Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 422 dell'11/2/2004
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La seduta, sospesa alle 9,45, è ripresa alle 10,05.

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 1874.

(Ripresa esame proposte emendative accantonate riferite all'articolo 1 - A.C. 1874)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del subemendamento 0.01.03.1 della Commissione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, abbiamo condiviso il proposito di istituire una giornata del ricordo delle vicende del confine orientale, dell'esodo, delle foibe. Si tratta di un proposito che, a nostro avviso, non ha niente a che vedere con quel revisionismo che rinuncia al discrimine tra quanto è giusto e quanto è ingiusto e che porta a non distinguere più nulla ed a confondere le responsabilità. Tale proposito non ha niente a che spartire con l'opinione di quanti vanno dicendo che, poiché nella lotta antifascista vi furono anche le foibe, allora nessuna delle due cause era migliore dell'altra.
Con il subemendamento in esame ci proponiamo di uscire dalle semplificazioni e dalle omissioni di parte e di conservare la ricostruzione di tutte le responsabilità - grandi e piccole, maggiori e minori - dandoci una storia, a cinquant'anni di distanza da quegli avvenimenti, che sia di tutti. Vorremmo anche uscire da quel genere di verità che servono unicamente a rinsaldare le reciproche identità ed a nutrire il rispettivo senso di appartenenza.
Abbiamo scelto - come sapete - di aderire alla proposta delle associazioni dei profughi istriani di considerare il 10 febbraio come giornata del ricordo invece del 20 marzo, giorno dell'ultimo viaggio del piroscafo Toscano da Pola, che avevamo inizialmente proposto. Ciascuna delle date aveva le sue ragioni. Era evidente, tuttavia, la nostra preoccupazione - a dire il vero non era soltanto nostra, essendo stata ripresa anche dal ministro Giovanardi -


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che scegliendo il 10 febbraio si finisse per avallare la tesi di chi, ancora oggi, imputa l'esodo dall'Istria al trattato di pace. Si tratta di una preoccupazione che abbiamo superato proprio in considerazione delle dichiarazioni e delle rassicurazioni...

PIERO RUZZANTE. Non si riesce a sentire niente!

PRESIDENTE. Effettivamente, vi è molta confusione in aula. Vorrei pregare i colleghi di muoversi rapidamente ed ordinatamente e, se possibile, di ascoltare, data l'importanza dell'argomento.
Prego, onorevole Maran.

ALESSANDRO MARAN. Come dicevo, abbiamo superato la suddetta preoccupazione in ragione delle rassicurazioni fornite dalle stesse associazioni degli esuli. Tuttavia, è il caso di ricordare a quanti oggi fingono di dimenticare che il trattato di pace non fu una assoluzione per quel che fece l'Italia fascista, bensì la conseguenza della guerra voluta dal fascismo e della sconfitta. Proprio perché non fu una assoluzione è doverosa, ancora oggi, un'assunzione collettiva di responsabilità verso tutto il nostro passato, anche quello meno glorioso. Da qui il riferimento alle più complesse vicende del confine orientale.
Colleghi, la Venezia Giulia, con il suo carattere etnicamente plurale, ha messo alla prova la politica e le istituzioni italiane fin dal 1918 proprio sulla questione del rapporto interetnico e dell'appartenenza statale e nazionale. Si tratta di questioni che oggi, grazie all'enorme flusso di immigrati, possiamo forse meglio comprendere.
Prima ancora che il partito fascista assumesse un'eccezionale consistenza nella Venezia Giulia, i portavoce degli ideali liberali e democratici avevano definito le minoranze come un problema, a causa della loro differenza, ed avevano suggerito l'assimilazione forzata come soluzione. Con il crollo del regime fascista, la storia dei campi di concentramento militari per civili e lo sciovinismo che li aveva prodotti furono subito dimenticati, al punto che le vicende del confine orientale ed i fatti del tempo di guerra lungo il confine e nei Balcani non sono diventati, in Italia, parte della storia e della conoscenza generale. Perfino molti studiosi hanno scelto di descrivere gli eventi del Friuli e della Venezia Giulia durante il periodo tra le due guerre, le foibe e le vicende dell'esodo come periferici rispetto al corso principale della storia e della politica italiana. Hanno scelto, perfino, di far rientrare la lotta fra lo Stato ed i cittadini italiani di lingua slovena e croata nella guerra tra l'Italia e le forze comuniste iugoslave.
Dunque, solo con un'assunzione di responsabilità, finalmente, le vicende dei profughi istriani possono diventare qualcosa che riguarda tutti gli italiani.
Nella storia di un paese ci sono, infatti, momenti e situazioni dalle quali non si può «scendere», così come si scende da un tram quando non si condividono le scelte del conducente.
Tra le complesse vicende del confino orientale e tra le foibe e l'esodo vi è certamente un legame, anche se le violenze del periodo 1943-1945 non furono l'unica, e nemmeno la principale, delle cause che, fra il 1945 e la fine degli anni cinquanta, spinsero la quasi totalità degli italiani che vivevano nei territori passati sotto il controllo della Jugoslavia ad abbandonare la loro terra di origine.

PRESIDENTE. Onorevole Maran, la invito a concludere.

ALESSANDRO MARAN. Certamente, il ricordo di quella stagione di violenza preparò il terreno alla scelta dell'esodo e quella memoria - che naturalmente la destra è stata attenta a mantenere nell'alveo del rancore verso quella che veniva definita l'imbelle patria democratica (e ciò anche per la colpevole assenza della sinistra) - ha finito per saldare i due eventi, foibe ed esodo, come parti di un unico processo di distruzione dell'italianità adriatica. Anche i mezzi di informazione, oltre all'interesse politico, hanno calamitato l'attenzione soprattutto sul dramma delle foibe, certamente più sanguinoso e sconvolgente.


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In realtà, tra i due fenomeni, quello di maggiore spessore storico è proprio l'esodo, non solo perché coinvolse un numero di persone incomparabilmente maggiore, ma perché fu proprio l'espulsione della componente italiana dai suoi territori di insediamento storico nella regione istro-quarnerina a segnare una frattura senza precedenti nella storia dell'area alto-adriatica, cancellandovi quasi completamente le tracce di una presenza e di una civiltà che risalivano ai tempi della romanizzazione. L'esodo fu un vero e proprio plebiscito morale di quegli italiani che vollero restare tali. Il forzato abbandono, da parte degli italiani, dell'Istria, di Fiume e di Zara costituisce infatti un aspetto....

PRESIDENTE. Onorevole Maran, la invito nuovamente a concludere. Magari potrà riprendere il suo discorso successivamente.

ALESSANDRO MARAN. Non credevo che avessimo un limite di tempo.

PRESIDENTE. Il tempo a disposizione è di cinque minuti, trattandosi di dichiarazioni di voto sugli emendamenti.

ALESSANDRO MARAN. Va bene, Presidente, allora termino qui il mio intervento, che riprenderò successivamente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella discussione sulle linee generali che si è svolta nella seduta di mercoledì scorso, interloquendo con il relatore e con i colleghi Menia, Rosato e Maran, che ha appena parlato, avevo ricordato che i Verdi già nella scorsa legislatura avevano votato a favore di un provvedimento analogo a quello che stiamo discutendo. Ma avevo anche auspicato - rispetto al confronto che si era verificato nella discussione sulle linee generali, in parte convergente, in parte con osservazioni reciprocamente critiche - che si potesse realizzare un'ampia convergenza, in Assemblea, su questa proposta di legge, che inizialmente prevedeva solo la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati e poi si era «allargata» (tanto più nella significativa coincidenza dell'imminenza del 10 febbraio) anche alla proposta di istituzione di un «Giorno della memoria», appunto il 10 febbraio.
Difatti, a breve voteremo un articolo aggiuntivo della Commissione, che abbiamo condiviso e che insieme ai colleghi sopra richiamati abbiamo contribuito a definire, che produrrà un mutamento del titolo della proposta di legge in esame nel seguente: Istituzione del «Giorno della memoria» in ricordo delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
Credo sia giusto che quanti stanno seguendo il nostro lavoro, non solo in quest'aula ma anche fuori, sappiano cosa voteremo fra pochi minuti. Leggo, pertanto, il primo comma dell'articolo aggiuntivo della Commissione - che, ripeto, abbiamo a contribuire a definire e che rappresenta un punto di incontro fra le diverse posizioni -, il quale afferma: «La Repubblica riconosce il giorno 10 febbraio, quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, l'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale».
Nel secondo comma si afferma poi quanto segue: «Nella giornata di cui al comma 1», vale a dire quella del 10 febbraio di ogni anno, «sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono,


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inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario ed artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero».
Questa è la parte essenziale dell'articolo aggiuntivo della Commissione che fra poco voteremo. Preannuncio sul medesimo l'espressione del voto favorevole. Credo che l'auspicio che avevo espresso nel corso della discussione sulle linee generali del provvedimento in esame abbia trovato un punto positivo di equilibrio e di convergenza in questo testo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, l'esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati ha rappresentato una tragedia umana ed un dramma civile con cui non ci siamo confrontati ancora fino in fondo. Le foibe sono oramai il luogo simbolo di una tragedia vissuta nel Carso triestino e goriziano, nell'Istria, ma anche in altre realtà del nord est (l'Alpago - Pian Del Cansiglio).
Trieste è una città simbolo delle foibe e dell'esodo, ma, nel corso di questi anni, nella stessa si è lavorato per superare e sanare definitivamente queste drammatiche ferite. Ogni anno a Trieste viene ricordato il dramma dell'esodo e delle foibe con uno spirito di conciliazione, con una logica di pacificazione che, credo, abbiano insegnato molto a tutti noi. Tali logiche di pacificazione sono state anche all'origine della proposta di legge presentata durante la XIII legislatura che, purtroppo, non riuscì ad essere approvata in tempo.
Oggi la proposta dell'istituzione del giorno del ricordo, contenuta nell'articolo aggiuntivo che ci accingiamo a votare, ha trovato una formula che ha saputo inverare questa logica di pacificazione. Questo sforzo comune non può esser offuscato da alcune affermazioni che ieri, in maniera poco opportuna, sono state svolte circa presunte volontà «negazioniste» da parte di qualcuno di noi, con riferimento ad alcuni emendamenti che invece avrebbero consentito di procedere lungo la strada della pacificazione e della conciliazione.
Oggi stiamo compiendo un passo importante, perché in questo modo sarà possibile rendere omaggio con un atto di memoria e di dignità civile a chi, in un periodo terribile del dopoguerra, sul confine orientale ha pagato con la sofferenza e con la vita le proprie convinzioni ed il proprio sentirsi italiano.
Oggi, il Parlamento ha il coraggio di guardare indietro, di volgere lo sguardo al passato fatto di indicibili tristezze: ciò dimostra la volontà di progredire sulla strada della riconciliazione, unico valore che può fare del ricordo un segno di maturità civile e di sapienza civica.
Credo che oggi il Parlamento stia compiendo un passo importante, poiché - lo ripeto - è consapevole della propria storia, verso un futuro di autentica riconciliazione della nostra Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, le proposte emendative su cui si registra un largo consenso cambiano a nostro avviso la natura del provvedimento inducendoci, pertanto, a modificare il voto sullo stesso: preannuncio, infatti, l'espressione del nostro voto contrario sul provvedimento in esame.
Con riferimento a tale provvedimento ci eravamo predisposti ad un atteggiamento di confronto, sia pure critico, sulle concrete proposte e sulle modalità con cui si chiedeva un riconoscimento ai parenti delle vittime degli infoibati. Ciò qualora il


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provvedimento avesse avuto quale oggetto solo il riconoscimento ai parenti aprendo, per questa via, una luce su errori ed orrori prodotti in Venezia Giulia tra la guerra e il primo dopoguerra.
Noi - lo vogliamo affermare con grande franchezza e sincerità -, in ordine a quelle vicende drammatiche che, come è stato detto in quest'aula, hanno insieme una specificità politica ed etnica, non abbiamo dubbi nel condannare tali violenze. Aggiungo che non siamo tra coloro che trovano giustificazioni nell'orrore che gli oppressori avevano realizzato precedentemente per giustificare quello che si realizzò successivamente. Le più avvertite ricostruzioni storiche parlano di un fenomeno che non è ascrivibile al genocidio né alla giusta punizione di qualche rigurgito fascista. Ma voi, attraverso queste proposte emendative, proponete una giornata del ricordo.
Francamente, non comprendiamo neanche l'atteggiamento dei colleghi del centrosinistra, che per questa via non ricostruiscono una verità, non aprono una luce sulla vicenda storica, ma si prestano ad un'altra operazione politico-culturale. Noi a questa operazione non solo non ci vogliamo prestare, ma la combattiamo apertamente ed esplicitamente. Non si può dedicare una giornata della memoria, al pari del 25 aprile e di quella dell'Olocausto, in quanto stiamo parlando di fenomeni che non sono assolutamente equivalenti e la proposta di renderli equivalenti - cari colleghi ed amici del centrosinistra - in realtà allude ad un processo di revisionismo storico che cambia la natura dello Stato e della Costituzione antifascista.
Crediamo che l'antifascismo sia una religione civile e oggi chi la vuole cancellare, chi vuole creare macchie su quella religione civile, di fatto, tende a rimuovere ciò che l'antifascismo ha significato per il nostro paese, vale a dire una stagione grande e bella che si è aperta da quella resistenza per determinare tanti conflitti sociali. Questa è la storia del nostro paese, che non può essere in alcun modo snaturata (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, non comprendo lo spirito dell'intervento del collega Giordano, in quanto l'antifascismo non poteva e non voleva che si giustificassero gli omicidi. E lo spirito di questo provvedimento, nonché quello dell'articolo aggiuntivo della Commissione che evidenzia la fase più costruttiva di quanto avvenuto nel corso di queste settimane, significa proprio pacificazione, riconciliazione, saldatura di un debito verso la memoria di un popolo - che è il nostro popolo -, nonché assunzione di responsabilità, anche se tardiva, da parte della classe politica, visto che il Parlamento della Repubblica rappresenta la nazione intera. Come si è correttamente affermato, con il citato articolo aggiuntivo allarghiamo le maglie di un provvedimento che inizialmente era volto a concedere un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
Nella scorsa legislatura mi feci promotore di una proposta di legge, affinché l'Italia, a oltre cinquant'anni da quelle stragi, concedesse una semplice medaglietta (sulla quale era inciso: «L'Italia ricorda») ai congiunti delle vittime di quella tragedia.
Quella proposta di legge fu votata alla Camera e inopinatamente bocciata, l'ultimo giorno della legislatura, al Senato. L'ho ripresentata nel corso di questa legislatura e, sempre nel corso di questa legislatura, ho presentato anche una diversa proposta di legge per l'istituzione di quella giornata della memoria che già oggi si svolge e si celebra a cura delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, sebbene si tratti di una cerimonia privata che non ha alcun riconoscimento da parte dello Stato.
La settimana scorsa, durante la discussione sulle linee generali, ho fatto riferimento ad un mio emendamento, sul quale


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qualcuno ha manifestato qualche perplessità, in ordine all'opportunità di legare o meno le vicende delle foibe a quelle dell'esodo. Al riguardo, ho detto, ed oggi lo riconfermo, che si tratta di due facce della stessa tragedia; l'onore, pertanto, va dato ai vivi così come ai morti. Le foibe furono, di fatto, il prodromo della grande tragedia dell'esodo dei giuliano-dalmati in cui è possibile ravvisare due facce: da una parte i morti e il loro ricordo, dall'altra i vivi, che in 350 mila scelsero una vita da esuli in ogni angolo del mondo.
Con il subemendamento al nostro esame, nello spirito della pacificazione e della riconciliazione degli italiani e tra gli italiani, noi rendiamo un grande servizio a tutta la collettività nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, non intendevo intervenire per rispetto al grande valore che il collega Menia ha dato per tutta la sua vita a questa battaglia. È una ben misera bilancia quella che propone il collega Giordano sul peso dei crimini compiuti sotto ogni bandiera; il crimine, infatti, resta tale e deve essere condannato con molta determinazione.
Il senso di questo mio breve intervento è che non si possa, a mio parere, rimanere in silenzio su questa vicenda. Inoltre, ritengo che debba far riflettere tutti la viltà con la quale i Governi che si sono succeduti nel dopoguerra hanno cancellato dalla memoria degli italiani la tragedia delle foibe. Tali Governi hanno taciuto anche dell'esodo drammatico di queste popolazioni alle quali è stato negato persino di riunirsi e, come nel caso di Roma, sono state costrette ad occupare il villaggio dei lavoratori che dovevano costruire l'EUR.

PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, si avvii a concludere.

TEODORO BUONTEMPO. Concludo, Presidente. I Governi, ripeto, per oltre cinquant'anni hanno negato persino la sede per un museo della tragedia dei giuliano-dalmati, i quali se lo sono dovuti pagare da soli pur non avendo disponibilità economiche. Gli uomini politici che sono stati al Governo per tutto questo tempo, proprio per il valore che si attribuisce a questa giornata della memoria, dovrebbero avere l'onestà di spiegarci il perché del silenzio, il perché della rimozione e le ragioni per le quali hanno cancellato questa tragica storia dalle coscienze e dalle menti delle nuove generazioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi siamo contrari all'articolo aggiuntivo 01.03 in esame così come siamo contrari a questo provvedimento. La scelta di proclamare il 10 febbraio, anniversario del Trattato di pace firmato a Parigi nel 1947, come seconda giornata della memoria dedicata al tragico esito di gran parte degli italiani dell'Istria e di Fiume, ormai iugoslavi, suscita non pochi interrogativi. È difficile non cogliere il significato politico di contrapposizione che, a momenti, sa di irredentismo di fronte ai preparativi per festeggiare a maggio l'allargamento dell'Unione europea verso est.
Il Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, sarà a Gorizia per assistere all'abbattimento dell'ultimo muro - possiamo definirlo così - che la divide dalla nuova Gorizia slovena. Intanto, l'anniversario, che ha visto la partecipazione dei dirigenti della Quercia, è stato ricordato a Padova da Fini e a Trieste dal ministro Tremaglia, quest'ultimo reduce di quella Repubblica sociale italiana che aveva ceduto ai tedeschi le terre ai confini orientali.

ROBERTO MENIA. Non ha ceduto niente!


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MARCO RIZZO. Ricordo anche che la Germania, che pure ha subìto la mutilazione di un quarto del proprio territorio con il conseguente esodo di 11 milioni di cittadini, non ha mai istituito giornate dedicate a quegli avvenimenti, anche per la consapevolezza che essi sono stati la tragica conseguenza di una guerra di aggressione agli altri popoli europei.
Occorre inoltre chiedersi se l'istituzione di una seconda Giornata della memoria non rappresenti oggettivamente una negazione dell'unicità della Shoah, alla quale è dedicata la Giornata della memoria del 27 gennaio.
Le foibe sono state un fatto terribile, su questo non abbiamo dubbi. Ma tale vicenda drammatica deve essere collocata in una dimensione storica. Bisogna ricordare il contesto, non si può ricordare soltanto una parte della verità. Occorre parlare anche di cosa avvenne prima delle foibe: non possiamo dimenticare la colonizzazione di quelle terre voluta dal fascismo (Commenti del deputato Menia). Furono cambiati e italianizzati i cognomi delle persone e i nomi delle località, ci furono eccidi di slavi compiuti dagli ustascia e dai fascisti alleati dei tedeschi. E ricordo che mentre Mosca, nel 1945, voleva dare Trieste a Tito, Togliatti, comunista italiano, si batté perché questo non avvenisse, e così fu.
I dirigenti della sinistra non possono e non devono rifiutare la propria storia. La banalizzazione del passato, con un linguaggio da guerra fredda, non serve a contrastare le «sparate» anticomuniste di Berlusconi, e neppure regge alla prova di una seria analisi storica. Come si può dimenticare quella che veniva definita la «diplomazia della Resistenza», grazie alla quale furono conclusi i primi accordi italo-iugoslavi, e affermare che il partito comunista era condizionato da Tito, dimenticando che con la risoluzione del Cominform del 1948 il partito comunista italiano e la lega dei comunisti iugoslava si erano collocati su fronti opposti? Togliatti, Longo, Vidali, Berlinguer, Natta e tutti i comunisti triestini e friulani hanno lavorato per decenni per il superamento delle antiche contrapposizioni e per creare in quelle terre condizioni di pace e di convivenza.
Gli esuli istriani sono stati beffati per mezzo secolo dai vari Governi italiani, che li hanno illusi sulla restituzione dei beni abbandonati, con i quali l'Italia aveva invece pagato i danni provocati dall'aggressione e la cruenta occupazione della Iugoslavia. Con la Slovenia è stato concluso il «compromesso Solana» sul diritto di prelazione in favore degli esuli nell'acquisto di immobili. Con la Croazia, il problema rimane parzialmente aperto. Resta invece sostanzialmente inattuata la legge sul risarcimento dei beni abbandonati, voluta dall'Ulivo nella scorsa legislatura, avendo il Governo Berlusconi tagliato i relativi fondi nella legge finanziaria (hanno tagliato anche questo!).
Il ritorno dei figli di coloro che dovettero partire alla fine della seconda guerra mondiale sarà possibile soltanto in un contesto di amicizia tra i paesi vicini e dipenderà dal successo della loro integrazione nell'Unione europea. Solo così sarà ricostituito un tessuto lacerato dalla guerra fascista e verranno rinnovate le caratteristiche multietniche della penisola istriana.
Iniziative tendenti soltanto ad eccitare e a dividere gli animi non sono quindi, a nostro avviso, di alcuna utilità. Esiste inoltre il rischio che i nuovi membri dell'Unione europea si chiudano a riccio, vedendo minacciate le basi della propria sovranità e integrità nazionale.
Oggi c'è un'aria di revisionismo. Che esso provenga da parte dalla destra, ci sembra normale; che venga, in qualche modo, accettato da parte della sinistra, ci amareggia. Non c'è una sola battaglia di libertà nel nostro paese che non abbia visto il partito comunista italiano in prima fila. I comunisti italiani non hanno nulla di cui pentirsi e vanno orgogliosi di una grande storia di progresso e di libertà (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

MAURIZIO SAIA, Relatore. Chiedo di parlare.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO SAIA, Relatore. Signor Presidente, il presidente Bruno e il collega Boato mi hanno fatto notare un refuso nel testo dell'articolo aggiuntivo 01.03 della Commissione: le parole «La Repubblica riconosce il giorno 10 febbraio, quale "Giorno del ricordo"» devono intendersi «La Repubblica riconosce il 10 febbraio, quale "Giorno del ricordo"», conformemente al testo approvato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Saia. Ne prendo atto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Paolone. Ne ha facoltà.

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, colleghi del Parlamento, in un minuto non si possono esprimere le cose che mi riprometto di dire magari a puntate, sulle successive proposte emendative. Ciò che ho sentito è davvero sconcertante. Non so quanto il mio intervento sia in linea con l'Assemblea ed anche con il mio gruppo. Preannuncio, comunque, che parlerò per far sì che questo dibattito non si esaurisca in una specie di cerimonia con la quale riconsiderare determinati fatti ed elementi che debbono essere valutati anche in proiezione storica. E siccome ho capito che i comunisti, per quanto si possa ritenerli fuori da questo tipo di approccio al problema, non riescono a togliersi il difetto che è loro congenito, sento ciò come un dovere, Presidente.
Preannunzio quindi, che durante l'esame delle successive proposte emendative cercherò di inquadrare la storia e la vita di un profugo fiumano all'interno di questo discorso: non è un fatto formale, è un fatto sostanziale che riguarda la coscienza, la tradizione e la vita del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento 0.01.03.1 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 405
Votanti 401
Astenuti 4
Maggioranza 201
Hanno votato
388
Hanno votato
no 13).

Prendo atto che l'onorevole Benvenuto non è riuscito a votare.
Prendo altresì atto che l'onorevole Sgobio non è riuscito a votare e che avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 01.03 della Commissione, nel testo corretto e subemendato, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 402
Votanti 400
Astenuti 2
Maggioranza 201
Hanno votato
389
Hanno votato
no 11).

Prendo atto che l'onorevole Sgobio non è riuscito a votare e che avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Passiamo alla votazione del subemendamento 0.01.04.1 della Commissione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, intervengo per completare l'esposizione delle ragioni del nostro consenso e per chiarire rapidamente alcuni aspetti.
Credo che sia necessario prendere atto, fino in fondo, che il forzato abbandono da


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parte degli italiani dell'Istria, di Fiume e di Zara costituisce un aspetto particolare ed emblematico - oggi dobbiamo comprenderlo anche in vista dell'allargamento dell'Unione europea - di un fenomeno più generale che ha travolto in Europa milioni di individui, in quel processo di semplificazione etnica legato all'affermarsi e al ricostruirsi degli Stati nazionali in territori nazionalmente misti, plurali, e che ha distrutto in larga misura le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale. Il fatto che l'espulsione degli italiani sia avvenuta per opera di uno Stato federale fondato tecnicamente su un'ideologia internazionalista, come era la Jugoslavia comunista, segnala soltanto come la forza delle posizioni nazionaliste sia riuscita, in molti casi, ad imporsi agli stessi contenuti ideologici di segno opposto.
Il fatto è che lo schema antifascismo-fascismo non è adeguato a comprendere le vicende del confine orientale. In questi anni si è infatti diffusa l'idea che esodo e foibe rappresentino un tema che appartiene ai postfascisti e ora ad Alleanza nazionale, quasi che tutti i profughi siano stati fascisti. Ancora oggi, come abbiamo sentito, ogni discorso che viene proposto da sinistra su questi argomenti finisce per venire interpretato come una proposta di pacificazione o, peggio, di equiparazione tra fascismo ed antifascismo (Commenti del deputato Giordano). Non l'ho detto, se mi stai a sentire!
Ma è proprio in questo modo che viene cancellata una componente centrale delle vicende del confine orientale - quella del conflitto nazionale che, per quasi un intero secolo, ha opposto italiani a sloveni e a croati - e, quel che più conta, diventa impossibile riflettere su un punto fondamentale, vale a dire su quell'idea etnica di nazione condivisa dagli uni e dagli altri che ha reso possibile, prima, la persecuzione da parte del regime fascista dei cosiddetti alloglotti, degli alieni - sloveni e croati -, poi, le leggi razziali del 1938 e, infine, la forzata espulsione degli italiani.
Ma è questa la ragione profonda dell'istituzione del Giorno del ricordo, per conservare tutte le responsabilità e per non viverle ancora politicamente, proprio oggi che, alla vigilia dell'allargamento e della ricongiunzione delle due Europe, è tempo di prendere atto fino in fondo che è cambiato il rapporto tra nazione e Stato, che il problema della nazione non è separabile da quello della cittadinanza e che questa dipende sempre di più dalla crescita e dall'integrazione fra le economie nazionali e di popoli.
È questo il legame profondo tra antifascismo, welfare e interdipendenza, che oggi è il cuore dell'Europa, il cuore del processo della nuova Europa che vogliamo costruire (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, colgo l'occasione per ringraziare il presidente della Commissione, onorevole Bruno, per l'impegno profuso al fine di giungere a un testo il più ampiamente condiviso.
Intervengo sulla proposta emendativa in esame, anche alla luce del dibattito che si è sviluppato, per raccontare una esperienza che è un po' quella della mia città, Trieste, dove ogni famiglia, in maniera diretta o indiretta, ha vissuto il dramma dell'esodo e spesso ha avuto qualche parente infoibato. Sono famiglie che non hanno una collocazione politica determinata e sono diffuse nel territorio, nelle classi sociali, nel loro vissuto, nel loro mondo del lavoro e anche in una collocazione politica che è la più varia e che riguarda tutto l'arco costituzionale. Infatti, la premessa da cui partiamo non consiste nel riconoscere che non c'è stata una guerra di aggressione da parte della Germania nazista e dell'Italia fascista nei confronti degli altri paesi dell'Europa, ma nel riconoscere un dramma dimenticato da 50 anni, che ha riguardato migliaia di persone e che oggi il Parlamento, sia pure con ritardo, ricorda in maniera solenne, con l'istituzione del Giorno del ricordo,


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anche grazie alle sollecitazioni che sono venute in questi giorni. Si è scelta tale denominazione per evitare sovrapposizioni con altre giornate, come la Giornata della memoria, che assolutamente non ha nulla a che vedere con la vicenda in questione.
Credo che oggi il Parlamento compia un atto di profonda democrazia, che risponde anche a un sentimento di pace che è un valore diffuso, il valore di quei milioni di giovani che nelle piazze di tutto il mondo hanno marciato contro le guerre di questi anni, che ci richiamano a momenti in cui il paese e le sue generazioni sanno ritrovare momenti di unità e superare i momenti di divisione. Credo che il Giorno del ricordo non cancelli la storia della Resistenza ma, anzi, la enfatizzi. È un segno di giustizia nei confronti della storia e nei confronti delle persone che l'hanno vissuta direttamente.
Ci apprestiamo ad approvare - lo spero - un emendamento della Commissione che è frutto anche di una nostra proposta emendativa, che in particolare riconosce all'IRCI, l'Istituto regionale per la cultura istriana, fiumana e dalmata, la funzione svolta in questi anni, quella di conservare la memoria dell'esodo, anche quando ciò era difficile perché dimenticato dai più. Oggi viene riconosciuto ufficialmente, con questa proposta di legge, anche un contributo che consente all'IRCI di gestire un museo che noi speriamo venga presto inaugurato, ossia quello della cultura istriana fiumana e dalmata. Questo emendamento, frutto del lavoro svolto in Commissione, rappresenta un compromesso non tanto rispetto alla volontà politica dei colleghi di maggioranza, quanto alle ristrettezze previste nel bilancio e nella legge finanziaria di questo paese; data la solennità che accompagna questo giorno, il contributo per la realizzazione del museo credo sia dovuto (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, vorrei soltanto sottolineare la valenza culturale della proposta emendativa della Commissione, che nasce dalla fusione di proposte diverse e serve a far sì che possano vivere e prosperare due diverse istituzioni, una già esistente, con sede qui a Roma, cioè il vecchio Archivio museo storico di Fiume, in cui sono conservate le memorie di quella che era la Fiume italiana. Non so se a qualcuno di voi è mai capitato di passare al villaggio giuliano-dalmata; si tratta di qualcosa che colpisce anche sentimentalmente. L'altra istituzione, in via di realizzazione a Trieste e che speriamo di vedere ultimata proprio nell'anno del cinquantesimo del ritorno di Trieste italiana, è il Museo della civiltà istriana-fiumano-dalmata.
A Trieste attualmente, in un magazzino del porto vecchio, sono raccolte le masserizie che rappresentano proprio la memoria dell'esodo del popolo giuliano-dalmata e sempre a Trieste, in forza dell'accordo tra il comune e l'IRCI - che si occupa appunto di conservare la memoria istriana e che tra l'altro, in questi anni, sta portando avanti un'opera magnifica ed encomiabile di tutela delle tombe dei vecchi cimiteri italiani in Istria e in Dalmazia -, verrà realizzato un museo che sarà la testimonianza vivente dell'esodo, ma più in generale di tutta la cultura e la civiltà giuliano-dalmata. Il mio intento, pertanto, era solo quello di segnalare la valenza di ordine culturale e storico di questa proposta emendativa.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. La ringrazio, signor Presidente. Ho solo pochi minuti a disposizione, ma mi riconosco nelle riflessioni che poco fa hanno svolto i colleghi Maran e Rosato e non le ripeterò. Volevo però ricordare che tra poco voteremo un subemendamento di carattere tecnico, relativo alla copertura finanziaria - che è limitata, ma comunque significativa -, e poi un articolo aggiuntivo che recita: «Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriana-fiumano-dalmata, con sede a Trieste,


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e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tal fine, è concesso un finanziamento di 100 mila euro annuali all'IRCI (Istituto regionale per la cultura istriana, fiumana e dalmata) e 100 mila euro annuali alla Società di studi fiumani». Si tratta di un articolo aggiuntivo che abbiamo costruito e convenuto insieme in Commissione, come è stato ricordato poco fa anche dal collega Menia.
Vorrei accennare soltanto al tono che per alcuni aspetti aveva assunto il dibattito ieri, nella parte iniziale del nostro lavoro, e in qualche modo anche nella seduta odierna. Ieri abbiamo sentito - e mi è dispiaciuto che si trattasse del collega Menia - rivolgere l'accusa nei confronti di Maran - se non ricordo male -, di negazionismo. Mi pare che tutto ciò che abbiamo ascoltato da parte del collega Maran sia l'opposto del negazionismo! Poco fa abbiamo sentito, sul versante opposto, avanzare una critica - legittima, ma che non condivido - di revisionismo. Credo che già il fatto che in quest'aula, tra ieri e oggi, ad un certo punto siano risuonate - devo dire in un dibattito complessivamente costruttivo, pacato, di grande riflessione e di grande responsabilità, a cui tutti stiamo partecipando - opposte accuse di negazionismo, da una parte, e di revisionismo, dall'altra, faccia emergere in controluce il significato di ciò che stiamo facendo.
Certo siamo partiti e partiamo storicamente da posizioni ideologico-politiche molto lontane. Sono posizioni molto lontane che attraversano non soltanto la contrapposizione fascismo-antifascismo nella storia del nostro paese - e nessuno ha intenzione di attuare alcuna forma di revisionismo al riguardo, certamente non chi vi parla -, ma anche questioni di carattere etnico e nazionale, come i colleghi che mi hanno preceduto hanno ricordato. Siamo partiti però anche da un fatto obiettivo, e cioè che, su queste vicende, sia quelle delle foibe che quelle dell'esodo, per troppi decenni frutto perverso della guerra fredda - perché di questo si tratta -, vi è stata una mancanza di memoria storica, di riflessione, di ricostruzione, di dialogo, di confronto e di riconoscimento.
Questo è avvenuto - e lo affermo io, che non sono mai stato comunista in vita mia ma nutro rispetto per i colleghi comunisti presenti in quest'aula -, colleghi Menia e Paolone, non ad opera dei comunisti, bensì per la storia della società italiana, che chiama in causa tutte le classi dirigenti, dal dopoguerra ad oggi, a cominciare dalla Democrazia cristiana di allora.
Si tratta di una questione che ha riguardato tutti, concernente la circostanza che quell'area, vale a dire la Venezia Giulia e per altri aspetti anche il Friuli (perché, come è stato ricordato, vi è da una parte Gorizia e dall'altra Nova Gorica) rappresentava, oltre alla frontiera orientale del nostro paese, il confine tra il blocco occidentale e quello soggetto all'influenza sovietica. Era il periodo storico della guerra fredda, il quale, nelle logiche spietate che lo hanno caratterizzato, ha messo in secondo piano - sbagliando - la ricostruzione di vicende storiche che andavano affrontate non in chiave negazionista né revisionista, bensì in termini di memoria storica.
Sono trascorsi quasi sessant'anni e credo che abbiamo tutti il senso di responsabilità e di consapevolezza storico-politica per affermare che questa Repubblica, la Repubblica italiana, fondata sui valori dell'antifascismo - come anche il presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, ha più volte riconosciuto essere storicamente vero -, deve avere la capacità di riconoscere l'importanza di tale memoria storica, anche se purtroppo tardivamente, come riconosciamo tutti. Ciò non per cancellare le differenze storiche, politiche e ideologiche, bensì nel senso positivo dell'unità nazionale, nell'ottica della ricomposizione della storia del nostro paese.
Per tale motivo, voteremo a favore sia del subemendamento in esame, di carattere tecnico-finanziario, sia soprattutto dell'articolo aggiuntivo 01.04 della Commissione, che rappresenta il completamento


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dell'articolo aggiuntivo già approvato, prevedendo il riconoscimento delle due istituzioni che ho citato. Vorrei ricordare, al riguardo, che avevamo presentato un nostro articolo aggiuntivo, successivamente ritirato, che prevedeva anche la costituzione dell'Istituto nazionale della cultura istriana, fiumana e dalmata di lingua italiana, con sede a Firenze. In questa fase non è stato accettato, ma forse, nella prospettiva di un completamento successivo della proposta di legge al nostro esame, sarà possibile istituirlo in futuro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, vorrei offrire un contributo alla nostra riflessione sul tema della concessione di un riconoscimento alle vittime delle foibe e dell'istituzione della Giornata della memoria.
Sappiamo che la storia in quelle terre è stata complicata, poiché luci ed ombre si sono confuse e le ragioni ed i torti non stavano solo da una parte. Sappiamo ciò che è accaduto dopo la fine dell'Impero austroungarico, un impero multinazionale che era riuscito in qualche modo a tenere insieme le diverse anime etniche sia della zona balcanica, sia di quella mitteleuropea. Sappiamo cosa nasce con il primo Regno della Jugoslavia e conosciamo i contrasti sociali esistenti in quelle aree. Vi era, infatti, un contrasto sociale tra una borghesia dei commerci, costituita dalla minoranza italiana (o meglio, di origine veneta) stanziata nei territori dell'Istria e della Dalmazia, e la parte più contadina della popolazione, rappresentata dall'elemento etnico sloveno e croato.
Sappiamo che vi era un contrasto etnico, o meglio un contrasto nazionalista, esploso con la Prima guerra mondiale e con la nascita dei nazionalismi tra l'Italia, l'Impero austroungarico, il futuro Regno di Jugoslavia e l'esperienza filonazista degli ustascia della Croazia di Ante Pavelic.
Ma sappiamo anche che vi fu un contrasto ideologico durissimo, che vide il comunismo internazionale in prima linea. Allora, se è vero che dobbiamo ricordare che vi fu un elemento etnico e nazionalista, che portò all'esperienza drammatica e tragica delle foibe, non possiamo dimenticare che però vi fu anche un elemento ideologico, e tale elemento ideologico fu il comunismo (Applausi del deputato Polledri).
Il comunismo, in quegli anni, portò alla tragedia delle foibe: non possiamo dimenticarlo. Fu una pagina tragica e nera del comunismo, soprattutto di quello italiano. Non dobbiamo dimenticarci degli esuli cacciati dal comunista Tito, che in quel momento era ancora in buoni rapporti con l'Unione sovietica. Infatti, la rottura dei comunisti italiani con la Jugoslavia di Tito avvenne dopo la rottura dell'Unione sovietica con la medesima, abbandonando il tentativo autonomistico di creare una terza via internazionalista e comunista nella Jugoslavia di Tito.
In quegli anni, i comunisti italiani impedirono agli esuli fiumani, istriani e dalmati, costretti a lasciare le loro case, di fuggire; lottarono contro questo esodo! In un certo senso, misero alla berlina questi esuli, avvicinandoli all'esperienza fascista e bollandoli di essere fascisti. È ciò che accadde in quegli anni: non lo possiamo dimenticare.
Questa giornata della memoria la dobbiamo a quelle vittime; ma si tratta anche della giornata della memoria della vergogna del comunismo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza nazionale), che in quegli anni si schierò, vergognosamente, contro gli esuli che furono costretti a fuggire dalle loro terre! È il grande ricordo ideologico che dobbiamo avere di quel periodo storico.
Vi sono stati anche elementi nazionali ed etnici. E vero che molte vittime furono uccise non perché fossero filofasciste, ma perché italiane o di origine italiana. Non lo dobbiamo dimenticare. Ma il comunismo italiano, in un momento in cui tutti fanno ammenda per ciò che è successo nel passato, non si può nascondere dietro un dito. I voti che dai banchi di questo


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Parlamento saranno espressi contro il provvedimento in esame, a mio avviso, sono la prova che tale presa di coscienza non vi è ancora stata da parte di questo Parlamento, o almeno di una parte di esso (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Paolone. Ne ha facoltà.

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, il tempo a mia disposizione è sufficiente per fare una premessa a ciò che dichiarerò nel corso dell'esame delle prossime proposte emendative.
Mi rivolgo al collega Boato: hai lo strano vizio, che non ti togli mai, di pontificare e di spiegare sempre come stanno le cose. Non ti ringrazio per questo, perché confondi le lingue (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! Ringrazio, invece, il collega Rossi per ciò che ha detto, perché ha posto in termini di verità il percorso della storia in quei territori. Non vi sono tentativi subdoli, caro collega Boato; quando tu vuoi attribuire ad una situazione così «spalmata», generalizzata, una responsabilità ed una scelta che non sono fondamentalmente comunisti; la verità - anche questa mattina lo avvertite -, è che siamo di fronte ad un tentativo subdolo...

PRESIDENTE. Onorevole Paolone...

BENITO PAOLONE. ...se non di negare la storicità del fenomeno drammatico degli infoibati certamente di ridimensionarne il significato, quasi a volere far credere che è giustificabile, per certe forme ricollegabili ad ideologie e a regimi, la possibilità di arrivare a tanto! Questi discorsi, riprendendo i testi, ascoltali, Boato! Finiscila di pontificare su questa falsità (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
I comunisti, almeno una parte di loro che è in piedi, con tutta la loro dimensione ideologica, cercano di ridimensionare un fatto esecrabile, spaventoso, che non può essere assolutamente ridimensionato. L'ha detto bene l'onorevole Rossi. Ciò che è avvenuto l'ho vissuto sulla mia pelle, Boato: la ripulsa, ritornando in Italia! Per lustri, mia madre non poté avere neanche il presente alle bandiere, con un marito che ha condotto tre guerre e che è morto per difendere il territorio italiano dall'invasione comunista, coscientemente, Boato (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento 0.01.04.1 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 433
Votanti 432
Astenuti 1
Maggioranza 217
Hanno votato
417
Hanno votato
no 15).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 01.04 della Commissione, nel testo subemendato, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 435
Votanti 434
Astenuti 1
Maggioranza 218
Hanno votato
419
Hanno votato
no 15).

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