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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge collegato: Delega al Governo in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; già articolo 6 del disegno di legge n. 2031, stralciato con deliberazione dell'Assemblea il 12 febbraio 2002.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la X Commissione, onorevole Polledri.
MASSIMO POLLEDRI, Relatore per la X Commissione. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, è questo il secolo delle biotecnologie? È questo il secolo che decreterà in modo definitivo la fine dell'era industriale? Queste sono le domande che ci siamo posti in Commissione; sicuramente, si tratta di domande ambiziose e importanti riguardanti un periodo futuro di cui intravediamo l'ombra, le promesse, i pericoli. Per questo motivo la Commissione si è concessa un determinato spazio di tempo; abbiamo voluto riflettere su quello che rappresenterà per l'umanità un secolo fondamentale e come rappresentanti del popolo abbiamo voluto discutere sul futuro di quest'ultimo.
Riguardo alle promesse e ai pericoli sicuramente bisogna rispondere a delle domande. Avremmo potuto liquidare tutta la discussione parlando del brevetto, parlando esclusivamente della proprietà intellettuale: in questo senso, il disegno di legge recepisce tutta la normativa internazionale. Potevamo limitarci a parlare solamente del brevetto e, pertanto, non dell'applicazione delle invenzioni ma, a mio giudizio, abbiamo fatto il nostro mestiere, abbiamo dato un importante contributo.
In precedenza parlavo di promesse e di pericoli; grazie alle biotecnologie potremo combattere le malattie: cellule staminali da cordone ombelicale, cura delle leucemie dei bambini, cellule staminali da midollo osseo, autotrapianto di cellule emopoietiche, terapie per la talassemia, cellule staminali cutanee per curare malattie, neoplasie e infezioni cutanee, ricostruzione del midollo spinale danneggiato da traumi fisici.
Dal recente congresso di Assobiotec ne è risultata come una possibilità già presente sugli animali da esperimento; è una grossa speranza, ma non è così semplice perché intravediamo alcuni pericoli concreti nella storia di questo secolo biotech. Vi sono, per esempio, quelli, già verificatisi altrove, della pirateria biologica o del biocolonialismo. Ci ricordiamo, infatti, di quanto accaduto in alcuni paesi (quelli del sud del nostro pianeta) con riferimento alla cosidetta pianta neem che cresce in India; è considerata come l'albero benedetto perché cura tutti i dolori e tutti i mali (ha una proprietà estremamente superiore a quella del DDT). Ebbene, aggirando il diritto naturale ad utilizzare questa pianta, la WR Grace, che ha brevettato l'azadiractina ha, in qualche modo, messo delle ipotetiche al riguardo. Vi sono poi i
cosiddetti cacciatori di geni presenti in molti paesi del mondo (è già accaduto con la pirateria biologica): è il caso dell'isola Tristan Da Cunha, nella quale è stato preso il materiale biologico di 300 persone per studiare una predisposizione particolare all'asma. Si tratta, quindi, di pericoli ben presenti, di pericoli sul consenso.
Ricordiamo, inoltre, il famoso caso di John Moore, cittadino americano al quale venne prelevato un tessuto della milza; ne è derivata una linea cellulare staminale che costa tre miliardi di dollari. Si pone, quindi, un problema di diritto di proprietà, ma anche quello di una condivisione e di un legittimo consenso. Noi crediamo che, tecnicamente, il provvedimento al nostro esame sia andato incontro ad esigenze fondamentali, tenendo ben presenti anche quelle dell'industria. Ricordiamoci che l'industria italiana versa in un momento particolare. L'Europa ci dice che le biotecnologie rappresentano uno dei momenti fondamentali. Nella risoluzione del Parlamento europeo sul futuro dell'industria della biotecnologia l'invito a favorire la nostra industria è rivolto chiaramente a tutti i governi. Ebbene, per quanto riguarda la ricerca scientifica, oggi solamente lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo (è, forse, il valore più basso rispetto a quello degli altri paesi) viene devoluto in investimenti in biotecnologie rispetto, ad esempio, al Belgio (13,8 per cento) e al Canada (10,1 per cento). Eppure, vi è una certa presenza di cervelli in questo settore!
Dalle pubblicazioni in termini di biotech e di microbiologia, si riscontra che circa il 2,1 per cento di tutte le pubblicazioni provengono da ricercatori italiani in Italia, senza considerare tutti gli altri che - ahinoi - stanno compiendo il loro mestiere in altri paesi. Quanti brevetti oggi sono stati presentati presso l'EPO dall'Italia? Circa il 4,8 per cento. Si tratta di una percentuale di aumento minima e, pertanto, le prospettive dell'industria possono essere sicuramente rilanciate con l'approvazione di tale provvedimento.
Ricordavo - su tale aspetto si soffermerà, con un'attenzione ai particolari tecnici, il collega Stagno d'Alcontres - che si tratta di un provvedimento che ha preso in considerazione principi fondamentali: in particolare, il principio fondamentale della non brevettabilità della vita umana. Nell'articolo 1, al comma 2, rispetto al primo prospetto del Governo abbiamo ampliato il quadro di riferimento. È stata invocata la convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano con riferimento all'applicazione della biologia e della medicina svolta ad Oviedo il 4 aprile del 1997. Ebbene, i paesi che l'hanno approvata non sono tanti: Italia, Spagna e Grecia l'hanno già ratificata; il Belgio, la Finlandia ed altri paesi non l'hanno ancora ratificata, pur avendola sottoscritta; infine, altri paesi non sono ancora questo punto.
Credo che per quanto riguarda la vita occorra prestare una particolare attenzione e pertanto predisporre l'esclusione dalla brevettabilità di tutti i procedimenti che abbiano luogo sull'embrione: abbiamo voluto precisare anche la non brevettabilità delle linee cellulari staminali ed embrionali umane. Credo che la vita umana sia un principio non disponibile e pertanto l'embrione umano non può essere utilizzato come mezzo per qualunque finalità, proprio perché non disponibile.
Potremo sicuramente aprire una discussione sull'embrione e sui diritti dell'embrione; da parte di qualcuno si sostiene che l'embrione non abbia diritto in quanto si tratta di un essere di pochi centimetri. Personalmente, credo che il diritto non risieda nella dimensione del soggetto, bensì nel principio che deve essere tutelato. Pertanto, si tratta di una normativa e di un articolato estremamente garantisti anche rispetto a quei diritti dei paesi del sud del mondo, che tutti, a parole, sosteniamo di voler sostenere e che vediamo concretamente lesi dall'azione di altri paesi. Per esempio, non potrà esserci pirateria biologica perché è previsto, alla lettera i), l'obbligo di precisare la provenienza del materiale biologico di origine animale o vegetale; all'atto della richiesta di brevetto, è previsto che venga dichiarato,
e che venga pertanto consentito di appurare, il rispetto della legislazione di accesso e di esportazione, anche in relazione al tipo di organismo. Non sarà possibile brevettare la vita, in quanto la sequenza di Dna o la sequenza parziale dovrà essere accompagnata dall'indicazione e dalla descrizione della funzione utile alla valutazione del requisito e dall'applicazione industriale.
Inoltre, la funzione corrispondente deve essere specificamente rivendicata. Pertanto, non sarà possibile brevettare in termini troppo ampi e non sarà possibile, per esempio, l'errore che è stato commesso nella brevettazione delle cellule del cordone ombelicale, dove, di fatto, un brevetto europeo ha portato ad escludere l'utilizzazione del sangue del cordone ombelicale. Questi errori non saranno più possibili, almeno nel nostro paese.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che i diritti dell'individuo, ma anche quelli legati alle biodiversità siano questione rilevante. Il Governo sta portando avanti una battaglia per la biodiversità e per il diritto dei cittadini di vedere riconosciuta una tracciabilità. L'attenzione che è opportuna nei confronti degli organismi geneticamente modificati rappresenta, in qualche modo, un elemento di precauzione contenuto nel provvedimento e credo sia in linea con il principio di precauzione.
Oggi, effettivamente, l'Organizzazione mondiale della sanità afferma che non è dimostrata in alcun modo la pericolosità degli organismi geneticamente modificati. Noi però ci atteniamo al principio di cautela ed al principio di precauzione: sappiamo che la non pericolosità, soprattutto in termini di biodiversità, è ancora tutta da dimostrare; pertanto, a mio giudizio, nel provvedimento vi sono sufficienti elementi di cautela.
Concludo. La fine dell'era industriale, probabilmente, aprirà - si è già aperto - questo nuovo secolo. Dopo cinque secoli ci affacciamo al secolo delle biotecnologie e dopo tremila anni, in qualche modo, si chiude il periodo del fuoco, quello che Platone nel Protagora aveva cominciato e descritto. L'umanità ha sicuramente nelle sue mani un altro strumento per combattere le malattie e la fame nel mondo; questo è un semplice tassello, ma è un tassello importante che vogliamo cogliere.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la XII Commissione, onorevole Stagno d'Alcontres.
FRANCESCO STAGNO d'ALCONTRES, Relatore per la XII Commissione. La ringrazio, signor Presidente. Io vorrei anche entrare nel merito del provvedimento, giacché dal punto di vista dei principi il collega Polledri è stato particolarmente chiaro.
Si tratta di un provvedimento particolarmente complesso perché si trasferiscono anche principi etici alle applicazioni della scienza, si cerca di regolamentare qualcosa di veramente complesso, qualcosa che riguarderà il futuro benessere dell'umanità e, in particolare, delle popolazioni sottosviluppate. Quindi, si tratta di un provvedimento che in atto presenta una rigidità giuridica ma che, nel tempo, ritengo dovrà assumere una certa flessibilità per il progresso della scienza.
Rispetto agli Stati Uniti d'America, l'Europa si pone in una situazione di grandissimo rigore. Dobbiamo pensare che in America non vi è una netta distinzione tra scoperta e invenzione, mentre l'Europa diversamente definisce la scoperta come qualcosa che appartiene alla conoscenza e l'invenzione come qualcosa che appartiene all'applicazione della scienza. Vi è, quindi, una netta distinzione nell'affrontare questa direttiva, sia nell'applicazione dei principi etici sia nell'accostamento che è completamente diverso, giacché, come dicevo, negli Stati Uniti non vi è una netta distinzione tra scoperta e invenzione.
Devo dare atto che tutte le forze politiche presenti in Parlamento hanno contribuito in maniera veramente costruttiva all'elaborazione del provvedimento, perché hanno responsabilmente riconosciuto la sua grandissima valenza, non solo per lo sviluppo economico, ma anche per il ritorno che potrebbe avere il paese da un
eventuale ruolo nel contesto internazionale (mi riferisco, in particolare, alla fuga di cervelli che si verifica ormai da anni e che con questo provvedimento potrebbe essere arrestata).
Per entrare nel merito, il disegno di legge atto Camera n. 2031-ter è uno stralcio del disegno di legge n. 2031 collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2002, presentato dal Presidente del Consiglio e dal ministro delle attività produttive, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, in materia, tra l'altro, di proprietà intellettuale.
Occorre innanzitutto porre in evidenza che il Governo sarà in generale impegnato, per via di delega legislativa in attuazione del collegato ordinamentale in materia, in un notevole sforzo di riassetto organico della proprietà intellettuale, attraverso l'adeguamento e la semplificazione di un coacervo di norme stratificatesi nel tempo, al fine di valorizzare il potenziale brevettuale del paese e la capacità di ricerca e di innovazione tecnologica.
Il tema che in via primaria qui interessa concerne gli ambiti di intervento per lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica. Più in particolare, rileva l'esame della disciplina emergente in materia di proprietà industriale, con specifico riferimento alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in attuazione della direttiva 98/44 della Comunità europea.
La materia è caratterizzata da un vuoto legislativo che è necessario colmare, in ottemperanza, tra l'altro, alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, organo che si è definitivamente pronunciato il 9 ottobre 2001 nel senso dell'attuazione dell'atto comunitario. Al fine del recepimento interno della direttiva, è previsto, quindi, il conferimento di una delega legislativa al Governo da esercitarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delega.
Va rilevato che sotto un profilo generale è stato compiuto un notevole sforzo di riconduzione al sistema di una materia complessa e disciplinata da una pluralità di atti internazionali tra i quali la Convenzione di Monaco del 1973 sul brevetto europeo, la Convenzione di Rio del 1992 sulla diversità biologica, la Convenzione di Oviedo del 1997 per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina, il protocollo di Parigi del 1998 sul divieto di clonazione degli esseri umani, l'accordo TRIPS sulla proprietà intellettuale e sugli scambi commerciali sottoscritto a Marrakech nel 1994.
In proposito, per entrare nel merito del tema, è emersa la necessità di sviluppare la ricerca scientifica in un campo con forti potenzialità per la diagnostica e per la terapia di malattie, nel rispetto della dignità dell'uomo.
Nell'articolato in discussione, pertanto, si tiene in dovuto conto, sia del dispositivo della direttiva sia dei considerando della medesima, alcuni dei quali sono stati trasfusi nel testo. Dai considerando di questa direttiva, infatti, nonché dal rispetto degli obblighi internazionali assunti dal nostro paese, si sviluppa l'impianto normativo al quale è necessario riferirsi se si ritiene correttamente di ampliare e sancire le forme di tutela e garanzia in un settore che ha sollevato e continua a sollevare preoccupazioni di natura etica.
Va osservato che è corretto stabilire le più ampie forme di tutela, anche e soprattutto in quanto nel nostro ordinamento interno è, comunque, previsto che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L'articolo 32 della Costituzione è una norma chiara che pone dei limiti assolutamente invalicabili da trasfondere nelle esclusioni di brevettabilità di talune invenzioni biotecnologiche. In merito a quest'ultimo aspetto, dunque, nel testo del disegno di legge, le nozioni generali di ordine pubblico - vale a dire dell'insieme dei principi fondamentali dell'ordinamento interno del paese - e di buon costume - vale a dire dell'esame dei principi etici che costituiscono la nostra norma morale e sociale - sono state specificate, con la previsione della tutela della salute della vita delle persone e degli
animali, di preservazione delle diversità vegetali e della biodiversità e di prevenzione di possibili gravi danni ambientali, anticipando l'illustrazione dell'articolato. Tale formulazione si può definire nel comma 2 alla lettera g).
Nei considerando della direttiva è d'altra parte ampiamente riconosciuta la rilevanza delle invenzioni biotecnologiche perché sono stati realizzati progressi decisivi nella cura delle malattie, perché possono essere utili per lo sviluppo di metodi di coltivazione che inquinino meno ed economizzino i terreni, perché è necessario che le istituzioni comunitarie e nazionali trovino una soluzione per stimolare la ricerca per la lotta alle malattie rare, qualora il sistema dei brevetti non si riveli adeguato ed infine perché, attraverso meccanismi internazionali di diffusione, ne traggano beneficio i paesi in via di sviluppo, sia per il settore sanitario sia per quello alimentare.
Al perseguimento di tale ultimo obiettivo, peraltro, è finalizzato l'articolo 16, paragrafi da 2 a 5 della Convenzione di Rio sulla biodiversità, richiamata espressamente nel testo in discussione. Dette disposizioni prevedono modalità di accesso e di trasferimento delle tecnologie «eque e le più favorevoli possibili», in particolare a beneficio dei paesi in via di sviluppo.
Passando all'esame specifico dell'articolato, la delega dell'esercizio delle funzioni legislative stabilisce 18 principi e criteri direttivi in ordine alla brevettabilità del materiale biologico e dei processi di ottenimento di materiale biologico, considerato che la protezione giuridica delle invenzioni si è dimostrata di straordinaria utilità sia per il finanziamento della ricerca sia per lo sviluppo e la diffusione di conoscenze scientifiche che, nel settore delle biotecnologie, hanno un effetto rilevante per la tutela della vita umana, degli animali e dei vegetali.
L'obiettivo al quale è orientato il Governo è, pertanto, quello di definire un quadro normativo certo dei diritti di proprietà intellettuale, garantendo, altresì, il rispetto della dignità umana e degli equilibri ambientali e la conformità agli obblighi internazionali assunti dal nostro paese, precedentemente menzionati. Si riferisce a quest'ultimo punto la previsione contenuta nel comma 2, lettera a).
Con riferimento specifico ai principi di dignità umana e di tutela della salute, è consentito brevettare sia un materiale biologico isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico, intendendo come tale quello che soltanto l'uomo è in grado di realizzare e la natura, di per sé stessa, non è in grado di compiere, sia un processo di produzione, lavorazione o impiego di un materiale biologico che, anche se preesistente allo stato naturale, abbia i requisiti di un'invenzione. Un brevetto, peraltro, potrà essere concesso anche in caso di nuove applicazioni di un prodotto già brevettato.
È prevista, altresì, la possibilità di brevettare, previa concreta indicazione, descrizione e rivendicazione delle funzioni ed applicazioni industriali, un'invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano o prodotto mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza anche parziale di un gene. La formulazione della lettera e) tiene conto dei requisiti di brevettabilità previsti, oltre che dall'articolo 5 della direttiva, dall'articolo 3 e dal considerando 20o della stessa, dall'articolo 27 dell'Accordo sulla proprietà intellettuale, nonché di quanto emerso nel corso del dibattito nelle Commissioni al fine della tutela della dignità umana negli sviluppi delle invenzioni. Per quanto concerne la lettera l), relativa alla brevettabilità delle sequenze di geni, è stato incorporato anche il considerando 25o della direttiva.
Quindi, sono espressamente previste: l'esclusione dalla brevettabilità del corpo umano sin dal momento del concepimento; l'esclusione dalla brevettabilità della mera scoperta di uno degli elementi del corpo umano, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene; l'esclusione dalla brevettabilità dei metodi per il trattamento chirurgico e terapeutico del corpo umano o animale e dei metodi di diagnosi applicati al corpo umano o
animale, conformemente a quanto previsto dall'articolo 27 dell'Accordo TRIPS (sulla proprietà intellettuale) e riconosciuto dal considerando 35o della direttiva.
Sono escluse dalla brevettabilità, inoltre, le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario alla dignità umana, all'ordine pubblico e al buon costume, alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali e della biodiversità ed alla prevenzione di gravi danni ambientali, anche in tale caso conformemente a quanto previsto dall'articolo 27 del menzionato Accordo di Marrakech sulla proprietà intellettuale e commerciale
È proibita, in particolare, la brevettabilità di tutti procedimenti di clonazione di esseri umani, dei procedimenti o prodotti applicati alle cellule germinali contenute nelle ghiandole riproduttive, di ogni utilizzazione degli embrioni umani, comprese le linee di cellule staminali embrionali, dei procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali, che provochino loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'essere umano o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti. Comunque, in caso di invenzione che abbia per oggetto o utilizzi materiale biologico di origine umana brevettabile alle condizioni sopra specificate, è altresì sancito, alla lettera p) del comma 2, l'obbligo di ottenere dalla persona da cui è stato prelevato tale materiale il consenso libero ed informato, secondo la vigente normativa. Tale previsione emerge dal considerando 26o della direttiva.
Poiché, infine, l'elenco di fattispecie escluse dalla brevettabilità - in quanto il relativo sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico e al buon costume, alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali ed alla prevenzione di gravi danni ambientali - è da considerarsi, ai sensi della direttiva ma anche dell'accordo TRIPS, non esaustivo, il disegno di legge di delega dovrebbe prevedere la possibilità che l'ufficio nazionale brevetti richieda al riguardo il parere del comitato per la biosicurezza e per le biotecnologie.
Va rilevato che, in sede di attuazione, tale previsione dovrà trovare coerenza anche con quanto stabilito dall'articolo 27, comma 2, dell'accordo TRIPS, che dispone l'esclusione dalla brevettabilità di invenzioni il cui sfruttamento commerciale deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita e la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali, purché l'esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalla legislazione del paese interessato.
In merito, peraltro, come ulteriore strumento di sicurezza emerso nel corso del dibattito nelle Commissioni, il disegno di legge in esame dispone l'obbligo di indicare la provenienza del materiale biologico utilizzato nell'invenzione con riferimento sia al paese di origine, sia all'organismo biologico dal quale tale materiale è stato isolato.
Per quanto concerne la brevettabilità delle razze animali e delle varietà vegetali, dall'esame delle relative disposizioni, emerge, in particolare, la conferma del divieto di brevettabilità delle stesse, nonché dei procedimenti di produzione di animali e vegetali, quando tali procedimenti sono essenzialmente biologici.
Può essere, quindi, consentita la brevettabilità di invenzioni riguardanti piante o animali, nonché un insieme vegetale caratterizzato da un determinato gene, qualora l'applicazione non sia limitata all'ottenimento di una determinata razza o varietà vegetale.
C'è un passaggio che, secondo me, in qualità di relatore, merita una considerazione e va modificato perché va contro la direttiva. Forse si tratta di una svista nella presentazione della richiesta di delega. Mi riferisco alla lettera o), ex lettera m) che va esattamente contro l'articolo 4 della direttiva europea. Se volete dare un'occhiata; vorrei soltanto citarla. La lettera o) attuale, ex lettera m), recita esattamente : prevedere l'esclusione della brevettabilità delle nuove varietà vegetali rispetto alle quali l'invenzione consista esclusivamente nella modifica genetica di altra varietà
vegetale, anche se detta modifica è frutto di procedimento di ingegneria genetica. Ebbene, si dovrebbe eliminare «anche se» e si dovrebbe inserire: tranne che detta modifica è frutto di procedimenti di ingegneria genetica. Infatti, a questo punto, la ricerca non avrebbe interesse ad impegnarsi per quanto riguarda lo sviluppo nel settore vegetale. La direttiva stessa, all'articolo 4, comma 1 (prego i colleghi poi di andare a verificare) recita: non sono brevettabili le varietà vegetali e le razze animali, i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali ed animali (cioè gli incroci) e via dicendo. Siamo d'accordo. Però, il comma 2 dice: le invenzioni che hanno quale oggetto piante o animali sono brevettabili se l'eseguibilità tecnica dell'invenzione non è limitata ad una determinata varietà vegetale o razza animale. Il comma 3 prevede che il paragrafo 1 lettera b), che abbiamo letto poc'anzi, non riguarda la brevettabilità di invenzioni che abbiano ad oggetto un procedimento microbiologico o altri procedimenti tecnici. Quindi, sarebbe opportuno, a questo punto, che la Commissione valuti un emendamento correttivo.
Tornando alla discussione nel merito, desidero inoltre richiamare l'attenzione su un altro strumento di tutela inserito nel disegno di legge che qui discutiamo. Vale a dire che in caso di richiesta di brevetto per invenzione che abbia per oggetto oppure utilizzi materiale biologico contenente microrganismi o organismi geneticamente modificati, vi è l'obbligo per il richiedente, ai sensi del comma 2, lettera q), di dichiarare la conformità di questi ultimi alle relative norme nazionali e comunitarie.
In tale quadro viene stabilito un sistema di deroghe in favore degli agricoltori per la riproduzione e la moltiplicazione di animali o vegetali coperti da privativa o brevetto e viene, altresì, definito un sistema di licenze obbligatorie, da lasciarsi dietro corresponsione di un canone, per l'uso non esclusivo di un'invenzione coperta da privativa o brevetto da parte, rispettivamente, del titolare del brevetto o del costitutore della privativa.
Determinati i principi e i criteri direttivi ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione, ai fini della doverosa informativa al Parlamento in ordine all'applicazione della delega, il comma 3 prevede, correttamente, una relazione annuale al Parlamento, predisposta dal ministro delle attività produttive, di concerto con i ministri della salute, delle politiche agricole e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio, dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Con specifico riferimento al sistema sanzionatorio, infine, a chiusura del sistema, si dispone la nullità di tutti gli atti giuridici e di tutte le operazioni negoziali che sono compiute in violazione dei divieti previsti nel disegno di legge di delega. È opportuno concludere segnalando che la protezione delle invenzioni si è dimostrata di straordinaria utilità sia per il finanziamento delle ricerche, sia, soprattutto, per la diffusione e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. A fronte di un riconoscimento temporaneo per l'utilizzo economico dell'invenzione, infatti, l'inventore ne deve descrivere procedimenti e finalità, mettendo a disposizione della collettività i frutti della sua ricerca, un contributo, questo, che può continuare a rivelarsi di inestimabile valore per la tutela della vita umana.
L'impegno delle Commissioni è stato, in particolare, rivolto a garantire sia il valore della brevettabilità che tutela la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, sia il valore della destinazione, per quanto più possibile universale, dei risultati della ricerca che devono concorrere al progresso dell'umanità. A tal fine si è, in particolare, previsto che in materia debba valere il principio secondo il quale un brevetto deve poter essere concesso per qualsiasi applicazione nuova di un prodotto già brevettato.
Occorre precisare che le direttiva è già stata attuata da Danimarca, Finlandia, Grecia, Irlanda, Spagna e Regno Unito mentre la lettera di formale messa in mora è stata inoltrata agli altri paesi dalla Commissione in data 30 novembre 2000. Con il presente recepimento interno si procede, pertanto, a colmare un vuoto
legislativo in un settore all'avanguardia che interessa diritti fondamentali dell'ordinamento nel rispetto degli obblighi internazionali assunti dal nostro paese (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
CESARE CURSI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, penso che in apertura della discussione l'importanza di questo dibattito sia stata abbondantemente sottolineata dai due relatori che ringrazio.
Vorrei ringraziare anche le Commissioni X e XII per il lavoro estremamente serio svolto; siamo andati oltre il concetto squisitamente di delega, in altre parole il lavoro delle Commissioni ha riempito la delega di contenuti importanti, come dicevano i due relatori Polledri e Stagno d'Alcontres, anche con riferimento a due temi particolarmente delicati in questo momento: la brevettabilità a fini squisitamente produttivi e commerciali e l'affermazione di alcuni principi etici importanti.
La discussione in Commissione è stata serena perché improntata alla valutazione di principi fondamentali.
Vorrei soltanto ricordare due temi per i quali, per la parte di mia competenza in qualità di sottosegretario per la salute, ho ritenuto di dover essere presente: uno riguardante le cellule staminali e l'altro riguardante gli organismi geneticamente modificati e la non brevettabilità di tutti i procedimenti di clonazione umana, come è stato ulteriormente specificato con le modifiche apportate dalle Commissioni alla lettera g) dell'articolo 1.
Penso sia importante approvare in tempi brevi il disegno di legge di delega al nostro esame perché ci pone, in termini seri, in questo nuovo processo di globalizzazione dove, accanto ai temi fondamentali quali la ricerca di maggiore produttività, di maggiori utili e di ottimizzazione dei processi scientifici, è stata manifestata l'esigenza, da parte dei membri della Commissione, di affermare alcuni principi etici che sono fondamentali nel testo che oggi viene presentato all'Assemblea.
Mi auguro, dunque, che, nel pieno rispetto dei tempi previsti, si possa rapidamente giungere ad una approvazione del provvedimento per consentire al Senato la successiva approvazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, giungiamo finalmente ad una normativa che recepisce la direttiva 98/44/CE, datata 6 luglio 1998. Non posso esimermi dal sottolineare il grave ritardo con il quale il nostro paese arriva a tale risultato, grave ritardo non certamente imputabile all'attuale Governo ed l'attuale maggioranza, considerato che già nel disegno di legge «misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza» del 28 novembre 2001 era presente proprio l'oggetto di cui oggi andiamo a discutere. Sicuramente la non omogeneità della maggioranza che ci ha preceduto ha portato a questo grave ritardo che, oggi, colmiamo, a nostro parere, in modo sicuramente positivo.
È importante recepire questa direttiva, non solo per non incorrere nelle sanzioni dell'Unione europea, ma soprattutto perché attraverso tale disegno di legge andiamo incontro alle grandi aspettative degli istituti di ricerca pubblici e privati. Colmiamo finalmente un vuoto legislativo e, soprattutto, armonizziamo le normative presenti nei vari paesi europei nel campo biotecnologico. Tale vuoto e tale mancanza di armonizzazione ci hanno fino ad oggi penalizzato, favorendo alcuni concorrenti come il Giappone o gli Stati Uniti. La certezza nel sistema di tutela della proprietà intellettuale darà ora anche impulso a forti investimenti in attività di ricerca e sviluppo, attività che sono la chiave di successo per il futuro delle nostre aziende.
Qualcuno si oppone al recepimento di questa direttiva: quali sono le motivazioni che sono sostenute da coloro che non concordano con i suoi contenuti? Viene
innanzitutto sostenuto che la ricerca sia incontrollabile. Ciò è falso: il brevetto accompagna e segue la ricerca; pertanto, allorquando motivi etici o preoccupazioni di tipo ambientale siano prevalenti, gli organi dello Stato - autorità di controllo su tutte le operazioni di inserimento di materiale transgenico (il prodotto oggetto della ricerca) - possono intervenire per opporsi alla loro utilizzazione.
Viene poi sostenuto che il recepimento di questa direttiva ponga un problema di dominio e controllo della conoscenza da parte di chi la brevetta; ebbene, il brevetto presenta un'assoluta trasparenza nelle procedure di deposito, per cui chi intende brevettare la propria invenzione procedimento-prodotto è obbligato ad iscriverla in modo che possa essere riprodotta così che i terzi ne possano prendere conoscenza. Pertanto, è esattamente vero il contrario: soprattutto in questo campo di estrema delicatezza per la materia trattata occorre incentivare i depositi di brevetti al fine di evitare che la ricerca sia condotta nel segreto dei elaboratori e magari ceduta a terzi tramite il know-how per ottenere un compenso economico.
Viene inoltre sostenuto che il brevetto permetterebbe la commercializzazione di materiale causante eventuali rischi ambientali o di salute (a questo proposito ho presentato due emendamenti proprio perché ritengo che sia importante distinguere tra il momento della ricerca e quello della produzione e commercializzazione del prodotto). Ebbene, il brevetto, così come recita anche il considerando 14 della direttiva, non autorizza il titolare ad attuare l'invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare a terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali; pertanto, il diritto di brevetto non può sostituirsi ne rendere superflue le legislazioni nazionali che, peraltro, dispongono di controlli sulla commercializzazione dei risultati della ricerca. Il brevetto protegge un'invenzione, ma non permette la commercializzazione dell'invenzione stessa. Quest'ultima deve essere legittimata, nel caso dei prodotti biotecnologici, mediante un'autorizzazione all'immissione sul mercato del prodotto brevettato in seguito a quella che spesso viene considerata la più rigorosa valutazione scientifica di qualsiasi settore, ovviamente per gli effetti sull'ambiente e sulla salute che potrebbero determinarsi.
La conoscenza di tecnologie innovative è da considerarsi alla stregua di una merce e il trasferimento delle conoscenze deve avvenire in maniera tale che non ne derivi una perdita economica.
In Italia nella bilancia dei pagamenti correlata alla detenzione di brevetti intellettuali si registra sicuramente un saldo negativo fra acquisti e cessioni. Vorrei citare alcuni dati che ci devono far riflettere. Dei 36.718 brevetti rilasciati dall'ufficio europeo dei brevetti di Monaco nel 1998 circa un quarto (9.380) è di origine americana, il 20,9 per cento (7.702) proviene dal Giappone, mentre l'Italia si pone a livello del 3,2 per cento (1.178), ampiamente superata non solamente dai concorrenti asiatici ed americani, che ovviamente godono di una deregulation che comunque ci penalizza nella concorrenza del mercato globale, ma anche dai partner europei: la Germania raggiunge una quota pari a circa il 20 per cento e la Francia il 9 per cento. È un tema che oggi ci deve far riflettere anche sui gravi ritardi registrati in questi anni che hanno ridotto la competitività delle nostre aziende.
La normativa che ci accingiamo ad esaminare è importantissima per il sistema economico e produttivo del nostro paese. Una normativa europea armonizzata e la certezza giuridica ci faranno guadagnare sicuramente nei confronti dei nostri concorrenti asiatici ed americani rispetto ai dati che ho poc'anzi illustrato.
Lo sviluppo delle biotecnologie sarà determinante per la concorrenza industriale. Si dice che l'impatto della biotecnologia è paragonabile all'effetto prodotto dalle tecnologie informatiche negli anni settanta ed ottanta. Sono d'accordo, e ciò ci deve indurre ad accelerare l'approvazione e l'applicazione di questa normativa. L'Italia è in ritardo, come peraltro buona parte d'Europa. Cerchiamo quanto meno di offrire una normativa chiara, trasparente
e, soprattutto, senza troppi vincoli burocratici che, nella loro non trasparente interpretazione, potrebbero rallentare lo sviluppo di un settore strategico quale quello delle biotecnologie e - cosa ancor più grave - produrre una «emorragia» (come è accaduto anche negli anni passati) della nostra ricerca scientifica verso lidi più accoglienti. Per questo motivo - come ho ribadito negli emendamenti che abbiamo presentato - è importante distinguere chiaramente tra ricerca scientifica e produzione e commercializzazione del prodotto.
Per questo motivo Alleanza nazionale ringrazia il Governo, i relatori e le Commissioni che hanno svolto comunque un importante lavoro, che giudichiamo positivamente sia per il contenuto sia, soprattutto, per i tempi rispetto all'esperienza negativa del passato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cialente. Ne ha facoltà.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, oggi si avvia la discussione del disegno di legge di delega per il recepimento della direttiva europea sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche il cui iter a livello europeo - è bene sottolinearlo anche rispetto all'intervento che mi ha preceduto - non è stato tanto facile, se e vero che si è protratto per oltre dieci anni.
Credo che per il Parlamento questa sia un'ottima occasione per avviare un nuovo dibattito che, anche sulla base di ciò che è stato detto in precedenza, ritengo ci accompagnerà nel corso della prossima legislatura e di quelle successive.
Per sviluppare il mio ragionamento vorrei ricordare, ad esempio, che, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo della suddetta direttiva, l'Olanda, appoggiata successivamente anche dal nostro paese, fece ricorso alla Corte di Giustizia europea per ottenerne l'annullamento.
Da un lato, si sosteneva che non fosse necessaria l'armonizzazione della legislazione fra gli Stati membri in questa materia. La Corte ha respinto tale tesi dicendo che il dispositivo rientra effettivamente nell'ambito del funzionamento del mercato interno anche al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici allo sviluppo delle attività e, soprattutto, stabilendo ciò che può essere brevettato e ciò che non può esserlo. Tuttavia, la principale argomentazione olandese riguardava il fatto che la direttiva, permettendo la brevettabilità degli elementi isolati dal corpo umano, fosse lesiva dell'integrità della persona e dei diritti fondamentali dell'uomo. La Corte ha ritenuto, invece, che la direttiva su questo sia sufficientemente garantista per cui, come ricorderete tutti, nell'ottobre 2001 ha respinto il ricorso.
In questa ricostruzione vorrei ricordare anche un altro aspetto. Nel marzo 1998 entrambi i rami del Parlamento, la Commissione affari sociali ed il Senato della Repubblica, nella stessa giornata, dunque sì e no quattro mesi prima che la direttiva venisse approvata dall'Unione europea, votarono - ed è importante ricordare che si trattò di un voto trasversale delle forze di maggioranza e di opposizione di allora - alcuni ordini del giorno nei quali si chiedeva che il Governo al livello europeo si opponesse all'adozione di tale direttiva. Venne sottolineato che l'ipotesi di brevettabilità di geni e parti umane era in netto contrasto con un documento approvato dall'Unesco nel 1995 che riconosce i geni umani come patrimonio collettivo dell'umanità. Inoltre si chiedeva una moratoria in sede europea per stabilire nuove regole a proposito dell'utilizzazione e della ricerca sugli organismi geneticamente modificati. Il Senato si poneva altri problemi come la possibilità di brevettazioni tecniche di ingegneria genetica comportanti modificazioni del patrimonio genetico delle generazioni future, la creazione di brevetti di sbarramento ed il problema di un aggravamento dell'ineguale scambio commerciale tra nord e sud del mondo.
Nel 1999, come ricordava il collega intervenuto precedentemente, il Governo
presentava in fondo lo stesso disegno oggi in esame, al Senato il relatore era il senatore Caponi. Tale disegno ben presto si arenava per una serie di perplessità di molte forze politiche, non solo di maggioranza. In questa legislatura, nel gennaio del corrente anno, il Governo Berlusconi ha presentato nell'ambito di un collegato alla legge finanziaria un provvedimento, il cui contenuto ancora oggi è in esame come articolo 6 del disegno di legge del Governo, recante misure atte a favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza e che concerneva tale argomento, ovvero la tutela delle invenzioni biotecnologiche e la proprietà giuridica.
I colleghi ricorderanno come da parte nostra si rese necessario condurre una battaglia decisa, anche per conto di alcuni colleghi di altri partiti della coalizione di maggioranza, al fine di ottenerne lo stralcio. Abbiamo contestato con tanta passione e decisione la scelta di inserire il provvedimento in quel collegato ritenendo che il Parlamento, proprio alla luce del tormentato iter complessivo europeo ed italiano, dovesse nuovamente avviare una riflessione seria ed un dibattito approfondito su tale materia. Questo è il motivo per cui abbiamo proposto una serie di audizioni con scienziati delle biotecnologie, giuristi, industriali, filosofi del diritto, esperti della bioetica, rappresentanti della conferenza episcopale italiana ed esponenti dell'imprenditoria italiana del settore. Noi DS ed il centrosinistra su tali materie siamo intervenuti con grande senso di responsabilità.
Ho voluto ricordare l'iter e le difficoltà che ha incontrato in Italia il provvedimento proprio per condurre meglio il mio ragionamento. La tutela brevettuale delle biotecnologie è ormai una direttiva europea. Se prima il nostro Parlamento poteva attendere e ragionare di più, direi quasi guadagnare tempo, oggi, dopo la sentenza della Corte di giustizia, deve sciogliere comunque il nodo del recepimento, soprattutto considerando che è già aperta una procedura d'infrazione.
In particolare ritengo che rispetto a tale recepimento ciascuno di noi debba schierarsi. Ciascuno è chiamato ad esprimersi seriamente in scienza e coscienza, conscio dell'estrema difficoltà che tanti di noi, e non solo noi, avvertono nell'affrontare il problema della proprietà intellettuale nel campo delle biotecnologie.
Basta vedere l'enorme mole di testi, di libri e di pubblicazioni, che vediamo ogni giorno nelle librerie. Quello della proprietà intellettuale è sempre stato un delicato equilibrio tra costi e benefici, tra spinte all'innovazione e impulso alla ricerca (che grazie al brevetto viene remunerata) da una parte e restringimento della produzione (ma soprattutto della possibilità di fruizione per l'individuo e per la collettività) dall'altra.
Oggi, rispetto all'ottocento, ma anche rispetto a soli trenta o quarant'anni fa, dobbiamo tener conto di alcuni aspetti che si sono modificati: in primo luogo del fatto che il brevetto non tutela più un mercato nazionale. Oggi infatti con la globalizzazione acquisire un brevetto vuol dire di fatto accedere o meno ad un determinato mercato; vuol dire imporre nei fatti la propria ricerca, la propria tecnologia, la propria industria e quindi la propria economia. In secondo luogo vi è oggi la difficoltà di definire una proprietà intellettuale di nuovi prodotti, perché non si parla più della caffettiera, dell'apriscatole, dei freni a disco o di altre innovazioni tecnologiche; si parla bensì di prodotti quali design, software o banche dati, per i quali non sono più sufficienti i vecchi criteri di distinzione del brevetto per creazione tecnologica.
La stessa possibilità di competere abbassando - come abbiamo visto che sta accadendo soprattutto nel campo delle biotecnologie - i criteri di ammissibilità, cioè di definizione di invenzione fa sì che quelli legati alla cosiddetta dottrina degli equivalenti diventano elementi di una competizione commerciale più o meno corretta. Considerando inoltre che la politica brevettuale, come dicevo prima, resta comunque legata alla potenza economica e anche all'importanza del mercato, che a sua volta detta la regola.
Tutto ciò nel settore delle biotecnologie è particolarmente accentuato e pone ben altri interrogativi, in primo luogo per la differenza delle legislazioni. Penso ad esempio alle differenze fra le legislazioni statunitense, canadese e giapponese, da una parte, che sono particolarmente permissive e quella europea; differenze che derivano da una non univocità e unicità dei criteri di brevettabilità biotecnologica, in particolare genetica.
Ricordo che oggi la proprietà intellettuale, anche per il nostro paese, è sottoposta a livello internazionale ai TRIPS e a livello europeo alla Convenzione sul brevetto europeo; in Italia poi anche alla normativa vigente, in mancanza di una normativa specifica. Credo che anche il nostro paese abbia risentito di questa assenza di una normativa specifica. Sono queste le considerazioni che hanno indubbiamente portato l'Unione europea - che inserisce le biotecnologie, vorrei ricordarlo, al primo posto nel sesto programma quadro di ricerca per il periodo 2002-2006 con un investimento di 10 mila milioni di euro su 16 mila milioni complessivi, in particolare proprio per l'aspetto del genoma e delle biotecnologie per la salute - a ritenere assolutamente necessaria la formulazione di criteri comuni tra i diversi Stati, attraverso l'adozione di una direttiva comune, sia per scongiurare il pericolo che uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali potesse disincentivare gli scambi commerciali a scapito dello sviluppo industriale per un corretto mercato interno, sia per accrescere la capacità di competere con una giustamente agguerrita concorrenza, soprattutto statunitense e giapponese.
Al riguardo, vorrei dire che uno dei nodi da sciogliere è che in questo momento la nostra assenza, in Europa, sta consentendo l'ingresso, come accade nel nostro mercato, di brevetti che sono ben lontani dai principi etici che stiamo cercando di introdurre. Questo è un altro elemento di riflessione che pongo in primo luogo a me stesso.
Occorre poi considerare che anche da parte dell'ufficio europeo per il brevetto vi è una certa difficoltà; infatti ogni volta ciascuna decisione sembra essere affidata più al lancio della monetina che a un filo logico. Si tratta di elementi giuridici e di politica economica e internazionale che dobbiamo considerare. Però accanto a questi dominano altri interrogativi, come ricordavano prima i relatori: si tratta di interrogativi etici, sociali e politici.
A questo proposito, signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei introdurre con estrema nettezza ed anche con estrema sincerità un ulteriore elemento. Oggi avviamo in quest'aula un dibattito su queste questioni che non so come si svilupperà, a quali conclusioni perverrà e attraverso quale percorso. In questo momento non lo so.
Sono certo, invece, che esso rappresenta già il banco di prova e la capacità di forze, che si richiamano a grandi schieramenti politici, culturali, ideologici, in due grandi schieramenti qui presenti - quello democratico-progressista da un lato e conservatore dall'altro -, che sono chiamate a manifestare le proprie riflessioni e le proprie posizioni in merito alle più idonee politiche della scienza e relativamente a quali debbano essere i meccanismi che legano scienza, mercato e società, sapendo che a queste domande, noi forze progressiste, dobbiamo rispondere avendo sempre in mente il progetto di una società democratica, basata sull'equità e sulla giustizia internazionale, sul rispetto del creato - a me piace chiamarlo così - e di chi verrà su questo pianeta dopo di noi. Dicevo, quindi, dei grandi interrogativi posti dalle biotecnologie, dalla scienza e dalla protezione intellettuale delle sue invenzioni. Io, colleghi, il termine «invenzione» lo metto tra virgolette.
Dunque, questi sono gli stessi interrogativi proposti dagli ordini del giorno presentati nei due rami di questo Parlamento nel 1998, che risuonavano nel Parlamento europeo, che sono stati oggetto del ricorso dell'Olanda e dell'Italia alla Corte di giustizia, ma sono gli stessi che, se leggete, sono presenti nella relazione Fiori - europarlamentare europeo di Alleanza nazionale - che, recentemente è stata bocciata
per pochi voti dal Parlamento europeo. Io stesso, nel febbraio di quest'anno, quando in quest'aula affrontammo la discussione sull'articolo 6, ho fatto miei questi interrogativi, che sono gli stessi di tanti intellettuali, movimenti e gruppi di studio che nascono in Italia e altrove. I pochi minuti che ho a disposizione rendono difficile non solo illustrare tali problemi ma, addirittura, elencarli.
Oggi, estendiamo il diritto alla proprietà intellettuale alle autorizzazioni all'uso e, addirittura, alla modificazione genetica della materia vivente. Ciò vuol dire o no che si può brevettare la vita e il segreto della vita? Quali sono i limiti invalicabili per la brevettabilità e fino a che punto? Cosa può essere fatto oggetto di ricerca e quali possono essere poi gli impieghi ammissibili dei risultati della stessa?
Attraverso la manipolazione dei codici genetici è possibile l'ottenimento di nuovi prodotti, legati a numerosi e diversi settori della vita economica e produttiva (farmaceutica, diagnostica, agricoltura, alimentazione, allevamento animale, chimica e la stessa protezione ambientale). Allora, è giusto che tutti i frutti di questa grande conquista scientifica diventino mera proprietà monopolistica di grandi aziende private e multinazionali?
Ancora, qual è il confine, nel concetto stesso di brevetto, tra scoperta ed invenzione? Cioè, quanto c'è di artificializzazione e di intervento dell'uomo nell'utilizzazione della materia vivente e della materia organica? Come assicurare la proprietà intellettuale, i relativi costi e non rendere impossibile ai paesi più poveri l'accesso ai benefici prodotti da queste nuove conquiste della scienza (pensiamo ai farmaci)? Ci sono popolazioni che non possono ottenere grandi vantaggi dalla speranza che questi farmaci forniscono. Come assicurare che la ricerca non sia orientata solo per patologie remunerative e interessanti, dimenticando le cosiddette patologie orfane? Come impedire che i brevetti, pur permettendo la pubblicizzazione dei risultati della ricerca ponendoli a disposizione del mondo scientifico, non diventino poi brevetti barriera? E come sciogliere gli interrogativi, tuttora oggetto di tutte le cause pendenti presso le Corti dei diversi paesi europei e nordamericani, relativi alla brevettabilità degli organismi complessi (l'Onco-Mouse è un esempio per tutti), alla necessità di restringere le forme di brevettabilità, come le sequenze wild type o quelle normali da confrontare con le patologiche per individuare una diagnosi o, soprattutto, all'uso di sequenze di DNA come strumenti di diagnosi e ricerca? Come assicurare il rispetto reale degli accordi internazionali sulla protezione della biodiversità e come riconosce il ruolo fondamentale che interi popoli e culture svolgono nella conservazione delle enclavi genetiche? Dunque, come impedire fenomeni sempre più gravi e ingiusti di pirateria genetica, come ricordava il relatore?
Infine, l'interrogativo a mio avviso più importante è quello relativo a come rendere più trasparente e democratico lo svolgersi della scienza, i suoi progressi, le sue applicazioni, il suo rapporto con la società ed il mercato rispetto alla coscienza collettiva, che deve poter liberamente sciogliere le proprie perplessità, le speranze e i timori che in essa ripone.
Come informare? Quali sono i luoghi nei quali la coscienza collettiva assume gli strumenti decisionali?
E, ancora, dove e come la scienza stessa può interfacciarsi con il legislatore e con la società? E chi ha diritto a parlare, oggi, nel nostro paese - ad esempio - per conto del mondo della scienza?
Tali sono le questioni che la politica deve affrontare, nel delineare il rapporto tra scienza e legislazione, tra scienza e diritto. E nessuno di noi può trasferire la propria responsabilità ad altri livelli, all'Unione europea o ai grandi organismi internazionali, utilizzando l'alibi della globalizzazione dei problemi né, tanto meno, può trincerarsi su posizioni di bandiera, restando chiuso nei propri convincimenti. Fuori da queste mura si levano simili interrogativi e, soprattutto - vorrei ricordarlo - c'è il mondo della scienza e dell'industria italiana che è in prima fila
nel settore e che ci chiede di sciogliere i nodi del rapporto tra scienza e diritto.
Come hanno già detto altri, noi ci abbiamo provato. Mi piacerebbe dire così: ci abbiamo provato ed abbiamo lavorato seriamente su questi articoli, su questi commi, su questa delega. Abbiamo cercato il confronto con scienziati, donne e uomini, disposti ad aiutarci a capire, ma cosa portiamo qui, in quest'aula? Anzitutto vorrei richiamare un concetto, già espresso da altri, sul quale dobbiamo essere chiari per poter cominciare a capire di cosa stiamo parlando. Noi affrontiamo il recepimento della direttiva europea sul diritto dei brevetti: essa non può sostituire né rendere superflue le legislazioni nazionali, europee ed internazionali, che fissano - e, a mio avviso, dovranno farlo sempre di più - eventuali limiti o divieti e che dispongono controlli sulla ricerca, sull'utilizzazione e sulla commercializzazione dei suoi risultati, soprattutto con riguardo alle esigenze di sanità pubblica, di sicurezza dell'ambiente, di protezione degli animali, di conservazione della diversità genetica, di osservanza delle norme etiche fondamentali della dignità dell'uomo e dell'equità nord-sud. Si tratta di precisazioni di grande rilievo delle quali dobbiamo tener conto necessariamente per comprendere cosa siamo chiamati a fare qui, oggi, e come si debba intervenire con rinnovata coerenza nella stesura degli accordi e degli atti legislativi a livello internazionale: gran parte di ciò di cui stiamo parlando rappresenta una partita che si gioca a livello internazionale, a livello di WTO, a livello di revisione dei TRIPS, a livello di grandi accordi internazionali per la biodiversità.
Entrando nel merito del testo, attraverso gli emendamenti abbiamo cercato di apportare alcune modifiche che ritengo apprezzabili, in particolare sotto due profili, perché forniscono risposte ad alcuni degli interrogativi da me posti poc'anzi.
Il primo riguarda la brevettazione della sequenza, vale a dire della vita. Credo di poter affermare che abbiamo cercato gradualmente una dizione più giusta, per chiarire che la tutela si riferisce non alla conoscenza di una sequenza di DNA - che mai è brevettabile in sé, almeno per noi - ma all'uso di una proteina per la codifica della sequenza, in funzione di un determinato problema - e solo di quello -, sia esso terapeutico, diagnostico o alimentare, nei limiti dello specifico apporto. Forse avremmo potuto e dovuto specificare ulteriormente; tuttavia, ritengo che il Governo possa riproporre questo ragionamento come contributo italiano, da qui ad un anno e mezzo, in sede europea, quando la direttiva dovrà essere sottoposta a verifica.
L'altro profilo riguarda l'indicazione del paese di provenienza per i materiali biologici vegetali oggetto di brevetto.
PRESIDENTE. Onorevole Cialente, la invito a concludere.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, credo di avere a disposizione venticinque minuti.
PRESIDENTE. Onorevole Cialente, il tempo a sua disposizione è quasi esaurito.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, concludo.
Abbiamo ottemperato agli obblighi assunti con la convenzione di Rio e l'abbiamo eliminata, ove possibile: questo è un grande passo in avanti.
Rispetto ad altri argomenti, vorrei aggiungere soltanto che il Governo italiano dovrà partire da queste riflessioni ed assumere una posizione precisa a livello europeo ed internazionale sulle grandi questioni biotecnologiche e di diritto brevettuale. Non siamo che un piccolo frammento: la scelta che faremo in questa sede, comunque, deve rientrare nel ragionamento complessivo a livello internazionale. Ritengo che tutte le forze politiche, ma soprattutto quelle progressiste e democratiche, debbano avere la forza di raccogliere le sfide che abbiamo di fronte.
Signor Presidente, mi consenta un'ultima riflessione. Credo di avere ancora un minuto a disposizione. Fuori da qui, attorno alle nostre parole e ai nostri atti, oltre ai tanti giovani, alle donne e agli
uomini, portatori di una rinnovata attenzione sui grandi temi della giustizia internazionale, dei diritti dei popoli e della tutela dell'ambiente, c'è il mondo della scienza: ricercatori e ricercatrici che lavorano spinti dalla voglia di esplorare e di conoscere.
Sono donne e uomini che si pongono problemi etici, sociali e politici dei quali qui stiamo parlando, dell'utilizzazione dei frutti del loro lavoro, dei benefici e dei limiti che devono avere. Questo Governo - lo vorrei dire anche rispetto all'intervento che mi ha preceduto -, che ha sempre affermato come questa sia una grande occasione per favorire questa ricerca, ebbene si è reso colpevole, ad esempio, della sospensione del finanziamento al progetto Genoma del CNR, che aveva portato al grande aumento del numero dei brevetti italiani nel campo delle biotecnologie. Soprattutto, non li offende il fatto di subire questi tagli alle risorse, quanto la minaccia della riduzione della più grande delle loro esigenze, quella della libertà e dell'autogestione della ricerca scientifica. Dall'altro, c'è il mondo dell'imprenditoria del settore biotecnologico.
Concludo con alcune considerazioni anche rispetto all'intervento precedente dell'onorevole Raisi, che parlava di una grande disomogeneità del precedente Governo su questi temi, che giustificavano il fatto che non si fosse andati avanti, vorrei ricordare che anche questo mondo delle biotecnologie e dell'industria non può andare avanti a furia di docce fredde da parte di questo Governo, perché questo esecutivo da un lato ha Marzano, che invita a lavorare, investire e fare ricerca sugli OGM, mentre dall'altro - io stesso ne sono stato testimone in uno degli ultimi convegni della Assobiotec - il ministro Alemanno di Alleanza nazionale invita l'Assobiotec ad abbandonare completamente in Italia questa linea di ricerca e a chiudere. Il mondo dell'industria credo che non ci voglia chiedere nulla se non regole certe, coraggio di assumere responsabilità, capacità di interloquire in modo serio, sereno, deciso e sincero, con una visione globale generale degli interessi del paese e degli italiani.
Chiudo dicendo a tutti costoro che noi dai banchi dell'opposizione, su un tema così complesso, anche forti del lavoro che abbiamo svolto in Commissione e certi di avere una reale capacità e una cultura di Governo del paese non solo, ma anche di queste problematiche odierne, ci proponiamo come interlocutori e come forze capaci in Italia e in Europa, nonché a livello internazionale, di percorrere insieme un cammino complesso in questo che è un campo nuovo, che appena 26 anni fa non esisteva. Credo che noi non abbiamo ricette precostituite, non abbiamo convincimenti, assiomi, soluzioni in tasca, ma una sola certezza, un imperativo morale, che è proprio della storia e della cultura della forza alla quale appartengo, di quello che io chiamo anche un nostro umanesimo, ovvero che questa nuova fase di progresso scientifico da noi verrà letta come un progresso ulteriore dell'umanità intera, rispettoso del diritto dei singoli, dei popoli, dell'ambiente, della dignità dell'uomo, un'idea che è molto difficile attualmente tradurre a livello giuridico, e questo è uno dei grandi problemi. Sarà difficile tradurre tutto ciò a livello giuridico, ma è comunque un concetto che ciascuno di noi, nel proprio cuore e nella propria anima, ha ben chiaro e presente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Cialente, le ho concesso un po' di tempo in più perché i suoi colleghi mi hanno detto che mi sarei «rivalso» con loro.
È iscritto a parlare l'onorevole Ercole. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'affrontare una materia così densa di implicazioni, quale quella delle biotecnologie, vorrei esprimere la soddisfazione del mio gruppo per il lavoro complessivamente svolto in Commissione in un confronto reciproco, costruttivo e stimolante. Il problema che ci
troviamo ad affrontare può essere inteso come la sfida dell'umanità per il terzo millennio. Le biotecnologie, per la varietà delle applicazioni possibili, sembrano infatti rappresentare la soluzione chiave per alcuni problemi atavici della nostra società, tra cui la lotta alle malattie, la fame nel mondo, la protezione dei raccolti dalle intemperie climatiche. La possibilità di aggirare tutti questi drammi collettivi rappresenta indubbiamente una sfida allettante sia per i ricercatori, che per noi politici. Ma in questo frangente la mia attenzione si concentra soprattutto sul problema dei limiti che la nostra natura umana, nonché i nostri traguardi sociali e politici, impongono alla ricerca e alla sperimentazione. Dove è opportuno fermarsi, o meglio, dov'è possibile fermarsi senza compromettere lo sviluppo scientifico e senza perdere quel patrimonio di umanità che abbiamo fino ad oggi costruito?
La risposta a questi interrogativi non potrà certo desumersi da un singolo testo di legge, ma mi sembra che l'attuale provvedimento rappresenti un buon compromesso fra i complessi interessi coinvolti. In particolare, vorrei esprimere tutta la mia soddisfazione e quella del mio gruppo sul risultato raggiunto in materia di sfruttamento degli embrioni. Come questa Assemblea ben ricorda, il nostro gruppo si è impegnato attivamente nel corso del dibattito sulla procreazione medicalmente assistita per promuovere una tutela giuridica dell'embrione che sappia rispettare la dignità dell'uomo fin dalle prime manifestazioni di vita.
Pur nella consapevolezza che non tutte le parti rappresentate in questa Assemblea parlamentare convengono con la nostra concezione dell'embrione quale essere umano a tutti gli effetti, vorrei evidenziare ancora una volta le storture e le devianze cui può portare un'estrema liberalizzazione della ricerca. Infatti, siamo tutti a conoscenza dei risultati raccapriccianti conseguiti in alcune parti del mondo a causa di una sperimentazione sfrontata e incontrollata. Insistendo sui limiti della ricerca non vogliamo, tuttavia, ignorare le possibili conquiste conseguibili grazie ad un utilizzo cauto e ponderato degli strumenti biotecnologici più innovativi. Siamo pienamente consapevoli dell'utilità di queste nuove scoperte ai fini della cura di malattie attualmente impenetrabili, ma siamo altresì convinti che una liberalizzazione indiscriminata potrebbe aprire scenari moralmente e materialmente difficili da gestire. In relazione alle cellule staminali, ad esempio, mi chiedo perché sia necessario sfruttare gli embrioni quando la ricerca può essere agevolmente continuata sulle cellule staminali adulte. Liberalizzare lo sfruttamento degli embrioni significa infatti aprire uno scenario di ricerca in cui non sempre è facile distinguere ciò che è propedeutico all'attività terapeutica da ciò che è mera sperimentazione fine a se stessa. Per questo è necessario prevenire, impedire fin dal nascere quelle dinamiche che una volta avviate possono risultare difficilmente controllabili.
All'interno di questo scenario generale vi è poi il problema specifico del riconoscimento di diritti di proprietà sulle scoperte effettuate grazie alla ricerca biotecnologica. Anche in questo ambito mi sembra che il provvedimento in esame abbia saputo raggiungere un apprezzabile compromesso. Infatti, da una parte si tutelano i soggetti che hanno le risorse e le competenze necessarie per la sperimentazione - e che quindi devono anche poter godere dei frutti della medesima -, dall'altra, tuttavia, si introducono le clausole di salvaguardia necessarie ad impedire che un singolo brevetto possa creare catene di sbarramento a detrimento di tutte le successive applicazioni della scoperta medesima e di tutte le ulteriori linee di ricerca.
Nel complesso, mi sembra che il provvedimento in esame sia chiaramente ispirato a quel principio di precauzione che non può essere ignorato da chi, come noi, è chiamato ad approvare misure con un così forte potere di condizionamento sul benessere delle generazioni future. Il dilemma di equilibrare la libertà e i diritti degli individui, delle industrie e delle organizzazioni con l'esigenza di ridurre il rischio di effetti negativi per l'ambiente o
per la salute non può essere affrontato con leggerezza e superficialità. Se i rischi di lungo periodo sono a noi ignoti non possiamo permettere che già nel breve periodo siano compromessi quei diritti fondamentali che sono la base del nostro contratto sociale.
Per questo, mi auguro che il presente testo di legge rappresenti un'occasione di riflessione, non solo per i responsabili politici, ma anche per i ricercatori chiamati ad attuare le norme giuridiche. Infatti, se l'ansia di progresso è insita nella natura umana, è nostro dovere garantire che la conquista di domani non si tramuti in una perdita dei diritti di oggi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.
ALDO PREDA. Signor Presidente, intervengo molto brevemente per svolgere essenzialmente due riflessioni, ma vorrei fare anche una premessa. Credo che il grave ritardo denunciato in quest'aula su questo provvedimento e sulla delega al Governo in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche sia stato positivo. Ciò perché era giusto sia nel paese, sia in questo Parlamento, sia nelle Commissioni un approfondimento di questa direttiva comunitaria che viene da lontano - come il dibattito - e, necessariamente, muta sempre nel tempo.
La riflessione che intendo fare attiene al dibattito tenutosi in Commissione agricoltura della Camera, avviato nella precedente legislatura (spero che non vada disperso), sulle implicanze della prevenzione dei gravi danni ambientali per il settore vegetale. Credo si tratti di un problema importante, anche se indubbiamente di valore diverso rispetto alle implicanze connesse al problema delle biotecnologie che attiene ai diritti fondamentali previsti dalla nostra carta costituzionale.
Credo sia fondamentale, poi, riaffermare fortemente il principio del rispetto della dignità e dell'integrità della persona umana. Si tratta di un diritto che credo faccia parte non solo della nostra cultura, ma anche di quella europea e che dovrà essere riaffermato nella stessa costituzione europea. La mia è, quindi, una riflessione molto breve su un aspetto del provvedimento in esame (credo abbia la sua importanza) il cui valore è legato soprattutto ai diritti fondamentali della persona umana.
Quando partecipiamo ai convegni sulle produzioni agricole italiane, sui produttori agricoli e a quelli sui consumatori e facciamo cenno, come è giusto, alle tecniche di intervento sui geni degli organismi viventi, sulle biotecnologie o sulle tecniche di ingegneria genetica (molte di queste tecniche vengono già applicate sugli animali inferiori e sulle piante), da parte degli auditori sorge una preoccupazione ed una domanda: quale futuro per l'uomo e per la nostra alimentazione? Questo problema è emerso in maniera molto chiara e pressante nella fase di adeguamento alla normativa europea, ma dovremo anche pensare a cosa fare a livello di legislazione italiana. Quando parliamo di cibi, di tracciabilità o di rintracciabilità sui prodotti alimentari e su ciò che consumiamo, ci accorgiamo che è necessario per la salute; abbiamo, infatti, bisogno di alcune sicurezze circa la salubrità degli alimenti. Siamo inoltre preoccupati perché ci accorgiamo che produciamo prodotti che maturano a comando, mais che resiste agli insetti e ai diserbanti, olio di soia privo di colesterolo, caffè senza caffeina o con meno caffeina, patate più ricche di amido e potrei continuare nell'elenco (sono preoccupazioni avvertite dai consumatori e anche dai produttori agricoli). Il problema della tracciabilità è legato anche a quello della sicurezza dei consumatori.
Credo che tutto ciò avrà un seguito negli anni futuri in modo sempre più accelerato; davanti a tale problematica, saremo chiamati continuamente ad incrementare la ricerca, ad essere più presenti in termini di politiche da adottare, a coinvolgere la gente e a sensibilizzarla.
Il primo problema che si pone sugli organismi geneticamente modificati (OGM)
riguarda la ricerca nel nostro paese, anche nel campo dell'agricoltura. Abbiamo sollecitato più volte il ministro Alemanno a fare il punto sulla ricerca in agricoltura nel nostro paese perché avvertiamo alcuni risvolti che rischiano di essere negativi. Sorgono inquietanti interrogativi di ordine etico e morale, ma non solo: in merito a tale problema, esploso in questi ultimi anni, dobbiamo richiedere (al riguardo abbiamo votato alcuni documenti presentati) un approccio quanto mai prudenziale e che sia data libertà di spazio alla ricerca.
La preoccupazione aumenta quando qualcuno sostiene, con troppa enfasi, la cosiddetta libera tecnologia, abbinandola al libero mercato, oppure quando i poveri del mondo constatano quanto la loro miseria sia così distante, diversa ed anomala davanti alle possibilità di crescita offerte dalla tecnologia.
Credo di dover svolgere una riflessione, prima di ritornare su un documento votato, con largo consenso, in Commissione agricoltura, con riferimento alle vicende di Johannesburg, da dove provengono alcune indicazioni abbastanza importanti; in primo luogo, vorrei ricordare che per la prima volta, dopo anni di scontro, vi è stato un avvicinamento, - non so a cosa possa portare -, passato in sordina sui mass-media, tra gli ambientalisti e i dirigenti delle multinazionali. Cosa si intende per avvicinamento? Probabilmente si sono soltanto parlati per arginare e frenare il decadimento ambientale. Alcuni di questi problemi riguardavano l'agricoltura ed erano di interesse universale, quali l'utilizzo degli organismi geneticamente modificati e l'impiego dei fertilizzanti di sintesi. È stato posto un problema reale, ovvero che tutto ciò non può essere fatto mettendo ai margini l'autorità pubblica, lasciando ogni cosa nelle mani dei privati; occorre dunque un'autorità politica internazionale di vigilanza.
La seconda riflessione che è stata svolta è quella secondo cui i grandi cambiamenti dell'umanità non avvengono per decreto-legge o per legge, ma attraverso la conoscenza, il coinvolgimento, la ricerca continua ed il finanziamento di quest'ultima, dando la possibilità che i ricercatori possano muoversi liberamente, al di là dei contenuti del documento finale di Johannesburg, sì importante, ma spesso pieno soltanto di intenti positivi.
Siamo anche tutti consapevoli che, in merito al problema degli organismi geneticamente modificati, il 74 per cento degli italiani è contrario alla loro introduzione nel nostro paese; è contrario all'introduzione nell'alimentazione e questa contrarietà aumenta sondaggio dopo sondaggio.
È evidente che il consumatore è colui che decide e l'industria agroalimentare, importante per il ruolo che può svolgere anche nella ricerca, deve tenere conto di questa tendenza; mi sembra che oggi tenga conto di questa tendenza.
Esiste poi la minaccia della contaminazione ambientale indiretta, che può manifestarsi a tutti i livelli della filiera agroalimentare, dal campo alla tavola. Il laboratorio chimico della Camera di commercio di Torino ha rilevato nel 2001, dalle analisi effettuate, che in 7 casi su 51 si sono rilevate tracce di organismi geneticamente modificati nei prodotti biologici. Nel momento in cui, anche a livello comunitario veniva sancito un divieto di impiego degli organismi geneticamente modificati e dei loro derivati, al legislatore comunitario si è posto il problema delle contaminazioni involontarie, ossia di quelle che non dipendono dal comportamento doloso dell'operatore, nonché da quelle contaminazioni inevitabili che sono causate da terzi estranei al processo produttivo.
Occorre precisare che le norme regolamentari, con riferimento al possibile ritrovamento di prodotti non conformi, parlano di generico divieto di impiego, - e non poteva essere diversamente - in una logica di certificazione del prodotto basata essenzialmente su un controllo di processo.
Il disegno di legge in discussione, che riproduce l'articolo 6 del disegno di legge n. 2031, stralciato con deliberazione assembleare del 12 febbraio 2002, è volto a recepire la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 44/98 del 6 luglio 1998: quattro anni sembrano molti, ma credo
che il dibattito sia stato positivo e fruttuoso. Credo anzi che gli emendamenti presentati - sui quali attenderemo un giudizio - possano ulteriormente favorire un approccio ampio da parte di questa Assemblea.
Con quella direttiva, gli Stati membri sono stati investiti del compito di tutelare le invenzioni biotecnologiche mediante il diritto nazionale dei brevetti. Il recepimento avviene con delega al Governo, che la eserciterà entro sei mesi, previa acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari (credo di molte Commissioni parlamentari).
È evidente che questo provvedimento non ha soltanto una rilevanza economica (pensiamo all'industria italiana, alla ricerca), ma solleva anche una serie di altri problemi: etici, come è già stato ricordato, religiosi, morali ed anche economici, problemi relativi alla ricerca avanzata ed applicata e problemi relativi a maggiori investimenti per la ricerca. Si tratta di problemi sui quali nella precedente legislatura vi è stato - come qualcuno ha già ricordato ma mi piace ricordarlo nuovamente - un approfondimento e un dibattito nelle varie Commissioni parlamentari, sia alla Camera che al Senato: l'indagine conoscitiva sulle biotecnologie della Commissione agricoltura della Camera dell'ottobre 1997, la risoluzione della Commissione affari sociali della Camera del 10 marzo 1998, la risoluzione della Commissione agricoltura del Senato che impegnò il Governo ad attivarsi per sospendere l'emanazione della direttiva fino alla sua radicale rielaborazione.
In Commissione agricoltura, per la parte di competenza, abbiamo rilevato che il nuovo regime delle brevettature, introdotto dalla direttiva n. 44/99, rischia di creare problemi all'agricoltura del nostro paese, soprattutto perché conduce ad una situazione di monopolio, sia per l'economia che per i diritti dei produttori, realizzando di fatto una dipendenza dalle multinazionali. Abbiamo rilevato, inoltre, effetti negativi anche sulle biodiversità, sia vegetali che animali. È stata riaffermata, infine, l'esigenza, a mio avviso importante, di garantire il principio della massima precauzione nel campo delle biotecnologie, affermata anche nella precedente legislatura dalle varie Commissioni.
Il futuro decreto legislativo di applicazione della direttiva comunitaria - che spero venga approvato con larga convergenza - deve tener conto non soltanto, ma anche dei problemi economici, non soltanto, ma anche dei problemi dell'industria; soprattutto, però, dovrà tener conto dei valori che deve esprimere una società dove i valori etici e morali della difesa dell'uomo hanno privilegio sull'economia, sulle multinazionali, sulla logica del puro mercato (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Arrighi. Ne ha facoltà.
ALBERTO ARRIGHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello in discussione è sicuramente uno di quegli argomenti che dividono le coscienze e suscitano un ampio dibattito. Come si è visto negli interventi precedenti, si tratta di un argomento complesso, che coinvolge problemi etici, scientifici, problemi di libertà, problemi di produzione e problemi sanitari. Si tratta, ovviamente, di una questione che non può sfuggire ad un dibattito. Dovrebbe essere un dibattito allargato, che coinvolga la società nel suo complesso.
Credo che anche un Governo - per rispondere all'onorevole Cialente - abbia il sacrosanto diritto di discutere su certi argomenti, di avere anche opinioni divergenti e di trovare poi una sintesi necessaria, perché ciò di cui stiamo discutendo oggi non è un semplice provvedimento, ma qualcosa può modificare radicalmente il corso della nostra stessa civiltà. Quindi, ritengo sia legittimo per il ministro Alemanno non affermare la necessità di ritornare indietro sulla strada della ricerca scientifica - perché non è questo che è stato detto da un ministro di Alleanza nazionale - ma ribadire invece la necessità di applicare il principio di massima precauzione nel momento in cui si entra
in ambiti come quello della commercializzazione di organismi geneticamente modificati e della produzione di questi sul territorio nazionale.
In questi ultimi anni, con l'evoluzione delle tecniche di ingegneria genetica applicate al miglioramento o alla manipolazione di specie vegetali e animali, le tematiche inerenti alla proprietà intellettuale in campo agricolo, che fino a pochi anni fa avevano interessato soltanto un ristretto gruppo di specialisti, hanno assunto oggi rilevanza assoluta.
In questo senso la svolta si è verificata - veniva ricordato precedentemente - nel dicembre 1993, all'atto della sottoscrizione dell'accordo conclusivo dell'Uruguay Round, l'ultimo negoziato multilaterale sul commercio svoltosi in sede GATT. Tra i diversi capitoli in cui si articolava l'accordo complessivo vi erano, infatti, anche i cosiddetti accordi TRIPS, il cui principale obiettivo dichiarato era quello di prevedere che la tutela brevettuale per prodotti e procedimenti potesse essere garantita in tutti i campi della tecnologia.
Fermo restando l'obiettivo di garantire la massima estensione possibile alla protezione di brevetto negli accordi TRIPS - e in specie all'articolo 27.2, peraltro, richiamato nel considerando 36 della direttiva 98/44 - è tuttavia concessa agli Stati aderenti la facoltà di escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita e la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali.
Va, comunque, sottolineato che tali principi, sebbene previsti a tutt'oggi, mai hanno trovato applicazione nella giurisprudenza. Assai difficilmente potranno trovarla a causa della sostanziale difficoltà di dimostrare spesso il ricorrere dei casi indicati nel succitato articolo 27.2 degli accordi TRIPS. A seguito di ciò, le nuove regole sulla protezione della proprietà intellettuale introdotta nel quadro dell'accordo conclusivo dell'Uruguay Round hanno, di fatto, aperto la strada per l'estensione del brevetto industriale alle scoperte genetiche vegetali, determinando, in questo modo, l'insorgenza di un problema tanto nuovo quanto ricco di importanti implicazione di carattere, non solo etico e scientifico, ma anche e soprattutto di tipo economico e politico.
Prima della sottoscrizione di tali accordi, infatti, aveva sempre prevalso una generale riluttanza, se non spesso un'evidente contrarietà, a concedere forme di protezione brevettuale nel settore agricolo. Prevaleva la convinzione che fosse del tutto inopportuno, nonché particolarmente rischioso, determinare situazioni in grado di favorire lo sviluppo di monopoli in settori di assoluta rilevanza strategica ai fini dell'approvvigionamento alimentare.
Il passaggio dal precedente sistema di protezione dei diritti dei costitutori di nuove varietà all'attuale possibilità di brevettazione cambia radicalmente il quadro strategico di riferimento e ciò rischia di determinare evidenti conseguenze, sia per gli agricoltori sia per i responsabili delle scelte di politica agraria.
Prima della sottoscrizione di tali accordi, l'unica forma di tutela per i costitutori di nuove varietà in campo agricolo era rappresentata dai plant breeder's right, ossia dai titoli speciali di produzione, i cui presupposti e caratteristiche sono tali da conferire diritti ben diversi e meno forti rispetto a quelli garantiti dai brevetti per invenzioni, ossia il cosiddetto brevetto industriale o pattern. Principali differenze tra nuovo sistema di diritti e quelli precedentemente conferiti con i PBR riguardano il fatto che, contrariamente a quanto avveniva in passato, il brevetto industriale si riferisce, non solo alla nuova varietà in quanto tale, ma anche al procedimento utilizzato per ottenerla e all'utilizzo, in ogni forma e modo, del materiale di riproduzione. In pratica, mentre con i PBR, il costitutore di una nuova varietà acquisiva un diritto analogo a quello riconosciuto all'autore di un libro, quindi, di fatto, un diritto di autore, che si risolveva con la concessione di una royalty, con il brevetto industriale l'autore di un'invenzione genetica diviene proprietario esclusivo
della sua scoperta e di tutte le relative applicazioni. È evidente che situazioni di questo tipo, nel momento in cui trova attuazione nel campo delle biotecnologie, quindi, sugli esseri viventi, pone problemi, non solo di applicazione, ma anche di gestione, le cui implicazioni sono talmente vaste da interessare la collettività nel suo complesso.
Oltre che per il richiamato motivo di voler evitare la determinazione di situazioni favorevoli all'insorgenza di monopoli, la non estensione del brevetto industriale all'agricoltura aveva tratto le sue regioni anche nei fatti seguenti. In primo luogo, si riteneva utile rispettare l'evidente esigenza collettiva di favorire un uso ampio e generale delle nuove varietà selezionate. In secondo luogo, appariva - e dovrebbe apparire tutt'oggi evidente - che le piante e gli animali superiori in quanto organismi autoreplicanti erano e sono cosa ben diversa dei prodotti industriali e che pertanto non potevano essere soggetti ad eguali forme di protezione della proprietà intellettuale. Alla luce di quanto sopra sembrerebbe, dunque, pressoché incomprensibile o quanto meno difficilmente spiegabile il perché sia stato deciso di estendere al settore agricolo uno strumento di protezione come il brevetto industriale che per sua natura è, di fatto, proprio di altri settori. Risponde a tale domanda è tutt'altro che difficile. Per farlo è sufficiente risalire alla sede in cui fu adottata la suddetta decisione, ossia il negoziato multilaterale sul commercio mondiale. È, infatti, noto che in tali sedi la capacità di pressione delle multinazionali raggiunge i suoi massimi livelli così com'è noto che in tali consessi l'Unione europea è rappresentata dalla Commissione, ossia dall'istituzione comunitaria che patisce più di ogni altra quel deficit democratico che è conseguenza fisiologica delle modalità di nomina dei commissari che, sebbene siano chiamati a svolgere un ruolo di cruciale importanza, sono, di fatto, svincolati dalle forme di controllo da parte del Parlamento che sono proprie dei sistemi democratici e che, tra le altre cose, interessano tutti i Governi nazionali dei paesi membri dell'Unione europea.
Non desidero tanto alimentare già dibattute e, comunque, sempre attuali polemiche riguardo al ruolo delle istituzioni comunitarie quanto, piuttosto, evidenziare che il problema delle biotecnologie, in special modo quello della produzione di organismi transgenici in agricoltura, non si sarebbe probabilmente posto se non fossero state modificate le regole riguardanti la possibilità della loro brevettazione. Ciò per un motivo molto semplice: attualmente, nel mondo, sono non più di sette i grandi gruppi multinazionali interessati alla produzione di OGM da impiegare in campo agricolo; ed è evidente che la possibilità di proteggere con il brevetto industriale le loro scoperte ha aperto alle stesse multinazionali prospettive di estremo interesse al fine di assicurarsi il controllo strategico della produzione e del commercio agricolo a livello mondiale.
D'altronde, che l'intero quadro delle nuove regole in materia di brevettabilità delle invenzioni genetiche sia stato disegnato in funzione degli interessi e delle esigenze delle multinazionali è talmente evidente da essere facilmente riscontrabile. Ci riferiamo al fatto che la direttiva 98/44/CE sulla proprietà intellettuale delle biotecnologie e, di conseguenza, questo disegno di legge di recepimento appaiono formulati in modo tale da assicurare la massima libertà di movimento ai soggetti interessati allo sfruttamento economico dei brevetti. A conferma di ciò è sufficiente ricordare che la convenzione sulla concessione dei brevetti europei, sottoscritta a Monaco nel 1973, tuttora in vigore, al fine di omogeneizzare le diverse legislazioni nazionali, all'articolo 53, esclude categoricamente la concessione di brevetti per le varietà vegetali o le razze animali, come per i procedimenti, essenzialmente biologici, per la produzione di vegetali o animali, precisando che tali disposizioni non si applicano ai procedimenti microbiologici ed ai prodotti ottenuti mediante tali procedimenti per i quali esistono apposite norme.
Stando a quanto detto sopra, considerato che, in tutto il mondo, gli allevatori coltivano varietà vegetali ed allevano razze animali, se ne deduce che l'attività agricola non dovrebbe essere interessata dal problema della brevettabilità delle invenzioni genetiche. Eppure, nella direttiva 98/44/CE, si legge che, ferma restando la non brevettabilità della varietà delle razze, è comunque tutelabile, attraverso brevetto, un insieme vegetale caratterizzato da un determinato gene, e non dal suo intero genoma, o il materiale biologico che contiene il transgene. In altre parole, si può brevettare ciò che producono le multinazionali operanti nel settore delle biotecnologie. Un organismo transgenico ottenuto attraverso l'inserimento di un gene che consente di produrre una proteina che induce resistenza ad un determinato agente patogeno non è, forse, un insieme vegetale caratterizzato da un determinato gene e dal suo intero genoma? E il materiale biologico che contiene il transgene non è, forse, l'organismo ottenuto con la stessa transgenesi oppure, a seconda delle necessità, il microrganismo utilizzato per trasportare il gene dal donatore al ricevente?
È, dunque, evidente che, grazie alle norme recate dalla direttiva 98/44/CE, che prescinde dalla succitata convenzione di Monaco e dai tanti problemi etici da più parti sollevati, si determina una situazione tale da garantire alle multinazionali la possibilità di brevettare sia gli organismi transgenici che esse producono sia le metodiche utilizzate per ottenerli.
Alla luce di quanto esposto, il problema principale che ci troviamo ad affrontare in sede di recepimento della direttiva è quello di riuscire ad individuare chiaramente quale sia l'estensione delle norme da essa recate. Ma non vi è soltanto questo. Nel descritto quadro, il problema è anche capire come si sia potuto pensare che una sola norma, peraltro di carattere orizzontale, potesse essere sufficiente a regolamentare una materia tanto vasta come quella della protezione delle scoperte biotecnologiche. Dovrebbe apparire chiara a tutti, infatti, l'impossibilità che un'identica normativa tuteli i diritti di tutti coloro che si rendono protagonisti di invenzioni in campo biotecnologico senza distinguere tra settore microbiologico, biomedicale ed agricolo dove, giova sottolinearlo, si opera con organismi superiori autoreplicanti.
A ciò si aggiunga che sempre la stessa normativa orizzontale dovrebbe avere la capacità, oltre che di proteggere i diritti degli inventori operanti in settori così diversi, anche di tutelare gli interessi della collettività, che di tali invenzioni deve essere sempre considerata destinataria finale.
Dovrebbe essere a chiunque evidente che le implicazioni e, quindi, gli interessi economici conseguenti all'applicazione delle biotecnologie sono profondamente diversi a seconda del settore cui esse si riferiscono. Riteniamo, dunque, legittimo chiederci se la scelta di dettare una sola norma per tutte le biotecnologie sia frutto di leggerezza oppure il risultato di una specifica strategia, finalizzata a favorire il perseguimento di determinati obiettivi. Non ce lo chiediamo per alimentare sospetti, ma perché la questione è particolarmente attuale e sentita dall'agricoltura. Tutto quanto riguarda le applicazioni biotecnologiche non può e non deve essere considerato e, di conseguenza, regolamentato come altri settori, anche perché il problema della produzione e del commercio di organismi transgenici nel campo agricolo ed in quello agroalimentare non è soltanto un problema scientifico e sanitario, ma anche politico ed economico. Non è un problema scientifico poiché le tecniche per ottenere gli organismi transgenici sono ormai acquisite (non a caso, si parla già di OGM di seconda generazione, ossia di prodotti successivi a quelli attualmente in circolazione).
Non è un problema sanitario, non soltanto, perché a tutt'oggi, nonostante le continue accese contrapposizioni che esistono tra favorevoli e contrari, non sono emerse evidenze scientifiche in grado di provare né la pericolosità né l'innocuità degli OGM. È invece un problema economico e politico perché per la nostra agricoltura
la liberalizzazione della produzione e del commercio di organismi transgenici può comportare evidenti e pesanti conseguenze a tre diversi livelli: produttivo, commerciale e di controllo strategico del settore. A livello produttivo si devono operare due diverse considerazioni riferite rispettivamente ai costi-benefici conseguenti ad un'eventuale apertura agli OGM. Sul fronte dei benefici risulta, ad esempio, che negli Stati Uniti l'impiego di una varietà di soia resistente all'uso dei disseccanti - soia OGM - determina una riduzione dei trattamenti di diserbo, quindi un risparmio stimato in circa 8 dollari ad ettaro; cifra indubbiamente considerevole sulle grandi estensioni di coltivazione americana, ma che appare ridicola all'interno di un quadro ristretto di agricoltura quale è quello delle nostre aziende agricole. Sul fronte dei costi, come è emerso dai risultati di uno studio del maggio scorso commissionato all'istituto per lo studio delle prospettive biotecnologiche di Siviglia dalla Commissione UE, è stato stimato che in Europa un'eventuale diffusione dal 10 al 50 per cento delle coltivazioni OGM determinerebbe, da un lato, un aumento fino al 10 per cento dei costi di produzione degli agricoltori tradizionali, che sarebbero così messi fuori mercato o comunque messi in grave difficoltà, dall'altro lato, la probabile chiusura delle imprese impegnate nel settore dell'agricoltura biologica. Insomma, si verificherebbe il caso ben studiato dalle teorie economiche della moneta cattiva che scaccia quella buona.
Le suddette considerazioni evidenziano come l'apertura agli OGM determinerebbe, da un lato, limitati benefici a livello individuale, dall'altro lato, assai più rilevanti costi a livello collettivo. È infatti evidente che la riduzione dei costi di cui dovrebbero beneficiare i coltivatori di varietà OGM non potrebbe in alcun caso essere tale da compensare né l'aggravio dei costi per il resto del sistema né la probabile perdita di una forma di cultura - quella biologica - che, quale che sia l'opinione che si può aver al riguardo, rappresenta comunque un'importante realtà economica (ad oggi il 7 per cento della produzione agricola totale), né si può pensare di eliminare i problemi di convivenza ora descritti prevedendo di generalizzare l'impiego degli OGM.
A livello commerciale non si può non considerare che in Italia, così come nel resto dell'Europa, più del 70 per cento dei cittadini risulta essere contrario all'impiego di organismi transgenici in campo agricolo ed alimentare. Il nostro sistema agroalimentare è noto nel mondo per la qualità e per la tipicità delle sue produzioni. I consumatori che all'estero si rivolgono ai nostri prodotti intendono acquistare non solo un semplice alimento, ma anche un'immagine ove si attendono di ritrovare territorio, cultura, tradizioni, modelli alimentari di origine. Immagini queste che gli OGM, anche se un giorno dovessero risultare del tutto innocui per salute ed ambiente, assai difficilmente potrebbero garantire. Non si fa parmigiano reggiano con mucche che mangiano foraggio da OGM, questo deve essere chiaro per tutta l'estensione dei nostri prodotti agricoli.
Considerazioni analoghe possano essere riferite anche al consumatore italiano, che, per quanto riguarda i prodotti agroalimentari, oramai da anni presta crescente attenzione alla qualità nella sua accezione allargata che non riguarda solo gli aspetti organolettici, ma anche quelli sanitari, nutrizionali, di composizione, di natura e di origine delle materie prime.
Chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
Vorrei poi, a questo punto, rivolgere un ringraziamento alle Commissioni per il compiuto, perché credo che abbiano comunque svolto un dibattito difficile e pesante che, in ogni caso, porta a recepire una direttiva europea, sancendo alcuni principi che da tempo si aspettava di poter recepire (quanto meno quattro anni dall'uscita della direttiva europea), senza però trascurare la necessità di aprire il più possibile una via italiana alla ricerca, valutando il più possibile le necessità di una
crescita della ricerca della nostra nazione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. Onorevole Arrighi, la Presidenza autorizza la pubblicazione del suo intervento in calce al resoconto della seduta odierna. È iscritto a parlare l'onorevole Gambini. Ne ha facoltà.
SERGIO GAMBINI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, il dibattito, svoltosi prima in Assemblea, in occasione dello stralcio dell'articolo 6 del collegato alla legge finanziaria sulla regolazione dei mercati, poi in Commissione sulla delega al Governo per il recepimento della direttiva europea in materia di protezione delle invenzioni biotecnologiche, ha mostrato la portata e la rilevanza delle problematiche recate dal provvedimento in discussione, tanto da rendere indispensabile la precisazione e l'introduzione di ulteriori limiti alla brevettazione del materiale biologico umano, animale e vegetale.
Siamo tutti consapevoli della portata storica delle scoperte in campo biotecnologico e delle attese che esse suscitano nell'opinione pubblica, dei sentimenti di speranza e di paura.
È presente alla sensibilità di molti il fatto che tali scoperte incideranno, probabilmente in modo irreversibile, su molti aspetti della vita: dall'alimentazione alla sanità, dalle applicazioni industriali all'agricoltura, all'ecosistema nel suo complesso. Tutto ciò ha come riflesso il muoversi, già oggi, agli albori di tale processo, di interessi incalcolabili, di potenzialità, quali grandi investimenti privati, e di limiti, quali gli scarsi investimenti pubblici, senza contare il rischio di una ulteriore possibile contrapposizione tra paesi ricchi e paesi poveri nella corsa alla brevettabilità biotecnologica, alla ricchezza ed alle opportunità cui essa darà luogo.
D'altra parte, già due anni dopo l'approvazione della direttiva europea, due diversi soggetti, uno pubblico ed uno privato, annunciavano la realizzazione della mappatura fisica di tutti i cromosomi umani. Né possiamo dimenticare vicende che hanno mostrato il possibile lato oscuro di una ricerca senza limiti e senza alcun genere di controllo: mi riferisco alla vicenda della clonazione della pecora Dolly; alla più volte annunciata intenzione da parte di alcuni ricercatori di clonare l'essere umano, fino ad arrivare al tema di grande attualità costituito dagli organismi geneticamente modificati che già circolano, con scarsissimi controlli, sui mercati internazionali.
Si aprono davanti all'umanità scenari di difficile previsione, gravati, come sono, di grandi speranze ed opportunità, ma anche di rischi e di interrogativi. Una domanda che è giusto porsi è se il mercato saprà, da solo, essere elemento di regolazione dei costi, della ricerca biotecnologica sulla quale peseranno i diritti fissati ai brevetti o se, come sta accadendo in altri ambiti molto meno rilevanti di questo, i costi, invece, non si scaricheranno interamente sui consumatori e, più in generale, sul sistema e, in esso, sui paesi più poveri del pianeta.
La brevettabilità di scoperte in campo biotecnologico rischia effettivamente di impattare con la libertà della persona e con la tutela dell'ecosistema. Per questo, nel recepire la direttiva 44/98 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche abbiamo chiesto, fin dall'inizio dell'iter parlamentare, che fossero posti, o meglio, precisati, i limiti della brevettabilità a tutela di fondamenti basilari per la continuazione della specie umana di quelle animali e di quelle vegetali. In questo caso, come in altri casi che hanno a riferimento le straordinarie novità messe a disposizione della ricerca scientifica, le domande sociali che si incrociano, i limiti etici cui devono sottostare, si pone di fronte al legislatore una strada complessa per giungere a normare campi dell'attività umana così densi di implicazioni e per rifuggire la tentazione di un approccio ideologico in grado di produrre soltanto un conflitto fra diverse visioni etiche ed ideali.
Ci troviamo di fronte - come ricorderanno i colleghi ciò è già avvenuto nel corso della discussione sulla procreazione medicalmente assistita - a temi che disegnano un vero e proprio salto antropologico che richiama l'esigenza di nuovi assetti culturali, psicologici ed etici in grado di governarlo e che richiede, perciò, norme giuridiche in grado di rispettare la pluralità dei percorsi che portano una società complessa, ricca e articolata qual è la nostra a comprendere, a metabolizzare e a cogliere l'opportunità e, nello stesso tempo, i limiti delle pratiche scientifiche e delle tecnologie che la ricerca mette a disposizione. Avvertiamo tutti una grande diversità rispetto al passato quando, di fronte alle opportunità spalancate all'umanità dalla ricerca scientifica, stava un corpo sociale coeso sui fondamentali valori etici comuni, capace di esprimere, nella larga maggioranza, un'adesione comune e consapevole a quei valori e perciò forte nell'esprimere una domanda di norme collocata in un orizzonte ampiamente condiviso.
La società complessa avanza invece domande diversificate, a volte contrapposte, e le pone sempre più in un contesto di carattere internazionale dal quale è impossibile prescindere, pena un isolamento produttivo, scientifico e di ricerca che il nostro paese non può certo permettersi. In questa prospettiva la legge è sempre meno espressione di una già radicata volontà generale; essa rappresenta sempre più l'opinione della maggioranza, e perciò rischierebbe di essere accolta negativamente se si prefiggesse l'obiettivo di imporre scelte alla minoranza che non ha potuto ispirarla, soprattutto laddove si tratti di leggi invasive e di convenzioni radicate e di culture che si sono temprate nella conquista di nuove identità. Per questo la legge, in tali casi, deve tendere a trasformarsi da veicolo per l'affermazione definitiva di uno dei valori che sono in campo a strumento avente l'obiettivo di favorire la coesistenza dei diversi valori ed interessi della nostra comunità nel contesto internazionale, soprattutto quando affronta questioni che presentano un elevato indice di eticità e che coinvolgono i valori fondamentali. Le leggi in questo campo devono rifuggire da una normativa segnata da tratti ideologici e scegliere invece una disciplina meno pesante, che si confronti con le questioni reali già presenti sul tappeto nel processo sociale e che non possono essere eluse, pena la crescita di contrasti, di inerzie e l'esclusione del nostro paese dai processi di ricerca e di innovazione che avanzano sugli scenari globali. Non quindi una normativa che imponga un determinato modo di guardare all'universo, che pretenda di regolare tutto il fenomeno deducendo le regole da alcuni principi, ma una legislazione che cerchi di risolvere i problemi già posti dal fenomeno in esame, senza pretendere di imporre un valore sacrificando il valore contrapposto. La legge deve essere tale da chiudere i conflitti in atto e non deve generarne di nuovi; essa deve rappresentare un'opportunità irrinunciabile per il nostro paese ed essere anche capace di valorizzare le sue peculiarità rispetto al contesto internazionale, senza mai cullarsi, però, in un'idea isolazionista, anzi facendo di quella peculiarità un elemento dialettico e dialogante, di stimolo verso traguardi più avanzati, quale la formazione di norme che avviene su scala internazionale.
È in quest'ottica che ci siamo impegnati con l'obiettivo di rendere chiari i limiti - cui prima facevo riferimento - entro i quali recepire la direttiva, perché solo una limpida definizione di quei limiti può conferire alla legge italiana in materia di biotecnologie l'ambizione di rappresentare un punto di riferimento unificante per i diversi attori che agiscono su questo terreno nuovo, dai ricercatori ai tutori della biodiversità. Tali limiti sono sostanzialmente il divieto di clonazione e di modifica della linea germinale umana, la necessità di uno stretto collegamento tra esperimenti di genetica e fini terapeutici della ricerca, l'obbligo di garantire il consenso libero ed informato di coloro che si sottopongono a tali esperimenti, l'impossibilità di violare l'intimità della persona tramite la conoscenza completa del suo
patrimonio genetico, la tutela delle specie animali e vegetali. Come da più parti ricordato, in quest'ambito non esistono dubbi sul fatto che sugli aspetti commerciali debbano avere la preminenza i diritti dell'uomo come definiti in ambito internazionale e dell'articolo 32 della Costituzione.
Lo stralcio, da noi richiesto, di una materia così delicata è stato il primo passo per consentire alle Commissioni un dibattito approfondito sia sul valore della brevettabilità - che tutela la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche - sia sulla destinazione dei risultati della ricerca, che deve essere quanto più possibile universale e rispondere alle esigenze di progresso dell'umanità. È d'altra parte emerso dal dibattito che la brevettabilità, pur costituendo da un lato un incentivo alla ricerca in vista dei connessi ritorni economici, potrebbe rappresentare, da altro lato, una barriera che ostacola l'attività di un gran numero di ricercatori.
Il professor Ricolfi nella sua audizione ci ha ricordato il peculiare legame che unisce i tre piani distinti della ricerca, del brevetto di appartenenza e dell'attuazione, e come le norme sul brevetto possano influire in modo determinante sia, a monte, sulla ricerca, sia, a valle, sull'attuazione del brevetto. Egli ha richiamato un'iniziativa adeguata dell'Italia e dell'Europa per ottenere una ridefinizione degli accordi TRIPS, soprattutto laddove essi permettono ai grandi operatori statunitensi di intervenire su un intero pianeta al riparo, però, di un sistema giudiziario del loro paese a tutela dei brevetti sostanzialmente inaccessibile a terzi a causa dei costi elevatissimi che esso comporta. Condividiamo quelle osservazioni: esse indicano l'importanza del provvedimento in discussione, ma anche i suoi limiti e perciò l'esigenza di individuare altri strumenti per far valere molte buone ragioni ed argomenti di innovazione emersi nel corso della discussione di questa legge.
Abbiamo, dunque, la responsabilità di approvare un provvedimento che dia la garanzia di separare una ricerca rispettosa dei valori della dignità umana ed orientata ad estendere a tutta la popolazione mondiale i benefici della ricerca e della conoscenza del genoma umano e quanti, anche nel mondo scientifico e tra le case farmaceutiche, vorrebbero, invece, mano libera su un terreno che può coinvolgere negativamente il futuro stesso dell'ecosistema.
D'altra parte, questi elementi di discrimine e di preoccupazione sono già stati messi in rilievo dalla Commissione temporanea sulla genetica umana costituita dal Parlamento europeo nel 2000, così come dal comitato nazionale per la bioetica. Le perplessità e le esigenze di chiarimento rispetto al testo originario hanno mostrato come la richiesta a suo tempo avanzata dal Governo italiano, che ha poi sostenuto il ricorso contro il Parlamento e il Consiglio dell'Unione europea per l'annullamento della direttiva dopo la sua approvazione, avesse un serio fondamento, nonostante vi sia stato il pronunciamento negativo della Corte di giustizia.
Possiamo, quindi, affermare che, nonostante l'urgenza di recepire la direttiva per evitare il vuoto legislativo e danni al nostro sistema di ricerca, è stato giusto stralciare un tema tanto delicato dal collegato e prendersi il tempo necessario per le audizioni e per un approfondito dibattito. Ne è testimonianza il fatto che, rispetto alla prima versione dell'articolato sul quale i democratici di sinistra hanno espresso non poche perplessità, il testo che giunge all'esame dell'Assemblea ha subìto sostanziali modifiche che hanno avvicinato le diverse posizioni, anche se non possiamo ancora affermare di essere pienamente soddisfatti del lavoro svolto, soprattutto riguardo al tema del consenso informato.
In particolare, abbiamo sostenuto e condiviso l'introduzione del concetto secondo cui il gene rimane proprietà dell'umanità ai fini della ricerca scientifica, mentre viene brevettato il procedimento tecnico, ossia l'invenzione. Parimenti, sono stati meglio precisati o ampliati i casi di esclusione della brevettabilità previsti dalla direttiva e, in particolare, la brevettabilità di tutti i procedimenti di clonazione di esseri umani, dei procedimenti o prodotti applicati alle cellule germinali
contenute nelle ghiandole riproduttive, di ogni utilizzazione degli embrioni umani comprese le linee di cellule staminali embrionali, dei procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali anche in considerazione delle inutili sofferenze ad essi procurate, quasi sempre senza utilità medica sostanziale per l'essere umano o l'animale medesimo.
Non sarà, dunque, possibile brevettare il corpo umano né la mera scoperta di uno degli elementi del corpo umano, compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, così come non sarà possibile brevettare i metodi per il trattamento chirurgico e terapeutico del corpo umano o animale e dei metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale. Non sarà possibile lo sfruttamento commerciale delle invenzioni contrarie alla dignità umana, alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali e della biodiversità ed alla prevenzione di gravi danni ambientali.
Ulteriori limiti sono posti dalle norme che dispongono l'obbligo di indicare la provenienza del materiale biologico utilizzato nelle invenzioni con riferimento sia al paese di origine sia all'organismo biologico dal quale tale materiale è stato isolato. Vi è poi la norma che stabilisce che, in caso di richiesta di brevetto per un'invenzione che abbia per oggetto oppure utilizzi materiale biologico contenente microrganismi o organismi geneticamente modificati, vi sia l'obbligo per il richiedente di dichiarare la conformità di questi ultimi alle relative norme nazionali o comunitarie. Infine, vi è la norma che dispone la nullità di tutti gli atti giuridici e di tutte le operazioni negoziali compiuti in violazione dei divieti previsti nel provvedimento.
Rimane invece aperto il delicatissimo tema del consenso preventivo della persona da cui è stato prelevato materiale biologico che, nell'attuale formulazione, non risulta sufficientemente chiaro e presenta profili problematici che debbono e possono ancora essere risolti. Da qui la nostra astensione ed il nostro impegno affinché in aula tale ultimo rilevante problema venga risolto con maggiore precisione e chiarezza.
Resta il fatto che il recepimento della direttiva è indispensabile ed urgente per creare, almeno all'interno dell'Unione europea, l'armonizzazione delle normative sui brevetti anche perché la vigente normativa consente l'ingresso in Europa dei brevetti biotecnologici non in sintonia con i principi affermati dalla direttiva in corso di recepimento e non consente, pertanto, di proteggere, in un mercato deregolato, i risultati delle invenzioni italiane ed europee nei confronti dei potenziali concorrenti americani, giapponesi e canadesi.
Insomma, è innegabile che il lavoro svolto dalle Commissioni abbia decisamente migliorato il testo originario e fornito un'interpretazione originale ed avanzata della direttiva europea che può rappresentare un punto di riferimento anche per altri paesi, particolarmente per quelli che hanno manifestato, come il nostro, nel momento dell'adozione della direttiva, le note perplessità. È un risultato positivo nel quale riconosciamo il nostro contributo che ha cercato di farci interlocutori, in primo luogo, del mondo scientifico e della ricerca, ma anche di quello dell'impresa e delle sensibilità ambientaliste ed ecologiste così diffuse e radicate nella società italiana. Tuttavia, proprio questo impegno consente ed impone a noi di rivendicare e di batterci per ulteriori miglioramenti come faremo in aula attraverso i nostri emendamenti che avevamo già proposto in Commissione. Dalla loro valutazione da parte dell'Assemblea dipenderà se il nostro voto potrà esprimere un consenso convinto o se dovrà, invece, limitarsi a segnalare la parziale soddisfazione per il percorso comunemente svolto. Affidiamo alla discussione dell'Assemblea la definitiva risoluzione del nostro voto in merito a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, il disegno di legge nasce, come è noto,
dallo stralcio dell'articolo 6 del collegato 2002 in materia di iniziativa privata e sviluppo della concorrenza e riguarda la delega al Governo in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Si tratta della richiesta di delega al Governo per recepire la direttiva europea 98/44/CE sui brevetti sul vivente adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea il 6 luglio 1998.
Abbiamo sentito dai precedenti interventi quanto sia delicata questa materia. La direttiva di cui parliamo oggi è la stessa contro cui l'Olanda presentò ricorso nell'ottobre 1998 chiedendone l'annullamento. Tale ricorso fu successivamente appoggiato, nel febbraio 1999, anche dall'Italia e dalla Norvegia la quale, pur non appartenendo all'Unione europea, ha con essa accordi commerciali che le impongono di recepire la direttiva. Il ricorso - come noto - è stato successivamente respinto dalla Corte di giustizia europea.
Il dibattito iniziale in Commissione alla Camera aveva evidenziato non poche perplessità ed anche un generale imbarazzo ad affrontare in così poco tempo una materia di estrema complessità e con forti implicazioni di natura etica. Da qui la richiesta, poi ottenuta, dello stralcio.
Come è noto non siamo certamente l'ultimo dei paesi a recepire la direttiva 98/44/CE. Danimarca, Finlandia, Irlanda, Grecia, Regno Unito e Francia, se pur parzialmente, sono gli unici paesi su 15 che hanno provveduto a recepire la direttiva. Ciò perché evidentemente rimangono aperti molti problemi di varia natura.
Belgio, Francia e Germania hanno dichiarato di non avere intenzione al momento di recepire la direttiva. Il Parlamento tedesco, che aveva in agenda la proposta di recepimento, l'ha rinviata a sua volta sine die. Ciò è una ulteriore dimostrazione della grande cautela che circonda, anche a livello internazionale, un provvedimento di tale portata. Questa direttiva di fatto consente di conseguire brevetto e quindi di costituire titoli di proprietà industriale su materiale vivente, inclusi elementi isolati del corpo umano. Sono elencate tutta una serie di disposizioni - non sempre molto chiare - che definiscono ciò che può essere oggetto di brevetto e ciò che invece non può esserlo. Questa ambiguità, tra l'altro, diventa veramente problematica se consideriamo che il provvedimento non può non essere letto che in combinato disposto con quanto è oggetto di altri trattati internazionali.
Il punto fondamentale è che la direttiva 98/44/CE offre una protezione giuridica, e quindi un diritto di proprietà, agli inventori di biotecnologie, creando seppur temporaneamente un'esclusiva, vale a dire un monopolio. Si crea così in una materia strategica un monopolio sull'invenzione e ciò comporta dipendenza dal punto di vista dell'approvvigionamento delle materie prime alimentari, produce impoverimento genetico, danno alla biodiversità e conflitti soprattutto con i paesi del sud del mondo, che sono (come è noto) coloro che hanno conservato per millenni - pensiamo ai paesi delle aree tropicali e subtropicali - il patrimonio genetico fondamentale per lo sviluppo della ricerca e della vita.
Riteniamo quindi indispensabile ripensare proprio al regime del brevetto in quanto tale. Abbiamo sentito il relatore svolgere opportunamente un ragionamento sulla distinzione che, a suo avviso, viene fatta, dalla direttiva e dal provvedimento che la recepisce, tra invenzione e scoperta. Anche alla luce della dottrina più recente, vediamo quanto sia difficile in realtà distinguere, in materia biotecnologica, il momento dell'invenzione da quello della scoperta e come in realtà ciò che determina il quid novi (il fatto cioè che la scoperta si possa definire in realtà come invenzione), sia l'applicabilità di tale scoperta al processo industriale.
La brevettabilità, paradossalmente, può costituire un ostacolo alla ricerca scientifica, in quanto introduce lo sbarramento del brevetto industriale, laddove il progresso può essere garantito solo da un regime di libero scambio e di collaborazione scientifica internazionale. Se con la brevettabilità i ricercatori trarranno beneficio dalla loro attività di ricerca con la possibilità di sfruttamento dei risultati della ricerca stessa, è del tutto realistico
prevedere che i costi elevati legati ai diritti fissati dai brevetti finiranno per scaricarsi negativamente sui cittadini e sui sistemi sanitari dei diversi paesi, riducendo peraltro la loro possibilità di investire in altri settori di ricerca. È evidente infatti il peso - come è stato più volte oggi sottolineato - che le biotecnologie avranno nei prossimi anni, destinato sicuramente a crescere in modo esponenziale.
Ulteriore effetto sarà, per quanto concerne ad esempio le terapie genetiche, che il brevetto...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Zanella.
LUANA ZANELLA. ...favorirà la ricerca - concludo - solo per le malattie più diffuse, escludendo quelle rare, che in quanto tali non garantiscono profitti adeguati.
Nel consentire la brevettazione di piante, animali e parti del corpo umano si rischia di consegnare il patrimonio genetico nelle mani di poche industrie, con l'effetto che la ricerca scientifica risulterà finalizzata non tanto al benessere collettivo, quanto piuttosto ad un mero sfruttamento economico e commerciale.
Chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza.
LUANA ZANELLA. Comunque, vorrei sottolineare che il 19 novembre del 2000 Greenpeace ha diffuso un comunicato con il quale si dava notizia dell'identificazione di un brevetto, sconosciuto ma valido, di embrioni contenenti cellule umane e animali, concesso nel 1999 dall'Ufficio brevetti europeo ad una compagnia australiana.
Quindi, da una parte poniamo i paletti, consideriamo ancora valido l'articolo 53 della Convenzione che fonda l'esistenza stessa dell'Ufficio brevetti di Monaco e, dall'altra, non ci rendiamo conto che quella Convenzione è già stata superata da altri atti interni all'Ufficio medesimo che consentono, di fatto, la brevettabilità, aldilà delle nostre previsioni...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zanella.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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