera - le cose non avvengono mai per caso - ho sollevato, proprio mentre presiedeva lei, esattamente la stessa questione. La polemica, anche garbata, tra Camera e Senato è di oggi. Si tratta di un'altra spruzzatina di pepe - diciamo così - che, certamente, non aiuta.
Vorrei chiederle con garbo, e so di poter contare sulla sua autorevole disponibilità, di attivarsi in tal senso. Non possiamo chiedere a colleghi che da tre giorni conducono un'opposizione durissima in aula di non partecipare alla votazione di domani perché contemporaneamente impegnati in un'altra importantissima espressione della funzione parlamentare. La Presidenza della Camera deve ottenere almeno mezz'ora di rinvio.
Signor Presidente, sono convinto che lei farà di tutto; però, a distanza di ventiquattr'ore, si ripropone un problema e si constata che è stato inutile sollevarlo. Sembra quasi che i colleghi del Senato vogliano attirare le nostre critiche!
Signor Presidente, confido nel suo autorevole intervento affinché domani mattina quanto detto non accada.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, non è pensabile che Commissioni lavorino in concomitanza con le votazioni in Assemblea. La convocazione delle Commissioni era stata fissata per le ore 10 di domani mattina, dato che ancora non si conosceva l'ora delle votazioni in aula, su richiesta dei Presidenti delle Camere e dei capigruppo all'unanimità. La fissazione per le ore 10 di domani mattina del voto in Assemblea incide, chiaramente, su tale intesa.
Riferirò immediatamente al Presidente Casini perché i lavori delle Commissioni vengano organizzati affinché vi sia il tempo necessario a consentire ai colleghi di votare in Assemblea. Mi sembra il minimo consentito.
ANTONIO BOCCIA. La ringrazio, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calzolaio. Ne ha facoltà.
VALERIO CALZOLAIO. Signor Presidente, sono un po' in imbarazzo perché lei, in questo momento, ci rappresenta tutti essendo il Presidente della nostra Assemblea. Tuttavia, è anche l'unico deputato
della maggioranza presente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Vorrei precisarle, onorevole Calzolaio, che in questo momento non sono un deputato della maggioranza, ma il Presidente pro tempore dell'Assemblea; quindi, rappresento tutta l'Assemblea.
VALERIO CALZOLAIO. Per questo la rispetto e l'apprezzo, Presidente; però nell'intervento che svolgerò, che è rivolto anche alla maggioranza, vorrei cogliere lo spunto iniziale da una sua dichiarazione, che è stata riportata da alcuni giornali. In tale dichiarazione (sicuramente la smentirà, magari non in questa seduta, ma in un'altra occasione) lei dice di ritenere che questa scelta (cioè la richiesta del voto di fiducia) nasconde una certa qual protervia nel voler continuare su una strada che non è quella del confronto, ma della riaffermazione solo del punto di vista del premier; per evitare sorprese su questo decreto, si corre il rischio di incrementare un disagio che esiste tra i deputati e che potrebbe trovare sfogo al prossimo voto segreto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
È ovvio, quindi, che nel breve argomentare...
PRESIDENTE. Questo è il deputato Publio Fiori, delle cui dichiarazioni non rispondo in questo momento.
VALERIO CALZOLAIO. Era il mio imbarazzo che volevo segnalarle, non il suo, nel senso che personalmente trovo molto giuste le sue affermazioni.
PRESIDENTE. Io non ho alcun imbarazzo.
VALERIO CALZOLAIO. Volevo, quindi, prendere spunto dalla sua dichiarazione proprio per segnalare come non sia tecnicamente corretto definire ostruzionistici questi nostri interventi e come ciò non aiuti a capire, anche alla luce delle dichiarazioni che ho citato.
Sappiamo bene che, se il vostro decreto-legge viene votato martedì pomeriggio 17 febbraio o, invece, venerdì mattina 20 febbraio, ciò non cambia la storia del nostro paese. Non pensavamo di impedire a questa maggioranza, arrogante e divisa, di far giungere a termine un provvedimento al quale il Presidente del Consiglio tiene molto. Lo scatto che abbiamo avuto, la cura, lo scrupolo, la dignità - lei, Presidente, ha ascoltato tanti interventi in quest'aula -, con cui tanti deputati hanno preparato un piccolo intervento (magari due, qualcuno anche tre), nella catena di montaggio che il regolamento prevede (un intervento dopo l'altro, attraverso un elenco certo non costruito), segnala qualcosa di diverso. Segnala che noi abbiamo colto un tornante di questa legislatura. Segnala che noi vogliamo dire al paese che è iniziato un conto alla rovescia e che invitiamo i colleghi della maggioranza a non sottovalutare l'unità che alla Camera, in questa occasione, con grande solidarietà reciproca, si è costruita fra tutte le opposizioni parlamentari, che si candideranno a sostituirvi alla guida del paese, pensando che i prossimi appuntamenti elettorali possano sanzionare un declino, che politicamente è già evidente.
Il vostro obolo a Fede domani diventerà legge. Fede ve ne sarà grato, ma potrà ricompensarvi poco più di quanto sta già facendo, visto che già vi assegna il 97 per cento dello spazio televisivo a sua disposizione. Ad ogni modo, avete trovato una soluzione per interessi diversi che non siano quelli del Presidente del Consiglio? Avete trovato una qualche risposta alla domanda di informazione, di libertà, di trasparenza? Non c'è un punto del cosiddetto contratto con gli italiani che avete rispettato: né quelli ideologici (la sicurezza, la modernizzazione), né quelli materiali (le opere pubbliche, la riduzione delle imposte), né quelli istituzionali. Questa prima metà della legislatura è stata caratterizzata da conflitti crescenti con le regioni e con i sindacati, con i medici e
con gli operai, con la Corte costituzionale e con la Presidenza della Repubblica; ed avete, in questa prima parte della legislatura, paralizzato il Parlamento. Lo avete paralizzato nel caso specifico del decreto al nostro esame, che ad avviso di Autorità indipendenti ed anche di molti parlamentari della maggioranza contiene norme contraddittorie, difficili da applicare, utili soltanto a procrastinare un termine previsto dalla Corte costituzionale, ma lo avete paralizzato anche in generale, sull'insieme dei provvedimenti approvati.
Vi sarà il momento del bilancio, ma adesso, signor Presidente, vorrei fare a lei due esempi, uno dei quali riguarda le politiche ambientali. Nel maggio del 2001 è stato espresso il voto ed a giugno è iniziata l'attività del secondo Governo Berlusconi. Il 9 agosto il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge, con il quale si chiedeva al Parlamento l'attribuzione di una delega per riscrivere tutte le leggi ambientali.
Dopo pochi giorni, il capo di gabinetto del Ministero dell'ambiente ha fatto presente a tutti i funzionari del ministero di interrompere ogni attività amministrativa, perché si era in attesa del riordino della materia e, pertanto, era preferibile non occuparsi al momento di nulla (si tratta di una circolare emanata dal Ministero dell'ambiente).
Sono trascorsi tre anni da quando è stato varato dal Consiglio dei ministri quel disegno di legge, ma il provvedimento concernente la delega non ha concluso ancora il suo iter. Alla Camera è stato votato in un modo, al Senato in un altro; è stato rinviato nuovamente alla Camera, dove sono state apportate ulteriori modifiche ed in Commissione al Senato è stato modificato nuovamente, contro le indicazioni di alcuni parlamentari che avrebbero voluto inserire norme a favore dell'abusivismo nei parchi. Il testo sarà nuovamente trasmesso alla Camera. La legislatura terminerà con una richiesta di delega e l'annullamento di ogni attività amministrativa di quel ministero.
Per quanto riguarda le questioni di politica estera, abbiamo atteso in Commissione per due anni il disegno di legge del Governo sugli istituti di cultura, sui Comites, sulla ratifica di vari trattati internazionali e via seguitando.
Poiché il Parlamento si sta paralizzando, alcuni di noi, deputati e senatori, svolgendo un'attività parallela, hanno promosso uno spettacolo che consentirà ad ogni parlamentare di leggere alcune frasi dei ministri in carica (lo presenteremo anche al controfestival di Sanremo). Anzi, se vuole, è invitato anche lei il 5 marzo a Mantova. È uno spettacolo in cui leggeremo esattamente le parole proferite dai ministri e le assicuro che gli spettatori, alcuni dei quali hanno espresso il voto a favore del centrodestra, condivideranno con noi un sentimento di vergogna e di imbarazzo nei confronti delle attività, delle dichiarazioni, del ruolo, dei ministri di questo Governo.
Quali leggi sono state approvate in questi due anni e mezzo? La legge sul falso in bilancio (ed abbiamo visto con quali conseguenze relativamente al caso Parmalat), la legge per salvare il premier ed alcuni suoi colleghi dal corso naturale della giustizia, leggi per far guadagnare alle aziende del premier, come nel caso del provvedimento in esame, o per premiare evasori, abusivisti ed inquinatori. Queste leggi sono andate in porto, mentre le altre, anche quelle legate al vostro programma elettorale, sono ancora al palo. Ma, nel contempo, è terminata la prima parte della legislatura ed è iniziata, con un conto alla rovescia, la seconda.
Per quanto ci riguarda, riteniamo che, all'origine di questa paralisi, vi sia il nodo del vostro Presidente del Consiglio. Non si è risolto quel macroscopico conflitto di interessi che lo riguarda e che doveva essere affrontato entro 100 giorni (comunque, se fosse stato affrontato, non avrebbe nemmeno consentito di salvare Retequattro). Egli deve ancora spiegare all'opinione pubblica quale sia stata l'origine delle sue ricchezze. Sono in corso vari procedimenti giudiziari nei suoi confronti, ma, nel contempo, il suo potere economico e mediatico consente di ricattare l'intera maggioranza.
Questo è stato evidente con riferimento all'approvazione di alcune leggi, ma ora vi sta impedendo anche di sciogliervi da quel torpore e da quel declino. Ovviamente, noi ce lo auguriamo ed, anzi, riscontriamo che vi sono alcuni segnali che ci aiuteranno a far sì che questo declino sia più efficace e forte del previsto.
Leggo sui giornali, sulle agenzie che pensate di porre la questione di fiducia anche sulla restante parte della legge Gasparri da esaminare in Parlamento, quella sulla quale siete andati quasi sotto con il voto segreto ed il cui esame è stato sospeso.
Leggo che volete cambiare i regolamenti parlamentari, i tempi della discussione (due giorni in più diventano un impedimento ai lavori del Parlamento), che volete riformare le norme sulla par condicio, mentre ci apprestiamo a vivere nei prossimi tre mesi un'invasione di manifesti con una faccia, sicuramente con il lifting, ma che è la stessa di due anni e mezzo fa, con un impegno di fondi, e la presenza settimanale a Radio anch'io che, ovviamente, contribuirà a far calare l'ascolto e l'audience della RAI, effetto indiretto utile alle aziende del Presidente del Consiglio.
Continuate con la protervia e l'improvvisazione, che sostituiscono il progetto che vi manca. Per questa ragione, abbiamo pensato di manifestare uno scatto di dignità, di unità ed orgoglio e stiamo costruendo un'unità faticosa e non scontata, ma con la fiducia che davvero le opposizioni possano presentare un programma alternativo di Governo e che questo vostro declino sia il più rapido ed il più netto possibile. (Applausi dei deputati del gruppo Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisa. Ne ha facoltà.
SILVANA PISA. Nei precedenti interventi ho criticato la mancanza di pluralismo, la concentrazione monopolistica, la concezione proprietaria della democrazia presente nella filosofia del decreto-legge in esame. Ora vorrei aggiungere che, con l'approvazione dello stesso, la maggioranza di centrodestra infliggerà un ennesimo colpo alla credibilità del paese e nel paese, credibilità già messa a dura prova dalle frequenti bordate euroscettiche del Presidente del Consiglio e dei suoi ministri, dal suo appoggio ingiustificato alla guerra unilaterale e preventiva di Bush contro l'Iraq, mettendo a disposizione le basi durante la guerra ed un contingente militare durante l'occupazione militare, rinunciando alla costruzione di una comune politica di pace con Francia e Germania. Tale credibilità è stata messa in discussione dal fatto che l'Italia è uno dei pochi paesi europei in cui l'introduzione dell'euro ha significato aumento dell'inflazione per la rinuncia ad azioni di controllo, salvo poi scaricare la responsabilità su altri.
Per quanto riguarda il decreto in esame, non è stata risolta l'anomalia italiana del conflitto di interessi: secondo l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea - organismo di cui fanno parte 53 paesi europei, oltre a Stati Uniti e Canada -, la politica delle comunicazioni del Governo Berlusconi costituisce un rischio concreto per l'Italia, un oltraggio alla storia delle democrazie mature ed un pessimo esempio per le nuove democrazie dell'est.
Questa mancanza di credibilità del paese ha conseguenze rilevanti: non solo l'Italia è stata esclusa dal direttorio europeo che si tiene in questi giorni, ma siamo il paese industrializzato che meno attira capitali esteri, nonostante le belle segretarie tanto decantate da Berlusconi. Gli investimenti delle multinazionali, nel 2002, sono diminuiti del 44 per cento, praticamente dimezzati; l'industria italiana, una volta ben collocata nel resto del mondo (chimica, farmaceutica, informatica, elettronica, aeronautica), si sta progressivamente smantellando. I livelli di istruzione, di ricerca scientifica e tecnologica, sono tra i più bassi d'Europa. Nelle quote di esportazione mondiale dei prodotti tecnologici ci attestiamo al 2,5 per cento, rispetto
al 6 per cento della Francia e all'8 per cento della Germania. Si potrebbe continuare.
La credibilità è diminuita anche nel paese: di questo, le opposizioni potrebbero essere soddisfatte, se non fosse che mettere le istituzioni al servizio dei propri interessi privati contrasta e distoglie dal perseguimento dell'interesse del paese, che a noi sta a cuore. La concentrazione del potere politico, economico e mediatico nelle mani del Presidente del Consiglio è già di per sé una vistosa anomalia, rispetto ad una democratica separazione dei poteri, anche se ci viene continuamente ripetuto che gli elettori, quando hanno votato, lo sapevano, come se il voto costituisse di per sé una sanatoria.
Quando a questa consistente ferita si aggiunge che le istituzioni, il Parlamento e il Governo, per quasi tre anni si sono occupati principalmente di curare e difendere gli interessi materiali del Presidente del Consiglio, anziché i problemi sempre più gravi del paese, allora la situazione diventa veramente critica. Siamo di fronte ad un paese in crescente difficoltà materiale, ad un declino industriale in aumento - con pesanti ricadute sull'occupazione, poiché quando non c'è lavoro, non c'è reddito -, ad una coesione sociale che si sfalda; ma il Presidente del Consiglio si reca nel salotto di Bruno Vespa e sostiene, senza nessun contraddittorio politico, che il cosiddetto contratto con gli italiani stipulato prima delle elezioni è stato rispettato e che occupazione e benessere economico sono cresciuti. Ed afferma - come Pangloss nel Candide - che tutto va nel migliore dei modi. Solo che gli italiani, anche quelli che hanno sognato con lui, hanno ormai capito che la vita è sogno solo per Calderon de la Barca: in realtà, vanno al mercato e non riescono a fare la spesa, vedono ridotti i servizi pubblici, a stipendi reali sempre più bassi corrispondono lavori sempre più precari, con un complessivo aumento della conflittualità (come dimostra il caso di Milano).
Non solo i poveri aumentano di numero, ma si allarga la forbice delle disuguaglianze: i poveri sono sempre più poveri, mentre i ricchi sono sempre più ricchi, e tra questi è sempre più ricco il Presidente del Consiglio, grazie alle leggi del suo Governo, che proteggono i suoi affari, di cui la proprietà delle reti televisive costituisce parte rilevante, anche se non esclusiva. Per questo sono stati eletti dei funzionari di Publitalia, versione aziendale dei tanto criticati funzionari di partito; ma, permetteteci di dire, altra è la selezione! Sono stati eletti molti avvocati del Presidente del Consiglio, che usano nei processi contro il Presidente del Consiglio leggi a suo favore che essi stessi, come parlamentari, propongono e fanno approvare. Questi avvocati e parlamentari spesso siedono nei salotti televisivi delle reti del Presidente del Consiglio e di quelle pubbliche, controllate dal Presidente del Consiglio, continuando a difenderlo senza un vero contraddittorio.
Insomma, il funzionamento del sistema televisivo ha operato un corto circuito mezzi - fini, che costruisce un sistema complesso di scatole cinesi da far invidia alla P2. Per tutte queste ragioni, signor Presidente, e per le tante altre motivate in questi giorni di lavori serrati, voteremo contro il provvedimento in esame, per stigmatizzare la vergogna di una maggioranza che chiede la fiducia su un decreto che riguarda solo gli interessi del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzarello. Ne ha facoltà.
GRAZIANO MAZZARELLO. Presidente, voteremo contro il decreto-legge in esame, ma abbiamo la speranza che la nostra impegnata battaglia abbia fatto capire a qualche collega della maggioranza - anche se i deputati del centrodestra non frequentano molto l'Assemblea - l'errore molto serio che stanno compiendo, cioè quello di bloccare il Parlamento per far approvare un provvedimento che difende l'interesse personale del Presidente del Consiglio.
Lo hanno capito molti italiani e questa nostra iniziativa è servita a farlo comprendere.
Gli italiani hanno capito che si blocca ancora una volta il Parlamento, lo si fa discutere intorno agli interessi specifici del Presidente del Consiglio - come, per la verità, è accaduto molte volte nei mesi scorsi -, mentre non si discute e non si affrontano i problemi veri del paese. Li abbiamo ricordati in questa nostra lunga discussione: quelli dei lavoratori che rischiano il proprio posto di lavoro, quelli delle famiglie che non riescono a giungere alla fine del mese, quelli delle tante famiglie che aspettano il rimborso del fiscal drag. Mi riferisco a coloro che non possono evadere il fisco, ma che devono pagare fino in fondo le tasse, che anzi pagano di più di quanto dovrebbero. Invito il Governo a varare un decreto affinché le famiglie, i lavoratori, i pensionati possono recuperare il fiscal drag, senza soffermarsi sugli interessi ristretti del Presidente del Consiglio.
Abbiamo ricordato come nel paese ci siano tanti genitori impegnati nella battaglia per bloccare e modificare le misure varate dal ministro Moratti, che taglia il tempo pieno nelle scuole; abbiamo ricordato la battaglia dei docenti dell'università italiana per aprire una nuova prospettiva all'università stessa. Oggi possiamo ricordare che il Governo ha presentato un'altra proposta «taglia pensioni», che impone ad un lavoratore che ha cominciato a lavorare a 15-16 anni, che ha svolto un lavoro duro, di arrivare all'età di 60 anni prima di poter andare in pensione.
Non si discute di tutto questo, ma di un decreto che porta subito in tasca 165 milioni di euro di pubblicità al Presidente del Consiglio. Questa è la cosa che ha colpito molti italiani, molti nostri connazionali che credo siano - e lo abbiamo sentito - molto amareggiati e scandalizzati, anche perché si sono trovati di fronte ad un Presidente del Consiglio che attacca la Corte costituzionale perché si è permessa di mettere in discussione i suoi interessi personali. Questa è una situazione da pelle d'oca, è una situazione spaventosa. Sembra chiaro che si sta affermando un'impostazione preoccupante da parte dello stesso Presidente del Consiglio e spero che questo faccia riflettere molti colleghi della maggioranza.
Visto che i tentativi sulle leggi più gravi - come le rogatorie, il lodo Schifani e molte altre - non sono del tutto riusciti grazie alle battaglie nel Parlamento e nel paese, ma anche al ruolo che hanno avuto le istituzioni di garanzia, la linea del Presidente del Consiglio sembra essere chiara nella direzione scelta: ora l'attacco è alle istituzioni di garanzia. Tuttavia, questo rompe il paese e crea uno sconquasso gravissimo. Voi politici della maggioranza, nonostante la subalternità agli interessi del capo, dovete anche difendervi dalle accuse di essere ladri che egli stesso vi rivolge. Subalterni e sotto accusa: vi difenderete! Certo, è una bella predica da uno che è diventato ricchissimo grazie alle scelte e alle protezioni di politici che non sono certo risultati «stinchi di santo» nel nostro paese. Credo che questo dimostri il nervosismo del Presidente del Consiglio, che si sta accorgendo che gli italiani hanno capito e stanno comprendendo come nessuna delle promesse firmate nel famoso contratto degli italiani sia stata portata a compimento, e che esiste solamente - e il Parlamento è costretto a discutere continuamente di questo - la difesa dei suoi interessi.
Poi, avete predisposto il decreto che viola la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002 e che non tiene conto delle indicazioni del Presidente della Repubblica. Inoltre, l'avete persino peggiorato, per fare in modo che l'Autorità di controllo - che tra qualche mese dovrà fare una verifica sul pluralismo che si sarà determinato nel paese - non possa arrivare ad una conclusione. Credo che nei prossimi giorni anche questo vada raccontano agli italiani e a chi ci ascolta. In questo decreto avete introdotto degli ulteriori elementi peggiorativi, presentando in Senato emendamenti di questo tenore: la parola «raggiunta» è sostituita dalla parola «coperta»; per dire che non è necessario che il segnale raggiunga e sia visto dai cittadini, ma è sufficiente che sia proiettato e lanciato: per voi il pluralismo
può essere anche virtuale. Inoltre, avete scritto che la copertura nazionale è tale anche quando raggiunge il 50 per cento della popolazione. Quindi, con i vostri emendamenti al Senato avete determinato un ulteriore peggioramento del decreto-legge. Poi, avete introdotto altri cambiamenti, con la frase che dice che la presenza di questa situazione di pluralismo va verificata anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato: anche in questo caso si costruiscono le condizioni perché l'Autorità di garanzia non possa avere parametri certi per giudicare e disponga invece di parametri labili per fare in modo che, appunto, gli interessi personali del Presidente del Consiglio risultino sempre al primo posto nell'organizzazione del sistema informativo del nostro paese.
Quindi, noterete quanto sia grave e pesante il provvedimento che volete approvare. Il ministro Gasparri, un altro dei fedelissimi, ha detto che, intanto, questo provvedimento arriverà in porto: può darsi che arrivi in porto, può darsi che domani la maggioranza voti questo provvedimento, ma sicuramente gli italiani, anche da questa nostra iniziativa, avranno capito la situazione grave e pesante in cui state portando il paese e come sia necessaria in Italia una vera e rapida alternativa di Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tocci. Ne ha facoltà.
WALTER TOCCI. Signor Presidente, il voto di fiducia sul decreto in esame rappresenta una svolta nell'azione di Governo di Berlusconi. Probabilmente, quando fra qualche anno gli analisti ricostruiranno la storia e la vicenda politica di Berlusconi, individueranno proprio in questo passaggio il momento della sua escalation. Berlusconi risponde alle difficoltà avvitandosi su se stesso. La fiducia che avete imposto al Parlamento sembra una prova di forza, ma è la più grande manifestazione di debolezza dei vostri primi mille giorni. Sussiste un solo motivo per questo voto di fiducia: il Governo ha paura dei 50 deputati che nel voto segreto hanno voluto lanciare un monito e hanno rivolto un invito alla riflessione ai partiti della maggioranza.
Quindi, quei 50 deputati hanno inteso sollecitare una riflessione politica nella Casa delle libertà, ma in quella casa ogni cosa è lecita tranne la libertà. Il ministro Gasparri ha definito quei 50 deputati con un'espressione forte, ha detto che sono dei cialtroni: povero Gasparri, quando si arriva a insolentire la propria gente, vuol dire proprio che si è persa la bussola. Quando un Governo arriva ad avere paura dei deputati di maggioranza, vuol dire che la malattia è grave; quando un leader reprime la discussione, vuol dire che ha la forza, ma non più il prestigio. Per dirla con le parole di Ferrara, Berlusconi regna ma non governa. Avreste fatto meglio, prima di tutto nel vostro interesse, a raccogliere il segnale di allarme che hanno lanciato i franchi tiratori. In fondo, volevano dirvi una cosa molto semplice, che, probabilmente, hanno udito tante volte dai loro elettori: non regge più un Governo che si impegna allo stremo quando sono in gioco gli interessi del capo e rinvia i problemi, cerca alibi e ritarda gli adempimenti quando si tratta dei problemi dell'Italia.
La gente non tollera più questa doppia velocità: lo scatto di un centometrista per gli affari privati e la lentezza di una tartaruga per l'interesse pubblico. Questa doppia misura crea rabbia e preoccupazione nel nostro elettorato, ma anche disagio, delusione, forse ripensamento in milioni di italiani che hanno votato per la Casa delle libertà. Questo volevano dirvi i vostri deputati: sarebbe stata una prova di saggezza ascoltare quell'allarme e sarebbe stata una prova di realismo evitare la prova di forza. Il realismo è tenere conto dell'orientamento profondo dell'opinione pubblica; invece, non fare i conti con la realtà e imporre i propri schemi agli altri è l'essenza della posizione estremistica.
Voi siete in preda ad un'irrefrenabile estremismo politico. Voi, sedicenti moderati, avete portato al Governo l'estremismo,
come mai era successo in Italia. Nella prima Repubblica mi era capitato di fare l'opposizione per tanti anni al partito della Democrazia cristiana. Ma proprio per questo sento oggi in quest'aula l'esigenza di sottolineare quello che ha detto con tanta passione l'onorevole Boccia poco fa. Sì, è vero, ha ragione l'onorevole Boccia, nessuno dei tanti Presidenti del Consiglio della Democrazia cristiana si sarebbe mai sognato di portare in Parlamento un decreto come questo.
Ora questa spirale estremistica che pervade la vostra politica produce danni al paese, a voi stessi e persino, a mio avviso, alle aziende di Berlusconi. Sì, alla lunga produce anche un danno a Mediaset. Un'azienda normale, come quella di tanti piccoli imprenditori italiani, quando riceve da un qualsiasi tribunale un ordine cerca di rispettarlo. L'azienda del capo ha ricevuto dalla Corte costituzionale - non da un qualsiasi tribunale - una prescrizione precisa che riguardava Retequattro e da sette anni non rispetta questa prescrizione producendo un danno mortale ad altri imprenditori che hanno diritto a quelle frequenze. C'è un'altra impresa in Italia o in Europa che riceva tanti favori politici come questa? No, non ci sono purtroppo esempi analoghi. Eppure la storia ci insegna che, quando un'impresa riceve eccessive protezioni, alla lunga si indebolisce e arriva alla crisi. Quando un'impresa evita per tanti anni una vera concorrenza, un vero mercato aperto, si adagia in quella situazione, si vizia e alla lunga non può che declinare. Mediaset oggi si trova molto vicina alla situazione di certe aziende come i kombinat sovietici che si sciolsero come neve al sole quando venne meno il regime che li aveva creati. Verrà un giorno, forse, che toccherà a noi trovarci a difendere i lavoratori di Mediaset forse in pericolo per i guasti prodotti dal proprietario, come oggi con i lavoratori di Parmalat rispetto al proprietario Tanzi.
Sì, le imprese sono più importanti dei loro proprietari e Mediaset sarebbe una risorse importante per l'Italia se non fosse ingabbiata nelle maglie sempre più strette della famiglia Berlusconi. L'Italia avrebbe bisogno nella produzione audiovisiva e multimediale di una impresa libera, impegnata nella concorrenza, aperta alla competizione internazionale. Negli Stati Uniti la produzione audiovisiva costituisce la voce più importante del prodotto interno lordo. E anche l"Italia nel suo piccolo potrebbe fare in questo settore cose molte importanti. Qui, come è accaduto nel cinema negli anni Cinquanta, una certa genialità italiana potrebbe esprimersi al massimo livello internazionale, con la nostra creatività, con il nostro saper fare, con una cultura profondamente radicata nel costume che è tratto distintivo della nostra vicenda nazionale. Eppure proprio questo settore così importante nell'economia moderna è ingabbiato, frenato dal protezionismo dell'onorevole Berlusconi. Anche per questa via quindi state mettendo in sofferenza un settore importante dell'economia italiana, anche per questa via contribuite al declino produttivo del paese.
Ma il guasto più grave che state producendo è nel tono civile del paese. Potete girarlo come volete, Berlusconi può fare tutte le piroette propagandistiche in cui è maestro ma questo decreto è visto da tanti italiani come una truffa, un raggiro, un imbroglio. Quando a Palazzo Chigi, invece di governare, si architettano gli interessi privati del capo, succedono due cose nella coscienza civile del paese: gli italiani onesti guardano a questi fatti con indignazione, con sfiducia, con diffidenza; c'è poi una piccola minoranza di italiani, la quale invece è abituata a non rispettare le regole, che viene incoraggiata a fare sempre peggio dall'esempio negativo che proviene da Palazzo Chigi. Sarà forse per questo che nella recente indagine sulla situazione dell'ordine pubblico in Italia è emerso un dato clamoroso ed inspiegabile secondo gli analisti, cioè che in due anni è aumentato del quaranta per cento il livello delle truffe nel nostro paese. Però gli italiani sono brava gente e cominciano a stancarsi di questi metodi, e sicuramente faranno sentire la loro voce alle prossime elezioni.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caldarola. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CALDAROLA. Mi ha colpito, e mi è capitato anche di scriverne su qualche giornale, una affermazione recente del presidente dell'azienda Mediaset, l'azienda per la quale praticamente legifera questo Parlamento. L'affermazione di Fedele Confalonieri diceva che siamo quasi alle viste di una sconfitta elettorale, dopo la quale ci sarà in questo paese una nuova Piazzale Loreto. Ora è del tutto evidente che si tratta di una affermazione paradossale e priva di alcun contenuto. È del tutto evidente che non c'è alcuna ragione, nella prospettiva, che anche io considero abbastanza vicina, di una sconfitta elettorale del centrodestra, che si abbia paura di noi, della nostra gente. Però credo che quella frase di Fedele Confalonieri sia rivelatrice di una cosa. Rivela, secondo me, l'affacciarsi di una paura, di una sensazione, di un rumore di fondo che c'è nella società italiana e che riguarda certo la nostra gente, quella che ci ha votato e tornerà a votarci, ma anche una parte importante dell'altra, di quella che non ci ha votato. Io direi, se ci fossero i colleghi dell'altra parte, della vostra gente che comincia a non sopportare più questa situazione.
Questa situazione è definita in particolare da un dato che esprime una idea di fondo, un concetto di questa legislatura, per tanti aspetti una vera e propria novità. Siamo di fronte in questo paese, in democrazia, ad una manifestazione inaudita di politica senza limiti. È un'idea del tutto nuova che contrasta anche con altri periodi in cui la politica è stata importante. Noi abbiamo conosciuto l'onnipotenza della politica, la sua pervasività, persino l'affermazione, che conteneva un dato culturale importante, del suo primato. Stiamo parlando ovviamente di modelli attuabili in democrazia, in quanto c'è una onnipotenza della politica che si realizza fuori dalla democrazia, ma non è di questo ovviamente che vogliamo discutere. L'onnipotenza della politica in democrazia ha conosciuto tante manifestazioni: il partito identitario, il partito comunità che regola e disciplina i comportamenti individuali. Sono questi segni di onnipotenza contrastabili attraverso lo spirito laico, una lotta alle ideologizzazioni spinte. Però sono tutti fenomeni che fanno parte anche di una crescita civile della nostra democrazia. Ci sono state nella onnipotenza della politica anche manifestazioni di carattere totalmente negativo: i partiti come apparati chiusi, ovvero, nel rapporto fra economia e politica, il partito della spesa pubblica, con la sua pervasività odiosa, col tentativo di organizzare, di rendere subalterna una grande parte del paese e, in particolare, quella da cui io provengo e di cui mi sento figlio: il Mezzogiorno.
GIUSEPPE CALDAROLA. Qui invece, grazie al centrodestra, assistiamo ad un passaggio che non ha persino nessun raffronto con quella onnipotenza della politica a cui ho fatto cenno e che per tanti aspetti abbiamo criticato nella prima Repubblica. Qui, grazie al centrodestra e al suo leader, siamo ad una svolta. È in effetti una svolta perché Berlusconi è una novità. La novità è questa: la politica potente, la politica che non conosce più alcun limite. La sua specificità, la specificità di una politica senza limiti è che adotta obiettivi illimitati e mezzi illimitati. In questo caso i mezzi sono davvero illimitati.
Basta vedere il trattamento mediatico dell'informazione elettronica assegnato a questa vicenda parlamentare, per tanti aspetti così clamorosa (tutte le opposizioni unite, al quarto giorno di ostruzionismo). È una cosa che, pur essendo un vecchio e trentennale giornalista, mi impressiona.
Ma l'onnipotenza della politica sta nel fatto che deve prevalere un solo soggetto economico, che, per via di questa prevalenza, accomuna risorse e vantaggi contro i suoi concorrenti, quelli del suo stesso settore.
Tra le affermazioni di oggi di Silvio Berlusconi, che trovo francamente gravi
ma divertenti, una mi colpisce. Egli assegna alla pubblicità, di cui è produttrice la sua azienda, il ruolo di motore dello sviluppo. Ne abbiamo sentite tante ed io sono tra quelli che considerano la pubblicità un dato dell'economia moderna, ma da qui a dire che la pubblicità sia uno dei fattori della produzione, ci vuole un bel cervellino! Non è una cosa facile da realizzare (ma forse la collega Laura Pennacchi, che ha più competenza di me, ne ha sentito parlare).
In questa forma, mi pare che siamo di fronte a un dato, francamente, originale. Questo soggetto economico ha accumulato vantaggi e risorse nei confronti dei suoi concorrenti, ormai da anni e anche nel corso di questo dibattito parlamentare, ma tutto fa capo ad un solo politico, il quale, attraverso l'accumulo di queste risorse, ottenute esse stesse grazie ad una politica senza limiti, falsa il gioco democratico!
Ora, l'onnipotenza di questa politica è figlia di un trucco, perché nasce nei bassifondi della politica. Io non sono fra quelli che considerano l'intera esperienza della prima Repubblica, a cui hanno fatto riferimento alcuni colleghi, come qualcosa da buttare via. Assolutamente no! C'è però una parte della storia della prima Repubblica che costituisce un'esperienza da buttare via e questa parte coincide con l'ascesa dell'attuale Presidente del Consiglio.
L'onnipotenza di questa politica è quindi figlia di questo trucco, nasce nei bassifondi della politica ma assume questa caratterizzazione di vestito di antipolitica. Di qui, l'affermazione che i politici sono ladri, che è stata richiamata più volte questa sera, e che sono nullafacenti. C'è anche un politico che si è affrettato a dargli ragione, dimenticando che egli stesso - ho visto la sua biografia - è un nullafacente: mi riferisco al suo portavoce, Sandro Bondi.
Insomma, in questa antipolitica, che è un po' la malattia di questa fase della vita italiana, si crea un circuito malato che si allontana persino dai tradizionali modelli carismatici ma configura un nesso del tutto originale fra interesse privato e statualità. Questo è il Berlusconi di oggi: la coincidenza, abbastanza singolare in un sistema democratico, fra statualità e interesse privato!
Io penso che questo sia un danno per la democrazia, un rischio per la democrazia, ma che prefiguri anche l'avvicinarsi di una crisi drammatica di questo sistema politico perché in un sistema politico in cui uno dei contraenti modifica così profondamente le regole del gioco a suo favore, in cui ci si avvale, in modo così disinvolto, della propria potenza economica e mediatica per dettare un'agenda parlamentare, si prepara la dissoluzione del sistema politico medesimo.
Mi chiedo se i teologi di Forza Italia abbiano colto che dietro questa crisi che si avvicina vi è la traccia di una crisi rovinosa che riguarda il loro campo e che può trascinare verso un destino irrimediabile e drammatico l'intero paese.
Poco fa, il collega Fumagalli faceva un riferimento molto pertinente. Avvertiamo, infatti, come questa politica senza limiti stia in qualche modo drammaticamente corrompendo il senso comune di una parte della nostra gente, stia corrompendo l'identità nazionale. Vi è una parte aggressiva e agguerrita contro un'altra parte (penso a un interlocutore oggi assente, come la Lega).
Quando siamo di fronte a vicende parlamentari come quella di oggi, dove si cerca di imporre - e si imporrà, per la forza dei numeri che qui non è visibile ma che esiste - un controllo pieno da parte di un partito sul Governo e di questo sul Parlamento, ritengo che siamo vicini alla fase finale di tutta questa vicenda.
Una fase della quale il paese non vede l'ora ormai di liberarsi. Ritengo che stiamo arrivando davvero ad un capolinea, soprattutto per alcune reazioni abbastanza disinvolte, che prima ho definito ridicole ma che sono anche, per tanti aspetti, isteriche da parte del premier.
Non credo che un uomo politico, che ormai è sulla scena da dieci anni, soprattutto, come ha dichiarato Panorama,
«esperto di marketing», possa illudersi di vincere tutte le campagne elettorali con lo stesso schema elettorale.
A questo punto è tutto noto, non solo lo schema elettorale, non solo l'approccio, al paese ma il dato di fondo: il paese al quale lui si rivolge ormai lo conosce e sa che egli non è in grado di governare (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, molti dei colleghi che sono intervenuti in questi giorni hanno fatto un riferimento fortemente critico all'assenza di rispetto per le istituzioni che il premier continuamente ci riserva. Ritengo che questi colleghi sbaglino, errino per una ragione molto semplice: l'assenza di rispetto, infatti, presuppone il riconoscimento.
Credo invece che ci troviamo, per la prima volta nella storia della democrazia italiana, anche di quella contrassegnata da asperrimi conflitti fra parti diverse, in un mondo che era fortemente segnato dalla guerra fredda, dall'esistenza dei muri e dalla contrapposizione dei blocchi, di fronte ad un fenomeno inedito. In fondo, al Presidente Berlusconi questo continuo agitarsi, la necessità di dover «passare» per il Parlamento, di dovere «giustificare» i propri atti, di dover guadagnare l'approvazione di un testo, di dover richiedere una firma presidenziale e poi, addirittura, di dovere vedere una legge, ormai approvata dal Parlamento, essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale (a nulla vale il riferimento storico per cui centinaia di leggi approvate dal Parlamento sono finite davanti alla Corte costituzionale senza che mai nessuno si sognasse di obiettare su tale passaggio), tutto questo pare insensato!
Ebbene, non ritengo che questo atteggiamento gli derivi da una mancanza o da un'assenza di cultura generale - avrà probabilmente fatto i suoi studi presso qualche prestigioso collegio e guadagnato la sua laurea in giurisprudenza - ma la verità è che, nella sua concezione politica, che poi imprime come un marchio alla sua coalizione, è assolutamente inesistente il senso di che cosa sia una democrazia vivente!
Non esiste nella sua concezione l'idea che la democrazia sia fatta di regole, di vincoli, di libertà ma anche di contrappesi, di fatica, necessaria per raggiungere e attuare le decisioni. Non esiste nella sua concezione l'idea che la democrazia sia un meccanismo, che non è soltanto noto, coltivato e protetto nei paesi più importanti del nostro sistema democratico occidentale, ma è anche l'unico modo in cui la volontà dei molti - dei tanti - che pure pensano e votano diversamente può avere pienamente soddisfazione.
Ora, è fin troppo chiaro che, in questi ultimi giorni, i ripetuti attacchi alla Corte costituzionale e i precedenti attacchi, talvolta segnati addirittura dalla gravità delle accuse e dei termini usati, sono tutti funzionali ad una campagna elettorale già cominciata e che, evidentemente, sono stati scelti sulla base di uno studio della comunicazione, oltreché di un istinto, di un fiuto del Presidente del Consiglio, come argomenti utili per mettere in evidenza l'unico, l'uomo, l'essere, il capo, che tutto può, forse l'unico che tutto può. Ma non si rende conto, il Presidente del Consiglio che, nel fare questo, egli nega se stesso, la sua funzione, la stessa possibilità di avere cittadinanza nell'ambito di una democrazia costituzionale, nel senso che - ovviamente, nessuno contesta né la legittimità della sua Presidenza né la legittimità del suo governare - questo modo di stare alla guida del paese è, in sé, un fenomeno alieno. Egli crede, da solo, di poter imprimere tutto.
Ora, al di là dell'ambizione - che è stata d'altri in passato e che o non ha sortito buoni frutti, oppure appartiene ad un altro campo, quello dello spirito supremo -, credo che questa interpretazione solitaria, alla fine, rischi di lasciarlo solo. E non si irriti, Presidente, ma talvolta l'impaccio che forse avverte - anzi, che certamente avverte - in alcuni suoi interlocutori
più vicini, i leader di alcune forze politiche della sua coalizione, non è dovuto al fatto che sono invidiosi o capricciosi, o vogliono solo far valere le ragioni del proprio partito rispetto a quelle di Forza Italia, ma talvolta - anzi spesso - al fatto che non la capiscono, nel senso che davvero lei sta tramutando la semantica stessa del vivere democratico, della possibilità del colloquio tra forze politiche dello stesso schieramento, accomunate dal fatto che governano insieme.
Oggi, ad un certo punto, da Atene sono rimbalzate le dichiarazioni sui politici che fanno chiacchiere e rubano lo stipendio ai cittadini; le dichiarazioni dell'onorevole Follini - che, devo dire, mi aspettavo e mi aspettavo anche che avessero quel registro -, ma anche quelle dell'onorevole La Russa che mi hanno interessato. L'onorevole La Russa ha detto che non si può generalizzare, che ci sono politici che fanno bene la politica e la fanno nell'interesse generale, ma ve ne sono altri che non la fanno, sempre (sempre educato, diciamo) nell'interesse generale.
Anche questa determinazione caparbia nel considerare il proprio singolare interesse come centro del mondo - tutto è coerente con l'avvertire se stesso come centro del mondo - sta stretta, o troppo larga, e appare invasiva, preoccupante. E comunque, gli schemi della democrazia (l'idea che debba esserci un patto sociale, dei valori condivisi, un recinto entro cui muoversi, i limiti e i contrappesi, le funzioni diverse, la separazione dei poteri) la avvertono come assai pericolosa e ambigua.
E poi anche questa svalutazione della politica! Io appartengo alla schiera dei tantissimi che, qui dentro, si sono guadagnati il pane e che, comunque, sarebbero in grado di guadagnarselo altrimenti che con la politica. Ma non è questo il punto; non voglio fare retorica. Però veda, Presidente Berlusconi, in questo paese c'è stata gente che ha fatto il politico di professione. Non voglio fare i nomi perché la lista sarebbe troppo lunga, ma sarebbe una lista di soggetti (che, indifferentemente, avrebbero potuto avere o hanno avuto un posto in questo emiciclo, quella che una volta si chiamava classe dirigente politica) che probabilmente nella vita avevano fatto anche soltanto i politici o i funzionari di partito. Ma quanto sono stati capaci di costruire in termini di ideazione, di progettazione, di speranza e di ambizione per questo paese, di sentire collettivo, di capacità di intercettare ciò che nel paese si muoveva e di assecondarlo! Ebbene, tutto ciò ha fatto grande il nostro paese.
Francamente, rimango un po' stupita perché mi pare che questo complesso di atteggiamenti, in fondo, confermi un'idea che talvolta è sembrata miserabile da rappresentare e da nominare, e cioè che si scende in politica per farsi gli affari propri, si ha disprezzo per la politica, non si condividono il valore e la funzione delle istituzioni, mal si sopporta il dover confrontare le proprie opinioni e decisioni anche all'interno della propria maggioranza. Ma allora perché, se non per far trionfare il proprio interesse particolare? Ciò è esattamente la negazione della politica. In questa chiave - forse sì - si spiega l'insofferenza del Presidente del Consiglio. Però, veda, non sempre può passarla liscia.
Noi concluderemo l'ostruzionismo domani mattina, quando voteremo, ma il segno di ciò che è accaduto in questi giorni e anche il «no» che esprimeremo su questo provvedimento, in qualche modo, imprimeranno un inciampo, che spero diventi una valanga sulla strada del Governo Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.
GRAZIA LABATE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la mia dichiarazione di voto preannuncia un voto ovviamente contrario sul disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame. E lo preannuncio con una grande amarezza nell'animo.
Ciò che è avvenuto in questi giorni in Assemblea denuncia interrogativi profondi
e io, con molto orgoglio, rivendico questa battaglia ostruzionistica, perché tale decisione ha preso le mosse dalla constatazione che uno dei diritti fondamentali dell'individuo in una società moderna, il diritto all'informazione, al rispetto della libertà e della pluralità del pensiero, viene di fatto calpestato con l'atteggiamento della maggioranza e di questo Governo.
Il collega Giannicola Sinisi, ieri, nel suo intervento ha fatto una dottissima disquisizione intorno al tema della libertà di cui, pure, questa maggioranza si fregia nell'ambito della sua coalizione di Governo. Per dirla in sintesi, quindi, la libertà chiama in causa un'altra variabile fondamentale, la responsabilità, altrimenti la libertà non esiste; altrimenti è come tornare alla giungla, al sopruso. Credo che, al di là delle parole dell'opposizione, sia la società italiana che si sta interrogando su quanto poco voi rappresentiate un Polo delle libertà.
Non sono passate due settimane da quando quest'Assemblea ha discusso un'importante provvedimento che avrebbe potuto consentire alle coppie italiane - quelle, purtroppo, non baciate da un destino felice, da una natura benigna - di realizzare una propria aspirazione, quella di diventare genitori, di avere un figlio. Anche in quel caso, con la stessa protervia e con la stessa arroganza, avete imposto che il Parlamento italiano non esercitasse pienamente la sua funzione legislativa nel rispetto delle regole democratiche e del senso della laicità dello Stato, ma avete imposto una limitazione alla libertà degli individui addirittura votando, con la vostra maggioranza, una legge etica che impone un pensiero, un'ispirazione di una parte a tutto il paese.
Per questo, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, signor Presidente, dicevo che la constatazione di questi giorni mi porta ad una profonda amarezza, ad un senso di scoramento nel vedere le regole democratiche, così soventemente, in questi due anni e mezzo, calpestate, usate a colpi di maggioranza, addirittura derise, persino nei confronti del massimo organo a tutela delle nostre garanzie: la Corte costituzionale.
Vorrei ritornare ai fatti. La sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002 stabilisce che una rete televisiva deve cessare di essere trasmessa in chiaro, in via analogica. Non dice che occorre spegnere, impedire di trasmettere, chiudere. Eppure, voi, con questo decreto, stravolgete anche il senso di tale sentenza; anzi, se posso essere molto franca, ve ne infischiate.
Ci avete, infatti, presentato un decreto-legge che, di fatto (l'hanno affermato molti colleghi in quest'aula), esplicita il più grave degli errori sotto il profilo della violazione della democrazia e della libertà. Si tratta di un conflitto di interessi che è l'interesse stesso del Presidente del Consiglio. Tradotto in cifre: 165 milioni di euro nelle casse di Mediaset.
Questa vi sembra polemica dell'opposizione? Vi sembra spirito di parte? Vi sembra un'ottusa volontà di non entrare nel modo con cui voi preparate i decreti-legge ed introducete nuove regole e nuovi principi? Credo che i numeri non abbiano ideologia. È questo il segno più tangibile, reale, per la società italiana di ciò che voi fate, usando le leggi e le istituzioni democratiche.
Non credo che i cittadini italiani si siano dimenticati, finora, per quanto tempo avete tenuta aperta quest'aula (e quella dell'altro ramo del Parlamento) per varare leggi ad personam, tutte gravitanti intorno al concetto di stabilire le nuove regole per il falso in bilancio, di approvare decreti sulle rogatorie internazionali, di minare alle radici il sistema fondamentale della giustizia nel nostro paese.
Questo grande equivoco, questo grande problema che costituisce l'anomalia italiana, il conflitto di interessi (al di là dell'iscrizione al punto 12 del vostro programma elettorale), non è stato ancora risolto. Come potete pensare che i cittadini italiani lo dimentichino, travolti da una situazione di grande difficoltà economica, dal senso di insicurezza, dall'assoluta mancanza di prospettiva per il proprio futuro?
Non credo che il Presidente del Consiglio potrà cavarsela ancora per molto tempo evocando i mostri: il comunismo, le torri gemelle, come cause di tutto, il problema che, purtroppo, i professionisti della politica non hanno nulla da dire a lui che, invece, si è fatto da solo. Su ciò stendiamo un velo pietoso.
Gli atti parlamentari (pubblici) indicano, fin dal 1982, come sono andate le vicende di questo paese. Sono vicende che il Presidente del Consiglio dovrebbe non ignorare, per la responsabilità importante che detiene, ma superare, con senso di responsabilità, perché ora egli guida non un'azienda, ma una nazione, un popolo ed una società. Egli governa le risorse di questo paese; deve indirizzarle verso risposte ai grandi bisogni e alle grandi questioni che stanno facendo diventare l'Italia piccola, poco credibile, aggregata al carro delle potenze europee, a confronto con il resto del mondo.
Di ciò dovrebbero preoccuparsi il Presidente del Consiglio e la maggioranza, e non dei mostri, evocati ad arte, che oramai costituiscono vecchi slogan stantii a cui nessuno crede più. Questo popolo, infatti, al di là di ciò che voi pensate, è cresciuto, è consapevole dei propri diritti e della situazione che vive, e non si farà di nuovo blandire da una campagna elettorale di cui, da mesi, gli esperti stanno studiando gli slogan più efficaci ed i movimenti più apprezzati del Presidente del Consiglio.
Credo che occorra tornare, più saggiamente, ad un principio di realtà; è necessario cercare di rispondere a quanti, in questi giorni, hanno protestato perché non vogliono che i loro figli perdano la qualità della loro formazione, dell'insegnamento e del tempo pieno qualificato.
Bisogna rispondere a quanti, in questi giorni, nelle sedi della più alta formazione universitaria, hanno detto che non si può pensare che chi ha la responsabilità, così importante, di formare una professionalità ed un profilo per il futuro dei nostri giovani, debba essere vittima di un altro vostro disegno di legge che rivede le carriere e l'ordinamento universitario.
Bisogna rispondere a quanti, nelle fabbriche italiane (da Terni alla Ferrania di Cairo Montenotte, alle acciaierie ILVA di Genova) vi stanno dicendo che il senso di responsabilità richiede che imprese non rette da regole truffaldine e da marchingegni da isole felici o da società off shore possano stare nel mercato, in Italia, solo se un Governo è in grado di garantire una politica industriale di sviluppo del paese.
Bisogna rispondere a quanti, come le istituzioni locali, che voi chiamate eredi del nuovo Governo, le regioni e gli enti locali, si rendono conto che, grazie alla vostra legge finanziaria, dispongono del 10 per cento delle risorse in meno e non sono in grado di far fronte ai bisogni della popolazione anziana, dell'infanzia, dei disabili, di coloro che esprimono il grande bisogno di welfare del nostro paese.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il problema vero è che siamo di fronte ad una assoluta incapacità di governare le grandi questioni del nostro paese e del nostro tempo e ad una grande capacità di governare unicamente i propri interessi.
Il popolo italiano certamente lo ho capito e lo capirà, esprimendo la sua volontà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.
MICHELE VENTURA. Molti colleghi, in particolare Mussi e Bogi, hanno affermato che qualcosa che non esiste, il digitale terrestre, esiste per dare parvenza di legittimità a qualcosa che già esiste.
In sostanza, è la ratifica e la conferma del duopolio nel campo dell'informazione, di una sostanziale posizione di monopolio nel campo pubblicitario, di una posizione dominante nel campo dell'informazione da parte del Presidente del Consiglio, di un'inaccettabile mortificazione di possibili nuovi imprenditori, cui viene negata ogni possibilità di accesso, di un conflitto di interessi che non esiste in nessun altro luogo, di un'anomalia che altera la vita democratica del paese, di un'arroganza
che dovrebbe indignare tutte le coscienze libere. Tali coscienze dovrebbero riconoscersi intorno ad un principio superiore: la difesa e lo sviluppo di una democrazia responsabile e matura.
Svolgo queste considerazioni, signor Presidente, perché ciò che sta avvenendo in questi giorni (un decreto-legge per l'azienda di famiglia del Presidente del Consiglio) non è un caso isolato, non è un incidente di percorso, non è un accidente: è una regola. È qualcosa che non è mai avvenuto: l'utilizzazione sistematica delle istituzioni per interessi particolari privati.
Non ripercorrerò l'elenco dei provvedimenti che hanno avuto tale profilo; è stato più volte ricordato nel corso dell'esame del provvedimento, durante questa «battaglia» che l'opposizione ha messo in opera. Non intendo ricordare i vari provvedimenti che, da ultimo, alcuni colleghi hanno ricordato riguardare in particolar modo i settori della giustizia e dell'informazione.
Ciò che colpisce e stupisce è l'assenza di politiche vere sul complesso delle questioni che riguardano la società italiana. Sono rimasto colpito da un dato: interveniamo così urgentemente su una azienda, ma se osserviamo i dati dell'occupazione nella grande impresa ed industria ci accorgiamo che, nel corso degli ultimi tre anni, è avvenuta una riduzione del 20 per cento. In questo paese non riusciamo ad avere una strategia di politica industriale degna di questo nome.
Ci troviamo di fronte all'inganno elevato a sistema. Mi riferisco, dato che riguarda anche il profilo a cui prima mi richiamavo, alle dichiarazioni del ministro dell'economia, rilasciate pochi giorni fa, che ha detto che avrebbe inasprito i controlli per colpire l'evasione fiscale ed il lavoro nero, ed alle estremamente singolari affermazioni del Presidente del Consiglio il quale, il giorno dopo, ha affermato che, anche da un punto di vista morale, è accettabile che vi sia l'evasione ed ha promesso un taglio della pressione fiscale, che risulta del tutto impossibile visto lo stato dei conti pubblici del paese.
L'inganno è stato elevato a sistema. A tal proposito insisto su una questione che dovremmo continuamente sottolineare, dato che la nostra battaglia non si esaurisce certamente in questi tre giorni di ostruzionismo. Berlusconi è un populista e parla ad una parte della società. In questo modo è da intendere l'attacco rivolto alla politica in queste ultime esternazioni. Esso è inquietante e può provocare danni rilevanti, ma è un tentativo di sollecitare quella parte della società italiana «arruffona», qualunquista, priva di etica e, spero, minoritaria. Questa è l'operazione tentata nel corso di queste ore dall'onorevole Berlusconi. Egli parla ad una classe dirigente, anche questa mi auguro minoritaria, non pronta alla prova di una competizione nuova, orfana di vecchie condizioni che hanno garantito ad essa, in altra fase, un certo sviluppo.
In sostanza, colleghi, la posizione dell'onorevole Berlusconi è frutto di un'idea arretrata della società, una reinterpretazione dell'arretratezza e del modo di ragionare di una parte della società italiana che può avere quei contorni ai quali si riferiva il collega Bogi, parlando di come la destra moderna si rivolga a questa parte della società, ma che non comprende e non può comprendere le forze più avanzate.
Assomiglia, se mi permettete il confronto, alla descrizione che Braudel compie dell'atteggiamento dei mercanti italiani di fronte alla crisi di Bisanzio: arruffare subito il più possibile, senza preoccuparsi minimamente delle prospettive, di ciò che sarebbe accaduto l'indomani. Di fronte a tale cecità, dobbiamo essere allarmati, parlare alla società in termini tali che comprenda la necessità di una svolta. Se questa parte della società italiana è minoritaria, e probabilmente lo è nonostante le acquisizioni, compiute dall'onorevole Berlusconi, di famiglie, cicisbei, presenti anche in Assemblea, dobbiamo far sì che questo riscatto sia pronto e rapido.
Infine, colleghi, concludo con un consiglio all'onorevole Berlusconi: quando parla dei leader del centrosinistra e della politica, rifletta. Quando egli frequentava i
potenti di turno e Licio Gelli, che gli hanno aperto le porte del successo, consentendone l'arricchimento che tutti sappiamo essere avvenuto, in questo paese uomini e donne si sono battuti per il progresso corale in nome di un'idea di sviluppo solidale, seria, eticamente responsabile. Non abbiamo alcuna invidia per le ricchezze dell'onorevole Berlusconi, se non la tristezza di vedere un grande paese, come il nostro, governato dalla volgarità e dalla mediocrità. Ci auguriamo ancora per poco (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, credo che sia apprezzabile il fatto di essere presenti a perdere le ore del giorno e della notte anziché goderci le numerose barche e ville che abbiamo comprato negli anni della nostra vita politica, naturalmente con fondi illeciti e rubati, come ha affermato il Presidente del Consiglio.
Penso sia difficile, dopo qualche centinaio di interventi, non ripetere le affermazioni e le motivazioni fornite a sostegno di questa battaglia così fondamentale per la difesa del nostro Stato di diritto. Hanno già parlato molti colleghi e vorrei, umilmente, compiere un utile servizio per i posteri, dato che, come tutti sappiamo, i giornali e le agenzie finiscono rapidamente nel cestino e vengono dimenticate, mentre gli atti parlamentari rimangono nei secoli. Poiché il Presidente del Consiglio, come è noto, non ha mai frequentato il Parlamento, rilasciando quasi esclusivamente dichiarazioni ai giornali ed alle agenzie, il rischio è che le sue «preziose» parole si perdano con il passare dei giorni.
Mi permetto di utilizzare i dieci minuti a mia disposizione per riportare, in modo che restino agli atti del Parlamento, alcune delle «preziose» frasi che il Presidente del Consiglio ha pronunciato sul tema di cui ci stiamo occupando, cioè il conflitto di interessi, la cosiddetta legge Gasparri e quanto è avvenuto e sta avvenendo nel paese.
Si tratta di una serie di fasi che possono essere divise per periodi, come i periodi di Picasso. Il primo periodo riguarda la vendita, l'annuncio che, diventato egli Presidente del Consiglio, avrebbe venduto. Naturalmente l'elenco è lungo e quindi compirò una veloce selezione. 24 novembre 1994: «Venderò la Fininvest; sto decidendo e per molti versi ho già deciso di vendere quello che ho costruito in quarant'anni di lavoro». 13 giugno 1995: «Sono pronto a cedere la maggioranza dell'azienda. Si potrà realizzare in poco tempo, purché non siano artatamente creati nuovi ostacoli». 10 maggio 1995: «Da novembre voglio cedere le TV, ma non posso farlo a causa del quadro normativo». Poi, comincia il secondo periodo. Luglio 1996: «Con il collocamento di Mediaset, ho anche risolto la questione del conflitto di interessi». Siamo nel 1997: «Chi parla in questo momento di televisioni e di conflitto di interessi, buttandomi addosso una colpa, come se la mia azione politica fosse condizionata dalla televisione e dal conflitto di interessi, lo dico chiaramente, è un mascalzone che naturalmente non rispetto».
E qui comincia un'ulteriore fase, molto lunga, la fase della negazione dell'esistenza del conflitto di interessi, che è una fase ricca di affermazioni che proseguono tutt'oggi. Cominciò il 21 febbraio 1996: «Trovatemi una segretaria, un telefonista, se ci riuscite, che dica che Berlusconi a Palazzo Chigi si occupò di Fininvest». È lui che parla in terza persona come di solito fa. 15 dicembre 1995: «Dire che utilizzo la mia posizione di leader politico per interessi personali è negare il disinteresse e la generosità che mi appartengono». Ed ancora, siamo nel 2003: «Ma quale conflitto di interessi, l'opposizione vada a dire queste cose ad un nuovo resuscitato Drive in.» O ancora nel dicembre 2003: «Il conflitto di interessi c'è, ma, dall'altra parte, sulle reti Mediaset il Presidente del Consiglio è dileggiato». Ed ancora, nel maggio 2003: «Non c'è alcun conflitto di interessi, il
conflitto di interessi è una scusa, il mio gruppo ha subito solo danni enormi, da quando sono Presidente del Consiglio». Ed ancora: «Alcune mie aziende sono mortificate, non hanno quella capacità di sviluppo che avrebbero se io non fossi al Governo». Ed ancora di nuovo: «Francamente, quando ascolto le trasmissioni di Mediaset, non riesco davvero a ritrovare dov'è il conflitto di interessi». Poi in maniera più perentoria, nel dicembre 2003: «Il conflitto di interessi è un'invenzione».
Così abbiamo chiuso il periodo della negazione dell'esistenza; ed inizia il periodo dell'impegno, con la famosa frase: in cento giorni risolverò il conflitto di interessi. Tutti sappiamo che abbiamo superato da poco il millesimo giorno ed il disegno di legge sul conflitto di interessi, che peraltro non risolve tale conflitto, giace ancora nei cassetti del Senato. Tuttavia, il Presidente del Consiglio ha precisato nel luglio 2003: «È l'opposizione di sinistra che non vuole far passare la legge sul conflitto di interessi, per poter attaccare il Governo su tale tema». E noi ingenui che abbiamo insistito e continuiamo ad insistere perché sia calendarizzato. Marzo 2002, un anno prima: «Una legge sul conflitto di interessi, come ho avuto modo di ripetere, è assolutamente inutile, è un esercizio assolutamente inutile, perché nel nostro ordinamento ci sono non una, ma cento situazioni che non consentono a chi è al Governo di compiere un atto a proprio favore». E poi - ripeto - c'è la fase dell'impegno, che ha avuto numerose tappe. «È già in Parlamento la legge sul conflitto di interessi, che verrà esaminata immediatamente dopo la Finanziaria»: era il 5 dicembre 2001.
Poi, sulla legge Gasparri, un altro elenco di frasi irrispettose come sempre, nello stile del Presidente del Consiglio, nei confronti delle altre istituzioni e degli altri poteri dello Stato. Pochi giorni prima che il Presidente della Repubblica rinviasse alle Camere la legge Gasparri, Berlusconi disse con sicurezza: «Non credo che ci siano motivi tali perché il Presidente della Repubblica rinvii alle Camere il disegno di legge Gasparri». Pochi giorni dopo, evidentemente innervosito, ha pronunciato le famose parole sulle motivazioni del Presidente della Repubblica: «Non le ho neppure lette, e non le leggerò».
Sono affermazioni che dimostrano come il nostro Presidente del Consiglio usi con facilità le parole, sperando che siano dimenticate in fretta, e quale sia il rispetto che ha verso gli altri poteri dello Stato nonché il senso dello Stato che palesa ogni giorno.
Credo che la giornata odierna sia stata una piccola perla, per le parole irrispettose che ha pronunciato nei confronti degli esponenti dell'opposizione, delle loro vite personali, delle loro esperienze politiche collettive. Del resto, è ormai inutile arrabbiarsi, bisogna prendere Berlusconi così come è: un uomo veramente straordinario, unico nel suo genere, capace di raccontare e rappresentare tutto e il contrario di tutto; capace di dire cose incredibili e negare di averle dette, anche a chi le ha sentite direttamente. Tragico e comico insieme. Capace di fare il Governo e l'opposizione nello stesso giorno. Essere di destra, di centro, di sinistra, tutto in una volta. Un istrione, veramente un istrione vero! Peccato che sia il nostro Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Roberto Barbieri. Ne ha facoltà.
ROBERTO BARBIERI. Signor presidente, il mio è l'ennesimo intervento che esponenti dell'opposizione svolgono per motivare, come del resto farò anch'io, il voto contrario alla conversione in legge del decreto Gasparri.
Ci sono stati interventi autorevoli, pieni di contenuti, tecnicamente consistenti, che hanno ben motivato il voto contrario. Proprio perché uno degli ultimi, io proverò a fare un gioco: a rappresentare la realtà del paese attraverso dei canali televisivi.
Immaginiamo che venga un alieno nel nostro pianeta, apra la televisione e trovi
canale uno nel cui palinsesto vi è il titolo «I problemi del paese».
La prima cosa di cui si rende conto chiunque guardi il canale e capisca è che il paese - l'Italia - è convinto di essere più povero di quanto lo fosse quando l'uomo dei miracoli ne prese la guida. Scorrono le immagini, che sono affidabili e consistenti. Un paese che ha uno stock di debito sul prodotto interno lordo più alto di tutti i paesi occidentali, un paese che ha un tasso di inflazione che, rispetto alla media degli altri paesi occidentali, è almeno il doppio, un paese che non investe nel suo futuro - nei giovani -, non investe in ricerca, non investe in sviluppo, un paese in cui c'è insicurezza ed incertezza. I cittadini, quando percepiscono il reddito, sanno che possono consumarlo o risparmiarlo. Se lo consumano, sanno che il loro potere d'acquisto è tagliato da un'inflazione crescente; se lo risparmiano, sanno che i loro risparmi possono diventare improvvisamente carta straccia. Quindi, insicurezza ed incertezza nei nostri cittadini. Problemi gravi, se andiamo a vedere la competitività del nostro paese che, per un paese come il nostro, si deve basare sulla qualità dei prodotti, non certo sul basso costo del lavoro e sulla compressione dei diritti. Le quote dei prodotti italiani sul mercato internazionale sono tornate a quelle degli anni sessanta.
Quindi, un paese che ha bisogno di una guida, che ha bisogno di quella che si chiama una politica economica, una politica industriale, cioè degli interventi di chi governa per provare, perlomeno, a risolvere i problemi che riguardano l'oggi, ma anche il futuro del nostro paese.
Ad un certo punto cambiamo canale, andiamo sul canale due: «Il Governo del paese». Che cosa ci dobbiamo aspettare? Di vedere quali politiche può mettere in campo il Governo rispetto ai problemi che ho rapidamente esposto. Improvvisamente, scorrono immagini, in modo casuale: dicembre 2002, la crisi della FIAT, gli operai della FIAT verso la cassa integrazione. Il Presidente del Consiglio dice: non vi preoccupate se siete in cassa integrazione, troverete un lavoro nero, un lavoro per cui l'imprenditore non paga le tasse né i contributi. Se si passa ai giorni nostri, febbraio 2004, si ascolterà sempre lo stesso Presidente del Consiglio dire: imprenditori, quelli che avete redditi più alti o patrimoni accumulati, le tasse sono troppo alte, quindi non le pagate. L'ipotetico ascoltatore questi due messaggi, uno all'inizio e uno alla fine. Nel mezzo cosa trova? Un condono tombale, cioè un premio a chi non ha pagato le tasse e a chi le ha evase, la depenalizzazione di uno dei reati peggiori dal punto di vista della gestione economica di un paese, e il falso in bilancio.
Cosa trova? Una serie di leggi, che chi guarda questo programma non riesce a capire se sono leggi nell'interesse del paese o per l'interesse di pochi: leggi che servono a togliere i problemi economici e giudiziari del Presidente del Consiglio e di un gruppo ristretto di poteri. Poi vede, quasi alla fine del programma, altri due provvedimenti: uno che si chiama legge Gasparri, un altro che si chiama decreto Gasparri, che servono a preservare il patrimonio e la redditività attuale e futura del Presidente del Consiglio.
Infine, proprio in coda, viene fuori qualche altra cosa, una cosa che si annuncia, la pubblicità che si fa nei programmi futuri, una nuova legge, la par condicio. Non c'è più equilibrio tra i cittadini, fra le parti e fra le varie sensibilità nell'utilizzo degli spazi televisivi. Ognuno li avrà in funzione di quanto può spendere.
Ecco qual è la situazione del paese. Un canale su cui scorrono le immagini dei problemi seri e gravi degli italiani che hanno problemi altrettanto seri, che non arrivano a fine mese e che vivono di insicurezze e di incertezze.
In un altro canale il Governo di questo paese è dentro due poli: da un lato, l'incontinenza della leadership del Presidente del Consiglio e, dall'altro, l'inconsistenza della sua coalizione.
Noi proponiamo un terzo canale, sempre nel gioco che ho preannunciato. In tale canale chiediamo una moratoria, come si fa a volte tra le parti. Per qualche
tempo, sei mesi o un anno, questo Governo e questa maggioranza la smettano di preoccuparsi dei fatti propri. Si occupino dei problemi del paese. Provino a farci vedere come potrebbero governare il paese, come possono risolvere i problemi di perdita di competitività e di assenza di investimenti in ricerca e innovazione, come possono tutelare i risparmiatori e i consumatori, quale politica industriale mettere in campo perché i settori più importanti che fanno la qualità e la competitività del sistema industriale possano essere rilanciati.
Se scorre questo canale, troverà un'opposizione disposta a confrontarsi, convinta che la cultura che fino ad ora è stata espressa da questo Governo è insufficiente per risolverli, ma nel merito sarà ed è in grado di rispondere. Quindi, il mio è un invito, che l'ora e la situazione mi consentono di fare, ovviamente non formale (sono cosciente del peso che ha): smettiamola per un po' con le cose personali e di dire che non esistono regole in questo paese. Sfidateci e sfidiamoci nella risoluzione dei problemi.
Noi abbiamo una cultura, abbiamo un progetto politico e non vogliamo perdere tempo a parlare di Retequattro. Non vogliamo perdere tempo a parlare della difesa della proprietà delle reti del Presidente del Consiglio. Vogliamo dimostrare che abbiamo proposte e progetti per l'Italia, per il suo sviluppo e per la sua giustizia sociale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.
ALFIERO GRANDI. Questo decreto-legge sarà approvato solo grazie al ricorso al voto di fiducia, che ha messo in riga la maggioranza, nella quale, peraltro, ci sono non pochi problemi. Del resto, è giusto che i partiti di maggioranza siano preoccupati, perché si prospetta una campagna elettorale in cui tutto il potenziale mediatico del Presidente del Consiglio attirerà su di sé l'attenzione e, se il colpo gli riuscirà, anche i voti.
Per questo, la maggioranza è attraversata da tensioni e contraddizioni e ha chiuso la tormentata verifica, che dura da otto mesi, con un documento che è stato, come ha detto l'onorevole La Russa, limato fino all'ultimo. La maggioranza, approvando questo provvedimento, si consegna ancora di più nelle mani del vero e proprio padrone di questo Governo e di questa coalizione.
Altro che verifica e sogni di gloria dei partiti minori del centrodestra! Il risultato è più che mai un uomo solo al comando, e che comando! Le leggi sulle quali il Parlamento si è impegnato di più sono quelle che lo hanno riguardato, innanzitutto per salvarlo nei processi e per garantire il suo patrimonio: la proprietà, la roba, si potrebbe dire.
Al posto del rispetto delle leggi, sono le leggi che vengono stravolte e cambiate per farle coincidere con gli interessi del Presidente del Consiglio. Dell'Italia, dei suoi problemi e delle sue difficoltà non ci si occupa veramente e il bello è che il Presidente del Consiglio pensa seriamente di convincere chi non trova lavoro, chi non riesce ad arrivare alla fine del mese, chi non riesce a trovare uno sbocco per i suoi prodotti in Italia e all'estero, chi è preoccupato per il futuro della scuola, che la situazione reale non è quella che tutti costoro toccano con mano, ma è diversa, è quella che lui ha deciso che deve essere, ovviamente quella mediatica. Del resto, a questo servono televisioni e mezzi di informazione, questo vero e proprio monopolio sul sistema informativo.
Quindi, con il decreto in esame si conferma di voler seguire la via legislativa per difendere gli interessi personali del Presidente del Consiglio e in spregio di tutti, dalla Corte costituzionale all'opinione pubblica. È in tale quadro che Berlusconi ha fatto un'ulteriore e per di più gravissima affermazione, nella quale, immedesimandosi e calandosi nelle vesti degli evasori fiscali, ha detto di sentirsi moralmente autorizzato, per quanto possibile, ad evadere.
Ci sono voluti anni di lavoro per cercare di impostare un rapporto di lealtà e di trasparenza fiscale tra Stato e cittadini. Con tali affermazioni, questo lavoro faticoso e questo patto vengono letteralmente stracciati. A cosa servono e che credibilità possono avere le dichiarazioni del ministro dell'economia e delle finanze sulla lotta all'evasione e sui programmi di lotta all'evasione, se gli evasori sono moralmente assolti dal suo «capo»? È chiaro che si tratta solo di propaganda e, per di più, è una propaganda con le note gambe corte, che per la verità appartengono alle bugie.
Per questo, non capisco la meraviglia di alcuni nei confronti delle dichiarazioni fatte dal Presidente del Consiglio in materia di evasione fiscale. Berlusconi è proprietario di un'azienda, Mediaset, che ha frodato il fisco, tanto da essere esposta alle contestazioni del Ministero dell'economia e delle finanze per più di 250 miliardi di vecchie lire (mi scuso, ma non c'era ancora l'euro quando questo è accaduto). Quando ho detto ciò in Parlamento, proprio in quest'aula, Mediaset ha tentato l'intimidazione attraverso una querela e una richiesta di danni enormi, alle quali ho risposto con successive interrogazioni.
Basta controllare gli atti della Camera: ci sono cifre ed episodi, tutto è scritto. La controprova è che Mediaset ha chiesto il condono e ha risparmiato un sacco di soldi. Va ricordato che lo ha fatto dopo la dichiarazione di Berlusconi, alla fine dell'anno scorso, dopo l'approvazione della legge che ha previsto il condono, che affermava che Mediaset non avrebbe chiesto condoni fiscali perché non ne aveva bisogno.
Se questa è la sostanza dei comportamenti personali del Presidente del Consiglio, non si capisce la meraviglia sul piano più propriamente politico, dal momento che questo Governo ha approvato ogni tipo di condoni, che, fino a prova contraria, sono un regalo agli evasori fiscali. Basti ricordare il regalo che chi governa ha fatto agli esportatori, illegali ovviamente, di capitali all'estero, che hanno pagato per mettersi in salvo dalla giustizia soltanto un quinto (il 2,5 per cento) di quanto hanno pagato i possessori di Bot, la famosa vecchietta o massaia di Vigevano (il 12,5 per cento). Basta ricordare le cifre da saldo con cui è stato concesso il condono su altre materie. E ora si arriva al condono, pardon al concordato preventivo, in tempo reale: ossia, «evadi e immediatamente ti condono». Se questo Governo, che ha favorito in ogni modo gli evasori, ha nel Presidente del Consiglio il profeta di tale politica, mentre Tremonti ne è l'inventore, nessuno può meravigliarsi che questa sia la situazione.
Ora Mediaset annuncia una nuova querela nei miei confronti, ripetendo la vera e propria opera di intimidazione già tentata in passato per dichiarazioni peraltro più volte ripetute e documentate in quest'aula. Il senso è chiaro: chi tocca i fili della proprietà resta fulminato, sia pure dal potenziale di fuoco di denunce ed iniziative legali. Il tentativo di intimidazione è del tutto evidente. Ribadisco qui in Assemblea non solo quanto ho già detto dentro e fuori dall'aula, e confermo che è la ripetizione di quanto già detto in passato.
In una interrogazione del 15 ottobre 2001 ho ricordato che l'Agenzia delle entrate aveva contestato a Mediaset il mancato pagamento di 240 miliardi di vecchie lire. Ho poi affermato in sede di replica alla risposta del Governo, peraltro assolutamente inattendibile, che si trattava di operazioni di «evasione fiscale», aggravate dal fatto che aleggiava un evidente conflitto di interessi tra il ruolo di proprietario dell'azienda e quello di Presidente del Consiglio, che dovrebbe rappresentare l'interesse collettivo e la pubblica amministrazione. Dopo questa interrogazione è arrivata la prima nota querela di Mediaset. Tuttavia, ho riproposto il problema il 7 marzo 2002, con una interrogazione nella quale ho precisato che i cosiddetti investimenti di Mediaset ammontavano a 730 miliardi e 242 miliardi, in quanto si trattava di due operazioni separate, che l'acquisto era avvenuto tramite società off shore del gruppo e che risultava confermata la cifra di 242 miliardi di tasse non pagate. Tutto ciò è confermato da una
indagine della Guardia di finanza, che sembra avere stabilito per le società off shore un vero e proprio ruolo di interposizione fittizia.
Aggiungo che non è quindi vero che dalle indagini non sia mai emerso nulla, che si è voluto indagare senza mai trovare nulla, come è stato detto con un evidente sforzo di vittimismo. Anche in questa occasione ho parlato, nella mia interrogazione, di «illecito fiscale» con eventuali «risvolti penali» e di «frode fiscale», in sede di illustrazione della stessa!
Aggiungo che, il 14 marzo 2002, il ministro Giovanardi ha affermato in Assemblea che l'autorità giudiziaria non aveva concesso il nulla osta alla Guardia di finanza per comunicare l'esito dell'operazione di polizia giudiziaria in corso, ammettendo con ciò ufficialmente che una indagine della magistratura era in corso su Mediaset.
Infine, ricordo a quest'Assemblea che l'11 giugno 2003 ho messo in luce il conflitto di interessi creato dal sommarsi nella stessa persona del ruolo di Presidente del Consiglio e di proprietario di Mediaset, attraverso Fininvest, ricordando che l'evasione fiscale di Mediaset risultava «sanata» con 35 milioni di euro, a fronte di 197 miliardi di vecchie lire dovuti, cioè circa un terzo del possibile esborso. Restava a quella data una pendenza Mediaset non condonata di 61 miliardi di lire, probabilmente perché nel frattempo era diventata troppo costosa. Qualcuno aveva «sbagliato» la legge, essendo già intervenuta una condanna che aveva fatto scattare l'aliquota a livelli considerati troppo elevati dall'azienda, che aveva quindi preferito adire al terzo grado di giudizio. Il conflitto rilevato in questa occasione riguardava proprio il condono, legge voluta dal Governo Berlusconi e usata da Mediaset, tanto è vero che l'onorevole Violante aveva suggerito di inserire all'interno del dispositivo del condono fiscale una norma escludente le aziende del Presidente del Consiglio, in modo da evitare in radice il possibile conflitto di interessi.
Il conflitto di interessi è più che mai presente. Del resto, la blanda normativa prevista nella proposta di Frattini è stata accantonata al Senato, malgrado rimuova il conflitto e lasci bene in vista gli interessi. Il disegno di legge Frattini è stato accantonato perché questo decreto e questo voto di fiducia su quel provvedimento non sarebbero stati comunque possibili. Purtroppo, la strenua difesa degli interessi proprietari del Presidente del Consiglio è uno strappo istituzionale, ma è anche un colpo al pluralismo nell'informazione e nelle televisioni, e questo non è accettabile.
Aggiungo una battuta paradossale, con lo stesso «garbo istituzionale» con cui il Presidente del Consiglio ha parlato di quelli che hanno dedicato la loro vita a ciò in cui credono, cioè all'impegno politico, di cui mi onoro di far parte. Come è noto, il Presidente del Consiglio ama le barzellette, ma forse non conosce la nuova battuta che circola e che dice: l'unico vero errore di Tanzi è stato quello di non avere fondato Forzalat (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Presidente, il 24 dicembre scorso, a fronte dell'adozione del decreto-legge di cui stiamo discutendo la conversione in legge, molti esponenti della minoranza avevano dichiarato di non avere alcuna contrarietà preconcetta al ricorso a tale provvedimento in un momento di emergenza, purché gli effetti durassero poco e vi fossero al suo interno gli elementi segnalati dal Presidente della Repubblica, prima con il suo messaggio alle Camere e poi con le motivazioni di rinvio alle Camere della legge che porta il nome del ministro delle comunicazioni. Purtroppo, dobbiamo dire che l'iter del provvedimento in Commissione e l'atteggiamento della maggioranza hanno smascherato in fretta i reali intendimenti della maggioranza e del Governo.
È evidente che non vi è alcuna reale volontà di recepire i saggi e giusti rilievi del Presidente della Repubblica, che evidentemente viene considerato come un
fastidioso e ingombrante ostacolo ai progetti e agli interessi personali del Presidente del Consiglio. La conferma di ciò è in alcune dichiarazioni del Presidente stesso su cui mi soffermerò tra poco.
Per questo, noi non accetteremo passivamente che si compia un vero e proprio affronto nei confronti non solo del Presidente della Repubblica, ma dell'intero paese; ci opporremo in tutti i modi a che il Parlamento si renda complice di tale affronto. Questo è il senso della nostra protesta, e siamo qui per questo a difesa della democrazia, delle istituzioni e del pluralismo. La totale insensibilità che ha dimostrato il Presidente del Consiglio anche in tale occasione appare un atto di forza e di arroganza che ha pochi precedenti nella storia anche di questo Parlamento, ma noi vogliamo mettere in evidenza che questo è anche il segno di un momento di forte impasse, di povertà di iniziativa e di mancanza di idee che il Governo sta attraversando.
Veda, Presidente, questo è un decreto che riscrive - e questo dobbiamo metterlo sempre più in evidenza in modo preciso -, l'articolo 25 della cosiddetta legge Gasparri, definendo i tempi della cessazione del regime transitorio, con le stesse caratteristiche e gli stessi criteri che sono stati già censurati dal Presidente della Repubblica. Il provvedimento in questione prevede che si superi la condizione di divieto posta dalla legge Maccanico, consentendo di ampliare la base su cui calcolare la quota del 20 per cento, mettendo insieme trasmissioni analogiche che esistono e trasmissioni digitali che forse esisteranno, attribuendo inoltre all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di effettuare una inutile verifica volta ad accertare se ci saranno, entro il 30 aprile 2004, programmi trasmessi in digitale, se la loro diffusione coprirà una certa percentuale della popolazione e se saranno venduti i decoder.
Quand'anche vi fosse tale verifica, non si risolverebbe la questione di legalità posta dalla legge e dalla sentenza della Corte costituzionale.
Il secondo elemento di critica riguarda - è stato già detto, ma lo ripetiamo in sintesi - le modalità previste nel decreto-legge, che sono inadeguate ad effettuare un rigoroso accertamento dello stato dell'informazione e, in particolare, a valutare se, sulla base della verifica dell'estensione reale del digitale terrestre, vi sia stato o meno un incremento dell'offerta e, quindi, del pluralismo dell'informazione destinata ai cittadini. Si tratta dell'unico elemento che avrebbe potuto e potrebbe costituire una svolta rispetto alla sentenza della Corte costituzionale. Allo stesso modo, non crediamo che la presenza dei decoder sul mercato - ma non nelle case dei cittadini, con riferimento alle quali non si è voluta effettuare la verifica - possa costituire per l'Autorità un elemento di certezza con riferimento alle quali fatto che i cittadini siano effettivamente in possesso delle tecnologie per usufruire di un sistema innovativo. Questa posizione della maggioranza costituisce l'ennesima conferma di quale sia la considerazione che essa ha nei confronti delle Autorità indipendenti del nostro paese, soprattutto quando esse esprimono opinioni che non corrispondono ai suoi disegni. Questo atteggiamento di indifferenza, se non di aperto fastidio e di avversione, che Governo e maggioranza mostrano di avere, in ogni circostanza, nei confronti delle istituzioni costituisce la motivazione più grave del nostro dissenso su questo provvedimento.
Qui è in gioco il nostro senso dello Stato. A me sembra - e non è un esempio fuori luogo - che l'Italia berlusconiana rischi di diventare il Kazakistan, uno degli stati postsovietici dell'Asia centrale, dove il presidente Nazarbayev ha instaurato un regime: attraverso i suoi familiari, egli controlla la televisione nazionale e buona parte degli altri media.
In tema di pluralismo dell'informazione vorrei portare un esempio di quello che sta succedendo in Europa. Forse di questo argomento non si è parlato abbastanza. Il 4 settembre 2003 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea nel 2002 e sulla politica dell'Unione
europea in materia di diritti umani. Al punto 37 di tale risoluzione il Parlamento europeo deplora che nell'Unione europea il problema della concentrazione del potere mediatico nelle mani di alcuni megagruppi non abbia ancora trovato una soluzione legislativa e ricorda la sua risoluzione del 20 dicembre 2002 sulla concentrazione nei mezzi di informazione, nella quale afferma la necessità di creare un mercato europeo dei media per far fronte ad una crescente disparità tra le regolamentazioni nazionali e salvaguardare la libertà e il pluralismo dell'informazione; deplora inoltre che, in particolare in Italia - vale a dire nel nostro paese -, permanga una situazione di concentrazione del potere mediatico nelle mani del Presidente del Consiglio, senza che sia stata adottata una normativa sul conflitto di interessi.
Nella seduta del 27 gennaio scorso, la Commissione per le libertà ed i diritti dei cittadini ha esaminato un primo documento di lavoro, in cui si ricorda che il problema del pluralismo dei media in Italia è oggetto di specifiche considerazioni anche nel progetto di relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea nel 2003, presentata il 15 gennaio 2003. Il progetto di relazione dovrebbe essere approvato dalla Commissione nei prossimi giorni mentre il Parlamento europeo, in seduta plenaria, dovrebbe esprimere il proprio voto nel mese di aprile.
Ebbene, vi rivolgiamo una richiesta: non permettete che l'Italia subisca l'umiliazione che sia l'Europa a dettare una base giuridica per tutelare il pluralismo e la libertà dei nostri mezzi di informazione. Non lasciate che l'Italia venga umiliata, ancora una volta, agli occhi dei partner europei. Ieri, a Berlino, i leader di Gran Bretagna, Francia e Germania si sono riuniti per discutere del futuro dell'Europa. L'Italia, per la prima volta dall'inizio del processo di fondazione dell'Unione europea, è stata ignorata. Questo la dice lunga sul credito internazionale del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e sull'incapacità del Governo di centrodestra di esprimere una cultura politica in grado di guidare con autorevolezza il paese.
Nel frattempo - è stato già detto e lo ripeto -, il paese perde competitività, la nostra economia è al collasso, il costo della vita aumenta, l'Italia è più povera. Rimangono tuttora irrisolte questioni drammatiche. È stato fatto l'esempio dell'Alitalia, le cui sorti non sembrano interessare il nostro Capo del Governo. Eppure, si tratta di 2.700 licenziamenti. E, poi, la Parmalat, le acciaierie, la scuola, lo Stato sociale, l'illegalità percepita dagli italiani in forte aumento. Oggi l'Italia è ripiombata nell'emergenza finanziaria. È quella stessa Italia che uomini come Azeglio Ciampi avevano ricondotto sulla via del risanamento, sino al premio storico dell'ingresso nella moneta unica europea.
PRESIDENTE. Onorevole Tidei...
PIETRO TIDEI. Ho concluso, Presidente.
Oggi dobbiamo dire che l'industria ha bisogno di idee e di tecnologia, la ricerca e l'università di maggiori risorse, il mercato di concorrenza, il mondo del lavoro di più garanzie, i consumatori di più trasparenza. Quanto alla politica, si deve uscire dalla transizione con istituzioni più moderne, nelle quali etica e senso civico devono finalmente affermarsi. Si tratta di una impresa difficile, di una rivoluzione culturale che questo Governo non è riuscito minimamente a garantire.
Concludendo, credo che si debba essere preoccupati per il nostro paese, quando un Presidente del Consiglio si esprime come fa Silvio Berlusconi. È avvenuto oggi ad Atene: queste battute possono essere consentite soltanto al bar, quando si scherza.
Signor Presidente, mi auguro che Silvio Berlusconi non si occupi più delle sorti dell'Italia. Sono certo che questo avverrà perché, malgrado le operazioni di chirurgia estetica, nulla lo salverà, alla prima occasione, dal severo giudizio degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.
LAURA MARIA PENNACCHI. Signor Presidente, abbiamo tanto parlato, in queste giornate e in queste notti, della violenza che viene fatta al Parlamento per il merito e per il metodo del decreto-legge «salva Retequattro» su cui è stata posta la questione di fiducia. Si tratta di una violenza che, da due anni e mezzo a questa parte, il Parlamento ha subito in molte circostanze, pur diverse tra di loro. L'abbiamo subita anche con l'ultima legge finanziaria, quella per il 2004, quando si è proceduto attraverso voti di fiducia e decreti-legge. Per la prima volta dopo tantissimo tempo, la manovra è stata attuata attraverso un decreto-legge che ha sottratto alla finanziaria stessa il 90 per cento delle materie che le sono proprie. Lì abbiamo sperimentato un'inemendabilità, di fatto, già in azione. Apparentemente, potrebbe non esserci alcuna relazione fra l'argomento di cui stiamo discutendo oggi e quanto stavo or ora richiamando. Il punto è che si dà una dimostrazione sempre più lampante del fatto che il senso dello Stato dei governanti italiani è meno di zero, è sotto lo zero! L'onorevole Berlusconi, premier in carica, odia le funzioni di Governo in quanto espressione dei bisogni e delle aspirazioni di una coesa collettività democratica e le ama, invece, in quanto dominio di una dimensione privatistica e affermazione di una concezione proprietaria della politica, con cui alla responsabilità collettiva si sostituisce il comando privato. E, così, minimo Governo collettivo si associa a massimo Governo privato.
Avviene che, nel giro di un solo giorno, venga portato all'apice il conflitto di interessi - il Governo ha posto la fiducia su un decreto-legge che, a giudizio di molti, è volto a beneficiare aziende nella cui proprietà sono coinvolti la famiglia del capo ed il Capo del Governo stesso - e venga sancita la liceità dell'evasione fiscale, a cui ogni cittadino può sentirsi moralmente autorizzato. Basta che il medesimo cittadino reputi, a suo proprio piacimento, che il livello della pressione fiscale è eccessivo. Dunque, lo spirito da war room che l'onorevole Berlusconi tenta di emulare dal suo più famoso collega americano viene realmente applicato sia sul terreno della politica estera - il pensiero va anche alla tragedia dell'Iraq - sia su quello della politica interna.
Dare licenza, anche morale, di evadere equivale a decretare guerra allo Stato ed al Governo - transeunti, come formazioni concrete, ma permanenti, come istituzioni: considerazione che non dovrebbe essere mai dimenticata -, in ciò di cui essi sono tenuti a sentirsi depositari nel modo più complesso e più profondo: il patto di cittadinanza, di cui quello fiscale è pilastro costitutivo, nonché entrambi, patto di cittadinanza e patto fiscale, base e struttura fondative delle democrazie moderne.
Analogamente, aggressioni al patto di cittadinanza sono le lesioni del principio del pluralismo dell'informazione, una delle libertà madre di tutte le altre; la libertà, appunto, di pensiero, che si può esercitare soltanto se si ha una possibilità di formarsi opinioni, di maturarle discutendo e, se del caso, dissentendo.
Un rinnovato fondamentalismo anima una forte radicalizzazione antistatale del Governo di centrodestra in Italia - e di tutte le destre, nel mondo -, in contraddizione solo apparente con i rigurgiti di populismo, di protezionismo, di statalismo deteriore che, pure, vengono abbondantemente sollecitati. Tale radicalizzazione in atto delle destre mira a rinvigorire l'ostilità nella cittadinanza verso quanti, da sempre, le destre hanno considerato i nemici più acerrimi: gli Stati ed i Governi nelle loro fondamentali funzioni pubbliche. Tra queste, in primo luogo, l'erogazione di servizi e la tutela dei diritti ad essere trattati in modo eguale, a sapere, ad essere informati.
Potremmo osservare che ci troviamo dinanzi ad una strana eterogenesi dei fini, della quale l'onorevole Berlusconi sembra vittima e della quale, pure, è ad un tempo causa; un po', forse, anche per distrarre l'attenzione dei cittadini. Cittadini cui sono
state promesse pensioni minime pari ad un milione di vecchie lire al mese, e ben 5 milioni e mezzo di persone, per tale motivo, sono state ingannate; anzi, oggi viene riproposta, con le misure che il Governo porta avanti, la soppressione di fatto del pensionamento di anzianità. Sono inoltre state promesse meno tasse e sono state fatte, altresì, promesse di arricchimento, di sviluppo facile, di miracolosa crescita; al contrario, i cittadini fanno i conti, tutti i giorni, con una vita che nel quotidiano si fa sempre più difficile.
Occorre avere consapevolezza del limite oltre il quale vengono compromessi livelli e qualità dei servizi di cui una società desidera disporre e viene alterata, altresì, la qualità e la natura dei beni collettivi nonché i legami di cittadinanza. Legami che esprimono anche il grado di tolleranza sociale delle diseguaglianze, a partire da quella di fronte alla legge, e la coerenza che si desidera avere tra libertà ed eguaglianza, tra libertà e coesione sociale.
Il Presidente-imprenditore ha curato e cura i suoi interessi; ma gli interessi dell'Italia sono stati abbandonati. La predicazione di un ruolo pubblico ristretto ed angusto si affianca ad una forte svalutazione della responsabilità collettiva come principio di regolazione sociale, della quale sono parte integrante - insieme all'esaltazione dell'immediatezza dell'individualità, sottratta alla coazione presunta del vincolo pubblico e restituita alla sua libertà primigenia, con un primitivismo agli antipodi delle visioni democratiche moderne (basate sul valore della mediazione istituzionale dei soggetti terzi e sulla centralità della norma e della regola) - sia la requisizione che viene operata del diritto-dovere ad essere informati in modo pluralista, largo, aperto, sia la visione della tassazione solo come vincolo, costrizione, esproprio, furto, quasi mai contributo alla costruzione di un progetto comune.
Ma l'appartenenza ad una collettività si esprime attraverso la condivisione di valori e di aspirazioni comuni, la reciprocità, la disponibilità a sostenersi vicendevolmente. Le libertà, inclusa quella di possedere, sono creature dello Stato ed è una finzione quella secondo la quale gli individui, quando esercitano le proprie libertà, agiscono in uno spazio scevro dall'intervento pubblico, limitandosi a «fare gli affari propri». La libertà ed i diritti, non solo sono create dall'ordinamento pubblico, ma sono essi stessi beni pubblici. Non solo non si limitano ad essere argini rispetto all'invadenza della collettività, ma esprimono anche valori cui le persone, proprio in quanto membri di una collettività, conferiscono una protezione speciale perché concernono l'interesse pubblico, ovvero «toccano» gli interessi dell'intera comunità, ovvero ancora riguardano l'equo trattamento dei suoi componenti.
È tutto ciò che viene messo radicalmente in dubbio; ma è tutto ciò che noi, invece, vogliamo riaffermare. Ed è anche con questo spirito più ampio che ribadiamo il nostro voto contrario alla conversione in legge di questo ignominioso decreto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'orologio dell'Assemblea di Montecitorio, l'orologio che sta dinanzi a noi, sta per segnare la conclusione delle ore 24 di giovedì 19 febbraio 2004; il commesso, dinanzi a me, sta cambiando il cartello, da giovedì 19 a venerdì 20 febbraio.
Siamo al quarto giorno della nostra battaglia...
PRESIDENTE. Ed io sono qui con lei...
VALDO SPINI. Sappiamo, signor Presidente, che lei è particolarmente solerte; ci congratuliamo di avere un vicepresidente così solerte.
Siamo entrati nel quarto giorno della nostra battaglia, e a mio avviso si deve sottolineare tale avvenimento. Dobbiamo, infatti, chiarire e riaffermare, di fronte a chi ci ascolta, i motivi che ci portano a
questa battaglia; veramente, di questo Governo possiamo avere un'immagine contro il Parlamento. Il Governo, infatti, ha inteso proporre il decreto-legge in esame dopo che dal Parlamento, sostanzialmente, erano già venuti vari segnali di reazioni negative avverso la normativa che si voleva portare avanti. Non contento, è anche ricorso alla posizione della questione di fiducia sul disegno di legge di conversione, onde espropriare il Parlamento delle sue possibilità di emendamento, onde espropriare i singoli parlamentari della possibilità di dare un giudizio sul merito del provvedimento, e non sul Governo nel suo complesso.
Quindi, la nostra reazione e la nostra battaglia derivano proprio dalla circostanza che il Governo, su una materia delicatissima quale quella dell'informazione, si sta ponendo contro il Parlamento e lo sta espropriando delle sue funzioni. A tale punto, i cittadini potrebbero osservare che, forse, si riuscirà pure a protrarre la battaglia ma, se la maggioranza porterà al voto i suoi parlamentari, comunque si sarà battuti; a tale obiezione, però, rispondo con una considerazione molto precisa. Non è un caso, infatti, che noi abbiamo compiuto operazioni politiche di aggregazione all'interno dell'Ulivo proprio per accelerare la costruzione dell'alternativa di Governo affinché i cittadini, nelle elezioni europee che ci attendono, possano dare una risposta che sanzioni negativamente tale comportamento, respingendolo con molta chiarezza.
Ecco perché la nostra battaglia in questa sede, in Parlamento, si lega ad una battaglia politica più generale che noi stiamo conducendo. Sostanzialmente, la maggioranza si è posta contro tre Autorità di garanzia. Contro la Corte costituzionale, che aveva posto il 31 dicembre come limite per poter procedere ad un riequilibrio dell'informazione; contro il Presidente della Repubblica - votato anche dalla maggioranza: non dimentichiamolo -, il quale aveva indicato, in un messaggio alle Camere, il tema del pluralismo dell'informazione quale tema fondamentale sul quale intervenire. Aveva, anzi, in un certo senso, messo sull'avviso la maggioranza, perché legiferasse conformemente a tali principi; ma la maggioranza credeva di poterne prescindere e, quindi, si è esposta, poi, con la cosiddetta legge Gasparri, al rifiuto della firma da parte del Presidente della Repubblica.
La terza Autorità è il Garante delle comunicazioni che, audito in questi giorni dalle Commissioni competenti, ha sottolineato i limiti di questo decreto, addirittura definendolo inagibile e inapplicabile, non permettendo, per le sue caratteristiche, di raggiungere i suoi fini.
Allora, cosa altro possono fare il Parlamento e l'opposizione se non denunciare di fronte ai cittadini della Repubblica tale modo di procedere, questo spossessamento del Parlamento su un tema particolarmente delicato, questa messa in mora delle maggiori Autorità di garanzia di cui dispone il nostro sistema costituzionale?
Credo che non sia casuale che, mentre il Governo impegna il Parlamento su questo tema, esso, non venendo in Parlamento, taccia su un tema generale globale che forse, in questo momento, è ancora più scottante: non è un avvenimento da poco che il 18 febbraio il Governo del nostro paese sia stato escluso dal Vertice dei grandi paesi europei. Non c'è criterio di popolazione, non c'è criterio di prodotto interno lordo, non c'è criterio di appartenenza al G8, ma evidentemente, a livello europeo, c'è una ripulsa nei confronti di questo Governo. Questo è un dato di gravità eccezionale che meriterebbe - questo, certamente, sì - che il Governo cercasse di confrontarsi con noi sul modo con il quale rimediare.
Voglio denunciare l'ennesimo episodio di sopraffazione nei confronti del pluralismo. Oggi ho partecipato ad un dibattito su questo tema che coinvolgeva le più autorevoli testate europee presenti nel nostro paese e parlamentari di ogni orientamento. Voi pensate che, a fronte di un tema così importante e di presenze così qualificate, sia spuntata una telecamera? Naturalmente non è spuntata, perché il paese non deve sapere che esiste questo tema (Commenti del deputato Viale). Quello
che lei dice veramente lo dicono in pochi e non mi era mai capitato di sentirmelo dire. Vorrei comunque far notare, perché rimanga agli atti per chi, domani, leggerà il resoconto del dibattito, che il collega si è posto su un banco particolarmente lontano e, quindi, forse le sue capacità di discernimento non sono del tutto adeguate.
Ebbene - tornando al nostro tema - ci si sarebbe aspettati che spuntasse una telecamera e che il dibattito venisse seguito da quello che dovrebbe essere un servizio pubblico, trattandosi di un argomento che definirei abbastanza epocale, dato che non sarà facile, in questa circostanza, riguadagnare il terreno perduto. Anche in questa occasione, ancora una volta, si è visto come funzionano le cose, che il pluralismo dell'informazione non esiste e che si danno le notizie che piacciono e non si danno quelle che non piacciono.
Ritengo necessario riprendere veramente in mano questa materia anche a causa degli annunci che vengono fatti. Non solo si ha il coraggio di non ottemperare ad un deliberato della Corte costituzionale per il riequilibrio dell'informazione, continuando quindi ad avere tre reti private, non solo si ha una maggioranza parlamentare di Governo che indirettamente si ripercuote anche sul controllo della televisione pubblica, ma si preannuncia di voler anche abolire la legge sulla par condicio, quella cioè che può consentire di affrontare la campagna elettorale ad armi pari, sovvertendo anche questo elemento.
In questa direzione, ogni sforzo di sensibilizzazione per ritardare l'approvazione di un provvedimento di questo genere corrisponde ad una grande battaglia di libertà.
Vedete, a volte, si cerca di sminuire la funzione del Parlamento e di dare un'immagine di deterioramento della vita parlamentare. Ebbene, in questi giorni, si sta rispondendo con molta concretezza a queste critiche e a questi rilievi. Questo Parlamento, attraverso l'azione dei partiti del centrosinistra, si sta qualificando e si presenta come un Parlamento capace di esercitare una sua funzione. E noi, gruppi di opposizione, vogliamo esercitare questa funzione di controllo e di denuncia ai cittadini nei confronti di abusi e distorsioni del nostro sistema costituzionale che non ci possono certo lasciare indifferenti e che ci portano qui, oggi, venerdì 20 febbraio, a continuare una dura battaglia di opposizione a questo decreto (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, le parole che si dovevano dire su questo decreto-legge sono state pronunciate e credo che una testimonianza di libertà e di verità sia stata resa in questo Parlamento, grazie alla battaglia condotta dai membri dell'opposizione.
PRESIDENTE. Onorevole Rutelli, dovrebbe rallegrarsi: un corteo di parlamentari è entrato in aula per festeggiare l'inizio del suo intervento (Si ride).
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, lei, piuttosto, deve informarsi sullo svolgimento della vita notturna della capitale (Si ride - Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Rutelli, so che Roma è una città accogliente. Prego, continui il suo intervento.
FRANCESCO RUTELLI. Grazie, signor Presidente. Penso che le giornate di ieri e di oggi abbiano fatto emergere la preoccupazione profonda che vive la minoranza di questo Parlamento - ma non credo la minoranza del paese - per il rischio della profonda alterazione della vita democratica e per le implicazioni che vi saranno negli indirizzi della vita pubblica del nostro paese.
Sappiamo che, in nessun paese in cui sia vigente una normativa che regola il conflitto di interessi, una legge come questa potrebbe essere approvata.
Signor Presidente, il Parlamento in questo periodo ha vissuto una vera e propria umiliazione. Il Parlamento in tempi recenti, non ha mai visto approvare una legge finanziaria a furia di decreti-legge e di voti di fiducia e non ha mai visto organizzare Commissioni parlamentari d'inchiesta da parte della maggioranza per usarle come strumenti politici verso la minoranza. Le Commissioni di inchiesta sono una prerogativa dell'opposizione e della dialettica parlamentare per accertare quello che il Governo non può accertare con strumenti come i ministeri, i servizi di informazione ed i suoi organismi.
Oggi il Parlamento viene fatto oggetto e strumento di atti e fatti senza precedenti. Il Senato della Repubblica, in queste settimane, sta discutendo una riforma, una modifica di ben trentacinque articoli della Costituzione ed il Presidente del Senato si trova nella condizione di dover rinviare il testo in Commissione e constatare che non esiste, su una materia di tal delicatezza e complessità, la minima intesa che non scaturisca da discussioni estranee alla vita parlamentare. Stiamo qui parlando di una riforma davvero vasta della nostra Carta fondamentale.
Signor Presidente, il Parlamento ha visto approvare delle leggi salvacondotto, orientate in modo chiaro verso l'interesse di qualcuno e, quando gli organi costituzionali di garanzia le hanno cassate, qualcuno si aspettava che l'opposizione definisse l'attività degli organi di garanzia, in particolare della Suprema Corte, come se fosse espressione di parte politica. La maggioranza li ha definiti in modo assai grave: espressione politica di parte.
Noi pensiamo molto semplicemente che gli organi costituzionali preposti a fare quello che la Corte costituzionale ha fatto svolgano semplicemente il proprio dovere e non siano al servizio, di volta in volta, né della maggioranza né dell'opposizione.
Signor Presidente, ci troviamo di fronte ad un cambiamento qualitativo della vita parlamentare veramente grave. Il fatto che oggi il Presidente del Consiglio annunci l'ipotesi che sulla legge Gasparri - legge che ha tenuto inchiodato il Parlamento per un anno e mezzo e che è stata rinviata alle Camere dal Capo dello Stato perché cozza contro la Costituzione - si possa far ricorso al voto di fiducia e che delle persone che svolgono la funzione di deputati della Repubblica verifichino ed analizzino questa eventualità, ci induce a riflettere molto amaramente e severamente su quello che avviene.
Vorrei sottolineare come la legge finanziaria, cioè la manovra di bilancio è il momento più alto in qualunque Parlamento - dal Congresso americano al Parlamento inglese o a qualunque altro Parlamento, dall'estremo oriente all'estremo occidente -, non si discuta più, come venga fatta oggetto, prima, di una decretazione d'urgenza per svuotarla e, poi, di modalità di approvazione quali quelle che abbiamo vissuto appena poche settimane fa. Quello che avviene è purtroppo legato al fatto che il primo ministro è sceso in politica per difendere - come egli dichiarò - le proprie aziende; e ancora questa notte stiamo discutendo su un provvedimento che è volto ad assicurare questi risultati. Tuttavia, abbiamo visto che, dal momento in cui l'attuale Presidente del Consiglio annunciò di scendere in politica per difendere le proprie aziende, qualcosa è cambiato: ormai tutta la politica viene orientata per tutelare gli interessi privati, via via l'interesse generale viene piegato agli stessi e ci si accinge a tentare di intervenire con virulenza sulla vita politica ed istituzionale in funzione di questi interessi, che ormai il cittadino coglie con grande nettezza ed evidenza.
Ci sono persone che hanno iniziato la vita parlamentare prima di me ed hanno comunque un'esperienza politica e istituzionale maggiore della mia; non credo che in Italia, da cinquant'anni a questa parte, abbiano mai sentito un Presidente del Consiglio rivolgersi all'opposizione dicendo: voi non lascerete mai il potere con mezzi democratici! Una volta il Presidente del Consiglio dichiarò che non era mai
successo che l'attuale opposizione - che allora era la maggioranza di centrosinistra - avesse lasciato, essendo i comunisti forze della sinistra, il potere conquistato democraticamente per via democratica. Penso che, dopo le dichiarazioni pronunciate ad Atene dal Presidente del Consiglio, nei banchi della maggioranza, comprensibilmente e giustamente deserti, e nelle coscienze, oggi tutt'altro che deserte, si cominci a porre il problema se davvero quelle non fossero espressioni dal sen fuggite, ad indicare che il Presidente del Consiglio non immagina nemmeno che, in futuro, in Italia possa esserci un ricambio democratico, ripromettendosi di usare tutti i mezzi di cui dispone e quelli che è in grado di attivare per scongiurarlo.
Quello che è avvenuto ad Atene penso che sia un fatto senza precedenti per la vita della nostra Repubblica. Il Presidente del Consiglio ha insultato i deputati, gli uomini politici e le donne che svolgono il servizio della vita pubblica e lo ha fatto con delle espressioni che qui non ripeto, ma che fanno meditare coloro che hanno inteso rendere una vita al servizio della cosa pubblica, coloro che, signor Presidente, non hanno fatto né insider trading né hanno costituito società off shore all'estero. È possibile che chi guida oggi il paese immagini che la politica sia fatta soltanto o di nemici da denigrare in questo modo o di propri dipendenti? Se questa fosse la considerazione che viene rivolta alla classe politica, a quel punto, solo i suoi dipendenti sarebbero disponibili a scendere nell'agone politico.
Penso che ci sia una ragione per cui, di giorno in giorno, si assiste a questa esasperazione. Penso che se ieri una persona avesse guardato l'Italia dall'esterno con un minimo di obiettività, avrebbe detto che il grande avvenimento e il grande problema all'ordine del giorno in questo paese è l'esclusione dell'Italia, per la prima volta dopo cinquant'anni, da un vertice dei paesi guida dell'Unione europea. L'Italia ha sempre partecipato per decenni, pur essendo un paese che ha conosciuto crisi e grandi difficoltà, al nucleo promotore e di guida dell'Unione europea. Questo non è avvenuto nelle scorse ventiquattr'ore e la nostra valutazione è che, cinicamente e lucidamente, chi guida oggi il Governo abbia tentato di distogliere l'attenzione.
Non parliamo della verifica di Governo perché, a quanto abbiamo visto, si sarebbe conclusa già ieri, poi l'altro ieri, poi tre o quattro giorni fa. Forse, questa cosiddetta verifica di Governo che è in corso da trecento giorni non si è conclusa affatto, ma il Presidente del Consiglio aveva un altro problema da affrontare: forse, era quello di rivolgersi con le espressioni che ha usato non all'opposizione ma ai suoi alleati di maggioranza.
Signor Presidente, forse in questo Parlamento esiste ancora qualcuno che non accetta tutto ciò ed è per questo che si pongono le questioni di fiducia, cioè per evitare che nel voto segreto ci sia un'espressione - certo non felice, ne siamo consapevoli, ma probabilmente necessitata - di libertà. Forse, nella maggioranza dell'attuale Presidente del Consiglio c'è qualcuno che non se la sente di piegare il capo e che tenta ancora di difendere uno spazio, seppur minimo, per la politica. Forse per questo, mentre nel centrosinistra - dove alle prossime elezioni europee sarà presente un'articolazione del tutto libera e legittima di forze politiche - alcuni partiti hanno fatto una lista unitaria, nel centrodestra ciò non si è fatto. Forse qualcuno non voleva accettare di essere guidato con questi toni e con questi accenti, dovendosi riconoscere con un tipo di campagna elettorale da piccolo, molto piccolo, Peron dell'Italia dei primi anni 2000.
La nostra speranza è che il titolare del più grave conflitto di interessi della vita pubblica italiana dal 1860 ad oggi, che ne trae quotidiano, sistematico e diretto beneficio - nel 2003 la sua famiglia, solo dalla Borsa, ha incassato 1,7 miliardi di euro di benefici diretti; e dobbiamo ascoltare le affermazioni che abbiamo udito oggi da Atene! -, ne sia ormai diventato prigioniero e, alla fine, ne sia travolto. Il nostro compito è di evitare che travolga il paese. Per questo abbiamo fatto questa battaglia e ne siamo orgogliosi (Applausi
dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Diana. Ne ha facoltà.
LORENZO DIANA. Signor Presidente, il 16 dicembre il Presidente della Repubblica rinviò alle Camere la legge Gasparri, rilevando in quel provvedimento un tentativo di aggirare la sentenza della Corte costituzionale che stabiliva la data del 31 dicembre 2003 come termine ultimo oltre il quale Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite. Dopo i rilievi formulati dal Presidente della Repubblica, il 23 dicembre scorso il Governo ha adottato un decreto-legge espropriando il Parlamento destinatario della lettera del Capo dello Stato e, poi, forzando ancor più la mano, ha costretto la Camera dei deputati, con il ricorso al voto di fiducia, a non entrare nel merito delle osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, l'onorevole Berlusconi, firmava così un decreto-legge che riguardava direttamente le sue proprietà e i propri interessi, in un evidente conflitto di interessi.
Dopo la mancata firma della legge Gasparri da parte del Capo dello Stato, il Governo è corso ai ripari per salvare un pezzo importante dell'impero mediatico di proprietà del Presidente del Consiglio, varando un decreto-legge che piega gli interessi generali a quelli del capo della maggioranza.
Siamo in presenza di un evidente conflitto di interessi che il Presidente Berlusconi si era impegnato a risolvere nei primi cento giorni di governo. Non cento ma quasi mille sono i giorni trascorsi dall'inizio della legislatura e il conflitto di interessi non solo non è stato risolto ma man mano è andato peggiorando. Prove ne siano i provvedimenti di un certo rilievo approvati con leggi che molti hanno definito «leggi vergogna» dalla giustizia al falso in bilancio, dall'abolizione delle tasse di successione per i più ricchi alle rogatorie internazionali, al rientro dei capitali dall'estero e alla cosiddetta legge Cirami. Sin dall'inizio della legislatura, dunque, abbiamo assistito ad una lunga serie di provvedimenti in favore del Presidente del Consiglio e della sua ristretta cerchia di sodali. Una sequenza di atti legislativi che vedono in modo macroscopico gli interessi personali del Presidente del Consiglio e del suo entourage venire prima dei bisogni veri e reali dei cittadini di questo nostro paese.
La maggioranza di centrodestra ha bloccato di nuovo il Parlamento su una legge ad personam, rifiutandosi di discutere in questa sede i temi che interessano in modo forte i lavoratori, le famiglie e tanti operatori economici del nostro paese. Assistiamo in queste settimane a fenomeni sociali preoccupanti in più parti del paese, al nord e nel Mezzogiorno, nella città di Genova, a Terni, nella città di Napoli, nella mia stessa provincia, ove nella città di Santa Maria Capua Vetere seicento lavoratori della Finmek vedono messo in discussione il loro posto di lavoro. Abbiamo visto il malessere manifestarsi negli scioperi di Milano, abbiamo visto il malessere che viene dall'impoverimento di milioni di famiglie di italiani. Esso deriva dalla perdita del potere di acquisto di milioni di cittadini, a partire da quello dei lavoratori dipendenti. I prezzi degli affitti salgono vertiginosamente, famiglie che povere non erano prima non riescono più a coprire le spese fino alla fine del mese né a pagare gli affitti in tante città, visto che essi ormai assorbono anche la metà di un salario medio o di una pensione.
Mentre il paese è quasi alla crescita zero, il lavoro è sempre più incerto e precario e i risparmiatori sono stati defraudati o sono fortemente preoccupati per il destino del proprio risparmio, il Governo è intento a bloccare il Parlamento sugli interessi del Presidente del Consiglio dei ministri. La crisi industriale ha colpito e continua a colpire le piccole e medie imprese, ma anche grandi industrie come la FIAT, la Cirio o la Parmalat. Il paese è più povero e più insicuro, pervaso, com'è sempre più, da sfiducia e inquietudine. Il nostro Governo e la maggioranza
mostrano invece ancora una volta di essere lontani dai problemi degli italiani, prigionieri degli interessi del Presidente del Consiglio.
Sono passati due anni e mezzo dalle elezioni del 2001 e la riduzione delle tasse promessa non vi è stata. Oltre cinque milioni di pensionati aspettano ancora l'aumento al minimo pensionistico di un milione di vecchie lire. Il miracolo economico, tante volte annunciato dall'onorevole Berlusconi, non si è realizzato. Però in questo periodo, con voti di fiducia e leggi ad personam, molti problemi del Presidente del Consiglio e dei suoi sodali sono stati più volte risolti. Almeno in questo, si può riconoscere che la maggioranza ha dimostrato di sapere essere compatta e determinata.
Ci troviamo ad esaminare ora un provvedimento d'urgenza che, anziché guardare ai problemi reali del paese, si preoccupa degli interessi personali del Presidente del Consiglio, della sua famiglia e del suo gruppo economico-finanziario. Gli italiani avvertono ormai sempre più un contrasto stridente tra le reali condizioni della loro vita quotidiana e le attività del Governo e del Parlamento, sempre più assorbito dalla tutela di interessi particolari anziché di quelli generali.
Per queste ragioni, c'è da dire ai colleghi della maggioranza di fare attenzione: il vostro comportamento politico, che porta al prevalere di interessi particolari, sta producendo sempre più uno scollamento tra cittadini che vivono un diffuso malessere ed istituzioni che sono da essi lontane, uno scollamento che rappresenta un grave danno democratico e sociale.
Per queste ragioni, voteremo contro la conversione in legge del decreto-legge al nostro esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Il Presidente del Consiglio sta ormai tracimando fra parossismi narcisistici e populismo, pronto a dire cose di una gravità inaudita. Lo hanno rilevato molti colleghi ma riprendo anch'io questo concetto, perché è utile sottolinearlo per la gravità di quanto sta succedendo. Quanto dice colpisce gravemente l'autorevolezza, la funzione politica e legislativa di questo Parlamento. C'è da chiedersi come facciano a tollerarlo gli appartenenti alla maggioranza che hanno quella cultura politica e quel senso delle istituzioni che derivano da una pratica democratica e da un alto senso dello Stato di diritto, fondato su una Costituzione democratica, di uno Stato dove la legalità comprende e riconosce il gioco di maggioranza e minoranza nel rispetto comune dei diritti fondamentali, che nessuna maggioranza può decidere e che non possono essere negati a maggioranza.
Berlusconi sembra pronto a fare qualunque cosa contro gli avversari, contro il senso dello Stato, contro le istituzioni. «Contro il senso dello Stato», così si è espresso Massimo Giannini su la Repubblica. Due giorni fa, ha affermato che se il fisco chiede ai cittadini il cinquanta per cento di quanto ha guadagnato, è naturale che questi si sentano moralmente autorizzati ad evadere le tasse per quanto possono. Contro le istituzioni ha fatto votare la fiducia sul decreto-legge che stiamo discutendo. C'è un insulto al Parlamento, colpevole di indugiare con le sue rituali lungaggini. In nome del primato del potere esecutivo, egli nega al potere legislativo il diritto-dovere di discutere nel merito un provvedimento così delicato.
Tale è il modo con cui il Presidente del Consiglio e questa maggioranza intendono la democrazia parlamentare. Il Parlamento è un intralcio, una inutile perdita di tempo, una perdita di efficienza nei processi decisionali per i propri affari, ossia è una istituzione tra lo scomodo e l'inutile, sostanzialmente superflua, che rallenta i processi di mercato, ossia quelli che portano diritto alla salvaguardia degli interessi materiali di qualcuno. Tutto ciò è raccapricciante, c'è da avere paura.
KATIA ZANOTTI. Ma questo paese se ne sta accorgendo e vi chiederà conto, colleghi della maggioranza in pochi qui presenti. Lo farà nell'unico modo possibile, vi manderà a casa, colpito dalle ferite profonde che avete inferto alla democrazia, al pluralismo dell'informazione, ai valori di libertà, uguaglianza, giustizia e solidarietà, che sono le ragioni fondanti per la crescita di una collettività nazionale che vuole riconoscersi in scelte di civiltà all'interno di una compiuta democrazia moderna.
Mai come in questi ultimi anni il rispetto delle regole, che ci si è dati per sviluppare ordinatamente la vita sociale, per ridurre le prevaricazioni dei potenti, per assicurare l'uguaglianza effettiva tra i cittadini, per garantire anche ai deboli i loro diritti fondamentali, è diventato un mero optional nella vita comunitaria.
Questo Governo sta distruggendo il senso di appartenenza ad una comunità nazionale, operando la distruzione di tutti i suoi beni pubblici, compreso quel bene che è l'informazione plurale. Questo Governo sta distruggendo la tradizione solidaristica del paese, una tradizione che ha permeato, seppure con mille contraddizioni, la politica del Governo dal dopoguerra fino all'era del Governo Berlusconi, un Governo ben lontano da concezioni laiche e liberali.
Faccio un solo esempio, signor Presidente. Mi riferisco alla sanità. I risultati che la destra vuole raggiungere consistono nel riportare sotto il controllo del mercato privato tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produzione e di alti profitti (le tecnologie avanzate, la chirurgia complessa) e contemporaneamente, di conseguenza, spingere le fasce più ricche della popolazione a chiedere di uscire dal sistema nazionale e dalla contribuzione obbligatoria. Il messaggio del centrodestra (e che la propaganda berlusconiana attraverso, i media, ripete ossessivamente) è chiaro: pubblico vuol dire inefficienza, spreco e corruzione; il privato, invece, efficienza, economicità e qualità.
Non è però una sorpresa, per i ricercatori del Censis, venire a sapere che, se nel 1997 un italiano su tre, il 32,2 per cento, pensava che il ruolo dello Stato in economia dovesse ridursi a quello di mero soggetto regolatore, privatizzando tutte le aziende di proprietà, a sei anni di distanza, la quota di neoliberisti si ridimensionava drasticamente, passando, nel 2003, al 18,8 per cento, mentre cresceva al 70 per cento quella di quanti auspicavano l'azienda di Stato.
Dico questo perché tali dati confermano che le persone si sentono molto più insicure dentro una visione di Governo, quella di questa maggioranza, che propone un'insanabile incompatibilità fra sviluppo economico e sviluppo sociale e secondo la quale, per avere più crescita economica, occorrono più diseguaglianze e meno libertà e diritti per tutti! Si conferma che conflitto di interessi, pluralismo dell'informazione, difesa dello Stato sociale, diritti del lavoro, ma anche libertà civili e difesa dell'ambiente, sono temi grandi, che una parte importante dell'Italia chiede che siano difesi dall'attacco di questo Governo.
La reazione dell'opposizione, in queste lunghe ore, è un'azione legittima e democratica. Noi parliamo, in queste ore, di politica con grande rigore e serietà, e continuiamo ad indignarci, spinti da una grande passione civile, una passione civile che è ancora grande nel popolo italiano, il quale pone una domanda che dia un senso alla politica, ma si trova come risposta l'arroganza di un Presidente del Consiglio che disprezza la politica e ha aperto un conflitto sociale di proporzioni immense (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cialente. Ne ha facoltà.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, avendo appreso le notizie di agenzia
relative alle dichiarazioni dell'onorevole Berlusconi, rilasciate ad Atene, circa strani arricchimenti di una classe politica «mangiapane a tradimento», pur non sentendomi chiamato in causa (in quanto ho sempre svolto e svolgo tuttora la mia professione), vorrei dire all'onorevole Berlusconi che, prima di parlare di strani arricchimenti degli altri, sarebbe il caso che egli si lasciasse processare per le ipotesi di reato legate ai suoi arricchimenti. Altrimenti, è meglio che stia zitto: farebbe più bella figura (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
Credo che poche volte, nella storia della Repubblica, lo iato tra paese e istituzioni, tra clima, preoccupazioni e realtà della società civile, dibattito politico e azione del Governo, sia stato così ampio, così slabbrato. Oggi, l'Italia è un paese che sembra sgretolarsi, sfilacciarsi nelle regole, nella sua costruzione, nel suo stesso patto di cittadinanza. È un paese incerto, confuso, preoccupato. Un edificio che si sgretola, innanzitutto, sotto i colpi di una recessione legata a un'inflazione che non ha pari in Europa.
C'è una crisi industriale, una perdita di posti di lavoro (i posti veri, non quelli posticci della legge n. 30 del 2003, la cosiddetta legge Biagi), fabbriche che chiudono, interi comparti industriali in crisi, interi distretti industriali in crisi. È un vero e proprio declino del paese, che perde la propria competitività. Da due giorni, l'aula del consiglio comunale della mia città, L'Aquila, è occupata da 550 lavoratori che hanno ricevuto lettere di licenziamento nell'ambito della famosa vicenda del polo elettronico. La crisi delle telecomunicazioni in Italia, che è forte all'Aquila ma è presente in quasi tutte le città e regioni italiane, meriterebbe una risposta, ma questo Governo non è in grado neanche di abbozzarne una.
Un paese, quindi, più povero, al di là delle irritanti e provocatorie dichiarazioni televisive del Presidente del Consiglio, il quale ci vede tutti più ricchi: vedrà solo la sua famiglia e qualche amico! Il paese si sgretola nelle sue articolazioni e in tutti i pilastri sociali: il mondo della scuola, dell'università, della ricerca, la sanità.
Vi è uno scontro istituzionale senza precedenti rispetto alla magistratura, alla stessa Corte costituzionale, una minore sicurezza dei cittadini, una minore attenzione nell'ambito dei servizi pubblici, la svendita sottocosto del patrimonio pubblico (Inail, Enel, la cartolarizzazione negli ospedali, i risparmiatori traditi): assistiamo a tutto questo!
È netta la sensazione di un paese che si sta sgretolando e che si sente privo di una guida perché questo Governo e questa maggioranza sono incapaci di guidare l'Italia in tale frangente. È vero, siamo in un momento internazionale difficile che, per questo, avrebbe richiesto, con l'ingresso nella moneta unica, nuovi strumenti di competitività rispetto a quelli classici (quando avevamo una lira facilmente svalutabile); invece, non c'è niente di tutto questo.
Vedo pochi colleghi della maggioranza, ma so che molti di loro sanno bene cosa dico: non c'è nulla di nulla! Potremmo elencare gli errori rilevati non solo da noi dell'opposizione, ma anche da osservatori internazionali, economisti, nazionali e non, dagli stessi imprenditori e dal mondo sindacale. Ma perché esiste questa scollatura fra Palazzo e paese? C'è un motivo di fondo da ricercare? Mentre gli italiani sentono ormai sulla loro pelle queste contraddizioni, non vedono che nubi all'orizzonte e, soprattutto, il paese ha un crollo delle aspettative; mentre ciò accade, nel paese si diffonde una sorta di virus, che provoca una paralisi anche rispetto agli eventi futuri.
Questo Governo e le sue grandi promesse: il paese del Bengodi! Da quasi mille giorni, questo Governo lavora solo per leggi o provvedimenti necessari e utili o all'onorevole Berlusconi o ai suoi storici soci in affari - e, forse, in malaffari -, alle sue aziende, alla sua famiglia. Per motivi di tempo non elenco - ma tanto le conosciamo tutti - le leggi sulle quali siamo fermi da mesi e mesi. Siamo stati fermi anche un anno sulla legge Gasparri!
La grande questione del conflitto di interessi è un dramma per il paese, non solo perché ci squalifica agli occhi di tutto il mondo civile, e soprattutto in Europa, dove siamo visti, ormai, come portatori malati - non più sani - di una malattia pericolosa, che può colpire una democrazia moderna: quella del legame tra un grande capitalismo, il grande mondo degli affari, e il potere politico. Ciò strangola questo paese perché non c'è una scelta, una strategia politica, una scelta economica in qualsiasi settore economico del paese che non vada a confrontarsi, e quindi ad essere assoggettata, agli interessi del premier o delle sue aziende. Non c'è odio nei confronti di Berlusconi, così come lui affermava oggi, ma c'è una grande preoccupazione politica per questo paese e per la sua competitività e le sue regole.
Anche riguardo al decreto «salva Retequattro», ho già cercato di spiegare nei miei precedenti interventi che c'è un altro aspetto (ieri evidenziato molto lucidamente dal collega Giulietti), quello dell'effetto che, ancora volta, si provoca in un altro dei settori produttivi del nostro paese: l'informazione.
Il fatto che l'onorevole Berlusconi possa, come ha fatto di nuovo e come sta facendo anche con il disegno di legge Gasparri sul riordino del sistema televisivo, legificare in favore delle sue aziende, ponendo addirittura la questione di fiducia e giocando in Borsa nel momento in cui l'ha posta (sapendo dell'aumento del valore dei suoi titoli), determina un grande problema rispetto agli assetti e agli equilibri di questo mercato, di questo settore produttivo dell'informazione e dell'editoria. Sono interventi a gamba tesa sulle regole di un sistema democratico ed economico. Per i suoi interessi egli ha, ancora una volta e forse ormai irrimediabilmente, compromesso il mercato della pubblicità, della quale, tra l'altro, è uno dei padroni, danneggiando, strangolando e ricattando tutto il mondo dell'informazione e della carta stampata e intervenendo sulla stessa televisione pubblica, sulle stesse reti dell'emittenza locale ed anche sul sistema della radio.
È una concentrazione con la quale, ormai, sta anche dequalificando la televisione pubblica, da un lato con le epurazioni che, se non altro, fanno perdere la fiducia ai telespettatori relativamente al tipo di informazione, ma anche, e soprattutto, con le emorragie di ascolti (pensate solo a ciò che sta succedendo ad alcune reti della radio). Pensiamo al danno a carico di Europa 7, alla quale spettavano le frequenze ancora oggi assegnate a Retequattro. E questa non è che la punta dell'iceberg del danno e - lo ripeto - dell'entrata a gamba tesa sulle regole della trasparenza del mercato.
Sono tra coloro che parlano per gli ultimi, in quest'ultima notte, dopo quattro giorni di questa lunga seduta della Camera. È stata una dura battaglia di ostruzionismo, ma perché l'abbiamo fatta? Non certo per odio, come ancora oggi diceva il premier; l'abbiamo fatta perché quello dell'informazione non è soltanto un settore produttivo, ma è anche, nel XXI secolo, il campo sul quale si giocano la democrazia e la libertà di un paese, la libertà di ciascun cittadino (penso soprattutto ai giovani).
Credo che questa battaglia la mia parte politica la dovesse - forse dopo alcuni errori, anche gravi, commessi nella scorsa legislatura - a quegli italiani che intendono difendere la storia, la dignità e, soprattutto, il futuro di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crucianelli. Ne ha facoltà.
FAMIANO CRUCIANELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ormai a quest'ora possiamo anche essere un po' generosi con noi stessi e con la Presidenza; dunque, svolgerò un intervento non breve, ma brevissimo. Non dirò nulla sul conflitto di interessi e su tutto ciò che è stato detto e raccontato durante questi giorni; mi interessa soltanto esprimere un concetto.
Noi possiamo dire, ancora, di essere in democrazia. Sono convinto che abusivamente
e, qualche volta, retoricamente si afferma che siamo precipitati in un regime; ma le cose non stanno così. Questa democrazia è il frutto di una lunghissima storia, di una storia secolare, una storia che ha visto, in lontananza, gli Stati moderni, poi i grandi conflitti sociali, i grandi conflitti di classe, i totalitarismi; ha attraversato una fase lunghissima della storia dell'umanità e, alla fine, ci ha consegnato i Parlamenti, il suffragio universale, i partiti e le grandi istituzioni sociali che hanno rappresentato l'elemento vero di vitalità del nostro sistema democratico.
Abbiamo avuto poi, negli ultimi quarant'anni - siamo agli anni cinquanta-sessanta - una nuova forma di organizzazione della società, un nuovo modo di essere, che ha coinciso con la cosiddetta società del benessere o società dei consumi, e lì qualcosa, nuovamente, è intervenuto. Ricordo che a quei tempi si leggeva molto un libro di un filosofo, a suo modo eretico, il quale diceva - il libro si intitola L'uomo a una dimensione - che la cultura (elemento fondamentale per la democrazia), nel momento in cui si faceva merce, si incorporava nelle merci, diventava essa stessa un prodotto che accompagnava altri prodotti, perdeva la sua capacità critica e la sua capacità di alienazione critica dal reale e quindi, in quanto tale, diveniva un elemento subalterno alla società delle merci.
Era il primo segnale di un processo nuovo. Questo processo si è geometricamente moltiplicato e oggi possiamo dire di essere in una democrazia mediatica. Non a caso, i partiti, le grandi associazioni e le grandi istituzioni sociali sono divenuti sempre più marginali ai fini della vitalità democratica del nostro sistema. Possiamo soltanto immaginare - voglio fare un solo esempio e concludo - cosa sarebbe l'informazione sulla guerra in Iraq se fosse una vera informazione, ma non informazione che possiamo ottenere soltanto per vie marginali, attraverso racconti di qualche foglio clandestino. Parlo dell'informazione che si può leggere su alcuni grandi giornali, come The Guardian, un giornale britannico che ci sta disvelando, giorno dopo giorno, quali sono le partite che si stanno giocando in Iraq. Non so se lo sapete, ma il 30 per cento dell'intero bilancio che lì viene impegnato è ormai destinato ai privati; siamo, cioè, ormai in una nuova fase, nella quale la parola «privatizzazione» della guerra ha una sostanza corposa. Privatizzazione non vuol dire soltanto un po' di logistica; ci sono ormai interi settori militari concessi ai privati (ciò aprirebbe una questione delicatissima anche in rapporto alla convenzione di Ginevra). È una nuova forma di mercenariato di cui non si sa nulla (è uscito un articoletto su la Repubblica, ma non se ne sa nulla).
È di ieri la notizia di un conflitto pesantissimo che si è aperto fra gli inglesi e gli americani, non sul fatto se debba essere o meno l'ONU a gestire la transizione in Iraq, bensì su quali aziende debbano gestire la ricostruzione. Una delegazione ufficiale inglese di alto vertice è andata in America, a Washington, per protestare perché le aziende inglesi non partecipano alla ricostruzione, perché il monopolio della ricostruzione è finito, quasi globalmente, nelle mani delle aziende americane. Sono frammenti di verità accuratamente celati all'opinione pubblica. È attraverso questa manipolazione che si costruisce, oggi, una democrazia mediatica falsa.
Ecco l'importanza della battaglia che stiamo conducendo. Ricordo discussioni antiche sull'ostruzionismo e ricordo che, allora, i comunisti, in polemica con gruppi di minoranza radicale, sostenevano che l'ostruzionismo si poteva praticare soltanto in occasione di passaggi decisivi della vita democratica del paese. Ebbene, credo che questo sia uno di quei momenti, perché stiamo discutendo esattamente della democrazia.
Giustamente, prima si diceva che non è soltanto un problema di aziende e di arricchimenti indebiti; sì, ci sono tutti questi profili, ma ciò che sta al centro della questione di cui discutiamo, del contenzioso che si è aperto nel paese è
esattamente la democrazia, come si è costruita nei secoli passati e la democrazia di oggi.
Ieri, l'onorevole Fassino - che citavo all'inizio - ha detto che non siamo in un regime ma in un'emergenza democratica. Io concordo, ma il confine fra emergenza democratica e regime è piuttosto sottile. La linea che divide l'emergenza o la crisi democratica dal regime è molto sottile, ed è esattamente su quella linea che ci troviamo. La battaglia che stiamo conducendo, qui e nel paese, è il consolidamento di quella linea ed è volta ad impedire che l'emergenza si trasformi in regime.
Pertanto abbiamo non una ma mille ragioni per fare questo ed altri ostruzionismi quando questioni di tale genere saranno all'ordine del giorno (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, in questi giorni si sono manifestate, in tutta la loro drammaticità, la crisi della nostra economia e le sue conseguenze sul mondo del lavoro.
Come è stato ricordato, per 2700 lavoratori e lavoratrici dell'Alitalia c'è il pericolo immediato della perdita del posto di lavoro. Lo stesso pericolo e la stessa disperazione sono avvertite dai lavoratori siderurgici di Terni, dell'ILVA di Cornigliano, dell'Alcatel di Rieti, che recentemente hanno manifestato davanti a Palazzo Chigi. Sono, purtroppo, solo alcuni esempi delle difficoltà gravi della nostra industria a competere sul mercato globale e del fallimento della politica economica del Governo.
C'è un profondo disagio sociale nel paese, avvertito dai lavoratori e dai pensionati che, con i loro redditi, non riescono a tenere il passo del carovita. Un disagio che si esprime con il panico che avvertono i risparmiatori, di fronte all'economia di cartapesta che si intravede dietro gli scandali Parmalat e Cirio; un disagio sociale interpretato dal sindaco Veltroni, il quale ha richiamato, pochi giorni or sono, l'attenzione dei parlamentari di Roma sull'emergenza casa che, non solo nella capitale ma in tutte le grandi città, costringe gli inquilini a destinare almeno il 70 per cento dei loro salari o delle loro pensioni al pagamento degli affitti.
Dovremmo preoccuparci di tutto ciò in Parlamento: delle misure da mettere in campo per contrastare il declino del nostro paese, fotografato nitidamente dalle ultime rilevazioni di Eurostat. Invece, per l'ennesima volta, siamo chiamati a votare un provvedimento pensato per tutelare gli interessi del Presidente del Consiglio, anche attraverso il voto di fiducia sul decreto «salva Retequattro».
Non è un caso che, mentre il paese declina, le aziende del Presidente del Consiglio vanno piuttosto bene. Partecipiamo all'ennesima puntata della telenovela del conflitto di interessi del premier.
Con la nostra posizione, col nostro ostruzionismo, cerchiamo di lanciare un allarme forte a tutto il paese. Ciò che sta avvenendo è inconcepibile in qualunque Stato di diritto. Con un voto di fiducia, si è voluto blindare un provvedimento adottato dal Governo in violazione di una sentenza della Corte costituzionale (che ha fissato al 31 dicembre del 2003 il termine ultimo per adeguare il sistema radiotelevisivo, favorendo finalmente il pluralismo dell'informazione).
La maggioranza sostiene che non si tratta di un puro e semplice provvedimento di proroga di quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale, in quanto questo decreto-legge definisce le modalità di cessazione del regime transitorio per l'avvio definitivo del digitale terrestre. Dunque, si tratterebbe di un provvedimento che guarda al futuro, che affida il compito di verificare le condizioni utili a dimostrare l'avvio del digitale terrestre all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Tuttavia tale provvedimento, adottato frettolosamente nel mese di dicembre del 2003 e trasmesso alle Camere nel gennaio di quest'anno, piuttosto
che prefigurare un nuovo assetto, appare come una veloce e tempestiva risposta alla bocciatura della legge Gasparri, operata dal Capo dello Stato con il rinvio del provvedimento alle Camere.
Le osservazioni del Presidente Ciampi sulla legge Gasparri riguardano, in primo luogo, il fatto che questa cosiddetta riforma non garantisce il pluralismo dell'informazione, che è il presupposto fondamentale, il valore fondante di qualunque democrazia. Il pluralismo esiste se vi è una concorrenza, se esiste la possibilità per nuovi soggetti e nuovi gestori di affacciarsi sul mercato, se vi è libertà di opinione e concorrenza. Affinché si possano considerare realizzate le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve ricorrere il requisito, rientrante fra le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica, di un effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre.
Tale osservazione del Presidente Ciampi non è stata rispettata con il decreto-legge al nostro esame. Infatti, il sistema non si realizzerà in tempi brevi. A parte i decoder e le antenne, bisognerà sostituire, infatti, 38 milioni di televisori esistenti in Italia e, anche per avere un solo apparecchio digitale in famiglia, saranno necessari tra i sette e i nove anni. Un vero mercato delle tv digitale non potrà nascere prima del 2010-2012.
Che cosa si può, pertanto, verificare tra poco più di quattro mesi? Cosa potrà verificare l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per di più con parametri così incerti e generici, quali quelli definiti da questo decreto-legge?
È evidente che si tratta di un colossale aggiramento delle norme, per dichiarare finito il regime transitorio, mantenere, anzi rafforzare, posizioni dominanti anche nella raccolta della pubblicità e sancire, ancora una volta, il predominio della televisione sulla carta stampata.
Noi avevamo proposto emendamenti su molti aspetti di questo decreto-legge. Il Governo ha posto la questione di fiducia, impedendo il confronto, senza che ci fosse, da parte nostra, nessun intento ostruzionistico. Infatti, abbiamo presentato solo 70 emendamenti di merito e per la scadenza dei termini del decreto esistevano, come noto, margini di sicurezza. Pertanto, la fiducia è stata posta contro la maggioranza. Il Governo ha avuto paura che la sua maggioranza non tenesse, rispetto ai contenuti del decreto-legge.
Nelle ultime settimane di lavoro parlamentare, la maggioranza si è divisa su tutto: dalla sospensione della leva alla riforma del tribunale dei minori. Per quanto riguarda la proposta di legge Boato, concernente l'attuazione dell'articolo 87 della Costituzione, la settimana scorsa si è verificato un episodio che ha coinvolto il relatore che, per dirla con un eufemismo, è stato preso a male parole dal gruppo di Alleanza nazionale.
Siete inoltre profondamente divisi sull'indultino ed anche sulla legge Gasparri. Vorrei ricordare che, a scrutinio segreto, 40 deputati della Casa delle libertà hanno mostrato di condividere le nostre critiche in materia di telecomunicazioni.
Ancora una volta, con un voto di fiducia, non abbiamo avuto la possibilità, in questo Parlamento, di svolgere un dibattito franco e di merito su una questione - il pluralismo dell'informazione - di fondamentale importanza per la democrazia del paese. Ancora una volta, una maggioranza divisa su tutto si ritrova unita a difesa degli interessi del Presidente del Consiglio.
Signor sottosegretario, avete i numeri per approvare questo decreto-legge, ma gli italiani - ne siamo sicuri - vi faranno pagare a caro prezzo questa politica così indecente e squalificata (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, parliamoci chiaramente: un intervento di questo genere,
a quest'ora della notte, non ha lo scopo di convincere. Noi sappiamo che ci stiamo ripetendo. Eppure, anche se tutto è stato già detto, ciò che ripetiamo non sarà inutile. Non sarà inutile non foss'altro che in onore di qualche cittadino insonne che, sintonizzato su qualche radio benemerita, potrà ascoltare ciò che sta davvero accadendo, questa notte, alla Camera.
Jefferson scriveva che la nostra libertà dipende dalla libertà di stampa. Quest'ultima non può essere limitata senza che vada perduta. La libertà di stampa e, oggi, la libertà televisiva, se non perduta, è certo gravemente colpita. Abbiamo una televisione senza smentite, scriveva appena ieri Giovanni Sartori.
La verità sulla nostra TV non è accertabile. Rimane, per il momento, la libertà di espressione. Ad essa facciamo ricorso questa notte. Né possiamo fare diversamente, giacché non possediamo i mezzi di cui dispone il Presidente del Consiglio. Non possediamo le sue televisioni, non esercitiamo la sua influenza. Dobbiamo accontentarci delle pagine interne dei giornali.
Respingiamo, tuttavia, la sufficienza ed il sarcasmo dell'onorevole Gasparri. Il ministro di fiducia del Presidente del Consiglio non si stanca, infatti, di ripetere che la nostra battaglia (la battaglia del centrosinistra, la battaglia dell'Ulivo) è inutile. Perché è una battaglia inutile? Perché è una battaglia di fronte ad una maggioranza invariata? È inutile perché nulla, o ben poco di ciò che sta accadendo in Parlamento in questi giorni, sarà mostrato al paese?
Non è una battaglia inutile, onorevole Gasparri. Noi oggi combattiamo questo decreto-legge anche perché esso è il figlio mostruoso, ancorché naturale, della madre di ogni sciagura di questo Governo: il conflitto di interessi. Tale conflitto avrebbe dovuto essere risolto entro cento giorni, si disse. Ne sono trascorsi mille (anzi, per l'esattezza, 1012, secondo i calcoli che aggiorniamo quotidianamente). Sappiamo che Berlusconi aveva promesso di risolverlo già nel 1994, quando entrò in politica. Allora, riconobbe egli stesso l'esistenza di un conflitto di interessi. Ebbene, sono passati dieci anni - ripeto, dieci anni - da quando assunse l'impegno di risolvere il conflitto di interessi, e questo non è stato ancora risolto.
Non avremmo mai immaginato che la sua prepotenza e la sua impudenza si sarebbero spinte fino al punto di costringerci a questa veglia notturna, fatta per far sentire la nostra voce (e come avrebbe potuto essere diversamente?). Ricordiamo lo svolgimento del copione, di nuovo in onore dei cittadini insonni che ci ascoltano.
Ancora una volta il premier ha ordinato, il Governo ha eseguito ed il Parlamento è stato doppiamente mortificato con l'imposizione di un decreto-legge, con la richiesta di un voto di fiducia su di esso e, soprattutto, con l'imposizione fatta all'organo che rappresenta la sovranità popolare. Il Parlamento è stato costretto a piegarsi perché la materia del decreto è l'interesse privato del Capo del Governo che l'ha ordinato.
Non è stato possibile attendere i tempi ordinari dell'iter legislativo, né rischiare qualche sussulto di coscienza che avrebbe potuto emergere con il voto libero della maggioranza. La logica lineare sottesa ai due anni e mezzo del Governo non sfugge a nessuno: il conflitto di interessi non è stato risolto, la legge Frattini che avrebbe dovuto regolarlo, se non risolverlo, è «scomparsa» dall'ordine del giorno (il collega Giachetti è in Assemblea a ricordarlo ogni giorno) e, con essa, sono stati «seppelliti» gli articoli 3 e 6 che non avrebbero consentito di presentare il decreto-legge che la Camera si accinge a votare.
Il Governo ha voluto, con questo provvedimento, sostituirsi al Parlamento che avrebbe dovuto nuovamente legiferare sulla cosiddetta legge Gasparri, votata dalla maggioranza parlamentare ma «bocciata» dal Presidente della Repubblica, che l'ha ritenuta in conflitto con le decisioni della Corte costituzionale.
All'indomani della pronunzia della Corte costituzionale, lo ricorderebbero i colleghi della maggioranza se fossero presenti o perlomeno attenti....
PAOLO ROMANI, Relatore per la IX Commissione. Siamo anche attenti! Siamo anche attenti!
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. ...avevamo espresso la nostra disponibilità a lavorare insieme alla ricerca di una soluzione. Ma quale soluzione? Anziché chiedersi come ripristinare il pluralismo che la Corte costituzionale ritiene violato, la domanda che la maggioranza si è posta è stata come eludere la sentenza della Corte. Tutto è stato escogitato per dare attuazione a tale proposito. Gli interessi privati del Presidente del Consiglio sono più importanti della libertà. Gli interessi privati del Presidente del Consiglio sono più importanti del pluralismo, che della libertà è condizione necessaria e presupposto irrinunciabile.
Il decreto-legge è l'ultimo espediente escogitato per perseguire l'obiettivo di sempre: difendere ad ogni costo la posizione dominante dell'azienda televisiva di proprietà del Presidente del Consiglio. Perché tale decreto è «intoccabile»? Perché «intoccabili» sono gli interessi aziendali del Presidente del Consiglio e perché non si può ammettere che il digitale terrestre è un bluff. Se si ammettesse ciò, si dovrebbe dire addio a Retequattro. Ma quale ricerca comune, quale intesa è mai possibile quando l'opposizione, per farsi ascoltare, deve ricorrere all'ostruzionismo così da far giungere al paese una pallida eco della propria indignazione e del proprio allarme?
Non vi è intesa possibile quando un'opposizione che si batte in difesa delle prerogative parlamentari, in difesa della democrazia, per farsi ascoltare deve ricorrere a ciò che viene definito ostruzionismo, che invece è, tragicamente, l'unico modo rimasto per esprimere, se non le proprie proposte, almeno un dissenso.
Voi, deputati della maggioranza, non avete nemmeno la libertà di dissentire, perché il dissenso non vi è più consentito. Lo sapete bene. Guai - mi riferisco alla maggioranza nel Parlamento - a chi avesse l'ardire di pensarla diversamente; guai a chi, potendo ricorrere soltanto alla residua briciola di libertà offerta dal voto segreto, ardisse votarla. È stato richiesto un voto di fiducia, cari colleghi, una fiducia che oggi siete tenuti a dichiarare nei confronti del Governo. Siete chiamati ripetutamente a dichiararla per la semplice ragione che il Capo del Governo non ha più fiducia nei confronti di molti di voi. Il potere legislativo è stato palesemente piegato al potere esecutivo e quest'ultimo ha obbedito al proprio capo e ne ha difeso i personali interessi.
Ancora una brutta giornata, una brutta nottata dovremmo dire, per il Parlamento. Ancora una triste giornata, una triste nottata, per la democrazia italiana. Possiamo continuare in questo modo? Pensiamo di no (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crisci. Ne ha facoltà.
NICOLA CRISCI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'opposizione tutta sta conducendo in questi giorni, con determinazione e passione, una lunga e democratica battaglia per difendere le prerogative del Parlamento, per contrastare l'approvazione di un provvedimento predisposto per salvaguardare gli enormi interessi del Presidente del Consiglio e dell'azienda di famiglia, per esercitare, seppure in forma impropria, il suo diritto-dovere di esprimere le proprie valutazioni su temi delicatissimi come quelli dell'informazione, del pluralismo, della libera concorrenza e delle regole del mercato. Questi temi incidono direttamente sulla qualità e sul funzionamento delle moderne democrazie.
Avremmo voluto quanto meno dare il nostro contributo, attraverso le ordinarie proposte emendative, per correggere il contenuto di un decreto ad personam, ma ancora una volta è stata posta la questione di fiducia per evitare il trasferimento di Retequattro sul satellite fino al varo della riforma delle televisioni, aggirando così scientemente e con sperimentata arroganza,
la sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che la data del 31 dicembre 2003 deve essere il termine ultimo e non eludibile per il rispetto delle vigenti norme antitrust.
La questione di fiducia è stata posta non per ragioni tecniche, come è stato ipocritamente detto, ma per non correre il rischio che, nel segreto dell'urna, le coscienze, non ancora completamente piegate al volere del capo, potessero avere un sussulto di dignità e, con il loro voto contrario, mettere in pericolo gli interessi economici del Presidente del Consiglio e della sua famiglia.
Si è voluto impedire il libero confronto perché la dialettica e le procedure parlamentari non sono considerate dal premier componenti fondamentali e costituzionali del nostro sistema democratico, ma riti sterili e noiosi, meri esercizi retorici, praticati da uomini poco operosi e, per usare il suo stile, buoni a nulla. Questi buoni a nulla sono, per il premier, animati soltanto da invidia ed odio e si impegnano quotidianamente ad ostacolare il lavoro produttivo di uomini talentuosi come il Presidente del Consiglio ed a ritardare, quindi, il naturale maturare dei frutti prodotti dalla nuova cultura del «fare» praticata dal Governo delle destre, che ha chiuso una incomprensibile verifica politica durata 276 giorni con un preambolo, come ai tempi del CAF, un preambolo privo di impegni programmatici e sostanzialmente imposto agli alleati che hanno malcelato la propria insoddisfazione, ma hanno anche evidenziato il loro velleitarismo e la loro incapacità di contrastare lo strapotere del premier e la sua visione proprietaria, non solo delle istituzioni, ma anche della maggioranza.
Questa cultura del «fare» ci consegna, dopo quasi tre anni di Governo delle destre, un paese sfiduciato, con un tasso di crescita prossimo allo zero, con una crisi del settore industriale che colpisce drammaticamente le piccole e medie imprese, ma anche le grandi, con l'impoverimento crescente dei ceti medi, con la perdita del frutto di una vita di lavoro di tanti risparmiatori, con la preoccupante esplosione della paura di tanti altri ad investire i propri risparmi in un sistema finanziario e creditizio poco efficiente ed affidabile, con la vana attesa per oltre cinque milioni di anziani di un aumento di pensione promesso e mai ottenuto, con la precarietà e l'incertezza che accompagna il lavoro e la vita di tanti giovani, con lo scontro cercato ed alimentato in modo irragionevole, con i settori vitali della ricerca, dell'università, della scuola, della sanità, ma anche del lavoro, della produzione e del commercio. Insomma, ci consegna un paese più povero, meno coeso, più insicuro, meno libero e democratico di tre anni fa.
Inoltre, con la «blindatura» del decreto-legge in discussione si è consumato un altro attacco alle prerogative del Parlamento e con la sua approvazione si produrrà una grave alterazione delle regole della concorrenza del sistema televisivo, all'ombra di una persistente e preoccupante commistione tra gli interessi privati del Presidente del Consiglio e le sue funzioni pubbliche.
Un conflitto di interessi sempre più grave, che evidenzia l'allarmante anomalia del mercato televisivo editoriale italiano, dominato dalle aziende dell'onorevole Berlusconi, che controllano anche circa il 70 per cento del mercato pubblicitario. Una intollerabile commistione di interessi che determina vantaggi indubbi ed arricchimenti facili ed ingiusti per le aziende del Premier, come dimostra - ammesso che ve ne fosse bisogno - l'immediato aumento delle quotazioni di Borsa dei titoli Mediaset dopo i 328 voti per la fiducia ottenuti dal Governo e dal suo dominus. Tuttavia, se il Premier ha avuto la fiducia della sua maggioranza, penso che stia sempre più perdendo la fiducia del paese: il Presidente del Consiglio è consapevole del declino progressivo ed inesorabile della sua popolarità.
La stessa iattanza con cui ha annunciato la sua candidatura di bandiera alle elezioni europee, alle quali non potrebbe partecipare, oltre che confermare una sua naturale propensione a forzare le regole e le leggi, mi sembra sia la sfida nervosa e
un po' disperata di un uomo che sa, ma non accetta, di avere fallito. Nervosismo, disperazione, propensione all'illegalità, che si ritrovano anche nella sostanziale istigazione a non pagare le tasse, quando afferma tra l'altro, con una buona dose di incoscienza, che con una pressione fiscale del 50 per cento ci si può sentire moralmente autorizzati ad evadere gli oneri fiscali. Nervosismo, prepotenza e malcelata preoccupazione per i cali di consensi sono presenti anche nella annunciata abolizione della par condicio e nella progressiva militarizzazione dell'informazione televisiva, in continuità con una lunga assenza dagli schermi di personalità libere come Biagi, Santoro e Guzzanti, autentici desaparecidos del regime mediatico berlusconiano.
Il Presidente, unto dal signore, non si arrende e si aggrappa alle capacità salvifiche del suo presunto talento per lanciare la sfida, promettendo una riduzione delle tasse con la legge finanziaria del 2005. Ricorre alle vecchie promesse, nella speranza di ritrovare e ricostruire il rapporto con gli elettori, che sempre più si sentono traditi ed ingannati da chi, giorno dopo giorno, dimostra di non rispettare gli impegni assunti con il patto firmato unilateralmente negli accoglienti studi televisivi di Bruno Vespa e di non sapere né potere mantenere le promesse di realizzare un nuovo miracolo economico. Un miracolo economico che per il paese resta confinato nelle fertili fantasie del Presidente del Consiglio e del suo fido ministro dell'economia, ma che è ben riscontrabile nei conti economici delle aziende dell'onorevole Berlusconi, che continuano a produrre utili consistenti, nonostante la difficile situazione del paese.
Esprimo un convinto voto contrario, contro il contenuto di un provvedimento a tutela degli interessi personali e familiari del Presidente del Consiglio e che è figlio di una legge inaccettabile, che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere per evidenti vizi di costituzionalità. Un voto contro le procedure seguite, che tendono a mortificare e ad imbavagliare ulteriormente il Parlamento. Un voto contrario in linea con le allarmate valutazioni negative espresse con passione dai tanti colleghi intervenuti in una battaglia di democrazia e di libertà che ha dato speranza al paese e dignità al Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lolli. Ne ha facoltà.
GIOVANNI LOLLI. Signor Presidente, esprimo la mia gratitudine sincera all'onorevole Follini, che questa sera, con parole sobrie ma molto chiare, ha risposto all'ultima follia del nostro Presidente del Consiglio, con la quale lo stesso ha definito ladri politici e colleghi - i quali possiedono una casa o una barca. Ora, qui in Parlamento ci sono donne di destra, di centro, di sinistra che tra di loro discutono, confliggono, cercando di fare onestamente il loro dovere. Mi vergogno di avere un Presidente del Consiglio che porta lo scontro politico sino al livello di barbarie a cui abbiamo assistito questa sera. Perciò mi sento confortato dal fatto che, invece, nello schieramento a noi avverso in Parlamento siedano persone dalle quali molto ci divide, ma a cui ci unisce l'idea che la politica sia una cosa diversa ed il confronto politico debba essere civile; un confronto civile, come quello sviluppato in questi giorni in aula.
Le tante persone che hanno potuto seguire su RAI Sat (o le persone che avranno voglia di leggerli sui resoconti delle Camere) gli interventi che tutti i parlamentari dell'opposizione hanno svolto in questi giorni avranno avuto modo di cogliere la ricchezza e la serietà degli argomenti che qui sono stati portati. È stata una battaglia ostruzionistica, si è detto, ma è stata una battaglia di contenuti. E vorrei svolgere, rapidamente e modestamente, un mio personale ragionamento.
Parliamo della televisione, che è una questione molto importante. Innanzitutto, stiamo parlando di uno dei settori industriali
più rilevanti del paese. Quando emaniamo leggi, determiniamo lo sviluppo, il futuro di tale settore industriale. Dobbiamo allora stare molto attenti, perché altri settori industriali del paese sono stati ridotti nelle condizioni descritte nei giornali da scelte sbagliate, alcune delle quali sono state sicuramente compiute in anni passati, ma altre sono state effettuate in questi anni. Non vorrei, perciò, che anche riguardo a questo settore così importante, tra qualche anno, per effetto di scelte che oggi stiamo compiendo, dovessimo fare lo stesso ragionamento che si fa oggi sulla siderurgia o sul sistema della telefonia.
Stiamo parlando di un settore che è uno strumento decisivo per la formazione della coscienza del paese; Mediaset e RAI sono le più grandi aziende culturali italiane, che hanno la possibilità di arricchire, di far crescere, di promuovere la cultura dell'informazione ed il senso comune del paese; tuttavia, esse hanno allo stesso tempo la possibilità di omologarlo e restringerlo, e soprattutto di ridurre la coscienza critica di tanti giovani. Stiamo parlando dello strumento principale attraverso il quale si forma la coscienza e l'opinione politica dei cittadini italiani; tale strumento è stato e può essere un bene, perché la televisione ha fatto circolare più informazioni, ha permesso che si potesse creare in Italia una coscienza più consapevole e più profonda, ma al tempo stesso è uno strumento per manipolare e per disinformare. Infine, la televisione è uno strumento che modifica anche gli altri settori della vita sociale; cito, ad esempio, un settore - lo sport - di cui mi occupo.
Lo sport, essendo lo spettacolo più seguito al mondo, è anche il veicolo pubblicitario più importante; inevitabilmente, la televisione se ne è impadronito, lo ha arricchito, implementato, esteso, ma senza regole. La televisione ha snaturato lo sport, perché ne ha snaturato la materialità. Pensate, infatti, che in Italia si è giunti a modificare i calendari delle partire di calcio affinché si svolgessero su più giornate, in modo che la televisione se ne potesse impadronire di più. Pensate come è stata composta la nuova gerarchia degli sport nel mondo: sport seguitissimi sono ormai praticamente scomparsi, perché non hanno un appeal televisivo.
Pensate a come ha modificato le sponsorizzazioni. Uno sport che non ha una visibilità e che non ha accesso alle televisioni non ha alcuna possibilità di ottenere delle sponsorizzazioni e, quindi, declina. Ma, soprattutto, la televisione modifica i valori dello sport, li snatura, perché, quando la vittoria diventa un fattore di commercializzazione, inesorabilmente a questa vittoria si sacrifica tutto e per essa si legittima qualunque comportamento. Purtroppo, anche gli episodi di questi giorni ci dimostrano che stiamo parlando di aspetti delicatissimi.
Insomma, la televisione è una cosa straordinaria, potentissima e complicata. Essa è una cosa nei confronti della quale il legislatore si dovrebbe avvicinare con cura, attenzione e serietà. Voglio essere onesto: l'intera cultura politica di questo paese, in tutti questi anni, non è stata all'altezza di comprendere quale tipo di approccio fosse quello giusto ed appropriato. Certamente non è stato appropriato l'approccio che si è avuto negli anni di formazione della televisione pubblica e negli anni in cui il paese era imperniato sulla Democrazia cristiana e, poi, sul primo centrosinistra, in cui si è avuta una gestione della televisione paternalistica ed artigianale.
Certamente, neanche il centrosinistra che ha governato negli anni passati è stato all'altezza della situazione. Anche in quel caso ci sono stati limiti, errori e ritardi. Ma, certamente, i limiti e gli errori che ci possono essere stati negli anni passati appaiono marginali rispetto all'approccio che l'attuale destra ha avuto.
Stiamo parlando di una materia complicata. Non si può approcciare ad essa con strumenti limitati, improvvisati, e attraverso decreti, guardando a un interesse certamente privato, ma anche semplicemente immediato. Si rischia di fare dei danni non all'opposizione in vista delle elezioni, ma al paese, e quindi a tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Intervengo per dichiarare la mia contrarietà al provvedimento in esame, che favorisce unicamente gli interessi personali e quelli familiari del Presidente del Consiglio. Intervengo anche per dichiarare la mia contrarietà alle procedure che si sono seguite e al modo in cui si è deciso di forzare i tempi e la decisione del Parlamento.
La decisione del Governo di porre la questione di fiducia sul decreto che salva Retequattro, infatti, non è che un'altra prova di forza e un altro strappo al quale gli alleati del Presidente del Consiglio si sono dovuti, alla fine, adeguare. Tutti coloro che nella maggioranza non erano d'accordo si sono dovuti otturare il naso. Gli assenti hanno dovuto presentarsi. I franchi tiratori dovranno attendere un'altra occasione, la prossima, per manifestarsi.
A dire il vero, ormai ci siamo abituati a questo modo di governare. Le uniche riforme che il centrodestra riesce a portare a casa sono quelle che, in qualche modo, toccano gli interessi del Presidente del Consiglio, siano essi personali, aziendali o strategici.
Le riforme, tante volte annunciate, possono aspettare. Ciò su cui non si transige sono unicamente gli interessi del Premier e, per tutelarli, ogni mezzo e ogni scorciatoia sono buoni. Naturalmente, verrebbe da chiedersi quanto a lungo la coalizione di centrodestra possa farsi prendere per il naso. Credo che, a questo punto, basti aspettare le elezioni.
Il bello è che nessuno in via di principio è contrario ad un decreto che tampona il vuoto che si è creato dopo la bocciatura della legge Gasparri da parte del Capo dello Stato. Anzi, ci sono i nostri emendamenti a testimoniarlo. Naturalmente, noi vorremmo che nel Parlamento si aprisse seriamente la discussione e venisse sanato quel vulnus costituzionale che ha indotto il Quirinale a rinviare il provvedimento alle Camere.
Non è un mistero per nessuno che un decreto-legge approvato sulla base di un voto di fiducia finisce inevitabilmente per non favorire la necessaria discussione, una discussione che rimane comunque necessaria. Anzi, finisce per suonare come un de profundis per la legge Gasparri e per qualsiasi nuova versione emendata della stessa. Infatti, una volta garantito che Retequattro continuerà le sue trasmissioni in chiaro, alla fine il rischio è che chi si è visto si è visto. Ciò avverrà almeno fino alle elezioni. I conti all'interno della maggioranza, soprattutto, si faranno in ogni caso dopo le elezioni.
Il risultato è che resta insoddisfatta la necessità di offrire una risposta al giudicato costituzionale, che ci chiede una legge che riporti il pluralismo nel sistema televisivo. Tutti i colleghi sanno che il settore televisivo presenta nel nostro paese caratteri strutturali che non si riscontrano in nessun altro paese. Oltre il 90 per cento dell'audience è raccolto dai primi due gruppi, più che in qualsiasi altro paese europeo, ciascuno dei quali vanta tre reti.
Inoltre, l'attuale maggioranza di Governo controlla direttamente, attraverso la proprietà, o indirettamente, attraverso l'influenza politica sulla televisione pubblica, tutte le principali reti nazionali. In queste condizioni la difesa del pluralismo nel settore televisivo non può che affidarsi a due strumenti necessari e complementari, che devono necessariamente essere introdotti.
Il primo è stato richiamato dal Presidente Ciampi nel messaggio alle Camere ed è di natura regolatoria, cioè passa attraverso la difesa del ruolo del servizio pubblico della RAI, che non può essere organo di una sola parte politica, e attraverso l'utilizzo di regole e controlli che devono riguardare l'insieme dei canali pubblici e privati, poiché dall'equilibrio di questi ultimi dipende l'effettivo pluralismo dell'informazione.
Il secondo strumento è rappresentato dalla promozione della concorrenza nel settore televisivo. Ciò richiede di mettere mano agli assetti strutturali, oggi così concentrati. Fino a quando vi saranno due
gruppi multicanale, ciascuno dotato di tre reti, le prospettive per molti operatori che vogliono imporsi al pubblico sono minime e quasi inesistenti, come testimonia la storia di Telemontecarlo e di La7.
A più riprese il ministro delle comunicazioni, l'onorevole Gasparri, ha sostenuto che gli attuali assetti concentrati sono destinati a cambiare con l'avvio della televisione digitale, che consentirà di trasmettere molte decine di canali nazionali. In realtà, come tutti sanno ma fingono di non sapere, la concentrazione non è dovuta alla scarsa disponibilità di canali, ma alle dinamiche di competizioni tra le reti, che determinano pochi grandi vincitori.
In tutti i paesi esistono numerosi canali nazionali, ma gran parte dell'audience è raccolta da un numero limitato di reti e la ragione è legata alla natura della competizione del settore televisivo. Il circuito virtuoso che promuove il successo di una rete è fatto di costi alti e di alti ricavi. Ciò porta a concentrare gran parte delle risorse in poche reti, lasciando ai concorrenti una quota minore di proventi pubblicitari, con cui non è possibile finanziare un palinsesto di successo.
L'esistenza di gruppi multicanale peggiora ulteriormente le prospettive per i concorrenti più piccoli. Quindi, anche nell'era della televisione digitale le grandi reti generaliste manterranno un ruolo chiave, mentre i nuovi canali potranno ambire tutt'al più a nicchie minoritarie di telespettatori.
Questo è lo scenario che si sta prospettando negli Stati Uniti, dove la discesa dell'audience dei grandi network, oggi intorno al 50 per cento, si accompagna alla presenza di un numero molto elevato di canali, ciascuno dei quali raccoglie frazioni minime e piccole di telespettatori.
Nella prospettiva del pluralismo, l'unico modo per assicurare un numero sufficiente di canali indipendenti risiede nella limitazione del numero delle licenze per ciascun gruppo. Infatti, facendo due conti a spanne, con una licenza per gruppo potremo, in prospettiva, arrivare a 5 o 6 operatori diversi. Con due licenze per gruppo potremo almeno sperare in un mercato con tre diversi operatori.
In questa prospettiva, anche la presenza di una televisione pubblica con tre reti, ovviamente, andrebbe messa in discussione. I contenuti e le funzioni che si rifanno effettivamente alla finalità del servizio pubblico possono essere ampiamente coperti, come accade in altri paesi, da una sola rete, mentre le altre reti pubbliche, così come una parte di quelle Mediaset, potrebbero essere privatizzate e cedute ad altri operatori.
Solo in questa prospettiva sarebbe accettabile allentare i vincoli di partecipazione fra gruppi televisivi e carta stampata per fare emergere nuovi gruppi editoriali che sviluppino un'attività multimediale.
PRESIDENTE. Onorevole Maran, la invito a concludere.
ALESSANDRO MARAN. Ho finito, Presidente. Il fatto è che il principale obiettivo della legge Gasparri, quello di rispondere alla fondamentale esigenza di pluralismo e di imparzialità dell'informazione, resta un obiettivo da raggiungere. E da qui nascono gli ordini del giorno che avevamo proposto e la battaglia parlamentare con la quale abbiamo cercato di richiamare l'attenzione per rendere nota al paese un'esigenza fondamentale e anche quella che rimane, a nostro modo di vedere, una vera e propria indecenza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Presidente, intendo dichiarare la mia netta contrarietà al decreto cosiddetto salvareti e fondo la mia contrarietà sul convincimento che il decreto del Governo, anziché contribuire a far cessare il regime transitorio degli assetti duopolistici del sistema radiotelevisivo italiano, in realtà prolunghi nel tempo la transizione infinita delle
condizioni di blocco, di chiusura, che costituiscono la caratteristica precipua del sistema televisivo italiano in spregio ad ogni regola antitrust.
Con questo decreto non verrà applicata la sentenza della Corte costituzionale secondo la quale Retequattro dal 31 dicembre dello scorso anno avrebbe dovuto trasferire le proprie trasmissioni sul satellite. Ricordo che per la Corte questa data non era prorogabile, invece oggi con questo decreto si sono scritte le norme ad hoc al fine di garantire la continuità in trasmissione analogica, trasformando così in costante una caratteristica straordinaria e transitoria del duopolio italiano quale è quella del polo Mediaset, dando così continuità ad una stortura evidente del mercato televisivo, mortificando il pluralismo nell'informazione, negando la parità d'accesso, l'apertura del mercato televisivo ad altri soggetti imprenditoriali.
In questo modo il Governo si sottrae alla responsabilità di rispondere positivamente alle osservazioni che hanno accompagnato il rinvio alle Camere della legge Gasparri da parte del Presidente della Repubblica. Il decreto è sbagliato nei contenuti, è nettamente in contrasto con il principio di uguaglianza e di pari opportunità garantito dalla nostra Costituzione.
Il Governo ha dunque voluto scientemente impedire un confronto di merito, un dibattito parlamentare, il cui esito sarebbe potuto sfociare in un netto miglioramento delle norme proposte, correggendo gli errori in esso contenuti tramite l'adozione di emendamenti appropriati. Questo confronto è stato impedito attraverso la posizione della questione di fiducia. Ora, in una materia così delicata, già è uno strappo intervenire legislativamente attraverso lo strumento del decreto-legge, ma è ancora più grave sommare al decreto-legge la fiducia. Si tratta di una grave lesione della democrazia e delle prerogative parlamentari, di un affronto al Parlamento, al quale è stata sottratta la voce e negato il potere di discutere nel merito di un passaggio tanto importante per la nostra democrazia, dato che l'informazione e il grado del suo pluralismo, della disponibilità all'accesso, sono un tratto fondamentale di tutte le democrazie evolute. Questo decreto viene meno dunque alle ingiunzioni della Corte Costituzionale e alle note del Presidente della Repubblica sulla legge Gasparri, la quale stravolgeva la sentenza della Corte.
Quali erano le norme fatte oggetto di negazione della firma da parte del Presidente Ciampi? Erano quelle che avevano precostituito il paravento del digitale e del SIC, cioè del sistema integrato delle comunicazioni, appositamente definito per bypassare il tetto pubblicitario. L'attuale decreto-legge non cambia impostazione, anzi si basa su quelle norme fatte oggetto di diniego di firma e relative al digitale. Basta così che entro aprile il segnale arrivi potenzialmente al 50 per cento della popolazione e Retequattro sarà salva. Il volume di affari del polo privato TV continuerà a crescere in pubblicità, mentre Retequattro continuerà a trasmettere come prima.
Ora, signor Presidente, qui non si tratta di pregiudizio politico o ideologico contro una rete Mediaset o di qualche sorta di atteggiamento persecutorio; no, qui si tratta di regole antimonopolistiche, antitrust da fare osservare e che vengono invece infrante per legge. Si permette per legge ad un soggetto di rompere le regole della concorrenza e del mercato, di contraddire la Costituzione italiana, la normativa europea e ogni principio liberale. Così, ad esempio, ci saranno interi territori non serviti dal digitale: si pensi ai territori montani, dove non arriva neanche il servizio postale (figuriamoci se arriva il digitale!), o ai territori insulari, dove non si riesce a garantire il servizio di collegamento al continente appena spira un po' di vento (figuriamoci come sarà garantito l'arrivo del digitale!). Tuttavia, in questi territori arriverà il satellite, perché il satellite può arrivare sul K2, può arrivare anche nelle valli e nei borghi alpini e prealpini, appenninici, nelle zone insulari, nei centri più isolati, nelle viuzze più nascoste dei centri storici cittadini. Cosa ci sarebbe di male allora se una rete Mediaset dovesse finire sul satellite, quando al
limite potrebbe raggiungere un più alto numero di utenti? Invece, si dice di no al satellite, semplicemente perché, anziché fare riferimento alla qualità del servizio e alla sua effettiva garanzia di pluralismo, si fa riferimento agli interessi del gruppo del Presidente del Consiglio, che andando sul satellite perderebbe quote pubblicitarie e di affari.
Ora, se nel campo dell'energia è valso per ENI e per Enel, che sono stati costretti a ridurre la loro quota di mercato per superare il loro ruolo monopolistico nel mercato di riferimento dell'elettricità e del gas, perché non si può varare una sana norma che non contrasti con la sentenza della Corte, che per l'appunto ha ritenuto lesivo del pluralismo il proseguimento delle trasmissioni in analogico di Retequattro, una norma dunque che imponga a tale rete di andare sul satellite, riducendo così sotto la soglia consentita la quota di mercato del gruppo Mediaset? Soprattutto per coloro che hanno come riferimento dottrine liberali in economia e in democrazia deve essere evidente che se un soggetto nel mercato è monopolista questi va fatto dimagrire. Qui, invece, il monopolista è messo all'ingrasso, il che è veramente insopportabile per chiunque abbia un minimo a cuore la libertà e gli interessi dei cittadini. E, forse anche nelle file della maggioranza c'è chi non se la sentiva di avallare una norma tanto lesiva della libertà e non se la sente di proseguire a governare con questi metodi. Per questo il Governo ha posto la questione di fiducia.
Ebbene, non so se fare il monopolista in spregio alle leggi e all'autorità dello Stato, in contrasto con le regole del mercato, sia l'equivalente del sostegno che lo stesso monopolista delle TV private, occasionalmente Presidente del Consiglio italiano, ha voluto ieri fornire a tutti gli evasori fiscali considerati moralmente autorizzati a frodare il fisco troppo esoso. Excusatio non petita, accusatio manifesta sentenzierebbe il saggio. E anche noi dell'Ulivo le nostre accuse non le nascondiamo, come non rinunceremo alle nostre proposte per affermare le libertà, a cominciare da quelle dell'informazione, per far vincere le libertà in un mercato regolato. Noi non rinunceremo a batterci per far vincere il principio di uguaglianza e di pari opportunità tra organizzazioni sociali ed economiche, perché il futuro dell'Italia appartiene a chi saprà interpretare i valori di libertà insieme a quelli di giustizia e di equità, non a chi ne rovescia la valenza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Presidente, anch'io prendo la parola per annunciare il mio voto contrario sul decreto-legge, ormai noto a tutti come il decreto «salva Retequattro». Avrei potuto motivare questa mia conclusione rifacendomi agli argomenti già svolti in sede di illustrazione degli ordini del giorno, oppure avrei potuto motivare questa mia valutazione richiamando le tante, ottime, condivisibili, buone ragioni che i colleghi dell'opposizione hanno addotto durante la discussione, ma vorrei usare il tempo a mia disposizione per affrontare la questione, per quanto possibile, in termini leggermente diversi, facendo riferimento ad un evento apparentemente lontano dalla questione che stiamo discutendo, anche se cercherò di spiegare come in realtà tanto lontano non sia.
Da qui a qualche ora, nelle strade di Barletta sfileranno qualche migliaio di imprenditori e di lavoratori.
Non è la prima volta, in questi mesi. E non sarà l'ultima, temo. Lo faranno per protestare e per difendere, in questa maniera, il lavoro che vedono minacciato, l'impresa che vedono minacciata dalla concorrenza internazionale, che spesso si manifesta in forme non proprie corrette, anzi molto spesso in forme decisamente sleali. Quei lavoratori e quegli imprenditori fanno parte di due distretti industriali fra i più noti in Puglia: il distretto delle calzature, che qualche anno fa vantava seicento imprese, 7 mila addetti e un
fatturato non lontano dai 350 milioni di euro, e il distretto tessile, che, sempre qualche anno fa, contava 2 mila imprese, 12 mila addetti e qualche cosa come 500 milioni di euro di fatturato. Questo accadeva qualche anno fa. La realtà odierna è molto, molto diversa, purtroppo, ed è testimoniata proprio da queste manifestazioni di protesta.
Come ho detto prima, si tratta di un sistema produttivo minacciato dalla concorrenza internazionale. Più che dalla concorrenza internazionale in sé, è minacciato dai suoi aspetti di concorrenza sleale dalle forme di contraffazione e dalle politiche monetarie adottate dalla riserva federale statunitense e dalle banche centrali asiatiche. Si tratta di un sistema produttivo che continua ad essere minacciato da fenomeni che perdurano, nonostante da mesi siano stati chiesti alle autorità i necessari interventi, tanto preventivi quanto repressivi.
Da mesi, le rappresentanze di quegli imprenditori e di quei lavoratori e le autorità locali chiedono che l'amministrazione regionale pugliese e l'amministrazione centrale intervengano in tempi rapidi per fronteggiare quella che è ormai un'emergenza produttiva e sociale, per scongiurare una crisi che potrebbe avere effetti devastanti. Non ce ne rendiamo esattamente conto, ma in quel caso vi sono ormai licenziamenti settimanali, chiusure settimanali di imprese.
Le riunioni per sollevare la questione si sono svolte più di una volta al mese, ma fino ad oggi - ed io ne sono testimone - non è stata ottenuta alcuna risposta né dall'amministrazione regionale pugliese né tanto meno dall'amministrazione centrale, che pure è stata ripetutamente sollecitata tanto nella persona del ministro Marzano, quanto nella persona del viceministro Urso.
Mi domanderete cosa c'entri tutto questo con ciò che stiamo discutendo. Ho l'impressione che c'entri, purtroppo, molto, forse troppo, nel senso che a quegli imprenditori e a quei lavoratori, domani, dovremo dire che il loro principale torto non è quello di combattere, spesso e volentieri, ad armi impari contro la concorrenza internazionale, non è quello di operare in un contesto regionale e nazionale che si dimostra del tutto indifferente alle sorti delle piccole e medie imprese. No. Il loro principale torto è quello di non chiamarsi Retequattro. Il principale torto dei lavoratori è di non lavorare per Retequattro perché, se si chiamassero Retequattro e se lavorassero per Retequattro, sarebbe stato apprestato per loro, in tempi brevi, un decreto-legge recante misure urgenti per il salvataggio delle aziende e dei posti di lavoro e, su quel decreto-legge, sarebbe stata addirittura posta la questione di fiducia per garantirne la pronta approvazione. Probabilmente, un'intera maggioranza e un Governo si sarebbero precipitati, come qui si sono precipitati, a riempire questi banchi per votare ed approvare.
Anzi, da domani dovremo dire di più. Dovremo probabilmente dire loro che, in questo paese, in generale non si fa impresa battendo i mercati internazionali per collocare il prodotto e non si fa impresa innovando i prodotti e i processi produttivi. Non si fa impresa investendo in capitale umano e fisico, non si fa impresa sforzandosi di competere sui mercati finanziari. No, non è questo che si richiede per vincere la competizione e per creare nuovi posti di lavoro nel nostro paese. In questo paese si fanno utili non sul mercato, purtroppo, si fanno utili nell'aula del Parlamento, facendo politica, diventando Presidente del Consiglio e garantendo così un futuro alle proprie aziende.
Vedete, colleghi, ho la netta sensazione che la vicenda di questo decreto-legge segni paradossalmente la fine della parabola di Silvio Berlusconi come imprenditore. Dico «paradossalmente» perché di dubbi sulla capacità di imprenditore di Silvio Berlusconi ne abbiamo avuti tanti. Ne hanno avuti in tanti; è stato notato da molti come tutte le volte che Silvio Berlusconi come imprenditore si è esposto alla concorrenza internazionale, andando a competere sui mercati dove si compete sul serio, è stato sempre, regolarmente, battuto ed è stato espulso da quei mercati. Molti hanno avuto dubbi anche sul fatto
che, sul mercato interno, la forza di Silvio Berlusconi come imprenditore fosse null'altro che la conseguenza di una protezione. Oggi, con questo decreto-legge, sappiamo che non sono dubbi: quelli che erano dubbi sono semplicemente certezze.
Questa mattina, il Presidente del Consiglio si è domandato da dove provengano i patrimoni dei politici di professione ed ha dato una risposta per la quale mi auguro, per il bene delle istituzioni del paese e, devo dire, anche per il bene dello stesso Presidente del Consiglio, che una seria evidenza possa corroborare quelle parole che, francamente, non sono degne di un Presidente del Consiglio, salvo che - lo ripeto - non vi sia una seria evidenza.
PRESIDENTE. Onorevole Nicola Rossi...
NICOLA ROSSI. Ho concluso, Presidente.
Per quanto ci riguarda, dopo l'approvazione di questo decreto-legge, saremo noi ad avere una seria evidenza di come il Presidente del Consiglio stia costruendo il suo patrimonio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruzzante. Ne ha facoltà.
PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, ormai sta volgendo al termine quella che è diventata la battaglia di sessanta ore per la libertà di informazione; una battaglia che tutti i deputati del centrosinistra hanno condotto con il cuore e con la ragione. Ogni deputato che ha parlato in questa lunga maratona ha portato con competenza il suo contributo e il suo punto di vista: interventi di qualità, non la lettura di fotocopie stantie ed impersonali.
Colleghi della maggioranza - anche se in questo momento non c'è nessun rappresentante della maggioranza -, leggete il resoconto di quegli interventi e capirete quanto crediamo e quanto abbiamo creduto, durante queste sessanta ore, in tale battaglia. Solo se si crede in una battaglia, si riesce a protrarre per sessanta ore ininterrotte gli interventi di centinaia di deputati. Avete sbagliato a porre la questione di fiducia. Credevate, forse, che avremmo ceduto, che non saremmo arrivati fino in fondo; pensavate di poter risparmiare tempo. Non è stato così. Voi avete la responsabilità di aver inchiodato per quattro giorni la Camera dei deputati su un tema che non interessa agli italiani. In questi quattro giorni, non abbiamo potuto parlare di tematiche molto importanti.
Signor rappresentante del Governo, ci sono centinaia di aziende, piccole, medie e grandi, in crisi nel nostro paese, persino nella zona dalla quale provengo, il mitico Nord-est; ci sono centinaia di lavoratori preoccupati per il loro futuro. Ma solo Retequattro merita un decreto-legge alla vigilia di Natale e un voto di fiducia. Sappiamo che ben quaranta deputati della maggioranza - e sono tanti - hanno condiviso e condividono le nostre posizioni e lo hanno dimostrato votando, durante le votazioni a scrutinio segreto, insieme all'opposizione parecchi emendamenti relativi alla legge Gasparri. Questa battaglia di libertà la stiamo conducendo anche a nome di quei colleghi e dei gruppi della maggioranza.
Basti citare i dati più volte riportati in questo dibattito. Come può essere democratica una rete che dedica il 77 per cento del suo spazio a Berlusconi e al suo partito, Forza Italia, lo 0,3 per cento agli alleati di Alleanza nazionale, l'1,7 per cento alla Lega e lo 0 per cento all'UDC? Questa battaglia di libertà la stiamo conducendo, veramente, anche a nome vostro. Tralascio, per decenza, gli spazi dedicati all'opposizione.
Non aggiungo altro; credo che abbiamo già detto molto in queste 60 ore.
Desidero ringraziare tutti i deputati dell'opposizione e, altresì, tutti i dipendenti della Camera per i disagi in qualche modo causati. Ringrazio, pertanto, gli uffici che coadiuvano la Presidenza, gli addetti alla resocontazione, il personale medico e sanitario, i commessi e tutto il personale della Camera.
Non posso ringraziare in questo momento i deputati della maggioranza, perché non sono presenti né il relatore, che non c'è. Sono una persona gentile e ringrazio, dunque, il rappresentante del Governo per la sua presenza. Tutti, però, sappiamo che è dovuta per obbligo regolamentare; il sottosegretario, pertanto, non è in questa sede perché particolarmente appassionato alle mie argomentazioni. Inoltre, la causa di tutto quanto avvenuto in queste sessanta ore è stata determinata da una scelta sbagliata, la forzatura consistita nella votazione fiduciaria.
Ringrazio in particolar modo il Presidente Casini ed i vicepresidenti Mastella, Mussi, Biondi e Fiori per la loro presenza.
Concludo rapidamente il mio intervento chiarendo quanto segue. Abbiamo ereditato un paese che ci ha «regalato» una Carta costituzionale che, all'articolo 13, statuisce che «la libertà personale è inviolabile». Vorrei e voglio che i miei figli possano crescere e vivere in un paese libero e democratico; vorrei soprattutto che imparassero a non rinunciare mai ai loro sogni e a battersi per far valere i loro diritti. Questo è il paese in cui io credo e per il quale mi sono sempre speso (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ruzzante, anche per i ringraziamenti.
Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ricordo di avere in precedenza preannunciato che il voto finale non avrebbe avuto luogo prima delle ore 10 di oggi, venerdì 20 febbraio. Sospenderò, pertanto, la seduta che, essendo stato già dato il preavviso di votazione elettronica, riprenderà alle ore 10,30 con immediate votazioni.
![]() |
![]() |
![]() |