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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, siamo di fronte non solo ad una palese violazione dell'equilibrio delicatissimo del sistema costituzionale, ma alla retorica dell'alibi politico che finisce con il diventare, di fatto, una rarefatta e non meglio precisata fonte legislativa. I principi costituzionali vanno sacrificati, si dice, di fronte al prestigio del semestre di guida italiana dell'Unione europea. Siamo di fronte, ancora una volta, all'emergenzialismo più cupo e furbesco che travolge per sempre regole, diritti ed i sobri equilibri di una costruzione giuridica che reggono la convivenza civile come cemento riconosciuto, accettato e condiviso di una comunità.
Ci si è giustamente chiesto: l'approvazione del lodo Berlusconi veramente farà crescere il prestigio di Berlusconi agli occhi dei partner europei? Noi di Rifondazione comunista ne dubitiamo. Berlusconi ha approfittato del semestre europeo per ottenere un'improcedibilità che non è semestrale, ma dura per l'intera legislatura. La necessità di introdurre tale norma deriva non dal fatto che alte cariche dello Stato rischiano un processo, ma da quello che il Premier è imputato in un processo che sta per arrivare a sentenza, come sappiamo, e bisogna far ciò con legge ordinaria perché non vi è tempo per una legge costituzionale.
È grottesco dire che noi che non accettiamo la torsione emergenzialista delle norme fondamentali, che non accettiamo l'impunità in nome di una mummificata ragione di Stato saremmo nemici dell'interesse del paese. In verità, invece, siamo preoccupati. Noi che non siamo caduti nell'ossessione giustizialista, né nella demonizzazione dell'avversario politico abbiamo timore quando giustizia e legalità finiscono con allontanarsi, quando la dialettica democratica e parlamentare tra maggioranza ed opposizione diventa dittatura della maggioranza in quanto quest'ultima si sente investita direttamente dal voto popolare come lavacro assolutorio rispetto ad ogni regola, ad ogni controllo
di legittimità. È così, infatti, che lo Stato di diritto sta degradando in Stato penale.
È una grande questione di civiltà giuridica, ma non solo. Qui parliamo di noi, di come vediamo noi stessi, di come il paese percepisce se stesso e i propri comportamenti collettivi. È grave che si apra un conflitto tra legge e giustizia, così come è grave che il paese percepisca che il potere è sovversivo e si atteggia come irriducibile ai principi costituzionali, che si sbarazza, attraverso leggine ordinarie e incostituzionali, da ogni vincolo che è visto come un ostacolo. Il paese è sfibrato da questo scontro tra potere e giustizia, che avvilisce, per ragioni contingenti, anche discussioni e conflitti storicamente importanti, come quelli sull'immunità del parlamentare e sul ruolo di garanzia di norme che debbono tutelarne la libera espressione politica, sottraendola alla repressione dei poteri forti.
Vedete, colleghe e colleghi, qui vi è un'eterogenesi dei fini: il potere costituito usa come un maglio principi e norme concepite per tutelare i rappresentanti del popolo dall'uso repressivo del potere stesso e dalla sua protesi giurisdizionale. Come è stato giustamente illustrato, la proposta di legge in questione deroga, infatti, ai principi costituzionali di eguaglianza del diritto alla tutela giurisdizionale anche per le vittime di reato, dell'obbligatorietà dell'azione penale e del giusto processo e configura, invero, un'inedita forma di immunità, che si fonda su un grottesco assioma. Se, infatti, venisse approvato l'articolo 1, così come ora esso si configura, avremmo il paradosso di una più ampia ed automatica tutela stabilita con legge ordinaria per reati non strettamente connessi alla funzione, a fronte di una tutela invece più ristretta, in quanto le Camere possono rimuoverla, per quelli per i quali non vale una presunzione di ragione politica e di raccordo con il principio di sovranità popolare.
In conclusione, personalmente sono molto d'accordo con il collega Soda, il quale ha, a mio avviso, giustamente sostenuto che nella nostra Costituzione la disciplina delle immunità è dettata in un articolo (l'articolo 68) che definisce sia i soggetti, cioè i parlamentari, sia la materia oggetto delle guarentigie (cioè le perquisizioni, l'arresto, le intercettazioni, il sequestro di corrispondenza), configurando in tal modo una doppia riserva di legge costituzionale. La proposta di legge in oggetto è di conseguenza in aperta violazione non solo dei richiamati principi fondamentali della Costituzione, ma in primo luogo della riserva di legge costituzionale in materia di guarentigie ed immunità.
Per questi motivi, il gruppo di Rifondazione comunista voterà in maniera convinta e motivata la questione pregiudiziale al nostro esame, essendo peraltro cofirmatario, attraverso la collega Mascia, della questione pregiudiziale di costituzionalità - a prima firma dell'onorevole Soda -, relativa ad una norma che è sbagliata, ingiusta ed illogica, perché fatta su misura del cavalier Berlusconi. Siamo cioè di fronte al degrado dell'equità, che è - non dimentichiamolo mai - un principio che riguarda tutte le cittadine e tutti i cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Giandomenico. Ne ha facoltà.
REMO DI GIANDOMENICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, svolgerò alcune brevissime considerazioni riguardo alle argomentazioni addotte dai firmatari delle questioni pregiudiziali sul provvedimento in esame. Entrambe le questioni pregiudiziali al nostro esame hanno puntato forte la loro attenzione sulla paventata violazione del principio di uguaglianza contenuto nell'articolo 3 del dettato costituzionale. Si tratta di un'argomentazione forte - soprattutto dal punto di vista mediatico -, già utilizzata nel lontano 1992 e rispolverata e sbandierata oggi, dopo l'approvazione al Senato dell'emendamento presentato dalla maggioranza.
A nostro avviso, tale emendamento non intacca il principio di uguaglianza, anche
alla luce di quanto sottolineato da Giovanni Conso, Presidente emerito della Consulta, il quale ha detto che il principio di uguaglianza è quello che più si presta ad interpretazione di natura discrezionale: cioè occorre non confondere il principio di uguaglianza con quello di egualitarismo, ossia del trattamento giuridico forzoso uguale per tutti e per tutto, laddove l'uguaglianza è lesa anche quando vengono trattate in modo uguale situazioni diverse, come nel caso in cui un adulto ed un bambino vengono trattati e sottoposti alla medesima pena per lo stesso tipo di reato.
Quindi, un trattamento processuale diverso per le cinque più alte cariche dello Stato non intacca il principio di uguaglianza, anzi al contrario lo applica e, infatti, in tutte le nazioni moderne e democratiche coloro che ricoprono queste cariche sono, fino a quando le ricoprono, coperti e protetti.
In caso contrario si altererebbe l'equilibrio tra le funzioni espressione della democrazia popolare e le funzioni di garanzia costituzionale. E la tutela di questo equilibrio appare più pressante e sentita in un paese come l'Italia, in cui la difesa del potere politico deve essere maggiormente garantita a fronte di un potere giudiziario la cui totale indipendenza si estende anche alla pubblica accusa.
Abbiamo anche ascoltato le considerazioni e i lamenti per una ferita inferta alla Costituzione da chi, decenni fa, pronunciò e difese il suo «non ci sto» a spada tratta.
Ebbene, non credo che per introdurre un'immunità temporanea sia necessaria una specifica disposizione costituzionale, tanto più che tale garanzia non lede il principio di uguaglianza. Inoltre, l'esclusione della sospensione delle indagini riguarda tutto ciò che prescinde dall'esercizio dell'azione penale; dunque - come ha sottolineato Conso - la sospensione riguarda il processo penale in senso stretto, vale a dire quello che segue l'esercizio dell'azione penale che, pertanto, viene garantita, al contrario di quanto sostengono i presentatori delle pregiudiziali.
Vorrei anche citare il decano dei costituzionalisti francesi, Pierre Avril, secondo il quale la sospensione dei processi penali è imposta dal principio della separazione dei poteri, affinché l'indipendenza nell'esercizio della funzione non sia messa in discussione dai tribunali in buona o in mala fede. Infatti, si tratta di una misura di protezione della funzione e non della persona e di una misura proporzionale all'esigenza del mandato.
Vorrei infine citare un altro francese, il socialista Badinter, già presidente del Consiglio costituzionale ai tempi di Mitterrand, secondo il quale non è desiderabile che il Presidente, eletto dalla maggioranza dei cittadini e incarnazione della Repubblica all'estero, sia sottoposto alla pressione e al discredito che comportano l'esercizio dell'azione penale.
Visto quanto affermato da un cittadino della patria di Montesquieu, che ha inventato i principi della separazione dei poteri e di uguaglianza davanti alla legge, ritengo non vi siano dubbi sulla correttezza delle argomentazioni; ma, probabilmente, questo l'opposizione lo sa già.
Colpisce, piuttosto, questo atteggiamento da Giano bifronte dell'opposizione che al Parlamento europeo ha votato una legge sull'immunità degli europarlamentari mentre, in Italia, giudicherebbe accettabile tale modifica solo se inserita nella Costituzione, considerandola intollerabile se introdotta con legge ordinaria.
Qualcuno diceva che a pensare male a volte non si sbaglia. Allora, se la strada costituzionale è dettata esclusivamente da motivi tattici, costringendo per un lungo periodo di tempo le cariche dello Stato soggette a processi penali a stare sulla graticola, siamo noi a dire che non ci stiamo, rigettando questa disponibilità mostrata dalle opposizioni.
Sono questi i motivi per cui il gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro annuncia il voto contrario sulle questioni pregiudiziali presentate (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Filippo Mancuso. Il gruppo Misto avrebbe terminato il tempo a disposizione, tuttavia, onorevole Mancuso, le do comunque la parola.
Prego, onorevole Mancuso.
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, stiamo vegliando ancora una volta la nascita di una legge di circostanza, che non ha il patronimico preciso di quella sulla legittima suspicione e che, tuttavia, si presta anch'essa a rilievi di ordine costituzionale.
In questo senso il mio appoggio è riferito soprattutto alla questione pregiudiziale Soda ed altri n. 1. Ne dicemmo le ragioni in I Commissione e non spero che, ripetendole in questa sede, possano ottenere una sorte migliore. Tuttavia, vi sono concetti, parole perdenti che, comunque, devono essere ripetuti, sia perché domani potrebbero essere doverosi sia perché la fermezza dell'ordinamento sopravvive anche agli sforzi dei suoi peggiori interpreti.
Sono tre le considerazioni che mi portano a suggerire a me la certezza e ad altri almeno il dubbio che questo emendamento travasato nell'articolo 1 della proposta di legge in discussione sia incostituzionale, in quanto adottato con legge ordinaria.
Sappiamo benissimo che la Costituzione non prevede alcuna situazione assimilabile a questa, tanto è vero che se ne chiede l'introduzione, sia pure con legge ordinaria. Sappiamo, invece, che tanto il codice di procedura penale quanto alcune leggi speciali prevedono la sospensione dei processi penali; però, nella figura della sospensione dei processi penali è costante l'origine da fatti interni al processo, i quali incidono esclusivamente sulla sua possibilità di continuare, di essere portato a termine. In questo caso, abbiamo, invece, una sospensione che è generata non da un fatto endoprocessuale ma dal sopravvenire di una situazione costituzionale, che ingenera l'improcedibilità nei confronti di determinate cariche dello Stato, le quali così, assumendo un regime processuale penale specifico, vengono a dissociarsi dal comune destino normativo di tutti gli altri cittadini.
Questo è possibile, perché convengo sull'opportunità che una norma del genere presidi la continuità della pubblica funzione al suo livello maggiore; però, lo strumento che si sta prescegliendo non è quello giusto. Oltre alla violazione del principio di uguaglianza, attraverso quest'atipica adozione di forma, vi è anche la violazione dei principi inseriti negli articoli 111 e 112 della Costituzione, intendo dire quello sull'obbligatorietà dell'azione penale e quello sulla parità di trattamento delle posizioni processuali. Nel primo caso, la violazione sussiste tanto se la sospensione interviene prima che si manifesti formalmente e si concreti l'azione penale, vale a dire nella fase delle indagini, quanto dopo, perché anche in questo caso essa viene ad incidere sugli effetti di questo potere, di questa responsabilità. Ma vi è un terzo profilo. Non si sa cosa scegliere, in questo assieme di irregolarità. Vi è un terzo profilo. Quando, furbescamente, l'emendatore dichiara di far salva la posizione ministeriale secondo le previsioni dell'articolo 96 della Costituzione, ha finito con il realizzare l'illogicità che per i reati ministeriali, i quali hanno un'attinenza maggiore alla pubblica funzione, non vi sia sospensione, e per quelli di diritto comune, per i reati comuni, invece, se commessi da determinate cariche, vi sia la sospensione.
PRESIDENTE. Onorevole Filippo Mancuso....
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, se posso frenare la sua impazienza, me lo lasci fare.
PRESIDENTE. No, non è la mia impazienza. Ha già parlato più dell'onorevole Boato.
FILIPPO MANCUSO. Vorrei avanzare una proposta. Siccome il destino di questa proposta di legge è quello di essere comunque approvata, perché urge, si abbia
almeno la resipiscenza, l'atto di rispetto postumo di provvedere ad un'iniziativa legislativa di ordine costituzionale, con la quale si confermi questa norma ma la si rivesta delle condizioni della sua regolarità costituzionale. Se neanche questo si vorrà non fare, vuol dire che è proprio insito l'abuso come sistema e come sovrapposizione privata ai pubblici interessi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, perché il Capo dello Stato cerca continuamente di disinnescare la rissa sulla giustizia? E perché i Socialisti, ma anche tanti parlamentari sia dell'opposizione sia della maggioranza, lo seguono? Perché, se lo scontro tra il Governo e la magistratura si aggraverà, avrà conseguenze devastanti. L'Europa o darà ragione alla magistratura e giudicherà la politica italiana corrotta o darà ragione al Governo e giudicherà la magistratura italiana inaffidabile oppure, peggio, darà ragione ad entrambi.
Ma politica corrotta e giustizia inaffidabile sono sinonimo di paese a rischio, dove le banche e le istituzioni internazionali sconsigliano gli investimenti. Quindi, evitiamo l'ipocrisia. Lo scontro sulla giustizia ha già fatto danni e ne farà di irrimediabili se non lo si fermerà: danni economici oltre che politici, indipendentemente dal semestre di Presidenza italiana. Evitare che il Presidente del Consiglio e le alte cariche dello Stato possano essere «fulminate» e delegittimate dalla giustizia è necessario, ma non sufficiente se non si ritorna finalmente ad un clima meno avvelenato.
Perché ci preoccupa la possibilità che Berlusconi sia condannato? Non perché entriamo nel merito delle accuse e dei processi, perché non spetta alla politica entrarci. Per la verità il degrado della situazione è tale che ormai in questo non c'entra neppure il cittadino medio: non ci entra perché non ha più fiducia che una conclusione definitiva e convincente possa emergere dai processi; vede confusi i confini tra il vero e il falso, vede tutti i gatti grigi. Siamo al «così è se vi pare» di Pirandello e questo è il danno, anche morale, più grave che si è fatto al paese. Ci preoccupa che Berlusconi sia condannato e che una condanna travolga il suo Governo perché in Italia la magistratura ha travolto la politica nel 1993, ha contribuito in parte a travolgerla durante il primo Governo Berlusconi e non vogliamo che ciò accada per la terza volta in dieci anni. Se ciò accadesse, l'Italia si troverebbe in una situazione da paese sudamericano o da Turchia, con un sistema politico debole, sotto tutela, non di forze armate trasformate in garanti delle istituzioni, ma di una magistratura che, come in sud America e in Turchia le forze armate, è uscita dal suo ruolo attraverso la stessa trasformazione. Per buon senso, per sento dello Stato, i Socialisti chiedono perciò prudenza, toni moderati, legittimazione reciproca tra maggioranza e opposizione. Chiedono la immunità per le alte cariche dello Stato, non attraverso colpi di mano della maggioranza e forzature costituzionali, tra polemiche e contestazioni, ma lungo la strada maestra di un accordo bipartisan che investa il tema della giustizia nel suo complesso.
Sappiamo di essere minoritari in questo tentativo, sappiamo che non ci sono oggi le condizioni per un'intesa tra maggioranza e opposizione: lo abbiamo visto al Senato e lo vedremo alla Camera. Ma sappiamo anche che di qui si deve passare, che lo scontro sulla giustizia deve finire attraverso intese ragionevoli. Su questo terreno si gioca anche il futuro del bipolarismo. Non si può accettare, infatti, un bipolarismo dove se vince una parte si ha la prevaricazione della politica sulla magistratura, come oggi accade, e se vince un'altra parte si ha la prevaricazione della magistratura sulla politica. Non si può accettare un bipolarismo dove, in questo modo, sempre e comunque, lo sconfitto unico e certo è lo Stato di diritto.
Sulla costituzionalità della legge in discussione ho sentito efficaci e autorevoli
argomentazioni tecniche. Francamente, la scienza giuridica mi pare in questo momento meno utile della politica. Siamo la patria del diritto, si dice. Forse, ma ciò nondimeno tanta scienza non ha impedito gli eccessi opposti tipici di un paese da terzo mondo, di un paese dove il Governo insulta e delegittima la magistratura con toni mai sentiti nelle democrazie occidentali, dove negli anni bui di Mani pulite i magistrati, soprattutto quelli di Milano, hanno usato la carcerazione preventiva dei cittadini come strumento di tortura per estorcere confessioni. Per questo, consentitemi di non ascoltare le opposte valutazioni dei giuristi e di seguire una logica politica, che ci spinge a non sostenere le eccezioni di incostituzionalità alla proposta di legge, astenendoci dal voto (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Palma. Ne ha facoltà.
NITTO FRANCESCO PALMA. Signor Presidente, le questioni pregiudiziali in discussione allegano a sospetto di incostituzionalità la realizzazione che del lodo Maccanico è stata data al Senato. Si tratta di una realizzazione a mezzo di legge ordinaria, così come nella realtà è sostenuto dallo stesso presidente Maccanico e dal Presidente emerito della Corte costituzionale Giuliano Vassalli. È una proposta di legge che, come tutti quanti voi sapete, prevede la sospensione dei processi - vale a dire, del momento successivo all'esercizio dell'azione penale - nei confronti delle cinque alte cariche dello Stato - Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente del Senato, Presidente della Camera e Presidente della Corte costituzionale -, in sostanza, proprio quelle cinque cariche che sono richiamate dall'articolo 205 del codice di procedura penale, che detta una disciplina assolutamente disparitaria in tema di assunzione di testi.
Nonostante questa norma detti una disciplina disparitaria, essa non può essere considerata incostituzionale - ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione - proprio in ragione del costante orientamento della Corte, la quale, per l'appunto, afferma che il principio di uguaglianza davanti alla legge va inteso nel senso che deve essere assicurata ad ognuno uguaglianza di trattamento quando eguali siano le condizioni soggettive cui la norma si riferisce per la sua applicazione; credo, quindi, che con questo possa essere tranquillamente superata la prima censura.
La seconda censura sollevata riguarda sostanzialmente il diritto delle parti offese a difendersi e a portare avanti i propri interessi nell'ambito del processo penale.
Orbene, questa questione è già stata affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 300 del 1984, nella quale è stato stabilito che il diritto dell'offeso non rientra tra i diritti inviolabili di cui all'articolo 2 e, sostanzialmente, non rientra neanche in quel diritto al giudizio che pure appare essere trattato nella prima parte dell'articolo 24.
Al riguardo, la Corte costituzionale afferma testualmente che una condizione di procedibilità o di proseguibilità - quale è quella di cui all'articolo 1 della proposta di legge Boato - non vanifica il diritto al giudizio, né può essere ritenuta irragionevole.
Orbene, qual è il problema? Tutti quanti noi sappiamo che l'articolo 68 prevedeva una esenzione dalla giurisdizione: si poneva cioè come un presupposto dalla giurisdizione, cosa questa che è completamente diversa da una causa di non proseguibilità temporanea del procedimento.
Tale causa di non proseguibilità temporanea si impone per varie ragioni: in primo luogo, a causa della stabilità istituzionale, in secondo luogo, per il rispetto del diritto di difesa delle cinque cariche per ipotesi coinvolte - le quali, evidentemente, non possono non essere concentrate sull'esercizio di tale diritto - e, infine, per la cosiddetta concentrazione del processo penale; quest'ultimo, infatti, ove si dovesse svolgere nei confronti delle
più alte cariche dello Stato, non avrebbe la caratteristica sopra richiamata ma si svolgerebbe in termini di intermittenza.
Si è affermato che tale sospensione violerebbe l'articolo 112 della Costituzione, quindi, sostanzialmente, il principio della obbligatorietà dell'azione penale, evidentemente facendo rientrare in questo principio anche la proseguibilità del processo, cioè tutto quello che va oltre l'esercizio dell'azione penale.
A ben vedere questa affermazione non mi pare condivisibile, sulla scia dell'orientamento giurisprudenziale della Corte in tema di procedibilità: si pensi alla querela ma, principalmente, alla richiesta del ministro necessaria in molteplici reati, taluni dei quali addirittura puniti con la pena dell'ergastolo.
Inoltre, a mio avviso, tale affermazione non è condivisibile perché la Corte ha affermato in termini chiari che la riaffermazione del principio della obbligatorietà dell'azione penale non vale ad escludere che l'ordinamento possa in via generale stabilire che, indipendentemente dall'obbligo del pubblico ministero, determinate condizioni concorrano perché l'azione penale possa essere proseguita e promossa. In altri termini ciò cosa importa? Importa che il legislatore ordinario nello stabilire una condizione di proseguibilità - e, se si vuole, una eccezione rispetto alla disciplina - faccia questo nell'ambito di un contemperamento di interessi costituzionali aventi pari dignità.
Sicuramente di pari dignità rispetto all'esercizio dell'azione penale e all'interesse circa lo svolgimento del processo è anche l'interesse di garantire un corretto svolgimento delle funzioni esercitate dagli organi costituzionali.
Onorevoli colleghi, non si tratta di bloccare i processi, ma, semplicemente, di fermarli e di far sì che questi ultimi possano avere corso in un'atmosfera che da un lato non tocchi le alte cariche dello Stato e dall'altro consenta alle stesse di potersi tranquillamente difendere.
Non credo possa essere chiamato in causa l'articolo 111 della Costituzione con riguardo alla ragionevole durata del processo, in quanto tale principio, che si richiama all'articolo 6 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo, è presidio posto a difesa del soggetto debole e, conseguentemente, dei deputati, né l'articolo 96 della Costituzione in quanto, a ben vedere, la tutela assicurata da tale articolo è di gran lunga superiore a quella prevista dall'articolo 1. Nessuno può dimenticare che, relativamente alla procedura di cui all'articolo 96 della Costituzione, è consentito negare un'autorizzazione quando un reato è stato realmente commesso nell'interesse preminente dello Stato.
Signor Presidente, sono queste le ragioni per le quali - se la politica fosse stata attenuata da un minimo di approfondimento giuridico, non sarebbero state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità - invito i colleghi ad esprimere un voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
È stato richiesto dall'onorevole Boccia lo scrutinio segreto sul voto delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge in esame, come modificato dal Senato.
Ricordo che il voto sulle questioni pregiudiziali, potendo determinare la reiezione dell'intero provvedimento ed assumere, quindi, natura di deliberazione definitiva sul merito, deve svolgersi con le medesime modalità da adottarsi per la votazione finale del progetto di legge, avendo riguardo al contenuto prevalente del provvedimento.
La parte introdotta dal Senato non può ritenersi prevalente rispetto all'originario testo del disegno di legge licenziato dalla Camera, per il quale non era ammessa la possibilità di scrutinio segreto. Infatti, la parte introdotta dal Senato, relativa ai processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, consta di un solo articolo rispetto agli otto del testo originario, aventi ad oggetto una serie di istituti quali le insindacabilità dei parlamentari e
le intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni nei confronti dei medesimi.
Ne consegue che il voto sulle questioni pregiudiziali, secondo il giudizio di prevalenza, deve avvenire a scrutinio palese.
A parte tale valutazione, ritengo comunque opportuno precisare che la Presidenza non ritiene le norme di cui all'articolo 1 del progetto di legge, introdotto dall'altro ramo del Parlamento, suscettibili di scrutinio segreto.
Con l'introduzione di tale articolo, il Senato ha inteso disciplinare, nell'ambito di una legge ordinaria, un profilo di natura processuale relativo ai titolari delle più alte cariche dello Stato riguardante la non sottoponibilità al processo penale, nonché la sospensione dei processi penali in corso nei loro confronti. Tale disciplina non rientra nelle previsioni di cui all'articolo 49, comma 1, del regolamento.
In proposito, richiamandomi a quanto già enunciato in più occasioni ed, in particolare, nelle sedute della Giunta per il regolamento del 7 febbraio e del 7 marzo 2002, ricordo che la regola generale di votazione è lo scrutinio palese e che solo per casi rigorosamente determinati è possibile lo scrutinio segreto.
Lo stesso articolo 49 stabilisce che le deroghe fissate al principio dell'ordinarietà del voto palese devono essere di stretta interpretazione.
In base a tali presupposti, possono esser sottoposte al voto segreto soltanto quelle norme che presentino un rapporto di immediata e diretta incidenza sui principi e sui diritti di libertà elencati dall'articolo 49 del regolamento, con esclusione di qualsiasi interpretazione estensiva.
La Presidenza non può, invece, fondare il proprio giudizio sugli effetti eventuali ed indiretti (peraltro in molti casi difficilmente individuabili in via preventiva e nella loro interezza), che la disciplina proposta fosse suscettibile di determinare.
In tale ottica, con riferimento alle norme costituzionali richiamate dal citato articolo 49 del regolamento, l'articolo 1 del progetto di legge non risulta innanzi tutto incidente sui principi e sui diritti di libertà, di cui agli articoli 13 e seguenti della Costituzione, né su quelli dell'articolo 25 della Costituzione, in materia di giudice naturale.
La norma in esame non risulta poi direttamente incidente sul diritto di agire in giudizio e sul diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione, con riferimento ai principi generali della legislazione.
La disposizione, infatti, così come configurata dal Senato, determina, sotto il profilo processuale, una situazione temporanea (limitata alla durata del mandato istituzionale dei soggetti interessati), di non sottoponibilità al processo penale, ovvero di sospensione dei processi penali in corso; come tale, essa non incide di per sé sui diritti sopra richiamati, che rimangono inalterati, atteso che, venuta meno la sospensione stessa, il processo riprende il suo corso.
Sempre ai fini dell'articolo 49, per quanto riguarda la possibilità di considerare l'articolo 1 in esame come rientrante nella categoria delle «leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato», osservo innanzi tutto, in via preliminare, che l'articolo 49, quanto agli organi costituzionali non monocratici (Parlamento, Governo e Corte costituzionale), fa ad essi riferimento considerandoli nel loro complesso; nel caso in esame, il provvedimento riguarda, invece, unicamente le prerogative delle rispettive cariche di vertice.
Ad ogni modo, ricordo che, nella Giunta per il regolamento del 7 marzo 2002, la Presidenza ha già precisato che «per leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato e delle regioni, conformemente a quanto stabilito nella seduta del 25 febbraio 2002» (in occasione dell'esame della legge sui conflitti d'interessi), «devono intendersi esclusivamente i complessi normativi che riguardano la posizione dell'organo medesimo nell'ordinamento o ne regolano l'esercizio di poteri costituzionali».
In argomento ricordo che, in occasione dell'esame della predetta legge sui conflitti
d'interessi, la Presidenza ha ulteriormente precisato che non rientrano in tale categoria di leggi i provvedimenti che non riguardano le caratteristiche strutturali e funzionali degli organi di Governo, bensì la posizione soggettiva dei titolari delle relative cariche di vertice (seduta del 25 febbraio 2002).
L'articolo 1 del progetto di legge in esame, in base a quanto sopra rilevato, non vale a ricondurre il provvedimento a tale categoria di leggi ordinarie, poiché esso non rappresenta un complesso normativo che riguardi nel suo insieme la posizione dei citati organi costituzionali nell'ordinamento, né contiene una disciplina volta a regolare l'esercizio dei relativi poteri costituzionali.
Per quanto riguarda, infine, la parte relativa alla sospensione del decorso dei termini di prescrizione, si tratta anche in questo caso di materia non sottoponibile al voto segreto, atteso che essa non rientra in alcuna fra quelle richiamate dall'articolo 49, comma 1, del regolamento.
La prescrizione non attiene infatti alla pena né agli elementi costitutivi del reato (come definiti nella seduta della Giunta per il regolamento del 7 del marzo 2002), del quale viceversa costituisce causa di estinzione.
In tal senso richiamo il precedente della seduta dell'Assemblea del 10 ottobre 2002 (relativa alla discussione del progetto di legge in materia di legittimo sospetto), nella quale è stato negato il voto segreto su emendamenti volti a prevedere la sospensione della prescrizione in caso di sospensione del processo a seguito di richiesta di rimessione.
Per il complesso delle ragioni esposte, l'articolo 1 della proposta di legge non può essere sottoposto a voto segreto.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Soda ed altri n. 1 e Violante ed altri n. 2.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 546
Votanti 528
Astenuti 18
Maggioranza 265
Hanno votato sì 222
Hanno votato no 306
(La Camera respinge - Vedi votazioni).
Prendo atto che l'onorevole Ronchi non è riuscito a votare.
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