Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 408 del 19/1/2004
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Discussione della mozione Bindi ed altri n. 1-00240 sulla proroga della sperimentazione del reddito minimo d'inserimento (ore 19,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Bindi ed altri n. 1-00240 sulla proroga della sperimentazione del reddito minimo di inserimento.
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Antonio Leone n. 1-00306 e Turco ed altri n. 1- 00307 (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), che vertono sullo stesso argomento della mozione all'ordine del giorno. La discussione, pertanto, si svolgerà anche su tali mozioni.


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Lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è riprodotta in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Meduri, che illustrerà anche la mozione Bindi n. 1-00240, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Grazie, signor Presidente.
La mozione presentata dalla Margherita, DL-l'Ulivo, che mi appresto ad illustrare, riguarda una delle misure più importanti varate dal Governo di centrosinistra nella scorsa legislatura per quanto concerne la lotta ed il contrasto alla povertà nel nostro paese. Il reddito minimo di inserimento, infatti, è stato il primo vero strumento di lotta alla povertà introdotto in Italia ed è giunto in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, che, ad eccezione della Grecia, avevano già strumenti simili, non legati alle politiche del lavoro, per sostenere quelle famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà.
È stato uno strumento di cui il centrosinistra rivendica con orgoglio l'introduzione e sul quale davvero non comprendiamo l'accanimento e la furia iconoclasta del ministro Maroni. I dati a disposizione sul reddito minimo, sui quali mai il ministro ha voluto confrontarsi, disattendendo anche quanto previsto rispetto alle relazioni al Parlamento, dimostrano la validità dello strumento nella sua sperimentazione, avviatasi nel 1999 e terminata lo scorso anno.
Certo, alcune lacune ci sono state ed alcune cose andavano corrette, ma facevano parte di un percorso, oserei dire, fisiologico di una misura ancora sperimentale e che ha riguardato, dapprima 39 e, poi, complessivamente, 307 comuni, a seguito della legge finanziaria per il 2001, l'ultima del centrosinistra che estendeva la sperimentazione alle amministrazioni comunali interessate dagli strumenti della programmazione negoziata nell'ambito dell'obiettivo 1 e, quindi, del Mezzogiorno. Uno strumento che assicurava sostegno alle famiglie indigenti e che, nel Mezzogiorno, ha rappresentato un'ancora di salvezza per decine di migliaia di persone. Il centrosinistra puntava a superare la fase della sperimentazione e a renderlo stabile e strutturale nell'ambito degli strumenti attivi di contrasto alla povertà o, per meglio dire, alle povertà, considerate le particolari differenziazioni che si presentano nella nostra società e nei nostri territori.
Purtroppo, questo non è stato possibile; in primo luogo, perché le elezioni non le ha vinte il centrosinistra (quindi, non si è potuto dare seguito ad un impegno elettorale) e, in secondo luogo, perché il responsabile del welfare ha sempre considerato il reddito minimo uno strumento da eliminare, nonostante da amministrazioni comunali ed organizzazioni sindacali sia sempre stato valutato in maniera positiva.
Vorrei anche aggiungere che le amministrazioni comunali, in sede ANCI, a prescindere dall'appartenenza di schieramento, hanno unitariamente chiesto al Governo, in tutti gli incontri, di mantenere in vita il reddito minimo, riscontrando una sordità e una disattenzione al problema davvero inspiegabili.
Già dopo la sottoscrizione del Patto per l'Italia nel luglio 2002, era stata denunziata la cancellazione del reddito minimo anche da parte di quelle organizzazioni sindacali che quel Patto lo avevano siglato, come la CISL e la UIL.
Dal febbraio 2003, sono però accadute diverse cose che hanno reso la situazione drammatica in molti comuni. I fondi per la sperimentazione non sono stati stanziati e, al 30 giugno 2003, è terminata l'erogazione delle risorse per i 39 comuni che, dal 1999, avevano avviato la sperimentazione dello strumento di lotta alla povertà.


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Nell'ottobre del 2003, poi, è terminata la sperimentazione in tutti gli altri comuni a causa della mancanza di risorse. Infatti, il termine previsto per il 2004 come fine della sperimentazione, ottenuto come parziale vittoria del centrosinistra nel corso di una contrastata conversione del decreto-legge detto «delle mille proroghe», a fine 2002, è rimasto soltanto sulla carta, perché il ministro del welfare, con il collega Tremonti, ha bloccato le risorse, ponendo il termine della fase della sperimentazione a quando le amministrazioni comunali avrebbero terminato le risorse già stanziate a quella data.
Si è trattato davvero di un esempio di buongoverno e di un'azione di Governo legata ad un federalismo pseudosolidale in salsa antimeridionale...! In questa maniera, il Governo Berlusconi ha scaricato sugli enti locali le tensioni che inevitabilmente si sono verificate al termine dell'utilizzo degli impegni di spesa delle risorse stanziate. E se almeno numericamente - purtroppo, però, non nella percezione reale - i dati ISTAT dimostrano che al sud la povertà è diminuita, questo è dovuto anche e soprattutto al permanere del reddito minimo. Ma i dati non bastavano a giustificare il prosieguo della sperimentazione, perché si trattava di una misura del centrosinistra e bisognava cancellarla per forza, nonostante anche i sindaci di centrodestra, come Agostinacchio di Foggia, avessero chiesto ufficialmente al Governo di continuare questa positiva esperienza. A Reggio Calabria, città amministrata dal centrodestra, si sono riscontrati gli stessi problemi. Nelle città, ad essere interessati alla misura sono 424 nuclei familiari, per un totale di 15 mila persone interessate.
Ci auguriamo che Alleanza nazionale e l'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, nella verifica con la Lega, vogliano porre sul tavolo anche tale questione di merito, così come ci auguriamo che i parlamentari del centrodestra, in quest'aula, votino a favore di una mozione di indirizzo al Governo che consenta il recupero del reddito minimo che, ad oggi, è l'unica misura certa in grado di operare rispetto ad un futuribile reddito di ultima istanza che, come tutti sanno, è ben lungi dall'essere operativo e soprattutto dall'esserlo in tempi rapidi.
Infatti, quello che oggi sappiamo è che, con la legge finanziaria per il 2004, è stato introdotto, all'articolo 3, comma 101, questo strumento in maniera generica e rinviando ad altri provvedimenti di concerto con le regioni (ed è facilmente intuibile quali saranno le lungaggini prima di avere un'opportunità vera di contrasto alla povertà).
In più, le risorse stanziate sono davvero risibili rispetto alle esigenze e ai numeri del disagio. Infatti, i 30 milioni di euro rappresentano il 10 per cento di quello che stanziava il centrosinistra per la sperimentazione in 307 comuni.
Ci chiediamo e chiediamo al Governo di fare chiarezza sul tema, perché riguarda decine di migliaia di persone e centinaia di amministrazioni locali, che hanno il problema di sapere quale sarà il futuro di coloro che fino al 2003 hanno beneficiato del reddito minimo e che ogni giorno protestano e chiedono risposte agli amministratori locali.
È un bel modo di agire quello del Governo Berlusconi, che dice di non mettere le mani nelle tasche degli italiani ma costringe altri a farlo, anche contro voglia, per conto suo...! E un caso è proprio quello del reddito minimo, in quanto ha costretto gli enti locali a chiudere un'esperienza e a togliere quel poco che entrava nelle tasche di persone e famiglie in stato di disagio, perché così ha voluto il tandem Maroni-Tremonti.
Inoltre, dubbi permangono sulla natura del reddito di ultima istanza. Il ministro Maroni per mesi ha ribadito la sua contrarietà, in quanto si sarebbe trattato di una misura assistenzialista che non invogliava i percettori a trovare un lavoro, e poi candidamente ha affermato che il reddito di ultima istanza dovrebbe avere proprio una natura assistenzialista, per sostenere chi non è in grado di provvedere alla realizzazione di un reddito. Ma come, il ministro prima «bacchetta» e poi commette lo stesso errore? La verità è che il


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reddito minimo non aveva carattere assistenzialista, perché puntava al sostegno di chi non aveva un reddito, ma si affiancava a progetti che l'amministrazione locale poneva in essere proprio per non far cadere nella dipendenza chi ne risultava beneficiario. Basti pensare a cosa ha significato la sperimentazione del reddito minimo all'inserimento a Napoli, dove si è siglato un vero patto tra le famiglie ed il comune per finalizzare il reddito minimo di inserimento al contrasto all'evasione scolastica. Altro che assistenzialismo! Noi volevamo garantire un minimo di autonomia a chi era ed è in difficoltà e non farla dipendere da una elargizione di elemosina pubblica!
Noi vogliamo una società di persone e non di assistiti, ma per fare questo bisogna garantire a tutti una opportunità e, soprattutto, far sentire che le istituzioni non abbandonano chi è in difficoltà. Non basta dirlo sui megacartelloni pubblicitari, per poi fare esattamente il contrario...!
I dati ISTAT dello scorso mese di dicembre ci preoccupano perché la povertà nel nostro paese si sta articolando in maniera particolare e sta toccando anche quello che consideravamo l'intoccabile ceto medio. Tante persone e tante famiglie sono entrate nella sindrome della quarta settimana, cioè non riescono ad arrivare alla fine del mese, nonostante lavorino ed abbiano un reddito. Il carovita, le voci della quotidianità, stanno diventando insostenibili anche a causa di una precisa responsabilità del Governo, che cerca l'alibi dell'euro per nascondere la propria inerzia e l'assenza dei controlli. Questo è un disagio che si sta accentuando sia nelle aree del Mezzogiorno, che continua a far registrare dati molto pesanti dal punto di vista del disagio, sia nelle aree forti del nord.
Su questo occorre svolgere una riflessione attenta, avendo riguardo a quanto sta accadendo in Italia. La precarietà, l'incertezza del lavoro e del futuro stanno impoverendo il nostro paese, non solo da un punto di vista materiale, ma anche e soprattutto da un punto di vista più intimo, cioè nella capacità di pensare positivamente per il futuro. Oggi abbiamo il 14 per cento dei nuclei familiari con bambini che si trovano nel disagio e nella povertà. Al contempo, abbiamo una crescita della povertà nell'area dei redditi da pensione. La beffa del milione al mese per i pensionati fa il paio con il reddito minimo di inserimento e comunque andrà a sommarsi anche con il bonus dei mille euro per ogni secondo figlio nato da qui fino al prossimo mese di ottobre.
È un Governo che vive di spot e di bugie, ma, come dimostra il dato delle pensioni minime, prima o poi le bugie vengono a galla e purtroppo emergono sulla pelle delle persone più deboli, quelle che soffrono di più il disagio dell'indigenza e del bisogno e che questo Governo ha già illuso e beffato in tante occasioni.
La Margherita, con questa mozione, pone il problema di salvare l'esperienza del reddito minimo di inserimento e chiede al Parlamento di impegnare il Governo innanzitutto a far proseguire la sperimentazione della misura in tutti i comuni fino ad ora interessati, assicurando lo stanziamento di adeguate risorse fino alla individuazione di altri strumenti idonei che devono essere comunque oggetto di approfondita discussione sia in sede parlamentare sia in sede di confronto con le autonomie regionali e locali.
Inoltre, sarebbe opportuno valutare l'ipotesi di estendere la sperimentazione su tutto il territorio nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia, che illustrerà anche la mozione Turco ed altri n. 1-00307, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare il fatto che sui banchi del Governo non vi è alcun rappresentante del Ministero del welfare. Non mi riferisco al ministro Maroni, che ci ha abituato alla sua assenza quando si parla di politiche sociali, di contrasto alla povertà e di


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disabilità, ma al sottosegretario Sestini o a chi, in qualche modo, segue questi temi nell'ambito del Governo, i quali avrebbero dovuto sentire il dovere di essere presenti, quantomeno per interloquire con i parlamentari che pongono una questione molto importante.
Non si tratta di una questione di principio, ma che tocca, ha toccato e sta toccando la vita di circa 165 mila persone disagiate che vivono uno stato di povertà e che erano state interessate, con le loro famiglie, da una sperimentazione importante. Mi riferisco al reddito minimo di inserimento, che aveva dato per la prima volta a tanti comuni italiani (in particolare, a quelli delle aree meridionali economicamente più disagiate, ma anche ad alcune aree urbane del centro nord) uno strumento nuovo, che consentiva di affrontare situazioni di emarginazione sociale e di povertà non nella maniera tradizionale, assegnando un contributo o un sussidio, ma collegando l'intervento economico ad un processo di recupero, di reinserimento, di riscatto, di riqualificazione professionale. Si trattava di un intervento che veniva concordato con quelle persone e con quei nuclei familiari, teso a superare la condizione che aveva determinato il disagio e la povertà. Si trattava, quindi, di uno strumento moderno, introdotto in Italia dal Governo di centrosinistra per recuperare il ritardo che il nostro paese registrava nei confronti di altri paesi europei, i quali, invece, hanno attivato queste politiche già da qualche anno.
Si parla sempre di Europa, ma credo che, se vogliamo rimanere in Europa, non lo dobbiamo fare solo per l'euro e per l'economia, ma anche per adeguare i nostri sistemi di tutela sociale, di tutela sanitaria e di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini agli standard e ai livelli degli altri paesi europei: questo era l'obiettivo dei Governi di centrosinistra, che sembra questo Governo stia abbandonando. Infatti, non registriamo soltanto passi indietro per quanto riguarda il reddito minimo di inserimento; tale arretramento ed il blocco di questa sperimentazione avvengono in un quadro in cui si registra un arretramento complessivo delle politiche sociali.
Basta leggere l'ultima legge finanziaria: in essa vi è un ulteriore taglio al fondo per le politiche sociali che viene ridotto di 60,1 milioni di euro (tanto per parlarci chiaro, 120 miliardi di vecchi lire). Prima, tali risorse venivano trasferite ai comuni (oggi non più), consentendo loro di erogare prestazioni sociali; si tratta di risorse che oggi mancheranno e che si aggiungono ai tagli dei trasferimenti agli enti locali nonché alla lievitazione dei costi.
Questi fenomeni, complessivamente, impediranno ai comuni di erogare prestazioni di assistenza domiciliare, interventi di contrasto alla povertà, interventi per l'infanzia, per i tossicodipendenti, per i pensionati e per gli anziani, che costituivano la rete dei servizi sociali. Quest'ultima oggi risulta indebolita per una strategia del Governo e non casualmente. Infatti, questo è lo stesso Governo che ha scritto nel documento di programmazione economico-finanziaria che il suo obiettivo, negli anni dal 2003 al 2006, era quello di ridurre la spesa sociale di quattro punti del prodotto interno lordo, che corrispondono, in lire, a circa 125 mila miliardi e che state tagliando sulla sanità, sulle pensioni, sulla scuola e sulle politiche sociali.
Quindi c'è una strategia tesa a colpire i diritti dei cittadini, a ridurre le tutele sociali e gli interventi dello Stato. In questo quadro si colloca il blocco della sperimentazione, che, per questa ragione, è ancora più grave. Per carità, noi non difendiamo questo istituto perché lo riteniamo perfetto; d'altra parte, con la sperimentazione e alla luce di quei risultati, se fosse stato necessario, si sarebbero potuti apportare miglioramenti ed integrazioni che avrebbero dovuto portare non all'abbandono, ma all'estensione di uno strumento che complessivamente è risultato efficace; infatti, lo studio sulla sperimentazione ci dice che la prassi dell'istituto è risultata efficace.
Allora, pur con gradualità e con realismo - nessuno sta dicendo che bisogna stanziare migliaia di miliardi che sarebbero


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necessari per estenderlo da oggi a domani a tutte le situazioni -, si sarebbe potuto continuare in quella strategia che coinvolgeva di volta in volta le situazioni di maggior disagio, in modo da fare di questo istituto uno degli strumenti cardine dell'intervento sociale su tutto il territorio nazionale, in un quadro nel quale abbiamo ancora dei margini. Si parla di «tagli» alla spesa sociale, ma non si dice che in Italia siamo due punti percentuali di prodotto interno lordo sotto la media europea; pertanto il gap che abbiamo nei confronti degli altri paesi dovrebbe indurre il Governo a completare il sistema di tutela con strumenti nuovi.
Il reddito minimo di inserimento, a nostro avviso, dovrebbe essere lo strumento cardine degli interventi per il contrasto dei fenomeni della povertà. Voi non avete scelto questa strada e siete ritornati indietro, determinando una situazione gravissima sulla quale si sono pronunciati i comuni e le regioni, anche governate dal centrodestra, che improvvisamente si sono trovate prive di strumenti di intervento e che hanno dovuto lasciare in uno stato di abbandono situazioni che invece richiedevano un forte intervento da parte delle istituzioni locali. Lo avete fatto nel momento più sbagliato, perché i dati ultimi ci dicono che il fenomeno della povertà, ahimè, non è in regresso, ma addirittura è in crescita. I dati ci dicono che questo fenomeno tocca l'11 per cento della popolazione, 2 milioni e 450 famiglie, per un totale di sette milioni e 140 mila individui che complessivamente corrispondono al 12,4 per cento della popolazione.
Queste persone vivono in una situazione di povertà che sta crescendo: non sfugge a nessuno che l'aumento del costo della vita e quindi lo squilibrio che si sta determinando tra l'aumento dei prezzi e l'adeguamento dei trattamenti pensionistici sta causando nella società una difficoltà sempre maggiore delle famiglie ad «arrivare alla fine del mese».
Badate, questo aumento dei prezzi non è indifferenziato, nel senso che tocca tutti: uno studio svolto da un'importante istituto di ricerca ci dice che, se analizziamo l'aumento dei prezzi articolo per articolo, genere per genere, ci rendiamo conto che gli aumenti sono maggiori per quei consumi che riguardano le fasce sociali più deboli. Per questa ragione, in particolare per gli anziani, il fenomeno della povertà si sta allargando paurosamente in questi mesi, mentre noi parliamo; è un incremento che continua a crescere!
Quindi, non si tratta del problema dell'inflazione al 2,5 o al 2,6 per cento. Il problema è che per alcuni generi alimentari, in particolare per quei beni primari e fondamentali di cui non si può fare a meno, l'aumento dei prezzi è molto più elevato. Dunque, alcune fasce sociali, come quei pensionati a cui avevate prospettato soluzioni miracolistiche, si stanno impoverendo e trovano sempre maggiori difficoltà ad affrontare la quotidianità. Voi, nel momento in cui vi sarebbe bisogno di un'accelerazione delle politiche sociali e di un maggiore impegno da parte dello Stato e della collettività, riducete gli stanziamenti per i comuni, tagliate di 60 milioni di euro il fondo per le politiche sociali ed interrompete una sperimentazione che, per quanto parziale, stava dando risultati concreti in aree del paese direttamente interessate da tale fenomeno!
Nella legge finanziaria avete improvvisato una norma - mi riferisco al comma 101 dell'articolo 3 - in cui si dice che vi è un impegno dello Stato a concorrere al finanziamento delle regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza. Già il termine «di ultima istanza» ci fa capire che per voi la povertà è l'ultimo pensiero. Nella legge finanziaria non avete mostrato alcuna attenzione per le regioni che sono ormai in ginocchio dal punto di vista finanziario perché non avete affrontato il nodo della sanità. Avete anche tagliato i fondi per le politiche sociali alle regioni, ma ad esse dite che, se tirano fuori i soldi per istituire il fondo per il reddito di ultima istanza, lo Stato è disponibile a collaborare. Mi sembra un ragionamento politicamente, ma soprattutto istituzionalmente, molto scorretto!
Lo Stato non sta trasferendo risorse, competenze e responsabilità alle autonomie


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locali, come sarebbe necessario in un quadro di federalismo, decentramento e sussidiarietà. Al contrario, voi state tagliando risorse e trasferendo problemi. State mettendo sempre più gli enti locali, soprattutto i comuni, nelle condizioni di dover fronteggiare senza risorse e senza strumenti emergenze sociali che rischiano di aggravarsi. Dunque, gli enti locali hanno grandi difficoltà a far fronte alla domanda dei cittadini di servizi, di prestazioni, di interventi. Mi riferisco, in particolare, a quei cittadini che vivono in una situazione di maggiore disagio.
Riteniamo che ciò sia molto grave. Per tali scelte stanno pagando già oggi un prezzo molto pesante le persone in maggiore difficoltà: l'infanzia è tra le fasce sociali più interessate al fenomeno della povertà e le famiglie monoreddito o a reddito basso ed i pensionati non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.
Queste sono le situazioni che oggi stanno scontando una difficoltà. Per esempio, quegli anziani che sono affetti da malattie croniche, ai quali voi chiedete di pagare i ticket. Dalla loro misera pensione dovrebbero tirare fuori anche i soldi per pagare i ticket!
Vi chiediamo, quindi, di voltare pagina, accettando la nostra mozione, per tornare concretamente a riflettere su uno strumento che, a nostro avviso, ha fornito dei risultati. Anche se si tratta di uno strumento che è stato introdotto dal Governo di centrosinistra, non è detto che il Governo di centrodestra, che ha ottenuto la fiducia degli italiani, non possa impadronirsi - lo avete fatto per altre cose - di un'idea, di una spinta, di una sollecitazione, di una sperimentazione, introdotta dal centrosinistra, facendola propria ed estendendola, dotando così il paese di un sistema di welfare più adeguato.
Con la nostra mozione, chiediamo quindi di ripartire dalla sperimentazione, individuando le risorse necessarie a dare intanto continuità a quello che si era fatto, al fine di ripristinare l'intervento nei 306 comuni che erano stati interessati dalla sperimentazione. Successivamente, si potranno individuare le risorse aggiuntive per poter gradualmente estendere tale intervento anche ad altre situazioni.
Ci auguriamo, pertanto, che vi possa essere una discussione ed un confronto franco a libero e siamo naturalmente disponibili anche a prendere in considerazione proposte che possano venire dalla maggioranza e dal Governo. Devo dire, però, che, per quanto riguarda le politiche sociali, finora proposte non se ne sono viste. Abbiamo avuto un Libro Bianco del ministro Maroni, che, ahimè - siamo al terzo anno del Governo Berlusconi - bianco era e bianco è rimasto, perché nessuna delle cose scritte su quel Libro Bianco trova, nemmeno in prospettiva, una soluzione o perlomeno un avvio. Ciò vale per il reddito minimo di inserimento o, come lo chiamate voi, per il reddito di ultima istanza, così come vale per il fondo per le persone non autosufficienti, che avete tanto declamato nel corso dell'estate, ma che, passata la crisi dei 7200 anziani morti quest'estate per carenza di servizi e di tutele, avete dimenticato, perché su di esso, una volta arrivato in aula, vi è stato il parere contrario del Governo. Allo stesso modo, non vediamo altre misure serie e concrete tese ad arricchire e a rafforzare la rete di servizi.
Ci auguriamo che questa discussione possa servire a cambiare direzione di marcia e che possa servire a rilanciare, nel nostro paese, una politica sociale, di cui il paese ha bisogno.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.

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