Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 275 del 5/3/2003
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(Interventi)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo di Forza Italia, voglio, innanzitutto, associarmi alla solidarietà umana e civile che il ministro dell'interno ha rivolto alla moglie ed al figliolo di Emanuele Petri, all'agente della polizia ferroviaria, Bruno Fortunato, rimasto ferito, all'agente Di Fronzo, e voglio estendere la solidarietà alla Polizia di Stato ed all'Arma dei carabinieri (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Proprio perché il nostro gruppo fa suo l'appello all'unità di tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, consentiamo al collega di parlare senza brusii.

FABRIZIO CICCHITTO. ...nella lotta al terrorismo, credo che noi non dobbiamo disperdere questo dibattito per fare i conti con i problemi, che possono esserci, rispetto all'esigenza di unità, in una situazione di bipolarismo e di serio confronto politico.
Ed allora siamo di fronte a tre questioni di fondo dal punto di vista dell'unità delle forze politiche, così divergenti. La prima questione è il problema del movimento e dei movimenti; e da tale punto di vista, voglio dire che non c'è un problema rispetto ai movimenti di massa pacifici, perché tali movimenti, anche di opposizione, rappresentano la fisiologia della democrazia e, quindi, non possono essere confusi con la violenza e con il terrorismo. La seconda questione, che abbiamo davanti, è quella del linguaggio: credo che dobbiamo fare contemporaneamente una critica ed una autocritica, nel senso che vale il motto «chi è senza peccato, scagli la prima pietra». Poi, c'è una terza questione, sulla quale vorremmo che si aprisse una riflessione in Parlamento; ed è la tendenza alla demonizzazione dell'avversario politico.
Nei limiti di tempo che ho, mi permetto di sottoporre alla riflessione dei colleghi tre frasi testuali: «la destra pratica una guerra civile strisciante», «il 13 maggio 2001, la criminalità organizzata ha vinto le elezioni», «resistenza, resistenza, resistenza».
Ora, tali espressioni estreme, certamente, non implicano un appello al ricorso alla violenza, da parte di quegli esponenti dell'opposizione che le hanno pronunciate; tuttavia, nella loro radicalità e nella loro tendenza alla demonizzazione dell'avversario, esprimono una spinta alla radicalizzazione dello scontro politico che può essere strumentalizzata e cavalcata dai fanatici, dai violenti, dai terroristi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Ed allora, onorevoli colleghi, noi vogliamo sottolineare che non possiamo permetterci in tale situazione di fornire alcun pretesto ai violenti ed ai terroristi.
A nostro avviso, la demonizzazione dell'avversario politico costituisce un oggettivo favore fatto ai violenti ed ai terroristi.
A maggior ragione sottolineiamo questo dato perché dobbiamo misurarci con tre questioni assai delicate.
La prima questione è che nel nostro paese, unico in Europa, chi è esperto di diritto del lavoro e, a torto o a ragione nel merito, vuole cambiare le leggi, lo fa a rischio della vita. Se tale questione non


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viene colta in modo preciso dalle forze dell'ordine ecco che abbiamo gli episodi di D'Antona e di Marco Biagi.
La seconda questione è rappresentata dal fatto che noi abbiamo un grande sindacato nazionale, la CISL, fatto oggetto di attentati e di persecuzioni e la cosa è tanto più grave in quanto la CISL non è solo nel mirino delle brigate rosse ma anche nel mirino di quella violenza diffusa di cui parlava il ministro. Questo è un altro dato anomalo nella situazione europea.
La terza anomalia con la quale dobbiamo misurarci è che, diversamente da molti altri paesi europei, non dobbiamo soltanto fare i conti con il rischio del terrorismo internazionale ma, come il ministro dell'interno ci ha spiegato nella sua relazione, abbiamo due tipi di terrorismo interno: quello di origine, diciamo così, veteroleninista o veterocomunista delle brigate rosse e quello nuovo degli anarcoinsurrezionalisti. Dunque, ci muoviamo in una situazione più difficile rispetto a quella di altri paesi europei. Abbiamo il rischio di una radicalizzazione dello scontro politico invece del bipolarismo fisiologico. Dobbiamo fare i conti con questi tre tipi di situazione.
Dunque, per queste ragioni facciamo nostro l'appello del ministro e, allo stesso tempo riteniamo che l'unità fra le forze politiche di maggioranza e di opposizione debba essere realizzata andando oltre posizioni che abbiamo verificato nel corso del dibattito politico nel nostro paese.
Per quanto riguarda, poi, il merito del confronto, mi permetta, onorevole ministro, di sottolineare la positività dell'azione del Governo che ha dovuto porre rimedio al fatto che, negli anni novanta, lo strumento antiterroristico di polizia e di carabinieri era stato sostanzialmente smantellato e quindi noi abbiamo dovuto ricostruire gli strumenti essenziali a partire dagli attentati che si sono verificati. Mi permetto anche di sottolineare all'attenzione del ministro un ultimo dato: certamente il terrorismo, malgrado i fatti drammatici che si sono verificati, ha subito un duro colpo. Stiamo attenti, però, a non incorrere negli inconvenienti che si sono verificati in passato: mi riferisco alla fuga di notizie che ha avuto un impatto molto rilevante nelle indagini sull'assassinio del professor D'Antona.
Devo dire che anche nei giornali di oggi leggiamo troppe cose che, invece, dovrebbero essere riservate. Riteniamo occorra una grande coerenza di comportamenti, un grande rigore e meno esibizionismo radiotelevisivo da parte degli inquirenti perché la partita che si sta giocando è una partita assai seria e assai grave che non richiede né strumentalizzazioni politiche né fughe di notizie che colpiscono alla radice le indagini (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).
Sulla base di queste valutazioni noi ci riconosciamo, onorevole ministro dell'interno, nella sua relazione, riteniamo che il Governo, nel suo complesso, stia ben operando nella lotta e nella contrapposizione al terrorismo e riteniamo anche che esistano tutte le condizioni per realizzare, su questi punti, un'unità fra le forze di maggioranza e di opposizione che vada al di là di del fisiologico dibattito politico che caratterizza un sistema bipolare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Violante. Ne ha facoltà. Prego i colleghi di attenersi ai tempi. Sono sempre favorevole che su temi di questo rilievo e che muovono i nostri sentimenti ci sia un certo lasco. Tuttavia prego i colleghi di restare nei tempi. Non ho bisogno di dirlo a lei che conosce bene il senso della misura. Prego onorevole Violante.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, onorevole ministro, colleghi, innanzitutto una parola di solidarietà alla famiglia Petri. La notizia che lei ci ha dato, cioè che il figliolo vorrebbe continuare nel lavoro del padre, ci conforta, perché non è la prima che accade: forse i colleghi ricorderanno che il figlio del maresciallo


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Lenin Mancuso appartiene alla Polizia di Stato o che il figlio di Paolo Borsellino appartiene alla Polizia di Stato. Vi sono cioè alcune famiglie nel nostro paese che hanno fatto della scelta della legalità la propria scelta di vita e trasmettono questo valore di padre in figlio. Credo sia un fatto positivo che dovremmo riconoscere, anche perché non sempre questo avviene. Da questa Assemblea deve venire un riconoscimento forte a quelle famiglie che compiono tale scelta, come è venuta oggi dalle sue parole.
Noi sottoscriviamo, signor ministro, le sue parole, che sono state chiare e civili, lo ripeto, chiare e civili, sotto ogni profilo. Credo che le sue parole, gli interventi, il senso di commozione che prende tutti quanti noi, ci chiamino ad una prova di responsabilità. È questo quello che ritengo il paese si aspetti da noi: non recriminazioni, non contestazioni, ma una prova di responsabilità e di coerenza. Innanzitutto, vi è un'analisi: lei la fece molto chiaramente nel gennaio scorso dinanzi alle Commissioni di questa Camera.
Credo che, magari, una parte della società italiana non abbia compreso che il silenzio tra i vari omicidi era un silenzio preparatorio: si lavorava nell'ombra per costruire l'omicidio successivo. In questo senso, l'assassinio di Emanuele Petri non è accidentale, perché, se i due si spostavano in treno armati ed hanno reagito come hanno reagito, prima ancora che si comprendesse che i documenti erano falsificati, è evidente che in questo paese vi è una minaccia, che può colpire chiunque fa seriamente e con correttezza il proprio dovere.
Quindi le forze di polizia sono particolarmente esposte, e noi abbiamo un dovere di coerenza.
In primo luogo, la questione dell'unità: credo che su questo si sia tutti d'accordo. Ha fatto bene a ricordarlo l'onorevole Cicchitto e lo ha fatto anche lei. Unità vuol dire non fare un uso politico del terrorismo, cioè che il terrorismo non venga usato politicamente nello scontro tra noi. Il bipolarismo va benissimo, ma nessun paese si può tenere in piedi se le coalizioni che si fronteggiano comunque non trovano punti unificanti che riguardano l'interesse superiore del paese.
Questo è un dato essenziale, e la lotta al terrorismo è uno di questi punti (Applausi del deputato Di Luca). Poi ci potremmo dividere, e ci divideremo, su tante cose, ma gli italiani devono sapere che vi sono alcune questioni sulle quali questo Parlamento non si divide. La lotta al terrorismo è una di queste. Contro l'uso politico del terrorismo, non confondere il conflitto sociale con il terrorismo. Una delle cose che isola il terrorismo sono le mobilitazioni di massa, pacifiche, lo scontro sociale condotto nelle regole della democrazia, perché questo dà sangue e corpo al conflitto e fa capire che l'uso della violenza, come strumento di lotta politica, è rifiutato. Se c'è passività, se c'è silenzio, evidentemente la teoria dell'uso politico della violenza può fare più strada. Lei ha quindi fatto molto bene, signor ministro, a non confondere l'esercizio delle libertà collettive con il fiancheggiamento al terrorismo. Non c'entra niente e lei ha fatto bene a ricordarlo. È un antidoto: più la gente manifesta, più i cittadini manifestano, magari opponendosi, perché è diritto dei cittadini opporsi, più vi è dinamica e dialettica civile in un paese, più le forze del terrorismo sono emarginate. Più c'è silenzio, più c'è passività, più queste forze possono trovare spazio.
Ci sono oggi alcune centinaia di giovani che hanno fatto la scelta della violenza politica, che sono dei potenziali omicidi. Ecco, credo che questo Parlamento debba parlare anche a tali giovani, spiegando loro che questa scelta li porterà alla distruzione. Non distruggeranno questa democrazia, ma distruggeranno le loro vite: questo è il problema di fondo, e loro devono capirlo. Questa democrazia va corretta, migliorata, riformata: il nostro impegno è in quella direzione; vi è terreno per lavorare, ma la violenza non fa che far tornare indietro i processi riformatori.
In questi momenti noi chiediamo alle forze dell'ordine il sacrificio della vita. Sappiamo che tanti rischiano: la signora


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Petri ha detto che si esce la mattina e non si sa se si torna a casa la sera. Ci si chiede allora coerenza: innanzitutto, intendo riferirmi al problema dei mezzi.
Lei, signor ministro, ci troverà assolutamente al suo fianco in ogni iniziativa che potenzi i mezzi e le risorse per le forze di polizia.
Per quanto riguarda il problema delle leggi, non possiamo chiedere il prezzo della vita e poi avere leggi che impediscono l'accertamento della responsabilità. È una scelta che va fatta e ci vuole coerenza anche su questo. Le forze di polizia sentiranno il sostegno di questo Parlamento e del paese, se sapranno di poter disporre di strumenti che consentano, nel rispetto delle regole della democrazia, l'accertamento delle responsabilità. Le nostre regole processuali, purtroppo, molto spesso non consentono questo.
Credo che alcuni gruppi politici (noi lo abbiamo fatto) abbiano presentato una proposta di legge per il coordinamento centrale delle indagini contro il terrorismo. Spero si possa svolgere rapidamente - e mi rivolgo anche al signor Presidente della Camera - un'istruttoria in Commissione giustizia, per decidere se vi sia un sufficiente consenso a che ciò si faccia presto. Infatti, una delle considerazioni di cui tener conto è che il terrorismo è comunque organizzato e le indagini rischiano di essere disorganizzate e concorrenti e rischiano di sovrapporsi l'una con l'altra.
Colleghi, di morire tocca a tutti, ma si può morire e si può finire. Si finisce quando i valori in nome dei quali una persona è caduta finiscono con lui, perché non c'è nessuno che li porta avanti. Non sono cattolico, ma i cattolici credono in un mistero, il mistero della comunione dei vivi e dei morti, secondo cui chi resta trova un rapporto con chi non c'è più. Chi cade sul versante della legalità e della democrazia, come la persona che qui ricordiamo, ci lascia un dovere: fare in modo che questo non sia soltanto il giorno di una cerimonia, ma sia un giorno di impegno civile, perché quella morte non sia inutile, perché non vi siano altri morti e perché si riesca a spostare sul terreno della legalità quelle centinaia di giovani che pensano che l'uso della violenza possa cambiare qualcosa in questo paese. Non è così; noi lo dobbiamo dimostrare con il nostro impegno quotidiano e noi cercheremo di farlo.
Penso che la Camera intera cercherà di impegnarsi in questo senso e tutti i suoi sforzi nella direzione della lotta civile ed efficace contro il terrorismo, signor ministro, ci vedranno al suo fianco (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e di deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza nazionale si unisce al cordoglio generale per la scomparsa di Emanuele Petri e per il ferimento di Bruno Fortunato. Si unisce al cordoglio non solo con le parole, ma con il cuore, sentitamente, davvero, come credo capiti a tutti e non solo a noi.
Quando oggi tutti in quest'aula diamo la solidarietà a Emanuele Petri, a Fortunato e, quindi, a tutte le forze dell'ordine, vorremmo che questo sentimento di solidarietà continuasse nei giorni che verranno e nelle settimane future, quando magari ci sarà bisogno non di ricordare un giovane agente che ha dato la vita per la libertà di tutti noi, ma di essere vicini a centinaia e centinaia di giovani in divisa che ogni giorno lavorano per la nostra libertà e che non sempre hanno la vicinanza dell'intera comunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Onorevole ministro, lei è stato puntuale, completo e sereno nella ricostruzione dei fatti e nell'informativa che ha svolto. Ci ha fornito indicazioni su quanto


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il Governo sa e su quanto lo stesso si ripromette di fare. Ci ha rincuorato con la precisa illustrazione delle notizie, delle ramificazioni e dell'attenzione che lei mostra di avere per questo fenomeno, che certamente è difficile da individuare e, forse, ancor più difficile da debellare, ma che va affrontato con grande attenzione e senza nessuna sottovalutazione.
Abbiamo ascoltato dalle sue parole la ricostruzione di come, a giudizio del Governo, pensino i terroristi, di cosa vogliano, di quali percorsi si ripromettano di fare, di quali siano le ragioni che li inducono ad attentare alle nostre libertà ed allo Stato democratico.
Siamo consapevoli che accanto alla necessità di rafforzamenti dell'intelligence e delle capacità della magistratura di applicare le leggi vi sia anche un altro versante: quello della solidarietà politica. Oggi tutti stiamo ribadendo la necessità di un'unità. Ho ascoltato con piacere le parole dei capigruppo anche delle opposizioni. Vedete, non è così automatico e scontato che vi sia condivisione vera nell'affrontare il terrorismo da parte di tutto il mondo qui rappresentato. Ricordo che negli anni settanta, prima che tale condivisione arrivasse, prima che si facesse finalmente strada il convincimento che bisognava battere il terrorismo, per lunghi anni vi fu una profonda sottovalutazione del fenomeno terroristico. Vi ricordate l'epoca delle «sedicenti brigate rosse»? Vi ricordate la disattenzione al rapporto di una persona onesta, il prefetto Mazza di Milano? Vi ricordate i mille distinguo, i compagni che sbagliano, i cattivi maestri che non erano tali?

ROSY BINDI. E i camerata che fanno bene!

IGNAZIO LA RUSSA. Non credo proprio che oggi possiamo litigare (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale - Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
Si tratta del ricordo di cose vere, perché è storia, è nei libri. Non sono così di cattivo gusto da leggervi le citazioni dei giornali contenute in un libro che tutti avete potuto comprare in qualunque libreria su come venivano giudicate all'inizio le brigate rosse. Fu l'omicidio Moro a far capire a tutti che occorreva l'unità contro il terrorismo.
Signor ministro, credo che oggi il rischio di tale sottovalutazione forse non vi sia, ma non bisogna sottovalutare alcuni aspetti ed alcuni piccoli segnali. Mi riferisco all'assoluzione dei quattro brigatisti avvenuta il 25 febbraio, con una motivazione che non sto qui a leggere per amor di pace, che avevano rivendicato un anno prima l'omicidio di Biagi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale); alle decine di latitanti troppo tranquillamente ospitati dalla Francia; al tentativo di far ritenere inevitabili e fisiologiche forme di violenza politica ed illegalità diffuse che in qualche ambiente ancora permangono.
Concludo, signor ministro, ricordando Petri, Fortunato e tutti i giovani in divisa a cui va la nostra vera e solidale vicinanza, non da oggi. Mi permetto di esprimere una solidarietà ed una vicinanza ai giovani di oggi.
Appartengo ad una generazione, assieme ad i miei coetanei di destra e di sinistra, che porta ancora nelle carni il frutto avvelenato di quegli anni di piombo, di quegli anni di odio cui non era estraneo nemmeno un certo compiacimento per il gioco degli opposti estremisti (Applausi di deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Credo si debba evitare per il futuro che giovani di destra, di sinistra o di centro possano rivivere, anche se in misura minore, quei drammi che ancora oggi segnano profondamente non solo le loro vite, ma le vite dei loro amici, dei loro familiari, di coloro che li hanno conosciuti e che pensano che tale sorte non debba mai più toccare a nessuno in Italia (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Enzo Bianco. Ne ha facoltà.


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ENZO BIANCO. Signor Presidente, signor ministro dell'interno, onorevoli colleghi, un sorriso intenso, una storia semplice, una vita esemplare: il volto solare di Emanuele Petri resterà scolpito nella memoria del paese! I deputati della Margherita gli rendono omaggio: ci stringiamo anche noi, uniti, al dolore straziante ma asciutto e dignitoso della sua famiglia. Le immagini di questo paesino dell'Umbria, della sua gente solidale e autentica, ci hanno colpito. È una risorsa vera del nostro paese, di quel paese che ancora una volta la mano assassina dei terroristi ha voluto colpire. Lo stesso paese di Massimo D'Antona e di Marco Biagi, di uomini aperti e coerenti, di studiosi impegnati.
Allo stesso modo una grande risorsa dell'Italia sono gli uomini e le donne delle forze dell'ordine; coloro i quali con professionalità e umanità ogni giorno difendono la nostra sicurezza e lo fanno in una condizione non facile, anzi spesso rischiosa. Alla Polizia di Stato, ai colleghi di Emanuele Petri, il nostro cordoglio e il nostro «grazie»!
Vogliamo sperare - e lo crediamo anche noi, signor ministro - che il sacrificio di questo «eroe normale», colpito nel tragico conflitto a fuoco (nel quale è caduto anche l'aggressore Mario Galesi, il cui corpo nessuno ancora pietosamente chiede), renda possibile ricostruire, grazie ai tasselli connessi, quel mosaico che ci consenta di fare piena luce sui delitti D'Antona e Biagi.
Sappiamo che il quadro investigativo sulla nuove brigate rosse può trovare conferme ed acquisire nuovi elementi decisivi per venire a capo definitivamente di questo crescente pericolo, che consiste nel tentativo di ricreare nel paese un'ondata di attentati e di paure, senza che vi sia in Italia alcuna speranza, anche la più velleitaria, di scalfire la nostra democrazia. Prima ancora che sul piano investigativo, noi possiamo sconfiggere questa minaccia sul piano politico, marcando l'isolamento totale di chi sceglie la violenza estrema come arma per affermare la propria ideologia.
Signor Presidente, la sicurezza democratica è un bene inestimabile, che va difeso da tutti e senza esitazioni: da chi governa e da chi sta all'opposizione, dal sindacato (che lo ha difeso con energia in questi anni) e dalla società civile. L'unità delle forze democratiche fa parte del nostro patrimonio genetico, della nostra storia, della storia degli uomini laici e cattolici alla cui scuola ci siamo formati.
Ella, signor ministro, ha vissuto il dramma di Aldo Moro e sa quanto irrinunciabile sia la forza che viene dall'unità: quella forza che ha consentito al paese di uscire dalla lunga notte del terrorismo e delle stragi. Proprio per questa ragione occorre evitare ricostruzioni, analisi o anche semplicemente frasi buttate lì - e qualcuna in questi giorni l'abbiamo sentita -, che non hanno altra ragione se non l'evidente tentativo di strumentalizzare politicamente la drammatica vicenda. Si eviti, colleghi, soprattutto se si hanno responsabilità di Governo, di criminalizzare la Toscana, di dipingerla come patria di Stalin, di tanti piccoli Stalin e di stabilire una qualche incomprensibile connessione (il buco nero dell'occidente!) tra questa meravigliosa regione del paese e il terrorismo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
E si eviti inoltre - perché questa è manovra insidiosa - di stabilire improprie, ingiustificate, inesistenti e arbitrarie relazioni di alcun tipo tra i movimenti pacifisti, la rete no global, la dinamica sindacale e le azioni terroristiche. Nessuno può dimenticare che le brigate rosse indicano come avversario da sconfiggere quei movimenti e quelle idee. Nessuno deve dimenticare che i primi avversari da eliminare per le brigate rosse (vecchie e nuove) sono proprio gli uomini delle riforme, gli uomini aperti al dialogo, gli uomini della concertazione. Questa strumentalità - un tanto al chilo -, grossolana e non pagante, rischierebbe di compromettere quell'unità che lei, come noi, signor ministro, auspica: strumentalità che non abbiamo trovato nelle sue parole - vogliamo dargliene atto


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ed anzi vogliamo ribadire che la libera espressione del pensiero, nel rispetto della legge, è il cibo di cui si nutre la democrazia -; unità che non deve restare semplice declaratoria in occasione degli eventi drammatici.
Ci impegniamo a lavorare con spirito costruttivo e chiediamo che il Governo e il Parlamento esaminino presto proposte per la creazione di una snella ed agile struttura di coordinamento delle procure che si occupano di terrorismo.
Non ci possiamo, non ci dobbiamo consentire il lusso di spezzettare le indagini, su una materia complessa e delicata come quella del terrorismo, su 10 o 15 procure. Non tanto l'indagine sul singolo atto criminoso, quanto quello sulla banda armata, non può che giovarsi di un'efficace azione di coordinamento. Questa può essere assicurata tanto affidando al Procuratore nazionale antimafia anche il coordinamento di queste indagini - pur sapendo che si tratta di fenomeni assolutamente diversi -, quanto, forse preferibilmente, creando una snella struttura ad hoc, composta da sostituti che si occupino prevalentemente della materia e di un procuratore coordinatore.
Non dimentichiamo, colleghi, che sul nostro paese, come su tutti i paesi occidentali, incombe anche la terribile minaccia del terrorismo di matrice integralista islamica e sono presenti i pericoli che provengono dal terrorismo di estrema destra e da quello dell'area anarco-insurrezionalista.
Le chiediamo, signor ministro, che la capacità di azione dei nostri servizi di intelligence sia resa più efficace, sia adeguata ai nuovi scenari emersi dopo l'11 settembre. L'arma della prevenzione, dell'analisi, dell'informazione, costituisce l'unico efficace scudo contro i volti sconosciuti dei terroristi. E non capiamo - glielo dico con schiettezza - perché, dopo aver valutato, nel novembre del 2001, la possibilità di emanare addirittura un decreto-legge in materia, 15 mesi dopo un disegno di legge in merito giaccia ancora in Commissione al Senato senza padri che se ne occupino.
Infine, signor ministro, si potenzino ulteriormente, con gli uomini migliori, le strutture della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, a cui è affidata la missione di contrastare il terrorismo.
Il nostro paese - e concludo - possiede le risorse necessarie per difenderci in modo adeguato rispetto ai nuovi rischi, affinché questo attacco al cuore dello Stato sia respinto (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringraziamo il ministro Pisanu per le parole che ha detto e per la voce con cui le ha pronunciate.
Signor ministro, non vi è dubbio che, nell'ambito del lavoro che, ormai da qualche anno, sta svolgendo presso il Ministero dell'interno, lei guardi a questi avvenimenti, che da anni insanguinano la storia del nostro paese, avendo negli occhi le immagini che hanno accompagnato anche la sua attività politica da Aldo Moro in poi.
Anche il nostro pensiero è rivolto al dolore delle famiglie delle vittime di Arezzo, al servitore dello Stato ucciso e a tutte le forze di polizia.
Occorre innanzitutto sottolineare il clima nel quale si inserisce questa terribile e tragica circostanza. Come lei, signor ministro, ha ricordato nella sua relazione del 27 gennaio, in questi mesi sono aumentati gli attentati e ciò è dimostrato anche da quelli avvenuti qualche giorno prima dei fatti di Arezzo, contro la CISL e l'Ansaldo.
L'obiettivo di tali attentati nonché degli omicidi D'Antona e Biagi e, forse anche prima, di quello di Ruffilli, non sono forse quelli di bloccare in qualche modo le riforme, di fermare e di far permanere l'Italia in una situazione di transizione o di lenta evoluzione, nella quale ci troviamo


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ancora oggi? Penso di sì! Non vi è dubbio che la morte di Ruffilli abbia contribuito fortemente a rallentare quelle ordinate riforme che si rendevano necessarie già in quel momento.
Dunque, di fronte ad una tale urgenza, vi è una conseguenza operativa, vale a dire quella - come già accennato da molti colleghi - di porre in essere alcune riforme, attraverso un confronto di merito sul «come» fare evolvere il nostro sistema paese verso il meglio, senza privilegiare il «quando» di queste riforme. Ciò soprattutto se il «quando» - come è avvenuto troppo spesso nelle ultime legislature - è legato agli appuntamenti elettorali annuali.
Non si possono fare riforme di bandiera, se siamo tutti convinti qui, oggi e un anno fa, commemorando Marco Biagi, che l'unica bandiera che dobbiamo servire è quella italiana. È questa l'alleanza a cui guardo: l'alleanza per togliere terreno di consenso al terrorismo, senza pensare, a volte, all'orto botanico del consenso elettorale.
Ma esiste un'altra grande emergenza, quella del confine. Bisogna aver ben chiaro il nostro senso di responsabilità: tra la protesta forte e civile, anzi, tra la proposta di volta in volta alternativa o integrativa rispetto a quella dei Governi e delle loro maggioranze e la disobbedienza, il dissenso fuori dalle leggi, c'è una larga differenza. Il rispetto delle idee altrui o, meglio, la convinzione che - come diceva Romano Guardini - l'incontro tra due persone accresca entrambi, è il punto fondamentale non ancora penetrato nelle menti e nei cuori di molti di noi. La violenza del linguaggio e la menzogna delle semplificazioni demagogiche, tese più al consenso di parte che al confronto, sono e devono essere sostituite, a mio avviso, da un nuovo costume di fare politica. Abbiamo dovuto ascoltare taluni, qui presenti, dire che il Governo ha devastato la democrazia e le istituzioni, che il Presidente del Consiglio è come Pinochet, che esistono buchi neri nella democrazia italiana. Per chi ha fatto tali affermazioni, ciò equivale a dare un contributo al clima di violenza di questi anni. La protesta è legittima per chi non è o non si sente qui rappresentato. Ma, se la si vuole mantenere come il sale della democrazia, la protesta non può e non deve superare il limite delle leggi civili e penali di questo paese. Diversamente, ci si muove in senso contrario, percorrendo la strada che conduce alla legge della giungla e non al potenziamento della democrazia. Allora, le riforme del paese, la riforma dei costumi e dell'azione politica, l'accettazione delle regole dell'alternanza in democrazia rimangono i punti fondamentali.
Tuttavia, restano altre e più stringenti emergenze a cui abbiamo il dovere di dare una risposta positiva: un maggiore controllo del territorio; una riforma - se la si ritiene ancora necessaria - dell'intelligence e, certamente, un suo potenziamento; un'attenzione ai mezzi e agli strumenti per una efficacia ulteriore delle forze di polizia e dell'intelligence; regole che diano più certezza all'efficacia dell'indagine. Si tratta di emergenze che, negli ultimi dieci anni, hanno trovato molte soluzioni, molte delle quali ampiamente condivise. Allora, perché dovremmo attendere? Perché dovremmo attendere un altro dibattito su un altro omicidio, armato ancora una volta - magari tra meno di un anno - sempre dagli stessi terroristi?
Onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, e, soprattutto, ministro Pisanu, ciò che diciamo può essere strumentalizzato; ciò che facciamo o non facciamo nella nostra attività parlamentare quotidiana può andare incontro a diverse interpretazioni. Bisogna prenderne atto. E facciamo memoria di un terrorismo mai morto e anche delle sue vittime.
Il terrorismo non è, a mio avviso, un male che derivi solo ed esclusivamente dalla transizione. Non credo sia solo così. Consideriamo, piuttosto, le tensioni sociali, politiche ed economiche che - come il ministro Pisanu ha detto con grande chiarezza il 27 gennaio -, dall'11 settembre in poi e per molti anni, vivremo ancora, non soltanto nel nostro paese. Valutiamo come molte tensioni si sfoghino negli stadi sportivi. Ministro Pisanu, è stato lei, qui da noi,


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a dire ciò, qualche settimana fa. E non dimentichiamo le connessioni e le infiltrazioni ideologiche cui si assiste nei bar, ma anche nelle nostre famiglie. Sono segnali di un rigurgito barbaro nei rapporti tra le persone, limitato certamente ma in crescita anche nel nostro paese.
Perciò, la concordia va ricercata per il bene del paese. Il rispetto dell'altro e la pacatezza nel comunicare la passione politica che ci è propria devono essere i punti cardinali nell'azione, nell'iniziativa, nella ricerca del consenso politico ed elettorale. Niente avrebbe più valore, nemmeno il più grande sforzo di moderare la polemica, e tutto perderebbe di significato se ciò che è accaduto non inducesse ognuno di noi a prendere maggiormente coscienza di essere qui per rappresentare e per servire il popolo italiano. A mio avviso, non si può rendere onore a nessun caduto di questi anni senza un sussulto della nostra responsabilità. Ritengo che dobbiamo sempre emulare la loro testimonianza e il servizio da loro reso alla società ed alle istituzioni. Il loro senso del dovere e il loro buon esempio siano le nostre uniche e sole stelle polari (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Volontè, che è stato rigorosamente nei tempi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.
Per le esigenze televisive, di cui tutti siamo schiavi, la prego di stare proprio nei tempi, altrimenti finisce la diretta e diventiamo «indiretti».

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, anche la Lega nord Padania si unisce al cordoglio per il militare ucciso, Emanuele Petri, e per il militare ferito, Bruno Fortunato. È chiaro che questa è l'occasione nella quale il paese e le forze politiche si devono dimostrare massimamente unite a difesa delle istituzioni. Però questo non deve diventare un rituale, per cui è doveroso uscire dalla retorica che lo ha caratterizzato, almeno in parte fino adesso.
Noi oggi non abbiamo il compito di individuare i complici, i mandanti e i fiancheggiatori, ma di analizzare i fattori politici, sociali e storici della situazione attuale: noi speriamo vivamente che i terroristi siano isolati. Tuttavia, anche rispetto a quanto ha detto il ministro Pisanu su questi fenomeni di violenza e questa bassa eversività, non possiamo non sottolineare come alcune forze politiche presenti in questo Parlamento - mi riferisco ai Verdi, a Rifondazione comunista e a parte del «correntone» - siano estremamente vicine a quelle associazioni dei disobbedienti e dei centri sociali, a quella parte di queste associazioni che sono violente - questa è la verità dei fatti -, come queste forze politiche siano vicine ad alcune frange di sindacalismo che sicuramente non è un sindacalismo non violento, come li proteggano, come alcune volte facciano azione di istigazione rispetto ad azioni dimostrative (Commenti)...

LAURA CIMA. Vergognati!

ALESSANDRO CÈ. ...come giustifichino azioni al limite (Commenti)... Signor Presidente, chiedo di non essere interrotto.

PRESIDENTE. Colleghi, la tolleranza è una delle regole che esalta la democrazia. Vi prego, ognuno ha diritto di esprimere... (Commenti del deputato Deiana). Qui si esprimono le opinioni: ognuno le esprime con la sua libertà di espressione.
Prego, onorevole Cé.

ALESSANDRO CÈ. ...come giustifichino azioni che sono al limite dell'eversione.
Altri partiti dell'opposizione - mi riferisco all'onorevole Rutelli e all'onorevole Fassino - non fanno altro che produrre flebili dichiarazioni di condanna, spesso di principio, e non hanno mai una presa di posizione netta e di distanza da questi fenomeni, oppure si riducono al silenzio-assenso, facendo divenire loro portavoce l'onorevole Cento, che sappiamo essere molto vicino a questi movimenti (Commenti).


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L'opposizione in toto ha creato una pessima situazione puntando sulla delegittimazione della maggioranza e del Governo, minando in questo modo lo Stato di diritto e promuovendo «il tutto è lecito». A questo aggiungiamo una discrezionalità della magistratura, che è evidente a tutti, perché dimostra due pesi e due misure, dal momento che verso i reati di opinione della Lega ha usato la mano forte e verso le violenze di molti gruppi estremistici, sicuramente non terroristi, ma violenti, ha avuto una mano e un peso diverso (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania - Commenti del deputato Bettini).
Poi ci sono i mass-media - visto che è un intervento ad ampio raggio, mettiamo anche quelli - che amplificano la personalità di alcuni poco di buono, come Casarini, o come di alcuni cattivi maestri, come Toni Negri, facendoli diventare dei personaggi: ma l'informazione in questo paese è anche questa. Comunque, come risultato finale abbiamo un clima pessimo, un humus che istiga alla violenza ed ho sentito - anzi, non è la prima volta che lo sentiamo - che gli immigrati extracomunitari e irregolari del nostro paese potrebbero diventare bacino d'utenza per la futura guerra rivoluzionaria (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

GABRIELLA PISTONE. Ma Borghezio lo conosci? Borghezio è «roba» vostra!

ALESSANDRO CÈ. Abbiamo una situazione dove l'illegalità ormai è diffusa e c'è una tendenza all'impunità. Questo, per onore di chiarezza, non per polemizzare (Commenti), perché alla fine credo che dovremmo essere tutti uniti; però la retorica e l'ipocrisia hanno un limite. Chiaramente, io credo e spero che non vengano fatti gli errori - già nominati da La Russa - che hanno caratterizzato gli anni di piombo, ossia la sottovalutazione del terrorismo.
Sono d'obbligo alcune domande. Quali sono gli obiettivi più a rischio del terrorismo e come mai lo sono? Il Ministero del lavoro e tutti coloro che lavorano per un cambiamento in senso riformista e progressista. Allora, dalla parte dell'opposizione ci sarebbe piaciuto sentire qualche volta una presa di distanza, una legittimazione dell'alternanza di Governo - cosa che non è mai stata fatta -, rispettando le scelte della Casa delle libertà sul campo delle riforme nel settore del lavoro: questo non è mai avvenuto.
In quali bacini si pesca, si recluta il terrorismo? È chiaro che noi non possiamo rispondere a questa domanda, credo pero' che risulti abbastanza evidente una certa vicinanza - non sicuramente una contiguità - tra le frange estreme dei movimenti e delle associazioni nei confronti del terrorismo. Per questo motivo rivolgiamo al Governo l'invito a monitorare con grande fermezza ed approfondimento - attraverso tutti gli strumenti investigativi - quelle frange che potrebbero risultare pericolose.
La terza domanda che ci poniamo - forse la più importante - è come mai solo in Italia resista il terrorismo, lo stesso che, impiegando la giusta energia, è stato debellato dappertutto. Allora ci viene il dubbio che forse in Italia sia ancora presente una logica, una matrice ideologica che, in qualche modo, supporta, rende possibile, indica la strada a certi giovani che, magari, non essendo sufficientemente maturi fanno sfociare le loro attività nella violenza. Noi abbiamo questo timore e crediamo che il terrorismo nel nostro paese non sia stato debellato per la troppa tolleranza mostrata dal centrosinistra verso questi fenomeni di bassa eversività.
Vi è stata troppa tolleranza nei confronti dei cattivi maestri, un buonismo sic et simpliciter ed un buonismo ideologico. Tutto ciò ha permesso che mai fosse chiesta l'estradizione per i terroristi rifugiati in Francia e che molti ex terroristi - magari non pentiti - siano già liberi, pur avendo ucciso e distrutto intere famiglie. Questo è avvenuto per la persistenza - l'ho ricordato in parte all'inizio del mio intervento - di una sola ideologia - sostenuta dal centrosinistra - legittimata ad esistere: fondamentalmente quella comunista


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o la nuova versione cattocomunista. In nome di tale ideologia, se non legittimati, possono almeno essere tollerati i comportamenti violenti e illegali di chi vuole, in qualche modo, stracciare le regole democratiche di convivenza sociale.
È chiaro che noi chiediamo a tutti i colleghi - di destra, di sinistra, di centro, dell'opposizione così come della maggioranza, ma in primis ai colleghi dell'opposizione - di superare lo steccato delle ideologie del passato - il comunismo in particolare - nefaste e seminatrici di morte. Bisogna dichiarare tutti assieme guerra al terrorismo, senza zone d'ombra, senza distinguo e senza timori per essere davvero uniti una volta per tutte a difesa della democrazia e delle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di rispettare i tempi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, voglio esprimere la nostra commossa vicinanza al dolore dei familiari e dei colleghi dell'agente della polizia ferroviaria Emanuele Petri, barbaramente ucciso nel conflitto a fuoco di domenica scorsa. Giunga inoltre la nostra più sincera solidarietà all'agente Bruno Fortunato ferito nello stesso agguato.
È dunque tornata tra noi l'ombra sinistra di un protagonista già sconfitto, ripudiato dalla coscienza democratica del nostro paese, scacciato dal recinto della lotta politica e sociale, un attore, isolato e violento, che recita un copione ormai fuori tempo e fuori luogo. È l'ombra del terrorismo, che compie le sue gesta nel più dogmatico rifiuto del valore fondativo della vita - persino, come tragicamente si è visto su quel treno, della propria vita -; quella vita che segna il discrimine invalicabile, ma anche il senso della mobilitazione crescente di moltitudini di uomini e di donne che si oppongono alla falsa fatalità della guerra infinita.
Un gruppo di sopravvissuti - biografie note del residuo di una stagione in cui il partito armato portò in un vicolo cieco tante esistenze ed occluse pesantemente lo sviluppo della nostra democrazia - torna a giocare la propria carta disperata, quella di mettere l'omicidio politico al centro del conflitto sociale. Ciò, senza riuscire ad accorgersi, non solo del proprio totale sradicamento da qualunque movimento sociale, ma anche della propria irriducibile estraneità ed alterità rispetto a quel conflitto sociale che vive nella partecipazione di massa, nel protagonismo collettivo e non violento, nella disubbidienza civile.
Signor ministro, quella disobbedienza - vorrei ricordarlo sommessamente agli smemorati - non è una sovversione a bassa intensità, ma è il seme di una storia nobile di testimonianza corale, ma anche individuale, che ha segnato ogni epoca ed ogni territorio. Noi imparammo da don Lorenzo Milani che l'obbedienza non è più una virtù e sentimmo in quella sfida l'eco delle lotte dei braccianti poveri che occupavano le terre incolte nel nostro sud, nel dopoguerra. Ritrovammo un filo che lega assieme tante storie e tornammo persino a rileggere la parabola di Antigone, antesignana classica della disobbedienza.
Era un disobbediente, signor ministro, il giovane che, a mani nude, tentò di fermare quel carro armato a Tien An Men. Disobbedirono in massa giusto sessant'anni fa gli operai della FIAT a Torino in quel 5 marzo del 1943 che schiuse il tempo di una nuova coscienza nell'Italia prigioniera del fascismo.
Chi non vede o non vuole vedere queste verità elementari, chi continua, come ha fatto adesso il capogruppo della Lega, a rimestare nel torbido delle calunniose sovrapposizioni fra terroristi e movimenti, chi fa la comoda equazione tra violenza e disobbedienza, chi va meschinamente cercando nei decibel dello scontro politico e sociale le ragioni di quegli spari, non solo pecca di cinismo e di strumentalità, ma offre agli ultimi scampoli brigatisti un ruolo ed una copertura che essi non hanno. Diciamo che compie un depistaggio di quelli che hanno reso difficili le indagini


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sulla morte di D'Antona e poi di Biagi e che hanno partorito polveroni giudiziari destinati sempre a sgonfiarsi alla verifica dei fatti.
Forse, signor ministro, insieme al numero degli arrestati avrebbe fatto bene a dare anche il numero di quelli che sono stati scarcerati perché quelle inchieste si sono rivelate clamorosi buchi nell'acqua. Mentre si costruivano con l'ausilio dei suggestivi oroscopi dei servizi segreti teoremi che, magari, servivano ad occultare il cattivo coordinamento tra organi investigativi, su quei delitti e sui loro autori calava un buio fitto.
Ora vi è un po' di luce, ma qualcuno tra voi preferisce le tenebre e torna a disseminare il percorso della giustizia di veleni ed il terrorismo viene così caricato sulle spalle del sessantotto, persino della regione Toscana e poi, addirittura, sulle fragili spalle del cosiddetto indultino. Tutto fa brodo, pur di piegare un'immensa emozione della pubblica opinione a fini di bottega.
Eppure, anche voi sapete che la crescita del movimento è l'antidoto più efficace al terrore, che il movimento è l'antagonista naturale di quel delirio armato che, viceversa, sopravvive nella propria separatezza sociale, nella propria patetica autoreferenzialità. Ma voi continuate ad essere tentati dal vizio della calunnia.
Su questo terreno continuate a sbagliare analisi e giudizio perché le lotte a carattere planetario dei nuovi movimenti non saranno neppure scalfite dai proclami, dalle gesta e dalle strumentalizzazioni che ruotano attorno al brigatismo. Noi non entreremo nel gioco della reciproca diffamazione, anche se i tanti buchi neri nelle inchieste di questi anni forse ce lo consentirebbero e vi sfideremo, anche contro il riemergere di spinte emergenzialiste, a non smarrire ulteriormente i principi dello Stato di diritto, il primato delle garanzie e delle libertà, la lezione di una civiltà giuridica e democratica che ci chiede di compiere un atto di clemenza che volga lo sguardo al dolore del carcere. Qui vi è la forza di una democrazia, invece la vendetta tradisce una debolezza di fondo.
Signor ministro, noi teorizziamo e pratichiamo il conflitto sociale come alternativa radicale a questa società ed alla sua violenza. Desideriamo una lotta che disarmi e umanizzi; i revolver li sentiamo sempre puntati contro di noi e contro la speranza.
Lavoreremo per far crescere il movimento contro la guerra e contro il liberismo, con la serena determinazione di chi, con la democrazia, cerca di sbarrare il passo ai professionisti del terrore ed anche ai professionisti della calunnia. Noi risponderemo alla violenza con la non violenza, alla spirale di guerra con la mobilitazione per la pace, alla cultura della morte con la cultura della vita, all'obbedienza verso un ordine sociale feroce con la pratica della disobbedienza.
Questa è la nostra strada, il nostro impegno, la nostra passione civile (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.

ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, per chi come me ha conosciuto il drammatico periodo del terrorismo della seconda metà degli anni '70 e la costruzione di quell'imponente movimento di massa che lo aveva sconfitto, la tragedia del treno per Arezzo evoca immediatamente i rischi che corre la nostra democrazia ed, in ogni caso, il bisogno di una dura ed immediata azione di contrasto per evitare ogni sua contaminazione, attraverso l'estirpazione immediata della violenza terroristica. Ma la prima cosa è il cordoglio: l'omicidio di un agente della Polfer aggiunge alla terribile lista delle vittime dei terroristi il nome valoroso di Emanuele Petri, l'ultimo di una serie infinita, iniziata in altra epoca; una lista segnata dall'uccisione, giusto venticinque anni fa, di Aldo Moro e, fra gli altri, dal sangue del nostro compagno


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Guido Rossa. Dalle indagini emerge un groviglio da sciogliere con sobrio discernimento, cercando di cogliere i fili che forse collegano Nadia Lioce e Mario Galesi a Marco Biagi e a Massimo D'Antona. Soltanto uno sprovveduto non coglie l'esistenza di un ambiente torbido che, in contesti storici sia pure diversi, continua ad operare nel nostro paese, perché questo nostro paese ha una posizione strategica nel quadro geopolitico mondiale.
Va fugata quell'ombra che ha segnato la storia della nostra democrazia per anni e che non è ancora del tutto dissipata, fatta di vere e proprie latitanze, se non di connivenze, degli apparati dello Stato nel perseguire comportamenti terroristici giocati puntualmente nei momenti alti di crisi della politica e di esasperazione del conflitto sociale.
C'è di nuovo, come dopo l'omicidio di Marco Biagi, una speculazione politica sordida che avvelena il clima. È già partita la caccia alla connessione oggettiva, si dice, tra questo o quel movimento di terroristi senza lo straccio, non dico di una prova, ma quanto meno di una logica. Sfugge invece che un grande movimento di massa che opera per la pace e per la solidarietà è il migliore deterrente contro il terrorismo.
Va ricordato: il sottosegretario Tortoli dichiara poche ore dopo l'omicidio che la Toscana è un buco nero della democrazia occidentale. Roberto Calderoli, Vicepresidente del Senato, indica nella sinistra lo schieramento politico di appartenenza dei terroristi. Un uomo da sempre vicino all'estrema destra, Enzo Fragalà, socializza i suoi deliri contro il terrorismo comunista e le responsabilità del centrosinistra. Mario Borghezio, l'amico di forza nuova, accusa i magistrati.
Un comportamento, signor ministro, che dà la misura della lacerazione di quel tessuto unitario grazie a cui aveva retto lo Stato davanti all'assalto terroristico degli scorsi decenni. Costoro rifiutano e rinnegano quel patrimonio di unità delle forze democratiche che ci aveva consentito di vincere la sfida sanguinosa.

FEDERICO BRICOLO. Pensa al tuo di passato (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!

ARMANDO COSSUTTA. Il ministro Pisanu per sua e nostra fortuna...

PRESIDENTE. Onorevole colleghi, cerchiamo di fare silenzio.

ARMANDO COSSUTTA. ...non è Calderoli, Borghezio o Tortoli, anche se, mi permetta, in questa circostanza drammatica poteva risparmiarsi i proclami trionfalistici, corretti opportunamente nel suo discorso in questa seduta.
Le certezze propagandistiche non servono. Davanti alla morte di Emanuele Petri ci vuole riserbo giusto e ci vuole più lavoro. In silenzio. È molto americano dichiarare un successo che non c'è o non c'è ancora. Non serve dire: li prenderemo sicuramente. Preferiremmo ascoltare: finalmente li abbiamo presi.
Concludo. Il crimine dei terroristi è l'ennesimo loro atto di barbarie. Non vi sono parole adeguate di condanna. Ribadisco quanto ho sempre sostenuto: il terrorismo colpisce la vita e colpisce la democrazia. La battaglia contro la violenza di chi sceglie, seguendo oscuri percorsi, la via delle armi deve continuare senza incertezze e, nello stesso tempo, la battaglia per la pace, per i diritti dei lavoratori, per il rinnovamento democratico e per il progresso sociale del paese deve svilupparsi con crescente e pacifica determinazione (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Intini che ha a disposizione soltanto quattro minuti, ma sono sicuro che li amministrerà molto bene.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, troppo spesso i dibattiti sui giornali e i dibattiti


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politici seguono esattamente gli schemi di trent'anni fa, quelli di fronte al terrorismo nascente. Dispiace dirlo: tutto già visto, già sentito.
È disperante, perché dà l'immagine di un paese invecchiato in mezzo ai rancori, alla mancanza di spirito critico e autocritico, incapace di rinnovarsi, a destra come a sinistra. Peggio: ci ricorda che l'Italia è l'unico paese occidentale dove il terrorismo rosso è non più un reperto archeologico, ma una minaccia attualissima.
Risparmiamo dunque la retorica, le polemiche e le strumentalizzazioni. Risparmiamo ai nostri giovani giornalisti e giovani politici di addentrarsi in dispute già penosamente sviluppate dalla generazione che li ha preceduti.
A destra si smettano di attribuire alla politica della sinistra, al suo presunto estremismo o lassismo responsabilità per le azioni criminali. Si smetta di confondere le parole con le pallottole, si smetta di spingere verso uno Stato illiberale o repressivo, tale non da isolare il terrorismo, ma da fornire nuove leve e nuovi alibi al terrorismo. In questo senso, mi rassicurano le parole del ministro dell'interno, non quelle del capogruppo della Lega.
A sinistra si smetta di pensare che i terroristi nascano dal nulla e si acquisisca fino in fondo una moderna cultura di governo, che impone la lotta alle illegalità, piccole e grandi, di colore politico e non. È una lotta senza se e senza ma, che impone il riconoscimento delle radici storiche, sociologiche e culturali del terrorismo rosso - che ci sono e sono ben note -, che impone un linguaggio pacato, come abbiamo sentito oggi dai banchi della sinistra, perché le esagerazioni dei retori, le loro invettive moralistiche che trasformano l'avversario in nemico, sono gli eccessi di tromboni della politica e della cultura invecchiati male. Noi lo sappiamo, ma qualche giovane può scambiarle per giustificazioni all'eversione.
Riconosciamo tutti insieme però un forte grado di inefficienza nella prevenzione e nella repressione. Inefficienza - bisogna dirlo, signor ministro - che si è manifestata con i Governi di sinistra e di destra. Una ragione fra le tante è che le indagini devono essere centralizzate e altamente sofisticate, come è ovvio. Oggi invece, se le brigate rosse uccidessero, ad esempio, ad Aosta, le indagini sarebbero affidate ad un magistrato neolaureato e inesperto di Aosta, e questo è assurdo. Occorre allora o affidare ad una struttura speciale di polizia e carabinieri la guida delle indagini oppure affidarla ad una superprocura di magistrati esperti e specializzati. Ma qui si picchia nuovamente la testa contro la crisi irrisolta del sistema giudiziario.
Nel primo caso, infatti, si passerebbe ad un sistema diverso, dove le indagini sono guidate non più dalla magistratura bensì dalla polizia. Nel secondo caso - che mi pare ora da perseguire - avremmo un organismo di magistrati trasformati in poliziotti. Ma la logica conseguenza sarebbe una ulteriore spinta verso la separazione tra la carriera dei magistrati inquirenti e quella dei magistrati giudicanti, tra quella dei magistrati costretti a diventare talvolta aggressivi poliziotti e quella dei magistrati tenuti a restare sereni applicatori della legge.
Tale separazione per questa ed altre regioni è considerata necessaria dai Socialisti democratici italiani che rappresento.
Purtroppo non si scappa: di fronte a qualunque grave problema del paese ci si scontra con la necessità di riformare il sistema giudiziario; il che richiede, tuttavia, ancora una volta, non la rissa tra maggioranza ed opposizione, bensì la collaborazione sui temi di garanzia e sicurezza, vitali per la nazione; una collaborazione che gli opposti estremismi chiamano «inciucio» e che il Presidente della Repubblica chiama giustamente, invece, doverosa legittimazione tra maggioranza ed opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato, il quale ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, la solidarietà dei Verdi e di tutti i democratici ai familiari ed ai colleghi di Emanuele Petri ed al ferito Bruno Fortunato è profonda ed incondizionata e si accompagna al dolore ed all'indignazione unanimi per il brutale assassinio ed il tentato omicidio.
Nella totale condanna del terrorismo politico, esprimiamo umana pietà - ha fatto bene, signor ministro, ad esprimerla anche lei - anche per la morte di Mario Galesi, un uomo che, in nome di una disumana ideologia rivoluzionaria, della morte altrui aveva fatto una propria cinica ragione di vita; una vita disperata, che si è conclusa con una morte insensata.
Sono passati 25 anni dal sequestro di Aldo Moro e dall'assassinio della sua scorta. Non dimentichiamo che il 21 aprile 1978, perfino un Papa, Paolo VI, che di Moro era amico fin dai tempi della giovinezza, aveva avuto il coraggio umano e cristiano di rivolgere un estremo appello «agli uomini delle brigate rosse», un appello rimasto inascoltato perché il 9 maggio Aldo Moro fu assassinato.
È passato un quarto di secolo da allora. Le brigate rosse, il terrorismo di sinistra e di destra, sono stati sconfitti, non solo militarmente ma anche politicamente ed umanamente. Niente e nessuno riuscirà mai più a ridare forza e centralità al loro disperato progetto politico e criminale, seminato di sangue, di dolore e di morte.
Ha fatto bene, giovedì scorso 27 febbraio, l'insigne giurista Pietro Ichino, a tentare ancora una volta, dalla prima pagina del Corriere della Sera, di rivolgersi direttamente ai terroristi in nome della ragione e dell'umanità. Le sue parole intelligenti e coraggiose sono un seme che darà frutto e sono anche la testimonianza dell'incolmabile superiorità culturale ed etica di uomini come Tarantelli, Conti, Ruffilli, D'Antona, Biagi e purtroppo di molti altri come Emanuele Petri, nei confronti dei loro assassini.
Purtroppo, signor ministro, ci saranno ancora attentati delle brigate rosse e di altre formazioni terroristiche. Ma, ciò che resta ancora oggi del terrorismo politico (un fenomeno ancora pericoloso, è vero, ma residuale rispetto agli anni settanta ed ottanta) verrà sconfitto non solo da un'intelligente ed efficiente prevenzione e risposta di polizia e giudiziaria, ma anche dalla capacità di riaffermare sempre, di fronte ai cittadini ed agli stessi terroristi, la superiorità delle ragioni della forza della democrazia politica e della convivenza civile.
Di fronte a qualche sconsiderata dichiarazione - di cui poco fa ha dato un vergognoso esempio l'onorevole Cè della Lega - di chi ha cercato di collegare i grandi movimenti sociali per il lavoro e per la pace alla disperata «riemergenza» terroristica, ha fatto bene il Presidente del Senato, Marcello Pera, a ricordare a tutti che «non è la contestazione il nemico della democrazia, bensì la sopraffazione, la violenza, l'omicidio».
Lo Stato di diritto, uno Stato democraticamente forte, sa dimostrare la propria superiorità ed anche la propria legittima forza quando sa combattere e sconfiggere i terroristi non limitando le libertà democratiche, ma creando una grande unità politica sociale e culturale nel respingere, isolare e sconfiggere la lotta armata e la violenza politica, ed anche quando sa riconoscere la forza e la legittimità democratica dei grandi movimenti sociali.
Ed anche i movimenti sociali daranno il più grande contributo alla lotta contro il terrorismo politico, sapendo sempre erigere, con la non violenza, un baluardo insormontabile tra essi stessi e qualunque forma non solo di lotta armata, ma anche di violenza politica. È stata questa la tragica lezione degli anni settanta e ottanta: è una lezione che nessuno - né lo Stato né le forze politiche e sindacali né i movimenti sociali - dovrà mai più dimenticare; è una grande lezione di democrazia che, rendendo onore a Emanuele Petri ed a tutte le vittime innocenti, permetterà all'Italia di sconfiggere il terrorismo ed


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ogni logica di violenza, di guerra e di morte (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisicchio. Nel rammentargli che dispone di quattro minuti, a causa del problema al quale ho accennato (che pare insolubile), gli rivolgo l'invito ad attenersi ai tempi stabiliti. Prego, onorevole Pisicchio.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, l'inquietante coincidenza di ricorrenze che l'ennesimo atto di terrorismo ci costringe a registrare rappresenta una macabra modalità di evocare venticinque anni di vita civile del paese collegati, tutti, dal filo rosso del sangue di innocenti.
Tanto, infatti, è passato dalla strage di via Fani e dal rapimento di Moro che, allora come oggi, lasciarono attonita l'Italia democratica e pacifica in una fredda giornata di marzo. Da allora ad oggi, un tragico rosario sgranato con meticolosa ed allucinante puntualità ad ogni primavera! Alcuni nomi: Tarantelli, a marzo del 1985; Ruffilli, ad aprile del 1988; D'Antona, a maggio del 1999; Biagi, a marzo del 2002; marzo 2003: Emanuele Petri!
Il grande dolore ed il cordoglio per l'ennesima vedova e gli ennesimi orfani di uomini delle forze dell'ordine sacrificati in questa ignobile ed insensata guerriglia non possono esimerci dal dovere della politica. C'è, infatti, un filo di continuità tra le nuove brigate rosse ed il terrorismo del passato. È una continuità che si veste di derive ideologiche stantie, di parole d'ordine vomitate dal passato, di bersagli cercati all'interno di un operaismo libresco che era già morto negli anni ottanta! C'è anche una grande discontinuità nelle nuove esperienze del terrorismo: l'isolamento estremo che i nuovi guerriglieri del nulla scontano nel paese, un isolamento che non trova attenuazione nelle viscere di una sinistra estremista.
Sbaglia chi immagina di imputare al clima indotto da una certa sinistra antagonista - il movimentismo no global, per intenderci - una qualche responsabilità oggettiva! Non è più stagione di giustificazionismi, neanche da parte delle retrovie estremistiche, così come non c'è corrispondenza tra azioni terroristiche e colore del Governo: il Ministero del lavoro di Bassolino non fu meno colpito di quello di Maroni.
No, non è tempo, questo, di divisioni capziose: è il momento dell'unità della politica, di tutte le forze politiche, contro chi minaccia la sicurezza e la democrazia! Dobbiamo contrastare la minaccia del terrorismo italiano con mezzi adeguati. Dobbiamo fare tesoro delle esperienze migliori che lo Stato ha saputo registrare nella lotta alla malavita. Pensiamo alla svolta avutasi nella lotta alla mafia con l'istituzione della procura nazionale. È, forse, giunta l'ora di pensare ad una soluzione analoga anche per razionalizzare l'azione di contrasto al terrorismo. Una procura nazionale antiterrorismo potrebbe rappresentare, oggi, la risposta più moderna ed efficace ad un pericolo che non si è mai completamente estinto.
Crediamo ancora, signor ministro, che la politica debba e possa rappresentare la risposta migliore all'antipolitica del terrore, affinché le nuove primavere italiane non siano più bagnate dal sangue degli innocenti (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

CHIARA MORONI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, mentre va alle famiglie Petri e Fortunato la solidarietà non rituale dei socialisti, mi corre l'obbligo di ringraziarla per la puntuale e lucida informativa.
Ella, signor ministro, ha tracciato un quadro assai preoccupante; senza drammatizzare, lei, tuttavia, ha delineato con


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grande chiarezza la questione del terrorismo, questione molto seria per il nostro paese: per nessuna ragione dobbiamo sottovalutarla.
Il dibattito di oggi dimostra, chiaramente, l'impegno delle istituzioni, di tutte le forze politiche. Di fronte alla follia del terrorismo infatti la migliore risposta è quella di rinsaldare la coesione politica e la difesa delle istituzioni democratiche.
Di fronte ad un altro tragico episodio, che vorrebbe riportare indietro le lancette della storia del nostro paese, quelle degli anni bui del terrorismo con le tragedie e la catene di omicidi che ne seguì, occorre lavorare affinché non sia lasciato alcuno spazio, sia pure indiretto ed inconsapevole, al fenomeno terroristico e ad una sua possibile riorganizzazione.
Con la cattura di una nota terrorista, si è inferto un duro colpo alla ricostruzione di nuclei organizzati del brigatismo rosso. E, tuttavia, sarà bene non sottovalutare tutti quegli episodi di violenza politica minore che, sia pure in forma diversa e di per sé non riconducibili al metodo classico del terrorismo, si sono ripetuti in questi ultimi mesi contro alcuni obiettivi, per così dire, simbolici per la matrice terroristica: mi riferisco alle sedi sindacali ed a quelle delle agenzie di lavoro interinale.
Tale terrorismo ha, indubbiamente, le sue radici nei fremiti finali del terrorismo degli anni '80 e '90, quando si ritenne che fosse definitivamente sconfitto; ne vanta la continuità, ma a differenza di allora non ha quel retroterra, così ampio di connivenze, che ne caratterizzò in forma tanto acuta la radice sociale, la ferocia, la follia deformante, l'astrazione ideologica, coniugata con le azioni armate.
Gli omicidi D'Antona e Biagi, i possibili nuovi obiettivi, dimostrano, tuttavia, che a differenza di ieri il terrorismo trae spunto, in modo particolare, dal dibattito e da ciò che avviene nel mondo del lavoro, di chi se ne occupa istituzionalmente o con la specificità dello studioso.
Sappiamo tutti che questo è un mondo che presenta di per sé delle conflittualità e delle asprezze; ma la conflittualità sociale, od il confronto anche forte tra le parti politiche e sociali, sono, come è evidente, tutt'altra cosa dalla follia degli agguati armati.
Nella loro tragica devianza, queste cellule neobrigatiste si sono incuneate proprio in questo confronto, nella speranza, ovviamente vana ed illusoria, di allargare il proprio consenso.
Le ore inquiete, che stiamo vivendo sul piano internazionale, aprono delle ricadute inevitabili sul piano interno, e si aprono degli spazi per chi vuole strumentalizzare le legittime lotte di opposizione democratica.

PRESIDENTE. Collega Moroni, deve concludere.

CHIARA MORONI. Proprio per tali ragioni, penso sia necessario compiere ogni sforzo in più affinché, non solo e non soltanto in tali materie, il confronto dialettico tra le parti sociali e tra le forze politiche si muova nell'ambito e nei limiti della condivisione dei ruoli, degli spazi politici e delle regole democratiche, evitando ogni accenno e tentativo di ideologizzare o estremizzare le polemiche o le posizioni.
Come in passato, le forze democratiche, ed ancor più, le forze e le culture di radice riformista, sapranno prevalere nella politica, nel movimento sindacale, fra i partiti democratici, e nel paese.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sul tragico episodio avvenuto sul treno Roma-Arezzo, che è costato la vita al sovrintendente della Polfer Emanuele Petri, e sullo stato della lotta al terrorismo.
Ringrazio il ministro ed i colleghi intervenuti nel dibattito. Sospendo brevemente la seduta.

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