Allegato B
Seduta n. 398 del 10/12/2003


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ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
è stato pubblicato il libro Le Carte di Moro, perché Tobagi, autori Roberto Arlati e Renzo Magosso, con introduzione di Giorgio Galli, edito da Franco Angeli;
il volume è stato presentato a Milano il 3 dicembre 2003, con un dibattito pubblico;
il libro ripercorre le vicende relative alla scoperta della base e archivio delle Brigate Rosse in via Monte Nevoso 8 a Milano, attraverso le operazioni dirette dall'allora capitano dei Carabinieri Roberto Arlati ed oggi coautore del libro, ed all'assassinio del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi, avvenuta il 28 maggio 1980;
gli autori propongono ed espongono fatti e tesi relative al ritrovamento in via Monte Nevoso delle carte del presidente della Democrazia Cristiana onorevole Aldo Moro - rapito dalle Brigate Rosse a Roma


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il 16 marzo 1978 e ritrovato ucciso il 9 maggio di quell'anno, dopo 55 giorni - in ordine alle responsabilità, alle modalità di gestione dell'incartamento come anche dell'interruzione, dopo alcuni giorni, della perquisizione dell'appartamento;
in particolare, gli autori Arlati e Magosso riferiscono circostanze inedite relative allo spostamento da via Monte Nevoso delle carte dell'onorevole Aldo Moro ad opera dell'allora capitano dei carabinieri Umberto Bonaventura, ovvero fatti difformi da quanto affermato il 23 maggio 2000 dallo stesso colonnello Bonaventura alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi;
in merito, gli autori affermano che il capitano Bonaventura prese possesso del dossier, non ancora catalogato e verbalizzato, nonostante i rilievi e la ferma opposizione del capitano Arlati, con la giustificazione, si legge nel libro, di dover fotocopiare l'incartamento, in previsione dell'imminente arrivo a Milano del Generale dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, comandante dei Nuclei speciali antiterrorismo;
alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, come risulta dal resoconto stenografico della seduta del 23 maggio 2000, il colonnello Bonaventura ebbe ad affermare di aver richiesto l'incartamento, «ne parlo e me le faccio mandare», e negò che vi potesse essere stata alcuna manipolazione o sottrazione di documenti: «è chiaro che il generale Dalla Chiesa le avrà viste e le avrà portate senz'altro a Roma; però escludo nel modo più assoluto e tassativo che qualcosa sia stato sottratto»;
l'ordine di interrompere la perquisizione della base delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso, cinque giorni dopo il 1o ottobre 1978, non consentì di scoprire, come poi avvenne a distanza di ventidue anni, un ulteriore incartamento di documenti dell'onorevole Moro;
il 21 gennaio 1998, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, il generale Niccolò Bozzo - all'epoca diretto superiore del capitano Arlati riferisce di «contrasti molto seri» fra il nucleo antiterrorismo dei Carabinieri e l'Arma di Milano che impedirono una completa ed efficace perquisizione della base e rivela l'esistenza di forme di inquinamento e di pressioni da parte di uomini dei Carabinieri legati alla P2, come il colonnello Mazzei, all'epoca dei fatti di via Monte Nevoso comandante della Legione dei carabinieri di Milano, che «erano contrapposti a Dalla Chiesa»;
gli autori riferiscono anche delle audizioni, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, dei magistrati Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, e in particolare quanto affermato dal dottor Pomarici in ordine al rapporto del 13 ottobre 1978 («succede che il rapporto... nasconde tutto quello che è successo, che è effettivamente corrispondente alla versione fornita dal generale Bozzo») e dal dottor Spataro, che esclude qualsiasi sottrazione di documenti dell'incartamento Moro da parte del generale Dalla Chiesa o da alcuno e, in particolare, esclude che «altri abbiano potuto esaminare le carte prima di chi ci entrò, cioè il collega Pomarici e, ovviamente le forze di polizia giudiziaria»;
fra i componenti del nucleo antiterrorismo di Milano vi era il brigadiere denominato con il soprannome «Ciondolo», cioè il sottufficiale, riferiscono Arlati e Magosso nel libro, che aveva segnalato al suo superiore diretto con largo anticipo e in maniera dettagliata i nomi dei terroristi che stavano progettando l'assassinio di Walter Tobagi, redigendo anche una nota informativa;
il brigadiere denominato «Ciondolo», scrivono gli autori, «sapeva dove e come trovarli, aveva tutti gli elementi per incastrarli.


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Non gli è stato consentito. Anzi, gli è stato negato. Poco tempo prima dell'assassinio di Tobagi, i suoi superiori l'hanno addirittura allontanato dal nucleo Antiterrorismo di Milano»; il sottufficiale, infatti, venne prima trasferito al servizio «intercettazioni telefoniche» e, dopo l'arresto degli assassini di Tobagi, nuovamente trasferito, in una stazione dei Carabinieri ai confini con la Svizzera;
per tre anni, affermano Arlati e Magosso, «dopo l'assassinio di Tobagi, la sua nota di servizio è stata tenuta nascosta. Per molto tempo e in più occasioni di questa nota è stata persino negata l'esistenza»;
il brigadiere denominato «Ciondolo» aveva preso servizio nel nucleo antiterrorismo «nei giorni in cui viene assassinato il giudice Alessandrini», che aveva avviato un'indagine sul Banco Ambrosiano, di cui il magistrato aveva parlato fra gli altri con Tobagi il quale aveva seguito le indagini, scrivendo sul Corriere della Sera;
Tobagi, scrivono Arlati e Magosso, «in più occasioni sostenne che i terroristi avevano ammazzato proprio il magistrato intenzionato a mettere sotto inchiesta il Banco Ambrosiano e il suo presidente Roberto Calvi. Queste discussioni non passarono inosservate, né al mondo del terrorismo, né a quello della P2. E nemmeno ai carabinieri del nucleo Antiterrorismo» che operavano, rilevano gli autori, affiancati da ufficiali del Nucleo investigativo - come avvenne anche nell'operazione di via Monte Nevoso - i quali erano dunque informati delle operazioni antiterrorismo: «Ebbene - scrivono Arlati e Magosso il comandante della Legione e, come tale, responsabile dell'attività del Nucleo investigativo, era a quel tempo il tenente colonnello Rocco Mazzei, un ufficiale apparso tra i primi nella lista della loggia P2, insieme al generale Palombo»;
il brigadiere denominato «Ciondolo» operava sotto la diretta responsabilità del capitano Arlati, era fra gli uomini di sua massima fiducia e il suo lavoro investigativo consentì di individuare - attraverso un proprio informatore, Rocco Ricciardi - nomi dell'area del terrorismo milanese, che assumeranno il nome di «Brigata 28 marzo», i quali intendevano assassinare Tobagi;
alle dimissioni del capitano Arlati dall'Arma dei Carabinieri, il brigadiere denominato «Ciondolo» riferì quanto a sua conoscenza al capitano Bonaventura, il quale, affermano gli autori, «non si scompone: "sappiamo che Tobagi è uno dei possibili obiettivi. Lo sappiamo da tempo. Lo sa anche lui. È stato avvisato. Ha persino rifiutato la scorta. Dunque questa notizia significa tutto e niente". «Ciondolo» obietta che "non si tratta di una segnalazione generica... Il mio informatore... mi ha fornito nomi e cognomi di chi entrerà in azione: il \`postino' mi ha detto che Tobagi è il loro vero obiettivo. Non uno dei tanti. Vogliono proprio ammazzare lui. Possiamo fermarli, se lei me lo ordina, signor capitano, io mi muovo subito. Abbiamo tutto in mano"...» Bonaventura, scrivono Arlati e Magosso, ribatte: "Gli ordini li do io... Tu fai un rapportino e spiega la situazione. Sai bene che non devi firmarlo. Noi dell'Antiterrorismo non esistiamo per nessuno. Altrimenti poi, nei processi vi chiamano a testimoniare. Eppoi lascia perdere i nomi che ha fatto il 'postino' nel rapporto: parlo di quelli che mi hai appena detto, Barbone, Morandini, la Rosenzweig e gli altri. Tanto me li hai detti a voce, no?" È il 13 dicembre 1979»;
successivamente, anziché ricevere ordini operativi, il brigadiere denominato «Ciondolo» ricevette dal capitano Ruffino, che affiancava il capitano Bonaventura, l'ordine di farsi affiancare da un proprio sottufficiale nei colloqui con Ricciardi;
«Walter Tobagi - scrivono gli autori - non viene messo al corrente di nulla: non sa di Ricciardi e delle sue rivelazioni messe nero su bianco da «Ciondolo»; non sa che Barbone continua a pedinarlo... Non sospetta, insomma, di essere nel mirino di un ben individuato gruppo di fuoco... del quale i carabinieri sanno ormai tutto, nomi, cognomi, indirizzi. Nemmeno


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la magistratura viene informata di questa circostanza. L'unico che conosce la situazione al di fuori del nucleo Antiterrorismo, è il tenente colonnello Mazzei»;
nulla avvenne, scrivono Arlati e Magosso, neppure quando la 'Brigata 28 marzo' attentò al giornalista de La Repubblica, Guido Passalacqua, sparandogli alle gambe, venti giorni prima dell'assassinio di Tobagi;
il 27 maggio 1980 Tobagi partecipò a Milano ad un convegno sulla libertà di stampa e, in particolare, sul «caso Isman», giornalista de Il Messaggero che nei giorni precedenti aveva pubblicato indiscrezioni su fatti di terrorismo;
il 28 maggio 1980 Walter Tobagi venne assassinato, ma la relazione inviata ai magistrati Pomarici e Spataro, scrivono gli autori, «non fa alcun riferimento alle informazioni» che il brigadiere soprannominato «Ciondolo» aveva avuto e messo per iscritto sei mesi prima: «sappiamo - scrivono Arlati e Magosso - che l'identificazione dei 'sospetti' avviene formalmente pochissime settimane dopo l'omicidio. Gli arresti scattano però quasi cinque mesi dopo»;
ai primi di agosto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa informava in via riservata l'allora direttore del Corriere della Sera, Franco Di Bella, dello sviluppo delle indagini: la motivazione fondamentale, scrivono gli autori, è che «il generale Dalla Chiesa era riuscito a mettersi in contatto con esponenti della loggia P2. Voleva entrarci... per tentare di smantellare la loggia... Per questo cercava di dimostrare amicizia nei confronti di personaggi, come Franco Di Bella: il generale sapeva bene che il direttore del Corriere della Sera era un affiliato» e come tale, affermano gli autori, avrebbe riferito;
il 4 ottobre, Marco Barbone, - dopo un colloquio con il generale Dalla Chiesa, che, secondo Arlati e Magosso, era a conoscenza del suo ruolo sulla base delle informazioni fornite sei mesi prima dal brigadiere denominato «Ciondolo» inizia a confessare e lo stesso giorno la notizia viene anticipata dal quotidiano L'Occhio con il titolo «Preso Marco Barbone, è l'assassino di Tobagi?»;
sostanzialmente, viene rilevato dagli autori, il generale Dalla Chiesa nei suoi colloqui precorre l'esito delle indagini: Barbone viene arrestato al suo ritorno a Milano in licenza dal CAR di Alberga, il 19 settembre; i magistrati Pomarici e Spataro, scrivono Arlati e Magosso, «affermano di non sapere, al momento dell'arresto di Barbone e poi degli altri componenti della banda, che erano loro gli assassini di Tobagi ... Nessuno ha parlato ai due magistrati delle confessioni di Ricciardi a «Ciondolo». Quello che sanno è ciò che gli uomini di Dalla Chiesa hanno raccontato, anche in sede processuale: cioè che hanno cominciato a seguire le tracce di Caterina Rosenzweig e del gruppo dei suoi amici, sospettati fin dai tempi di Prima Linea e dell'arresto di Corrado Alunni...»;
i magistrati milanesi, affermano gli autori, proseguono indagini ed interrogatori, in primo luogo quello di Barbone, senza essere messi al corrente del rapporto del brigadiere denominato «Ciondolo» e in sede processuale nessuno farà «menzione della sua nota informativa. Semplicemente perché non risulta agli atti. Ufficialmente, infatti, l'indagine che ha portato all'arresto di Barbone e dei suoi complici è stata una brillante operazione dei nuclei Antiterrorismo. Una volta arrestato, Barbone ha deciso spontaneamente di confessare...»;
nella fase conclusiva del processo, scrivono gli autori, il segretario del Partito socialista italiano, onorevole Bettino Craxi, «accusa i carabinieri» di aver taciuto «una nota informativa che preannunciava l'organizzazione dell'assassinio di Walter Tobagi»; la Procura di Milano, con il procuratore capo Gresti, sostiene di non aver mai avuto nessuna nota informativa ma l'onorevole Craxi ribadisce le proprie accuse facendo il nome di Ricciardi e rendendo noti i tempi della nota informativa; il dottor Spataro conferma di non


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essere mai stato messo al corrente della nota informativa e il quotidiano l'Avanti, scrivono Arlati e Magosso, pubblica passi della nota del brigadiere denominato «Ciondolo»; in risposta scritta ad un'interrogazione parlamentare, il 19 dicembre 1983 il Ministro dell'interno, Oscar Luigi Scalfaro, conferma l'esistenza di una nota «redatta da un sottufficiale dell'Arma il 13 dicembre 1979» e afferma: «Va rilevato che l'attività dell'Arma dei carabinieri in tutte le vicende surrifferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all'autorità giudiziaria, dalla quale dipende»;
nonostante sia evidente che ciò non sia avvenuto nei fatti sopra citati, tuttavia, scrivono gli autori, la magistratura milanese non assume alcun provvedimento, mentre la preoccupazione dell'Arma dei carabinieri e dei magistrati è unicamente quella di accertare la fonte delle rivelazioni fatte dall'onorevole Craxi: dapprima con il brigadiere denominato «Ciondolo», convocato a Roma dal Comando generale dell'Arma e a Milano dal dottor Pomarici (il quale non rivolge al brigadiere denominato «Ciondolo» nessun'altra domanda sulla nota informativa), che nega, e poi con il capitano Bonaventura che incontra l'ex collega Arlati, il quale smentisce seccamente;
alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, nel maggio del 2000, il dottor Spataro, allora componente del Consiglio Superiore della Magistratura, conferma di non essere stato posto a conoscenza della nota, si dichiara convinto che Ricciardi si era limitato, nel suo ruolo di confidente dell'Arma, a «rivelazioni generiche» sui Reparti comunisti di attacco e fa riferimento, a questo proposito, alle affermazioni del generale Dalla Chiesa alla Commissione Moro, cioè a dire «che i suoi uomini avevano una traccia investigativa concreta che avrebbe portato all'individuazione di Marco Barbone come autore dell'omicidio Tobagi. Non fece il nome di Barbone ma fece riferimento ad un gruppo che proveniva da una scissione della FCC e questo fu l'oggetto di una pubblicazione sull'Espresso che ci portò - e fui io ad ordinario - a fermare Barbone...»;
il dottor Spataro, concludono gli autori, quindi «ribadisce in maniera netta e inequivocabile d'ignorare che Ricciardi fece, con largo anticipo, nomi e cognomi di chi aveva intenzione di uccidere Tobagi ... Resta da capire come ha fatto Spataro a firmare, su istanza dei carabinieri, l'arresto di Marco Barbone per l'assassinio di Tobagi e a capire che si trattava del killer del giornalista soltanto quando Barbone» ha confessato. «Una spiegazione può venire - affermano Arlati e Magosso - dal racconto di «Ciondolo»: i carabinieri dell'Antiterrorismo si guardarono bene dal raccontare al magistrato tutto quello che sapevano. Da molto tempo prima dell'assassinio di Walter Tobagi» -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti che sono documentati e ricostruiti nel libro di Arlati e Magosso, con dati testimoniali e riferimenti a fonti pubbliche e atti parlamentari, e quale sia il suo giudizio;
quali iniziative il Governo intenda eventualmente assumere in riferimento ai fatti ed alle testimonianze riportate nel volume.
(2-01009) «Boato, Biondi, Bielli, Intini, Pisapia».

Interrogazioni a risposta scritta:

CIMA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la perdita da parte di Aci Italia sin dal 1997 della posizione di gestore unico per il soccorso stradale ha comportato per la propria società controllata Aci 116 una riduzione di personale per ben 259 unità, delle quali una parte in prepensionamento


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e la restante (176 unità) assorbita da Aci Italia per mezzo di selezioni d'idoneità;
l'Aci 116, oggi Aci Global, in data 10 febbraio 2003, ha formalmente comunicato (ex articoli 4 e 24 legge n. 223 del 1991) l'avvio di procedura di un'ulteriore riduzione di personale per 171 unità (con la conseguente totale chiusura dei Centri diretti per il soccorso nella viabilità ordinaria ed autostradale), appartenenti a diverse qualifiche professionali;
di detti 171 lavoratori solo 30, al termine del periodo di mobilità, potranno essere collocati in pensione e, di conseguenza, ben 141 lavoratori verrebbero a trovarsi senza lavoro e senza reddito;
questi 141 dipendenti di Aci Global potrebbero essere riassorbiti dall'Aci Italia la cui pianta organica, approvata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 6 settembre 1995, prevede nelle varie qualifiche una vacanza di oltre 500 posti;
per detto provvedimento di assunzione l'Erario non solo non avrebbe a suo carico alcun onere, vivendo l'Aci Italia dei proventi delle proprie attività istituzionali, ma verrebbe addirittura a conseguire un notevole risparmio per la mancata corresponsione del finanziamento per la mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991 -:
se non intendano adottare le opportune iniziative per perseguire la soluzione adottata nel 1998, vale a dire la riassunzione presso l'Aci Italia delle 141 unità lavorative, per evitare, altrimenti, che le spese relative alle indennità di mobilità prevista dalla citata legge n. 223 del 1991 debbano essere sostenute dallo Stato.
(4-08327)

RUSSO SPENA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la perdita da parte di Aci Italia sin dal 1997 della posizione di gestore unico per il soccorso stradale ha comportato per la propria società controllata Aci 116 una riduzione di personale per ben 259 unità, delle quali una parte in prepensionamento e la restante (n. 176) assorbita da Aci Italia per mezzo di selezioni d'idoneità;
l'Aci 116, oggi Aci Global, in data 10 febbraio 2003, ha formalmente comunicato, ex articoli 4 e 24 legge n. 223 del 1991, l'avvio di procedura di un'ulteriore riduzione di personale per n. 171 unità (con la conseguente totale chiusura dei Centri diretti per il soccorso nella viabilità ordinaria ed autostradale), appartenenti a diverse qualifiche professionali;
di dette 171 unità solo 30 lavoratori, al termine del periodo di mobilità, potranno essere collocati in pensione e, di conseguenza, ben 141 lavoratori verrebbero a trovarsi senza lavoro e senza reddito;
questi 141 dipendenti di Aci Global potrebbero essere riassorbiti dall'Aci Italia la cui pianta organica, approvata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 6 settembre 1995, prevede nelle varie qualifiche una vacanza di oltre 500 posti;
per detto provvedimento di assunzione l'Erario non solo non avrebbe a suo carico alcun onere, vivendo l'Aci Italia dei proventi delle proprie attività istituzionali, ma verrebbe addirittura a conseguire un notevole risparmio per la mancata corresponsione del finanziamento per la mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991 -:
se non intendano adottare le opportune iniziative per perseguire la soluzione adottata nel 1998, vale a dire la riassunzione presso l'Aci Italia delle 141 unità lavorative, per evitare, altrimenti, che le spese relative alle indennità di mobilità prevista dalla citata legge n. 223 del 1991 debbano essere sostenute dallo Stato.
(4-08328)


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GRANDI e DI SERIO D'ANTONA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la perdita da parte di Aci Italia sin dal 1997 della posizione di gestore unico per il soccorso stradale ha comportato per la propria società controllata Aci 116 una riduzione di personale per ben 259 unità, delle quali una parte in prepensionamento e la restante (n. 176) assorbita da Aci Italia per mezzo di selezioni d'idoneità;
l'Aci 116, oggi Aci Global, in data 10 febbraio 2003, ha formalmente comunicato, ex articoli 4 e 24 legge 223 del 1991 l'avvio di procedura di un'ulteriore riduzione di personale per n. 171 unità (con la conseguente totale chiusura dei Centri diretti per il soccorso nella viabilità ordinaria ed autostradale), appartenenti a diverse qualifiche professionali;
dette 171 unità, solo 30 lavoratori, al termine del periodo di mobilità, potranno essere collocati in pensione e, di conseguenza, ben 141 lavoratori verrebbero a trovarsi senza lavoro e senza reddito;
questi 141 dipendenti di Aci Global potrebbero essere riassorbiti dall'Aci Italia la cui pianta organica, approvata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 6 settembre 1995, prevede nelle varie qualifiche una vacanza di oltre 500 posti;
per detto provvedimento di assunzione l'Erario non solo non avrebbe a suo carico alcun onere, vivendo l'Aci Italia dei proventi delle proprie attività istituzionali, ma verrebbe addirittura a conseguire un notevole risparmio per la mancata corresponsione del finanziamento per la mobilità di cui alla legge n. 223 de1 1991 -:
se non intendano adottare le opportune iniziative per perseguire la soluzione adottata nel 1998; vale a dire la riassunzione presso l'Aci Italia delle 141 unità lavorative, per evitare, altrimenti, che le spese relative alle indennità di mobilità prevista dalla citata legge n. 223 del 1991 debbano essere sostenute dallo Stato.
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