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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dalla Camera, e modificata dal Senato: Giancarlo Giorgetti; Cè, Ballaman, Bricolo, Caparini, Didonè, Guido Dussin, Luciano Dussin, Ercole, Fontanini, Dario Galli, Giancarlo Giorgetti, Gibelli, Lussana, Martinelli, Francesca Martini, Parolo, Polledri, Rizzi, Guido Rossi, Sergio Rossi, Stucchi, Vascon; Burani Procaccini; Cima; Mussolini; Molinari; Lucchese, Emerenzio Barbieri, Dorina Bianchi, D'Alia, Giuseppe Drago, Giuseppe Gianni, Liotta, Mazzoni, Tucci; Martinat, Bono, Gianni Mancuso, Mazzocchi; Angela Napoli; Serena; Maura Cossutta, Pistone e Bellillo; Bolognesi, Battaglia; Palumbo, Moroni, Baiamonte, Stagno D'Alcontres; Deiana, Valpiana, Titti De Simone, Mascia; Patria, Crosetto; Di Teodoro: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Dorina Bianchi, ha facoltà di svolgere la relazione.
DORINA BIANCHI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, già approvato dalla Camera in prima lettura, è stato licenziato dal Senato l'11 dicembre scorso. Il Senato ha svolto un articolato e approfondito iter, nel corso del quale hanno avuto luogo numerose audizioni che hanno consentito di riflettere ulteriormente su questa delicata materia. Infine, il Senato ha approvato il testo con modifiche squisitamente tecniche.
Le variazioni riguardano, in particolare, gli articoli 2, 11 e 18. I commi 2 e 3 dell'articolo 2 riguardano il finanziamento delle iniziative del Ministero della salute finalizzate ad interventi contro la sterilità e l'infertilità. Il comma 6 dell'articolo 11 concerne il finanziamento dell'istituzione, presso l'Istituto superiore di sanità, del Registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito delle medesime tecniche. Infine, i commi 2 e 3 dell'articolo 18 si occupano del fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita, da ripartire tra le regioni e le province autonome.
Come ho già sottolineato, con queste modifiche non sono stati apportati cambiamenti sostanziali al testo approvato da questa Assemblea nella seduta del 18 giugno 2002. Si tratta piuttosto di modifiche esclusivamente tecniche, dovute ai tempi di approvazione della proposta di legge che hanno reso indispensabile rivedere le previsioni originarie per differire al 2004 la decorrenza dei rispettivi finanziamenti. La Commissione affari sociali ha acquisito su tali modifiche il parere favorevole della Commissione bilancio, adottato nella seduta del 13 gennaio 2004.
Pertanto, confido nella rapida approvazione del provvedimento da parte di questa Assemblea, data la natura meramente tecnica delle modifiche. Del resto, la discussione della proposta di legge in esame, estremamente delicata, è stata lunga e approfondita, non solo nel corso dell'attuale legislatura, ma anche nella precedente.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
CESARE CURSI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, le discussioni svoltesi un anno e mezzo fa in questa Camera, prima in Commissione e successivamente in Assemblea, e le modifiche in quella sede apportate, hanno consentito ai gruppi parlamentari di varare un testo che, con tutti i dubbi, le incertezze e le possibilità di modificazioni, è stato trasmesso all'altro ramo del Parlamento. L'esame al Senato è durato complessivamente un anno e sei mesi, e ha visto la presentazione di circa 400 emendamenti.
In quella sede, la valutazione dei gruppi parlamentari di maggioranza - e non solo, perché su questo testo di legge si è registrata una maggioranza svincolata da logiche di mera appartenenza - ha consentito, in Commissione e in aula, di arrivare ad una sostanziale riproposizione del testo originario. Alla Camera, prima, e al Senato, poi, abbiamo espresso le nostre valutazioni
in maniera convinta, cosciente e consapevole. Si tratta di un testo che mette fine, dopo tantissimi anni - dopo troppi anni - al cosiddetto far west della provetta, per usare un termine che è stato utilizzato da tecnici molto più autorevoli del sottoscritto. È un testo di legge che fornisce indicazioni precise. È un testo di legge importante, che segna un passo in avanti rispetto al nulla precedente e che mette fine a tante situazioni particolarmente scottanti dal punto di vista etico, che hanno creato imbarazzo a tante persone.
Quindi, riconfermiamo quel testo, anche perché esso torna all'esame della Camera per modifiche di natura squisitamente tecnica. Trattandosi di un testo di legge che, per i motivi già espressi, è andato ben oltre i tempi auspicabili, in termini di discussione, sia in Commissione sia in aula, c'è l'esigenza di confermarlo con le modifiche tecniche introdotte, che vengono qui proposte - ci auguriamo - in vista di una definitiva approvazione da parte della Camera.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, preannuncio il mio voto contrario, assieme ad una parte dei deputati della Margherita, ricordando anche la decisione della Margherita stessa di non assumere in merito una posizione in quanto gruppo. Le mie argomentazioni sono relative all'incongruenza dell'imposizione dei valori per via di maggioranza. Con argomentazioni analoghe, troviamo ciò in Jurgen Habermas, in Paul Ricoeur in Anthony Giddens o in Bruno Latour soprattutto nella critica al fondamentalismo dell'imposizione francese, analoga a quella della legge italiana, su un tema completamente diverso: il divieto dei simboli religiosi e politici nelle istituzioni pubbliche. Oggi Latour su Le Monde scrive: mi sembra che il solo principio veramente repubblicano consista nel non prendere l'iniziativa né per imporre né per rifiutare.
Signor Presidente, non avendo il tempo di argomentare fino in fondo, chiedo l'autorizzazione a pubblicare il testo integrale del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Bimbi. La Presidenza lo consente sulla base dei consueti criteri.
Prosegua pure, onorevole Bimbi.
FRANCA BIMBI. Nel dibattito parlamentare su questo testo di legge sono emerse almeno cinque aree tematiche di differenti declinazioni culturali che, di fatto, sono state rivendicate dai differenti schieramenti come relative ai valori indisponibili in gioco. In questo senso, vi sono almeno cinque aree di etica pubblica su cui stiamo discutendo: la prima riguarda le interpretazioni del pluralismo delle ipotesi scientifiche e dei limiti della ricerca applicata in campo biomedico; la seconda riguarda le declinazioni del principio ippocratico della libertà medica di curare secondo scienza e coscienza; la terza riguarda le opzioni filosofiche interne o esterne al dibattito scientifico e quelle religiose che rivendicano la dignità dell'embrione e/oppure la continuità assoluta o quasi assoluta tra l'ovulo fecondato e la persona, quest'ultima apparentemente recepita nel presente testo di legge; la quarta area riguarda le opzioni filosofiche e religiose che rivendicano la parificazione giuridica tra diritto alla vita e alla salute della donna e diritto alla vita e alla salute dell'ovulo fecondato, anch'esse apparentemente recepite dal testo di legge; l'ultima area riguarda la diversa rilevanza giuridica da dare alla filiazione biologica, socioaffettiva o legale da cui, in parte, dipende anche la rilevanza riconosciuta alla filiazione materna e paterna.
Il testo di legge in esame non affronta tali questioni con saggezza e serenità, bensì aumenta sia la deregolazione delle pratiche sia il conflitto culturale, senza garantire, come avrebbe dovuto, dalle «malpratiche» nel campo della ricerca e della medicina. Sul primo punto, in difesa del pluralismo scientifico, ricordiamo che il codice di autoregolamentazione dei fisiopatologi della riproduzione sia a livello
nazionale che internazionale dice già «no» alla predeterminazione del sesso, alla clonazione riproduttiva, all'utero in affitto, alla fecondazione post mortem o in menopausa. Dice invece di «sì» all'esclusione di gravi patologie, anche di origine genetica, e su questo si poteva lavorare per fugare tutti i rischi di selezione eugenetica.
Quanto alla pratica medica, ricordiamo che, nel caso della procreazione medicalmente assistita, siamo di fronte a esperienze e metodiche convalidate da più di trent'anni. Dunque, la legge poteva sostenerle e migliorarle riconoscendo l'autonomia fondativa della deontologia medica nei confronti delle regolamentazioni giuridiche, ma anche delle prescrizioni filosofiche esogene o delle definizioni religiose dominanti.
Quanto alla dignità dell'embrione, essa è già compresa nella Convenzione di Oviedo da noi recepita, che tuttavia non esclude neppure la clonazione terapeutica. Al contrario, la continuità tra ovulo fecondato e persona non è sostenuta neppure dalla dottrina cattolica nella Donum vitae, che pure nega la liceità della distruzione degli ovuli fecondati ma in dubiis, né dalla maggior parte delle confessioni protestanti, per fermarsi a una parte delle confessioni cristiane. Soprattutto è sostenuta da alcune filosofie di impostazione aristotelica secondo il criterio dell'equivalenza tra il poter essere e l'essere, tra il razionale e il reale, le quali forse non erano maggioritarie nemmeno ai tempi di Galileo, quando vennero usate per difendere il sistema tolemaico contro l'impostazione copernicana. Semmai alcuni ricercatori, culturalmente pro life, hanno verificato sofferenza in feti di 14 settimane. Si tratta, per ora, dell'unico inizio di vita individuale senziente a noi noto.
Quanto al quarto punto, si tratta di un principio discutibile sul piano filosofico e scientifico e al riguardo non vi è neppure una dichiarazione religiosa che obbligherebbe i cattolici sul piano dogmatico - e comunque eventualmente solo loro - una volta stabilito il principio della parificazione giuridica tra due soggetti: la donna e il concepito. L'ovulo fecondato diventa surrettiziamente ciò che non è, cioè persona come la madre, e la madre potrebbe essere obbligata alla fecondazione. A parte la non applicabilità dell'obbligo di un tale trattamento, vorrei far notare che nella nostra legislazione una fecondazione che avvenisse senza il consenso della donna altro non sarebbe che uno stupro. In questo testo di legge, dunque, si prefigura la possibile legalizzazione di uno stupro, almeno nel suo paradigma giuridico, in quanto la donna sembrerebbe non potersi difendere dal ricevere un ovulo fecondato contro la sua volontà. Sino al Concilio Vaticano II era la dottrina del limbo a vincolare i medici cattolici, nello scegliere tra la vita del bambino e quella della madre, a preferire il primo. Ora invece la legge vincolerebbe tutti i medici italiani a difendere la metafisica dell'ovulo fecondato, imponendo un trattamento sanitario obbligatorio che prefigura, come ho detto, uno stupro.
Il quinto punto riguarda il dibattito sulla filiazione, sul quale c'era e c'è, come si è visto, un terreno ampio per l'incontro tra impostazioni differenti nella scelta tra una genitorialità prevalentemente biologica e una genitorialità di tipo affettivo e sociale. Quindi, ci si sarebbe tutti potuti incontrare nella difesa della famiglia, a cui tutti in maniera diversa teniamo e rispetto alla quale si sarebbe potuto sostanzialmente svolgere una riflessione più approfondita sia sui cambiamenti in corso, sia sul bilanciamento degli interessi tra il bambino che nascerà e la configurazione della famiglia.
In conclusione, quello che siamo chiamati a votare è un testo di legge che sancisce opzioni di tipo morale, per tutti e non solo per una parte, e che tuttavia, con buona pace della maggioranza, una parte significativa dei parlamentari e dei cittadini considera immorali. Non si tratta affatto di una legge che opera scelte politiche ponderate in ordine al bene comune e rispettose delle garanzie costituzionali relative al pluralismo culturale contenute nella Costituzione.
La legittimazione di una forma di regolazione giuridica su questi temi, in una
società pluralista, non può che derivare dallo sforzo massimo per non imporre un'etica pubblica specifica attraverso sanzioni giuridiche. Sarebbe sufficiente appellarsi ai principi generali recepiti nella Convenzione di Oviedo, alle forme ricorrenti di autoregolamentazione delle società scientifiche nazionali e internazionali, statuendo inoltre criteri rigorosi di controllo avversi alle «malpratiche» mediche e favorevoli alla garanzia di salute delle e degli utenti.
Lo sforzo politico va fatto per estendere e non per restringere, come si propone, uno spazio pubblico orientato allo sviluppo del dibattito attorno ai nodi conflittuali, alla comprensione reciproca del valore dei diversi punti di vista, al rispetto del pluralismo delle ipotesi scientifiche internazionalmente accreditate e delle differenti pratiche mediche già consolidate, operando per la chiarificazione nel dibattito pubblico e per il sostegno pratico delle scelte procreative di filiazione differenti, ma ugualmente responsabili, da parte di coloro che ricorrono a tali pratiche.
I valori, qui come in Francia, non possono in alcun modo essere imposti unilateralmente dalla legge, come se fossero monopolio di una sola parte politica, filosofica o religiosa. Viceversa, con il presente progetto di legge vengono violati i propri principi di democrazia e di libertà.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Moroni, che era iscritta a parlare: si intende vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.
LIVIA TURCO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, noi che ci troviamo in questo luogo, il Parlamento, abbiamo un dovere primario: essere al servizio del nostro paese. Ciò significa anzitutto saperlo ascoltare, sapere ascoltare le preoccupazioni, le denunce, le critiche, le proposte. Se mettiamo al primo posto il bene del paese e l'esercizio dell'ascolto, ciascuno di noi, parlamentare di questo Parlamento, al di là di quale giudizio abbia espresso sulla legge e di come abbia votato, ha il dovere di interrogarsi e di riflettere sulle tante e tante voci che si sono levate a proposito della legge che oggi torna alla nostra attenzione.
Noi che siamo qui non possiamo non ascoltare con grande attenzione e preoccupazione il dibattito che si è aperto nel paese, in cui abbiamo appreso lo Scoramento di donne e uomini che non riescono a darsi pace del perché il desiderio di mettere al mondo un figlio e, dunque, il desiderio di promuovere un progetto d'amore e di responsabilità verso la vita, dopo essere stato impedito o reso difficile dalle vicende della propria biografia, debba essere impedito o addirittura punito da una legge arcigna. Abbiamo ascoltato la voce di medici, che al di là di considerazioni di merito, hanno sollevato problemi connessi alla applicabilità concreta delle norme. Abbiamo altresì ascoltato voci di costituzionalisti che hanno sollevato obiezioni circa la costituzionalità dell'ordito legislativo. E allora, onorevoli colleghi, la domanda è: contano queste voci? Abbiamo la pazienza di ascoltarle? Compito di un legislatore, su temi che investono così prepotentemente la sfera etica individuale, il vissuto personale, non è prima di tutto quello di mettere da parte le proprie condizioni e le proprie convinzioni, per costruire una trama condivisa in cui possa riconoscersi la pluralità di convincimenti etici e di culture presenti nel nostro paese? Deporre per un attimo le proprie convinzioni, per ascoltare e costruire una mediazione, non significa cadere nel relativismo etico; significa, al contrario, riproporre una dimensione alta della laicità della politica.
Costruire un giusto rapporto tra norme, valori, punto di vista personale e realtà del paese è la cruna dell'ago entro cui deve passare una buona azione di governo, tanto più quando essa ha a che fare con la riproduzione della vita umana.
Noi pensiamo che il nostro paese, le sue donne ed i suoi uomini, meritino una politica più amorevole, maggiormente capace di attenzione, di fiducia e di una presa in carico reale dei loro problemi.
Voi, invece, su un tema delicato come la fecondazione assistita - che è, al contempo, cura della sterilità e progetto di maternità e paternità, promozione della salute e promozione della vita umana -, avete risposto con una legge arcigna, che punisce, che impedisce, che lascia soli, che divide, che promuove la illegalità e che, per di più, resterà ampiamente inapplicata.
Avete rinunciato a cercare sia un punto di incontro tra diverse visioni, sia un punto di equilibrio nella tutela di valori, a volte anche in contraddizione tra di loro, che è non sempre facile contemperare: il diritto alla salute; il diritto-dovere di prevenire la trasmissione di malattie per via genetica; il riconoscimento della responsabile libertà della coppia, come soggetto della procreazione; il principio di precauzione circa gli effetti biologici, psicologici e sociali del ricorso alle tecniche di fecondazione assistita; il riconoscimento della dignità umana dell'embrione; la tutela dei diritti del nascituro e del nato da procreazione assistita.
Nel corso del dibattito su questa materia, soprattutto in quello svoltosi al Senato, abbiamo avvertito la responsabilità di concentrare l'attenzione su quei punti della proposta di legge che avevano maggiormente destato critiche e allarme tra medici, scienziati, giuristi e filosofi, oltre che tra le associazioni dei pazienti.
Abbiamo individuato cinque punti da emendare, ma anche su questi avete dimostrato totale sordità. Il primo punto è il divieto di utilizzo delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per la prevenzione delle malattie trasmesse per via genetica. Il secondo punto, gravissimo, è quello che prevede che la decisione di accedere alle tecniche di fecondazione assistita possa essere revocata, da ciascuno dei due soggetti della coppia, solo fino al momento della fecondazione dell'ovulo.
Anche il terzo punto, per il quale le tecniche di fecondazione assistita non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore tre, è molto grave, così come lo sono il quarto punto, vale a dire il divieto assoluto di ricorrere alla fecondazione eterologa, ed il quinto, che riguarda il rapporto tra tutela dell'embrione e ricerca scientifica.
Ho richiamato questi punti, di particolare gravità, anche perché rispetto ad essi saranno sollevate sicuramente eccezioni di costituzionalità. Molti costituzionalisti, infatti, hanno già autorevolmente documentato che questi cinque gravi punti sarebbero lesivi degli articoli della Costituzione 32 (sulla tutela della salute), 3 (che prevede l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte a legge) e 9 e 33 (sulla ricerca scientifica).
Abbiamo sollevato critiche su tali punti perché anche esponenti del Governo e della maggioranza si erano dichiarati consapevoli della loro gravità.
Purtroppo, quegli stessi esponenti sono rimasti inerti. Mi riferisco, in particolare, alla ministra Prestigiacomo, che con la sua solita grazia - che talvolta la rende distratta -, proprio nel giorno in cui l'esecutivo di cui fa parte esprimeva un indirizzo di governo su questa materia (fatto quasi senza precedenti), faceva sapere (via stampa, s'intende, non in Parlamento) di essere dolente per la gravità di quei punti del provvedimento e di sentirsi impegnata a modificarli. Era talmente impegnata che non era presente al voto; talmente impegnata che, nel momento in cui la Commissione affari sociali iniziava la discussione della legge, la signora ministra ha pensato bene di togliersi dall'imbarazzo e di andarsene via! Consentiteci, onorevoli colleghi, di esprimere un giudizio molto severo contro un atteggiamento così disinvolto, persino cinico, che usa, per ragioni di visibilità politica, drammi personali e sociali rilevantissimi.
Noi continueremo la nostra battaglia. Lo faremo qui, in Parlamento, in quest'occasione, ribadendo le nostre ragioni; lo faremo con la presentazione di ordini del giorno e con la loro discussione; lo faremo, soprattutto, nel rapporto con il paese, perché vogliamo fare nostra, fino in fondo, la pratica dell'ascolto. Sappiamo che, attraverso tale pratica di ascolto, potremo
incidere sul provvedimento, modificarlo, cambiarne gli indirizzi più gravi e prepararci per presentare una proposta di legge alternativa (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà.
MARIA BURANI PROCACCINI. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, colleghi, verrebbe da dire: ci risiamo! Per un aggiustamento dovuto al protrarsi dell'iter di questa proposta di legge, si è addivenuti alla modifica di alcuni commi relativi agli oneri finanziari che l'attuazione della legge richiederà.
Ebbene, questo semplice fatto formale, l'esigenza della modifica dei suddetti commi, ha dato nuovamente la stura a tutta una serie di discorsi triti e ritriti...
KATIA ZANOTTI. Un po' di rispetto, onorevole!
MARIA BURANI PROCACCINI. ...che sono stati strumentalizzati in ogni modo, dal ricorso alle magliette che esponevano certe posizioni fino alle eclatanti - mi spiace per Pannella - posizioni «pannelliane», estrapolate dai comportamenti istituzionalmente più corretti.
Come al solito, si è arrivati persino ad identificare una parte delle donne, che, peraltro, io rispetto - sono le donne la cui opinione è ben diversa da quella che è stata espressa in Parlamento, alla Camera ed anche al Senato, dalla maggioranza -, con la loro totalità: come se le donne di quella parte, le quali si sono espresse - ed io rispetto il loro punto di vista - in maniera completamente opposta alla mia ed a quella delle donne di questa maggioranza (tranne qualcuna, ovviamente), rappresentassero la totalità delle donne! Al contrario, la maggioranza delle donne della Casa delle libertà, più una larga parte delle donne appartenenti all'attuale minoranza, si sono espresse a favore di questa proposta di legge!
Ciò nonostante, viene fatto circolare l'assioma secondo il quale le donne, le donne tout court, si esprimono contro questo provvedimento che il Parlamento italiano ha liberamente approvato e di cui le due Camere, adesso, stanno completando l'iter con particolare riferimento a un dettaglio riguardante la copertura finanziaria.
Questa è una forma di espressione profondamente antidemocratica! Non è possibile sostenere, ogni qual volta determinate idee non riescono ad affermarsi in una posizione di maggioranza, che esse rappresentano comunque l'opinione della cosiddetta maggioranza degli italiani. Non si capisce quale! Non si capisce perché!
Le nostre non sono idee nate dal caso, non meditate, nè prive di fondamento in una corretta interpretazione giuridica. A tale ultimo riguardo, si potrebbero indicare pagine e pagine di documentazione. Ad esempio, potrei nuovamente invitarvi alla lettura delle conclusioni formulate dal Consiglio d'Europa: pressoché tutte le conclusioni del Consiglio d'Europa sono a favore della protezione dell'embrione anche nella fase del cosiddetto pre-embrione (per comodità, indubbiamente per cinica comodità, si è deciso di chiamare pre-embrione l'embrione nei primi quattordici giorni di vita)!
Vi leggo il seguente passo tratto da una raccomandazione CE: «Sin dalla fecondazione dell'ovulo, la vita umana si sviluppa in modo continuo, sicché non si possono fare distinzioni durante le prime fasi embrionali del suo sviluppo». In un'altra raccomandazione CE del 1989, è detto: «È opportuno definire la protezione giuridica dell'embrione sin dalla fecondazione dell'ovulo. L'embrione umano, pur sviluppandosi in fasi successive con definizione differenti - zigote, morula, eccetera - manifesta, comunque, una differenziazione progressiva del suo organismo e, tuttavia, mantiene continuamente la propria identità biologica e genetica». «Anche lo zigote» - dice ancora un'altra raccomandazione - «deve essere protetto».
La natura di queste fonti, cari amici e colleghi, è sufficiente per fondare - laicamente! - la tutela dell'embrione.
Stiamo parlando, non di questo o di quel parroco, di questa o di quella bigotta, ma della tutela che la Comunità europea (a tal riguardo, ricordo che procediamo verso una vera e propria costituzione dell'Europa) ha riconosciuto unanimemente.
Per quanto riguarda la Corte costituzionale italiana, questa ha sempre e in ogni caso riconosciuto la necessità di tutela giuridica dell'embrione e la norma giuridica, cari colleghi, non è cosa che si «stiracchia» di qua e di là. La norma giuridica è predisposta, non per fotografare la realtà di un momento, ma per durare nel tempo. Noi legislatori abbiamo il compito di pensare anche al trascorrere del tempo. Non ci troviamo in questa sede per fare i notai. Dobbiamo iniziare a pensare che provvedimenti come quello su cui oggi discutiamo e che riguardano i grandi temi della coscienza individuale devono essere affidati, non al caso o all'emotività, ma alla scienza in generale e a quella giuridica in particolare. Infatti, la scienza giuridica impone scelte molto precise e determinate. In questa sede, non dobbiamo giustificare un qualcosa voluto dal parroco o dalla bigotta. La tutela del diritto deve essere assicurata alla vita umana. Tutti (sia il rapporto Warnock sia gli scienziati che hanno partecipato alle varie audizioni di Camera e Senato) hanno dichiarato: sì, è vita, però...
Da un punto di vista giuridico, la tutela della vita va assicurata a tutti. È la vita che stiamo assicurando.
Quindi, la tutela è in ogni caso indispensabile. Non possiamo permettere un vuoto nella tutela, perché ci fa comodo, altrimenti sarebbe violato il criterio della proporzionalità, vale a dire un preciso criterio giuridico, né laico né bacchettone. Infatti, se il pre-embrione non è identico all'embrione, di certo il pre-embrione è analogo all'embrione umano ed è totalmente diverso dall'embrione animale. Ecco l'assioma giuridico che dobbiamo rispettare. Ecco perché dobbiamo dar luogo ad una tutela giuridica: è il nostro dovere di legislatori.
Veniamo agli altri aspetti. Non vorrei soffermarmi troppo su ciò, perché abbiamo già parlato a lungo. Perché non riconoscere alla gente come me e all'attuale maggioranza il diritto di proporre determinati argomenti, invece di considerarci, sempre e comunque, persone che rispondono «sissignore» al Papa o al parroco?
MAURA COSSUTTA. O al vescovo?
MARIA BURANI PROCACCINI. Siamo veramente stufi di questa posizione! La nostra non è assolutamente una posizione confessionale. È una posizione fortemente laica e legata ai valori della scienza di oggi e di domani.
Vorrei ricordare un argomento su cui si discuteva sei anni fa, relativamente al fatto che in Inghilterra erano già arrivati ad impiantare due embrioni. La scienza sta muovendosi verso l'impianto di un solo embrione, com'è giusto che sia.
GRAZIA LABATE. Non embrione, ovocita!
MARIA BURANI PROCACCINI. La scienza fa passi in avanti in questo campo. Allora, mi chiedo per quale motivo si è tornati indietro e ci si strappa i capelli perché si dichiara di impiantare tre embrioni e non di più? Non si capisce. La scienza sta andando verso la crioconservazione dei gameti separati e verso l'impianto di un unico embrione. La collega lo vuole chiamare zigote?
GRAZIA LABATE. Ovocita! Poi viene fecondato.
MARIA BURANI PROCACCINI. Ovocita fecondato? Chiamiamolo ovocita fecondato. È vita, è l'embrione. È l'inizio di un processo che, come giustamente stabiliscono le convenzioni europee, si può chiamare con vari nomi. Ma è quello, non è altro. Non è qualcosa di diverso.
Allora, va bene invocare il principio di precauzione, ma perché il principio di precauzione deve essere valido soltanto per gli animali e non per l'uomo? Ritengo che tale principio debba essere rispettato, come possono confermare tutti coloro che in Commissione mi conoscono come un'animalista convinta, per quanto riguarda la difesa sia del mondo animale e vegetale sia dell'uomo.
Il principio di precauzione va affermato alla base di ogni legge che voglia chiamarsi legge con la «elle» maiuscola. Noi non possiamo rischiare, per nessuna ragione al mondo, di involvere il corso della scienza secondo la volontà di questo o quell'apprendista stregone, di questo o quel clonatore da strapazzo, che ogni giorno dalle pagine dei giornali esce fuori per dire: ecco, l'ho clonato! Sarebbe il caso di fare una battuta, consentitemelo: una delle cose che fa più paura è la possibilità che uno di questi clonatori cloni se stesso, perché sarebbe la fine del mondo. Ma non è questo il luogo per fare battute!
Allora andiamo all'altra questione che mi preme qui sottolineare prima di chiudere, perché penso che sia una delle cose che, da un lato, fa più rabbia, dall'altro, stimola un certo senso di ribellione. Si dice: perché le donne non difendono le donne? Ma noi stiamo difendendo le donne, la maggioranza delle donne che sanno cos'è la maternità, che è una scelta di vita e di accoglienza e non può essere scelta egoistica. La maternità non è diritto, non può mai essere diritto, perché nessun individuo umano appartiene a nessun altro individuo umano, e non gli apparterrà mai. Noi abbiamo il diritto a che la salute riproduttiva sia aiutata, che siano rimosse le cause di sterilità. Benissimo, questi sono diritti, che rientrano nel più generale diritto alla salute del cittadino, ma non abbiamo diritto al possesso di chicchessia. Ci mancherebbe pure! Allora, il «diritto alla maternità» è un qualcosa di molto più alto che non il diritto ad essere sottoposti ad una serie infinita di interventi, la maggior parte dei quali veramente andrebbero considerati attentamente, perché nuocciono veramente alla salute della donna, non soltanto quella fisica tout court, ma anche quella psichica, cosa molto più delicata e profonda, perché coinvolge poi tutta la vita non solo di quella persona, ma anche del suo partner. Al riguardo, abbiamo tutti trascurato nelle varie discussioni quanto emerge dai congressi di psichiatria a proposito delle conseguenze che i vari processi di maternità assistita hanno provocato. Non che tutto ciò non si debba ancora una volta riportare nell'alveo del diritto alla salute, perché è giusto che la scienza aiuti la maternità responsabile, però tutti devono assumere un atteggiamento responsabile.
E arrivo all'articolo 6, nel quale è molto ben individuato il consenso informato. È stato detto anche qui dalle «magliettiste»: «Qui non si vuole permettere l'analisi preimpianto, vogliamo fare una generazione di mostri?». Ma smettiamola per piacere, andatevi a leggere con accortezza ed accuratezza l'articolo 6 sul consenso informato e allora vedrete che in quell'articolo c'è un comma, mi pare il comma 4 ( poi nell'articolo 7 si fa comunque riferimento alle linee di indirizzo, che naturalmente il ministero dovrà approntare - le famose linee guida - ), che recita: fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario.
Vorrei richiamare anche le colleghe alla loro precisa responsabilità. Penso che un legislatore non possa introdurre in una legge qualcosa che è un portone spalancato sulla mentalità alla Mengele.
Penso che di razzismo ne abbiamo avuto abbastanza e non ne possiamo più! Dobbiamo fermare questa mentalità diffusa, perché tutto ciò non è pensabile. Proprio oggi su un quotidiano - l'ho letto mentre venivo in Parlamento - si parla di liste di soggetti biondi, belli e sani presentate nelle cliniche americane. Rispetto a ciò, quali scenari si possono aprire? Certamente, con l'articolo 6 si è lasciato spazio al medico (sulla base delle linee
guida cui fa riferimento l'articolo 7 che il ministero dovrà elaborare), affinché la salute riproduttiva venga protetta: mi riferisco alla salute della madre ed a quella del bambino. Questo è il modo corretto di agire da parte del legislatore, che non deve aprire porte e portoni a deviazioni normative che veramente fanno paura. Abbiamo chiuso con una stagione: non riapriamola! Grazie a Dio, in Italia ne abbiamo avuto un sentore di passaggio, ma altrove quella stagione è stata tremenda e non vogliamo più riaprirla: la stagione dei Mengele ha chiuso!
LALLA TRUPIA. Ma dove sei è vissuta? Hai avuto un'altra vita?
MARIA BURANI PROCACCINI. Cara collega...
LALLA TRUPIA. Di quale secolo sei? Sei del Medioevo?
PRESIDENTE. Onorevole Trupia...
MARIA BURANI PROCACCINI. Non credo di avere mai interrotto la collega segretaria di Presidenza scesa dal suo scranno per venire a parlare qui...
LALLA TRUPIA. Sono scesa per rispetto alle istituzioni!
MARIA BURANI PROCACCINI. Io non interrompo mai, perché è mio costume avere pieno rispetto di tutti...
GERARDO BIANCO. Intolleranza di sinistra...
MARIA BURANI PROCACCINI. È proprio questo che in questa vicenda imputo a voi: l'intolleranza. È un'intolleranza che chi parla di bioetica e di bioscienza non dovrebbe mai avere, perché l'intolleranza è quella che ha creato i mostri della ragione, ricordiamocelo sempre! Noi abbiamo il dovere del rispetto reciproco, un rispetto che si costruisce con lo studio e la comprensione delle ragioni dell'altro, anche contrastandole ove ciò sia ritenuto giusto.
Signor Presidente, detto ciò, vorrei concludere con un'affermazione. Sono qui, in questa veste, chiamata dalla mia parte politica, Forza Italia, per svolgere un intervento in occasione del riesame di questa proposta di legge da parte della Camera dei deputati. Tuttavia, vorrei ricordare alcune cose. Non posso dimenticare di essere anche presidente della Commissione bicamerale per l'infanzia e vorrei ricordare che ci siamo impegnati a rispettare, in ogni legge italiana, i diritti del fanciullo: si tratta di un preciso impegno sancito dall'ONU e che abbiamo sottoscritto. Vorrei, quindi, concludere il mio intervento leggendo il preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo: «Il fanciullo (...) ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita.».
Visto che siamo in tema di Convenzione europea, vorrei ricordare, infine, la Carta europea dei diritti del bambino: i diritti alla vita di ciascun bambino, fin dal momento del concepimento, dovrebbero essere riconosciuti e i Governi dovranno accettare l'obbligo di fare tutto il possibile per permettere l'applicazione integrale di questi diritti. Questo Governo lo sta facendo e ciò per me è motivo di soddisfazione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castellani. Ne ha facoltà.
CARLA CASTELLANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, è oggi all'attenzione della nostra Assemblea, in terza ed ultima lettura, il provvedimento inerente norme in materia di procreazione medicalmente assistita. È un provvedimento fortemente atteso dal paese, che, finalmente, andrà a colmare il vuoto normativo in una materia tanto delicata quanto dibattuta.
Infatti, i progressi straordinari che la scienza ha compiuto in questi ultimi decenni nel campo della biomedicina e delle biotecnologie hanno reso possibile l'utilizzo e lo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in grado di ovviare ai problemi di sterilità e di infertilità che si manifestano, in maniera sempre più consistente, all'interno della coppia.
Il ricorso ad alcune di queste tecniche ha sollevato, nel corso di questi ultimi anni, problematiche complesse che coinvolgono una dimensione etica, giuridica e sociale, oltre che sanitaria ed ha sviluppato un forte dibattito nel paese ed in Parlamento; nel contempo, il vuoto legislativo ha determinato l'instaurarsi del cosiddetto far west procreatico, che ha portato al patologico proliferare in Italia, senza un adeguato controllo, di circa 384 centri tra pubblici e privati (tanti quasi quanto quelli presenti negli Stati Uniti d'America), e al proliferare di qualche avventuriero che, strumentalizzando la disperazione o la speranza di coppie sterili, ha prodotto casi limite, se non proprio fenomeni innaturali, come le fecondazioni post mortem, le mamme-nonne, gli uteri in affitto, la produzione di embrioni con determinate caratteristiche genetiche, la produzione di embrioni soprannumerari, il cui destino non sarà mai quello dell'essere impiantati, bensì quello della ricerca, magari nel campo della cosmesi, o della distruzione, dopo cinque anni di congelamento sotto azoto liquido, perché anche gli embrioni crioconservati hanno una data di scadenza, come un qualsiasi altro alimento o farmaco.
Ed è questo scenario, in così rapido divenire e nel quale non sono mancati a volte elementi inquietanti che tanto disagio hanno prodotto in gran parte dell'opinione pubblica, che ha imposto al Parlamento e al Governo di colmare un ormai inaccettabile vuoto legislativo, licenziando finalmente una normativa che interviene nel merito, anche a completamento del lavoro svolto nella precedente legislatura sempre in tema di procreazione medicalmente assistita.
Nella scorsa legislatura, infatti, soltanto un ramo del Parlamento ha licenziato, anche allora con voto trasversale, un provvedimento sostanzialmente analogo nei contenuti rispetto a quello che ci accingiamo a licenziare definitivamente in questi giorni. Ed è proprio su questo che, prima di formulare alcune valutazioni relative al testo, vorrei soffermarmi, svolgendo la seguente riflessione: se il Parlamento è l'espressione del paese, se su questo testo non sono prevalse logiche di schieramento, ma vi è stato un voto di coscienza trasversale, ripetutosi in questa legislatura come nella precedente, con governi e maggioranze di diverso colore politico, e se le donne della Casa delle libertà, e mi rivolgo alle colleghe, sia in questa legislatura sia in quella precedente, hanno votato, nella quasi totalità, a favore di questo provvedimento, non può essere - e lo chiedo fermamente ai colleghi, ma soprattutto alle colleghe che hanno espresso voto contrario su questa legge - che il Parlamento abbia rappresentato e tradotto in norme legislative quello che è il comune sentire di una buona parte del paese su un tema così difficile e delicato? Siete veramente convinti che questa sia una legge squisitamente maschilista e clericale? Non può essere che l'angolo prospettico intorno al quale è stata elaborata l'intera normativa, ovvero il riconoscimento della soggettività dell'embrione, della sua dignità di persona e il dovere del legislatore di proteggere il più debole fra i soggetti interessati dalle norme in questione, siano stati valori condivisi, che hanno visto la convergenza di voto tra molti cattolici e molti laici?
Bisognerebbe anche ricordare che, per l'elaborazione di una normativa che investe aspetti etici, culturali e sociali, uno Stato di diritto, se non può far propria una singola corrente di pensiero, non può neanche rinunciare ad alcuni valori comuni e condivisi, che per lo Stato sono fondanti e, tra questi valori, oltre a quelli già citati, ci sono quelli contenuti nella nostra Costituzione, come il principio di eguaglianza, quello personalistico e quello della famiglia, nonché il rispetto della
legge naturale, che è insito nelle norme costituzionali. Per quanto riguarda la famiglia, la politica deve fedelmente assecondarla, in quanto questa rappresenta uno dei valori principali della legge naturale.
La famiglia rimane il luogo primario dell'umanizzazione e della socializzazione della persona perché è in essa che ognuno cresce come persona, ossia come soggetto portatore di diritti e di doveri. Pertanto, ogni famiglia consapevole di tale missione sociale deve sentirsi protagonista in modo attivo e responsabile della configurazione sociale del vivere e del convivere con la comunità umana che la circonda.
Il rispetto della persona, allora, implica la tutela del primo diritto ad essa collegato: quello alla vita, visto, ovviamente, non nella sua prospettiva meramente biologica, ma globalmente umanizzata. L'inviolabilità del diritto alla vita quale massima espressione della dignità della persona risulta un inevitabile corollario di una concezione antropologica dell'uomo. In altri termini, come esseri umani, prima ancora che come cattolici o come laici, abbiamo scelto un angolo di visuale secondo cui il primo bene da proteggere, come legislatori, era quello del concepito come persona in fieri. Dunque, il suo diritto alla vita, il suo diritto alla famiglia e all'identità genetica dovevano trovare riconoscimento anche nel confronto con il desiderio, pur nobile, degli adulti di avere un figlio. È per tutto quanto premesso che la legge non poteva che consentire le tecniche di procreazione medicalmente assistita che rispondessero a tali valori e principi.
D'altronde, lo stesso Comitato nazionale di bioetica ha elaborato un documento di sintesi, approvato all'unanimità nel giugno 1996, nelle cui conclusioni è riconosciuto il dovere morale di considerare l'embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si devono adottare nei confronti degli individui a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persona.
La stessa Convenzione sui diritti del bambino adottata dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1989 - la citava prima la collega Burani Procaccini - e ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1992 prevede, all'articolo 3, che in tutte le decisioni riguardanti i bambini che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale pubbliche o private, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, l'interesse superiore del bambino deve essere oggetto di primaria considerazione.
Anche nella risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo 1989, ai punti c) e d), gli Stati membri vengono esplicitamente invitati a disciplinare la fecondazione medicalmente assistita nella consapevolezza della necessità di proteggere la vita umana fin dal momento del concepimento e nel rispetto dei diritti e degli interessi del figlio, riassumibili nel diritto alla vita, all'integrità fisica, psichica ed esistenziale, nel diritto alla famiglia e nel diritto alla propria identità genetica.
Ancora più significativa, proprio per l'approccio al tema della procreazione medicalmente assistita, è stata l'evoluzione della normativa dell'istituto dell'adozione con le modifiche alla legge n. 184 del 1967, intervenute nel corso della XIII legislatura, in base alle quali l'antica concezione dell'adozione come mezzo giuridico per dare un figlio ad una coppia è stata capovolta nel suo fondamento: l'adozione è divenuta uno strumento giuridico per dare una famiglia ad un bambino che ne è privo esaltando, così, in maniera forte la prevalenza dell'interesse e del bene del bambino anche rispetto ai desideri degli adulti.
È in tal senso che il principio della dignità di persona dell'embrione ed il principio dell'interesse prevalente del bambino, che sono patrimonio comune della cultura moderna, sono stati accolti in tale legge in tutte le loro coerenti conseguenze, evitando violazioni dovute ad interessi economici ed a convinzioni utilitaristiche. Tale obiettivo non può che essere comune a credenti e non credenti ed uno Stato laico non può fare a meno di riferirsi a tali principi che sono, in definitiva, principi di etica naturale.
Anche in quest'ottica risulta difficile comprendere la contrarietà al provvedimento in esame da parte di coloro che, in quest'aula e fuori di essa, difendono strenuamente l'integrità della natura in tutti i suoi aspetti: difendono la flora, la fauna delle nostre montagne, dei fiumi, dei laghi, dei mari, sono contro la caccia e la pesca, sono contro gli organismi geneticamente modificati in agricoltura, sono a favore di alimenti DOC e di etichettature di ogni genere che garantiscano l'origine naturale e non artificiale dei prodotti alimentari.
Essi, tuttavia, hanno dimostrato, con il voto contrario su questo provvedimento, di considerare l'embrione umano meno di un uccello, di un pesce, di un fiore o di una pianta, meno di un pomodoro o un cetriolo (Commenti del deputato Valpiana), attribuendo così alle multinazionali degli adulti, siano essi ricercatori, ginecologi o coppie alla disperata ricerca di un figlio, una volontà di potenza, in base alla quale il soggetto forte decide della vita e della morte di un altro soggetto, debole e indifeso, magari in nome del progresso scientifico o di interessi economici, oppure del principio di autodeterminazione.
Mi avvio a concludere, ricordando che questo provvedimento, per quanto perfettibile (come tutte le leggi), risponde in pieno ai valori di Alleanza nazionale. Dunque, la sua definitiva approvazione colmerà finalmente un vuoto legislativo ormai insopportabile. Siamo, altresì, fermamente convinti che l'approvazione di tale provvedimento incentiverà una maggiore attenzione da parte della ricerca scientifica non solo per combattere realmente e superare all'origine le cause dell'infertilità (almeno quella relativa), sia maschile sia femminile, ma anche per affinare le tecniche di congelamento degli ovociti, così come già avviene per lo sperma, andando incontro, in maniera sempre più rispettosa della vita umana sin dal suo inizio, ai problemi di sterilità e di infertilità della coppia.
Inoltre, per noi di Alleanza nazionale, l'approvazione di questo provvedimento vuol significare che, nonostante un certo tipo di sinistra abbia in questi anni operato per la disgregazione dei valori tradizionali della famiglia italiana, contrapponendo una cultura utilitaristica a quella umanistica, vi è ancora un comune sentire nel paese su temi di grande rilevanza etica e sociale, che il Parlamento è riuscito a tradurre in maniera trasversale esprimendo un voto di grande civiltà (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Siamo ormai all'epilogo, da quel che ascolto, purtroppo un epilogo tragico. Si andrà al voto finale senza aver svolto un confronto prima e senza confronto ora: nessuno sforzo serio di dialogare, di capire, nessuna voglia di ascoltare, innanzi tutto le persone (quelle in carne ed ossa, che attendono - o meglio attendevano - con speranza questa legge), i loro vissuti, le loro emozioni, i loro desideri, i loro timori, i loro pudori, le loro sofferenze e nemmeno la comunità scientifica (almeno la stragrande maggioranza di essa), inorridita dal testo di questo provvedimento, così illogico ed oscurantista. Ed, ancora, le associazioni di donne, che hanno compreso da subito le pesanti ricadute che questa legge avrà, a partire dalla «cancellazione» della legge n. 194 del 1978. Ed, ancora, i giuristi e i costituzionalisti, i quali hanno denunciato la torsione grave rispetto alla cultura giuridica consolidata e rispetto al pensiero democratico.
Serviva, invece, il dialogo: un dialogo vero, senza approcci ideologici, ma con grande rispetto delle posizioni, delle sensibilità e delle culture diverse. In tal senso, personalmente ho tentato - chi mi conosce lo sa - di aprire un dialogo fin dalla scorsa legislatura, proprio perché le scoperte tecnologiche e scientifiche impongono la responsabilità di una riflessione seria, senza semplificare quello che è e resta complesso. Serve costruire coscienza e cultura critica, per leggere ed indagare le straordinarie occasioni, ma anche i rischi che abbiamo di fronte, perché sappiamo
che la procreazione può diventare riproduzione. Sappiamo, cioè, che esiste un gigantesco business, che immette sul mercato la forza riproduttiva biologica, sappiamo che l'offerta tecnologica può condizionare la stessa domanda e che la cosiddetta medicina del desiderio può costruire libertà o subalternità.
Crediamo, pertanto, che occorra interrogare nel profondo le coscienze e le emozioni, perché queste sono in gioco. Le tecniche trasformano quello che fino a ieri era impossibile in qualcosa di possibile, perché realizzabile. La procreazione, per la prima volta, è separabile dalla sessualità, perché l'ovocita e lo spermatozoo possono unirsi fuori dai corpi. Si tratta di una vera rivoluzione del pensiero e persino dell'immaginario.
Tuttavia, questo provvedimento cosa c'entra con tutto ciò? Dove sta la ricerca sincera di un significato, di risposte? Si è scelta la strada dei divieti e dell'arroccamento, si è imboccata la scorciatoia, rassicurante ma illusoria, delle certezze idelogiche, identitarie. Si è bocciata come proposta minimalista, di parte, come espressione di rassegnato e colpevole relativismo etico, l'idea di una legge «leggera».
Avevo proposto in materia un testo alternativo, che scegliesse una bussola condivisa su alcuni punti: la salute della donna, la tutela giuridica del nato, i controlli dei centri, la qualità dei protocolli, alcuni divieti, il «no» alla commercializzazione degli embrioni e alla clonazione. Ma non si è voluto ascoltare, ed ora siamo all'epilogo.
Si tratta di una legge pessima, di una pagina buia: il Governo si è schierato e le voci critiche al suo interno tacciono. Evidentemente, questa non è materia per chiedere una verifica, e persino i colleghi della Margherita hanno votato a favore. Anche loro hanno contribuito a scrivere questa pagina buia.
Il mio giudizio è - lo so - molto duro, perché l'errore è molto grave. Con questo provvedimento, infatti, si è superato un limite, fino ad oggi invalicato ed invalicabile: non si tratta solo di una legge proibizionista (di leggi proibizioniste ne abbiamo già viste e l'ultima è quella proposta da Fini sulle droghe), né soltanto di un obbrobrio giuridico (anche il lodo Schifani lo è). Non si tratta neppure solamente di una legge iniqua ed ingiusta che crea discriminazioni (chi ha i soldi, infatti, potrà recarsi nei paesi europei vicini, in cui esistono le tecniche per avvalersene, mentre chi non li ha dovrà arrangiarsi). Questo Governo ci ha abituato ad altre leggi inique ed ingiuste: mi riferisco alla legge Fini sull'immigrazione ed a quella sul buono scuola, che discrimina e privilegia gli alunni delle scuole private.
In tale provvedimento vi è molto di più: è la prima legge confessionale della storia della nostra Repubblica. Mai, dico mai, il Parlamento ha votato una legge apertamente confessionale. Oggi questo avviene: l'articolo 1, infatti, sancisce il diritto dell'embrione, inteso come soggetto.
Con l'articolo 1, questo provvedimento non è più solo proibizionista, oscurantista ed illiberale; non è più una legge sulle tecniche, ma diventa la legge sull'embrione, una legge confessionale, che sancisce la sacralità dell'embrione, inteso non come valore, ma come principio ordinatore da iscrivere nella legislazione. Qui sta il punto e questo è il passaggio decisivo che segna uno spartiacque.
Dall'articolo 1 discende tutto il resto: il divieto dell'eterologa, il divieto di congelare gli embrioni e di utilizzare gli embrioni già congelati per la ricerca, anche quelli inutilizzati e che nel tempo non saranno più vitali, il divieto di produrre più di tre embrioni e di impiantarli tutti e tre, anche se uno è malato e anche se poi la donna sarà costretta ad abortire.
Ogni persona di buon senso comprende che in questo provvedimento le tecniche non c'entrano più. È una legge «bandiera» che, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, si pone fuori dal principio ordinatore e costituzionale della laicità dello Stato. È una legge confessionale che muta, sovverte la natura dello Stato, introducendo la legittimità di una legislazione
confessionale e, quindi, di politiche pubbliche orientate da parametri confessionali.
È un salto nel buio, un passaggio gravissimo e pericolosissimo e, per questo, mi rivolgo ai colleghi della Margherita. Se si cancella la laicità dello Stato, si rimuove anche l'articolo 3 della nostra Carta costituzionale, che sancisce il principio di uguaglianza. Se esiste un prius ordinatore etico-confessionale, non siamo più tutti uguali; domina la gerarchia dei valori confessionali, che imporrà un ordine sociale autoritario e discriminatorio, che indirizzerà le finalità delle politiche pubbliche non più al rispetto del principio di eguaglianza, ma a quello del bene e del male cui subordinare le libertà individuali. Se non vi è laicità, non vi è democrazia, perché i diritti e l'idea stessa di cittadinanza mutano. Se non vi è laicità, sono legittimi i modelli sociali di inclusione ed esclusione rispetto ad un'idea di cittadinanza ristretta, fondata su identità confessionali.
Il passaggio è molto serio. Perché i colleghi della Margherita non lo comprendono? Perché ci si ostina a dire che su questa legge vale il voto di coscienza?
Se si prevede il voto di coscienza, infatti, significa che già si sta entrando nel merito, significa che già a monte si è accettata come legittima una legge confessionale. Si tratta di un errore grave: di fronte ad una legge confessionale non ci può essere libertà di coscienza.
Senza incertezze, né ambiguità, ogni legislatore deve assumersi la responsabilità di impedire che tale scempio si compia. Noi insistiamo ed andremo avanti, affinché questa legge non sia approvata e, in caso contrario, affinché sia abrogata; altro che proporre modifiche! Inoltre, siamo convinti che il paese sia molto più avanti dei ceti politici dei partiti e che, se sarà necessario, tenterà di abrogare tale legge attraverso un referendum.
Infine, mi rivolgo all'onorevole Rutelli che, purtroppo, in questi giorni, attraverso le sue dichiarazioni in materia di pensioni e gabbie salariali, ha dimostrato di comportarsi come un elefante nella cristalleria. Per favore, onorevole Rutelli, si fermi! Non può continuare ad affermare che a lei non piacciono i bambini costruiti in provetta: si fermi!
L'unità della nostra coalizione è un bene prezioso, che è opportuno non compromettere. Noi vogliamo difendere e costruire tale coalizione a partire da un programma da discutere insieme, soprattutto prendendo le mosse da un insieme di valori da condividere. Prima della politica c'è sempre la cultura politica, l'orizzonte ideale in cui le scelte politiche si collocano. La laicità è il nostro comune orizzonte, oppure no?
Dunque, il provvedimento in esame doveva essere discusso in termini di coalizione; invece, avete imposto la libertà di coscienza, quasi fosse possibile un luogo politico di extraterritorialità, e alcuni di voi hanno persino espresso un voto favorevole sullo stesso. Si è trattato di un errore e noi insistiamo, ne vogliamo discutere con franchezza, come coalizione e come sinistra.
Auspichiamo, quindi, che non sia questo il segno della lista unitaria che sta nascendo, perché non sarebbe un buon segno (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, ho pochissimi minuti a disposizione e, tuttavia, vorrei sottoporre alla vostra attenzione un caso concreto, partendo da una storia.
È la storia di una donna - la chiamerò Francesca - di 35 anni che, come altre, per generare un figlio è ricorsa alla tecnica del concepimento artificiale, alla procreazione assistita. Il primo tentativo di impianto non è riuscito, così come non riesce in Italia nel 76 per cento dei casi. Francesca, superata la delusione e il disorientamento causati dall'insuccesso dell'intervento, preventivato ma non per questo meno traumatico, decide, confortata dal
marito, di riprovare. Alla vigilia del secondo impianto, il coniuge muore. A questo punto, il desiderio e la determinazione di Francesca di portare a compimento la gravidanza desiderata non soccombono alla tragedia, anzi si rinvigoriscono (e si può anche comprendere il perché). Tuttavia, il medico rifiuta di eseguire l'operazione, applicando rigorosamente quanto previsto dall'articolo 42 del codice di deontologia medica, che vieta la fecondazione post mortem. Com'è noto, il testo approvato dal Senato, al comma 2 dell'articolo 12, conferma questo divieto.
Ho iniziato il mio intervento raccontando questa vicenda estrema in quanto essa mi ha indotto a riflettere e ad aggiungere un tassello alla conoscenza della realtà a cui è opportuno porre estrema attenzione, specie da parte di chi si assume la responsabilità di regolarla.
Il tema della procreazione assistita si svolge in un susseguirsi di casi, ognuno con la propria specifica eccezionalità. È per questo che la materia, tanto complessa quanto delicata, poco si presta ad una legislazione rigida come quella che si vuole porre in essere e che pretende di normare persino le tecniche, i protocolli terapeutici, finendo per aprire nuove falle e introducendo nell'ordinamento legislativo contraddizioni paurose ed elementi di incostituzionalità.
Il tutto, come ricordava la collega che mi ha preceduto, parte dall'accoglimento di un emendamento all'articolo 1 (bloccato, in una prima fase, in sede di Commissione affari sociali della Camera dei deputati), che prevede il concepito quale soggetto di diritto, alla stessa stregua della madre. Quale tutela e quale diritto alla vita lo Stato può garantire all'embrione se non attraverso l'assenso della madre?
Ritornando al caso di Francesca, che ho citato all'inizio del mio intervento, perché allora impedirle di accogliere nel grembo il proprio concepito per dargli davvero la vita? Come è possibile prevedere l'esproprio dei suoi ovuli fecondati, il cui destino, stando al testo del provvedimento, sarà deciso da un decreto del ministro della salute? Non parla, tutto ciò, alla coscienza, così attenta ai dogmi ma forse un po' meno alla durezza e concretezza della vita, delle amiche e degli amici cattolici? Non insinua qualche dubbio in chi, anche nel mondo cosiddetto laico e di sinistra, utilizza una grammatica dei diritti che nega la differenza sessuale e le relazioni dispari e mette al centro l'individuo astratto, absolutus, anziché le persone in carne ed ossa? Eppure, il tribunale di Palermo, in sede di procedimento d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile, accolse, con ordinanza dell'8 gennaio 1999, il ricorso presentato da una donna che intendeva procedere alla procreazione assistita dopo la morte del marito nonostante il rifiuto del centro medico, proprio in nome della tutela della vita del nascituro, oltre che del diritto all'integrità fisica e psichica della donna, per evitare la produzione di un duplice danno certo - della donna e del nascituro - rispetto a quello, eventuale, del nascituro, costretto a crescere senza padre.
Il punto è che il potere-sapere del diritto non può, a mio giudizio, dispiegarsi ovunque e comunque, altrimenti genererebbe paradossi e mostruosità giuridiche. E il testo del provvedimento sulla procreazione assistita n'è invece intriso: dal divieto di crioconservazione degli embrioni all'obbligo d'impianto anche di quelli non sani, dal divieto di diagnosi pre-impianto all'esclusione dall'accesso alle tecniche delle coppie fertili affette da malattie genetiche.
Un diritto «leggero» e meno invasivo delle sfere di libertà e di autodeterminazione sarebbe stata l'unica via da percorrere. Questo non significa affatto dare spazio al caos e alla sregolatezza, ma ad un altro ordine di regole, che nascono dal vivo dei rapporti, da esperienze e contesti relazionali in cui desideri, necessità, senso di responsabilità e cultura del limite possono trovare la necessaria mediazione (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, signor ministro, onorevole sottosegretario, potrei rivendicare in quest'aula - anche se tanti sono gli assenti (una testimonianza non certo eccelsa di sensibilità verso problemi che pure sono fondanti di una società e di una civiltà) - il diritto di parlare da cristiano senza essere accusato di oscurantismo.
Potrei ricordare che così parlarono in quest'aula, in sede di Assemblea Costituente, i fondatori della nostra tradizione politica cattolico-democratica, che arricchirono di valori e di princìpi la Carta costituzionale, spesso evocata in questa sede, imprimendole quel sigillo personalistico che resta una delle più solide conquiste del nostro modello di democrazia. Nessuno pretese, allora, che essi negassero se stessi, rinunciando alle proprie idee, alla propria visione del mondo, della vita, della storia, in definitiva alla propria coscienza.
Tuttavia, metto da parte ogni rivendicazione e mi limito ad osservare che, per i laici, è dalla coscienza che nasce lo spirito di laicità: negarle di affermare ciò che essa suggerisce significa impoverire e persino cancellare le stesse basi della laicità del nostro sistema politico. Di ciò, a mio avviso, non si sono avveduti certi arcigni sacerdoti della laicità, che hanno accusato di oscurantismo chi ha sostenuto questa pur imperfetta legge, impancandosi a giudici e censori. Vi è, in alcuni di essi, una sorta di «richiamo della foresta» a vecchie abitudini scomunicatorie proprie di una vecchia sinistra e, in altri, una visione che definirei irrigidita della laicità, intesa come neutralità assoluta rispetto alle preferenze individuali, che finisce per tramutarsi sempre in indifferentismo etico nella costruzione del giuridico.
Dovrebbe essere questo - mi rivolgo ai colleghi che non sono favorevoli alla legge in esame - uno dei punti cruciali su cui confrontarsi, poiché si tratta di uno degli snodi per evitare - è un problema che esiste nella nostra società - la deriva individualistica del «vuoi, puoi, dunque fai», il diffondersi di quella anomìa che nelle nostre società porta al trionfo nichilistico, che oggi fa dire a Dahrendorf che occorre creare un senato etico e che angoscia gli studiosi, gli osservatori, i politici. Ed è sorprendente come proprio in quella cultura che aveva creato il suo fondamento nel solidarismo sociale si sbocchi, oggi, in una sorta di nuova cultura del radicalismo individualista.
La bioetica, e la sua sistemazione giuridica, resta, su questo piano, una delle materie più delicate e coinvolgenti, che non può essere affrontata soltanto - mi rivolgo alla collega Bimbi, alla quale va la mia stima - con il credo scientifico, né sulla base del desiderio individuale. Più che l'arroganza dell'accusa di oscurantismo, mi colpisce l'ignoranza della problematica connessa alla questione del rapporto fra etica e formazione delle leggi. Mi stupisce la mancanza di qualsiasi principio ispiratore che non sia la semplificazione individualista e il riduzionismo scientifico: questo si innalza a regola dominante, confermando quella progressiva sottomissione dell'agire umano alla signorìa tecnologica che è una delle cause principali della perdita di senso delle cose, della vita e, quindi, dell'uomo.
È su questo punto, e non sui princìpi di fede, che ci interroghiamo. Ci interroghiamo continuamente, con la responsabilità di uomini che sono impegnati in politica e che cercano una soluzione equilibrata e laica, ma non dissolvitrice dei legami e dei valori che stringono la società. È una domanda personale, che cerca di diventare convinzione comune e che non vuole trasformarsi in instrumentum regni: l'errore del Governo e della maggioranza è quello di aver preso una posizione ufficiale su questo tema.
Solo un'abissale ignoranza della dottrina della Chiesa e una madornale incomprensione delle ragioni che stanno orientando alcune nostre opzioni possono indurre a scambiare la prudenza e il principio di responsabilità, nella formulazione legislativa, per confessionalismo od obbedienza «vaticana». Scambiare l'ispirazione
cristiana della politica, che è ricerca umanistica di un'organizzazione sociale nella quale la solidarietà è il risultato, la realizzazione e il germe che lega il passato, il presente e il futuro, per integrismo, o, come è stato detto, per fondamentalismo religioso e confessionale, per antimodernità e - usando una parola che è piaciuta molto ai redattori de L'Unità - per oscurantismo, è una mistificazione, una superficiale e sprovveduta analisi delle nostre posizioni, che cercano invece di evitare, nella società contemporanea, la dittatura dei desideri per affermare la cultura dei limiti e della responsabilità.
Quando si afferma che, vietando alcune pratiche fecondative come la fecondazione eterologa, si vuole imporre una specifica morale e, quindi, si viola il principio di laicità che non ammette prescrizioni etiche, si sorvola sul fatto che, in questo modo, si proclama una propria ideologia, quella della dismisura dell'io desiderante che non si confronta con un valore innegabile legato alla famiglia, quale è quello della coerenza genitoriale e del collegamento fra le generazioni. In sostanza, si confisca il diritto del nascituro a poter conoscere il proprio padre: si tratta di un principio che dovrebbe essere garantito in ogni società.
Questo è un caso classico, su cui credo che tutti - e non soltanto noi - dovrebbero meditare. Il principio di solidarietà tra le generazioni si spezza e si conclude nel presente, senza prefigurare ciò che può verificarsi nell'avvenire. Permettete che lo sottolinei: in ciò vi è la negazione dello Stato di diritto. Non l'ho scritto io. È stato scritto da grandi autori che la funzione di un sistema giuridico è quella di garantire la continuità fra le generazioni e, quindi, di tutelare i diritti di coloro che verranno e non soltanto quelli di coloro che sono, oggi. Ma questa preoccupazione significa proprio oscurantismo? Si tratta di oscurantismo? Ci rivolgiamo a questi custodi della laicità: nel decidere su questa materia ci concedete almeno il beneficio del dubbio o, se volete - per usare un'espressione corrente nella filosofia della responsabilità -, quello della paura di ciò che può accadere? Non è, forse, il dubbio la fonte della laicità? Non sono la paura, il timore di ciò che potrà accadere, il principio di prudenza a dover essere sempre la premessa di ogni buona legislazione? Signor Presidente, non è il cardinale Ratzinger, ma Hans Jonas, il filosofo della responsabilità, che fa discendere proprio dalla paura - la paura è il termine che egli usa in materia di bioetica, a proposito di questo capitolo - il criterio di ispirazione per la regolamentazione giuridica e l'invito alla cautela. Lo ribadisco: alla cautela.
Coinvolgendo la bioetica più soggetti e investendo valori diversi, compresi quelli del piccolo grande assente che è il nascituro, la legislazione della fecondazione assistita non può, dunque, che essere concepita in base al principio di responsabilità, che non può diventare una sorta di allegro e permissivo passe-partout che, in nome dei diritti del desiderio - anche nobile, come quello della maternità - e della scienza, travalica ogni riferimento etico, ritenuto soltanto un fastidioso ingombro moralistico, anzi, come qualcuno ha detto, una sorta di imposizione di etica pubblica.
C'è molta confusione su questo punto. Mi stupisco di certe affermazioni apodittiche sul tramonto della laicità dello Stato, sulla fine del pluralismo, sull'imposizione dell'etica pubblica. Non ci si avvede - così direbbe quel grande giurista che è stato Orestano - che, in nome dell'antideologismo, si finisce per imporre nei fatti una sorta di principio unico, quello della tecnologia che si impone con le sue leggi per soddisfare un desiderio che non trova sistemazione in un'etica veramente pluralista. Di questo si tratta.
L'accusa di oscurantismo, dunque, nasce proprio da una terribile semplificazione delle questioni in gioco e dall'accettazione passiva di quel riduzionismo scientifico che presume di proporsi come concezione generale della società.
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco, la invito a concludere.
GERARDO BIANCO. Ciò appare ancora più evidente nella discussione in atto sul problema degli embrioni. La razionalità invocata è quella, scientifica, dell'esigenza di disporre di più embrioni per la riuscita dell'operazione. È una considerazione tecnicamente ineccepibile, plausibile dal punto di vista medico.
Ma io mi domando, sempre in nome del principio del timore: è proprio infondato il timore della banalizzazione del germe della vita, della mercificazione (che la collega Burani Procaccini ha più volte citato), della sua possibile manipolazione in direzione eugenetica? Ma non è nel desiderio di alcuno, di una mamma, di un padre presunto tale, poter ottenere il meglio dalla produzione, e quindi la direzione inevitabilmente eugenetica, se si accoglie la logica e la filosofia dei desideri? In definitiva, noi ci troveremmo di fronte al paradosso della perdita del senso della vita proprio mentre ci si adopera per generarla.
Dinanzi a questi interrogativi, che nascono dal dubbio e dal timore che esiti negativi possano accadere, è davvero ideologico e oscurantista porre limiti?
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco, la richiamo...
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, due minuti me li cede il collega Fioroni, che è arrivato in ritardo!
PRESIDENTE. Quelli glieli ho già concessi, onorevole Gerardo Bianco.
GERARDO BIANCO. Le chiedo di essere comprensivo, signor Presidente.
A prescindere dalla infinita discussione, e direi anche dai discordanti pareri sulla natura dell'embrione - persona o non persona: non entro nel merito della questione -, non è indubitabile che in esso ci sia già il germe della vita e che ciò che origina la vita merita un particolare rispetto e non può essere ridotto a puro materiale riproduttivo? Ove prevalesse una simile concezione, essa si rifletterebbe inevitabilmente sulla stessa visione dell'uomo e della storia umana. L'asetticità tecnologica, ove non sia accompagnata da un sentimento di responsabilità verso la vita - che appunto il limite e la responsabilità confermano e richiamano -, finirebbe per inaridire le stesse sorgenti della vita in generale, che ha il suo momento primario nell'amore.
Signor Presidente, se mi consente, vorrei fare una citazione classica, che potrebbe farle piacere: so che lei corregge il latino dei colleghi.
PRESIDENTE. Questo è un tentativo di corruzione, onorevole Gerardo Bianco! Comunque, glielo consento.
GERARDO BIANCO. Voglio dire che il dubbio della nostra laicità nasce dalla consapevolezza che la scienza non è e non può essere indicatrice di fini ultimi. Il fine ultimo va ricercato nella misura e nella consacrazione della responsabilità, soprattutto verso il futuro. Nel libro di Latouche intitolato «La sfida di Minerva», l'autore afferma che Minerva ebbe due figli spirituali, Fronesis e Logos: Fronesis, che rappresenta la saggezza, era la figlia maggiore, mentre Logos era il figlio minore. Dentro la fronesis c'è la dismisura, l'asimmetria, la disarmonia tra l'uomo e il cosmo: portarla nei giusti confini è una delle finalità della legge. Si tratta di capire, appunto, che oggi il rischio è che il principio del figlio minore prevalga su quello della sorella maggiore; è un errore che rischia di compromettere le stesse basi della nostra civiltà.
A questo punto, credo che si capirebbe anche perché noi ancora, più che far vincere il figlio minore, pensiamo che debba prevalere la fronesis, che rappresenta la prudenza, la misura, l'equilibrio.
Ecco perché noi votiamo questa legge, non per fretta, visto che vi sono alcuni punti da correggere, ma perché essa rappresenta un limite, in quanto le leggi devono proteggere e, proteggendo, cercano di evitare il pericolo più grosso in una società: il trionfo della ybris (Applausi di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo e dei deputati del gruppo di Forza
Italia, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. Secondo Giovanni, tuttavia, in principio era il logos, e non fronesis. Qui si potrebbe aprire un dibattito, ma lo proseguiremo in altra sede.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, visto che lei mi ha giustamente corretto, mi permetta di dire che la mia citazione è tratta da Latouche, autore de «La sfida di Minerva», un libro pubblicato nel 2000. Si tratta di una citazione precisa e puntuale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.
TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, sull'autodeterminazione della propria vita e del proprio corpo, le donne hanno rivendicato di avere la prima e l'ultima parola, ma mi lasci dire francamente che, di fronte alle aberrazioni e alle mostruosità contenute in questo provvedimento, ci sarebbe da rimanere senza parole. In realtà ci siamo sforzate - e lo stiamo ancora facendo -, nonostante sette anni di dibattito in Commissione e in quest'aula, di continuare a parlare, perché non riuscirete mai a far tacere la voce delle donne contro questa proposta di legge che oggi arriva all'epilogo, almeno in ambito parlamentare.
Si tratta di un provvedimento che ha una brutta storia, iniziata molti anni fa nel nostro paese e che nella scorsa legislatura ha visto il Parlamento, pur con una maggioranza diversa da quella odierna, fallire perché impelagato nel tentativo di una mediazione al ribasso su temi sui quali è invece necessario volare alto, anche per essere più «leggeri» e non calpestare, assieme al diritto, persone e sentimenti.
La maggioranza che in questa legislatura si è formata su questo tema è invece riuscita a produrre una normativa pesantissima e ingombrante, di soli divieti, che limita i diritti di tutti, soprattutto delle donne. Questa maggioranza pretende di inserirsi nei progetti di vita, nella sfera più intima, offende le donne, ritenendone alcune addirittura capaci di mettere al mondo un secondo figlio per una mancia di mille euro ed impedendo ad altre, fortemente motivate, di provare a dare concretezza al loro desiderio di maternità e di provare a mettere al mondo i loro bambini. Quella in esame è una normativa crudele e nasce proprio dalla presunzione di avere il diritto di impedire alle donne e agli uomini di poter liberamente progettare la propria vita. Forse per la prima volta lo Stato si permette di decidere chi può avere figli e chi no.
Si sta quindi approvando una legge contro la procreazione: sì, perché in un delirio di onnipotenza il legislatore si è lasciato sfuggire proprio questa parola, procreazione. Ciò la dice lunga sul fatto che alcuni in quest'aula si sentono investiti di un qualche potere divino, che fa loro ritenere non soltanto di essere co-artefici della procreazione e di avere il diritto di decidere e di interferire nella vita dei cittadini, ma di poter addirittura scegliere chi è destinato a nascere e chi no, per mancanza dei requisiti previsti dalla legge, e chi non potrà mai essere concepito nel corpo di una donna che pure lo ha già concepito nella sua mente e nel suo amore. Perché è di questo che questo provvedimento dovrebbe e non sa parlare: dovrebbe parlare il linguaggio del rispetto e del sostegno alle diverse scelte di vita, ma non parla che di proibizioni.
Con meno prosopopea, ci si sarebbe dovuti limitare a parlare di tecniche di riproduzione assistita e per questo, probabilmente, sarebbe bastato un regolamento ministeriale. Senza nemmeno rendersi conto dell'umorismo involontario insito nel pensare che la medicina intervenga non nell'applicazione di tecniche di riproduzione, ma addirittura nell'atto del procreare - che ha del divino e del sovrumano - questo Parlamento produce una legge-bandiera, una legge-manifesto, che non teme di calpestare i diritti, le libertà individuali e le responsabilità personali pur di riaffermare i valori di un'unica ideologia e che si pone, come è già stato autorevolmente detto da esponenti
della gerarchia cattolica, come modello per altre leggi, prima di tutto per un nuovo, pesante attacco alla mai digerita legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, peraltro confermata da un referendum popolare.
Questa normativa confonde, passa continuamente dal piano scientifico a quello giuridico a quello etico, facendo strame dei principi base della nostra convivenza in ogni campo e divenendo di fatto inapplicabile sia da un punto di vista giuridico - parla dei diritti del concepito quando nel nostro diritto la capacità giuridica si acquista con la nascita - sia dal punto di vista medico, perché non rispetta la professionalità ed è stata bocciata da tutte le società scientifiche e perché non metterà i medici in grado di svolgere il proprio lavoro secondo scienza e coscienza, dettando regole astratte che si pretendono valide per situazioni sanitarie e persone completamente diverse fra loro.
Le donne, che pure procreano, non si sentono onnipotenti e dell'approfondito e utile dibattito che si svolge da tanti anni hanno sempre avuto presente il senso del limite - criticando l'invasività della scienza nel corpo e nei desideri delle donne - ed hanno saputo ascoltare le storie e le sofferenze individuali. Per questo vorrebbero una regolamentazione dei centri e delle tecniche: ciò è ben diverso dal disciplinare i comportamenti sociali e negare il diritto all'autodeterminazione!
La proposta di legge al nostro esame, consentendo l'accesso alle tecniche solo alle donne coniugate o conviventi (al riguardo, vorrei sottolineare come, finalmente, avremo quel registro delle unioni civili, per altri versi da noi auspicato e da voi sempre osteggiato), dà, di fatto, un giudizio negativo e svaluta tutte le donne che, da sempre, hanno concepito, partorito e cresciuto figli anche se con uno stato civile diverso dall'essere coniugate.
Si tratta di un provvedimento ipocrita, il quale, facendosi paravento del singolo caso abnorme e di notizie scandalistiche, che rappresentano un'infima minoranza, ignora i problemi umani e le sofferenze delle 40.000 donne e coppie (con 7.200 bambini nati, nel 2000, in Italia) che, ogni anno, accedono ai servizi di riproduzione assistita. Si tratta di donne e coppie normali, che hanno solo incontrato, rispetto ad altri, più problemi nell'attuare il progetto di un figlio, e che vorrebbero essere aiutate a farlo.
È una proposta di legge ipocrita anche perché, dietro ai mille divieti, nasconde una realtà che tutti qui dentro conoscono e su cui, di fatto, tutti contano. In tutti i paesi europei ai nostri confini, infatti, è permesso ciò che da noi sarà vietato. Si creerà, così, clandestinità e turismo procreativo, e si produrrà, in tal modo, la più inaccettabile tra le discriminazioni, perché lega alle possibilità economiche anche l'accesso al figlio. Si tratta, pertanto, di un provvedimento antieuropeo e classista nello stesso tempo.
Tuttavia, è una proposta di legge che, con un termine assolutamente improprio, vieta quella che viene definita inseminazione eterologa, riporta a galla anche fantasmi del passato e riafferma un presunto primato dei vincoli di sangue e della paternità biologica su quella sociale, svalutando, ad un tempo, il principio di responsabilità sociale sui bambini e l'istituto dell'adozione, in cui, secondo questa logica, i genitori adottivi sarebbero «eterologi», vale a dire genitori di serie B.
Si tratta di un provvedimento che, pur di riaffermare un ideologico diritto alla vita - non so come si possa pretendere di difendere il diritto alla vita negando, di fatto, la vita a figli desiderati, e ignoro, altresì, come si possa riaffermare il diritto alla vita, che non esiste fuori dal corpo e dalla relazione con la madre, vale a dire fuori dalla sua volontà -, costringerà all'impianto, nell'utero di una donna, anche di embrioni malformati, anche contro la sua volontà, contro la sua salute e contro la stessa deontologia del medico.
Non consentendo di revocare il consenso all'impianto dell'embrione, questa legge crea una sorta di trattamento sanitario obbligatorio. Ciò la rende sicuramente incostituzionale, ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione, e contraddice clamorosamente anche il suo assunto fondante,
vale a dire il rispetto della dignità dell'embrione. Questo provvedimento, infatti, è talmente punitivo che non vi siete nemmeno accorti del fatto che, con il divieto di disconoscimento di paternità e di anonimato della madre, si spinge a non tutelare, alla fine, nemmeno il bambino, costringendo anche lui al sacrificio e all'infelicità che pervade tutta questa proposta di legge.
Per quanto riguarda il diritto alla salute, è da sottolineare che il presente provvedimento (che torna alla Camera dei deputati in terza lettura), a differenza di quanto ha sostenuto la relatrice - e me ne meraviglio -, non reca una modifica meramente tecnica: in realtà, riduce il fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita di 3,4 milioni di euro.
La fretta dell'approvazione a tutti i costi da una parte, ed il minore investimento economico sul provvedimento dall'altra, fanno comprendere chiaramente quanto la volontà sia essenzialmente quella di riaffermare dei principi, senza alcuna attenzione alla salute riproduttiva, di fatto non inclusa nei livelli essenziali di assistenza, e destinata, quindi, ad essere una variabile che ogni regione potrà includere o meno tra le prestazioni erogate. Ed anche quando lo fosse, certamente non sarà contemplata la gratuità, visto che, di fronte alle 35.000 richieste annuali, il miserrimo finanziamento previsto consentirà la gratuità solo a poche centinaia di casi in tutta Italia, senza pensare al fatto che, escludendo le tecniche dalle prestazioni sanitarie gratuite, si nega che la sterilità sia una patologia.
Troppo altro ci sarebbe da dire contro questa proposta di legge, che invade una sfera di decisioni nella quale lo Stato non avrebbe mai dovuto entrare. Si tratta di un provvedimento che entra in camera da letto e in camera operatoria, non per affrontare problemi concreti, ma per imporre un'etica, espressione di parlamentari che non avvertono il dovere di predisporre normative per tutta la collettività, ma che ritengono che il proprio codice di valori debba essere assunto come parametro da tutti i cittadini.
È evidente che questo risultato è dovuto anche alla composizione del Parlamento, quanto al genere.
PRESIDENTE. Onorevole Valpiana...
TIZIANA VALPIANA. È innegabile, infatti, che le energie, le coscienze, le esperienze, le competenze, la sensibilità ed il pensiero delle donne su questi temi, vissuti nel corpo oltre che nella testa, siano maggiori o più approfonditi rispetto a quelli degli uomini.
L'insufficiente rappresentanza politica femminile non rispecchia la realtà della società civile; e qui, ancor più che in altre materie, si rende palpabile la non sufficiente rappresentanza, in Parlamento, della sensibilità e della volontà delle donne.
Il paese è più avanti del Parlamento. Il paese darà, anche in questo caso, una lezione al Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.
GRAZIA LABATE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ministro Buttiglione, sottosegretario Cursi, mai come in questo momento l'accettazione anche delle regole parlamentari provoca in tutti noi grande angoscia e, vorrei dire, anche un senso di impotenza rispetto ad una materia così delicata ed eticamente, culturalmente e scientificamente rilevante.
Il nostro regolamento ci imporrebbe di discutere unicamente di un differimento di data e delle magre risorse finanziarie che sono state poste a sostegno della proposta di legge al nostro esame. Tuttavia, colleghi, come ho detto in Commissione martedì, dal momento che la navette riporta il provvedimento qui alla Camera, mi sarei aspettata - non so se per ingenuità culturale o politica o se per profonda convinzione, come credo -, già a partire dal dibattito in Commissione e, quindi, anche oggi, in sede di discussione sulle linee generali in Assemblea, non già una disputa sugli «ismi», che sono effettivamente
noiosi e nient'affatto forieri di ascolto reciproco, ma interventi che non ignorassero, al di là del rispetto delle proprie convinzioni filosofiche, scientifiche o di coscienza religiosa, le molte voci levatesi dal mondo della scienza, dal mondo giuridico, dal mondo cattolico, dal mondo della cultura sui temi cruciali di questa proposta di legge. Ricordo infatti che quest'ultima nasceva con una finalità precipua: regolamentare ciò che, nel nostro paese, non era regolamentato da 16 anni, a dispetto di quanto hanno fatto, invece - in un campo, lo ammetto, molto delicato ed in una materia nuova, in cui le certezze scientifiche e le visioni culturali non consentono di mettere un punto fermo - le altre nazioni dell'Unione europea (comprese quelle a forte matrice cattolica, come la nostra, quali Irlanda e Spagna).
Quindi, non so se per ingenuità o per estrema convinzione, mi ero accostata alla discussione di questa proposta di legge, anche se non ho la cultura filosofica ed umanistica del collega Gerardo Bianco (sono un'economista per formazione), con l'idea che, forse, ci avrebbe aiutati, su un terreno così delicato, adottare il metodo kantiano della mentalità allargata, descritto nell'opera Critica del giudizio: le convinzioni, pur profonde, non prevaricano ciò che si agita nel pensiero, nella cultura e nel convincimento di altri con idea differente dalla propria.
Mi sarei anche attesa - qui mi rivolgo soprattutto alle colleghe ed ai colleghi medici, forti anche di una grande esperienza in questo campo, che certamente lascia ancora molto da verificare sul terreno del metodo scientifico - un approccio alla difesa bilanciata dei diritti dei soggetti e, quanto meno, all'idea della tutela della salute sancita dall'articolo 32 della nostra Costituzione, di una salute globalmente intesa, comprensiva di quella riproduttiva, grande tema oggetto di questo provvedimento.
Così non è stato. Regolamenti e visioni dei problemi ci portano, oggettivamente, a ridurre il nostro confronto a questioni, non risibili, ma minimali, nell'ambito del provvedimento. La collega Valpiana ricordava come anche l'impegno economico sia stato drasticamente ridotto durante l'esame al Senato. Ministro Buttiglione, sottosegretario Cursi, mi pongo un problema di diritto costituzionale riguardante la difesa della salute. Poiché il Servizio sanitario nazionale tutela, attraverso i livelli essenziali di assistenza, la salute globalmente intesa dei cittadini, non so se tale riduzione economica e finanziaria non finirà col penalizzare quelle coppie non fertili che si rivolgono ai centri pubblici, che comunque avevano regole e davano più garanzie, o se, invece, l'accreditamento verso il sistema privato non proporrà un'iniquità di fronte a temi eticamente rilevanti, dal momento che «chi più ha, meglio si cura» e meglio cura anche la propria salute riproduttiva.
Ciò che mi turba è che mai, come in queste occasioni, ho avuto la possibilità di constatare, avendo seguito, come tutti voi, compiutamente il dibattito al Senato, quanto il libero confronto in Parlamento, l'assunzione di responsabilità - avendo a cuore la ricerca di una visione comune non il rispetto delle altre visioni - su un tema complicato e difficile, non siano stati l'asse culturale con il quale ci siamo approcciati alla materia. Si è finito col ragionare (non userò espressioni quali «prevaricare» o «non rispettare»), forti di una maggioranza numerica che avrebbe portato questo provvedimento a configurarsi come una legge di parte, una legge che tutela più un soggetto che l'altro; una legge che esclude il ricorso a determinate tecniche anche quando vi sono gravi motivi di salute! Penso alla gravità della sterilità severa in campo maschile, che ha aperto la strada agli altri paesi verso l'ammissione della fecondazione eterologa e non verso una visione, come dire, di «impazzimento» procreativo, per cui qualunque tecnica è comunque e sempre lecita. Mi sarei aspettata altro, ma, invece, non vi è stato.
Signor ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, si sono volute e si continuano a volere norme che mortificano, vessatorie, lontane dal sentire comune della nostra gente, della nostra popolazione.
Forse i colleghi, tra le tante cose che hanno esaminato, udito e ascoltato, non hanno preso in considerazione le statistiche riguardanti le 300 mila coppie italiane affette da sterilità, di cui 40 mila all'anno si avviano alle tecniche procreative: da ciò si sarebbero resi conto che la gente non ha esigenze di ipertecnologia in questo campo, di accettazione di un metodo, qualunque sia, anzi. Si tratta di una popolazione attenta a difendere il proprio diritto alla salute, attenta ad evitare problemi di gravidanze multiple e ad usare tutte le tecniche di diagnostica predittiva che non mettano la coppia - collega Bianco -, come fa questo provvedimento, di fronte al dilemma se scegliere di mettere al mondo un figlio malato o ricorrere ad un aborto terapeutico? L'inconciliabilità con i propri principi e le proprie visioni del mondo deriva dal fatto di non consentire l'amniocentesi o il prelievo del villo coriale per testare se geneticamente si è portatori di una patologia trasmissibile...!
Ecco perché mi sembra un provvedimento pieno di divieti e che non aiuta ad individuare una visione comune, assumendo con prudenza ciò che afferma la scienza. E con ciò mi riferisco, in campo scientifico, al numero statisticamente rilevante degli aspetti positivi, con l'evidenziazione di quelli negativi.
Niente di tutto ciò. È previsto invece l'obbligo di impiantare tre ovociti pronti alla fecondazione, con tutto ciò che ne deriverà in termini di tutela della salute della donna e del futuro nascituro. Anche qui parlano le statistiche, non le visioni scientifiche di parte. Questo per dire che noi ovviamente abbiamo sofferto questa normativa in quanto piena di divieti e di imposizioni, non risolutiva del problema dell'infertilità, ed estremamente invasiva rispetto alla decisione individuale delle coppie sterili di fronte al desiderio procreativo.
Per questo il provvedimento non ci piace, per questo noi anche qui in aula tenteremo anche attraverso la presentazione di ordini del giorno su aspetti cruciali, di dire una parola chiara. Sottosegretario Cursi, la questione non è risolvibile con l'ordine del giorno che è stato approvato al Senato, per il quale una linea guida dovrebbe dirimere un problema giuridico relativo al consenso: si tratta di una tipica materia di diritto, non sarà possibile affrontarla in una linea guida. Per questo, signor ministro, signor sottosegretario, colleghi, per noi sarà importante mantenere un confronto aperto nel paese, con il mondo della scienza, della cultura, con il mondo giuridico, che ci aiuti - attraverso lo strumento referendario o altro strumento - a rivedere questa legge, perché il primo obiettivo - a cui questa legge in realtà non mira -, deve essere quello di fornire aiuto in caso di sterilità.
Per questo noi combatteremo in quest'aula non con uno scientismo senza etica e nemmeno con l'idea della tecnologia di mercato, pronta a risolvere anche rilevanti problemi di salute del nostro tempo. No, noi combatteremo con la nostra visione, rispettosa del pluralismo, basata su fondamenta scientificamente corrette e rispettando il desiderio di chi, magari, non è stato fortunato come lei, onorevole Bianchi, o come me, che la natura ha voluto premiare addirittura con un parto gemellare: mi riferisco a coloro nei confronti dei quali la natura è stata maligna, ponendoli nella impossibilità procreativa. Noi faremo questo, e lo faremo per il bene e la salute di coloro che guardano alla procreazione come a un fatto responsabile, eticamente rilevante e di grande dignità umana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, è la terza volta che affrontiamo questo dibattito nella nostra aula parlamentare. Credo che i toni del confronto, seppure nella profonda diversità di opinioni su molti punti, iniziano ad assumere connotati che fanno sperare almeno di aver trasformato in patrimonio comune
alcuni aspetti. Ai molti colleghi che oggi sono intervenuti credo di poter ricordare le prime volte che abbiamo dibattuto su questi temi, quando ancora molti in quest'Assemblea non ritenevano che una legge di regolamentazione fosse indispensabile, anzi improcrastinabile. Oggi, questo è diventato patrimonio comune, nessuno più, perlomeno la stragrande maggioranza di questo Parlamento, ipotizza che il nostro paese possa proseguire su una strada, con oltre 300 centri privati che operano nel settore, senza garantire nessun diritto e nessuna certezza né ai genitori né ai futuri nascituri, sia dal punto di vista igienico sanitario, sia dal punto di vista delle garanzie minime di tutela di una vita che sta per nascere.
Credo anche che a nessuno sia venuto più in mente di ritenere che la legge sulla fecondazione artificiale sia un modo diverso per poter regolamentare la nascita e per procreare in un modo alternativo, più rapido e più veloce. Resta un tema di fondo che io credo tutti noi non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Oggi andiamo a legiferare sui bisogni legittimi di un uomo e di una donna che vogliono un figlio, ma andiamo anche a legiferare per consentire a quell'uomo e a quella donna di far nascere una nuova vita, che noi concepiamo comunque come un atto d'amore.
Allora credo che, facendoci carico delle sofferenze delle tante coppie che vogliono un bambino, dovremmo domandare a noi stessi se un figlio a qualunque costo ed a qualunque prezzo sia comunque un atto d'amore o non sfoci, invece, in un atto di egoismo che priva uno dei tre soggetti menzionati in questa legge di un diritto che non è frutto della morale cattolica o dell'essere o meno cristiani, ma che è frutto di un diritto naturale. Rispetto a ciò, credo che nessuno di noi, se interpellato, avrebbe mai la capacità, la volontà o la possibilità di dire: «Non sono interessato a che sia così».
Non dimentichiamo che oggi diamo vita ad una legge che, oltre al padre ed alla madre, prende in considerazione un nascituro di cui dobbiamo tutelare i diritti naturali. Molto probabilmente, se dovessimo chiedere a quel bambino, che grazie a questa legge sarà chiamato a venire al mondo, se voglia un solo padre o una sola madre, ritengo che la sua risposta non possa che essere: «Voglio un solo padre, una sola madre e, possibilmente, anche una famiglia certa».
In questo periodo ho ascoltato con attenzione molti dibattiti e vorrei che i tanti colleghi che hanno certezze così forti, pari solo a quelle di coloro che operano in questo settore (ma che hanno ben altri motivi per essere così certi nelle loro scelte, sostenute ovviamente da qualcosa di perfettamente legittimo quale il business che sta dietro alle operazioni di fecondazione assistita e che, quindi, può anche generare certezze ferree e intramontabili), leggessero una serie di studi recenti sia svedesi che norvegesi. Vorrei ricordare come quei Parlamenti e quelle comunità scientifiche nazionali abbiano rivisto le loro considerazioni sulla fecondazione eterologa sulla base dei casi di incesto e dei disturbi psichiatrici e dello sviluppo psicofisico dei bambini nati in famiglie all'interno delle quali era stata operata la fecondazione eterologa.
Certamente possiamo dire che in quel paese la morale e l'impostazione prevalenti non sono di natura confessionale. In virtù di ciò, tali paesi sono andati verso una revisione sostanziale della legge che regolamentava la fecondazione eterologa. Credo che dovremmo e potremmo svolgere anche questo tipo di considerazioni.
Vi è un altro aspetto che credo non sfugga a nessuno: questa legge apre la strada ad un percorso che merita veramente grande attenzione. Ho ascoltato prima la collega Zanella e mi domando: abbiamo discusso insieme degli organismi geneticamente modificati e della preoccupazione in ordine ad una via genetica per la modifica dei vegetali e degli animali. Credo che, quando parliamo di fecondazione assistita, seppure in maniera marginale, cominciamo a parlare delle capacità di cui disponiamo: non mi riferisco alla ricerca scientifica, ma alla possibilità di pensare che la signoria della vita e della
morte sia in mano nostra, al fatto che abbiamo la possibilità di modificare l'essere che dovrà nascere, scegliendone le sembianze somatiche e le caratteristiche psichiche. Questa non è fantascienza e lo sappiamo benissimo. Basta guardare a ciò che accade in altri paesi, basta visitare i siti Internet più diffusi che riguardano questi commerci negli Stati Uniti d'America per capire come vi sia la grossa preoccupazione che, accanto a meccanismi di fecondazione artificiale, si possa successivamente aprire quell'autostrada dell'eugenismo, per cui alla fine il figlio di Dio, ossia quello che deve nascere (uso questo termine per indicare il figlio naturale) e che deve nascere così come è, non venga più accettato e non in base a parametri di fisiologia o di patologia, ma in base al concetto che ciascuno di noi darà della normalità.
Signor Presidente, spostando sempre più in avanti quella linea di normalità, vi è stato qualcuno che, qualche decennio fa, aveva ritenuto che alcune razze non erano considerate degne di poter appartenere al genere umano. Credo che quando sul concetto di normalità si individua il discrimine con cui poter creare il nuovo essere vivente, si produca un vulnus nel rispetto della dignità dell'uomo: questo sì, credo, debba essere cultura comune di questo Parlamento.
Allora, ritengo che domani, quando una parte di noi si accingerà ad esprimere il voto favorevole sul provvedimento, vi sarà la necessità di presentare anche un ordine del giorno. A nostro avviso, vi sono tre aspetti di questa normativa che possono essere corretti non con una nuova legge, ma in via amministrativa e con altri atti. Il primo punto riguarda - e mi rivolgo al sottosegretario Cursi, che ritengo convinto quanto me su questo versante - l'assurdità del fatto che la fecondazione artificiale non sia prevista all'interno dei livelli essenziali di assistenza. Non è necessario modificarli perché, così come sono individuati, è concepibile già che la fecondazione assistita rientri all'interno delle prestazioni che devono essere effettuate gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale. Quando invochiamo i viaggi della speranza all'estero, dobbiamo esseri seri, perché, anche al riguardo, pur essendovi tanti viaggi della speranza, il movente principale è dato dal fatto che la prestazioni in questione da noi non sono gratuite. L'altro aspetto riguarda le linee guida che possono essere adottate, perché vi deve essere un'omogeneità di trattamento rispetto alla legislazione al fine di non creare una disparità di tipo costituzionale nel diritto alla difesa della vita della donna nel momento dell'impianto in utero, in quei casi nei quali già la legislazione vigente prevede che non possa essere applicata tale procedura, quando questa mette in discussione la vita della donna o quando non è compatibile con la sopravvivenza dell'embrione.
È sufficiente che venga adottata una linea guida, perché non è in alcun modo ipotizzabile che il diritto alla vita possa essere modificato di volta in volta dal Parlamento (Applausi di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lucà. Ne ha facoltà.
MIMMO LUCÀ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quella che la Camera sta per approvare sulla procreazione assistita non è una buona legge e, forse, non sarà nemmeno del tutto applicabile. L'oltranzismo ideologico e la fretta di concludere ad ogni costo non hanno favorito un miglioramento del testo, che pure sarebbe stato possibile al Senato, nonchè la ricerca di soluzioni più adeguate e condivise.
Vorrei rivolgermi ai colleghi della maggioranza con estrema franchezza, anche se non sono presenti: voi non avete voluto misurarvi con i contenuti della legge; avete respinto il dialogo ed il confronto in modo pregiudiziale, perseguendo l'unico obiettivo di affermare un punto di vista, di imporre una normativa che alla fine risulterà di difficile attuazione e, probabilmente, di dubbia costituzionalità.
Al Senato vi erano le condizioni per emendare positivamente il testo e per evitare che, su una materia così delicata e
complessa, il Parlamento legiferasse a «colpi di maggioranza» e contro una parte rilevantissima dell'opinione pubblica. Serviva un punto di mediazione, un compromesso etico per evitare una lacerazione annunciata e per approvare un testo equilibrato, frutto di una responsabile convergenza delle diverse posizioni parlamentari.
Il tema della fecondazione assistita non è per sua natura un tema di Governo; esso va discusso al di fuori dei vincoli di partito e di coalizione, anche perché in ogni componente politica convivono oramai, su temi come questi, diversi orientamenti, culture, sensibilità, di credenti e non credenti.
Che senso ha avuto allora il richiamo di ogni parlamentare della maggioranza alla fedeltà di Governo, la chiusura ostinata ad ogni proposta di miglioramento del testo e ad ogni offerta di dialogo su una materia che nulla c'entrava con le competenze del Governo? La verità è che si è voluto strumentalizzare politicamente una sensibilità religiosa per finalità di consenso elettorale; alimentare nuovamente la contrapposizione tra cattolici e laici, riproponendo steccati e divisioni che sono, nei fatti, largamente superate. Sono i frutti amari del riemergere di un incerto clericalismo da parte di una politica a corto di forti riferimenti ideali e, sempre più spesso, fondata sulla finzione e sulla propaganda.
Mi riesce difficile comprendere e giustificare l'ipocrisia di autorevoli esponenti della maggioranza e del Governo, più volte evocati in questo dibattito, come ad esempio il ministro Prestigiacomo e il ministro Sirchia, i quali, mentre la nuova legge veniva approvata al Senato, dichiaravano che bisognava approvarne una nuova: strabismo e doppia morale, cattiva coscienza ed esigenze di accreditamento confessionale!
Non si comprende altrimenti il silenzio del centrodestra di fronte alle infamie che Bossi rivolge quotidianamente alla Chiesa, alla Caritas e al volontariato di ispirazione cristiano-religiosa. Il clericalismo che riemerge è il nemico più pericoloso della legittima aspirazione dei cattolici ad operare nelle istituzioni della politica per orientare la vita pubblica secondo i principi del bene comune, della ricerca costante dei punti di mediazione tra coscienza cristiana e coscienza laica.
I cattolici - ci ricorda il professor Scoppola in un recente articolo pubblicato da un importante quotidiano - devono essere consapevoli che, pur concorrendo democraticamente alla formazione di leggi coerenti con i loro valori, non possono esigere, in una società pluralistica, sempre più complessa e frammentata, che tali valori trovino ogni volta puntuale riscontro nelle leggi dello Stato. Ai laici si chiede di non considerare aprioristicamente tutto quello che viene dai cattolici come retrogrado ed oscurantista, in nome dell'implicita convinzione che l'esperienza religiosa stessa sia un residuo storico destinato a scomparire.
Il vuoto legislativo che faceva dell'Italia l'unico paese in Europa privo di una qualsiasi legge su tale argomento adesso sarà riempito. Tuttavia, insieme ad alcuni aspetti positivi vi sono anche punti critici nell'articolazione delle norme in esame che ne compromettono seriamente la validità e, forse, anche l'efficacia. Per questo il mio voto non sarà favorevole.
Non ho, tuttavia, condiviso le critiche estreme formulate da numerosi esponenti dell'opposizione laddove si è parlato di una legge regressiva, assurda, pericolosa ed oscurantista. Vi è stato un crescendo di espressioni, di commenti e di appelli con i quali si rischia di alimentare una vera e propria guerra di religione, anche all'interno del centrosinistra, che reputo sbagliata ed ingiusta.
I toni vanno abbassati anche per tornare a ragionare sui contenuti della legge e, se possibile, avviare un percorso capace di portare alla modifica dei punti più controversi già nei prossimi mesi. Penso, ad esempio, che non sia giusto impedire alla donna la revoca del consenso all'impianto in utero dopo la fecondazione dell'ovulo. Che si fa se essa rifiuta l'impianto? Si procede con il ricorso all'uso della forza? Si impone la fecondazione coatta?
Non mi convince neppure il divieto di accesso alla fecondazione assistita per la prevenzione delle malattie trasmesse per via genetica con l'assurda conseguenza del ricorso, praticamente obbligato, all'aborto terapeutico. Ribadisco, però, che non mi persuade neppure l'ipotesi di riconoscere l'accesso generalizzato alla fecondazione eterologa - come pure sostenuto dalla maggioranza dei colleghi del mio gruppo, con i quali dissento e con i quali abbiamo svolto un dibattito civile, serio e profondo - perché penso che, poiché esiste il diritto all'identità della persona, di questo fa parte anche quello all'identità biologica. Dunque, sono convinto che il nascituro abbia diritto ad un padre e ad una madre tali sia sul piano giuridico sia su quello biologico.
Con la fecondazione eterologa il figlio non potrà conoscere suo padre ed il padre non potrà rivendicare la sua paternità. È giusto tutto questo? Discutiamone. In Gran Bretagna ci stanno ripensando ed il Governo ha annunciato una modifica della legge per superare l'anonimato dei donatori esterni alla coppia e dare la possibilità ai figli, una volta raggiunti i 18 anni, di conoscere il loro patrimonio genetico, anche per tutelare meglio la propria salute. Non si può, infatti, pensare alla fecondazione assistita solo come una terapia contro la sterilità, senza porsi il problema di quale sarà il futuro del bambino che nasce, senza farsi carico, cioè, dei suoi diritti di cittadino di domani e del peso delle sue possibili sofferenze.
Non c'entrano le divisioni tra cattolici e laici: è in discussione l'idea di uno Stato in cui tutti godano degli stessi diritti. C'entra l'affermazione di un principio di responsabilità che garantisca la conciliazione di interessi e diritti tra soggetti diversi ed ugualmente importanti.
Materie come questa, dunque, andavano trattate con ben altro spirito. Serviva una sintesi politica in cui si potessero riconoscere diverse sensibilità e differenti punti di vista culturali e morali.
Qualcuno ha evocato, nelle scorse settimane, l'ipotesi referendaria. Non sono d'accordo. Penso, infatti, che si debbano evitare scelte politiche fondate sul risentimento e sull'esasperazione degli animi, che dividerebbero ancora di più il paese politicizzando e militarizzando il confronto su un argomento che ha, invece, bisogno di essere discusso in un clima di grande rispetto del pluralismo e nel dialogo sui contenuti. Questioni come quelle trattate nella legge non si risolvono con un «sì» o con un «no». Serve, invece, la costruzione di un processo che faccia maturare le posizioni, che non esasperi le differenze, che avvicini gli opposti e che, soprattutto, consenta di ritornare presto in Parlamento sull'argomento per correggere le norme che penalizzano la vocazione delle coppie a promuovere la vita, che pregiudicano non solo il diritto alla salute della donna, ma anche il diritto alla cura della sterilità, nonché la tutela della dignità umana del nascituro.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Dalla latitanza di Stato al diktat di Stato, all'imposizione della norma: e ciò sempre in nome dell'etica, ovviamente quella con la «e» maiuscola, e sempre per conto delle gerarchie cattoliche, che nulla hanno a che vedere, voglio sottolinearlo, con la complessità e la varietà del mondo cattolico. In questo modo può essere sintetizzata la vicenda della fecondazione assistita, che si va concludendo - anzi di fatto è già conclusa, per lo meno in termini di iter legislativo -, dopo vent'anni, con questa legge, che non esito a definire in qualche modo vicina a una fatwa integralistica.
In questi vent'anni è successo di tutto: tira e molla incredibili su quello che si doveva o non si doveva fare, così come su quello che si poteva o non si poteva fare; campagne scandalistiche e allarmistiche; disinformazione volutamente veicolata, per impedire che, su questa complessa problematica, si formasse un'opinione pubblica seriamente informata, che si sviluppasse nel paese un confronto degno di questo nome e che prendesse corpo una responsabilità pubblica all'altezza della
natura laica e democratica dello Stato italiano, che tale - laica e democratica - dovrebbe essere, stando allo spirito e alla lettera della Costituzione, ma che continuamente ha subito e continua a subire torsioni autoritarie, di tipo integralista, degne solo di una repubblica teocratica.
Prima parlavo di latitanza di Stato, proprio per indicare la prima fase dell'approccio pubblico al problema. L'esigenza di conoscere, controllare ed orientare le attività dei centri, affinché non vi fossero inganni ai danni di chi vi si rivolgeva ed affinché la salute delle donne fosse salvaguardata, è stata volutamente disattesa ed ignorata per tutta una lunga prima fase. Nel 1985, una circolare ministeriale in materia di fecondazione assistita vietava quasi tutto per quanto riguardava gli ospedali pubblici. Perché questa disattenzione, questa negligenza? È stata una svista, una distrazione, una disattenzione? No, è stata una scelta programmata. Lo Stato, allora, non voleva compromettersi in pratiche ritenute illecite dal Vaticano; si sottraeva, così, ai suoi obblighi e, nello stesso tempo, lasciava il privato senza regole certe. Anche in questo caso non certo per disattenzione o per distrazione, ma perché lo Stato italiano non voleva legittimare i centri che adottavano tali tecniche. Dunque, come sottolineato di recente e molto giustamente da una studiosa serissima di questa problematica, Maria Luisa Boccia, se ci sono stati eccessi, forme di commercializzazione, sperimentazioni azzardate, rischi per la salute ed usi discutibili di materiale genetico, la prima responsabilità è tutta politica e ricade sulle spalle di molti di quelli che oggi plaudono alla fine del far west e votano una legge che trasforma il Parlamento italiano in una dépendance vaticana - insisto molto su questo punto, perché nella storia politica del nostro paese esso costituisce un punto di primaria importanza -, appellandosi alla libertà di coscienza, che diventa così la foglia di fico che copre una precisa scelta politica, in acuto contrasto con quell'obbligo di rispettare i principi fondativi della Costituzione che ogni parlamentare dovrebbe avere come bussola del proprio agire.
È un modo che più ipocrita non si può, come dire: l'unica morale degna di questo nome è la mia ed io te la impongo, perché ho il potere di farlo, dal momento che ho nelle mani il potere di legiferare.
È mia opinione che il Parlamento non abbia nel modo più assoluto il potere di stabilire e di imporre alcuna norma etica in un campo come quello della fecondazione assistita e in tutti quelli che toccano alla radice desideri, progetti, scelte dell'esistenza e della vita personale di ogni donna e di ogni uomo. Tutto ciò non può che essere affidato alla responsabilità di quelle donne e di quegli uomini.
Una norma etica, imposta per di più nelle forme estreme ed aberranti contenute in questa legge, è un abuso del legislatore che merita di essere denunciato come tale in tutte le sedi, affinché sia chiaro che è necessario un grande movimento di disobbedienza civile per affossarlo.
Si nasce da una donna perché (e se lei vuole) vi è un primato femminile nella procreazione (così lo abbiamo chiamato in molte); e abbiamo affermato che esso o è tenuto sotto controllo, addomesticato, celato, manipolato dalla società e dai meccanismi «patriarcalistici» che ad essa presiedono o ha la forza sconvolgente di scombussolare nei fatti e nella sfera simbolica le relazioni sociali, nonché di creare perturbazione grave e duratura nell'immaginario collettivo maschile.
Questo tentativo di negare o celare il primato femminile nella procreazione viene da lontano ed ha accompagnato, spesso in maniera drammatica, lo sviluppo della moderna scienza medica, del diritto moderno e della moderna statualità.
Con questo provvedimento voi non fate che ripetere la coazione antica alla cancellazione, alla rimozione-punizione del desiderio femminile. Quella che in una società responsabile e finalmente matura dovrebbe essere la bussola delle relazioni umane, l'architrave dello stare insieme di donne e di uomini nei commerci sociali e
nelle responsabilità familiari diventa l'oggetto di una criminalizzazione per legge.
Il diritto del concepito, inteso come cittadino non ancora nato, disancorato dalla materialità della sua condizione concreta, da quel nesso inscindibile con il corpo materno che ne renderà possibile, solo esso, l'esistenza al mondo, esprime una carica di odio contro le donne che andrà, una volta per tutte, finalmente, indagata pubblicamente.
Noi cercheremo di farlo (è un passaggio importante per combattere il provvedimento in esame) perché l'odio contro le donne che avete riproposto nel provvedimento in esame ripropone il rischio di un ritorno ad una fase regressiva sul piano sociale, relazionale e giuridico.
I media, per esigenze di audience, per superficialità ed opportunismo, hanno concorso fortemente a creare il contesto idoneo per questo ritorno al Medioevo. Il mix di notizie allarmistiche, di gonfiamento e di estremizzazione generalizzata dei fatti, di veri e propri falsi, ha favorito il contesto necessario ad evocare la legge come autorità; così, dalla latitanza siamo arrivati alla modellistica di Stato in materia di comportamenti di coppia e di scelte familiari.
Con le tecniche si ridisegna la famiglia ideale, dove il biologico ed il giuridico si sovrappongono (sappiamo che il biologico ed il giuridico non coincidono molto spesso nelle famiglie vere che voi auspicate), l'identità di ognuno è certificata ed è interdetto ogni rapporto che non sia interno alla coppia.
Tuttavia, la legge, ovviamente, è lontana mille miglia dalla realtà: essa produrrà soltanto clandestinità, illegalità, turismo procreativo, lasciando senza riferimento alcuno il mondo medico e scientifico, oltre a quel grande numero crescente di donne e uomini che decidono di risolvere e affrontare il loro desiderio di maternità, accedendo alle varie tecniche.
Tuttavia, tale provvedimento provocherà - e sta già provocando - una mobilitazione per giungere alla sua cancellazione. Siamo all'inizio, ma non abbiamo nessuna intenzione di retrocedere e intendiamo continuare attraverso tutti i mezzi che la legalità costituzionale mette a disposizione di chi non vuole che il nostro paese rimanga imprigionato nella trappola dell'integralismo di Stato, con la consapevolezza - mi rivolgo ai colleghi dell'Ulivo che hanno salvato la propria coscienza esprimendo un voto favorevole sul testo in esame - che si tratta di un'importante materia di natura programmatica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Signor Presidente, sento anch'io - come i colleghi che mi hanno preceduta - la necessità di non svuotare di significato la discussione odierna, ormai conclusiva del provvedimento in esame. Sento ciò spinta dalla profonda e radicale contrarietà a questo testo di legge; contrarietà che si è espressa anche nel paese dopo l'approvazione del testo al Senato e che probabilmente voi, colleghi della maggioranza - ormai in aula non è presente più nessuno -, continuate a far finta di non vedere.
Colleghi che avete espresso un voto favorevole, voglio ricordarvi che questa contrarietà riguarda la stragrande maggioranza del mondo scientifico, molte migliaia di coppie con problemi di sterilità ed infertilità, che sono spaventate da ciò che sta per avvenire, e parti consistenti dell'opinione pubblica che, al di fuori delle appartenenze politiche e della pratica religiosa, dichiarano che cambierebbero voto se il proprio partito si esprimesse in maniera opposta alle proprie opinioni riguardo alla fecondazione.
Siamo di fronte ad una legge oscurantista e proibizionista e ciò proprio per i suoi contenuti e per la meccanicità e il materialismo greve di cui è impregnata. Si sostituiscono divieti, paure e condanne a sostegni alla libertà di scelta e all'assunzione di responsabilità degli individui.
Il diritto del concepito prevale sui diritti di chi lo ha concepito, ce lo siamo dette molte volte! Quando ci si muove nell'ottica di difendere il concepito contro
la madre e non con la madre, proponendo un conflitto tra soggetti, quando si depotenzia il principio del diritto alla salute della madre, che è persona anche quando non ha figli per vie naturali, quando si obbliga alla produzione e all'impianto di tre embrioni, vietandone il congelamento, quando si preclude alla madre la possibilità di dichiarare le volontà di non essere nominata, si dà vita ad una legge - e lo ripeteremo instancabilmente dentro e fuori questo Parlamento - che reca offese inaccettabili alle donne, alla loro titolarità sulle questioni della nascita e della procreazione.
Invito l'onorevole Burani Procaccini - che purtroppo non vedo più presente in aula - ad affermare con chiarezza, a conclusione del suo ragionamento che ha molto insistito sul diritto alla vita, alla nascita e sul diritto del concepito, cosa intenda fare della legge n. 194 del 1978. A quanto pare, non avete il coraggio di dirlo fino in fondo!
Affermo ciò in quanto ritengo che questo provvedimento sia ispirato ad un impianto etico univoco e non discutibile. E questo, colleghi della maggioranza, era il vostro obiettivo, altrimenti perché non prendere in considerazione alcune proposte di mediazione avanzate da autorevoli esponenti della comunità scientifica? Mi riferisco, ad esempio, al congelamento degli ovociti, invece che degli embrioni, alla lista delle patologie genetiche per svolgere la diagnosi preimpianto, all'esame di idoneità delle coppie - così come avviene per l'adozione - per una donazione responsabile di gameti, anziché il divieto totale previsto in questo testo.
Su questa base si potevano mettere d'accordo le ragioni di tanti e di tante, certo non di tutti; le proposte sono state tutte respinte perché a voi, colleghi della maggioranza, interessava, avvalendovi di questo provvedimento e scegliendo una delle posizioni in campo, convalidare ciò che il dibattito scientifico non ha mai risolto.
Attribuendo soggettività giuridica al concepito avete preteso di sancire una supremazia dell'embrione, ignorando il vincolo naturale che condiziona la posizione giuridica dell'embrione, ovvero la sua imprescindibile dipendenza dalla responsabile libertà della donna madre. Non volete rendervi conto che, stando così le cose, una parte consistente di cittadini, senza distinzione di credo religioso, non si riconoscerà in questa legge. Come sappiamo, alla riproduzione assistita ricorrono, con frequenza, anche coppie di cattolici praticanti che fanno i conti, come del resto tutti gli altri cittadini, con progetti esistenziali, desideri di genitorialità, coscienze, responsabilità, rapporti affettivi e patti di solidarietà. Una legge siffatta - mi rivolgo all'onorevole Gerardo Bianco, che non sarà certo d'accordo - cancella persino la possibilità di produrre pensiero anche sui dubbi che il collega citato ha sollevato oggi nel corso del suo intervento. Non condivido, me lo lascino dire sia l'onorevole Gerardo Bianco sia l'onorevole Lucà, quest'idea della genitorialità basata solo sulla trasmissione dei propri geni, perché essa va contro un principio forte ormai affermatosi in questa società: la genitorialità come assunzione di responsabilità per tutta la vita nei confronti di un bambino.
Siamo di fronte a stravolgimenti ideologici e normativi così forti che il diritto rischia di assumere la funzione di strumento di punizione e di controllo sociale in nome di una morale di cui imporre la prevalenza. Quella prevalenza che ha impedito, stravolgendo il senso della legge, della funzione del Parlamento e persino della politica, la ricerca di regole di compatibilità tra punti di vista diversi.
Non esiste, a mio parere, alcun modo per rimediare ai punti gravissimi contenuti in questo provvedimento, meno che mai, attraverso l'adozione di semplici linee guida; e non si parli, questo è il mio parere, d'interventi di riduzione del danno o di riproposizione di testi legislativi più accettabili di quello che si sta approvando perché questo Parlamento, così com'è composto, non li può certo garantire.
L'unica strada efficace resta la cancellazione di questo testo utilizzando i diversi strumenti a disposizione, comprese le verifiche
d'illegittimità costituzionale di parti dello stesso su cui ormai converge il giudizio di molti giuristi e costituzionalisti.
Per quanto ci riguarda, noi parlamentari dell'opposizione riprenderemo, sabato 24 gennaio, fuori da quest'aula, la battaglia contro questo provvedimento, insieme a tanti cittadini che vogliono ancora continuare a riconoscersi l'un l'altro nella pluralità dei loro pensieri e delle loro posizioni e, soprattutto, all'interno di uno Stato laico (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Titti De Simone. Ne ha facoltà.
TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, noi non abbiamo voluto ridurre, come spesso avviene in simili casi, quest'ultimo passaggio concernente la copertura finanziaria di questo provvedimento ad una mera formalità, proprio perché questo passaggio rappresenta per noi l'occasione che ci consente di riassumere e di porre l'accento sulla crudeltà e sull'assurdità del provvedimento in esame. Pertanto, alla luce di ciò, ritengo si possa affermare, anche con riferimento alla copertura finanziaria individuale, che trattasi di soldi sporchi e cattivi. Quello al nostro esame é, infatti, un provvedimento crudele, oscurantista e proibizionista, che segna una pericolosa tendenza regressiva sotto il profilo della civiltà e della democrazia pluralista.
È inoltre un affronto al nostro paese, che ha perseguito ed è stato in grado di raggiungere orizzonti e conquiste di civiltà, di democrazia e di diritto anche su temi complessi, come quello in esame, segnando un percorso di avanzamento civile per tutti i cittadini di posizioni, cultura e credo molto diversi. Così è stato per il divorzio, così è stato per l'aborto. Si tratta di obiettivi che non si possono rimettere in discussione e che segnano il progresso e lo sviluppo democratico e civile del nostro paese.
Ci troviamo di fronte ad una legge - e qui sta il primo errore - sulla fecondazione assistita che si è trasformata in un manifesto ideologico ed in uno strumento invasivo e normativo del corpo delle donne. Abbiamo rifiutato lo strumento legislativo sin dall'inizio di questo percorso, ormai sei anni fa, e ci siamo battuti instancabilmente nel paese, insieme a molte e a molti, affinché su questo terreno le forze politiche ed il Parlamento fossero invitati a procedere con senso di responsabilità, in modo non strumentale e non demagogico, risolvendo i problemi, laddove oggettivamente vi fossero, con un regolamento sui centri, con il quale si sarebbe potuto intervenire con precisione per porre norme certe su una questione di fondo, quella della tutela del diritto alla salute della donna.
Si è scelta invece un'altra strada (non da questa legislatura, ma da quella precedente), alla ricerca di un compromesso indecente, che ha già portato una bruttissima proposta di legge ad arenarsi, per fortuna, nella scorsa legislatura. Tale proposta, tuttavia, ha segnato in qualche modo la strada su cui questa destra e questa maggioranza si sono potute radicare e hanno potuto sviluppare il loro progetto demagogico e ideologico.
Avete fatto un regalo alle gerarchie ecclesiali, che tuttavia non rappresentano la maggioranza dei cattolici, la quale rifiuta tale impostazione da Stato etico e si è largamente espressa in senso contrario alla proposta di legge in esame. Ma dietro questo manifesto ideologico c'è qualcosa di molto più pericoloso rispetto a ciò che potrebbe sembrare sulla base di una legge specifica: dietro c'è, infatti, una materia enorme, quella della genitorialità e dell'autodeterminazione della donna sulla maternità, e un'idea di società - la vostra idea di società - fondata su princìpi ordinatori, sulla base di una morale di parte che decide chi è cittadino e chi può accedere ai diritti fondamentali. Si tratta di un'idea di società classista, che divide, che discrimina, che impoverisce culturalmente e socialmente il nostro paese; un'idea di società che fa a pezzi lo Stato di diritto, la natura laica dello Stato, la cittadinanza di un'etica pubblica.
Dall'alto della vostra doppia morale ipocrita, che ha risuonato nelle aule di questo Parlamento, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Abbiamo sentito parlare di una genitorialità quale puro e fondamentale primato del legame biologico, del sangue dello stesso sangue, dimenticando che la genitorialità è qualcosa di molto più complesso, che attiene al desiderio, alla relazione e alla responsabilità individuale.
Dall'alto della vostra doppia morale ipocrita, abbiamo sentito riecheggiare mostri come quello del tutor ventris per il corpo delle donne. Abbiamo sentito lo spessore di un revanscismo patriarcale, che si innalza ancora sul corpo delle donne e sul primato femminile nella riproduzione. Abbiamo sentito la pulsione, l'ossessione di un monopolio dell'etica, che interpreta la nostra società al di fuori dell'etica cattolica, come un deserto di valori e di principi. Tutto sbagliato.
Abbiamo una legge violenta e crudele, che prevede norme vessatorie nei confronti delle donne, norme fortemente invasive e violente per il loro corpo e per la loro autodeterminazione, norme che mettono in pericolo il diritto alla salute e la salute riproduttiva. Abbiamo una legge che è un manifesto ideologico già a partire dall'articolo 1, là dove si opera l'esplicito riconoscimento dei diritti del concepito, aprendo per questa via un conflitto fra i soggetti, in primis fra la madre, fra la donna e i diritti presunti di un insieme di cellule fecondate. È un obbrobrio, una mostruosità, un pericolo. È una legge invasiva e irresponsabile. Noi ci batteremo con tutti gli strumenti politici, culturali e giuridici che avremo a disposizione per cancellare questo affronto alla laicità e alla civiltà del nostro paese. Vorremo ragionare su un orizzonte diverso per uomini e donne che credono nella costruzione di un'etica pubblica condivisa. Ricorreremo a tutti gli strumenti per cancellare questa legge, senza escludere anche il ricorso a un referendum abrogativo.
Tanti uomini e tante donne nel nostro paese sono contrari a questa legge. Ci ritroveremo in tanti e in tante il 24 gennaio prossimo, a Roma, per proseguire un percorso, una battaglia culturale e politica per cancellare la legge. Ma non faremo soltanto questo. Per quanto compete a noi donne dell'opposizione e di Rifondazione comunista in particolare, pensiamo che questa materia debba essere oggetto, inequivocabilmente, di un confronto programmatico fra Rifondazione comunista e il centrosinistra per la costruzione di un'alternativa. Non è più possibile ricorrere alla questione della libertà di coscienza su temi che attengono, in modo fondativo, alla cultura giuridica e alla natura laica del nostro Stato, e utilizzare questa libertà di coscienza come un paravento che impone una visione di parte e limita - questa volta sì - la libertà di coscienza dei cittadini, dei singoli individui.
Noi siamo contrari a questa ipocrisia. Per questo ci batteremo per cancellare tale legge. Per questo ci batteremo per mettere questo tema al centro di una vera alternativa (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
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