Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 183 del 24/7/2002
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TESTO AGGIORNATO AL 25 LUGLIO 2002


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Discussione del documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003-2006 (Doc. LVII, n. 2/I) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003-2006.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente calendario dei lavori.

(Discussione - Doc. LVII, n. 2/I)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.


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Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

VITO TANZI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Alberto Giorgetti.

ALBERTO GIORGETTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il documento di programmazione economico-finanziaria, che è al nostro esame, assume come arco temporale dell'intervento di programmazione l'intero periodo di durata della legislatura, essendo trascorso il primo anno di attività del Governo.
La decisione di fare riferimento ad un periodo di quattro anni, anziché di tre, conferma, per un verso, l'importanza strategica che il Governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene assegnano al documento e, per l'altro, la necessità di una visione complessiva di coerenza in materia di politiche assunte nel settore economico-finanziario, riconducibili a precise linee programmatiche strettamente conseguenti al documento di programmazione esaminato lo scorso anno. Quanto al primo profilo, occorre rilevare che, a partire dall'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria europea, è venuto progressivamente accentuandosi il ruolo del DPEF quale strumento di indicazione, seppure in termini sintetici soggetti evidentemente alle condizioni della congiuntura internazionale, degli indirizzi di politica economico-finanziaria.
È fondamentale sottolineare come il Governo, attraverso l'adozione di iniziative volte ad incidere significativamente sulla composizione della spesa pubblica e l'avvio di riforme strutturali, punti sostanzialmente ad aumentare le potenzialità di crescita del sistema economico. Allo stesso tempo, con il patto di stabilità interno, si è avviato anche un nuovo processo volto ad assicurare quel concorso dei diversi livelli di governo al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede comunitaria, che sono diventati la nostra cornice di riferimento per quello che riguarda le politiche di attuazione annuale e le politiche di attuazione pluriennale.
I più recenti sviluppi normativi prospettano un ulteriore rafforzamento della funzione del DPEF che diventa quindi uno strumento di raccordo delle diverse politiche settoriali in un quadro coerente nel quale siano chiaramente individuate le linee di indirizzo strategico e le priorità da perseguire.
Va infatti ricordato che l'entrata in vigore delle disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001, di modifica del titolo V della Costituzione, ha posto, in termini innovativi, l'esigenza di definire un contesto istituzionale in cui si favorisca la cooperazione tra lo Stato e le autonomie territoriali, nell'ambito di una precisa individuazione delle rispettive competenze e responsabilità. Noi vogliamo sottolineare questo aspetto perché sarà, comunque, un aspetto cardine all'interno di tutto il documento di programmazione economico-finanziaria e che la maggioranza ha deciso di sottolineare in modo particolare anche nell'ambito della risoluzione a sostegno del DPEF.
In questo quadro emerge l'esigenza di pervenire ad un assetto strutturato e tendenzialmente stabile delle procedure relative al patto di stabilità interno, quale strumento principale per il coordinamento degli scenari di finanza pubblica. Si tratta di questioni su cui la Commissione bilancio si è recentemente pronunciata mediante l'approvazione di una risoluzione che prospetta una complessiva riforma degli strumenti di bilancio, volta, in particolare, a potenziare il ruolo del DPEF e della legge finanziaria quali strumenti fondamentali nella definizione degli indirizzi della politica economica e finanziaria e nella relativa attuazione, comunque nel rispetto dei principi di rigore posti a tutela degli equilibri complessivi di finanza pubblica.


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Appare particolarmente significativo il percorso attuativo della delega per la riforma del sistema fiscale di cui al provvedimento collegato attualmente all'esame del Parlamento il quale affida proprio al documento di programmazione economico-finanziaria ed alla legge finanziaria stessa il compito di individuare le risorse da destinare, annualmente, allo scopo di attuare quei principi generali di ordine riformistico che possono essere riempiti di contenuti, anno per anno, in relazione agli stanziamenti destinati alla legge finanziaria. Le indicazioni contenute nella risoluzione, approvata alla Camera con larghissimo consenso, dovranno trovare attuazione in un impegnativo lavoro di approfondimento delle diverse problematiche connesse all'obiettivo di un riordino organico e compiuto della legislazione vigente in materia.
Allo stesso tempo, l'avvio della prossima sessione di bilancio richiede che si definiscano, già in sede di DPEF, le priorità che si intendono perseguire e che si indichino le risorse da destinare all'avvio delle riforme prospettate nei provvedimenti collegati attualmente all'esame del Parlamento. A tal fine la scelta del Governo di prospettare nel DPEF l'evoluzione delle grandezze macroeconomiche e di finanza pubblica a livello tendenziale e programmatico sono un aspetto fondamentale di questo documento. Ricordiamo che già l'anno scorso si è sostanzialmente sottolineato come la nuova impostazione del DPEF tenesse conto, di fatto, degli andamenti degli scenari macroeconomici tendenziali e degli andamenti programmatici al fine di evidenziare, in modo efficace, al Parlamento ed al paese, le leve che il Governo intende azionare per raggiungere gli obiettivi prefissati dal programma di Governo. Tutto ciò consente di avvalorare la funzione del DPEF quale strumento in cui vengono evidenziati gli obiettivi che si intendono perseguire e viene indicata anche l'incidenza delle misure da assumere per assicurarne il perseguimento.
Si rende, quindi, di fatto, più stringente una connessione tra DPEF e legge finanziaria attraverso la quale dovranno tradursi, concretamente, le indicazioni contenute nel documento al nostro esame.
Nel merito degli scenari macroeconomici il DPEF muove dalla constatazione della crescente integrazione economica a livello mondiale.
Oggi più che mai ci troviamo in una contesto in cui l'economia globalizzata e la nostra presenza all'interno di un sistema stabile dei paesi dell'Unione europea aderenti all'unione monetaria ed all'euro rappresentano una cornice che, evidentemente, vede l'Italia legata a questi scenari in modo indissolubile.
È evidente come la situazione congiunturale internazionale non sia in una fase favorevole. Per l'Italia la situazione è caratterizzata - per la propria storia, anche in riferimento agli scenari economici internazionali - da un notevole grado di apertura e per l'elevata incidenza dell'interscambio su scala comunitaria. Ne consegue, come ha ampiamente dimostrato l'andamento dell'economia nazionale nel corso del 2001 e della prima metà dell'anno in corso, una forte incidenza sui maggiori indicatori delle dinamiche congiunturali internazionali. In particolare, la contrazione del tasso di crescita registrata a livello internazionale successivamente ai tragici eventi dell'11 settembre ha comportato una complessiva riduzione della domanda che, nel caso dell'economia italiana, si è tradotta anche in un indebolimento delle esportazioni. A determinare tale fenomeno è opportuno sottolineare, comunque, come abbia pure concorso la perdita di competitività registrata negli ultimi anni dal sistema produttivo italiano. Tale questione è stata sottolineata anche nell'ambito del confronto con i soggetti auditi durante l'esame preliminare di valutazione sul documento di programmazione economico-finanziaria, una questione su cui, evidentemente, il Governo e la maggioranza intendono rafforzare in modo significativo il proprio impegno. Tale contrazione del tasso di crescita delle esportazioni si è poi accompagnata ad una decelerazione della domanda interna, sia per quanto concerne i consumi sia per quanto riguarda gli investimenti. Alla luce


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di tale situazione, particolarmente opportuna è quindi risultata l'adozione, da parte del Governo, delle misure di incentivazione di cui alla cosiddetta Tremonti-bis, cioè la legge n. 383 del 2001.
Pur non essendo del tutto venuti meno gli elementi di preoccupazione e di incertezza che discendono essenzialmente dalla instabilità che ha investito, purtroppo anche in questi giorni, i mercati borsistici e finanziari soprattutto americani (anche a causa, purtroppo, della recente emersione di gravi irregolarità contabili), tutti gli istituti economici a livello internazionale concordano comunque nel ritenere che, nei prossimi mesi, si dovrebbe registrare un'inversione del ciclo, un'inversione di tendenza con (lo auspichiamo nell'interesse del paese e dell'economia) una consistente ripresa a livello internazionale, tale da favorire comunque una ripresa della crescita degli scambi. In questo contesto, con le aspettative comunque di una ripresa della crescita, si muovono le previsioni contenute nel documento al nostro esame. Si prospetta, in particolare per il 2003, una crescita tendenziale del PIL del 2,7 per cento, che dovrebbe aumentare al 2,9 per cento grazie alle misure che il Governo intende adottare. Si tratta, colleghi, di un valutazione che, mi pare, sia volta soprattutto ad un atteggiamento prudenziale da parte del Governo, proprio in riferimento alla delicatezza della fase internazionale. Tutti noi auspichiamo, in particolar modo la maggioranza, che le leve complessive attivate dalla politica del Governo possano far raggiungere tassi di crescita superiori alle quote indicate. È evidente che il nostro paese non deve lasciarsi sfuggire l'occasione che si offre per registrare più elevati tassi di sviluppo, occasione che, purtroppo, in una fase congiunturale radicalmente opposta quale quella che abbiamo vissuto nell'ultima fase degli anni novanta e nei premi anni del 2000, non è stata colta dal precedente Governo. Tale esigenza di crescita si pone in primo luogo in ragione della necessità di consentire all'Italia di recuperare il divario, il gap, in riferimento al PIL rispetto ai maggiori partner europei registrato negli ultimi anni. È innegabile che il processo di consolidamento della finanza pubblica intrapreso nel corso degli anni novanta sia stato realizzato, oltre che mediante una drastica riduzione della spesa per interessi, attraverso anche il ricorso alla leva fiscale, che ha comportato una compressione della domanda interna.
Va in secondo luogo rilevato che soltanto mediante più elevati tassi di crescita potrà trovare soluzione il problema del persistente divario dei livelli di sviluppo tra le diverse aree del paese, questione che sta particolarmente a cuore alla maggioranza e al Governo e che troverà adeguata risposta e sollecitazione anche all'interno della risoluzione.
Più in generale, le prospettive di ripresa del ciclo macroeconomico offrono un contesto favorevole per la realizzazione di riforme strutturali, quelle riforme strutturali che da parte di più osservatori sono state segnalate - cito per tutti il Governatore della Banca d'Italia - come strumento necessario al raggiungimento e alla finalizzazione degli obiettivi posti dal Governo in questo documento. Si tratta di obiettivi che, comunque, dovranno rafforzare in modo permanente le potenzialità del sistema economico e produttivo del paese.
È questo, quindi, lo scenario indicato dal DPEF; in sostanza, si tratta di coniugare l'obiettivo della crescita con la stabilità degli equilibri finanziari. Crescita e stabilità, rigore e sviluppo: concetti che sono gli elementi fondanti dell'attività del Governo.
La correlazione tra la prosecuzione del processo di risanamento della finanza pubblica e l'avvio di una nuova fase di sviluppo è chiaramente delineata all'interno del documento.
Allo stesso tempo, viene inequivocabilmente affermato che soltanto l'avvio di riforme di ampio respiro potrà intervenire incisivamente sui fattori che determinano il livello della spesa pubblica, in modo da liberare risorse da destinare allo sviluppo.
D'altra parte, quelle riforme delineate dal Governo, migliorando il livello qualitativo dell'attività dell'amministrazione


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pubblica, consentiranno di assicurare anche una maggiore equità, riducendo l'area del disagio e della marginalità. Tengo a sottolineare come, da parte della maggioranza, si sia lavorato nel primo anno di questa legislatura per cercare di dare sostegno alle fasce sociali più deboli e di proseguire questo intervento, soprattutto attraverso la riforma fiscale, i cui moduli di attuazione proseguiranno nella prossima manovra finanziaria e negli anni successivi, per fornire risposte ai cittadini che oggi hanno meno difese.
L'esigenza di riforme strutturali, peraltro, è stata chiaramente posta anche a livello comunitario. Infatti, a partire dal Consiglio europeo di Lisbona (marzo 2001), le autorità comunitarie hanno costantemente ribadito l'esigenza di avviare un'intensa fase riformatrice. Questa riflessione si è tradotta nelle conclusioni del recente vertice di Siviglia del giugno scorso, dove sono stati approvati gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri per il 2002.
In sostanza, si è affermato che il rispetto dei vincoli in materia di finanza pubblica impone l'adozione di misure dirette ad incidere sull'ordinamento vigente, realizzando riforme di ampia portata che consentano di ampliare i margini di intervento di politica economica per realizzare gli obiettivi strategici di sostegno allo sviluppo. A tal fine, le conclusioni raggiunte a livello europeo evidenziano la necessità di un miglioramento del mercato dei beni, dei servizi, dei capitali e del lavoro, creando un ambiente economico favorevole allo sviluppo e alla diffusione dell'innovazione tecnologica, alla crescita delle imprese e dell'occupazione.
Il Consiglio di Lisbona ha assegnato alle politiche strutturali un ruolo centrale nel raggiungimento dell'obiettivo strategico di trasformare l'Unione europea nell'economia più innovativa e competitiva del mondo.
In questo contesto l'Italia si muove e sta rispettando gli impegni assunti in sede europea; tale impegno da parte dell'Italia ha avuto un ampio riconoscimento, anche a livello di Commissione europea - così come è stato dimostrato dal ministro Tremonti in Commissione - anche all'interno di quel contesto di debolezza che, purtroppo, si è verificato per quanto concerne la crescita del PIL e, quindi, dell'economia.
Tuttavia, il Consiglio di Lisbona ha formulato alcune raccomandazioni, in particolar modo riferite all'Italia, sulla necessità di rafforzare la concorrenza nel settore dei beni e servizi (mercati dell'energia elettrica e del gas), questione che abbiamo ripreso con grande volontà all'interno della risoluzione e che è stata già affrontata dalla Commissione proprio in occasione dell'esame della scorsa legge finanziaria, laddove abbiamo comunque ribadito la centralità strategica delle autonomie territoriali per quanto riguarda la programmazione di questi settori e le risposte che devono essere date, evidentemente, in termini di maggiore efficienza e di strutturazione delle aziende territoriali, che comunque dovranno muoversi secondo criteri legati alla soddisfazione delle esigenze degli utenti nonché ai meccanismi di libera concorrenza e, comunque, di maggiore efficienza del servizio.
Il Consiglio di Lisbona ha invitato ad adottare interventi volti a migliorare il livello della formazione e della ricerca. Nel DPEF troviamo un impegno specifico su questo versante per incrementare le risorse legate alla ricerca con una particolare attenzione nei confronti dei sistemi produttivi. Inoltre, si tratta di favorire politiche per la semplificazione dell'attività amministrativa; adottare meccanismi salariali in accordo con le parti sociali - ricordo a tutti il patto per l'Italia - che tengano conto della produttività e delle condizioni del mercato del lavoro locale; accrescere gli elementi di flessibilità nell'impiego dei fattori produttivi; procedere alla riforma degli ammortizzatori sociali. Si tratta di temi su cui Governo e maggioranza stanno lavorando con determinazione.
Si tratta di indicazioni che trovano ampio riscontro, colleghi, in questo documento di programmazione economico-finanziaria. Il documento evidenzia, in particolare, che con la ripresa del ciclo si


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aprono più ampie prospettive di intervento che Governo e maggioranza intendono cogliere appieno proseguendo lungo la direzione già indicata dal DPEF dello scorso anno.
Pur in presenza di una situazione congiunturale difficile, che ha richiesto misure correttive volte ad assicurare il rispetto dei vincoli posti dal patto di stabilità, diamo atto al Governo dell'impegno svolto per non rinunciare all'obiettivo prioritario di un più elevato tasso di crescita.
A fronte delle difficoltà emerse, colleghi - mi rivolgo soprattutto all'opposizione sottolineando, comunque, il clima di assoluta civiltà in cui si è svolto il dibattito in Commissione -, il Governo si è trovato di fronte a due ipotesi alternative: correggere gli andamenti di finanza pubblica, conseguentemente restringendo l'ammontare delle risorse da destinare all'attuazione del programma governativo, oppure far partire immediatamente le riforme strutturali rischiando, tuttavia, di mettere in discussione i parametri del patto di stabilità e di crescita. Crediamo che l'azione del Governo sia riuscita a cogliere una sintesi efficace di queste due esigenze. L'azione si è ispirata all'obiettivo di conciliare le due ipotesi nella convinzione che fosse possibile seguire un percorso innovativo evitando l'adozione di manovre tradizionali - come agire sulla leva fiscale in senso peggiorativo aumentando la pressione - le quali avrebbero amplificato quel ridimensionamento del tasso di crescita dell'economia e, allo stesso tempo, garantire il rispetto sostanziale degli impegni comunitari. Siamo convinti che se si fossero seguite le logiche tradizionali sopravvissute fino agli anni scorsi, per quello che riguarda i Governi precedenti si sarebbero ulteriormente compressi lo sviluppo e la domanda.
Il contenimento dell'andamento dei saldi di finanza pubblica nel corso del 2001 è stato assicurato anche attraverso il ricorso a misure di controllo dei flussi di cassa e di acquisizione di entrate aggiuntive, sia pure di carattere transitorio. Particolare importanza, al riguardo, ha assunto il decreto-legge n. 347 del 2001, finalizzato al contenimento dei deficit regionali sulla sanità, nel quale veniva trasfuso il contenuto dell'accordo raggiunto tra lo Stato e le regioni l'8 agosto 2001. La questione cardine riguardava il rapporto tra lo Stato e le autonomie locali in merito al rispetto del patto di stabilità che affrontiamo all'interno della risoluzione.
Occorre considerare che l'utilizzo di tecniche innovative, quale la cartolarizzazione, per il reperimento di risorse aggiuntive da destinare al miglioramento del saldo, ha risposto anche all'intento di avvalersi di nuovi strumenti di intervento tali da ampliare la gamma delle leve a disposizione della politica economica. Si tratta di una questione legata alla cartolarizzazione: il dibattito dei giorni scorsi in relazione alle vicende Eurostat ed alle successive segnalazioni anche attinenti all'anno 1999-2000 sulle cartolarizzazioni precedenti l'attuale Governo evidentemente attengono complessivamente alla difesa delle scelte in materia politica ed economica del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Giorgetti...

ALBERTO GIORGETTI, Relatore per la maggioranza. Presidente, credevo di avere 40 minuti a disposizione.

PRESIDENTE. Ha a disposizione 40 minuti in totale. In questa fase ha a disposizione 20 minuti. Il tempo è scaduto da un minuto e 48 secondi.

ALBERTO GIORGETTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, concludo rapidamente facendo riferimento alla relazione.
Invito allora i colleghi a leggere in maniera compiuta la relazione della maggioranza, sottolineando nuovamente che, all'interno di questo documento, si prospettano una serie di riforme strutturali che puntano sostanzialmente, da una parte, alla riarmonizzazione del sistema di aliquote fiscali e all'abbassamento delle stesse (soprattutto per incentivare i redditi delle famiglie e dei soggetti deboli della nostra società), dall'altra, si tratta di interventi


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che puntano più in generale al sistema delle riforme nel campo previdenziale e sul mercato del lavoro, così come stabilito - in accordo con le parti sociali - nel patto per l'Italia. Più in generale, si tratta di un documento di programmazione economico-finanziaria che, come è stato riconosciuto anche dall'opposizione, attiene a tutte le questioni rilevanti per lo sviluppo del sistema Italia, che trovano dunque in esso compiuto riferimento per quanto riguarda le dinamiche e gli scenari di prospettiva.
All'interno di tale contesto, la maggioranza trova elementi di rafforzamento della propria posizione a sostegno di un percorso che cura - come ho sottolineato nelle parti iniziali della relazione - due aspetti fondamentali: da una parte, il rigore e il mantenimento degli impegni a livello europeo, tenendo in considerazione gli aspetti legati all'autonomia finanziaria degli enti locali e trovando quindi nuovi moduli per gestire il patto di stabilità interno, dall'altra, la necessità di lavorare per creare le giuste condizioni di sviluppo e di ripresa dell'economia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Morgando, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione.

GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. Il complesso delle riflessioni e dei ragionamenti svolti dall'opposizione sul documento di programmazione economico-finanziaria è contenuto nella relazione scritta di minoranza, che anticipa le linee della risoluzione che presenteremo sul DPEF. Pertanto, anch'io faccio riferimento al testo della relazione scritta e mi soffermerò - per la necessaria sintesi, alla quale i 15 minuti di tempo mi costringono - solo su alcuni degli elementi più significativi della relazione.
Vorrei iniziare citando il ministro Tremonti, il quale quando ha illustrato il documento di programmazione economico-finanziaria alle Commissioni riunite (Bilancio e Finanze) della Camera ha detto: ometto ogni tipo di considerazione sull'anno 2002. Ebbene, gli conviene, al ministro, omettere ogni tipo di considerazione sull'anno 2002. Provo infatti a citarvi soltanto qualche dato.
Il documento di programmazione economico-finanziaria dello scorso anno prevedeva una crescita del 3 per cento nel 2002; oggi, se va bene, siamo all'1,1 per cento. Il DPEF dello scorso anno prevedeva, nell'arco dei quattro anni successivi, la riduzione della pressione fiscale dal 42,4 per cento al 36,2 per cento; il documento al nostro esame rettifica invece tale previsione al 39,8 per cento. Il DPEF dello scorso anno prevedeva una riduzione della spesa corrente, nell'arco del periodo di operatività del documento stesso, di 6 punti percentuali, mentre il DPEF di quest'anno prevede una riduzione pari a 3,3 punti percentuali. Il DPEF dello scorso anno prevedeva un azzeramento del deficit nel 2003, mentre il documento di quest'anno prevede tale azzeramento nel 2005.
Potrei continuare perché i dati sono anche più numerosi, ma intendo fermarmi qui. Credo infatti di aver reso l'idea di quello che è successo relativamente a quest'anno; vi è stata sicuramente la debolezza dell'economia internazionale (peraltro vi era già al momento dell'approvazione del DPEF dello scorso anno, a luglio del 2001), tuttavia il Governo ci aveva detto che la sua politica avrebbe consentito di superare le difficoltà dell'economia internazionale e comunque avrebbe consentito una maggiore crescita economica. In quella occasione, il Governo ci aveva detto che finalmente si inaugurava una nuova stagione: dopo la stagione del centrosinistra, che aveva fatto pagare il risanamento sulla pelle dello sviluppo del paese, vi sarebbero state «magnifiche sorti e progressive» che avrebbero invertito la tendenza. Vi era un misto di arroganza e di sufficienza nelle affermazioni del Governo, perché peraltro questa discussione è durata quasi un anno, dal momento che ce la siamo portata dietro in sede di


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discussione della finanziaria per il 2002 e poi ce la siamo portata dietro in primavera.
Soltanto in primavera il Governo, rassegnando al Parlamento i conti, la situazione di cassa, alla fine di marzo, ha iniziato a riconoscere che le cose non sarebbero andate come aveva previsto. Certamente, con un po' di ritardo.
Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione che, nei suoi dati, parla in maniera assolutamente trasparente. Se permettete, ci prendiamo una piccola rivincita sui giudizi dell'anno scorso ricorrendo a un po' di ironia: il declino interessa gli anni 1999 e 2000, nei quali il PIL cresce, rispettivamente del 2,6 e del 2,9 per cento e lo sviluppo interessa il 2001 e il 2002, anni nei quali cresce, rispettivamente, dell'1,8 e dell'1,1 per cento. Il confronto mi pare eloquente. Tuttavia non c'è solo il confronto tra previsioni e risultati effettivi. Si può anche formulare un giudizio, un'analisi delle strategie che erano state indicate nel documento dello scorso anno e sui loro risultati. Ricordiamo tutti l'enfasi che era stata posta sulla politica dei cento giorni.
Ricordo molto bene quel passaggio del DPEF dello scorso anno: quella politica sarebbe stata l'innesco delle strategie riformatrici che avrebbero determinato i risultati che ricordavo e, cioè, il cambio della politica economica, la legge nota come Tremonti-bis, l'emersione del sommerso, il rientro dei capitali e così via. Affermo con molta tranquillità, e mi aspetto di essere smentito dal Governo in sede di replica, che oggi noi possiamo registrare il fallimento di quelle impostazioni. L'attesa della legge cosiddetta Tremonti-bis, prima ha bloccato gli investimenti, perché tutti aspettavano che entrasse in vigore la nuova legge di incentivazione, poi è intervenuta in una situazione internazionale che scoraggiava gli investimenti e, di conseguenza, ha avuto uno scarsissimo risultato. A questo proposito, rivolgo una domanda al Governo: al di là della difficoltà di reperire informazioni sui risultati, per così dire, quantitativi di quella legge, quando ci fornirete le relative informazioni sui suoi costi, riguardo ai quali incombe su di voi un obbligo, contenuto nella legge finanziaria, di informazione al Parlamento entro il 30 giugno che, se non sbaglio, è già trascorso? Quando ci fornirete queste informazioni?
Giudizio analogo vale per quel che riguarda l'emersione del sommerso. Ne abbiamo discusso in occasione della discussione di un recente decreto-legge che modificava per l'ennesima volta le norme contenute nella legge dello scorso anno. In quell'occasione non ci sono state fornite informazioni e ancora oggi non siamo in grado di disporre di una valutazione credibile di quello che è successo, degli effetti che sono stati determinati dai provvedimenti adottati con la legge dell'autunno scorso. Possiamo svolgere lo stesso ragionamento per quel che riguarda le altre questioni. Relativamente al rientro dei capitali dall'estero, dal punto di vista quantitativo è andata bene ma ciò ha confermato la caratteristica di gigantesca operazione di condono fiscale che quel provvedimento, alla fine, ha avuto.
Una fine non migliore di quella ricordata hanno avuto gli accordi sul contenimento della spesa sanitaria siglati in pompa magna con le regioni nel mese di agosto dello scorso anno e che oggi hanno portato al disastro ed alle difficoltà di fronte ai quali ci troviamo. In buona sostanza, il giudizio che le cifre - non noi - forniscono rispetto ai risultati ottenuti a seguito di un anno di politica economica del Governo è assolutamente disastroso, un anno di disastro!
Svolgo una seconda considerazione. Sempre citando il ministro Tremonti, egli ha affermato, in quell'incontro che ho ricordato, che il DPEF incorpora il patto per l'Italia non solo formalmente ma politicamente. Il Governo tenta di fondare su quel patto la sua politica economica e tenta di costruire, per così dire, un consenso sociale in ordine alla sua politica economica. Molto rapidamente - perché, purtroppo, il tempo passa - desidero affermare che il giudizio sul patto per l'Italia è controverso. Personalmente, ritengo che


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sia insufficiente, che si sia fatto molto rumore per nulla ma anche che ci siano alcuni punti meritevoli di attenzione per le questioni che apre e per le indicazioni che fornisce.
Tuttavia, un dato è certo: tutti i soggetti firmatari del patto, che sono stati ascoltati dalla Commissione bilancio, hanno tenuto a distinguere il patto per l'Italia dalla politica economica del Governo e, in particolare, le organizzazioni sindacali hanno sottolineato le critiche alla politica economica del Governo e al documento di programmazione economico-finanziaria, indipendentemente dall'atteggiamento che avevano assunto e dalle decisioni che avevano preso nei confronti del patto. Siamo, quindi, in presenza, da un lato, del fallimento di un anno di politica economica, dall'altro, dell'impossibilità di costruire intorno a questa politica economica un consenso degli interessi importanti del paese, che non siano soltanto quelli di Confindustria.
A questo punto, vorrei dedicare due riflessioni alle questioni centrali della discussione che stiamo svolgendo. La prima è relativa al quadro macroeconomico. Nelle audizioni in Commissione, il presidente dell'ABI Sella ha individuato tre shock: gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, la crisi dell'Argentina, il caso Enron. A quest'ultimo aggiungiamo tutto ciò che è avvenuto dopo e che si sta verificando ancora oggi. Gli effetti dei tre shock non sono finiti. C'è una situazione di incertezza che tende ad aggravarsi, nella quale le previsioni in ordine alle prospettive di crescita dell'economia mondiale ed italiana formulate dal Governo, alla base del documento di programmazione economico-finanziaria, sono, a nostro avviso, eccessive, sono eccessivamente - come dire - disinvolte. Ho ascoltato il collega Alberto Giorgetti il quale ha cercato di dimostrare il contrario. Mi pare che il risultato non sia stato particolarmente brillante.
Ora, nessuno contesta al Governo la definizione di obiettivi ambiziosi. È proprio della politica definire obiettivi ambiziosi, prospettive e traguardi, ma è compito ed è responsabilità della politica indicare come si raggiungono questi obiettivi. E in questo documento non è indicato quali siano le strategie messe in campo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo dell'economia del paese che consentano di giustificare il quadro di previsione della finanza pubblica contenuto nel documento.
Quanto alla manovra di finanza pubblica, abbiamo detto in Commissione che manca il quadro programmatico di finanza pubblica. Lo ha rilevato la Corte dei conti, sottolineando come, in mancanza di questo quadro programmatico, non sia possibile individuare le strategie che il documento indica per il raggiungimento degli obiettivi. La stessa Corte dei conti fa una ricognizione e dice - più o meno - così: per portare il rapporto deficit-PIL dall'1,6 allo 0,8 ci vogliono circa 10, 11 miliardi di euro; gli sgravi fiscali previsti per il 2003 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro; arriviamo grosso modo a 18, 19 miliardi di euro. Rimangono da finanziare gli ammortizzatori sociali, gli investimenti a carico del bilancio dello Stato, i contratti del pubblico impiego più una serie di altri aspetti contenuti nel documento. Dice ancora la Corte dei conti: se ne trae una stima complessiva della manovra per il 2003 significativamente superiore ai 18, 19 miliardi di euro. E il DPEF non fornisce alcun elemento di informazione che consenta di quantificare le dimensioni della copertura da assicurare in sede di manovra per il 2003.
È un giudizio molto negativo che condividiamo e che sottolineiamo come un fondamentale elemento di critica del documento che stiamo discutendo. La Corte dei conti formula anche alcune ipotesi, dicendo: quali possono essere le strade attraverso le quali si garantisce la quadratura? Si può cercare la quadratura nella volontà del Governo di far transitare una quota di investimenti dal bilancio pubblico alla contabilità della nuova società Infrastrutture Spa. E si invita il Governo ad essere chiaro sul punto, esplicitando, eventualmente, questa strategia. Il Governo non ci ha detto nulla. Qualche


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collega - per la verità, per primo l'ISAE nell'audizione in Commissione - propone un grande condono come strada per risolvere il problema. Il ministro in Commissione ieri ha detto «no». Ne prendiamo atto. Ma allora? Allora, i timori e le preoccupazioni da noi avanzati nel dibattito, circa la provenienza delle risorse da destinare a queste operazioni, sono assolutamente fondati. Rimane quello che dice il DPEF: i tagli alla spesa corrente. Ma dove? Quale spesa? Quale rapporto con la rigidità degli acquisti di beni e servizi? Come si fa, senza andare ad intaccare i servizi sociali?
Come si intende intervenire, senza andare ad affrontare il problema, senza dirlo - perché è questo il problema -, tranne il passaggio sulle mutue, che è uno degli elementi più negativi del nostro punto di vista (dico solo questo, per rapidità) del DPEF di quest'anno? Quali tagli apportare alla spesa corrente che siano credibili e non siano soltanto affermazioni, (perché tutti noi sappiamo quanto i temi della rigidità della spesa corrente, della necessità di affrontare con gradualità e con realismo i problemi della sua riduzione siano complicati)? Quindi, cosa pensa di fare il Governo, se non affronta il problema del taglio della spesa sociale che nega a parole, ma che diventa un elemento necessario nei fatti?
Allora, ci troviamo in presenza di un documento di programmazione economico-finanziaria che da un lato registra il fallimento di un anno di politica del Governo e dall'altro ha al suo interno delle contraddizioni radicali. Inoltre, non svolge nemmeno la funzione propria del documento di programmazione economico-finanziaria che è quella di delineare il dispiegamento, nel tempo e negli anni di riferimento del documento, delle risorse per raggiungere gli obiettivi. In questo senso, faccio soltanto due esempi. Il DPEF individua un gruppo di riforme e le prime due che individua sono la riforma fiscale e quella del mercato del lavoro. Il DPEF nulla ci dice su come nel tempo...

PRESIDENTE. Onorevole Morgando, la prego di concludere.

GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, chiedo ancora 30 secondi.
Il DPEF nulla ci dice su come nel tempo vengano organizzate le risorse per affrontare, oltre il 2003, il raggiungimento di questi obiettivi.
Signor Presidente, per concludere, noi abbiamo proposto - e ciò è contenuto nella relazione di minoranza e nella nostra risoluzione - una strategia alternativa che si basa sulla costruzione di una qualità del sistema come condizione della sua competitività per guardare in alto e per definire una strategia alta sulle prospettive di sviluppo del paese. Crediamo di aver fatto questo per una ragione, su cui concludo. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, noi crediamo di avere il dovere di guardare in alto, perché il clima sta cambiando. C'è un sito interessante di un gruppo di economisti indipendenti, che pubblica dei commenti e delle valutazioni sulla politica economica, e ce n'è uno il cui titolo è estremamente interessante: il finto ottimismo genera pessimismo. Signor rappresentante del Governo, signor Presidente, noi ci troviamo di fronte ad un ciclo elettorale che prosegue per cinque anni; il finto ottimismo, su cui si basa questo Governo, sta incominciando a generare del pessimismo. Crediamo che ci competa la responsabilità di guardare oltre la polemica sul DPEF, per costruire la strategia di una politica economica del futuro che guardi agli interessi del paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.

ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, siamo di fronte a un documento che è stato ampiamente discusso - per la verità, messo sotto accusa - da parte di autorevoli organi di analisi finanziaria e contabile


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a livello internazionale e nazionale. In particolare, mi riferisco al giudizio stroncante di Eurostat in materia di cartolarizzazioni e mi riferisco al giudizio assai severo della Corte dei conti a proposito del tentativo di far transitare una quota di investimenti pubblici dal bilancio pubblico alla contabilità della nuova società Infrastrutture Spa. Ora, se rispetto alla prima obiezione il Presidente del Consiglio ha fatto la voce grossa, minacciando una sorta di ricorso al Consiglio dei ministri europei, nel secondo caso mi è più difficile mettere in discussione un'autorità molto spesso conclamata, come quella della Corte dei conti.
In effetti, nel DPEF che il Governo ha predisposto non vi è una previsione - già lo si è ricordato in avvio di dibattito - di tipo statistico che non sia stata smentita dalla realtà o che, addirittura, non sia stata ridotta per cercare di diminuire la differenza tra la previsione e la realtà. Così è stato per quanto riguarda la crescita del PIL, dove si è passati da una previsione del 3,1 per cento ad una - corrispondente alla realtà - dell'1,3 per cento. Così è stato per quanto riguarda l'inflazione programmata che dovrebbe stabilire il limite per l'incremento delle retribuzioni, in base agli sciagurati patti triangolari che regolano gli aumenti contrattuali. Tale inflazione è stata fissata nella misura dell'1,4 per cento, invece statisticamente dovrebbe essere del 2,2 per cento, tesi quest'ultima che contesterò in radice se il tempo a mia disposizione me lo concederà. Così è stato per quanto riguarda il rapporto tra deficit e PIL; lo stesso direttore de la Repubblica - che sembra tornato ad un vigore e ad un rigore dei tempi giovanili de Il Mondo di Pannunzio - ha dimostrato in alcuni magistrali articoli che tale rapporto non può assolutamente essere stabilito nei termini dello 0,8 per cento. Come giustamente è stato sottolineato dalla Corte dei conti, l'entità della prevista manovra finanziaria pare non potere essere contenibile nei termini di 12 miliardi, ma quanto meno dovrà veleggiare attorno ai 20 miliardi. Tutto ciò per dire che questo DPEF, dal punto di vista dei conti, è un buco. Ritengo - l'onorevole Visco me ne darà atto - speciosa la polemica tra il ministro Tremonti e il collega Visco, nel senso che se si spendesse un po' di più e bene, non vi troverei niente di male, quindi abbandono questo problema.
Indubbiamente, in questo caso - uso un proverbio popolare - il diavolo ha fatto le pentole ma non i coperchi; non guardo però alla mancanza del coperchio, ma al contenuto delle pentole. Colleghi del centrosinistra, a questo punto mi rivolgo a voi, la questione relativa al contenuto delle pentole è seria. Al di là del dilettantismo contabile degli esponenti del Governo, al di là della creatività del ministro dell'economia e delle finanze Tremonti, che sconfina nella temerarietà, siamo di fronte ad un'operazione politica che vorrebbe avere un certo respiro. Io la voglio prendere sul serio: se esagero, pazienza, ma ad un certo punto bisogna considerare l'avversario per quello che è.
In questo DPEF, da parte del Governo, vi è un salto di qualità in negativo, anche rispetto al documento dell'anno passato. È stata elaborata un'idea di politica economica, finanziaria e industriale che, sostanzialmente, trasforma il nostro esecutivo in una semplice articolazione del governo mondiale dei processi di globalizzazione. Per cui, come direbbero gli analisti economici, il problema è fare dell'Italia un prato verde per gli investitori stranieri, dove il verde non si riferisce né all'erba, né alle ascendenze ideologiche. In questo modo, gli investitori stranieri possono entrare e uscire dal nostro paese quando vogliono e nelle migliori condizioni: questa è l'unica preoccupazione del Governo. Se noi guardiamo le tre grandi direttrici su cui si muove la manovra economica del Governo e su cui, presumibilmente, si muoverà la legge finanziaria, scopriamo tre distinti elementi: io parlerò solo dell'ultimo, altre colleghe e colleghi più sapienti di me parleranno degli altri.
Innanzitutto, vi è una politica di privatizzazione, ovvero di demolizione del welfare State, particolarmente forte sul tema della sanità, ma non solo. Tutto ciò


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per dire alle compagnie finanziare internazionali: «Signori, qui c'è l'Italia, fatene quello che volete, qui c'è un campo per la realizzazione dei vostri profitti».
Il secondo elemento è costituito dalla politica di infrastrutture che parte da alcune pure e semplici elucubrazioni ingegneristico-architettoniche, come il ponte sullo stretto di Messina (mentre crolla la più modesta, ma più mortale per chi la frequenta, linea Palermo-Venezia) per arrivare ad altre soluzioni, come se si volesse dire: signori investitori stranieri, in Italia potete entrare rapidamente ed uscirne altrettanto rapidamente perché vi diamo le infrastrutture, materiali e immateriali, per poterlo fare.
Il terzo è la flessibilità del rapporto di lavoro. In questo caso manca il ministro di riferimento, ma tanto si sa che in quest'aula si parla tanto per farlo. Dirò di tutto e di più; siamo al parossismo della flessibilità - è una cosa, credo, ridicola - per cui ci inventiamo diverse tipologie contrattuali. L'ISTAT rileva che vi sono 41 tipologie contrattuali, ma non bastano perché il Governo le vuole aumentare; vi sono forme di flessibilità, con le quali si sperimentano tutte le possibilità che sono previste in questo settore, espresse con parole inglesi (sappiamo che l'inglese è uno degli elementi del programma del Presidente Berlusconi: un pensiero unico, un'unica lingua). Mi riferisco allo staff leasing, al job-on-call, al part-time, alle politiche di outsourcing e a quant'altro previste per cercare di occultare una triste, banale e volgare realtà.
La flessibilizzazione estrema, senza senso, senza ragione e senza alcuna motivazione economica per chi effettivamente si occupa di tale settore (tranne quella di essere punitivi nei confronti del mondo del lavoro, di presentare i lavoratori nudi, singolarmente intesi nel loro rapporto con chi è più forte di loro), viene prevista nel documento di programmazione economico-finanziaria; lo risconteremo nella legge finanziaria e soprattutto nel patto per l'Italia il quale presenta, indubbiamente, l'altro ambizioso obiettivo di spaccare il movimento sindacale e di includere un pezzo del medesimo dentro una sorta di governo allargato dell'economia.
Questo è il senso che viene dato all'adesione, ...

PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, ha ancora un minuto a disposizione.

ALFONSO GIANNI. ...(malgrado alcune organizzazioni sindacali lo neghino) al patto per l'Italia, visto che vi è riportato testualmente che le parti, e quindi anche CISL e UIL, sono d'accordo sul quadro macroeconomico di finanza pubblica illustrato dal Governo ai fini della determinazione del documento di programmazione economico-finanziaria.
Si lascia morire la FIAT, uno dei punti di eccellenza della produzione manifatturiera italiana, e si pensa di sostituire il lavoro con nuove tipologie contrattuali. Ho nostalgia, Presidente, di Donat Cattin, ministro di un Governo che aveva approvato un dato provvedimento, quando in quest'aula affermò di volere utilizzare le agenzie regionali per il lavoro, senza però essere d'accordo perché il lavoro non si crea con i comitati. Signori, il lavoro non si crea moltiplicando le terminologie dei rapporti di lavoro, ma sviluppando un'economia reale; ciò è il contrario di quanto avviene con il processo di finanziarizzazione, con l'abbandono della FIAT al suo destino, con il disimpegno del nostro Governo rispetto ai punti alti della divisione internazionale del lavoro.

PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, si avvii a concludere.

ALFONSO GIANNI. Se a ciò aggiungiamo, e concludo, l'attacco feroce nei confronti dei diritti del lavoratori - mi riferisco all'articolo 18 - ci risulta chiara la sfida e la raccogliamo.
Colgo l'occasione per dire al Governo che la raccolta delle firme, promossa assieme alla FIOM e a molti altri soggetti, per l'estensione dei diritti dell'articolo 18 anche ai lavoratori delle imprese con


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meno di 15 dipendenti è arrivata ormai a buon fine. Il 9 agosto consegneremo le firme alla Cassazione...

PRESIDENTE. Onorevole Gianni, mi dispiace ma il tempo è abbondantemente scaduto.

ALFONSO GIANNI. ...ed in merito a ciò ci si misurerà in un referendum nella prossima primavera (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Canelli. Ne ha facoltà.

VINCENZO CANELLI. Signor Presidente, in questi giorni in Commissione bilancio più volte si è discusso sulle funzioni che il documento di programmazione economico-finanziarie riveste. Più volte alcuni colleghi dell'opposizione hanno osservato che nel documento si dava una limitata indicazione delle cifre da utilizzarsi per il perseguimento degli obiettivi.
Nell'intervento svolto poc'anzi il collega dell'opposizione ha osservato che il ministro Tremonti, attraverso il documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2003- 2006, ha rivisto i dati che erano stati indicati nel precedente documento di programmazione economico-finanziaria. Vorrei dire che occorre dare atto al ministro Tremonti di questa sua revisione e mi meraviglia il fatto che ci si attacchi al mancato raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2002.
Vorrei ricordare al collega che il precedente documento di programmazione economico-finanziaria è stato redatto in un momento particolare. Vorrei ricordare infatti che vi è stata la crisi successiva agli avvenimenti dell'11 settembre e negli Stati Uniti d'America è stato possibile combattere questa crisi ponendo sul mercato 250 miliardi di dollari, mentre in Italia siamo riusciti a sopportare la crisi senza elevare la pressione fiscale o effettuare operazioni straordinarie.
Mi meraviglia inoltre che il collega faccia riferimento alle cartolarizzazioni; se non ricordo male, a questo tipo di operazioni ha fatto ricorso più volte anche l'opposizione nel corso della precedente legislatura.
Le difficoltà che abbiamo incontrato e che non ci hanno permesso di raggiungere gli obiettivi trovano un punto di riferimento - ne abbiamo parlato anche ieri - nell'Agenzia Sviluppo Italia. Sono stati utilizzati tutti gli strumenti per far sì che noi trovassimo difficoltà nel realizzare il nostro programma. Si è detto ieri in sede di Commissione che Sviluppo Italia ha impegnato le risorse per i prossimi tre anni senza temere di illudere parecchie migliaia di giovani disoccupati. Si è voluto praticamente speculare sulle aspettative e sulle speranze dei giovani.
Vorrei ora passare all'analisi del documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 2003-2006. Gli obiettivi, per quanto riguarda il rapporto indebitamento-prodotto interno lordo - come si sa - sono dello 0,8 per cento rispetto ad un dato tendenziale dell'1,6 per cento, nonché di un tasso di sviluppo del 2,7 per cento, con un indebitamento che dovrebbe nel 2004 scendere, nel rapporto debito-PIL, al di sotto dell'indice 100.
Mi rendo conto che si tratta di obietti difficili da perseguire, ma tuttavia è compito dei governanti anche quello dell'ottimismo. Come raggiungere questi obiettivi? Viene spiegato in maniera assai chiara nel documento di programmazione economico-finanziaria: in primo luogo, attraverso una serie di riforme. Si è parlato più volte della riforma fiscale, di quella previdenziale, di quella del mercato del lavoro, nonché di quella dei cicli scolastici. È naturale che queste riforme richiedano notevoli risorse finanziarie; è tuttavia anche vero che più volte abbiamo ribadito come queste riforme debbano essere realizzate per moduli, e quindi, di volta in volta, in base alle disponibilità, la legge finanziaria stabilirà quali sono le risorse da destinare alle diverse riforme. Riforme che sono essenziali per realizzare quell'incremento del prodotto interno lordo che noi prevediamo per l'anno 2003 pari al 2,7 per cento; tuttavia, il rapporto fra indebitamento


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e prodotto interno lordo lo si può ridurre anche incidendo e riducendo le spese.
La spesa più importante di cui spesso si parla è indubbiamente quella sanitaria che sta vivendo un momento di esplosione; ritengo che lo Stato, per poter rispettare il patto di stabilità, debba fissare in modo tassativo dei limiti all'incremento delle spese altrimenti ci troveremo di fronte a regioni che, non riuscendo controllare la spesa, saranno costrette ad incrementare la pressione fiscale senza concedere ai cittadini dei miglioramenti dei servizi.
Ma il raggiungimento degli obiettivi sarà possibile anche se noi, attraverso il Titolo V della Costituzione, fisseremo in modo chiaro i compiti dello Stato e delle regioni. Tutto questo poi deve svolgersi in un clima internazionale che - come hanno affermato molti colleghi - non è dei più rosei. La crisi finanziaria americana sta portando al crollo dei valori in borsa; il debito enorme degli Stati Uniti d'America verso l'esterno non so a cosa porterà così come non so a cosa porteranno queste oscillazioni repentine dei cambi. Ancora pochi minuti fa, per effetto delle ripercussioni della crisi del mercato degli Stati Uniti leggevo dalle agenzie di stampa che la borsa valori di Milano perdeva il 3,85 per cento; se a questo valore aggiungiamo le perdite di ieri e del giorno precedente raggiungiamo una perdita totale di circa 9,5 punti percentuali. Se teniamo conto che ogni punto percentuale equivale a circa diecimila miliardi di vecchie lire vediamo come la nostra borsa valori ha distrutto risorse per ben 95 mila miliardi.
Si evidenzia così come in un contesto del genere sia difficile fare delle previsioni e cercare di raggiungere gli obiettivi fissati. Nell'ambito del documento di programmazione economico-finanziaria una particolare attenzione viene dedicata al Mezzogiorno d'Italia. Si tratta della zona da cui provengo e quindi mi auguro che le risorse per il Mezzogiorno siano sempre più copiose.

PRESIDENTE. Onorevole Canelli...

VINCENZO CANELLI. Concludo, signor Presidente. Il Mezzogiorno è fatto di gente laboriosa che non vuol far altro che vivere tranquillamente ed in pace. Purtuttavia gli ultimi dati pubblicati dallo SVIMEZ non sono favorevoli: a fronte di indici economici leggermente positivi continuiamo a constatare una emigrazione (circa 66 mila persone nel solo 2001) costituita soprattutto da quei giovani che dovrebbero rappresentare la speranza ed il capitale su cui puntare per il futuro. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha 16 minuti di tempo a disposizione; tempo raddoppiato a causa della rinuncia ad intervenire dell'onorevole Maura Cossutta.

GABRIELLA PISTONE. Grazie, signor Presidente. Esordisco affermando che le scelte governative di politica economica, sia nell'impostazione concettuale sia nella selezione degli strumenti nonché nella scelta dei tempi, fino ad oggi adottate, si sono certamente rivelati fallimentari.
Inoltre, il quadro macroeconomico contenuto dal documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo fino al 2006 si è rivelato assolutamente errato e fuorviante, in quanto indicava per l'anno 2002 - contro ogni previsione - una crescita superiore al 3 per cento prima, dopo abbassata al 2 per cento; ed oggi, probabilmente se si giunge a superare una crescita dell'1 per cento è «grasso che cola».
Inoltre, le misure di politica economica adottate dal Governo nel corso di quest'anno si sono rivelate - lo ripeto - fallimentari. L'annuncio della «Tremonti-bis» sostanzialmente ha finito per rinviare l'attuazione di molti piani di investimento poiché è sempre stata annunciata e, quindi, ha privilegiato lo slittamento. Vi è stato il fallimento della politica dell'emersione: si è proceduto (ne abbiamo avuto la riprova in Parlamento) attraverso continue proroghe e modifiche. Il rientro dei capitali dall'estero ha costituito sicuramente


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un'assicurazione contro gli accertamenti dell'amministrazione finanziaria per i grandi evasori, ma certamente tali capitali, come entrate una tantum per lo stato italiano, non hanno portato ad alcun reale o notevole investimento nel nostro paese. Le scelte di politica fiscale sono state sicuramente fallimentari e, come risultato, hanno determinato l'inasprimento, anziché la diminuzione, della percentuale, rispetto anche alla media degli altri paesi europei, ponendoci al 42,5 contro il 42 per cento. Per quanto riguarda le scelte di politica sociale, sostanzialmente, non si è stati neanche in grado di distribuire le somme stanziate a tal fine. Con riferimento alla politica sanitaria, nonostante vari accordi ed interventi legislativi, è stato fatto in modo che la spesa finisse, in un certo senso, fuori controllo e che fosse davvero fallimentare soprattutto in certe regioni, oltretutto governate dalla destra. Le scelte di politica dell'immigrazione, oltre ad essere sbagliate, rivelano un'ingiusta penalizzazione e contengono una visione ideologica. Le scelte di politica infrastrutturale, dal punto di vista dei risultati, si sono rivelate sostanzialmente nulle (sono state inaugurate le grandi opere già avviate dal Governo di centrosinistra). Gli impegni per il Mezzogiorno sono assolutamente deludenti ed hanno provocato addirittura l'aumento del fenomeno della marginalità sociale nelle aree più deboli. Anche la politica perseguita, sempre dal Governo, in materia di autonomia finanziaria e fiscale delle regioni e degli enti locali, da un lato, si è rivelata probabilmente sbagliata, poiché ha visto forti ingerenze nell'autonomia gestionale degli stessi, e, dall'altra, ha avuto una carenza: non ha previsto risorse adeguate alle funzioni trasferite alle autonomie. Quindi, per contro, si attua un incremento della pressione fiscale da parte delle autonomie locali.
Per tutti questi motivi, il documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame è sicuramente un provvedimento sbagliato, inefficace, pericoloso. Se arriviamo ad una crescita dell'1,3 per cento - l'ho già affermato in precedenza - è grasso che cola! Non si capisce per quale motivo dovremmo avere maggiori privilegi, più mezzi o meno problemi rispetto agli altri paesi europei, i quali, sicuramente, non stanno peggio del nostro.
L'ipotesi del modello di competitività per il nostro paese che viene tracciata è molto pericolosa, per nulla condivisibile.
Fondamentalmente, vi è un'idea di trasferimento alle imprese realizzata in maniera non selettiva e slegata dalla qualità del prodotto e dalla qualità dell'innovazione, che sono, sostanzialmente, gli elementi chiave per far sì che la nostra economia sia di qualità alta e che, di conseguenza, la competitività delle nostre aziende sia di grado elevato.
Del fronte delle tasse ho già detto: tra deduzioni ed imposte annunciate dal Governo, non si ottiene neanche il risultato del Governo di centrosinistra, il sostegno ai consumi non c'è e la pressione fiscale viene ulteriormente aumentata perché le imposte regionali e comunali aumentano! Inoltre, le scelte compiute non sono supportate da un progetto che preveda di raggiungere obiettivi di qualità e di quantità né da risorse.
Come ha giustamente rilevato la Corte dei conti, manca un quadro programmatico; e se la Corte dei conti stima, alla fine, una legge finanziaria per il 2003 (quindi, un documento di programmazione economico-finanziaria) del valore di circa 18 o 19 miliardi di euro, aveva ragione, evidentemente, il relatore di minoranza. Come si può ottenere la quadratura del cerchio? O si spostano alcune voci dal bilancio pubblico alla contabilità della nuova società Infrastrutture Spa o si dà via libera ai condoni (ma ci è stato detto che non si ha quest'intenzione e ne siamo felici). L'altra risposta che riusciamo ad avere è che vengono attuati tagli alle spese correnti; ma questi ultimi sicuramente riguardano la sanità, la scuola e la ricerca, ovvero i settori vitali per un paese che vuole crescere in competitività e vuole avere un alto valore aggiunto come sistema paese.
Noi Comunisti italiani siamo estremamente preoccupati. Come Ulivo, presenteremo una risoluzione alternativa perché ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso il


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fatto di non avere altro progetto che quello di agire sui punti cardine del nostro sistema. Lo dico perché, con il taglio alla sanità - di questo si tratta - non andremo molto lontano: nel nostro paese, la sanità deve avere il valore di bene universale! Si è accennato non solo al ritorno ad un sistema mutualistico e privatistico della sanità, con qualche esclusione, ma anche ad una scuola che tornerebbe ad essere basata sul censo (chi ha i soldi e le possibilità può accedervi; chi non li ha, va alla scuola dell'avviamento, com'è stato riproposto in quei progetti di riforma che noi chiamiamo, a ragione, di controriforma).
Tutto ciò è supportato da un preciso elemento: per quanto concerne la spesa, si fa riferimento all'invarianza rispetto al 2001, il che significa il 3 o 4 per cento di tagli.
Quindi, da lì si prendono le risorse, tant'è che la delega sulla scuola manca di risorse. La nostra contrarietà è netta sulla riforma fiscale: le due aliquote alterano il concetto redistributivo, salta la progressività e, oltretutto, c'è una sostanziale incapacità di agire sul mondo del lavoro, se non attraverso una negazione sostanziale degli accordi sindacali del 1993.
Anche il fronte delle politiche sociali e del lavoro rappresenta, a nostro avviso, un punto molto grave. Il Governo ha perseguito l'obiettivo di dividere le organizzazioni sindacali, di indebolire il potere contrattuale dei lavoratori, aprendo sostanzialmente una breccia nelle garanzie e nei diritti dei lavoratori, che devono essere considerati diritti fondamentali; i licenziamenti senza giusta causa, sostanzialmente, si inseriscono proprio nel disegno governativo.
Sull'altro fronte, non vi è alcuna misura significativa per lo sviluppo della competitività del nostro sistema paese, e si dà anche un colpo al concetto di coesione sociale, che è fondamentale, ritengo, per una crescita democratica dell'intero paese.
Anche il problema della decontribuzione a favore delle aziende, prevista nella delega previdenziale, di cui si mantengono peraltro fermi i contenuti, è un grosso neo, una grossa falla, che, peraltro, è in grado di aprire una voragine sul futuro del sistema previdenziale pubblico.
Del fronte fiscale ho già parlato e vorrei concludere dicendo che la politica economica dell'attuale Governo appare sostanzialmente contraria agli interessi nazionali. Quindi, non solo si tende a colpire i diritti dei lavoratori, ma si determinano anche conseguenze sulla prospettiva economica del nostro paese.
Abbiamo notato e detto più volte in quest'anno di Governo che c'è una scarsa attenzione al settore della ricerca, che non dovrebbe essere considerato un settore di spesa, ma di investimento del paese, al quale guardare come al futuro del nostro paese. Quindi, fondamentalmente è una voce di investimento.

PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere. Ha un minuto di tempo.

GABRIELLA PISTONE. Va bene, Presidente.
Ci sono delle scelte che sono assolutamente in contraddizione con le esigenze più moderne del nostro paese e con gli interessi generali, ai quali vengono anteposti probabilmente, come già più volte è successo, interessi particolari.
Ora, nella nostra risoluzione vengono molto bene indicate le grandi direttrici intorno alle quali si concentra la nostra idea di politica economica: politiche di difesa del sociale, politiche di innalzamento della competitività del nostro sistema economico, politiche redistributive e attuazione del federalismo, in modo da evitare il doppio fenomeno del trasferimento di funzioni senza il corrispettivo trasferimento di risorse e della riduzione della pressione fiscale statale che si traduca in un aumento di quella regionale e comunale.
Per questi motivi e per altri ancora che non ho avuto modo di esprimere, ma che avremo modo di chiarire anche in sede di dichiarazione di voto (che, sicuramente, sarà contrario da parte del gruppo dei Comunisti italiani) confermo il giudizio fortemente negativo delle scelte compiute in questo documento.


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, abbiamo analizzato con molta attenzione questo documento di programmazione economico finanziaria e dobbiamo dire, fin dall'inizio, che lo condividiamo in tutti suoi aspetti. Lo abbiamo trovato realistico e lo abbiamo trovato coerente sia per quanto riguarda l'analisi conoscitiva che sottintende a questo documento, sia per quanto riguarda il rapporto fra questa analisi e gli impegni programmatici, anche con riferimento agli impegni programmatici della campagna elettorale della Casa delle libertà. Quindi, sostanzialmente, lo abbiamo trovato pienamente credibile e, per certi versi, anche doveroso rispetto alla situazione che abbiamo di fronte.
Siamo molto consapevoli del livello di promesse elettorali che abbiamo fatto, non vogliamo nasconderle; sappiamo di aver promesso più investimenti, di aver promesso una riduzione delle imposte e sappiamo di aver fatto queste promesse nel rispetto di un vincolo di risanamento della finanza pubblica molto difficile da conseguire. Sostanzialmente abbiamo promesso quello che il paese si attende da noi ed anche quello di cui il paese ha bisogno, però sappiamo anche che in economia ed in politica economica i numeri sono fondamentali e non possono essere una variabile indipendente; anzi, i numeri informano, condizionano la politica e la precedono. I numeri parlano di una popolazione italiana a forte invecchiamento il che crea grandi problemi per quanto riguarda la sanità e le pensioni; i numeri parlano anche di un'economia molto matura dove vi sono settori molto cedenti, come l'indagine conoscitiva sul caso FIAT ha dimostrato, mostrando anche tutta una serie di errori di politica industriale compiuti nel nostro paese e dimostrando, soprattutto, quanto sia difficile far crescere l'economia e quanto spesso gli stimoli che intendiamo dare all'economia siano inefficaci.
I numeri parlano anche di una finanza pubblica molto difficile: abbiamo un deficit del 2001 - dobbiamo riconoscerlo, dobbiamo dirlo a gran voce - che ci è stato consegnato dal centrosinistra, pari al 2,2 per cento del PIL, quindi un dato completamente fuori controllo, che nasconde due verità scomode per il centrosinistra: la prima è quella del grande ciclo elettorale biennale della finanza pubblica del Governo Amato che lo stesso Presidente del Consiglio Amato non ha potuto nascondere nel bacchettare i deputati della sua maggioranza.
Prima ancora dobbiamo riconoscere, e non nascondere, che l'Italia ha conseguito l'entrata nella moneta unica attraverso un'operazione politicamente molto comoda, cioè quella dell'aumento delle tasse e della riduzione degli investimenti, senza, quindi, alcun intervento di carattere strutturale. Si è trattato di un finto risanamento che, oggi, pesa in maniera molto concreta sulle nostre capacità di controllare la finanza pubblica.
Un altro dato molto significativo, alla base delle nostre proposte contenute in questo documento, è la presenza nel nostro paese, complice la congiuntura internazionale, di una crescita economica sufficiente. Oggi abbiamo un livello di crescita economica di poco superiore all'1 per cento. È vero che ci sono aspettative di aumento, ma noi sappiamo che, per avere una compatibilità tra riforme economiche e contenimento dei saldi, e quindi per avere risorse sufficienti, non possiamo contare su una crescita che si allontani dal 3 per cento.
Sappiamo che esiste una forte interdipendenza tra lo sviluppo economico, la coesione sociale, l'equilibrio di finanza pubblica e le riforme e sappiamo anche che oggi, a livello internazionale, vi è un'integrazione molto stretta, a livello finanziario e commerciale, tra le diverse economie, in particolare tra la nostra e quella dei paesi maggiori dell'Unione europea, nonché quella degli Stati Uniti. Si tratta di un dato molto significativo, in quanto tale interdipendenza riduce in modo consistente il grado di libertà della


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politica economica, legando le mani ai governi. Penso sia indispensabile, per la politica economica, recuperare invece tutti i gradi di libertà necessari per poter essere efficace. Sto dicendo questo perché noi siamo favorevoli a tutte le operazioni che mirano ad aumentare il grado di libertà della politica economica, a partire dalla cartolarizzazione, anche se tale strumento deve essere utilizzato con cautela; siamo altresì favorevoli a collocare gli investimenti al di fuori dai parametri di Maastricht: oggi lo facciamo ricorrendo ad alcuni artifici contabili, peraltro leciti, ma sarebbe però ora di chiudere con tale finzione e di dare effettivamente valore alla golden rule come da più parti, anche da molti ambienti internazionali, viene richiesto. Siamo anche favorevoli ad una valorizzazione del patrimonio dello Stato.
Dico tutto questo ben sapendo, innanzitutto, che vi sono alcuni interventi di stimolo che possono avere un effetto immediato, come quelli che possono portare ad un aumento dei consumi; in Italia, però, abbiamo bisogno soprattutto di interventi di medio e lungo periodo, che devono consentire una crescita della ricerca o uno sviluppo nel livello di infrastrutturazione del paese. Sappiamo bene, invece, che in Italia è stato molto più facile ricorrere ad interventi di breve periodo piuttosto che a quelli di medio e lungo periodo. Ebbene, l'efficacia degli interventi di breve periodo si è esaurita, e, quindi, vi è la necessità di pensare ad iniziative che considerino un arco temporale più ampio.
Avvertiamo anche la necessità di prestare molta attenzione alla coesione sociale. Anche in questo caso il lascito del Governo di centrosinistra è stato molto preoccupante, in quanto abbiamo ereditato salari che crescono ad un livello più basso del tasso di inflazione, un livello di povertà in aumento (con pensioni a 600 mila lire), una situazione degli incapienti sostanzialmente irrisolta, un fisco per la famiglia che possiamo definire ridicolo. Riteniamo che la Casa delle libertà abbia già adottato alcuni interventi molto importanti, come quello sulle pensioni minime, portate ad un milione di vecchie lire. Sappiamo bene che dobbiamo comunque proseguire su questa strada per dare ristoro a tutta la platea degli aventi diritto.
Siamo intervenuti in maniera molto significativa per quanto riguarda le detrazioni per i figli, ma sappiamo anche che è molto difficile far quadrare il cerchio con riferimento all'esigenza di avere risorse per le riforme, mantenendo l'equilibrio finanziario e la coesione sociale.
Abbiamo ascoltato con molto interesse il dibattito che si è svolto in Commissione e le audizioni, ma dobbiamo registrare che, sia da parte del sindacato sia da parte dell'opposizione, vi sono stati tanto massimalismo, poca ragionevolezza e nessuna proposta dal punto di vista della compatibilità fra esigenze di sviluppo e coesione sociale.
Abbiamo ascoltato molto spesso un'elencazione del contenuto della Costituzione formale in cui si prevede di dare tutto a tutti, ma il Governo e la sua maggioranza sono consapevoli di dover fare i conti con la Costituzione materiale e, quindi, con la ricerca della perfetta compatibilità economica e finanziaria, tenendo conto dell'eredità del passato.
Venendo all'analisi di alcune linee di politica economica, crediamo che sia molto importante avere come priorità l'equilibrio dei conti finanziari e, quindi, riteniamo che l'equilibrio della finanza pubblica debba anche precedere le proposte di riforma del fisco.
Come dicevo prima, siamo favorevoli a conseguire tutti i gradi di libertà di cui la politica economica ha bisogno e che oggi richiedono anche un esercizio di finanza pubblica particolare e siamo anche favorevoli ad una selettività degli investimenti. Ciò perché, evidentemente, vi è la necessità di produrre investimenti che abbiano un impatto positivo e sappiamo che oggi non tutti gli investimenti, soprattutto in un quadro di approssimazione delle risorse, sono in grado di conseguirlo.
Per quanto riguarda la coesione sociale, riteniamo che quelli dei lavoratori siano diritti fondamentali sui quali è costruita la nostra democrazia. Non riteniamo che i diritti dei lavoratori rappresentino rigidità


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da abbattere, ma sappiamo che vi è una differenza fra i diritti dei lavoratori, ma anche di tutti i cittadini, e quelli che poi, invece, diventano rigidità e privilegi che devono essere in qualche maniera superati; e spetta alla politica superarli.
Quindi, vi è una grande attenzione ai saldi di bilancio. Credo che sia importante produrre un costante monitoraggio della spesa, non solo a livello centrale, ma anche a livello periferico e ritengo che sia importante richiamare le regioni ad una maggiore responsabilità nell'esercizio della finanza pubblica. Crediamo che oggi ciò non si verifichi e che, comunque, sia insufficiente. Pertanto, la prima questione da affrontare con le regioni è quella di chiamarle ad un maggiore esercizio di responsabilità. Successivamente, siamo chiamati, anche in sede di completamento delle riforme, a definire un grado di separazione certo, per stabilire quali siano le competenze dello Stato e quelle delle regioni, dal momento che tale equivoco oggi rischia di mettere a repentaglio tanta parte della politica economica e sociale del Governo.
Siamo favorevoli anche alla riforma fiscale. A tal proposito, dobbiamo prestare molta attenzione: ci riconosciamo pienamente nelle parole del Governatore della Banca d'Italia per cui occorre valutarne attentamente il costo. Si tratta di una riforma che - come ha affermato il Governatore della Banca d'Italia - deve essere progressiva e permanente e deve essere abbinata ad una riduzione della spesa strutturale.
Riteniamo che all'interno della riforma si debbano affermare il principio del rispetto di una forte progressività ed il principio secondo il quale deve essere data precedenza al fisco familiare ed al non-profit. Chiediamo, inoltre, al Governo una particolare attenzione nello stabilire in sede di legge finanziaria il vero meccanismo con il quale operano le deduzioni.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, interverrà il collega Giuseppe Drago in maniera molto più compiuta; da parte mia vorrei dire che gli stanziamenti aggiuntivi non sono sufficienti e che, forse, essi non sono nemmeno necessari.
Per il Mezzogiorno credo vi sia bisogno di una revisione degli strumenti, dei patti della negoziazione programmata, con un abbattimento verticale della burocrazia ed una qualificazione dei progetti nell'ambito di un sistema di programmazione che dia tempi certi e risorse certe agli investimenti e con una capacità di coinvolgere le regioni in un processo di responsabilizzazione.
Diamo un giudizio favorevole del patto per l'Italia del quale non riteniamo la parte più importante quella riguardante la sperimentazione sull'articolo 18, ma la riforma degli ammortizzatori. Ci dispiace, in conclusione, che sia stato fissato un tasso di inflazione all'1,4 per cento. L'obiettivo dell'anno scorso era dell'1,7 per cento; posto che tale obiettivo non viene conseguito, anche per le responsabilità del pubblico nel calmierare i prezzi, credo sarebbe stato molto più opportuno rimanere con l'obiettivo programmatico dell'1,7 per cento.
Detto questo, credo che comunque il documento e la risoluzione ad esso abbinata siano in grado di assicurare al nostro paese le linee di politica economica atte a produrre quelle riforme di cui il paese ha estremamente bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (CCD-CDU) e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà. Onorevole Pennacchi, le ricordo che ha sette minuti a disposizione.

LAURA MARIA PENNACCHI. Signor Presidente, spero, comunque, nella sua nota benevolenza.
Il relatore di maggioranza ha esordito in quest'aula ricordando il rilievo strategico del documento di programmazione economico-finanziaria. Peccato che sia il Governo stesso a smentire tale rilievo strategico con i propri comportamenti, ad esempio minimizzando il valore dell'assumere stime fondate sulle previsioni di


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finanza pubblica e di andamenti economici complessivi ed anche con l'assenza oggi in questa sede. Ammiro la tenacia con cui il sottosegretario Tanzi segue i nostri lavori ma, quando si discute del documento di programmazione economico-finanziaria, non abbiamo il Governo presente in maniera più rilevante.
Tuttavia, vogliamo prendere assolutamente sul serio il suddetto rilievo strategico del documento di programmazione economico-finanziaria. Le nostre critiche sono radicali e riguardano il metodo della preparazione e dell'invio al Parlamento ed il merito. Per quanto riguarda il metodo, mi riferisco all'invio al Parlamento del documento di programmazione economico-finanziaria: era stato posto sul sito, poi era stato tolto, poi ne era rimasta solo una parte ed è stato inviato al Parlamento con estremo ritardo. Questo ci dà ragione di un alone di mistero che ha accompagnato tutta la fase di preparazione del documento. Ritengo che a tale proposito vi sia una prima violazione grave delle regole della democrazia visto che la prima e più elementare ma fondamentale regola della democrazia è la trasparenza, la circolazione delle informazioni, le uniche cose che consentono un dibattito pubblico meditato e ponderato, e la democrazia è soprattutto dibattito pubblico mediato e ponderato.
Siamo al punto che la Corte dei conti ha dovuto parlare di poca chiarezza con cui vengono indicate le misure e le coperture, ha fatto richiesta di chiarificazione su punti decisivi come il ruolo della Infrastrutture Spa. La Corte dei conti arriva a dire che il DPEF in esame non consente un'illustrazione puntuale della manovra di bilancio 2003 che, peraltro, la Corte dei conti stessa ci dice supererà in misura significativamente superiore di 18-19 miliardi di euro.
Insisto su questo aspetto di metodo, perché qui ritroviamo un'altra violazione, che è stata presente in tutta la fase di preparazione, presentazione e discussione delle deleghe, che del resto il DPEF assume come fulcro e cuore, soprattutto per quanto riguarda la delega fiscale, quella sul mercato del lavoro e quella in materia previdenziale. Qui, per dire delle violazioni delle regole della democrazia e della nostra Costituzione, non c'è alcuna differenza fra Costituzione formale e materiale: qui la forma è sostanza! A nostro avviso, viene violato certamente l'articolo 81 della Costituzione, ma anche l'articolo 23, che norma la riserva di legge per il Parlamento, e infine l'articolo che norma la legislazione delegata. Il fatto che l'articolo 81 della Costituzione sia violato è dimostrato dal fatto che, delle due l'una: o le misure in oggetto (le deleghe, nella fattispecie) contengono profili di onerosità e allora deve esserci la relativa copertura, oppure esse non hanno questi profili di onerosità e allora non ha senso il rinvio alla legge finanziaria, fattispecie nella quale invece ci troviamo.
Sul piano del merito, che è strettamente connesso a questo metodo di forma che è sostanza, siamo di fronte ad un fallimento su tutta la linea della politica economica e sociale di questo Governo, così come essa si configura nel documento di programmazione economico-finanziaria, che consente di trarre un bilancio delle azioni compiute fin qui e al tempo stesso consente di trarre una valutazione di ciò che viene proposto di fare per il futuro.
Allora, dalla lettura del DPEF non possiamo non trarre un giudizio di fallimento, sia nel tenere sotto controllo i conti pubblici - non siamo affatto coloro che sostengono il tutto a tutti (lo dico al collega che mi ha preceduto, il quale anche lui ha svolto significative critiche al documento di programmazione economico-finanziaria); purtroppo siamo invece nella condizione di poter dire che questo Governo, per ciò che ha fatto sin qui, dà tutto a pochi: pensate soltanto all'abolizione di quel che rimaneva dell'imposta di successione e donazione! -, sia nel rilanciare lo sviluppo.
Questo DPEF non consente di trarre elementi utili per poter dire che vi sia rigore. Infatti, non c'è rigore e non c'è sviluppo economico e se questa prospettazione


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verrà mantenuta possiamo dire che non c'è neanche sviluppo sociale.
Non c'è rigore e anzi c'è molto lassismo. Bisognerebbe finirla con questa litania «dell'eredità del passato», anzi «del lascito del passato», per usare un termine più forbito. D'altronde, parla da sola la reprimenda EUROSTAT sulle cartolarizzazioni, che noi - è vero - come governi di centrosinistra abbiamo fatto; tuttavia con estremo maggior rigore, tant'è vero che a noi non è arrivata una reprimenda di tal fatta. Invece questa reprimenda molto severa viene da EUROSTAT e viene, per altri aspetti, dal Capo dello Stato, dalla suprema autorità istituzionale in questa nostra Repubblica che vorremmo mantenere con il suo grande rilievo e valore.
Non c'è sviluppo economico perché siamo di fronte al fallimento di tutte le leve che sono state ritenute centrali - lo diceva l'onorevole Morgando, relatore di minoranza -; siamo al fallimento delle norme sull'emersione e al fallimento della Tremonti-bis, che ci resta adesso da utilizzare per l'acquisto di costosissimi calciatori - bella trovata! -; siamo al fallimento...

PRESIDENTE. Onorevole Pennacchi la invito a concludere.

LAURA MARIA PENNACCHI. Concludo, Presidente. Dicevo, siamo al fallimento anche del rientro dei capitali detenuti illegalmente all'estero, che anche se rientrano, in realtà non vanno ad incentivare nuovi investimenti.
Anche dal punto di vista sociale siamo di fronte - il ministro Tremonti si adonterà, come avvenne l'anno scorso, quando supponemmo che potesse esserci macelleria sociale - ad una carneficina sociale (una supposizione ancora più grave di quella dello scorso anno) e mi dispiace per l'adontarsi possibile del ministro Tremonti. Quando la spesa corrente, al netto degli interessi - come ci hanno documentato il ministro Tremonti e il viceministro Baldassarri, proiettando lucidi e lasciando materiale ufficiale agli atti -, si prevede di farla scendere dal 38 al 34 per cento del PIL, si spiega allora perché nel campo della sanità poi si debba pensare alle mutue sostitutive, perché nella scuola ci sia il definanziamento, perché 100.000 dipendenti siano stati dichiarati già in esubero e perché per la previdenza vi sia la nefasta decontribuzione.
In conclusione, signor Presidente, credo che siamo di fronte ad un DPEF molto oscuro per tante parti ma chiaro nel suo disegno, quello di coltivare soltanto gli interessi dei super ricchi, come la delega fiscale assunta dal DPEF promette. Il 58 per cento dei benefici totali, considerando l'arco del tempo, andranno al 2 per cento dei contribuenti. Altro che ai redditi medio bassi, siamo alla tutela soltanto degli interessi dei super ricchi e ad una visione dello sviluppo basata soltanto su automatismi: detassare, deregolamentare il mercato del lavoro, a partire dall'articolo 18, e tutto verrà di conseguenza! Ma, con questo, siamo alla abdicazione della politica dalle sue funzioni, siamo alla deresponsabilizzazione totale dell'operatore pubblico, in una epoca in cui, dalla «enronite» ai crolli di borsa che dovrebbero spingere ad un cambiamento radicale della politica economica e sociale, la responsabilità collettiva, invece, dovrebbe essere primaria (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. La prima cosa da dire è che anche questo DPEF, come quello dello scorso anno, rompe con una pessima tradizione e si presenta scritto in modo razionale, schematico e comprensibile a tutti i cittadini. Questa, con i tempi che corrono, è già una considerazione abbastanza importante. Il giudizio tecnico della Lega nord Padania su questo DPEF è positivo per i noti motivi che sono riconducibili, in piccola parte, anche ai comportamenti di qualche revisore dei conti con tante «h» e tante «k» nella ragione sociale, come prima affermava il collega Alfonso Gianni. Le situazioni economica e finanziaria del paese


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non sono brillanti, ci sono alcune difficoltà. Non si può certo affermare che il Governo sottovaluti o voglia nascondere tali difficoltà. Devo dire che molte critiche ascoltate in questi giorni nella V Commissione e in Assemblea mi sono sembrate veramente poco generose e più ideologiche che tecniche. Il quadro tendenziale è costruito in modo razionale per quanto riguarda sia la stima dell'incremento del PIL, sia la previsione delle entrate tributarie e contributive sia la stima della spesa sanitaria, per le pensioni, per gli interessi passivi, per i ricorsi dei dipendenti pubblici (questo livello non include gli oneri dei futuri rinnovi contrattuali) e così via. Nel primo trimestre 2002 l'economia italiana è tornata a crescere. Tuttavia, pur in presenza di stime che indicano miglioramenti nelle economie dell'Unione europea, degli Stati Uniti e del resto del mondo, nelle quali la nostra è fortemente integrata, le previsioni per i prossimi anni riguardo ai nostri consumi privati, alle nostre esportazioni e alla nostra produzione industriale non sono particolarmente brillanti. In effetti, per tutti gli anni '90 la crescita della nostra economia è stata costantemente più lenta di quella degli altri paesi europei e le tendenze degli anni più recenti non segnalano, per il momento e in assenza di interventi di politica economica, un recupero di dinamismo e di competitività.
Senza interventi di politica economica, la situazione che risulta dalle proiezioni tendenziali non consentirebbe di rispettare gli impegni che tutti i paesi membri hanno assunto con l'Unione europea. In particolare, il rapporto tra deficit e PIL resterebbe troppo alto, perché passerebbe dall'1,6 per cento previsto per l'anno prossimo allo 0,9 per cento previsto per il 2006, mentre la marcia verso il rapporto del 60 per cento tra debiti accumulati e PIL resterebbe addirittura ferma alla inaccettabile quota del 109 per cento.
A me non piacciono le polemiche, tuttavia, dato che il relatore di minoranza Morgando, poc'anzi, ha affermato di aver voluto prendersi una rivincita ricorrendo all'ironia, ricorderò anch'io un paio di dati. Nell'ultimo DPEF della scorsa legislatura, nel luglio 2000, era stato scritto che senza alcuna manovra il rapporto sarebbe stato automaticamente, quasi per grazia ricevuta, in pareggio entro il 2003. Poi, con la nota di aggiornamento del settembre 2000, se ricordate, è stata aumentata la spesa corrente, cominciando una campagna elettorale impropria, assolutamente poco oculata e i cui effetti ancora pesano sui conti pubblici e sulle tasche dei cittadini.
Queste sono cose gravi che, con qualche sforzo, si possono non dico perdonare, ma almeno capire, classificandole tra le debolezze umane; mentre, quello che non capirò mai e non saprò mai come classificare, senza offendere il pudore, è come sia stato possibile, negli anni del potere cattocomunista, accumulare tutti questi debiti ai danni delle generazioni future. Il livello massimo consentito dall'Unione europea ammonta al 60 per cento sul PIL. Ebbene, dopo i «miracoli» - dico ai resocontisti di mettere miracoli tra virgolette - di Prodi e il grande «risanamento» - tra virgolette anche questo - della scorsa legislatura, alla fine di quest'anno i debiti accumulati saranno di poco inferiori al 110 per cento. E pochi anni fa hanno superato il 120 per cento.
Questo dato rappresenta soldi che i politici cattocomunisti hanno speso negli anni dell'egoismo travestito da solidarietà, trasferendo interamente il costo della loro ciniche operazioni sulle spalle dei soggetti più deboli, sulle spalle delle generazioni future, che, non essendo ancora nate, non si potevano difendere - poverine - e non erano in grado di cercare santi protettori, mani più o meno inanellate da baciare o borse da portare. Inoltre, tali soggetti avevano una colpa gravissima: non votavano. La mentalità diffusa tra i politici di quei tempi, ma in parte, purtroppo, anche fra quelli di oggi, era quella di ragionare non come statisti o, più semplicemente, come oculati pubblici amministratori ma, nel migliore dei casi, come veri e propri cacciatori di voti.
Vi devo anche ricordare che a questo impressionante debito, secondo buonsenso


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e secondo elementari regole di ragioneria, bisognerebbe aggiungere il valore attuale del debito per le pensioni già maturate, che ha la stessa identica natura del debito pubblico: si tratta, a tutti gli effetti, di un debito della Repubblica italiana; tuttavia, esso non è esposto in nessuna parte nei bilanci del nostro paese e degli altri membri dell'Unione europea. Questo debito vale, per l'Italia, poco meno di 5 milioni di miliardi di vecchie lire, più del doppio di tutti i BOT e di tutti gli altri titoli del debito pubblico in circolazione. Anche questo debito è stato generato negli anni settanta e ottanta dalla prassi e dalla cultura cattocomunista.
Dunque, si rendono necessari interventi di politica economica. La via più semplice, sempre seguita in passato in queste circostanze, sarebbe stata quella dell'aumento delle tasse, ma questo, come ha detto giustamente il relatore Alberto Giorgetti, avrebbe compresso lo sviluppo e la domanda. Il Governo Berlusconi, invece, propone interventi articolati in tre aree: l'area delle riforme economiche, quella delle riforme sociali ed istituzionali e quella di alcuni progetti di grande rilevanza. Come è noto, le riforme più importanti, a giudizio del Governo, sono tre: la riforma fiscale, la riforma del mercato del lavoro e la riforma previdenziale. Devo dire che a mio giudizio, invece, le riforme più importanti dovrebbero essere quattro: purtroppo, nell'elenco del Governo, secondo me, non sono attribuite la necessaria enfasi e importanza al trasferimento di poteri, di responsabilità e di risorse finanziarie dallo Stato agli altri soggetti che compongono con pari dignità la Repubblica italiana. Io e tanti altri miei colleghi riteniamo che questa riforma sia il motore di ogni cambiamento.
La prima delle tre riforme indicate dal Governo, la riforma fiscale, deve necessariamente essere realizzata per moduli: per l'anno venturo sono previsti un intervento di 5.500 milioni di euro per cominciare a ridurre l'IRPEF dei redditi più bassi e un altro di 500 milioni di euro per cominciare la progressiva eliminazione dell'IRAP, che oggi vale circa 31 miliardi di euro. Lo so: è poco, è meno del 2 per cento. Ce ne rendiamo conto ma, evidentemente, grazie ai debiti accumulati dai precedenti governi e parlamenti cattocomunisti, non è possibile fare di più ed è, comunque, pur sempre un inizio. Le considerazioni del Governo sulla riforma fiscale esposte nel DPEF sono tecnicamente corrette, anzi molto corrette. Tuttavia, in esse vedo una lacuna: cinque pagine e 163 righe, ma nessun riferimento esplicito alla necessità di recepire l'articolo 119 della Costituzione, in modo che comuni, province e regioni abbiano l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa prevista dalla Costituzione. Ritengo sia assolutamente inutile e, forse, addirittura mistificante parlare di federalismo e di devoluzione alle regioni di poteri e di responsabilità, senza prevedere nella riforma fiscale, in modo molto esplicito, le caratteristiche del definitivo trasferimento di poteri e di responsabilità anche fiscali, vale a dire senza prevedere in modo esplicito il recepimento dell'articolo 119 della Costituzione.
A mio modestissimo parere, manca nel testo di questo DPEF l'identificazione dello scenario finale che dovrà prevedere la fiscalità dello Stato nettamente separata dalla fiscalità delle regioni e degli enti locali. La pressione fiscale, che secondo il DPEF scenderà a circa il 40 per cento del reddito nel 2006, dovrà naturalmente essere calcolata sulla somma delle due fiscalità: quella dello Stato e quella delle regioni e degli altri enti locali. Questo scenario, colleghi, potrà essere realizzato anche in molti anni; ma, a mio giudizio, la sua cornice dovrebbe essere identificata subito e con chiarezza. In caso contrario, senza prevedere per le regioni e per gli enti locali una reale autonomia finanziaria di entrata e di spesa, le parole «federalismo» e «devoluzione» corrono il rischio di restare solo parole vuote, o peggio, specchietti per le allodole e tutti gli addetti ai lavori avranno solo perso del tempo.
La seconda riforma, quella del mercato del lavoro, ha identiche caratteristiche. Sono tecnicamente molto valide le considerazioni del Governo, ma non c'è nessun riferimento al processo di devoluzione che


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dovrà essere impostato anche in questo campo, anche nel campo del mercato del lavoro, naturalmente dopo aver completato la prima fase che, com'è noto, è relativa solo alla sanità, all'istruzione e alla polizia locale. Devo dire che l'unico riferimento che il DPEF fa alla devoluzione dei poteri anche in questo campo è a un «terzo livello di sostegno al reddito di ultima istanza gestito degli enti locali» naturalmente «sotto il coordinamento e il controllo dell'amministrazione centrale»: è veramente troppo poco. I progetti del Governo sono sintetizzati nel DPEF e sono descritti con maggiori dettagli nelle premesse del capitolo 1, sulla politica dei redditi e di inclusione sociale, e del capitolo 2, sullo Stato sociale per il lavoro e sul patto per l'Italia. Quest'ultimo è stato firmato da Berlusconi, da 11 ministri e da 35 enti, tra i quali, oltre ai maggiori sindacati - esclusa la CGIL -, anche la Lega delle cooperative, Confindustria, Confapi, ABI, eccetera.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 18,10)

GIANCARLO PAGLIARINI. Segnalo che il punto della riforma che a noi della Lega nord Padania appare particolarmente valido è quello che prevede una stretta correlazione tra erogazione di sussidi e diritti e doveri del disoccupato. Nel patto per l'Italia è finalmente prevista, cito dal testo, la perdita del diritto al sussidio nel caso di rifiuto della formazione di altra misura o nel rifiuto di occasioni di lavoro, secondo modalità definite, oppure nel caso di prestazione di lavoro irregolare. Capitolo 2, punto 4, lettera f, del patto per l'Italia. Bellissimo. Questo è un concetto che la Lega nord va raccomandando da tempo e che, incidentalmente, era stato raccolto anche da Massimo D'Alema e da Tony Blair i quali in una lettera aperta, predisposta in occasione del vertice di Lisbona di due anni fa, avevano scritto che i disoccupati possono ragionevolmente aspettarsi questo aiuto dai governi, ma quando un lavoro si rende disponibile ci si aspetta che anch'essi ne traggano vantaggio. Questo è un tema politicamente delicato - hanno scritto -, ma dobbiamo riconoscere il fatto che i benefici di lungo termine hanno avuto la tendenza ad incoraggiare disoccupazione di lungo periodo. A quei tempi i sindacati contestarono questa posizione e quella lettera al povero D'Alema gliel'hanno fatto mangiare. Adesso, ottenendo in cambio moltissimo, i maggiori sindacati, esclusa la CGIL, hanno finalmente accettato questi principi di buon senso.
Anche la terza riforma, quella del sistema previdenziale, è difficile, dovrà essere ben spiegata e ben discussa in tutte le sedi, ma è tecnicamente condivisibile, in particolare, con riferimento al provvedimento che introduce la certificazione del diritto alla pensione al momento della maturazione dei requisiti, all'obiettivo di aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro degli individui più anziani e poi a quello di eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro. La sostanza, comunque, è che il problema dei problemi dell'Unione europea, in generale, e del nostro paese, in particolare, è tutta lì, nel sistema pensionistico a ripartizione che, tavole demografiche alla mano, ha ormai svelato le sue caratteristiche di sistema profondamente egoista ed illogico. Ecco perché l'obiettivo europeo è di raggiungere entro il 2010 il livello di occupazione del 70 per cento, ecco perché la firma del Patto per l'Italia è così importante ed ecco perché l'obiettivo programmatico del Governo di salire dall'attuale tasso di occupazione del 54,6 per cento fino al 60 per cento entro il 2006, riveste un'importanza veramente cruciale.
In conclusione, per quanto riguarda la parte tecnica del DPEF, riteniamo che il Governo abbia sviluppato un quadro tendenziale ragionevolmente indicativo di quello che succederebbe senza modifiche alla legislazione vigente e abbia identificato un quadro programmatico condivisibile, rispettoso degli impegni presi con l'Unione europea e realizzabile; naturalmente, è realizzabile solo se sarà confermato


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il favorevole andamento del quadro macroeconomico internazionale - che determina dall'esterno l'andamento della nostra economia - e se lavoreremo tutti per realizzare e rendere operative le riforme economiche, le riforme sociali e istituzionali e i sette progetti di grande impatto descritti nel DPEF. Tra questi progetti di grande rilevanza, tutti molto importanti, devo ricordare che due di questi, in particolare, risultano cruciali per poter centrare, entro il 2006, gli obiettivi del quadro programmatico. Il primo progetto è quello che prevede privatizzazioni nel breve periodo per circa 20 miliardi di euro, il secondo è quello che prevede l'inizio di significativi lavori pubblici, con il vincolo di coinvolgere capitali privati nello sviluppo delle infrastrutture. Naturalmente, dobbiamo essere tutti consapevoli che questo coinvolgimento dovrà comportare una effettiva assunzione di rischio da parte dei privati, perché altrimenti non si farebbe altro che generare debiti sommersi. Infine, in tutto il documento noi della Lega nord Padania avremmo preferito vedere costanti riferimenti al processo di devoluzione; non perché ciò faccia parte del nostro DNA, ma perché questo processo garantisce un significativo aumento del tasso di crescita del PIL, dell'efficienza dei servizi e, in generale, della qualità della vita; ciò, grazie all'introduzione del concetto di concorrenza anche nella politica e, naturalmente, sempre in coerenza con l'obiettivo di salvaguardare la solidarietà sociale.
Dunque, a nostro giudizio, è opportuno che il Governo preveda di continuare il processo di devoluzione di poteri e di responsabilità alle regioni e agli enti locali, impostando, al più presto possibile, l'iter legislativo per il recepimento dell'articolo 119 della Costituzione, in modo che comuni, province e regioni dispongano di compartecipazioni significative al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio e abbiano l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa prevista dalla Costituzione; impostando l'iter legislativo relativo alla riforma della Corte costituzionale con l'ingresso di membri eletti dalle regioni e impostando l'iter legislativo relativo alla costituzione della Camera delle regioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà, per cui poteri, responsabilità e risorse finanziarie cominciano sempre dal livello comunale. In ogni caso, deve essere evitata ogni ipotesi di centralismo regionale (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tonino Loddo. Ne ha facoltà.

TONINO LODDO. Signor Presidente, mi voglio ricollegare a quanto detto dal collega Canelli per rilevare che, senza dubbio, il termine «Mezzogiorno» è uno dei più ricorrenti di questo DPEF. Se ne dovessimo misurare l'efficacia con il metro della ricorrenza delle parole, dovremmo anche concludere con lui che si tratta di uno dei documenti di politica economica più meridionalisti della storia della Repubblica.
Poiché, però, la politica economica non la si misura con la frequenza dei termini utilizzati, ma con la quantità delle risorse realmente disponibili, non possiamo non rilevare anche un aspetto esattamente opposto e cioè che si tratta del documento di politica economica più antimeridionalista della storia della Repubblica. Infatti, al di là delle parole, il Mezzogiorno continua a non essere considerato da questo Governo come una grande priorità nazionale. Tutte quelle misure che a suo tempo erano state presentate come svolte epocali sono già rientrate, ad esempio, a seguito dell'approvazione dell'emendamento al decreto omnibus, che ha drasticamente ridotto la portata del cumulo tra il credito d'imposta e la Tremonti-bis.
Se da un lato, infatti, è vero che il documento di programmazione economico-finanziaria prevede «un forte intervento aggiuntivo nel Mezzogiorno per il miglioramento sostanziale nelle comunicazioni, nella ricerca e formazione, nella valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, grazie a cui si prevede un balzo nella produttività e negli investimenti» (lo cito tra virgolette), è, altresì, vero che, per questo grande impegno, il documento


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di programmazione economico-finanziaria non è capace di individuare né risorse né strategie operative. Ciò perché questo Governo mostra di non aver ancora capito che il Mezzogiorno, con la sua enorme potenzialità di forza lavoro inutilizzata, con la sua possibilità di utilizzare risorse comunitarie per programmi di investimenti produttivi ed infrastrutture, rappresenta l'unica vera e grande opportunità per uno sviluppo socioeconomico più equilibrato di tutto il paese.
Sarebbe stata auspicabile una strategia di azione di grande impatto che puntasse - se mi è consentito un paradosso che proprio paradosso non è - a favorire, per le regioni meridionali ed insulari, ritmi di crescita superiori a quelli del centro nord ed a quelli medieuropei. Ci saremmo attesi alcune opzioni più decise tra le quali: primo, la ridefinizione del quadro normativo della finanza regionale e locale che consentisse, in un quadro di intese istituzionali tra Stato e regioni, un'utilizzazione sinergica delle risorse; secondo, l'estensione di meccanismi di accelerazione degli investimenti pubblici e la definizione degli investimenti strutturali da attuare nel Mezzogiorno attraverso strumenti già esistenti, come per esempio, i fondi strutturali 2000-2006 e la programmazione negoziata; terzo, il rafforzamento dei vantaggi localizzativi per gli investimenti produttivi nel Mezzogiorno; quarto, la razionalizzazione del sistema complessivo di agevolazione all'attività produttiva; cinque, il riorientamento della mission di Sviluppo Italia contro cui il ministro dell'economia in persona ha personalmente lanciato un'inusitata campagna di delegittimazione, nonché il proseguimento ed il rafforzamento dell'azione di miglioramento delle condizioni di sicurezza e di legalità in cui si svolgono la vita civile e l'attività economica del Mezzogiorno, anche in risposta ai recenti rilevamenti che vedono le attività mafiose e malavitose in genere in netta ripresa nel controllo degli appalti pubblici.
Di tutto questo nel documento di programmazione economico-finanziaria non vi è traccia. Questo è il motivo per cui non posso non anticipare un giudizio gravemente negativo del mio gruppo sul DPEF al nostro esame (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stagno d'Alcontres. Ne ha facoltà.

FRANCESCO STAGNO d'ALCONTRES. Signor Presidente, nel corso di un dibattito svolto sotto il duplice profilo dell'equità e della compatibilità con i conti pubblici, con riguardo particolare alla spesa sanitaria, è emerso in Commissione affari sociali l'impegno del Governo al rispetto dei principi fondamentali di universalità e di solidarietà nella tutela della salute e di assistenza alle fasce più deboli della popolazione, insieme all'esigenza di stabilità e di crescita per il paese.
Per illustrare nel merito il quadro completo, sono da rilevare valutazioni condivise. Mi riferisco alla necessità di controllo delle spese, alle richieste di efficienza della burocrazia sanitaria, alla necessità di rafforzare le attività di coordinamento e di programmazione tra Stato e regioni e le verifiche sulla qualità del servizio reso, all'accoglimento di un'ipotesi di sistema complementare che integri le prestazioni rese in favore, innanzitutto, degli anziani non autosufficienti, alla garanzia di livelli uniformi nelle prestazioni essenziali, in coerenza proprio con i principi di universalità e di solidarietà nelle politiche sociali.
Sono anche da rilevare valutazioni critiche. Così, senza memoria, discutendo anche di matematica attuariale e di analisi dei trend inflazionistici, nel parere di minoranza formulato dalle opposizioni in Commissione affari sociali in sede consultiva è stato scritto di domanda globale interna, di tassi di interesse, di «illusione monetaria», a chiusura di «fallimento della costruzione di un'Europa politica realmente autonoma».
Vorrei rappresentare all'Assemblea che, come i colleghi economisti nella Commissione affari sociali mi potrebbero insegnare, noi, e dico noi, viviamo nel lungo


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periodo. Onorevoli colleghi, ciascuno di noi sconta gli effetti di decisioni di politica economica adottate mesi, spesso anni prima che tali effetti incominciano a manifestarsi. Scelte in materia di istruzione, di sanità, di mercato del lavoro e di sviluppo del Mezzogiorno producono effetti che si riscontrano più avanti nel tempo.
Ad esempio, dalle note dell'ISTAT sulla povertà in Italia nel 2001, è emerso che il livello di povertà tra il 1997 e il 2001 è rimasto sostanzialmente stabile, seppure con talune differenze per tipologie di famiglie ed area geografica. D'altra parte, il tasso di povertà è correlato al livello di istruzione e alle condizioni di disoccupazione. Le politiche di lotta alla povertà devono, dunque essere orientate ad innalzare il livello di istruzione ed a rendere accessibile il mercato del lavoro: politiche, queste, che hanno un respiro di legislatura.
Proseguendo negli esempi di politiche di lungo periodo, in Commissione è stato affermato, da una parte dell'opposizione, che dal punto di vista finanziario e dell'equità del sistema sanitario esistente è vero che il servizio sanitario è un servizio sano e non deve essere oggetto di disinvestimenti. Al contempo, a testimonianza del fallimento del sistema e delle responsabilità dell'attuale Governo, è stata dalle stesse opposizioni invocata la recente relazione della Corte dei conti che, però, per quanto riguarda la spesa sanitaria è riferita ai dati del 2000 e del 2001, dati ovviamente influenzati dalle politiche dei precedenti governi. E poi ancora: quale prova del successo del servizio sanitario governato dalla maggioranza nel corso della passata legislatura, è stato celebrato il rapporto 2000 sulla salute pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha collocato il nostro paese al secondo posto nella performance complessiva dei sistemi sanitari.
Ebbene, per chi ha memoria, il rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità è riferito ai dati di serie storiche completi fino al 1997: mi sembra che già nel 1997 si potesse parlare di meriti delle sinistre, anche perché la riforma del servizio sanitario nazionale è stata avviata con un decreto legislativo del 1999, vale a dire tre governi di centrosinistra fa.
Sempre per chi ha memoria, andando ad esaminare gli indirizzi programmatici dell'attuale opposizione, proprio nel luglio del 1999, il documento di programmazione economico-finanziaria del Governo D'Alema dedicava 18 righe alle politiche sociali e dieci righe alla salute pubblica, prevedendo inoltre per i servizi sociali, - cito testualmente - la liberalizzazione dell'offerta ed un allargamento del mercato al fine di ridurre l'impegno delle risorse pubbliche (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Per raggiungere tali obiettivi si puntava - cito ancora testualmente - alla promozione di mutue volontarie, polizze assicurative e vaucher.
Per completezza di informazione, nel successivo documento di programmazione economico-finanziario per il triennio 2001-2004 non è stato possibile verificare adeguatamente lo sviluppo di tali linee programmatiche, considerato che nell'intero documento sono state dedicate soltanto sei righe ai programmi in materia di sanità.
Sembrerebbe chiaro, onorevoli colleghi, che noi stiamo pagando i costi economici e sociali di decisioni, o non decisioni, prese nel corso della precedente legislatura.
Si è pertanto preso atto che il sentiero di riforma e di razionalizzazione del nostro sistema sanitario non ha ancora portato agli effetti sperati, in termini di qualità e, al contempo, di compatibilità con gli obiettivi del patto di stabilità.
Occorre quindi intervenire ancora, seppure con la massima cautela, per usare le parole del ministro della salute, adottando strumenti che consentano di risolvere il paradosso della sanità: paradosso che, come ho ribadito altre volte in quest'aula, consiste in una spesa sanitaria pubblica, in percentuale del prodotto interno lordo, distante, nel 2000, da paesi quali Francia e Germania, ma superiore ad altri paesi, quali Olanda, la Spagna e il Portogallo, ed allineata alla spesa del Regno Unito e degli


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Stati Uniti d'America, in una spesa sanitaria coperta da assicurazioni private per una percentuale inferiore a quella di tutti i citati paesi, anzi lontanissima da Francia e Germania, e in una spesa privata pro capite fra le più alte d'Europa, a testimoniare quale sia la qualità percepita dalla collettività del nostro servizio sanitario pubblico.
In tale contesto sono state adottate iniziative a livello centrale e regionale che hanno fatto seguito all'accordo dell'8 agosto 2001, al fine di contenere almeno in parte gli oneri emergenti. Nel quadro di tali misure di contenimento, è da collocare l'emanazione dei decreti-legge nn. 63 e n. 138 del 2002, già convertiti dall'Assemblea.
Tuttavia, pur se nel documento di programmazione economico-finanziaria la spesa sanitaria è stata determinata sia in base ai maggiori costi emersi sia alle relative misure di contenimento assunte dal Governo e dalle regioni, l'andamento tendenziale, a legislazione vigente, continua a presentare per la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni, ed in particolare per la spesa sanitaria, dei dati in aumento progressivo.
Poiché le risorse disponibili non aumentano nella stessa misura, tali dati inducono ad ulteriori riflessioni, se esaminate insieme con la previsione e le indicazioni emerse in ambito europeo ed internazionale sulle conseguenze dell'invecchiamento demografico nel paese. Mi riferisco qui sia ai risultati di lungo periodo del gruppo di lavoro ad hoc costituito presso l'Ecofin sia alle stime dell'ONU per il periodo 2002-2005, che hanno collocato l'Italia al primo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, con un numero medio di figli fra i più bassi, mentre le aspettative di vita alla nascita sono tra le più elevate.
A condizioni di morbilità e disabilità invarianti rispetto ad oggi per fasce d'età della popolazione ed in conseguenza quindi unicamente dell'invecchiamento demografico, nel corso dei prossimi anni è possibile ipotizzare un consistente aumento di persone che chiederanno cura ed assistenza.
Sembra pertanto più che mai necessario agire per sviluppare e potenziare i servizi sociali e sanitari.
Entrando a questo punto nel dettaglio delle linee programmatiche del documento di programmazione economico-finanziaria per quanto concerne in generale la politica sociale, il Governo informa la propria azione al miglioramento della qualità della vita delle persone. In tale prospettiva sono previsti interventi finalizzati alla tutela della famiglia, da promuovere anche nell'ambito del fondo nazionale per le politiche sociali; vi è da dire in proposito che le risorse del fondo, già ripartite nel febbraio 2002, sono pari a circa un miliardo e 622 milioni di euro. Altri interventi sono finalizzati a realizzare a livello uniforme sul territorio nazionale servizi di assistenza a persone non autosufficienti, come servizi in favore dell'infanzia e dell'adolescenza. Occorre ricordare, nel merito, che per gli asili nido è stato costituito un fondo con la legge finanziaria per il 2002, mentre in Commissione affari sociali è in corso la discussione su una proposta di legge mirata a rafforzare il settore. Sono altresì in via di adozione misure di sostegno alla famiglia ed alla maternità al fine di favorire l'inserimento e la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro.
In un quadro programmatico che pone, pertanto, la famiglia e la persona al centro delle politiche, desidero ricordare che l'azione del Governo risulta orientata alla massima tutela delle fasce più deboli della popolazione. Su tale base si colloca la previsione di linee di intervento per agevolare l'accesso nel mondo del lavoro dei diversamente abili ed, in generale, per realizzare una politica di prevenzione e di contrasto delle discriminazioni e delle emarginazioni ma anche dei fenomeni di disagio giovanile.
Per il raggiungimento degli obiettivi, rilevano, d'altra parte, le iniziative che il Governo ha adottato - e dovrà continuare ad adottare - per il coordinamento e la concertazione con gli altri enti territoriali


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e con i soggetti attivi nel terzo settore e per il sostegno alle attività svolte da tali organismi al fine di realizzare in modo coerente gli interventi mirati all'inclusione delle persone ed alla valorizzazione dei soggetti che operano nel campo della solidarietà sociale.
Per quanto concerne le specifiche politiche per la salute, nel prendere atto e ribadire che il Governo si impegna al rispetto dei fondamentali principi di universalità e di solidarietà che regolano il servizio sanitario nazionale, è stato proposto un rafforzamento del sistema assistenziale, prioritariamente in favore degli anziani non autosufficienti e dei diversamente abili.

PRESIDENTE. Onorevole Stagno d'Alcontres...

FRANCESCO STAGNO d'ALCONTRES. Concludo, Presidente. Viene in ipotesi qui la possibile introduzione, in via sperimentale, di un sistema complementare e integrativo che dia una copertura laddove non arrivi il servizio sanitario nazionale.
Nel concludere, desidero sottolineare l'importanza che il Governo si impegni per il controllo dei costi; a tal fine sono stati previsti la modifica del sistema dei prezzi, della classificazione e delle modalità di confezione dei farmaci, un programma di razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi mediante lo svolgimento delle aste elettroniche e la definizione di convenzioni quadro nazionali con i fornitori. Al riguardo è opportuno sottolineare che tale tipo di spesa nel settore della sanità tra il 1998 il 2001 è aumentata da 33 miliardi di euro a 50 miliardi di euro.
Signor Presidente, nel concludere desidero rinnovare l'apprezzamento ed il sostegno al Governo per l'opera che sta svolgendo in direzione di una politica di efficienza, nella tutela della salute, nella protezione della famiglia e di assistenza ai soggetti più deboli della popolazione costituzionalmente sancite.
Signor Presidente siccome il tempo a mia disposizione è esaurito, la prego di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle considerazioni conclusive del mio intervento. Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. La presidenza la autorizza.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 18,33)

LELLO DI GIOIA. Grazie signor Presidente.
Credo che nel dibattito che si sta sviluppando quest'oggi sul documento di programmazione economico-finanziaria, tutto sommato si siano manifestati una serie di aspetti propagandistici ed elettoralistici che ormai (a più di un anno dall'insediamento di questo Governo) credo debbano essere totalmente eliminati.
Occorre trovare la capacità, la forza di discutere con molta onestà e responsabilità le linee di intervento economico e finanziario di questo Governo per gli anni 2003-2006. Questi elementi di propaganda elettorale sono emersi, durante il dibattito, nel corso degli interventi di alcuni esponenti della maggioranza, sia del gruppo di Alleanza nazionale sia di quello della Lega nord Padania, i quali hanno delineato, con termini poco significativi, gli aspetti di una politica economica che sostanzialmente deve essere giudicata negativamente. Ritengo, invece, che, in alcuni interventi di parlamentari della stessa maggioranza, si evidenziava, con molta nettezza e responsabilità, la preoccupazione rispetto a questo Documento di programmazione economico-finanziaria, una preoccupazione legittima che investe il Parlamento italiano con riferimento alle scelte di sviluppo del nostro paese e alle prospettive dell'Italia nei prossimi anni e nel prossimo disegno di legge finanziaria.
È innegabilmente sotto gli occhi di tutti il dato riguardante la crescita, in questo anno, del prodotto interno lordo di circa


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l'1,3 per cento. Si tratta, ovviamente, di una crescita che lo stesso Governo non aveva ipotizzato. Sappiamo benissimo, infatti, che, nello scorso anno, durante discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria, la crescita era ben altra. Certamente, vi sono stati fattori legati alla crisi internazionale, come gli episodi dell'11 settembre 2001. Ciononostante, lo stesso Governo, durante i suoi interventi e le sue audizioni, aveva sottolineato che questo dato negativo dell'economia internazionale non avrebbe, in ogni caso, influenzato lo sviluppo dell'economia italiana e, quindi, il surplus della crescita del nostro paese, tant'è vero che accusava, in modo chiaro ed inequivocabile, il Governo di centrosinistra di avere quelle famose ansie legate ad un certo tipo d'intervento riguardante la fiscalità, per tentare di realizzare interventi programmatici nel campo economico e finanziario.
La verità è che ci troviamo di fronte, non solo ad una crescita fortemente ridotta - che, in ogni caso, non crea le condizioni di sviluppo per l'intero paese e soprattutto per il Mezzogiorno d'Italia -, ma anche ad un rapporto deficit-PIL abbastanza elevato, corretto nei mesi passati e che tendenzialmente si aggira attorno al 2,2 per cento. Questo significa, in buona sostanza, non mantenere i parametri del patto di stabilità né avvicinarsi ai parametri di Maastricht. Significa - come ricordava lo stesso governatore della Banca d'Italia - che, in quest'ultimo periodo, si è registrato il più basso intervento di accumulazione di capitale.
Occorre svolgere, in questa sede, alcune considerazioni sugli interventi di politica economica di questo Governo, partendo da elementi essenziali, quali la cosiddetta Tremonti-bis, la legge per il rientro dei capitali dall'estero, la legge sull'emersione ed infine (un elemento che abbiamo verificato sistematicamente nei mesi scorsi) il conflitto, la divisione e la riduzione del potere nei sindacati confederali e il confronto con il Governo.
Sostanzialmente, occorre affermare che la Tremonti-bis, al di là delle considerazioni sviluppate precedentemente dai colleghi, non ha dato quei risultati che il Governo riteneva potesse dare, tant'è vero che, ancora oggi, al di là di alcune considerazioni, non sono forniti i dati riguardanti l'intervento della Tremonti-bis. E, forse, tutto sommato, il fatto che i dati non siano stati forniti significa, in buona sostanza, che dalla Tremonti-bis non sono derivati risultati sostanziali (però, per ironia della sorte, almeno non ne è derivato un aggravio per l'erario).
Il secondo elemento, relativo al rientro dei capitali dall'estero, ha avuto una portata sostanziale. Probabilmente, però, le concezioni al riguardo non hanno influito sugli investimenti della Tremonti-bis e, conseguentemente, non si è trattato, come ho detto in precedenza, di una grande iniziativa per ciò che concerne gli investimenti nel territorio nazionale, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia.
Il terzo elemento riguarda il sommerso. Sappiamo tutti cos'è accaduto: non vi è nulla, ormai, di emerso, tanto che si stanno proponendo, con forza e determinazione, i contratti di emersione, che credo abbiano dato risposte significative.
Il quarto elemento concerne la costruzione di un rapporto di concertazione con il sindacato. Questo Governo ha cercato di scatenare un conflitto all'interno del sindacato per dividere il mondo del lavoro, ma oggettivamente non c'è riuscito, perché il sindacato, nella discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria, ha puntualmente sottolineato, in maniera unitaria, le negatività di una politica economica del Governo che non riesce a produrre effetti positivi non solo in campo sociale e occupazionale, ma nemmeno sul piano degli investimenti.
Vi attende, di fatto, un confronto aspro anche con il sindacato (CGIL, CISL e UIL): su questi temi, infatti, si verifica la tenuta del sindacato che, sui problemi reali del paese - quelli riguardanti la sanità, la previdenza e lo Stato sociale nel suo insieme - recupera la sua unità.
Per quanto riguarda, in particolare, la sanità, anche qui avete fallito: l'accordo di agosto ha determinato guasti ancora maggiori all'interno del settore, il che appare


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evidente soprattutto se si comparano le regioni governate dal centrodestra con quelle governate dal centrosinistra. Avete provocato un disastro che sta determinando una situazione di grande instabilità nella sanità pubblica, una sperequazione nella tutela della salute, soprattutto a danno dei più deboli.
Quali sono, inoltre, all'interno del DPEF, le iniziative a favore delle attività sociali? È inutile procedere a mere elencazioni schematiche! Voglio rispondere, con molta umiltà, al collega Pagliarini: è più importante avere un DPEF che presenti difficoltà di interpretazione, ma sia concreto nella sua esplicazione e nell'intervenire sui processi economici e produttivi, piuttosto che un documento chiaro, ma che non contiene alcunché di concreto e che non produce alcun effetto positivo sull'economia italiana e sull'occupazione. Sul versante della spesa sociale, non basta elencare i capitoli. Basti ricordare l'esempio della legge n. 328: qualche tempo fa, avete sottratto circa 50 milioni di euro al fondo sociale.
Né mi paiono comprensibili, in questo DPEF, i meccanismi di intervento nel Mezzogiorno d'Italia. L'hanno detto già molti colleghi, ma lo voglio sottolineare di nuovo: quale significato concreto può avere un'elencazione di opere infrastrutturali da realizzare nel Mezzogiorno d'Italia quando non vi sono di fatto le risorse per intervenire?
Quindi, dovete spiegarci, per esempio, le contraddizioni che vi sono all'interno di questo DPEF quando si parla di interventi infrastrutturali, tra cui soprattutto gli interventi sulle ferrovie. Vi è poi un addendum per quanto riguarda le ferrovie che non prevede interventi per il Mezzogiorno d'Italia e che sottolinea gli interventi precedenti del Governo di centrosinistra. Sono delle contraddizioni profonde che, ovviamente, dimostrano le grandi disfunzioni che vi sono tra i ministeri di questo Governo, non prevedendosi interventi importanti per il Mezzogiorno d'Italia. Inoltre, non vi sono risorse per risolvere le questioni idriche e non vi sono risorse per l'innovazione tecnologica del Mezzogiorno d'Italia: tutte questioni importanti che sono in contraddizione tra di loro e che, chiaramente, evidenziano una scelta di politica economica di questo Governo che non crea condizioni di crescita, che non crea condizioni per recuperare il gap tra il nord, il centro e il sud. Questo gap, pur sussistendo nell'ultimo anno una condizione abbastanza positiva, continuerà ad aumentare nei prossimi anni con questa politica economica e con questa politica fiscale che lo stesso Governo sta tentando di realizzare.
D'altronde, le contraddizioni sono evidenti anche sugli interventi. Non si può non sottolineare che si sta tentando di realizzare una situazione in cui non vi sia la concertazione o una contrattazione negoziata e si demanda alle regioni, in base alle competenze derivanti dalla modifica del titolo V della Costituzione, la contrattazione negoziata sui patti territoriali, i contratti d'area e così via discorrendo. Ugualmente, non si può essere così in contraddizione quando nello scorso anno avete sottostimato la portata del credito di imposta e oggi, invece, ponete all'interno di questo DPEF la condizione perché comunque vi possa essere un credito di imposta, con tutte le sue difficoltà e le sue contraddizioni, che avete inserito anche nel decreto-legge omnibus, convertito qualche tempo fa.
Vedete, questo DPEF non è chiaro, non è chiara la politica economica di questo Governo, ma è chiaro l'intento: questo Governo non ha le idee chiare per determinare le condizioni di sviluppo e di occupazione, soprattutto nelle realtà marginali della nostra nazione. Queste realtà marginali sono rappresentate dal Mezzogiorno d'Italia, con le sue contraddizioni, con le sue difficoltà, che aumentano ancora di più con questo Governo. Per questi motivi e per altri motivi che verranno evidenziati dagli interventi conclusivi nell'esame del DPEF, noi riteniamo di esprimere il nostro dissenso, che non è pregiudiziale, conseguenza di una scelta di impostazione politica, visto che rappresentiamo l'opposizione, no; qui esistono questioni di merito che devono portare l'Assemblea


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di Montecitorio a riflettere per capire quali sono gli interventi previsti all'interno di questo DPEF per favorire la crescita di questo paese.
Noi siamo convinti, come dicevo prima, che in questo DPEF non ci siano elementi di crescita, ma semplicemente elencazioni chiare e schematiche che non portano sicuramente ad un recupero sociale, economico ed occupazionale del nostro paese. Per questo motivo - e concludo - noi siamo fortemente e convintamente contrari a questo documento di programmazione economico-finanziaria. Nelle dichiarazioni di voto sicuramente si evidenzieranno ancora maggiormente con fermezza i dissensi, le contraddizioni e le preoccupazioni dei cittadini italiani, ma, soprattutto, del Mezzogiorno d'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LEO. Signor Presidente, il documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame copre e abbraccia l'intero arco della legislatura.
Questo provvedimento, come hanno notato attenti colleghi del centrosinistra, è molto più analitico e dettagliato del documento varato lo scorso anno; quindi questo è già un primo punto di merito da ascrivere al Governo Berlusconi. Alcuni passi significativi del documento trattano, in particolare, la politica fiscale. Per capire bene quale sarà lo sviluppo della politica fiscale che interesserà il periodo dal 2003 al 2006, occorre definire gli interventi di natura congiunturale e gli interventi di natura strutturale esposti ed evidenziati nel documento. Relativamente agli interventi di natura congiunturale, come molti colleghi hanno ricordato, vi sono state una serie di misure che hanno preso l'avvio con il provvedimento dei cento giorni e con il provvedimento del rientro dei capitali dall'estero. Occorre verificare se queste misure abbiano prodotto gli effetti prefissati.
Occorre, innanzitutto, dire che, per dare un dato definitivo sul provvedimento dei cento giorni e, in particolare, sulla legge Tremonti-bis, è necessario attendere; sì, è necessario attendere almeno il 31 dicembre 2002. Sappiamo bene che la legge Tremonti-bis è entrata in vigore il primo luglio 2001 e sappiamo bene che gli investimenti non si fanno dall'oggi al domani; qualsiasi impresa deve porre in essere una serie di pianificazioni per realizzare un investimento. La Tremonti-bis si occupa, in particolare, di due importanti tipologie di investimenti: gli investimenti in macchinari e gli investimenti in beni immobili. Se un imprenditore deve acquisire un bene immobile provvisto del requisito della novità (come previsto dalla legge Tremonti-bis) deve avere un certo lasso temporale dinanzi a sé per realizzare l'investimento: di solito si acquista l'area, poi si comincia ad edificare il capannone e, alla fine, l'opera è completata. Quindi, come si sarebbe potuto esprimere un giudizio definitivo della Tremonti-bis il 31 dicembre 2001? Non era assolutamente possibile!
Mi ha molto meravigliato l'inclusione nella legge finanziaria di quest'anno di una norma per la quale il Governo era tenuto a rendicontare al Parlamento sugli effetti della Tremonti-bis. Tali effetti si potranno conoscere solamente quando saranno presentate le dichiarazioni dei redditi del 2001, il che accadrà nell'ottobre del 2002. Dunque, gli effetti reali - al di là dei dati che possono essere acquisiti da fonti esterne, ad esempio il comparto automobilistico ed il comparto immobiliare, ma si tratta sempre di dati erratici e non di dati puntuali e concreti - della Tremonti-bis si conosceranno non appena verranno elaborate le dichiarazioni dei redditi nelle quali la Tremonti-bis avrà spiegato la sua efficacia per il primo lasso temporale (da luglio sino al 31 dicembre 2001). In questo lasso di tempo, peraltro, l'applicazione della legge Tremonti-bis era alternativa ad altri meccanismi agevolativi (mi riferisco in particolare alla DIT ed dalla legge Visco) cumulabili con il credito di imposta per le aree svantaggiate.


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È quindi verosimile che gli imprenditori, di fronte ad un'alternativa di questo tipo, si siano avvalsi della DIT o della legge Visco in aggiunta al credito d'imposta per le aree svantaggiate e non della Tremonti-bis. Dunque, tracciare già un giudizio negativo della Tremonti-bis mi pare, quanto meno, intempestivo. Attendiamo il 31 dicembre 2002 e vedremo quali saranno i risultati.
Non più di qualche giorno fa, in sede di conversione in legge del decreto-legge omnibus, il Governo ha accettato un ordine del giorno finalizzato alla proroga della Tremonti-bis per il 2003; questa proroga risponde alle esigenze provenienti da tante imprese e da tanti lavoratori autonomi che hanno chiesto più tempo per realizzare gli investimenti. Dunque, non boccerei, da subito, la Tremonti-bis, come non boccerei gli interventi di emersione dal sommerso. Sappiamo bene che sino ad oggi non ci sono stati i risultati auspicati però dobbiamo tenere presente che, attualmente, l'agenzia delle entrate e l'amministrazione finanziaria stanno attuando un piano di accertamento e di contrasto al sommerso. Quindi, anche in questo caso, dobbiamo attendere gli sviluppi.
Dicevo che questi interventi congiunturali indicati nel documento di programmazione economico-finanziaria si completano con ulteriori interventi congiunturali che sono tracciati nello stesso documento e che saranno avviati nel 2003.
Non avremo ancora la riforma globale del sistema fiscale. Questa, verosimilmente, sarà completa solo nel 2004. Nel 2003, anche in adesione ai principi cardine del patto per l'Italia, verrà però avviato il primo modulo di riforma fiscale per le persone fisiche e per le famiglie: verrà attenuato il carico fiscale per i percettori di reddito fino a 25 mila euro e verrà individuata la no-tax area. Si tratta di un passo significativo che va nella direzione del rispetto del programma politico che si è dato il Governo Berlusconi.
Inoltre, per restare al comparto delle imprese, si sta lavorando sulla riduzione dell'aliquota dell'IRPEG, riduzione di due punti che porterà pertanto, dal 2003, tale aliquota a scendere al 34 per cento. Parimenti, verranno introdotte innovazioni nelle disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive, tributo questo che non ha precedenti in tutti i contesti avanzati dell'Unione europea e del mondo. Questo tributo colpisce il valore della produzione senza però considerare il principale fattore della produzione stessa, rappresentato dal costo del lavoro. Praticamente si tassa il prodotto senza riconoscere in diminuzione ciò che è servito per realizzarlo. È bene pertanto che in questa fase, nel 2003, si porti in deduzione gradualmente il costo del lavoro, nella misura iniziale del 20 per cento. Tutti questi provvedimenti completano la fase congiunturale del 2003.
La vera riforma l'avremo dal 2004. Questo è scritto a chiare lettere, bene in evidenza, nel documento di programmazione economico-finanziaria. Dal 2004 avremo solo cinque tributi: l'IRE, l'imposta sulle società, l'IVA (tributo comunitario che non può ovviamente essere né modificato né sostituito, in quanto i suoi capisaldi devono rimanere così come definiti dalle direttive comunitarie), un'imposta sui servizi ed un'accisa. Avremo cioè un riordino globale del sistema, che sarà più in linea con le varie discipline presenti negli altri paesi dell'Unione europea. Pensiamo, ad esempio, all'imposta sulle società: se andiamo a leggere il preambolo della legge delega di riforma del sistema fiscale, vi troviamo scritto che questa nuova disciplina dell'imposta sulle società viene adottata al fine di omogeneizzare le basi imponibili nazionali con quelle di altri comparti imprenditoriali dell'Unione europea.
Questo è ciò che si vuole realizzare con il documento di programmazione economico-finanziaria, e queste sono le basi che si porranno per completare, nell'arco della legislatura, un riordino globale del sistema fiscale.
Vorrei infine soffermarmi su un altro elemento importante. Alcuni colleghi hanno detto che la Corte dei conti, nel corso di un'audizione, ha rilevato che ci


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potrebbero essere difficoltà per l'avvio della riforma fiscale. Ebbene, di fronte a queste considerazioni è giusto che ogni attento osservatore formuli proposte ed indicazioni. Qualcuno ha parlato di condono: personalmente sono completamente contrario all'ipotesi di condono. Il condono, come si è visto nel corso del tempo, è uno strumento attraverso il quale, in modo grossolano, si applicano percentuali non ancorate all'effettiva capacità contributiva per imposte precedentemente non dichiarate.
Il condono, quindi, è sicuramente da aborrire. Però, un comportamento che è stato adottato anche in passato, e che ritengo possa essere seguito in modo intelligente e sapiente anche quando si avvia una riforma del sistema fiscale epocale (come è la riforma che ci accingiamo a varare), è quello di riaprire i termini per determinare, sulla base della disciplina futura, il pregresso, vale a dire ciò che si è verificato negli anni precedenti. Mi spiego meglio con un esempio: qualora un contribuente non abbia dichiarato il proprio reddito di impresa o di lavoro autonomo negli anni precedenti, potrebbe veder riaprire i termini per farlo, vedendosi applicare, anche sui redditi passati, le aliquote che si renderanno applicabili per il futuro. Se dal 2003 o dal 2004 vi saranno aliquote del 23 e del 33 per cento non mi sembra che sia irragionevole applicare queste stesse aliquote anche sui redditi pregressi. Si tratterebbe solo di spostare all'indietro le lancette del tempo, fare cioè in modo che, anche per il passato, si applichi la disciplina del futuro. Questo non sarebbe un condono, e, tra l'altro, ciò è stato già fatto in precedenza.
Per chi è a conoscenza della disciplina tributaria, basti ricordare ciò che si fece nel 1988, quando fu data attuazione al testo unico delle imposte sui redditi. In quella sede, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 42 del 1988, recante disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, si stabilì che, se il contribuente, adottando una sorta di palla di vetro, aveva applicato per il passato la disciplina futura, nessun rilievo poteva essere mosso dall'amministrazione finanziaria.
Iniziative del genere (badate bene: non si tratta di condono e lo voglio rimarcare a chiare note) rappresentano regolarizzazioni e riaperture dei termini, per consentire ai contribuenti di mettere a posto tutte le pendenze, alla luce del trattamento tributario del futuro, senza né sconti né brutali abbattimenti. Queste sono le linee direttrici lungo le quali occorre muoversi.
Ritengo che, accompagnando la riforma del sistema fiscale, che verrà attuata con il primo modulo che sarà varato nel 2003, con un provvedimento di riapertura dei termini, per regolarizzare le pendenze (come già avvenuto in passato) e per rendere ancora più agevole all'amministrazione finanziaria il difficile passaggio tra una disciplina e un'altra, si possa andare nel senso di instaurare un nuovo rapporto tra contribuente e fisco e fare in modo che vengano effettivamente realizzati i propositi, le ambizioni e le mire contenuti nel programma della Casa delle libertà, che sono compendiati in modo puntuale nel documento di programmazione economico-finanziaria.
Pertanto, da parte del gruppo di Alleanza nazionale non vi può essere che assenso ai contenuti del documento ed una seria e convinta adesione a tutto ciò che è in esso contenuto (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e dell'UDC (CCD-CDU)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.

ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, come di consueto, i documenti del ministro Tremonti contengono al loro interno voli pindarici ed un tasso di propaganda che è noto. Al di là del tentativo di indicare prospettive radiose per ciò che riguarda il futuro, come hanno segnalato da molte sedi, i conti non tornano. Proprio per questo motivo, torna la polemica sul presunto buco del passato, ormai desueto a più di un anno di distanza, ma soprattutto - è questa forse è la cosa più


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importante - il Presidente del Consiglio ammette che, probabilmente, non vi sono le risorse per mantenere tutte le promesse fatte in campagna elettorale, una campagna elettorale, per la verità, permanente perché - come sappiamo - non si è mai conclusa.
È un DPEF destituito di fondamento, i cui conti sono un terno al lotto ed i cui obiettivi sono puramente indicativi e non sono sedimentati su dati reali; soprattutto, non vi sono gli elementi che possono consentire di realizzare gli obiettivi stessi.
Forse, anche per questo motivo, il DPEF contiene la bellezza di 20 «dovrebbe» e 24 altri condizionali. Potrebbe non essere un fatto grave, ma, in realtà, i punti su cui si addensano i condizionali riguardano gli obiettivi di sviluppo, gli obiettivi di occupazione, gli obiettivi di inflazione, che - come si dice - rappresentano le pietre miliari di ogni documento di programmazione economico-finanziaria. Evidentemente, chi lo ha scritto non si sentiva tranquillo in merito a ciò che stava scrivendo: sapeva che, in realtà, buona parte degli obiettivi sono scritti sulla sabbia e, di conseguenza, gli è riuscito meglio usare il condizionale.
Del resto, anche il Governatore della Banca d'Italia - che pure in precedenza è stato prodigo di affermazioni positive sulla legge finanziaria e sulle luminose prospettive di questa politica economica - come sappiamo, nei giorni scorsi, nel documento consegnato alla Camera, ha affermato, ad esempio, che nel 2002, per raggiungere il tasso di PIL, che, finalmente, è stato derubricato ad un livello più vicino alla realtà, occorrerebbe avere il 4 per cento di sviluppo negli ultimi sei mesi e 5 mila miliardi di investimenti.
Il Governatore afferma che l'inflazione all'1,4 per cento nel 2003 non è fuori dalla portata, ma evidentemente è tutt'altro che realizzabile, in particolare con la povertà degli strumenti indicati.
L'aspetto più grave è che dopo un anno abbondante di Governo si continua a contare semplicemente sull'attesa della ripresa internazionale che, ricordiamolo, era già all'origine del primo documento di programmazione economico-finanziaria e della prima legge finanziaria. Si continua nell'attesa di ciò che deve avvenire e, nelle condizioni di oggi, difficilmente avverrà. Ciò senza riconoscere che né la ripresa internazionale, né gli spiriti animali del capitalismo tanto cari al ministro Tremonti hanno finora dato gli esiti sperati, senza riconoscere l'esigenza di una modifica profonda di linea politica. Anzi, il Governo, in debito d'ossigeno riguardo ai risultati di politica economica ed essendo ancora più gravemente compromessa la prospettiva di politica economica sulla base dei conti realmente esistenti, ha cercato il fatto nuovo: ha legato strettamente il DPEF al cosiddetto patto per l'Italia, nome molto pomposo che indica, in realtà, un accordo separato fortemente voluto contro la CGIL tentando di isolare una parte importante del movimento sindacale italiano. L'unico risultato certo di questo patto è la rottura delle confederazioni sindacali, è il tentativo di isolamento della CGIL, è una condizione politica che rende oggi molto difficile ogni prospettiva economica. Infatti, non dimentichiamo che l'unità dei sindacati ed il loro apporto hanno costituito condizione determinante del risanamento negli anni scorsi.
Si è cercato di dare alla riduzione dei diritti dei lavoratori ed all'attacco all'articolo 18 il carattere di un segnale politico. Occorre respingere ogni tentativo di riduzione dei diritti dei lavoratori, occorre lavorare per l'estensione dei diritti dei lavoratori. L'opposizione deve lanciare con grande decisione una campagna di estensione dei diritti ai lavoratori che non ne hanno anche come contraltare all'attacco che il Governo ha portato attraverso l'accordo.
Dobbiamo sostenere in ogni modo la battaglia politica compiuta dalla CGIL respingendo questo patto nella difesa dei diritti dei lavoratori con una solidarietà nei confronti di un gruppo dirigente che ha sentito parole molto gravi anche in quest'aula da parte del Governo. Occorre contrapporre al tentativo di svalorizzare il lavoro un'ipotesi di politica economica alternativa fondata sulla valorizzazione del


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lavoro, sul riconoscimento dei diritti per favorire il coinvolgimento dei lavoratori, per avere l'apporto migliore possibile per uno sviluppo di natura diversa. Quello che ci divide è un'idea diversa di sviluppo. Voi proponete la scorciatoia di tagliare i diritti, tenere bassi i redditi, estendere la precarietà. L'alternativa è la crescita del lavoro e del suo ruolo insieme alla società ed allo sviluppo.
Questa è la ragione per cui non possiamo condividere questo documento, questa è la ragione per cui questo documento deve essere respinto. Si tratta di un documento fondato sulla sabbia che non offre un'alternativa reale di politica economica nelle condizioni difficili in cui siamo e che, soprattutto in questo momento, rappresenta un grave danno per il mondo del lavoro, divide il movimento sindacale e cerca l'isolamento della CGIL. Questa è una scelta politica che non possiamo condividere (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Anna Maria Leone. Ne ha facoltà.

ANNA MARIA LEONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2003-2006 il Governo conferma e rafforza la volontà di riforme strutturali in linea con quanto deciso nei Consigli d'Europa di Lisbona e Barcellona. Quello dello scorso anno è stato il documento del metodo, in cui il Governo ha condensato la propria strategia politica economica. Quello di quest'anno è il DPEF dei tempi, un documento a moduli che indicherà il programma annuale di attuazione delle riforme economiche, sociali ed istituzionali.
Per quanto riguarda la riforma del fisco il Governo intende dotare l'Italia di un sistema europeo di tassazione. La riduzione della pressione fiscale che grava sulle scelte di investimento e di occupazione può accrescere il potenziale produttivo e stimolare una più veloce accumulazione di capitale fisico, umano e tecnologico creando in tal modo le condizioni per una crescita sostenuta ed equilibrata.
L'intento che si vuole perseguire, invece, con la riforma del mercato del lavoro è quello di accrescerne l'efficienza e la fluidità introducendo nuove tipologie contrattuali. Il Governo, in altre parole, vuole porre in essere elementi di flessibilità del mercato con contestuale trasformazione del regime di tutele ridefinendo il sistema di incentivi all'occupazione con misure atte ad accrescere la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei lavoratori più anziani.
Per quanto concerne la politica sociale, il Governo riconosce e sostiene la famiglia come nucleo fondamentale della società e come principio di centralità della persona, dei suoi bisogni e delle sue aspettative. Lo Stato può e deve intervenire per rimuovere le condizioni che penalizzano, sotto il profilo economico, le scelte delle famiglie e deve cambiare il proprio ruolo passando da gestore della famiglia a sostenitore della stessa. In tal senso il gruppo dell'UDC (CCD-CDU) ha presentato alcune proposte di legge, che prevedono misure per riformare il trattamento fiscale della famiglia. In particolare si intende rivoluzionare l'impostazione degli oneri deducibili e degli oneri detraibili - disciplinati rispettivamente dagli articoli 10 e 13-bis del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 -, introducendo il concetto di spesa agevolabile, quale investimento che il nucleo familiare sopporta per la crescita, l'educazione e la cura dei figli. Infatti, leggendo l'articolo 53 della Costituzione, che stabilisce il dovere di tutti cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ci accorgiamo che esso è chiaramente disatteso dal sistema fiscale vigente, nella parte in cui non valuta in modo equo i carichi familiari e la conseguente diminuzione della capacità contributiva derivante dalle spese relative alla gestione della famiglia stessa.
Lo Stato deve tutelare la famiglia quale prima cellula sociale e pertanto non può


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considerare allo stesso modo i costi per il mantenimento dei figli e quelli per la realizzazione di altre esigenze private. Il nostro sistema fiscale, nel fissare la misura delle detrazioni, sembra voler disincentivare la famiglia a generare i figli e a farsi carico del loro mantenimento e della loro crescita. L'Italia non è più un paese prolifico e sta attraversando, ormai da anni, una preoccupante crisi demografica; quindi, una parziale detassazione dei costi relativi alla famiglia rappresenta un modo per favorire un'inversione di tendenza.
Occorre porre rimedio alla situazione descritta, elaborando un'efficace e seria politica familiare, attuabile mediante l'adozione di misure legislative dirette a favorire, anche dal punto di vista fiscale, la famiglia. Essa svolge infatti funzioni di particolare importanza: è palestra di educazione sociale e morale per le generazioni future; è un ambito di definizione dell'offerta di lavoro, in quanto accompagna i giovani nella scelta del lavoro; è protagonista di un'economia sommersa (lavoro domestico e prestazioni di lavoro a favore di terzi, non regolate da un contratto di lavoro); è la principale protagonista del risparmio; è alla base della piccola imprenditorialità, in particolare del lavoro autonomo, dell'artigianato e del commercio; è, infine, in prima linea nell'assistenza agli anziani, ai disabili e ai minori.
Il ruolo centrale della famiglia sarà poi concretizzato, così come previsto dal DPEF, attraverso la modernizzazione, il potenziamento, l'accessibilità e la fruibilità di tutti i principali servizi: assistenza domiciliare ai malati cronici, ai disabili e agli anziani. Per quanto riguarda i malati cronici e gli handicappati, il nostro gruppo apprezza questa azione di Governo, sottolineando come la legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (la legge n. 104 del 1992) abbia portato alla ribalta l'argomento handicap, mirando al miglioramento globale della qualità della vita dei soggetti che si trovano in grave condizione di disagio, a causa di patologie che comportano sofferenze fisiche, psichiche, nonché difficoltà di inserimento sociale.
Nei nove anni trascorsi dalla data di entrata in vigore della citata legge, molti sono stati i risultati positivi raggiunti, tanto che oggi si può affermare con assoluta tranquillità che l'assistenza ai portatori di handicap, nonché la qualità della vita degli stessi, sono migliorate rispetto agli anni precedenti. Nonostante tutto, permangono ancora alcune lacune che riguardano in particolare quella fascia di handicappati gravi, particolarmente bisognosa di cure specialistiche e di assistenza e più sfavorita nella ricerca di un inserimento a pieno titolo, in condizioni di autonomia nella famiglia a cui appartengono e nella società.
Il terzo comma dell'articolo 3, infatti, definisce troppo genericamente la complessa realtà dei disabili, in quanto sembra considerare in posizione analoga chi, come ad esempio il paraplegico, conserva l'uso di alcuni arti e quindi un minimo di funzionalità e chi, come il tetraplegico, non ha nessuna funzionalità negli arti e quindi vive in condizioni di completa dipendenza dagli altri.
È qui che risiede il fondamento dell'azione programmatica del Governo. Occorre prevedere, cioè, una assistenza continuativa e più qualificata, monitorare i bisogni di questa categoria svantaggiata di persone in ambito regionale per poter comprendere sempre meglio quali siano gli effettivi ostacoli e ricercare soluzioni adeguate al pieno ed effettivo inserimento di queste persone nella famiglia e nella società. Di fondamentale importanza è anche l'impegno del Governo, che il nostro gruppo appoggia pienamente, anche attraverso diverse proposte di legge, a favore dell'accessibilità e della fruibilità di tutti i principali servizi da parte degli anziani. Tra le condizioni di disagio più facilmente riscontrabili la solitudine degli anziani, unita alla difficoltà di mobilità connessa con l'età avanzata, determina spesso l'impossibilità, da parte dell'anziano, di accedere direttamente ai servizi pubblici sia nel caso in cui questi siano lontani dalla abitazione sia nel caso in cui l'anziano debba affrontare percorsi resi difficoltosi dal traffico urbano. Tale situazione spesso


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determina la decisione dell'anziano e della sua famiglia di ricorrere al ricovero in istituto.
Auspichiamo che il Governo possa fornire una prima risposta a tali problematiche anche mediante il ricorso a strumenti approntati dal progresso tecnologico insieme alle molteplici iniziative che scaturiscono dalla solidarietà civile.
Inoltre, il Governo intende, nell'ambito della compatibilità di finanza pubblica, consolidare le risorse destinate alle attività indicate nel piano nazionale degli interventi dei servizi sociali prevedendo la possibilità di integrare il fondo nazionale per le politiche sociali per ulteriori iniziative a sostegno delle attività sociali. La positiva valutazione degli interventi svolti dalle associazioni di volontariato e da organismi senza scopo di lucro nel campo dell'assistenza alle persone disabili pone la necessità, da parte del Governo, di considerare un ulteriore sostegno per tali attività, affinché l'esperienza maturata possa essere potenziata. Il gruppo UDC sente di sostenere fortemente questa azione dell'esecutivo in quanto parte della nostra azione politica è stata ed è sempre rivolta al sostegno di queste categorie, ultimamente anche attraverso la presentazione di una proposta di legge contenente disposizioni in favore di queste associazioni e della loro azione sociale.
Il Governo, ancora, intende promuovere politiche di prevenzione in grado di contrastare la crescente diffusione del disagio giovanile, attraverso azioni mirate che sostengano il processo di crescita e di sviluppo della personalità e della identità dei ragazzi e contribuiscano a creare nei giovani consapevolezza, autonomia, capacità decisionale e progettualità in grado di garantire una libera costruzione del loro futuro di uomini e cittadini. In tal senso, così come il nostro gruppo ha previsto con la proposta di legge quadro per le politiche giovanili, il Governo dovrà adeguare la normativa italiana in materia di politiche giovanili con la legislazione degli altri paesi membri dell'Unione europea, realizzare una politica unitaria degli interventi a livello nazionale per la promozione e la realizzazione di strategie e di progettualità comuni integrate e coordinate in grado di rispondere alle varie realtà del mondo giovanile, capaci di fare emergere l'espressività, la creatività e le proposte e di incentivare lo sviluppo di nuove forme di associazionismo. Questi sono certamente gli strumenti atti a programmare ed attuare una politica nuova che garantisca interventi finalizzati ad evitare l'esclusione sociale dei giovani. Di misure dirette ad evitare l'emarginazione dei giovani si è parlato molto in questi giorni proprio in questa Assemblea in cui una larga maggioranza ha approvato la legge sugli oratori, presentata e fortemente sostenuta dal nostro gruppo. Dunque, ritengo che le azioni programmatiche evidenziate nel DPEF soprattutto per quanto riguarda la politica sociale siano in linea con le aspettative e con gli obiettivi che il gruppo UDC ha perseguito ed intende perseguire per il sostegno a famiglie, lavoratori giovani, disabili ed anziani (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (CCD-CDU) e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.

GIORGIO BENVENUTO. La politica economica e sociale, così come delineata dal Governo nel documento di programmazione economico finanziaria, non permetterà di raggiungere gli obiettivi di uno sviluppo del nostro paese, di una diminuzione delle tasse e di una migliore e maggiore equità dal punto di vista sociale. La strategia è completamente sbagliata perché non tiene conto dei mutamenti che sono intervenuti nell'economia a livello europeo e a livello mondiale. È una politica che continua basarsi in maniera testarda, in maniera cocciuta, sui cosiddetti provvedimenti dei cento giorni.
La politica dei cento giorni, condotta con napoleonica baldanza, sta portando ad una vera e propria Waterloo dei conti pubblici del nostro paese. Il Governo è partito con il piede sbagliato ed insiste in quella direzione. Abbiamo avuto una caduta drammatica degli investimenti. La


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Tremonti-bis si è rivelata sbagliata e adesso si parla di riconfermarla. Con questa continua politica delle proroghe e dei rinvii, introdurremo ulteriori elementi di raffreddamento nella politica degli investimenti. Non è emerso niente del sommerso ed è caduta la domanda interna. È caduta mentre avrebbe dovuto essere tenuta su; avrebbe dovuto essere tenuta viva, nel momento in cui si aprivano le questioni di politica internazionale che pure il Governo ha avvertito. Il 2002 vede un aumento della pressione fiscale ed una caduta della domanda interna nel nostro paese. Le misure che avrebbero dovuto essere adottate non sono state affrontate e anche le indicazioni fornite nel documento di programmazione economico-finanziaria sono contraddittorie e sbagliate.
Come si può alimentare una domanda interna, quando viene previsto un tasso di inflazione dell'1,4 e quando si è sperimentata drammaticamente l'incapacità del Governo, unico nel contesto europeo a non aver saputo fronteggiare con decisione i rincari derivanti dal changeover della lira con l'euro? Come si può prevedere la riduzione all'1,4 del tasso di inflazione, quando gli osservatori più accorti e più prudenti prevedono un aumento dell'inflazione nel prossimo anno del 2 per cento? Pertanto, il sospetto, anzi la convinzione è che ci troviamo di fronte a delle carte truccate, perché il tasso di inflazione programmata dell'1,4 per cento che si vuole concedere ai lavoratori, ai pensionati ed al paese sarà, poi, bilanciato con la riduzione della pressione fiscale dello 0,5 per cento, rispetto alla previsione dell'1,9 o del 2: ciò che viene dato con una mano viene tolto con l'altra.
Quindi, manca un'indicazione per alimentare la domanda interna. Si parla di ridurre la pressione fiscale. Si parla di interventi per le famiglie e per le fasce più deboli. Ma mi domando: se si avverte questa esigenza, per quale motivo quest'anno non sono state realizzate le diminuzioni di tasse che pure erano state previste nella passata legislatura? Per quale motivo si rimanda ulteriormente a settembre l'assegnazione dei 1.000 miliardi previsti ai pensionati che non hanno potuto beneficiare dell'aumento delle pensioni fino ad 1 milione? Se si avverte questa drammatica necessità, perché, tra i tanti decreti-legge inutili, fatti di proroghe, di rinvii e di favori verso settori particolari del nostro paese, non se ne è adottato uno che prevedesse immediatamente un aumento fiscale per i settori più deboli e per le famiglie? È come dire che ci troviamo di fronte ad una politica truccata che parla di riforme e di cambiamenti ma, in realtà, non fa nulla per tenere viva la domanda interna.
Anche il contratto del pubblico impiego, che avrebbe dovuto risolvere alcuni problemi, è rinviato alle calende greche; è rinviato al prossimo anno. Si tratta di una politica di annunci e di rinvii, profondamente in contraddizione con la situazione di debolezza dell'economia nel nostro paese.
L'altro elemento che vorrei sottolineare riguarda la politica sbagliata per lo sviluppo del nostro paese. Lo stesso Governatore della Banca d'Italia ha denunciato come il gap del nostro paese sia determinato dalla mancanza di innovazione e di ricerca, come il nanismo delle nostre imprese sia dovuto al fatto che manca una politica economica del Governo nel settore dell'innovazione e della ricerca. Manca una politica seria sui saperi; manca una politica che valorizzi la scuola e la professionalità.
Cosa fa il Governo? Invece di affrontare questo problema, invece di dare una risposta a queste preoccupazioni, che sono pure avvertite in altri settori e anche dal Governatore della Banca d'Italia, paralizza il paese su una discussione e su una proposta, che è questa vecchia della Confindustria - e arrivo alla conclusione -, una politica che pensa che la soluzione per risolvere i nostri problemi sia quella di dare la possibilità di licenziare, mentre la politica dovrebbe essere quella dell'innovazione e della ricerca. Di questo non c'è nulla nel documento di programmazione economico-finanziaria, come non c'è nulla per quanto riguarda il problema della scuola. Bisognava mettere drammaticamente


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mano ai problemi della scuola, ma il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca cosa fa? Rinvia ancora le soluzioni e anche qui non copre i vuoti, ma precarizza la scuola, allontana quello sforzo che deve esser fatto nel nostro paese per metterlo in grado di competere sui saperi, sulle conoscenze, sulle innovazioni e sulla ricerca.
Questa è una politica sbagliata e inadeguata, una politica di un Governo il quale diceva di non voler mettere le mani nelle tasche dei contribuenti e, invece, le sta mettendo; del resto, gli stessi contribuenti stanno vedendo, per la mancanza di una politica economica del Governo, un attacco selvaggio al loro risparmio e alla capacità di poter alimentare una ripresa del nostro paese.
Molte altre cose si potrebbero dire, ma tutto testimonia che non c'è nulla nell'azione del Governo che risponda ad una politica di sviluppo. Si tratta di un Governo che va avanti per rinvii e per condoni, un Governo che non è capace di fare le riforme che il paese attende (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pinza. Ne ha facoltà.

ROBERTO PINZA. Signor Presidente, siamo ormai alle battute conclusive di questo dibattito e al Senato, addirittura, il ministro ha già dato delle risposte a tutte le osservazioni che si erano venute dipanando, mentre noi le abbiamo sentite nelle Commissioni. Tuttavia, il ministro deve rispondere a due quesiti, che sono le due domande di fondo di questo dibattito. Infatti, aveva impostato una politica economica che partiva - Tremonti è molto immaginifico - dalle sue parole, che sono sempre «da a»: la sua idea, è tra l'alfa e l'omega. Quello che ha fatto il centrosinistra è l'alfa, cioè poca cosa; l'omega e lui, ossia il risultato finale. Allora, nel 1994, iniziò anche lì «da a»: era dal centro alla periferia, dal complesso al semplice; poi c'erano delle altezze che non mi ricordo. Questa volta, invece, dal declino allo sviluppo. L'idea sua, che ci aveva tracciato l'anno scorso, era che la situazione dovesse completamente cambiare, grazie ad un'azione, naturalmente demiurgica - questo va, senza dirlo -, che si doveva tradurre nel 2002 in una specie di start, una specie di partenza accelerata, che altro non era che la politica dei cento giorni. Questa era stata molto enfatizzata perché, si era detto, con quella si sarebbe operato lo strappo per emergere da questa specie di palude, che è la politica del centrosinistra (una palude un po' particolare, perché nel 2000 aveva segnato il più alto tasso di sviluppo registrato negli ultimi due anni, ma per lui era una palude): quindi, ci si sarebbe dovuti elevare verso livelli di sviluppo notevoli.
Questo sarebbe dovuto avvenire attraverso la politica dei cento giorni e i miei colleghi ne hanno già parlato, quindi non insisterò molto su questo argomento. Vorrei lasciar perdere la questione del rientro dei capitali, di cui abbiamo parlato tante volte. Non racconterò per la seconda volta l'aneddoto di un amico americano, che di fronte al 2,5 per cento, continuava a chiedermi quali fossero le tasse che si pagavano e quando gli ripetevo che era il 2,5, lui mi diceva: no, queste sono le sanzioni, ma di tasse cosa si paga? Alla fine, si è dovuto rendere conto della situazione, a differenza di quello che stava facendo Bush negli Stati Uniti, tanto vituperato, ma che almeno qualche regola fondamentale la conosce, vale a dire che l'evasore, al massimo l'evasore che si pente, va trattato come il contribuente normale, non invece dandogli vantaggi dell'ordine di 20 volte tanto, come è avvenuto in Italia: insomma, non riusciva a rendersi conto di questa situazione. Ma non parlerò di questo. Non voglio parlare neanche del problema del sommerso che è una specie di gara contro il tempo, di differimento. Siccome Tremonti fa fatica ad accettare la realtà di aver completamente sbagliato l'impostazione dell'emersione, dopo avere vituperato il ministro Treu - il quale, con la modestia che gli è abituale, con i contratti di riallineamento, puntando sui


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lavoratori e sul loro desiderio di emergere, sull'azione del sindacato e del datore di lavoro, aveva effettivamente fatto emergere tantissimi lavoratori - ha immaginato, con il suo solito sistema, che un puro vantaggio fiscale facesse emergere il sommerso: non è emerso niente! Infatti, il vantaggio fiscale, ovviamente, non esiste per chi non paga nulla, per chi è totalmente evasore. Così, il ministro Tremonti continua a differire i termini sperando, in qualche modo, di rinviare il momento della sentenza definitiva su una legge completamente sbagliata, che è stata ideata, da una parte a causa della protervia del ministro e dall'altra per la volontà di compiacere il presidente della Confindustria che ne aveva fatto uno dei suoi due cavalli di battaglia.
La terza questione riguarda la Tremonti-bis, attraverso la quale si sarebbe dovuto cambiare registro; non a caso, con garbo e con grazia, il ministro Tremonti aveva accettato che il suo nome rendesse emblematica l'importanza del provvedimento in questione. L'onorevole Leo - per la verità, molto più tecnico - afferma che ancora non si è in grado di valutare l'efficacia della legge, forse lo vedremo ad ottobre o quando si effettueranno le denunce dei redditi. Questo è formalmente vero, ma il problema è che il ministro, nel frattempo, aveva assunto in una legge l'impegno a riferire entro il 30 giugno e si è presentato un suo sottosegretario che, ovviamente, non sapeva nulla.
Ormai disponiamo di strumenti che ci permettono di sapere le cose con grande anticipo; infatti, è sufficiente far riferimento alle imprese costruttrici, al mondo dei produttori di macchine per sapere se, effettivamente, un incremento vi è stato: miei cari amici, non vi è niente! Tremonti non vuole riconoscere la verità! Di verità, tutto sommato, nel 1994 ancora ve ne poteva essere un barlume. Nel 2002 non vi era nessuna necessità, perché il 2000 era stato l'anno del più alto sviluppo in termini di investimento di capitale che mai vi fosse stato nel nostro paese. Nel 2000 vi era stato un aumento degli investimenti di oltre il 6 per cento, si trattava di un livello altissimo e la regola prima delle varie Tremonti-bis - ammesso che qualcuno le voglia utilizzare - è che si utilizzano quando gli investimenti sprofondano e non quando sono alti o, comunque, si trovano sulla parte alta della curva che li misura. Poiché non vi è vantaggio che possa rianimare gli investimenti, il risultato è stato che la Tremonti-bis non è servita a nulla, anzi ha provocato un danno. Infatti, in concreto avverrà che gli investimenti già decisi - magari un anno fa - verranno detassati per il 50 per cento. L'unico risultato è che avremo un indebolimento della finanza pubblica e delle entrate senza avere, nel contempo, un aumento degli investimenti: questa è la politica dei cento giorni!
Dal suo punto di vista, il ministro fa bene a disertare le nostre Assemblee parlamentari e a dare abitualmente risposte un po' sullo sfottente, anche se dovrebbe prendere dimestichezza con l'idea di riconoscere le insufficienze (non voglio usare il termine «fallimenti», che mi sembra troppo grosso). Questo è un problema che riguarda Berlusconi, il quale in un memorabile incontro con Putin in Russia, anziché preoccuparsi dei problemi della pace nel mondo, in quell'occasione si preoccupò di spiegare che aveva la straordinaria fortuna di avere nel suo Governo un autentico genio della finanza: questo è un problema suo! Sarà lui che dovrà valutare se il suo ministro è un genio della finanza e se questi sono i risultati che richiedono e giustificano l'uso del termine «genialità». Il dato di fatto è che la politica dei cento giorni non ha dato nessun risultato concreto.
La seconda questione riguarda il DPEF, che si dovrebbe chiudere con un giudizio. Infatti, quando si ha alle spalle un anno, un anno e mezzo di politica si dà un giudizio su quello che è avvenuto. Che cosa si intende fare? Da parte di alcuni colleghi della maggioranza, tra i quali vorrei segnalare per la sua intelligenza l'onorevole Peretti, vi è quasi la volontà di non considerare ciò che si è modificato.
Amici miei, con questo documento di programmazione economico-finanziaria si


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è modificato il vostro programma. I punti essenziali del medesimo erano: primo, che il deficit rientrasse nel 2003 (forse sarà, nel 2005, e due anni sono tanti); secondo, che la pressione fiscale diminuisse di un punto all'anno (è stato sufficiente un anno per dimezzare gli obiettivi del programma con riferimento a tutta la legislatura); il terzo, che la spesa corrente fosse «bruciata» in ragione di sei punti. Non vi è quasi niente di tutto ciò. Ho enunciato i capisaldi della politica economica del Governo che erano stati presentati nel documento di programmazione economico-finanziaria dell'anno scorso ed è evidente che vi era una cultura ridicola all'interno del medesimo. Qualcuno aveva scritto una autentica follia in base alla quale l'economia italiana diventava praticamente insensibile alle economie internazionali.
L'idea che emergeva nella fase finale di questa specie di piccolo poema era che la nave dell'Italia, così si diceva, avrebbe veleggiato, mostrandosi praticamente indifferente ai venti del mondo. Ciò che sarebbe successo nel mondo avrebbe inciso per mezzo punto di PIL e niente di più. Allora, il DPEF, presentato anche nel corso della campagna elettorale, è questo! Ciò che Berlusconi aveva sottoscritto con la penna stilografica (gli sembrava che quest'ultima fosse più impegnativa della penna a biro) in televisione è tutto questo! Il patto siglato con gli italiani, anzi il contratto per atto pubblico come lo ha chiamato lui, è questo.
Bisogna avere la forza ed il coraggio, cari amici della maggioranza, caro professor Tanzi (lei non ha colpa perché non ha partecipato alla campagna elettorale e non ha affermato queste cose), di tornare nuovamente in quelle stesse televisioni, affermando che quest'ultimo è cambiato; non c'è più e non potete dire che non si è riusciti a realizzarlo, per il primo anno, a causa di alcuni incidenti, perché non si realizzerà mai più. Questa è la variazione che si riscontra nell'arco della legislatura. Tutto ciò emerge nel DPEF.
Ci può rispondere su tali questioni il ministro Tremonti? Il ministro Tremonti ha già risposto al Senato e ci ha raccontato che vi sono grandi problemi dell'economia del mondo, ma si è dimenticato che il DPEF dell'anno scorso era stato predisposto, scontando i problemi delle economie mondiali (non quelli della finanza che non c'entrano niente con l'economia mondiale, ma quelli dei tassi di sviluppo).
Quando predispose il DPEF, l'economia internazionale era caratterizzata dal ciclo negativo americano, mentre la Germania aveva tassi di crescita zero ed il Giappone tassi di crescita negativi. Di tutto ciò si parlava nel DPEF dell'anno scorso, mentre adesso, in qualche misura, ci si è dimenticati di tutto ciò. Questo era il presupposto da cui si è partiti; non vi è stato un scatenamento avvenuto negli ultimi 12 mesi che ha scompaginato tutto.
Il ministro Tremonti, alla fine, porta sempre lo stesso argomento; quando non sa come giustificare il mancato raggiungimento degli obiettivi, anzi in questo caso lo afferma, puntualmente, ciclicamente (vi era un ministro del ventennio che era chiamato ministro ciclico), adduce la motivazione del «buco». Non voglio più entrare nel merito della questione perché ne abbiamo parlato mille volte e non ha alcun senso continuare a parlarne ancora.
Vorrei ricordare al ministro Tremonti, a tutti i nostri colleghi e al professor Tanzi che il DPEF del 2001 traeva origine esattamente da questo elemento; tutto il DPEF del 2001 era una lunga «lagna» soprattutto nella prima parte relativa ai «buchi» che sarebbero stati determinati dal centrosinistra (veri o falsi che fossero, falsi diciamo noi). Sugli stessi è stato costruito il DPEF.
Pertanto, che senso ha riproporre di nuovo questo argomento per giustificare il mancato raggiungimento degli scopi? Gli scopi non si sono raggiunti perché le impostazioni politiche erano sbagliate, perché erano piene di fantasia per ciò che riguardava gli interventi di finanza pubblica, perché presupponeva incrementi di prodotto interno che non si sono verificati e non si potevano verificare perché si confidava sulla politica dei 100 giorni che non ha prodotto nulla.


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Non avete avuto la forza morale, che deve avere qualunque governante, di dire che non avete potuto realizzare gli scopi perché erano sbagliati. Si tratta, adesso, di indicare un nuovo tipo di politica. Vedrete che domani puntualmente ci ritroveremo a riproporre la storia del buco.
Vorrei arrivare ora alle conclusioni per dire che queste sono le cose che non sono state fatte (le modificazioni). Vi sono cose che sono state fatte, cose che non giovano alla nostra prospettiva. È stato accettato ed accresciuto il tasso di illegalità nel nostro paese. Dobbiamo reintrodurre il reato di falso in bilancio! Ci siamo posti fuori da qualsiasi logica del mondo con i pasticci incredibili commessi sulle rogatorie internazionali e su quant'altro.
Con questa affermazione, ossia che praticamente soltanto per le società quotate esiste un reato di falso procedibile abbiamo affermato un principio che ripugna alle coscienze, ovvero che il principio di verità e di lealtà nell'economia non è un principio di interesse comune. È un principio a querela: se ne occupi soltanto qualcuno!
Signor Presidente, la ringrazio per i trenta secondi aggiuntivi che mi vorrà concedere, per dire che abbiamo introdotto un principio pericolosissimo e che rappresenta una specie di punizione per l'ala più razionale della Confindustria. L'operazione che è stata compiuta è un'operazione di divisione del sindacato ed è quella scritta alla pagina 1 del manuale della peggiore destra, non della migliore! Dividere il sindacato, indebolirlo, batterlo e diminuire la sua capacità contrattuale. Ma vedete, dal momento che la nostra è una società forte, avverrà, e già sta accadendo, l'esatto contrario: al posto della concertazione e della moderazione salariale che fu tipica del centrosinistra, oggi arriviamo al tentativo di portare la divisione nel mondo sindacale e la concorrenza tra le organizzazioni sindacali. Quale sarà il risultato ? Piattaforme salariali più alte, maggiore conflittualità, maggiori difficoltà nel rilanciare l'economia del nostro paese.
Qualcuno dovrà presentare il conto al ministro Tremonti; abbiamo sempre pensato che dovessero essere i lavoratori a presentare il conto. Temo che nei prossimi mesi saranno anche gli imprenditori e questo sarà il giusto risultato per un'impostazione di politica economica sbagliata, frutto soltanto di un desiderio di porre la propria iniziativa al centro del mondo, pensando di creare un'era nuova, mentre quella che ci viene indicata è un'era peggiore di quella che se ne è andata nel tempo, gradualmente, e che con forza e tenacia è stata realizzata (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento con una considerazione di carattere estetico. Non diversamente da altri provvedimenti, il Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 2003-2006 si caratterizza per lo stile aggressivo e il tono da propaganda elettorale; segni questi di una intrinseca debolezza e di una incertezza di fondo.
Si passa dall'enfasi con cui vengono descritte le proposte e gli impegni di Governo, all'immancabile censura rispetto all'operato dei governi precedenti, al solito piagnisteo sul presunto buco nei conti dello Stato, eredità del Governo precedente, mentre sono assenti il necessario realismo ed il senso di responsabilità che dovrebbero caratterizzare l'azione di governo in un momento particolarmente duro e complesso per la situazione economica e sociale nazionale, attraversata da contraddizioni vecchie e nuove, messa alla prova da tragedie come quella del treno deragliato nei pressi di Messina e dalla carenza di risorse idriche, a fronte di un quadro congiunturale preoccupante e di un contesto economico e finanziario internazionale a dir poco allarmante.
Le borse in caduta libera hanno già perduto un terzo del loro valore dall'inizio dell'anno. Nonostante la politica statunitense


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monetaria e fiscale fortemente espansiva dei primi mesi del 2002, la congiuntura degli ultimi 12 mesi è stata caratterizzata da continui cedimenti. L'OCSE stima per il 2002 un incremento del prodotto interno lordo mondiale intorno all'1,8 per cento.
Gli scandali che hanno travolto importanti imprese negli Stati Uniti d'America ed in Europa, non soltanto travolgono la fiducia dei risparmiatori e degli investitori, ma sono anche segnali chiari ed evidenti di una crisi di fondo delle strutture stesse della finanza e dell'economia mondiale e che impongono all'Italia e all'Europa di non essere totalmente al traino delle scelte congiunturali o di più lungo periodo effettuate dalla Casa bianca, nonché di seguire una strategia unitaria, con l'obiettivo di migliorare il funzionamento dei mercati, la condivisione delle risorse, l'impegno per l'emergenza occupazionale, la tutela dell'ambiente, la promozione dell'occupazione delle donne.
Le previsioni fatte dal Governo lo scorso anno si sono rivelate tutte sbagliate e l'esecutivo è stato costretto a ridimensionare gli obiettivi: la disoccupazione, che solo nel 2006 dovrebbe raggiungere il 6,8 per cento; la pressione fiscale che invece del 33 per cento a fine legislatura dovrebbe ammontare al 39,8 per cento.
Non si sono dimostrati certamente efficaci - il collega Pinza poc'anzi ne ha illustrato bene gli aspetti - gli interventi tesi all'emersione del sommerso, la cosiddetta Tremonti-bis, il famoso rientro dei capitali dall'estero, che evidentemente non si sono tradotti in investimenti produttivi. Per il 2002 la crescita del PIL viene data - ahinoi - all'1,3 per cento quando il precedente DPEF la indicava addirittura superiore al 3 per cento. Anche il tasso di inflazione è salito al 2,2 per cento - se ne lamentano i sindacati, se ne lamenta la popolazione - mentre era calcolato all'1,7 per cento.
L'indebitamento netto stimato allo 0,8 per cento passa all'1,1 per cento con un trend che ha sollevato le preoccupazioni della Banca centrale europea e della Commissione europea che lo scorso aprile hanno chiesto all'Italia di porvi rimedio con riforme strutturali. Anche il Fondo monetario internazionale non ha risparmiato rilievi e ha espresso riserve forti sulla possibilità di rendimento del patrimonio pubblico attraverso la creazione delle due Spa (Patrimonio ed Infrastrutture) rispetto a cui anche la Corte dei conti ha espresso parere negativo. L'Eurostat ha bocciato le operazioni di cartolarizzazione, che non vanno conteggiate per la riduzione del deficit dello Stato ed il 10 luglio il commissario europeo agli affari economici e finanziari Pedro Solbes ha rilevato l'inadeguatezza del DPEF e la pericolosità di intervenire con misure non strutturali ma una tantum. Nonostante lo sconto operato sul pareggio in sede di vertice Ecofin di Siviglia (purché le manovre garantiscano di restare vicini al pareggio) le preoccupazioni rimangono tutte intatte.
In appena dodici mesi il castello di sogni costruiti tra etere e manifesti è crollato disastrosamente; il raffronto tra le stime del DPEF del 2001 e lo stato attuale dell'economia dimostra quanto il programma di Governo sia stato velleitario, inattuato e inattuabile.
Quando si afferma poi che la spesa corrente in prospettiva, al netto degli interessi, deve passare dal 38 al 34 per cento del PIL, si sa già dove si batterà la scure: sanità, innanzitutto, scuola, pubblico impiego e ambiente. Si prevede che il rapporto tra spesa pubblica sanitaria e PIL sarà del 7,9 per cento nel 2005; quando paesi come la Francia e la Germania superano di gran lunga la soglia del 7 per cento, percentuale che deve essere garantita nel 2003 per garantire l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza, da cui, come è noto, sono state escluse omeopatia, fisioterapia, cure odontoiatriche sopra i 18 anni ed altri interventi ancora.
Ma sappiamo a cosa pensa il Governo: abbiamo già visto i redditi reali delle famiglie erosi dall'introduzione dei ticket, delle addizionali IRPEF e da altri balzelli, nelle regioni governate dal Polo. Constatiamo la volontà espressa nel DPEF di avvalersi di mutue anche in sostituzione


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del servizio sanitario nazionale, mentre non si spende una parola sulla necessità dell'integrazione socio-sanitaria per rispondere adeguatamente ai bisogni del territorio, dei disabili, dei tossicodipendenti, delle persone anziane non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e dei malati psichiatrici.
Non è stato d'altra parte restituito il fiscal drag né sono state operate le riduzioni attese delle imposte e bisognerà aspettare il 2003 per i primi esili benefici ed in seguito la parte consistente della torta sarà assegnata ai ceti più ricchi.
È chiara la cesura rispetto alla portata innovativa e organica dell'impostazione che il Governo dell'Ulivo aveva dato alla promozione del benessere socio-sanitario, della prevenzione del disagio e dell'integrazione degli immigrati, per citare solo alcuni aspetti delle politiche sociali.
Dell'integrazione socio-sanitaria, fondamentale per rispondere ai bisogni delle persone che più versano in uno stato di necessità - lo ripeto - non se ne parla proprio.
In continuità con altri provvedimenti, quali la trasformazione degli IRCCS in fondazioni di diritto privato, la revisione del sistema dei prezzi dei farmaci rimborsabili, la prospettata riclassificazione dei medesimi, la volontà del Governo va verso lo smantellamento del sistema sanitario nazionale, ora in modo fondamentale e definitivo con l'introduzione delle mutue anche in sostituzione del sistema pubblico, trasformando, in questo modo, il diritto costituzionale universale inalienabile alla salute in merce, nell'occasione di un ulteriore business per le assicurazioni private.
Trattamento non diverso è riservato all'ambiente che si dice di voler tutelare purché non intralci lo sviluppo. Ne consegue che, dal problema delle immissioni di CO2 (ricordiamo che la carbon tax dovrebbe entrare a regime nel 2005, ma la meta sicuramente si allontanerà ancora) alla crescita della produzione dei rifiuti urbani, al drammatico e disordinato aumento del traffico veicolare, si risponde (cito) «nei limiti compatibili con gli equilibri della finanza pubblica».
Uguale preoccupazione non è certo riservata all'operazione di devastazione totale del territorio, a fronte di un'oggettiva insufficienza di risorse rispetto all'infrastrutturazione lunardiana dell'intera penisola cui, grazie alla cooperazione con fantomatici investitori privati, si assegnano fantastici e veloci risultati.
Completamente disattese sono le indicazioni presenti nel piano generale dei trasporti e nel libro bianco dell'Unione europea sui trasporti che puntano al riequilibrio modale per migliorare l'efficacia del sistema trasportistico e ridurne l'impatto ambientale.
Se i disastri, come quello avvenuto sulla linea Cefalù-Messina, continueranno ad accadere per l'incuria del Governo rispetto alle vere necessità ordinarie e straordinarie del nostro paese, a causa di una politica trasportistica ed urbanistica dissennata e irragionevole, sarà naturalmente colpa di noi Verdi, di noi ambientalisti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.

GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, professor Tanzi, il documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2003-2006 che perviene quest'anno all'esame del Parlamento è particolarmente ricco di contenuti e certamente ambizioso nel suo programma di cambiamento del nostro paese.
Nel corso dell'esame approfondito del documento avvenuto in Commissione bilancio, molti colleghi dell'opposizione ne hanno riconosciuto la validità strutturale rispetto al precedente - presentato lo scorso anno -, prescindendo certamente dalle numerose critiche sulle proiezioni e sulle previsioni. Dovremmo tenere a mente che quel DPEF fu presentato alle Camere solo dopo pochi giorni che il Governo aveva ottenuto la fiducia dai due rami del Parlamento e che, peraltro, era un documento


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che presentava pesanti eredità del ciclo elettorale appena concluso.
Credo che le polemiche sull'esistenza o meno del buco - per noi c'è, per l'onorevole Pinza non c'è -, che certamente potrebbero aver condizionato l'avvio di questa XIV legislatura, non vadano più sollevate. Come ha giustamente puntualizzato, proprio ieri, in Commissione bilancio, il ministro Tremonti, non possiamo continuare autolesionisticamente a contrapporci nelle reciproche responsabilità che finirebbero per denotare uno scarso senso dello Stato, se è vero - così come è vero - che Eurostat ha contestato non solo le operazioni di cartolarizzazione effettuate dall'Italia nel 2001, ma anche quelle effettuate nel 1999 e nel 2000, certamente non dal nostro Governo.
Credo che questo Governo - così come ieri ha ribadito il ministro - difenderà sia le nostre sia le vostre cartolarizzazioni.
Ho ascoltato, dapprima in Commissione ed oggi in Assemblea, tanti interventi pieni di cupo negativismo, che affidano solo alla maggioranza ed al documento di programmazione economico-finanziaria un non credibile ottimismo sul futuro dell'Europa e del nostro paese.
Tuttavia, il DPEF è stato definito credibile dal Governatore della Banca d'Italia, certamente al verificarsi di alcune condizioni assolutamente essenziali ed indispensabili, quali le riforme strutturali; credibile è stata ritenuta, dal commissario europeo per le questioni economiche e monetarie, la previsione di indebitamento fissata nel DPEF, mentre la stessa Commissione si è limitata a rilevare che il divario tra crescita effettiva e crescita potenziale va calcolato a consuntivo, non aggiornato nel corso del periodo programmatico.
In base a questi presupposti, l'Italia ha ricevuto l'approvazione di un programma di riequilibrio che punta, nel 2003, al raggiungimento di un obiettivo vicino al pareggio. Questo DPEF delinea una nuova fase della politica economica e finanziaria del Governo fondamentalmente incentrata su una serie di incisive riforme strutturali. Non si pensi che il bisogno di riforme strutturali nasca soltanto dal desiderio di questa maggioranza di cambiare il paese: esso risponde ad un'esigenza richiamata più volte dall'Unione europea.
La sinistra, negli ultimi anni della precedente legislatura, non ha fatto altro che assumersi il merito di aver portato il nostro paese in Europa. Questo è stato anche il piatto forte della campagna elettorale dell'Ulivo. Forse, è vero; anzi, credo che tale merito vada riconosciuto. In Europa, però, oltre che andarci, bisognerebbe restarci! E come restarci se non dando forti e chiare risposte in merito a quelle riforme strutturali già presenti nella quasi totalità dei paesi dell'Unione?
Guardando più da vicino le politiche strutturali indicate nel DPEF, va certamente evidenziata l'importanza delle riforme del fisco, del mercato del lavoro, della previdenza e della pubblica amministrazione, della valorizzazione del patrimonio pubblico italiano, degli interventi per le opere pubbliche, delle privatizzazioni, della politica industriale; ma, da meridionale, permettetemi di dire che la politica per il Mezzogiorno è la strada fondamentale per rafforzare la posizione del nostro paese nel contesto europeo.
Il progetto Mezzogiorno che il Governo presenta nel DPEF per gli anni 2003-2006 mira a ridurre sostanzialmente il divario che, ancora oggi, separa il sud del paese dal resto d'Europa, attraverso il raggiungimento di tre fondamentali obiettivi: diminuire, progressivamente, il gap infrastrutturale di qualità dei servizi rispetto al centronord; garantire un tasso di crescita superiore a quello medio dell'Unione europea; elevare fortemente il tasso di attività dei cittadini fino al 60 per cento previsto nel 2008.
Segnali positivi, per il Mezzogiorno, si cominciano già a vedere. Proprio ieri, dopo la replica del ministro Tremonti, in Commissione bilancio, l'onorevole Micciché ha dichiarato che, nel 2001, il Mezzogiorno ha registrato un tasso di crescita superiore a quello del resto del paese e che, nel 2002, si è registrato un incremento degli appalti nel sud del 70 per cento, rispetto ad una media nazionale del 46 per cento. Il viceministro Micciché ha


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confermato l'efficienza del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, che sta lavorando con grandissimo impegno.
L'accelerazione dello sviluppo al sud, soprattutto se attuata attraverso politiche di sviluppo e di coesione ed utilizzando criteri di efficienza e di rigore, può dare un contributo determinante al raggiungimento di entrambi gli obiettivi europei sanciti dal Trattato di Amsterdam: coesione economico-sociale e stabilità finanziaria. Credo, cari colleghi, che sul Mezzogiorno si sia finalmente imboccata la strada giusta. Ritengo, infatti, che gli strumenti individuati in questo DPEF diano centralità e soluzione al drammatico problema del sud.
Nella risoluzione predisposta dal relatore, onorevole Alberto Giorgetti, vi è un punto che ho fortemente apprezzato, relativo all'impegno che si chiede al Governo per garantire l'effettiva adozione delle iniziative prospettate in materia di sicurezza dei cittadini e delle imprese. Questo aspetto è centrale nel programma per il Mezzogiorno: creare tutti i presupposti per attrarre nel sud gli investimenti significa dare tranquillità a tutti coloro che li vorranno effettuare.
La Sicilia ed il meridione hanno un grande bisogno di legalità, nei cittadini e nella gran parte dei siciliani si sente sempre di più questo bisogno. Pochi uomini hanno spesso finito per mortificare ed isolare tanta gente perbene. Spesso vi è una immagine della Sicilia non rispondente alla realtà, ma per poter arrivare ad una immagine vera, per poter soddisfare questa voglia di legalità isolando una volta per tutte coloro che nella illegalità hanno trovato profitto, spesso a discapito della gente perbene, è necessario che lo Stato garantisca il minimo che ogni società civile garantisce.

PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere.

GASPARE GIUDICE. Ho finito, Presidente.
È difficile costruire la legalità quando mancano le cose più elementari come l'acqua, le minime infrastrutture, il lavoro per i giovani; se si sapranno cogliere in futuro tutte le opportunità che il DPEF disegna per il Mezzogiorno d'Italia, si otterrà certamente un doppio risultato: da una parte, una società migliore con un diverso rapporto con lo Stato, dall'altro, il sempre maggiore isolamento di quanti hanno vissuto nella illegalità e nell'assenza dello Stato. Questo Governo, proprio nel suo programma - è purtroppo degli ultimi giorni la disgrazia di Rometta Marea e il problema della siccità in Sicilia - all'inizio della legislatura aveva individuato come priorità strategica il miglioramento delle infrastrutture dei servizi idrici e ferroviari. Il DPEF è solo un documento politico economico, a noi - sia la maggioranza sia l'opposizione - spetta il compito di stimolare il Governo a perseguire questi importanti obiettivi l'attraverso l'imminente legge finanziaria e le leggi ad essa collegate (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.

TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, prima di entrare nel merito delle due densissime paginette di questo DPEF che riguardano la sanità, io vorrei citare quanto su Le Monde del 12 luglio afferma Jean-François Mattei, il nuovo ministro della sanità del Governo francese di destra. Egli dice testualmente: la crescita della spesa sanitaria è ineluttabile in ragione dell'invecchiamento della popolazione, del costo delle nuove tecnologie medicali, della ricerca del benessere. Occorre smetterla di dire che si deve padroneggiare e contenere la spesa sanitaria. Questa spesa - prosegue il ministro francese - non deve essere più calcolata in base a meri criteri economici, ma sanitari.
Affermazioni, fatte da un esponente di un Governo di centrodestra, veramente sorprendenti, perché sono diametralmente opposte a quelle a cui ci ha abituati il nostro Governo di centrodestra che, solo in base a meri criteri economici, sferra oggi, con questo DPEF, un attacco violento


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contro una delle maggiori conquiste della nostra democrazia: quel diritto alla salute previsto dal dettato costituzionale la cui attuazione, certo sempre perfettibile, è costata anni di lotte, di rivendicazioni e di impegno.
Questo DPEF, che nemmeno accenna alla soluzione di temi nodali dell'organizzazione sanitaria italiana, per i servizi socio-sanitari - l'abbiamo letto su tutti i giornali - prevede il ritorno a sistemi mutualistici integrativi o sostitutivi, per ora a carattere sperimentale, si dice. Sostanzialmente, si tratta di un processo di privatizzazione che mette a rischio l'esistenza stessa del servizio sanitario nazionale.
A partire dalla presunta insostenibilità finanziaria, il vostro Governo ha alimentato nei mesi scorsi l'allarmismo sul deficit sanitario proprio alla scopo di preparare il terreno ad una drastica riduzione del ruolo pubblico in sanità. Dopo tante ipocrite dichiarazioni sulla presunta ricerca di maggiore efficienza e di modernizzazione ora, finalmente, con questo DPEF, si palesa il vostro vero programma. Per voi la tutela della salute non è, come recita l'articolo 32 della nostra Costituzione, un diritto del cittadino ed un interesse della collettività, è solo una fetta di mercato che non volete farvi scappare. Ed è per dividervi meglio anche questa fetta della torta che il diritto alla salute torna ad essere un privilegio per pochi. Per arrivare a questo state tessendo, con le privatizzazioni e con un federalismo che è solo abbandono, una strategia che è l'esatto opposto dei principi fondamentali su cui si basa il nostro servizio sanitario nazionale (finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale, universalità dell'accesso e copertura di tutte le prestazioni necessarie ed appropriate). Il vostro progetto di demolizione, che ci avete rivelato poco per volta sperando che non ne comprendessimo il disegno complessivo, oppure sperando che chi ne sarà la vittima si abitui un poco alla volta alla riduzione dei servizi, inizia da lontano.
È iniziato con il tanto sbandierato accordo Stato-regioni dell'8 agosto scorso che ha fissato il limite, assolutamente insufficiente e invalicabile, del 5,8 per cento del PIL; è continuato con la trasformazione degli IRCCS in fondazioni di diritto privato, con il disegno di legge sulla devoluzione che cancella i livelli essenziali di assistenza sostituendoli con i livelli minimi, con la trasformazione degli ospedali in Spa e con l'entrata dei capitali privati, con il provvedimento, su cui ci avete fatto votare la fiducia la settimana scorsa, che riduce, di fatto, i farmaci rimborsabili e con il disegno di legge del Governo, che arriverà tra poco in Parlamento, che elimina l'esclusività del rapporto di lavoro per i medici del servizio sanitario nazionale. Dopo tutto questo, con questo DPEF, voi presentate, addirittura, come una novità la restaurazione di quello che avveniva prima della riforma Mariotti, quindi un salto indietro di un quarto di secolo. Ma questo DPEF un merito ce l'ha perchè finalmente, dopo tante dichiarazioni ambigue e annunci contorti, chiarisce a tutti che quei provvedimenti che avete fatto fino ad oggi rispondono ad un unico, grande disegno: avanti tutta con la progressiva, rapida privatizzazione dei servizi sanitari e avanti anche con la devoluzione.
La sanità, come la scuola, devono diventare di competenza esclusiva delle regioni distruggendo, alla radice, ogni omogeneità territoriale ed ogni gratuità. Volete rompere il patto sociale di unità nazionale costitutivo del nostro sistema pubblico di protezione sociale. Le vostre scelte, presentate di volta in volta come necessarie per migliorare il servizio sanitario nazionale, servivano, invece, a creare condizioni per un mutamento strutturale: fare apparire incompatibile il sistema di finanziamento pubblico rompendo il legame tra il modello gestionale ed il modello istituzionale per arrivare ad una sanità pubblica minima sempre più dequalificata e per i poveri ed una sanità privata per i ricchi finanziata, direttamente, da chi può permettersi servizi e cure migliori. Per arrivare a questo, addirittura, riesumate un termine antico e che speravamo obsoleto: mutue. È un termine che anche simbolicamente


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- credo che a tutti noi, leggendo il DPEF, sia tornata in mente la splendida interpretazione di Alberto Sordi che ha fatto del dottor Tersilli un emblema di corruzione e di italica furbizia - e nei ricordi di ciascuno di noi (di chi perlomeno, purtroppo, come me, ha una certa età) è sinonimo di parzialità ed ingiustizia.
Voi invece volete riscrivere la storia perché, come ha detto il ministro Sirchia, avete affermato che le mutue sono state strumenti che hanno prodotto efficienza e sicurezza. Lo sappiamo noi, tutti, che abbiamo vissuto quell'epoca che, invece, le mutue fornivano prestazioni diverse ai cittadini a seconda, proprio, della mutua cui erano iscritti e che la riforma del 1978 è nata proprio per garantire prestazioni uguali a prescindere dal reddito, creando un servizio sanitario più equo, più universale e solidale. Il problema di fondo delle mutue non è stato tanto l'enorme deficit accumulato (anche se vorrei ricordare che, alla fine, le mutue avevano accumulato 30 mila miliardi di allora, del 1978) quanto il loro modo di operare ed il loro significato riparativo: il malato era ridotto alla sua malattia e le novità della riforma sanitaria sono state proprio l'epidemiologia e la prevenzione.
Questo DPEF è un assalto frontale alla concezione che prevenire è meglio che curare: non parlate più, assolutamente, di prevenzione. Ribadite che le persone malate croniche non autosufficienti hanno bisogno di cure e di assistenza ma non riconoscete il dettato che impone la cura e la riabilitazione, oltre che la prevenzione, anche per loro, e mentre chiudete migliaia di posti letto negli ospedali, insistete per la creazione di residenze sanitarie assistite e sviluppate un mercato di cure domiciliari quasi integralmente a carico di tutti coloro che ne hanno bisogno. È chiara ed evidente la vostra volontà di andare verso un sistema sanitario diverso che renda residuale il servizio sanitario nazionale.

PRESIDENTE. Onorevole Valpiana, la invito a concludere.

TIZIANA VALPIANA. Concludo, Presidente.
Ma questa volta il vostro gioco non è riuscito perché tutti, e quando dico tutti non intendo, evidentemente, soltanto Rifondazione comunista o i partiti di centrosinistra ma i sindacati, le organizzazioni mediche, i cittadini e le associazioni, si sono accorti del bluff, si sono accorti, anche all'interno della vostra maggioranza che questo meccanismo infernale porterà all'impoverimento complessivo di tutti, certo a partire dai lavoratori, dagli immigrati, dai precari e dalle famiglie monoreddito, ma per poi finire come negli Stati Uniti dove la sanità, pessima ed escludente, costa però molto sia allo Stato sia ai privati cittadini.
Termino qui il mio intervento perché credo che il tempo concessomi sia esaurito. Ritengo però sia importante ribadire, la nostra assoluta contrarietà a questo modello sanitario. I deputati di Rifondazione comunista sanno però benissimo che la battaglia parlamentare che comunque condurranno non sarà sufficiente: è per tale motivo che crediamo sia importante, a partire da questo documento di programmazione economico-finanziaria, prima cioè che sia troppo tardi e che la sanità pubblica sia completamente smantellata, che i movimenti, le organizzazioni sindacali, le associazioni di tutela dei diritti, il mondo della cultura, avviino una campagna politica e sociale per l'estensione e la riqualificazione della sanità pubblica, magari partendo proprio dalla richiesta di portare la quota di finanziamento dal 5,7 ad almeno il 7 per cento del PIL, il minimo che sarebbe dovuto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, il documento di programmazione economico-finanziaria per il quadriennio 2003-2006 con le sue linee guida prende atto delle difficoltà incontrate nel realizzare l'annunciato programma di interventi e riforme in questo primo anno di legislatura per la sfavorevole congiuntura internazionale,


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dovuta ai ben noti accadimenti terroristici e per la situazione riscontrata nei conti pubblici, indicandone però gli impegni politici ed i necessari correttivi di entrata e di spesa.
Il documento di programmazione economico-finanziaria contiene un disegno di politica economica per i prossimi anni, individuando e programmando il raggiungimento di obiettivi strategici in materia di fisco, lavoro, infrastrutture, welfare, sanità, privatizzazioni, formazione, ricerca e agricoltura, tenendo conto degli indirizzi e degli impegni contenuti nel patto per l'Italia. Altro punto di tale documento sono le riforme, che restano il perno centrale del provvedimento. Un ruolo fondamentale gioca la riforma del mercato del lavoro che, con la rigidità che ha sempre contraddistinto l'Italia rispetto agli altri paesi europei, ha rallentato, nell'ultimo decennio, la crescita della nostra economia e, di conseguenza, l'occupazione. Il tasso di occupazione italiana è del 54 per cento rispetto al 60 per cento della media europea. Sarà allora opportuno adottare strategie che aumentino la produttività in tutti i settori, dall'agricoltura al terziario, migliorandone l'efficienza anche per quanto riguarda il mercato dei beni e dei servizi.
Gli obiettivi fondamentali dell'azione del Governo contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria sono: la promozione della crescita del lavoro attraverso un sistema di incentivi all'occupazione ed ai contratti a contenuto formativo; la flessibilità del mercato del lavoro, compensata dalla contestuale revisione degli ammortizzatori sociali; il recupero, nel contesto lavorativo, delle fasce sociali emarginate o a rischio di emarginazione. L'impegno del Governo sarà indirizzato soprattutto alle aree dove più acuti sono questi problemi, ed in modo particolare al Mezzogiorno, ove gli effetti delle politiche di sviluppo potranno avere il massimo ritorno.
Il Governo intende perseguire questi obiettivi per concorrere a realizzare una società più aperta e coesa, pienamente partecipe del processo di integrazione europea in una prospettiva sociale. A tal fine, l'impegno del Governo dovrà essere rivolto, nelle sedi europee, ad una più incisiva azione dell'Unione in tema di politiche per lo sviluppo, l'occupazione e la giustizia. Il rafforzamento dell'offerta integrata di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico costituisce un obiettivo strategico del patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione e può, da un lato, condurre ad un modello sociale più equilibrato e, dall'altro, influenzare significativamente, nel medio periodo, il livello di efficienza del sistema produttivo italiano.
Il Governo ha già avviato una vasta riforma del sistema di istruzione. Ad essa è necessario associare misure che amplino le opportunità di formazione sul posto di lavoro ed i programmi di formazione esterna, configurando la formazione come un processo di continua crescita in grado di accompagnare l'individuo lungo l'arco dell'intera vita. La formazione, non solo quella professionale, ma quella che altrove è nota come education, occupa un posto centrale nella ridefinizione dei meccanismi del welfare. Tale formazione deve avere caratteristiche di flessibilità e deve essere in grado di fornire, a tutti i giovani, quelle conoscenze, competenze, capacità che sono indispensabili in un mercato del lavoro, in un sistema produttivo in incessante trasformazione.
Nel contempo, l'obiettivo di favorire un riposizionamento competitivo del sistema produttivo italiano non può prescindere da un necessario potenziamento degli interventi in favore della ricerca e dello sviluppo. Tale attività costituisce elemento fondamentale non solo per aggredire nuovi mercati, ma anche per consolidare una presenza qualificata delle imprese italiane in quei settori produttivi dove risulta più accentuata la competitività sui costi dovuti alla concorrenza internazionale, per accrescere la possibilità di essere presenti nei settori a più elevata potenzialità.
Pur potendo rilevare un consistente aumento dell'incidenza delle risorse pubbliche destinate ad incentivare la ricerca e la crescita delle imprese, gli stanziamenti destinati a tale finalità risultano ancora


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insufficienti rispetto alla domanda e ancora lontani dal livello che si può ritenere ottimale per una completa affermazione della centralità del ruolo dell'innovazione e della ricerca per lo sviluppo dell'apparato produttivo.
Un altro punto qualificante del provvedimento all'esame dell'Assemblea e sul quale vorrei porre l'attenzione riguarda il comparto agricolo. Il DPEF conferma, infatti, chiaramente che l'agricoltura nel nostro paese continua ad essere un settore strategico per lo sviluppo, soprattutto in una fase delicata come quella in cui la globalizzazione in atto mette a dura prova la competitività delle nostre imprese agricole ed agroalimentari in una politica internazionale sempre più aggressiva.
Il comparto agroalimentare italiano si caratterizza per un'alta varietà di imprese e di prodotti e per un'immagine di qualità e tipicità straordinaria, dalle quali non è possibile prescindere nella definizione delle politiche indirizzate al settore, proprio per rafforzare la competitività e consolidare la leadership delle produzioni tipiche nel sistema italiano, nei mercati europei ed internazionali. Dunque, l'innovazione, nel rispetto dell'ambiente e della salute del consumatore, dovrà considerare con attenzione tali specificità, identificando percorsi appropriati alle nostre realtà produttive e di mercato, finalizzati ad affrontare ed affermare la qualità dei prodotti attraverso un forte controllo della filiera produttiva, che faccia uso di sistemi di rintracciabilità e con l'adozione di norme sulle etichettature chiare, che garantiscano sia il consumatore sia il buon produttore.
Al fine di superare i fattori di freno allo sviluppo competitivo delle produzioni agricole, vanno affiancate alle tradizionali politiche finalizzate all'abbattimento dei costi strutturali (ed in questo il Governo, già nel primo anno di attività, è intervenuto nella riduzione di alcune norme fiscali in materia agricola) altre politiche che incentivino la creazione o la fusione di imprese con adeguate dimensioni economiche.
Inoltre, è necessario realizzare prodotti e servizi ad alto contenuto di differenziazione, accrescendo l'integrazione verticale e le capacità sistemiche ed organizzative già presenti nel settore agroalimentare e intensificare concretamente lo sforzo in favore dei giovani agricoltori, in linea con quanto definito dalle politiche europee sostenute da questo Governo.
La salvaguardia del territorio, la produzione di territori ambientalizzati e paesaggistici, il mantenimento e la crescita dell'occupazione agricola e rurale, unite alle infinite capacità produttive, sia qualitative sia quantitative, sono tutte funzioni di un'agricoltura moderna e presuppongono l'esistenza di sistemi di produzione agricola.
A tale proposito il Governo è stato protagonista del cambiamento di direzione della politica comunitaria espresso dalla riforma della politica agricola contenuta nell'Agenda 2000, che mette a disposizione circa 40 miliardi di euro annui per il periodo 2000-2006, verso una riduzione del sostegno dei mercati ed una allocazione a favore degli interventi mirati al rafforzamento strutturale delle imprese, allo sviluppo ed alla crescita rurale, anche se forte deve essere l'impegno italiano a Bruxelles a difendere gli interessi dell'agricoltura.
Ancora, il settore agroindustriale, che nel periodo più recente ha mostrato una notevole adattabilità ai cambiamenti nello scenario competitivo europeo ed internazionale, mantiene rilevanti ed inesplorate potenzialità di crescita, stimolata anche dalla necessità di qualificare e tipicizzare il prodotto a tutela della salute del consumatore e delle necessità ambientali per uno sviluppo sostenibile. Lo sviluppo di sistemi informativi che colleghino i principali mercati dell'offerta a quelli di sbocco nonché le reti di servizi reali e innovativi, avrà ricadute positive tanto sull'industria quanto sull'agricoltura.
Gli obiettivi immediati del Governo sono la semplificazione ed il riordino delle norme legislative, le regole che disciplinino il settore agricolo in un quadro di modernizzazione, e la razionalizzazione degli


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interventi anche nell'ottica di specifici piani settoriali per assicurare coerenza programmatica e continuità pluriennale in armonia con la programmazione comunitaria, ma soprattutto, dare certezza ad un mondo che rappresenta una delle più belle realtà del nostro paese all'estero. Non vi è nessun paese al mondo ricco e prospero senza una forte agricoltura.

PRESIDENTE. Onorevole Bellotti...

LUCA BELLOTTI. Inoltre, signor Presidente, vorrei aggiungere una considerazione dovuta al ragionamento svolto dall'onorevole Pistone con riguardo alla sanità. Si è detto che la sanità, in particolare quella di regioni del centrodestra, viene penalizzata da questo DPEF. Poiché provengo proprio da una di quelle regioni del centrodestra, la regione Veneto, dove all'epoca ebbi modo di occuparmi del bilancio, ritengo che quando parliamo di sanità dobbiamo stare molto attenti a come si fanno i conti ed a come si presentano in quest'aula. Infatti, i deficit sanitari, che purtroppo appartengono al deficit strutturale di questo paese, nascono dal 1997 con una politica sanitaria del Governo di centrosinistra. Mi riferisco agli aumenti dei farmaci che abbiamo avuto in quel periodo in modo considerevole, all'aumento dei contratti di lavoro ed alla non accettazione dei parametri che le regioni avevano indicato al Governo e, quindi, ad una sottovalutazione di stima delle necessità e delle esigenze sanitarie delle regioni che abbiamo ereditato dai Governi di centrosinistra. Altrimenti, il deficit strutturale sanitario non sarebbe così complesso ed ampio come viene presentato.
È ovvio che in un anno di Governo non si possano fare salti mortali per riuscire a risolvere tali problemi. Però, è evidente che quanto disegnato dal DPEF rappresenta una via da seguire ed un incoraggiamento importante rispetto al passato dove di proiezioni per il futuro non ne abbiamo mai viste (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia, dell'UDC (CCD-CDU) e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, affronto un aspetto particolare ma centrale del documento di programmazione economico-finanziaria: quello riguardante le spese per la difesa. L'obiettivo di arrivare ad un significativo incremento delle risorse destinate a tale comparto è parte integrante del documento. Dall'1,06 per cento all'1,5 per cento: questo è l'obiettivo che costituisce con tutta evidenza una sorta di cifra sociale, politica e simbolica del documento che ci proponete. Infatti, l'aumento di risorse messo in programma per la difesa va di pari passo con una vistosa e dichiarata intenzione di destrutturazione ed abbattimento della spesa sociale, su cui si sono già soffermati i colleghi di Rifondazione comunista, che comporterà danni incalcolabili nel nostro paese sul piano delle garanzie e delle tutele di diritti di cittadinanza fondamentali come lavoro, salute, istruzione.
È proprio questo mix che rende per noi particolarmente insopportabile ed odioso il documento. Infatti, proprio il contrasto tra i tagli sociali da un lato e gli incrementi di spesa militare dall'altro rende esplicito ed inequivocabile il modello sociale a cui si ispira il vostro documento. Esso è lontanissimo e divaricante rispetto all'idea che noi abbiamo degli assetti sociali e delle priorità di spesa pubblica, rispetto a quell'intreccio tra modello di sviluppo, diritti sociali, assetti democratici su cui prima è intervenuto l'onorevole Alfonso Gianni individuando negli input ad una sfrenata finanziarizzazione dell'economia del nostro paese la direttiva di marcia del disastro prossimo venturo che questo documento provocherà inevitabilmente nel paese.
L'aumento delle spese militari costituisce oggi una bussola per tutti i paesi occidentali, a cominciare - come ben sappiamo - dagli Stati Uniti. È una bussola che porta verso una china doppiamente pericolosa, non soltanto per quanto riguarda il modello sociale, ma direttamente sul piano strategico, cioè sul piano


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del rapporto con i problemi di questo mondo globalizzato e della ricerca di soluzioni adeguate per essi. All'interno di questa bussola di scelte di incremento delle spese militari, vi è la previsione della guerra come possibile variante della politica. Bisogna chiedersi seriamente dove si vada a finire su questa strada, mettendo in discussione radicalmente - come noi vogliamo fare - l'approccio da una parte retorico, dall'altro banale e banalizzante con cui si parla continuamente di aumento delle spese militari.
Il ministro Martino - mi dispiace che non sia qui presente - è maestro di questo modo di affrontare le cose, nel promettere cioè stanziamenti pubblici per l'acquisto di aerei, missili, radar, fregate e altri armamenti, come se si trattasse di opere di bene; d'altronde, anche in questo caso gli Stati Uniti docent. Infatti l'enorme impegno di spesa, assunto dall'amministrazione Bush per sostenere l'apparato militare industriale statunitense è veramente emblematico, un punto di riferimento per tutto l'Occidente perché mette bene in chiaro non soltanto come di nuovo sia stretto e cogente l'intreccio tra economia, spesa pubblica e produzione, commercio e utilizzo di armi, ma anche quali siano le conseguenze di un tale orientamento.
L'aumento della spesa militare americana, tra il 2000 e il 2003, per più di 108 miliardi di dollari, equivale alle cifre che sarebbero necessarie per attuare gli accordi di Kyoto, per aumentare sensibilmente la cooperazione allo sviluppo e per abbassare il costo dei farmaci essenziali nei paesi poveri: cioè un altro modello di sviluppo, un altro tipo di relazioni internazionali.
Anche il nostro paese gioca la sua parte in questi indirizzi di politica economica riarmistica: siamo l'undicesimo paese al mondo per spese militari e il nono paese esportatore mondiale, con un volume di affari di tutto rispetto (nel 2001 pari a 177 milioni di dollari). Con gli impegni finanziari presi per costruire nuove armi per il nostro esercito si potrebbero ovviamente fare altre scelte e finanziare altri progetti con altra valenza sociale e culturale.
Vi è però un altro aspetto essenziale da sottolineare. Le spese militari e gli investimenti in sistemi d'arma non riflettono semplicemente un orientamento perverso della spesa pubblica, ma sono anche la traduzione in cifre di una determinata politica della difesa, di una concezione politico-strategica e fattuale, cioè di una concezione operativa della difesa, oggi sempre più compromessa, anche per il nostro paese, con interventi bellici e con il traffico di armi italiane destinate a gruppi e organizzazioni di paesi coinvolti in guerre civili. Sappiamo quanto su questo aspetto negativo, ancor più negativamente, inciderà la ratifica italiana degli accordi di Farnborough, recentemente adottata dal Parlamento.
Aumentare le risorse per la difesa: ma di quale difesa parliamo? Non certamente di quella concezione della difesa, prevista dalla Costituzione italiana, che esclude in modo perentorio e tassativo un'interpretazione così estensiva della difesa, da sfociare smaccatamente in scelte di guerra, come il nostro paese ha fatto in questi anni nei Balcani e in Afghanistan. Occorrerebbe - come più volte ho avuto modo di chiedere e sottolineare - che questo Parlamento...

PRESIDENTE. Onorevole Deiana, la invito a concludere.

ELETTRA DEIANA. ... discutesse seriamente - concludo, Presidente - di dove ci stia portando questo nuovo concetto di difesa, andato avanti negli anni novanta, per slittamenti e adattamenti successivi, senza che avvenisse in nessuna sede, neanche in quella parlamentare, una discussione adeguata sulla radicale messa in discussione dei principi ispiratori dell'articolo 11 della Costituzione.
In questi giorni, dopo che le operazioni militari degli Stati Uniti e degli alleati in Afghanistan hanno causato centinaia di vittime civili assolutamente innocenti - come sottolineato anche dal quotidiano americano New York Times, che si rifiuta, nel puntiglioso elenco che pubblica, di parlare unicamente di incidenti o di cosiddetti


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effetti collaterali e sottolinea che soltanto in rari casi si può parlare di incidenti, affermando invece che si tratta di obiettivi mirati - credo che una discussione sull'aumento delle spese non possa e non debba essere slegata da una discussione sulla legittimità della continuazione della operazione «Enduring freedom», così come abbiamo fatto in occasione della approvazione del prolungamento della missione fino a dicembre. Anche questo, evidentemente, è un capitolo di spesa della difesa (Applausi di deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor sottosegretario, a quest'ora, dopo avere ascoltato tanti colleghi, c'è il rischio di produrre un effetto rituale. Peraltro, di per sé il dibattito sul DPEF è un rito perché trasforma il confronto in una linea di demarcazione netta fra coloro che sono straordinariamente favorevoli, in questo caso la maggioranza, e chi è pregiudizialmente contrario, l'opposizione di oggi, che ieri era maggioranza. Tuttavia, c'è un passaggio nell'intervento del relatore di minoranza, l'onorevole Morgando, che mi solletica a tentare qualcosa di diverso: quello nel quale, dopo avere espresso le critiche, ha invitato a guardare in alto. Tuttavia, mi domando che cosa significhi guardare in alto se non cercare di eliminare il «muro contro muro» e guardare fino in fondo agli aspetti che dovrebbero contraddistinguere un documento di questa natura, che ha valenza di programmazione. Credo che questo DPEF, proprio per aver ragionato a 360 gradi e per aver compiuto ancora una scommessa sull'ottimismo pur ragionando su termini reali - come ha convenuto anche l'opposizione quando ha affermato che contiene termini più reali rispetto a quello dello scorso anno - tenda all'obiettivo di guardare in alto, prendendo come logica di riferimento una riforma di carattere fiscale, una riforma del lavoro e una riforma di carattere previdenziale. Noi dobbiamo aver presente che nel 2030 il numero degli italiani di età compresa tra i 25 e i 64 anni sarà del 19 per cento inferiore rispetto al 2000. In questo c'è un aspetto positivo, certamente, vale a dire che ci sarà un abbattimento della disoccupazione. Tuttavia, il crollo del numero dei lavoratori determinerà il precipitare della ricchezza prodotta, il prodotto interno lordo, portandoci ad un principio di stagnazione, forse addirittura nell'era della stagnazione. Allora, sovviene il primo dato: conviene che per un paese ad alta densità industriale e a grande esposizione di sviluppo sia sempre il prodotto interno lordo il tema di riferimento per guardare al futuro? Questo dibattito non investe soltanto l'ambito europeo.
Alcuni grandi sociologi americani stanno considerando con particolare attenzione, a fronte dell'invecchiamento delle società occidentali, cosa fare, cosa prendere come riferimento per guardare al progresso. È proprio in questi termini che il rapporto «Affrontare la sfida dell'invecchiamento globale» del Centro di studi strategici internazionali di Washington, di recente, ha formulato alcune raccomandazioni chiave per evitare che nei prossimi anni la crisi demografica del mondo altamente industrializzato conduca a gravi crisi sociali e alla recessione economica. Esso ha prodotto un decalogo che mi preme illustrare all'Assemblea. Primo: lavorare più a lungo. Secondo: eliminare tutti i sistemi di protezione sociale che incoraggino i lavoratori ad abbandonare precocemente il mondo del lavoro. Terzo: cambiare le norme sulle pensioni, in modo da incoraggiare i pensionamenti parziali per i lavoratori più vecchi, consentendo loro di continuare a lavorare part-time. Quarto: incoraggiare misure che consentano l'aggiornamento continuo nel corso di tutta la vita. E poi: promuovere la tolleranza verso gli immigrati, rendendo loro più facile ottenere la residenza stabile. Ancora: ridurre le tasse per le famiglie con figli e per le aziende che forniscono servizi per l'infanzia; ridurre, fino ad abolirli, gli aumenti di stipendio per anzianità, aumentando il peso di quelli legati al merito;


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ridurre la pressione diretta all'espulsione dalle aziende dei lavoratori più vecchi, che sono anche quelli che hanno il più alto costo; incentivare il lavoro flessibile, part-time e a distanza; modificare la percezione collettiva di termini come vecchiaia e terza età, applicandoli ad età sempre più avanzate; incoraggiare la portabilità della pensione verso altri paesi.
Signor Presidente, questo non è un decalogo prodotto da un sistema cosiddetto retrogrado; è un elemento essenziale di studi che tendono a valutare, nel sistema complessivo del mondo occidentale, cosa fare per il futuro.
Ritornando al documento di programmazione economico-finanziaria, vorrei sottolineare soltanto tre problemi importanti. Il primo riguarda la ricerca e l'innovazione: la stessa Corte dei conti, anche recentemente, ha bacchettato il gap tra il dire e il fare su questo tema; il sistema di ricerca va ripensato, eliminando la burocrazia ed individuando nuove forme di finanziamento, che rappresentano non una spesa ma un investimento.

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, la invito a concludere.

LUIGI D'AGRÒ. Faccio presente che nel 2001 gli investimenti in termini di ricerca e di sviluppo sono stati dell'1 per cento, mentre dieci anni fa ammontavano all'1,3 per cento.
Vi è un secondo aspetto: bisogna riconsiderare la necessità di dare corposità alle nostre aziende; come verifichiamo anche in questi giorni, il made in Italy non sta sfondando, anzi perde di competitività.

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, deve concludere. Ha superato il suo tempo di poco più di un minuto.

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, concludo. Credo che il terzo problema sia rappresentato dai bilanci comunali: è necessario cercare di raggiungere una perequazione; altrimenti, considerando la modifica del titolo V della Costituzione, ciò condurrà il nostro paese ad una situazione di grande deficit anche in termini di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (CCD-CDU)).

PRESIDENTE. A questo punto, dato l'alto numero di colleghi ancora iscritti a parlare, ritengo di sospendere la seduta fino alle ore 21. Poi, andremo avanti in seduta notturna.

La seduta, sospesa alle 20.35, è ripresa alle 21.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stradiotto. Ne ha facoltà.

MARCO STRADIOTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo scorso anno nel corso della campagna elettorale la Casa delle libertà aveva promesso, usando uno slogan, di cambiare l'Italia. A distanza di un anno, l'impressione diffusa in tanti elettori è che l'Italia stia cambiando, ma in peggio, e questa impressione diventa certezza leggendo questo DPEF: in questo documento è sparita la parola federalismo, il federalismo fiscale.
Nel corso di quest'ultimo anno il Governo e la maggioranza non hanno tenuto conto della modifica del titolo V della Costituzione. Abbiamo avuto modo di ascoltare tanti proclami e tanti slogan, ma in concreto nulla. Anzi, sono aumentate le competenze per regioni ed enti locali e sono diminuite le risorse a disposizione degli enti locali: di conseguenza, regioni e comuni hanno dovuto applicare maggiori tasse e tributi. La pressione fiscale complessiva è aumentata e nei cittadini sta prevalendo l'idea che federalismo e decentramento equivalgano a maggiori addizionali e a maggiori tasse e tributi. Noi crediamo al vero federalismo e all'autonomia, perché significano produrre maggiore efficienza e maggiore equità, ma ci si arriva in modo diverso, non con gli slogan, ma con grande lavoro. I nemici del federalismo e delle autonomie hanno gioco facile in questo nuovo contesto - ci tengo a sottolinearlo, creato ad arte dal centrodestra - a sostenere che il federalismo


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porta ad ottenere dei danni anziché ad avere dei vantaggi. Infatti, attuare un decentramento senza compensarlo con un corretto federalismo fiscale, come sta avvenendo, comporta degli scompensi che, se non corretti, possono dare l'impressione che il federalismo sia negativo. Non vorremmo che il federalismo si fosse trasformato solo in un'ennesima trovata del ministro dell'economia per rimpinguare le casse dello Stato.
È assolutamente necessario cambiare rotta e che lo Stato definisca chiaramente quali sono le tasse e i tributi da applicare su tutto il territorio nazionale e quelli da applicare da parte delle regioni, e che, inoltre, gli enti locali agiscano sul costo dei servizi. A nostro giudizio, l'unico strumento che consente la semplificazione fiscale è un'applicazione reale ed efficace del federalismo fiscale, che si ottiene attuando la compartecipazione per regioni ed enti locali alle entrate fiscali e tributarie dello Stato: IRPEF, IRPEG, IVA e così via. In questo modo, si ottiene un duplice risultato: si semplifica il sistema fiscale e si coinvolgono regioni ed enti locali nella lotta al sommerso, vero problema del nostro paese. Infatti, avvicinare il luogo del prelievo fiscale a quello in cui realmente vengono spese le risorse è un modo per avvicinare i cittadini alle istituzioni e fa rendere meno indigesto il pagamento di tasse e contributi; allo stesso tempo, gli enti locali hanno tutto l'interesse a contribuire a fare emergere tutte quelle attività sommerse presenti nel proprio territorio. Gli stessi cittadini, quando si renderanno conto che diventano disponibili più risorse per i servizi del proprio territorio, svolgeranno un'importante funzione sociale di pressione, affinché emerga il sommerso e tutte quelle attività poco chiare. Questo, nel lungo periodo, produrrà maggiori risultati della repressione svolta dalle forze dell'ordine.
La crescita di una nazione non si misura solo con la crescita del PIL, ma anche con l'aumento del senso civico e questo non aumenta se l'esempio che lo Stato dà è che i furbi hanno sempre ragione. I vostri annunci sul condono fiscale danno questa impressione che i furbi abbiano sempre ragione. Inoltre, nel momento in cui i comuni hanno un interesse diretto ad accrescere la capacità produttiva del proprio territorio, in particolare, attraverso il potenziamento degli investimenti privati, è indubbio che velocizzeranno anche il rilascio di permessi e autorizzazioni con ricadute positive sull'economia territoriale.
Un'altra questione, che in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione va affrontata, è il meccanismo della finanza locale che va ripensato e riformulato, in quanto vi sono troppe sperequazioni e differenze nella ripartizione dei fondi fra le regioni e gli enti locali.
Andrebbe prevista una ripartizione che parta da un contributo per abitante, a seconda delle diverse tipologie di ente e tenendo conto delle difficoltà territoriali; cifra che, ovviamente, verrà integrata dalla compartecipazione alle entrate sopra richiamate.
Voi state facendo il contrario, si legge chiaro tra le righe di questo DPEF. Nella prossima legge finanziaria proporrete ulteriori tagli per gli enti locali e per le regioni e come l'anno scorso proporrete dei tagli indistinti, senza tener conto che vi sono amministrazioni locali più efficienti e normalmente con poche risorse ed altre sprecone.
Infine, voglio concludere lanciando una sfida ai colleghi di maggioranza che lo scorso anno hanno chiesto il voto promettendo autonomia, federalismo ed efficienza della pubblica amministrazione. In questo DPEF non vi è traccia di tutto questo e, se realmente vi credete, in autunno abbiate il coraggio di fare pressioni sul Governo affinché sia presentata una legge finanziaria che cambi rotta rispetto a questo DPEF (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il DPEF 2003-2006 il Governo conferma e rafforza


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l'impegno per la modernizzazione e lo sviluppo, malgrado la difficile congiuntura internazionale e, soprattutto, la pesante eredità del passato. Nel DPEF 2001-2004 presentato dalla maggioranza di centrosinistra si sosteneva che vi sarebbe stato un conseguimento pressoché automatico degli obiettivi di stabilità e di sviluppo, ma in quell'affermazione vi era già una riserva mentale. Dopo una politica fondata sull'intesa corporativa fra grandi imprese e sindacati e su una pressione fiscale assai elevata, il Governo di centrosinistra ha varato nel suo ultimo anno una legge finanziaria elettoralistica, lassista sia sul lato della spesa, sia sul lato fiscale, del tutto inadeguata rispetto ai vincoli europei. Ciò ha comportato per il secondo Governo Berlusconi un difficile impegno per il risanamento, che ha reso più complicato il raggiungimento degli obiettivi presenti nel programma di governo. Il pacchetto dei cento giorni ha contribuito alla formazione di un clima favorevole ad una politica di sviluppo. Con la Tremonti-bis, se da un lato vengono favorite l'emersione dell'economia sommersa e la mobilità sociale, dall'altro lato viene dato un impulso notevole alla mobilità sociale e all'innovazione tecnologica. Le riforme avviate, a partire dai cento giorni, sono numerose: dal contratto a tempo determinato ai fondi immobiliari, dal rientro dei capitali alla legge sulla detassazione degli utili investiti. In coerenza con questa impostazione, il Governo ha varato una legge finanziaria, grazie alla quale le famiglie potranno contare su un incremento medio dello 0,8 per cento del loro reddito. Particolare risalto va dato, inoltre, all'innalzamento delle pensioni minime a un milione delle vecchie lire.
Il patto per l'Italia ha una grande importanza e può essere considerato come la piattaforma su cui costruire le future politiche dello sviluppo. È fondamentale la convergenza realizzata attraverso di esso dal Governo con i due sindacati autonomi riformisti, la CISL e la UIL. Grazie al patto il Governo punta alla nascita di circa un milione e quattrocentomila nuovi posti di lavoro entro il 2005 e il raggiungimento di un tasso di occupazione pari al 70 per cento entro il 2010. Sulla base del patto per l'Italia, il DPEF prevede una riforma del mercato del lavoro finalizzata a rafforzare ed estendere gli ammortizzatori sociali, incentivando nel contempo la crescita dell'occupazione, soprattutto nelle aree depresse del Mezzogiorno. In tale quadro risulta dunque praticabile una politica industriale quale quella prospettata dal DPEF, volta a rafforzare la competitività dell'economia italiana sul mercato globale attraverso la semplificazione e la velocizzazione degli incentivi, specie se proiettati sul Mezzogiorno e finalizzati all'innovazione tecnologica.
Detto questo, suggerisco al Governo di approfittare del lasso di tempo che intercorre fra oggi e la sessione di bilancio per riflettere su due questioni piuttosto delicate: mi riferisco alla riforma pensionistica e alla sanità. Nel collegato previdenziale alla legge finanziaria per il 2002 si prevede una misura già presa in considerazione dal Governo Amato, volta a sostenere la destinazione ai fondi pensione delle risorse del nuovo trattamento di fine rapporto. A ciò si collegherebbero la riforma della disciplina fiscale per ampliare la deducibilità dei fondi pensione e la revisione, in senso più favorevole, della tassazione dei rendimenti e delle forme pensionistiche complementari. Non vi è dubbio che l'incremento delle forme pensionistiche complementari rappresenti un obiettivo coerente con la strategia di sviluppo e di ammodernamento perseguita dal Governo.
Tuttavia, nei termini in cui viene presentata la questione nel DPEF, vi è il rischio che si configuri una forzatura che potrebbe comportare un'eterogenesi dei fini rispetto alla strategia del Governo. Dobbiamo, inoltre, tener conto del fatto che l'andamento delle borse, da qualche anno a questa parte, non lascia intravedere nulla di buono per i fondi comuni, ivi compresi i fondi di investimento. In questa crisi, i lavoratori dipendenti rischiano di essere i classici vasi di coccio. Del resto, la misura, volta a portare i lavoratori ad utilizzare il TFR a fini previdenziali, non


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mi pare né decisiva né caratterizzante rispetto alla politica del Governo in materia pensionistica; decisiva e caratterizzante, invece, mi pare sia la proposta di alzare l'età pensionabile.
Il progressivo invecchiamento della popolazione, infatti, ha costi sempre più alti, sia in termini economici, sia in termini sociali. L'età pensionabile in Italia è ancora troppo bassa: 57 anni contro la media europea di 62. Perché, dunque, non approfondiamo la riflessione su tale punto così come ci chiedono sia il Fondo monetario internazionale sia l'Unione europea?
Per quanto riguarda la sanità, nel DPEF si afferma che il Governo intende, cito dal documento, «qualificare il sistema delle prestazioni sanitarie socioassistenziali anche attraverso l'introduzione, in via sperimentale, di mutue integrative o sostitutive del sistema sanitario nazionale». L'opposizione ha immediatamente alzato le barricate, parlando di ritorno delle mutue di una sanità per soli ricchi o di smantellamento del sistema sanitario nazionale.
Nel programma di questa maggioranza, tuttavia, non esiste in alcun modo l'intenzione di smantellare il sistema sanitario nazionale e, tanto meno, quello di costruire un'assistenza sanitaria discriminatoria e antipopolare, come ha chiarito il ministro Sirchia. Non bisogna, inoltre, dimenticare che nell'Europa socialdemocratica, nella Germania e nell'Olanda del welfare, fino alla Francia, per anni guidata da Premier socialisti, esistono sistemi mutualistici per anziani ben funzionanti. Il nostro sistema, invece, mentre funziona sul versante delle malattie gravi e delle emergenze è del tutto inefficiente su quello delle malattie croniche cosiddette minori il cui costo sociale però è alto.
Si tratta, dunque, di costruire un secondo pilastro assistenziale i cui costi dovrebbero essere suddivisi tra i lavoratori ed il settore pubblico, senza toccare il carattere universalistico dell'assistenza pubblica.
Detto ciò, non ci si può esimere dallo svolgere qualche considerazione sul carattere ancora incerto ed, in parte, indefinito della proposta, il che fa sì che essa si presti alle più diverse interpretazioni e manipolazioni. Occorre, innanzitutto, chiarire che cosa significhi l'espressione «mutue integrative e/o sostitutive» ed insistere, con maggiore incisività, sul fatto che si va verso la costruzione di un pilastro integrativo e non alternativo al servizio pubblico, poiché la riforma sanitaria del 1978, pur con i suoi limiti ed i suoi anacronismi, rappresenta per tutti un'acquisizione fondamentale. Bisogna, inoltre, essere più precisi sul carattere opzionale della mutua integrativa.
Per quanto riguarda la sanità, la maggioranza deve, a mio avviso, insistere anche su un altro aspetto che, non a caso, la sinistra non affronta, vale a dire la gestione delle ASL. In ambito sanitario sono invalse negli anni logiche assistenziali e burocratiche che hanno portato verso l'inefficienza e la deresponsabilizzazione del settore sanitario.
Tutto questo è inammissibile. Nel settore della sanità il rapporto tra potere e responsabilità deve essere assoluto. Di conseguenza, occorre insistere sull'introduzione di criteri privatistici e di maggiore responsabilizzazione nelle gestioni delle ASL nel rapporto di lavoro dei dirigenti e dei dipendenti. Vorrei concludere, rilevando, in primo luogo, che siamo di fronte, per ciò che riguarda un aspetto essenziale del programma di Governo, ad un progetto assai radicale e significativo di riforma fiscale.
Orbene, in genere, di fronte a mutamenti così significativi, viene adottata una sanatoria del pregresso proprio per non sovrapporre sull'amministrazione un contenzioso derivante dal precedente sistema. Non nascondo neanche che, sia il buco ereditato dal centrosinistra, sia il mutamento della congiuntura internazionale, sia l'esistenza dei vincoli derivanti dal patto di stabilità, a mio avviso, dovrebbero, comunque, spingere a recuperare risorse, anche attraverso misure straordinarie quali il condono, che diano certezza del raggiungimento di obiettivi essenziali quali la riduzione della pressione fiscale, fondamentale


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per rilanciare la crescita, e la realizzazione delle grandi infrastrutture.
In sostanza, signor Presidente, il raggiungimento certo di tali obiettivi è molto più importante della subalternità a schematismi ideologici (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Titti De Simone. Ne ha facoltà.

TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, la manomissione del diritto allo studio sancito dalla Costituzione e lo smantellamento della scuola pubblica, che parte da provvedimenti già attuati con la scorsa legge finanziaria, trova conferma in questo Documento di programmazione economico-finanziaria che sottrae risorse, investimenti e politiche di innovazione per la scuola, l'università, la ricerca e la cultura. È un disegno organico attuato attraverso la strategia di impoverimento e dequalificazione della scuola pubblica che invece per noi, insieme a tutto il settore della cultura, rappresenta un punto strategico del progresso civile, sociale ed economico del paese.
C'è un disegno autoritario che mira ad un restringimento altresì degli spazi della partecipazione democratica, in virtù di una logica aziendalista, escludente, sempre più selettiva che lede palesemente il principio universale di una scuola pubblica per tutti e di tutti, una scuola multietnica e multiculturale.
E così, se da un lato si procede ad un indebolimento di quella prospettiva di autogoverno democratico di cui l'autonomia scolastica è stata palesemente deficitaria, dall'altro si introducono ulteriori e pesanti principi di privatizzazione del sistema dell'istruzione, in un'ottica di subalternità agli interessi del mercato. Di tutto questo e non di altro ci parla la riforma dei cicli, prima sbandierata, poi stoppata, adesso riproposta come elemento centrale del Documento di programmazione economico-finanziaria per il settore della scuola.
Di questo ci parla la volontà di precarizzare le condizioni dei lavoratori della scuola, attraverso le inaccettabili scelte compiute sui lavoratori precari, con l'avvio dello scorso anno scolastico ed ora con il blocco delle assunzioni in ruolo e gli annunci di ulteriori, pesantissimi tagli sugli organici.
Avevate annunciato un piano di investimenti pluriennale di cui non vi è più certezza; avevate promesso assunzioni in ruolo che adesso scompaiono e non una lira viene destinata al personale, al rinnovo dei contratti, all'edilizia scolastica, a garanzia del tempo pieno.
Noi non sottovalutiamo la portata devastante delle vostre politiche e per tali ragioni, con assoluta nettezza, riteniamo da parte nostra aperto uno scontro frontale con il Governo. Questo scontro si animerà nella battaglia parlamentare di opposizione e che ci vedrà al fianco della massiccia mobilitazione che si annuncia da settembre in tutte le scuole pubbliche italiane. L'attacco al diritto allo studio è un attacco alla Costituzione e ai principi universali che necessita di una risposta adeguata di tutte le opposizioni parlamentari e delle opposizioni sociali.
Questa grave manomissione costituzionale si concretizzerà non soltanto attraverso l'impoverimento e la dequalificazione della scuola pubblica, che state portando avanti attraverso i tagli, ma anche attraverso un sistema di regionalizzazione dell'istruzione che scompaginerà il sistema unico e l'omogeneizzazione del sistema dell'istruzione a livello nazionale, con una proposta di parità indecente, che stabilisce definitivamente la fine del primato della scuola pubblica, introdotta pericolosamente anche dalla riforma del centrosinistra, contro la quale abbiamo deciso di contrapporre un referendum promosso in questi mesi da un ampio cartello di forze sociali, politiche e culturali che può e potrà efficacemente neutralizzare questo ulteriore attacco alla scuola pubblica.
Di uguale gravità è il processo di privatizzazione che state altresì introducendo sulle università, attraverso la trasformazione di queste in fondazioni di diritto privato per la ricerca, con evanescenti previsioni di investimento, mentre si aggrava


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la crisi degli enti pubblici di ricerca determinata dai processi di privatizzazione in atto.
Sulla cultura, con la scellerata scelta di costituire la Patrimonio dello Stato Spa, ponendo un'ipoteca devastante sul nostro patrimonio storico, culturale e demaniale, si introduce ancora una volta un processo massiccio di privatizzazione del nostro sistema e del nostro patrimonio, precarizzando ancora di più le condizioni di lavoro di migliaia di operatori del settore e creando una evidente diminuzione del servizio pubblico e della gestione pubblica in questo settore.
A ciò si aggiunge il debole e insufficiente investimento sulla produzione culturale: il cinema, il teatro, la danza, lo spettacolo e soprattutto una mancanza assoluta di investimenti per valorizzare e sviluppare la produzione giovanile, indipendente, e la creazione di spazi per la cultura e il suo accesso.
Contrasteremo questa vostra politica in Parlamento e nel paese per la difesa e la valorizzazione della scuola pubblica, del diritto allo studio, contro la mercificazione dei saperi, della globalizzazione neoliberista di cui siete esecutori.
Per battere il vostro progetto di società che si realizza anche attraverso l'attacco al settore strategico della cultura e quindi della formazione del pensiero critico, noi pensiamo che non sia sufficiente solo una battaglia di resistenza ma che la risposta più efficace per noi sia quella di un'iniziativa politica ed alternativa che noi vogliamo costruire insieme ai movimenti sociali.
Per contrapporre alla vostra idea di società autoritaria, razzista, classista, escludente, di Stato etico, il rilancio di una battaglia sociale per una politica di welfare culturale quale fondamento di una cittadinanza democratica in uno Stato di diritto.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Titti De Simone.
È iscritta a parlare l'onorevole Garnero Santanchè. Ne ha facoltà.

DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. Grazie, signor Presidente. Il DPEF al nostro esame si inserisce in un contesto economico internazionale sfavorevole rispetto alle previsioni effettuate nello scorso anno. L'economia italiana, agganciata agli scenari macroeconomici del capitalismo internazionale, ha registrato un rallentamento della crescita dopo gli eventi dello scorso 11 settembre; in particolar modo si è ridotta la domanda con un forte indebolimento delle esportazioni. L'ultima fase del 2002 sembra però fare intravedere un percorso di ripresa, confermato dai principali istituti economici internazionali. In tale situazione difficile per tutti i paesi dell'area dell'euro, ho molto apprezzato le iniziative avviate dal Governo che ha comunque avviato una riforma fiscale che punta all'abbassamento delle aliquote e che continua a sostenere con forza un percorso di sviluppo dell'impresa e dell'occupazione.
Sono altresì orgogliosa del coraggio di denunciare il buco trovato nei conti pubblici dimostrato dal ministro Tremonti. Al contrario invece si comportò in passato il Governo di centrosinistra che ebbe la fortuna di lavorare in uno scenario economico internazionale favorevole e non ne seppe approfittare (come peraltro ha ricordato il Governatore della Banca d'Italia, Fazio quando è intervenuto in Commissione bilancio) perdendo molte opportunità e soprattutto facendo perdere al nostro paese gran parte della competitività. Sono rimasta anche molto soddisfatta dall'intervento del ministro Tremonti in Commissione bilancio che ha fatto luce su alcuni punti che mi lasciavano perplessa e mi ha sicuramente convinto sulla giustezza delle sue previsioni sui conti pubblici e comunque me lo auguro nell'interesse soprattutto di questo paese ma innanzitutto del Governo.
È emerso altresì in Commissione che il ministro dell'economia e delle finanze è contrario ad una maxientrata straordinaria capace di garantire l'equilibrio del bilancio dei prossimi due esercizi finanziari. Prendo atto di questa decisione e


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non posso che essere soddisfatta che il ministro non intenda usare lo strumento del condono.
Ritengo altrettanto giusto, però, che il ministro a distanza di appena 60 giorni dalla legge finanziaria, spieghi al Parlamento tre questioni a parer mio fondamentali.
La prima questione è la seguente: da quali settori e da quali importi intende recuperare i 10 miliardi di euro che servono, secondo le stesse indicazione dateci dal Governo, per portare l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni dall'1,6 allo 0,8 per cento del PIL?
La seconda questione è questa: come ritiene di finanziare la riduzione delle tasse per 5,5 miliardi di euro dal momento che dei 12 miliardi della manovra correttiva preannunciata ben dieci serviranno per ridurre il deficit?
Vi è, infine, un'ultima domanda: come ritiene di finanziare il miliardo di euro necessario per la riforma degli ammortizzatori sociali?
A queste richieste che rivolgo al Governo (e che ritengo legittime) auspico una risposta che sgomberi ogni dubbio. Capisco altrettanto che molti di questi dettagli saranno contenuti nella prossima legge finanziaria; ma per esemplificare ancora meglio vorrei sapere come il Governo ritenga che nell'esercizio della delega previdenziale si possa prevedere l'aumento dell'età pensionabile sin dal prossimo anno ed estendere a tutti il metodo contributivo.
Il Governo inoltre ritiene di introdurre anche il ticket farmaceutico, forse per calmierare una domanda esplosa in questi ultimi anni, e ritiene altresì di rimettere in moto diversi modelli di organizzazione ospedaliera che da sola rappresenta il 49 per cento della spesa sanitaria.
Certamente, sono solo pochissimi esempi di linee d'intervento sui grandi settori della spesa corrente, senza i quali l'equilibrio del bilancio, a parer mio, forse, potrebbe diventare più difficile. Personalmente, non amo le una tantum, siano esse condoni o altri strumenti analoghi, come le entrate future, ma ritengo sia giunto il momento di pensare ad un risanamento strutturale dei conti pubblici, per evitare - come peraltro ha affermato il nostro Presidente del Consiglio - che le difficoltà di bilancio vanifichino o rallentino il cammino riformatore di questo Governo e di questa maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasperoni. Ne ha facoltà.

PIETRO GASPERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'insieme delle misure adottate dal Governo in quest'anno di tempo, dal suo insediamento, delineano il disegno strategico che si persegue e le devastazioni che possono derivarne, sia sul piano economico sia su quello sociale.
La ridistribuzione alla rovescia del reddito, la riduzione della spesa sociale, accompagnata da una progressiva espansione della sua privatizzazione, e il recupero di competitività attraverso la riduzione dei costi, di cui l'attacco ai diritti ne è condizione e presupposto, insieme alla precarizzazione del mercato del lavoro, rendono esplicito il vostro vero obiettivo: una società più iniqua, ingiusta e meno solidale, nella quale i forti diventano più forti e i deboli rischiano di essere abbandonati a loro stessi. Altro che maggiore libertà! Altro che aiutare chi è rimasto indietro, come dicevano i vostri slogan elettorali!
L'unica maggiore libertà che si vede in giro è di poter licenziare, senza giusta causa, per colpire nel profondo la dignità delle persone. Questo è ciò che hanno capito milioni di lavoratori che stanno scioperando contro questa vostra politica controriformatrice e antisociale.
Avete tentato di dividere i giovani dagli anziani, cercando di ingannare gli uni e gli altri, dicendo loro che nessuno ci avrebbe rimesso nulla, ma in massa i giovani insieme agli anziani hanno riempito le piazze di tutta Italia. Avete voluto dividere i sindacati per indebolirli, pensando di isolare la CGIL, ma avete solo provocato una conflittualità sociale come non si


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vedeva ormai da anni e dei cui effetti portate tutta intera la responsabilità.
Oggi, presentate un DPEF nel quale tutte le misure che vi sono contenute sono economicamente inefficaci e socialmente inique. Tutte le previsioni sulle dinamiche economiche sono inattendibili - così come lo furono quelle dello scorso DPEF - e segnalano un futuro tenebroso per il nostro paese, per la sua economia e per la coesione sociale.
Tutta la manovra, ancorché inesatta nelle previsioni - come esplicitamente evidenziato anche dalla stessa Corte dei conti - è affidata unicamente ad un'incerta quanto improbabile ripresa economica mondiale. Nel DPEF non c'è traccia di politiche strutturali di sostegno alla crescita e ad una maggiore produttività. Il Mezzogiorno è affidato unicamente alle sue debolezze strutturali e la piccola impresa è completamente dimenticata da qualsiasi intervento di sostegno, sempre che non pensiate che, con la manomissione dell'articolo 18, sia risolto il problema dello sviluppo della piccola impresa perché mentireste sapendo di mentire.
Avete perseguito la divisione di sindacale e siete arrivati a sottoscrivere, con una parte di esso e l'appoggio ingordo di Confindustria, il cosiddetto patto per l'Italia nel quale non è indicata alcuna misura concreta per il sostegno allo sviluppo e per la competitività del nostro sistema paese. Abbiamo già parlato delle tante ragioni che ci hanno indotto ad esprimere un giudizio negativo e severo su quell'accordo, dalla contrarietà assoluta all'intervento sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, dei rischi di snaturamento del ruolo e della funzione di rappresentanza dei sindacati, insito nella Costituzione, e di generalizzazione degli enti bilaterali ai quali affidare compiti di gestione impropri su determinate materie.
È vero, avete promesso qualche briciola di alleggerimento fiscale per i redditi più bassi, ma, in verità, penalizzate questi redditi rispetto a quanto era stato deciso dai governi dell'Ulivo e, con certezza, regalerete fortune fiscali ai redditi alti e, da subito magari, agli evasori con il condono. Parlate di riforma degli ammortizzatori sociali ma, signori miei, non si fanno le nozze con i fichi secchi! Una seria riforma richiederebbe non meno di 10 mila miliardi di vecchie lire. Voi ne impegnate non più di 700 milioni di euro.
Per favore, non chiamatela riforma, perché si tratta solo di un piccolo aumento dell'indennità di disoccupazione, mentre chi è privo di cassa integrazione, come i lavoratori delle piccole imprese o i tanti lavoratori precari, saltuari, discontinui o collaboratori, continueranno a restare fuori da qualunque forma di tutela di continuità del loro reddito!
Ma ciò che è ancora più grave è che, a quei tavoli negoziali, avete palesemente bluffato! Non avete detto ciò che, poi, avete scritto nel DPEF; non avete detto che, circa la previdenza, intendete proseguire sulla strada della decontribuzione, con le conseguenze nefaste che ciò provocherà sulla stabilità del sistema previdenziale pubblico, con la messa a rischio delle pensioni in godimento e la consistente riduzione delle pensioni future; non avete reso edotti i partecipanti a quei tavoli che i lavoratori del pubblico impiego non avrebbero avuto i soldi per rinnovare i loro contratti e che, con quella previsione sul tasso di inflazione programmato, tutti i rinnovi contrattuali si faranno facendo perdere potere d'acquisto a tutte le retribuzioni. Ecco cosa succede se vi si dà un briciolo di credito!
Per tutte queste ragioni, la nostra contrarietà a questo DPEF è la contrarietà ad un disegno di strategia economica e sociale che porterebbe, inesorabilmente, alla disgregazione sociale ed aprirebbe un futuro incerto per tutti gli italiani. Contro tutto questo ci batteremo con fermezza e con determinazione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.

GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare in maniera particolare l'onorevole


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Santanché per il suo intervento, che andrò a rileggere nel resoconto stenografico della seduta. A me pare, infatti, che le domande rivolte dalla collega al Governo siano state poste con grande amabilità, certo, ma anche con accenti di palese durezza. Spero anche di poter leggere, domattina, nella replica del Governo, le risposte alle tre domande che la collega ha posto in maniera molto chiara.
Signor Presidente, circa un anno fa - mi pare fosse il 1o agosto del 2001 -, l'onorevole Berlusconi venne in terra veneta, per la precisione a Venezia, insieme a mezzo Governo, compreso l'onorevole Bossi (che, però, in quell'occasione, non portò con sé alcuna ampolla di acqua del Po), per firmare l'ennesimo contratto, non con gli italiani (probabilmente, Bossi suggerì di firmarlo con i veneti), ma con il governatore Galan. Non ricordo tutti gli impegni presi allora; ricordo, però, una frase, riportata anche dalla stampa locale: il Capo del Governo si impegnò solennemente affinché alcuni lavori pubblici avessero corso e precisò che, ove ciò non fosse avvenuto entro un anno da quella data, il governatore della regione veneto, Galan, avrebbe dovuto dimettersi! Il presidente Giancarlo Giorgetti, che è uomo culturalmente onesto (è anche tante altre cose), può testimoniarlo, insieme al collega Alberto Giorgetti, che è veneto come me.
I veneti, però, che non sono un popolo stupido, ma intelligente, non si sono fidati di Berlusconi e, prima di agosto, hanno già provveduto, nelle ultime elezioni, a cambiare un po' di sindaci, primo fra tutti quello di Verona.
Ho ricordato questi fatti per dimostrare che, talvolta, la fantasia supera la realtà, anche in politica!
Presidente, affinché rimanga agli atti, nel nord del paese, dove la domanda di miglioramenti infrastrutturali è forte, esiste una necessità, vorrei dire un'urgenza. Io conosco meglio la parte del nordest e posso testimoniare, credo senza smentita, che nel nordest non c'è un cantiere aperto di quelle opere che, in quel 1o di agosto del 2001, il Presidente del Consiglio italiano e il presidente della regione Veneto andarono ad elencare e a firmare. Le cito. Il passante di Mestre, potremmo dire il valico di Mestre; oggi qualcuno non parla più di soluzione, perché ce ne sarebbero ben due di soluzioni, tant'è che chi aveva immaginato, o meglio, chi aveva dichiarato le disponibilità finanziarie a porre le lire, o meglio, gli euro sul tavolo di quell'opera, oggi, sta facendo un passo indietro, perché, chiaramente, di fronte a due ipotesi di soluzione l'utenza verrebbe divisa in due e, quindi, ci sarebbe un abbattimento dell'interesse dei finanziatori privati. La A28, la Conegliano-Pordenone, la strada statale Cavarzere Legnago, la E55, o Romea commerciale, la strada Pedemontana, la Valdastico nord e la Valdastico sud. Mi fermo, però potrei depositare l'elenco agli atti. Tutto questo per dire quale sia la distanza tra le cose che vengono sbandierate e le cose che poi accadono realmente. Ma il nord, mi consenta signor Presidente, come tutto il paese, non ha bisogno soltanto di infrastrutture, ma anche di innovazione, di ricerca, di riforme dei saperi, ha bisogno di porre in collegamento quella miriade di piccole imprese, ha bisogno di fare rete.
Ho sentito da diversi colleghi della maggioranza intenzioni straordinarie, concetti che condivido fino in fondo, espressioni di percorsi che il paese necessita da tempo. Ma mi sono chiesto: dove sono queste cose? Dove le avete lette? Anch'io, senza grande piacere, devo dire, ma incaricato dal mio gruppo, ho dovuto leggere pagina per pagina quelle 168 pagine, se non ricordo male, ma non ha trovato tracce precise, indicazioni certe di lavoro, di finanziamento, di indirizzo. Allora, se parliamo di buone intenzioni, il gruppo della Margherita è qui, le condivide, ma chi non condivide la necessità di lavorare per la crescita della nostra comunità nazionale? Però, signor Presidente, a me pare che in questo DPEF manchino davvero delle cose e ci siano degli elenchi molto generici. Cito il caso della sanità, perché mi pare il più emblematico (dopo il collega Fioroni sarà sicuramente più chiaro e preciso). Leggo testualmente a pagina 88 del DPEF: inoltre il Governo intende concentrare maggiore attenzione


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nei confronti della grande sfida posta al sistema sanitario dall'incremento della popolazione anziana. A tale fine è necessario qualificare il sistema delle prestazioni sanitarie socio-assistenziali, anche attraverso l'introduzione in via sperimentale di mutue integrative e/o sostitutive. Io credo che sia quella piccolissima e/o che deve essere chiarita e deve essere chiarita prima dell'approvazione del DPEF perché la «e» comporta un quadro, la «o» ne comporta un altro completamente diverso.
Signor Presidente, per quanto riguarda la pressione fiscale, nel DPEF sono scritte alcune cose. Il collega Pinza ha già detto che il Governo ha abbandonato le grandi promesse, ma io credo che il Governo non possa - lo ricordava il collega Stradiotto prima - immaginare che per ridurre la pressione fiscale sia sufficiente passare la mano agli enti locali.
Per quanto riguarda la pressione fiscale, signor Presidente, nel DPEF sono scritte alcune cose. Il collega Pinza ha già detto che il Governo ha abbandonato le grandi promesse, ma io credo che il Governo non possa, lo ricordava il collega Stradiotto prima, immaginare che per ridurre la pressione fiscale sia sufficiente passare la mano agli enti locali. Noi crediamo, lo diciamo in particolare ai colleghi della Lega nord (ho ascoltato attentamente il collega Pagliarini), che il percorso di attenzione alle autonomie locali, si chiami federalismo o si chiami devoluzione, abbia bisogno di risorse: di queste risorse, in questo documento, non vi è traccia. Noi crediamo insomma che i problemi ci siano....

PRESIDENTE. Onorevole Frigato, la invito a concludere.

GABRIELE FRIGATO. Concludo Presidente.
Crediamo anche che ci siano delle responsabilità esterne, come ad esempio la congiuntura internazionale, però, signor Presidente, vorremmo, da parte del Presidente del Consiglio e da parte del ministro Tremonti, un maggiore senso dello Stato e la capacità di comportarsi, come si dice in campagna, come dei buoni padri di famiglia che, nel momento delle difficoltà, sanno riconoscerle, dichiararle e sanno indicare la strada al paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Campa che ha chiesto alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del suo intervento, che la Presidenza autorizza.
È iscritta a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente scorrendo il paragrafo 4 del capitolo 2, quello che il documento di programmazione economico-finanziaria dedica alle questioni dell'università, della ricerca, della formazione e dei beni culturali, c'è una frase che ricorre continuamente in modo inesorabile: «compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica». È una bellissima frase, una frase che, sicuramente, fa onore a chi la utilizza visto che parla di rigore e di compatibilità economica, peccato sia una frase che questo Governo ha dimenticato molte, altre, troppe volte. L'ha dimenticata con la legge Tremonti e con la legge Tremonti-bis, con i finanziamenti di Tremonti alla sua personale università, con l'imposta di successione, con le deleghe fiscali che regalano al 2 per cento della popolazione sgravi fiscali e impoveriscono il resto del paese.
Dunque, «compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica», con riferimento a scuola, università, ricerca e beni culturali vuol dire una cosa sola, in questo documento di programmazione economico-finanziaria come nella legge finanziaria dello scorso anno che l'ha preceduta: vuol dire che non ci sono risorse per la scuola, per l'università, per la ricerca e per i beni culturali. Vuol dire, cioè, che questi assi fondamentali e strategici dei processi di innovazione - viviamo in una società della conoscenza dove l'unica possibilità di produrre e promuovere sviluppo è legata


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proprio all'investimento in questi settori chiave - non sono contemplati, non sono nella cultura, nella predisposizione, nella mente del nostro Governo. Eppure tutti gli indicatori ci dicono che la nostra spesa in formazione, istruzione e università (pari al 5 per cento del PIL) è la più bassa di tutti i paesi europei; ci dicono che la spesa per la ricerca, settore chiave, settore strategico, si colloca allo 0,6 per cento del PIL. Qui ricominciamo con la propaganda e col ritorno delle bugie perché in questo documento di programmazione economico-finanziaria si dice che l'auspicio del Governo è di portare la spesa per la ricerca all'1 per cento. Peccato si tratti di quell'1 per cento che il centrosinistra, con fatica, aveva prodotto nel corso dei cinque anni del suo Governo. Voi avete tagliato, avete tagliato lo scorso anno, avete depauperato la scuola, l'università e la ricerca e oggi auspicate la possibilità di ritornare ai livelli cui, appunto, noi avevamo lasciato l'università e la ricerca.
Il problema fondamentale, però, è che in questo documento di programmazione economico-finanziaria non vi sono risorse aggiuntive per poter «spostare» dallo 0,6 fino all'1 per cento il rapporto tra spese destinate alla ricerca e PIL. Ciò significa che voi immaginate di reperire tali risorse attraverso tagli e processi di razionalizzazione, quei processi che nella scuola, ad esempio, si sostanziano in tagli di personale e dei finanziamenti all'offerta pubblica (che qualifica la scuola pubblica come scuola di qualità). Soprattutto, ciò significa che immaginate la possibilità di acquisire risorse grazie alla crescita del PIL, il quale, secondo voi, aumenterà ad un tasso del 2,5% già a partire dal prossimo anno, quando, invece, tutti gli indicatori dicono che ci troviamo di fronte ad una possibilità di crescita attestata intorno all'1,4 per cento. Voi state cioè sperando che anche nell'università, nella scuola e, soprattutto, nella ricerca arrivino risorse aggiuntive grazie al fatto che la crescita quantitativa dell'intero sistema, e quindi anche di quello italiano, porti, appunto, le necessarie risorse aggiuntive. Voi, pertanto, non fate scelte, non definite priorità e, per di più, formulate previsioni sbagliate dal punto di vista della possibilità di attivare nuove forme di finanziamento.
La questione diventa ancora più inquietante - mi riferisco in particolare al settore della ricerca perché è sintomatico della strategia del Governo - quando voi, nel documento di programmazione economico-finanziaria, recepite le linee programmatiche del piano di sviluppo della ricerca, recentemente approvato dal CIPE. Non mi interessa sottolineare i punti strategici della ricerca ed il fatto che voi non parliate di ambiente, di tutela del territorio e di beni culturali. Mi interessa invece rimarcare una vostra affermazione, secondo la quale gli investimenti andrebbero così ripartiti: 11 per cento ricerca di base, 36 per cento ricerca applicata, 53 per cento trasferimenti diretti alle imprese. Voi pensate che trasferire risorse alle imprese significhi necessariamente attivare politiche di qualità, di innovazione e di ricerca. Scegliete la via più breve: da una parte quella che pensa alla ricerca non come ricerca di base, dall'altra parte quella che, nello spirito della legge Tremonti, non individua la possibilità di attivare politiche pubbliche e trasferisce risorse dal pubblico al privato. È la vostra politica, sarà la vostra sconfitta (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Losurdo, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, colleghi, mi domando - e lo domando anche al ministro Baldassarri - se domani saranno di qualche aiuto, non tanto a noi, ma al Governo ed al ministro Tremonti, le interviste che vengono preannunciate dal ministro Sirchia, interviste che dovrebbero essere di chiarimento circa questa confusa parte del documento di programmazione economico-finanziaria riguardante il comparto sociale e sanitario.


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Il ministro Sirchia dice ancora di non essere stato ben compreso e di volere realizzare in questo paese, nel nome del Governo, non forme sostitutive ma mutualità solidaristiche di tipo universalistico che riguardino la genericità dei cittadini.
Credo che tutto ciò sia una cosa completamente diversa da quella prevista nel documento di programmazione economico-finanziaria, che contrasta direttamente con ciò che avete scritto e che denota, ancora di più, uno stato confusionale o meglio le due anime che sono all'interno di questo Governo.
Nella parte sociale, questo documento torna indietro rispetto agli sforzi compiuti in precedenza. Si ritorna a parcellizzare gli interventi nel sociale: non si parla più del fondo sociale nazionale, non si dice una parola di certezza sui finanziamenti che dovrebbero coprire il fondo sociale nazionale, non si dice una parola di certezza sui livelli essenziali di assistenza sociale che dovrebbero essere garantiti - come previsto dalla Costituzione - a tutti i cittadini italiani, non si fa alcuna menzione di una volontà politica né di natura economico-finanziaria per quanto riguarda l'attuazione della legge n. 328 del 2000, la legge quadro sull'assistenza.
In compenso, vi è un pullulare di parcellizzazioni e di interventi di settore, con riferimento ai minori, agli anziani non autosufficienti, ai disabili gravi o gravissimi, al disagio giovanile, agli asili nido; per ciascun settore si preannunciano grandi interventi e fondi ad hoc. Nella realtà, non c'è una lira che venga impegnata e l'unica cosa certa che poteva esservi, ossia il finanziamento del fondo, non viene prevista; vi è, soprattutto, una grande lacuna che riguarda la non autosufficienza.
Se vi sono vittime di questo vostro DPEF, della prossima legge finanziaria e della politica del Governo Berlusconi sono gli anziani, che sono stati ripetutamente beffati. Non avete dato loro la pensione al minimo, avete loro promesso le dentiere come surrogato, ma non fornirete neanche queste (infatti, non lo state facendo), né prevedete qualcosa per la loro non autosufficienza.
In realtà, avete regalato loro un aumento del ticket, avete tolto loro i farmaci, li avete resi ancora più soli, più abbandonati e più poveri, senza alcuna prospettiva di poter essere curati e assistiti in maniera adeguata nel nostro paese. Certo, vi sono il fondo di mutualità previsto dal ministro Sirchia e le forme assicurative pensate dal ministro Tremonti (peraltro, credo che in questo paese egli abbia qualche chance in più di realizzarle senza dirlo agli italiani). Forse, ciò andrà bene per quando il presidente Giancarlo Giorgetti sarà anziano; forse, se oggi mette da parte i soldi, il fondo di mutualità integrativa riuscirà a garantirgli l'assistenza socio-sanitaria a domicilio oppure l'integrazione all'interno delle RSA.
Di certo, per i sessantacinquenni o per gli ultrasessantenni di oggi, non ci sarà né un'assicurazione disposta ad assicurarli (neanche le migliori in questo paese) e non vi sarà nessuno disposto a concedere una mutualità integrativa per garantire loro le RSA o l'assistenza integrata domiciliare. Questa è la realtà: un documento di programmazione economico-finanziaria che ignora i problemi degli anziani.
E la centralità della famiglia, tanto sbandierata? La famiglia viene solo nominata come fatto per combattere l'elusione. Anziché essere soggetto attivo di politiche di autoaiuto, cui vengono dati soldi per garantire ciò che il vostro Governo non è in grado di garantire allo Stato, voi la considerate semplicemente come un soggetto pieno di doveri e di oneri, a cui non date una possibilità ed una speranza (mi riferisco soprattutto alle famiglie monoreddito o più bisognose di questo paese) per portare avanti una seria politica di incentivi familiari.
Ma l'apice lo toccate con riferimento agli asili nido. Anche per gli asili nido inventate un fondo ad hoc di 300 milioni di euro; considerando che nel nostro paese tale servizio non copre neanche il 6 per cento dei bambini, con 300 milioni di euro non si sarà in grado di garantire neanche


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gli assistenti per gli asili nido. Però, istituite un bel fondo ad hoc, che sbandiererete su tutte le piazze. In realtà, anche in questo caso regalerete qualche soldo a qualcuno, perché mi sembra di leggere che vi saranno, comunque, sgravi fiscali per i nidi aziendali che verranno costruiti (in questo modo si copriranno ancora meno del 6 per cento dei bambini), ma non si risolverà certo il problema della precarietà degli asili nido nel nostro paese.
Credo che questo sia il filo conduttore. Per quanto riguarda il non-profit e il volontariato, si è rinviata ogni decisione: ci si è dimenticati dei congedi parentali e si è rimandato tutto ciò che poteva riguardare un miglioramento dell'assetto normativo delle ONLUS; soprattutto, non si compie alcun passo avanti impegnandosi a garantire l'impresa sociale nel nostro paese ed un incentivo al comportamento etico del singolo, della famiglia e dell'impresa sociale (o anche profit), che può tenere un comportamento etico.
Non c'è da meravigliarsi. Credo che vi sia una sola domanda che dobbiamo porci: cosa ha in testa il ministro Tremonti, quando presenta questo DPEF? Chi ha da guadagnare qualcosa da questo DPEF? Credo che, forse, ne possa trarre profitto qualche avente causa e chi ritiene che in questo paese il meccanismo assicurativo possa sostituire il meccanismo del sistema sanitario nazionale universale e solidaristico.
Avete beffato anche le regioni in maniera tragica. Le avete truffate l'8 agosto quando avete fatto firmare loro un accordo che prevede la destinazione del 6 per cento del PIL per pagare a mala pena i debiti che hanno dichiarato, non rendendosi conto di quelli che avevano contratto. Subito dopo avete approvato i livelli essenziali di assistenza comprendendo anche i livelli sociosanitari che riguardano i malati psichiatrici, di AIDS, i tossicodipendenti, gli anziani, i disabili gravi e gravissimi, per una copertura finanziaria che richiede almeno il 7 per cento del PIL. Il viceministro Baldassarri sa che per questo ci vogliono almeno altri 24 mila miliardi che qui non sono previsti. Le vostre mutualità integrative o le vostre assicurazioni integrative sono tali rispetto ad un 10-15 per cento che prevedete: il resto dovrà pagarselo il cittadino a condizione che qualcuno sia disponibile ad assicurarlo ed ammesso che abbia la possibilità economica di pagare un'assicurazione.
Molto probabilmente avete messo nel conto che molte lacrime e sangue saranno versate sui cittadini bisognosi, che poi sono tutti coloro che passano dallo stato di salute allo stato di malattia, anche se hanno un reddito decente. Infatti, la salute si apprezza quando non si ha più o non vi sono i soldi per potersela permettere. In questo caso vi è una sola valutazione: qualcuno vuole cancellare l'articolo 32 della Costituzione ed i diritti del cittadino non spiegandoglielo e pensando di passare ad un meccanismo che non garantirà la salute, non darà certezze, ma consentirà a qualcuno di creare business. Se vi è qualcuno in quest'aula direttamente interessato è sui banchi del Governo: molto probabilmente vi sarà anche un avente causa che fa parte di un medesimo disegno criminoso ai danni degli anziani e dei malati di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bogi. Ne ha facoltà.

GIORGIO BOGI. Il mio intervento è limitato alla parte del documento che attiene alla sanità e neppure a tutto quanto vi si accenna. Mi colpisce il fatto che il Governo rilevi un problema oggettivo, cioè la difficoltà a sostenere la spesa necessaria a coprire le prestazioni indispensabili richieste, però offra alla discussione una proposta perlomeno confusa, direi ambigua, e, quindi, comunque pericolosa perché riferita ad una struttura obbligatoriamente sistematica come quella destinata alla tutela diffusa della salute sulla base dei livelli essenziali di assistenza. La frase «mutue integrative e/o sostitutive» non corrisponde ad una proposta


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civile e seria come avrebbe dichiarato oggi il ministro del tesoro perché la mutualità integrativa e quella sostitutiva non sono elementi scalari di uno stesso sistema, ma caratteristiche proprie di sistemi molto diversi l'uno dall'altro. Dunque, il Governo deve chiarire la sua intenzione, se vuole essere serio.
Il problema oggettivo che mette in tensione il sistema sanitario e può minacciarlo è il fatto che la tutela diffusa della salute ad accesso universale è stretta fra il patto di stabilità e la necessità di maggiori risorse per l'aumento non totalmente contenibile dei costi unitari delle prestazioni e della loro stessa quantità. Questo in generale, oltre che particolarmente nel settore delle malattie croniche e della non autosufficienza.
Se appare oggettivamente improbabile che il maggior suffragio necessario di risorse possa venire dalla disponibilità pubblica attuale o per il prossimo futuro altre fonti sono indispensabili se si vuole salvaguardare, come credo sia indispensabile, il sistema sanitario ad accesso universale. Però, la proposta di mutualità volontaria, questa sì chiara nel DPEF, è sicuramente incapace di offrire una soluzione seria ai problemi reali dell'assistenza alle persone anziane non autosufficienti, come si ricava dall'esperienza in Europa, sia perché induce discriminazioni eticamente inique sulla base della disponibilità monetaria, sia soprattutto perché la copertura volontaria di questo tipo ha trovato scarsa diffusione dove è stata sperimentata.
L'esperienza di alcuni Stati europei, contrariamente a quello che sembra pensare il ministro del tesoro, conduce invece, sulla scorta del modello tedesco, ad una mutualità di natura obbligatoria ed universale che costituisce un afflusso da privati destinato, però, ad un accesso sistematico universale. Tale ragionamento è basato sull'opinione che necessita un ulteriore afflusso di risorse al servizio sanitario nazionale proprio perché esso conservi le caratteristiche di universalità di accesso e di disponibilità di prestazioni corrispondenti ai bisogni di tutela diffusa della salute e non perché si integrino i livelli essenziali di assistenza.
Queste risorse non sono disponibili nella finanza pubblica attuale; devono quindi essere cercate da fonti aggiuntive, ma senza appunto snaturare le caratteristiche del sistema. È chiaro che un ragionamento di questo tipo presuppone si compia ogni sforzo per impedire dispersione di risorse, incongruità organizzative o inadeguatezza dei comportamenti professionali. Di spazi in questo senso certamente ce ne sono. Solo per citare alcuni esempi è evidente, nella documentazione disponibile, che le regioni con gli squilibri finanziari più forti sono quelle dove la percentuale di assistenza ospedaliera è più elevata rispetto a quella distribuita sul territorio. Esami compiuti a livello ministeriale dimostrano che l'inadeguatezza del ricovero ordinario in ospedale, per interventi che potrebbero essere operati in day hospital, comporta una maggiore spesa annua di circa mille miliardi. Si sa che la prescrizione di farmaci e di prestazioni diagnostiche è in alcuni casi inadeguata per eccesso, ma è anche probabilmente indispensabile ripensare il gioco dei rapporti fra le funzioni fondamentali del sistema (quella politica, quella amministrativa e quella professionale), per concepire modalità di gestione più adatte al perseguimento economico degli obiettivi del servizio. Vi è peraltro una constatazione di forte disponibilità ad una spesa privata, in aggiunta al contributo abitualmente ricavato per finanziare il Servizio sanitario nazionale. Il problema è capire quale parte di questa disponibilità ad una spesa privata possa essere trasferita a caratteristiche sistematiche per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale.
Il ragionamento è certamente complesso ed appare indispensabile che l'effettiva responsabilità di esso sia affidata alla capacità di risposte specifiche e non alla generica competenza economico-finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze, come sembra essere accaduto


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ancora una volta (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meduri. Ne ha facoltà.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Quando l'anno scorso fu presentato il primo DPEF di questa maggioranza, il Governo si inventò la storia del famigerato buco lasciato dal centrosinistra come scusante per non mantenere gli impegni assunti con quel contratto, simile ad una televendita, stipulato dal Presidente del Consiglio alla presenza di Bruno Vespa quale notaio. Dopo un anno di promesse mancate e di bugie reiterate nel tempo, anche quest'anno il DPEF si presenta come un libro delle buone intenzioni e delle enunciazioni di principio: bisogna combattere la disoccupazione, ammodernare la pubblica amministrazione, realizzare le infrastrutture e far crescere il Mezzogiorno. Ecco qui il nodo dolente: il Mezzogiorno, il Sud, le regioni meridionali.
Il tandem Tremonti-Bossi, da quando si è insediato il Governo Berlusconi, ha posto in essere una serie di provvedimenti, direttamente o indirettamente contro il Mezzogiorno e, di conseguenza, in contraddizione con la conclamata volontà di sostenere un forte aumento della produttività, come elemento essenziale per innescare un circolo virtuoso, che avrebbe dovuto determinare un forte aumento del PIL nel nostro paese. Era ed è evidente, infatti, l'interdipendenza tra aumento del PIL al sud e aumento del PIL nazionale: più cresce il sud, più cresce l'Italia. Bloccare lo sviluppo del sud in realtà equivale a bloccare lo sviluppo del paese. Sulla base di tutti gli indicatori economici, si è potuto constatare come, con i governi dell'Ulivo, l'economia del sud sia cresciuta più di quella del nord. Negli anni 2000 e 2001 il sud ha visto il boom delle esportazioni e una crescita del tasso di sviluppo maggiore rispetto al nord. Sulla base dei dati dell'Unioncamere, il sud ha avuto il migliore saldo positivo tra imprese nuove e quelle cessate.
Anche se in modo non uniforme, il Mezzogiorno oggi presenta poli industriali e di sviluppo di eccellenza. Il nostro paese purtroppo è ancora caratterizzato da un forte dualismo divaricante e la questione meridionale coincide ancora con un elevato tasso di disoccupazione. I governi dell'Ulivo hanno avuto il merito di cambiare un'impostazione culturale rigida e legata eccessivamente all'aiuto esterno. Con il centrosinistra le regioni meridionali hanno cominciato a diventare autonome e protagoniste del loro sviluppo, non assistito, anche grazie al sostegno dei fondi comunitari, che rappresentano un'opportunità concreta di sviluppo perché non sono «a pioggia», bensì mirati.
Tuttavia, il rischio concreto è che questi fondi restino la sola risorsa per sostenere lo sviluppo, in considerazione dell'impostazione di un Governo che sembra non considerare strategico il Mezzogiorno. In più, si deve aggiungere che vi è una capacità di spesa non efficace, che non si riesce ancora bene a programmare, con il rischio di perdere quegli stessi fondi. Al punto che autorevoli europarlamentari meridionali, anche del centrodestra, hanno ventilato la possibilità di commissariamento delle regioni. Infatti, appare in ritardo la situazione sia della spesa, che dovrà raggiungere, a fine anno, l'ammontare degli stanziamenti della annualità 2000, sia della rendicontazione della programmazione 1994-1999, che doveva essere presentata il 30 giugno 2002 alla Commissione europea e che, ad oggi, ancora non lo è stata.
È stato anche grazie ai fondi europei che dalle «cattedrali nel deserto» si è passati allo sviluppo delle piccole e medie imprese, incentrate, nella loro produzione e produttività, sulla valorizzazione di risorse in loco. Basti pensare soltanto al boom turistico e ricettivo, nonché alla promozione dei prodotti tipici.
Purtroppo, con furia iconoclasta questo Governo, una volta al potere, in maniera ideologica, ha stabilito che tutto ciò che era «targato» Ulivo fosse da soppiantare e gettare via. Dai contratti d'area ai patti territoriali ed a tutti gli strumenti della


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programmazione negoziata, il Governo ha bloccato finanziamenti e protocolli, aprendo una feroce guerra intestina per le deleghe e le competenze tra i vari ministri e sottosegretari, tra Ministero dell'economia e Ministero delle attività produttive.
Un esempio lampante di questa impostazione è quanto avvenuto in merito al prestito d'onore. Con questo strumento, ideato dall'Ulivo, sono stati creati quasi 40 mila posti di lavoro legati a nuove attività ed i dati sono confortanti. Una volta al potere, il centrodestra, d'incanto, a maggio, sospende l'erogazione dei contributi in favore dei giovani, nel 90 per cento dei casi meridionali, per i corsi relativi alle iniziative oggetto del finanziamento del prestito. Si afferma che non vi sono più risorse disponibili e che per questo era necessaria la sospensione. Addirittura, il ministro Tremonti minaccia il ricorso alla magistratura contabile, anche se il viceministro Miccichè, in sede di audizione presso una Commissione della Camera, ha elogiato questo strumento riconoscendone la validità per la crescita occupazionale.
Vi è di più: il Governo minaccia di togliere a Sviluppo Italia 100 milioni di euro per finanziare le misure contro la siccità. Quindi, le risorse c'erano e ci sono.
Ma ancor più incredibile è la capacità di ammantare di eccezionale il vuoto, il niente. Per mesi, le organizzazioni del mondo agricolo nonché le regioni meridionali hanno sollecitato il Governo a fronteggiare l'emergenza idrica, fenomeno che parte dalle mancate piogge dello scorso autunno, prosegue in un inverno a scarsa piovosità e vede oggi il suo punto più elevato di drammaticità, ponendo seri dubbi persino per l'erogazione di acqua potabile. Per mesi, questo Governo tace, ignora il problema. Si consente persino battute con il Presidente del Consiglio dei ministri che si paragona al dentista, facendo fare anticamera alle regioni che incessantemente chiedevano misure urgenti.
Ad un tratto, in considerazione della insostenibilità della situazione, anche dal punto di vista dell'ordine pubblico, ci si accorge del dramma. Allora, si scatena la fantasia: dalle navi con i dissalatori, mai viste ed inesistenti, alle carovane di autobotti. Ma non era questo che gli agricoltori chiedevano. Quindi, è presentato un emendamento al cosiddetto decreto-legge omnibus, nel quale gli interventi previsti sono risibili e ben poca cosa rispetto alle esigenze sollecitate. Nel DPEF non vi è una misura concreta per affrontare in maniera strutturale l'emergenza idrica nei prossimi anni, a parte lo slogan «l'acqua in tutte le case». Come bisognerebbe affrontare questo problema, alzando il prezzo dell'acqua - come sostiene il ministro Matteoli - o procedendo a massicce privatizzazioni? Questo non è dato sapere, a causa della approssimazione con cui il Governo si muove, anche su questo terreno. L'unico dato certo è che l'esecutivo ha disatteso la mozione, approvata da maggioranza e opposizione in questa Assemblea, che lo impegnava a reperire adeguate risorse finanziarie anche per il futuro. È evidente che qualcosa non quadra e che c'è bisogno di fare chiarezza, come per la vicenda del fantomatico «buco» lasciato nei conti pubblici dai governi del centrosinistra, come per le norme sul sommerso, misura fallita miseramente (poche centinaia di lavoratori emersi, sui 900 mila previsti, nonostante gli spot di Mike Bongiorno).
In realtà, il Governo ha mortificato uno degli strumenti più efficaci per lo sviluppo del sud, il credito d'imposta. Nell'ultimo decreto-legge omnibus, infatti, si è intervenuti in maniera da rendere ancora meno efficace lo strumento del credito d'imposta, che tanti nuovi occupati ha determinato per il sud, eliminando l'automatismo e assoggettando la graduatoria a meccanismi che lo snaturano. Il Mezzogiorno ha bisogno di nuovi investimenti e di non abbassare la guardia sul sistema delle sicurezze e della lotta alla criminalità organizzata. Vi sono una serie di segnali negativi, dalla chiusura della fabbrica del figlio di Libero Grassi all'imprenditrice uccisa nel nuorese, agli atti intimidatori che forme criminali organizzate mettono in essere


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contro lo sviluppo. Infine, vi è l'allarme lanciato dal procuratore generale della direzione distrettuale antimafia, Pierluigi Vigna, che deve essere ascoltato.
Il livello infrastrutturale del Mezzogiorno, come purtroppo evidenziato anche dall'ultimo tragico evento di Messina, è inadeguato e inferiore allo standard medio europeo, pertanto, non funzionale al sistema economico e produttivo. Inoltre, questo Governo continua a non uscire dall'effetto spot: delle opere previste nella delibera CIPE del 21 dicembre 2001, per finanziamenti pari a 250 mila miliardi di vecchie lire in dieci anni, ben poche saranno concretamente realizzate. Nel DPEF vengono elencate 21 grandi opere che, ad eccezion fatta dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e del futuribile ponte sullo stretto, non riguardano opere di rilievo per il Mezzogiorno.

PRESIDENTE. Onorevole Meduri, la invito a concludere.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Signor Presidente, concludo subito. Tutto il resto delle infrastrutture viarie è localizzato nel centronord. Tutto ciò è paradossale se pensiamo che nel recente collegato alle infrastrutture approvato dal Parlamento (e, quindi, legge dello Stato) sono state inserite opere sicuramente interessanti ma che non mutano il quadro infrastrutturale del nord, perché si tratta di sottopassi comunali e di strade di non grande rilievo. Questo è il prezzo pagato alla Lega nord per il sostegno al Governo; ma questo è anche l'autolesionismo della Lega nord, perché prima o poi nella pseudo Padania ci si accorgerà che una politica contro il Mezzogiorno è una politica contro gli interessi del nord. Come dimostrato da sempre, lo sviluppo e la crescita del Mezzogiorno aiutano e sostengono l'economia del nord e, quindi, del paese.
Per questi motivi, analizzando a fondo il DPEF, non possiamo che constatare tristemente che il capitolo Mezzogiorno è solamente un atto dovuto, elaborato senza convinzione e senza progetto; da qui deriva la nostra profonda e convinta contrarietà (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicolosi. Ne ha facoltà.

NICOLÒ NICOLOSI. Signor Presidente, signor viceministro, i deputati liberaldemocratici repubblicani del nuovo PSI danno una valutazione sostanzialmente positiva del documento di programmazione economico-finanziaria proposto all'attenzione delle Camere per l'approvazione.
Questa valutazione positiva parte da una considerazione riferita all'importante accordo, raggiunto dal Governo con le parti sociali, che ha dato vita - così è stato definito - ad un patto per l'Italia. Mi preme sottolineare come, intorno ai presupposti del documento di programmazione economico-finanziaria e del patto per l'Italia, si sia registrata una larga condivisione delle parti sociali, dei sindacati, delle organizzazione degli industriali e degli imprenditori e, invece, la mancata adesione da parte di un importante sindacato come la CGIL. Francamente, vediamo tanta parte del mondo sindacale, del mondo del lavoro e del mondo imprenditoriale concordare con le parti politiche e con il Governo su un cammino che appare largamente condivisibile e virtuoso; invece, un sindacato, che in passato è risultato, il più delle volte, appiattito sulle logiche del Governo precedente, esprime posizioni contrarie. Ciò ci porta a considerare che oggi, probabilmente, in Italia esistono sindacati riformatori, quali la CISL, la UIL e, forse, gli stessi sindacati autonomi, che prima sembravano più chiusi entro logiche categoriali, e sindacati conservatori, quale finisce con l'essere la CGIL, che assolve ad un ruolo di conservazione o, peggio, di scontro politico.
Noi, invece, siamo lieti del contenuto del DPEF e condividiamo anche la maniera in cui il Governo, con un'azione intelligente, ha cercato di fronteggiare le difficoltà e l'eredità raccolte dal precedente Governo e quelle intervenute a seguito


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della catastrofe dell'11 settembre 2001.
Le iniziative intraprese hanno consentito di limitare i danni di una congiuntura nazionale, in virtù dell'eredità, e internazionale, per gli eventi di cui parlavamo, abbastanza grave; adesso, ci si accinge, con le riforme sociali, economiche, strutturali e istituzionali che vengono proposte, a dare finalmente una svolta all'economia italiana per raggiungere prospettive di sviluppo e di progresso già indicate nel DPEF dell'anno scorso.
In particolare, quali sono queste riforme che noi condividiamo con largo e pieno convincimento? Si tratta delle riforme economiche che riguardano il sistema fiscale, il mercato del lavoro, la previdenza e la funzione pubblica e vorrei sottolineare, in particolare - forse perché deputato del Mezzogiorno, anzi della Sicilia -, il problema delle infrastrutture, e poi ancora le riforme sociali e istituzionali, con particolare riferimento all'amministrazione pubblica, alla scuola, all'università, ai beni culturali e alla sicurezza. Lo dico saltando anche alcuni aspetti, certamente non secondari, ma proprio perché molto interessato alle opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno e per il sud, mi concentro di più sulle maggiori carenze che noi avvertiamo per uno sviluppo ordinato ed armonico della realtà sociale e politica nazionale, che senza un contributo e una particolare spinta all'economia del Mezzogiorno, probabilmente, non riuscirà a crescere quanto sarebbe possibile e, in ogni caso, certamente non vi sarebbe quell'opportunità di coesione nazionale, che è insita in questo percorso virtuoso.
Signor ministro, io ho valutato con interesse le questioni che il Governo ci propone nel documento ed in particolare nella parte finale che fa riferimento al progetto per il Mezzogiorno. Ho riscontrato che esso contiene delle proposte che, se realizzate, veramente consentirebbero a tutta l'area meridionale e alle isole di compiere un grande passo in avanti. Tuttavia, ho letto all'interno del documento alcune questioni che mi sembrano in contraddizione e le segnalo, non tanto perché in noi e in me ci sia voglia di fare una critica, che non sia assolutamente positiva e punti a risolvere le questioni, ma proprio perché mi piacerebbe poter avere una risposta o magari che mi venga se ho capito bene quello che ho letto.
A pagina 39 del documento di programmazione economico-finanziaria si dice, sempre con riferimento al Mezzogiorno, che «a livello territoriale, le previsioni tendenziali a legislazione vigente per il periodo 2003-2006 scontano da un punto di vista quantitativo non solo un volume globale di spesa in conto capitale per il Mezzogiorno limitato agli stanziamenti già previsti, ma anche l'assenza di quei provvedimenti che dovranno assicurare sia il mantenimento di un flusso continuo di risorse aggiuntive nazionali per investimenti pubblici alle aree sottoutilizzate, sia l'obiettivo di destinare al sud il 30 per cento delle risorse ordinarie, a garanzia della effettiva addizionalità dei fondi comunitari». Più sotto si dice «in considerazione dell'apporto più contenuto delle politiche pubbliche, si stima un aumento moderato del prodotto, imputabile alla mancata domanda di beni e servizi»; inoltre, nella parte che mi pare ancora più grave, si afferma che «nel 2003, in presenza di una ripresa economica trainata dal ciclo internazionale, e fermi restando gli effetti pieni della politica condotta nel 2002, la previsione del PIL tendenziale per il Mezzogiorno resterebbe relativamente sostenuta (2,6 per cento) ma lievemente al di sotto della media italiana. Negli anni 2004-2006, gli investimenti, finanziati solo con le risorse incluse nella legislazione vigente, continuerebbero a produrre effetti economici, ma a un ritmo decrescente». Invece, a pagina 51 si ipotizza che l'economia del Mezzogiorno possa crescere negli anni dal 2003 al 2006, nel primo anno, al ritmo del 3 per cento e, successivamente, a un ritmo del 4 per cento: ciò appare nettamente in contraddizione, o comunque diverso, rispetto alle previsioni che si fanno a pagina 39.


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Allora, signor ministro, ci dia un chiarimento perché il Mezzogiorno è un'area di particolare rilevanza per quel progetto di sviluppo armonico e per quel patto per l'Italia che è stato alla base di un accordo tra il Governo e sindacati. Il Mezzogiorno e le isole sono spesso elementi rilevanti, non soltanto per gli apporti che vengono dati alle coalizioni vincenti (l'ultima, quella della Casa delle libertà nelle recenti elezioni), ma anche per l'intelligenza che viene fornita come apporto allo sviluppo del resto del territorio nazionale da tutti quei giovani che sono costretti a emigrare perché non esistono opportunità di lavoro tali da soddisfare tutta la realtà del Mezzogiorno.
Come si sostiene - e come penso avverrà nei prossimi tre o quatto anni che ci separano dal 2006 - scenderà la disoccupazione, crescerà il tasso di occupazione e vi sarà un'opportunità di sviluppo per le aree del Mezzogiorno. Nonostante ciò, restano sostanzialmente delle aree di dubbio, poiché vi sono dichiarazioni importanti che, qualche volta, appaiono soltanto dichiarazioni di principio.
Le linee di sviluppo dovrebbero essere individuate con maggior precisione, si dovrebbero sciogliere i nodi relativi alle contraddizioni che ancora permangono. Se ciò avvenisse saremmo molto più felici di dare il nostro assenso al documento proposto.
Onorevole sottosegretario, intorno a questo argomento vorremmo sottolineare anche alcune esigenze. Si tratta di esigenze che fanno riferimento alle linee di sviluppo che possono caratterizzare e dare maggiore spinta al Mezzogiorno. Una di queste esigenze fa riferimento alla sicurezza nei cantieri e alla sicurezza delle piccole imprese.

PRESIDENTE. Onorevole Nicolosi, si avvii a concludere.

NICOLÒ NICOLOSI. Signor Presidente, visto che il tempo è tiranno faccio un'ultima considerazione. Io sono un deputato siciliano facente parte di un movimento regionale chiamato «Nuova Sicilia» e, per questo, particolarmente interessato a che gli obiettivi della regione vengano salvaguardati. Inoltre, recentemente - due mesi fa - sono stato eletto sindaco di Corleone, che è certamente un paese difficile situato in un'area difficile. In questo DPEF si parla di relazioni, di infrastrutture, di trasporti, di collegamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Nicolosi...

NICOLÒ NICOLOSI. Guardate che quelle zone in cui vi è una particolare difficoltà ambientale, se non registrano elementi di novità, di modernità, che sono dati dai collegamenti, dalle relazioni, dalla cultura - che può intervenire nei rapporti che si creano tra aree ed alle aree -, quelle regioni, quei luoghi registreranno sempre una condizione di difficoltà da cui sarà difficile uscire.
Il Governo avrà la necessità di prendere in considerazione tutto ciò, così come l'Assemblea negli atti che dovrà compiere per aiutare queste zone a crescere e a svilupparsi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, quando - come sta accadendo oggi e come è avvenuto nei giorni scorsi in ogni Commissione - si discute di argomenti come quello relativo al DPEF riguardante la manovra di finanza pubblica che investe ogni settore della nostra economia, con le relative implicazioni di ordine sociale, risulta del tutto normale che tra maggioranza ed opposizione si accentuino le differenze, si animi il contraddittorio e il confronto e i toni diventino duri, aspri, polemici. Vi è lo scontro tra due concezioni economiche e sociali, tra due filosofie, tra due progetti alternativi: è sempre stato così. Ciò è dimostrato dalle migliaia di pagine di resoconti stenografici risalenti ai decenni passati. Tutto ciò viene quasi imposto dalle circostanze, dai ruoli. È mai accaduto che l'opposizione, in un


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qualsiasi momento della storia, abbia, non dico espresso apprezzamenti sull'operato del Governo e della maggioranza, ma riconosciuto loro anche un solo elemento positivo, qualche aspetto da salvare? È davvero molto difficile. Ieri le critiche e le condanne dovevano partire da destra a sinistra, oggi accade il contrario quasi con lo stesso impeto, con uguale passione, con identica attenzione.
Che ciò accada è normale, oserei dire un bene. È compito dell'opposizione criticare, controllare, incalzare, tenere continuamente sotto esame la maggioranza per costringerla ad operare bene, ad adottare scelte giuste, a non commettere errori e a guardare solo all'interesse generale della nazione. Ciò che stona, invece, e che non si può accettare, perché denota uno stato di arretratezza politica e culturale, nonché uno scarso tasso di civiltà è quando una parte non vuole accettare e riconoscere l'altra o, peggio, quando chi ha perso una libera e democratica competizione elettorale non si dà pace della propria sconfitta; non l'accetta e cerca di delegittimare, di demonizzare chi il popolo ha chiamato a governare. Sono i comportamenti, fortunatamente isolati e circoscritti di questa parte, che sono censurabili e nulla aggiungono alla dialettica, al confronto e alla democrazia.
Ho chiesto di intervenire in questo dibattito per esprimere il mio modesto, ma senz'altro positivo giudizio sul DPEF, presentato dal Governo, in cui si ritrovano e, ulteriormente si concretizzano, tutte le politiche di sviluppo economico e civile, messe in campo in questo primo scorcio di legislatura. È un ulteriore importante passo in avanti nella realizzazione di quel contratto con gli italiani che il centrodestra ha sottoscritto prima del voto e che non vogliamo, in alcun modo e per nessun motivo, permetterci di tradire perché, cammin facendo, ha enormemente allargato la sua area di consenso, evolvendo in questo storico patto per l'Italia che è stato condiviso e sottoscritto da 36 grandi organizzazioni imprenditoriali e sindacali su 37, ivi comprese le rappresentanze della maggioranza complessiva del lavoro dipendente sindacalizzato e di importantissime sigle storicamente legate alla sinistra.
Non vi è stata la spaccatura del sindacato: non è stata operata dal Governo una scelta che portasse alla spaccatura del sindacato; semmai, come ha detto bene l'onorevole Nicolosi, è stata la CGIL, con la sua posizione conservatrice, a tirarsi fuori e a non accettare il giudizio che altre forze sindacali hanno voluto esprimere.
All'interno di questo grande progetto di sviluppo e di innovazione del sistema Italia, limiterò la mia attenzione alle positività e alle potenzialità dell'importante capitolo dedicato alle politiche agricole che rappresenta, peraltro, il naturale sbocco del collegato di pari materia alla finanziaria 2001, inserendosi, come quest'ultimo, nel solco tracciato dal programma di Governo per la legislatura approvato dagli italiani. Una grande forza di libertà e di moderazione è quella delle campagne alla cui mobilitazione si deve il consolidamento nel nostro paese della democrazia occidentale negli anni duri del dopoguerra e della grande ricostruzione e che oggi, giustamente, ci chiede di porre riparo ai troppi errori e alle troppe inadempienze ed imprevidenze di una lunga stagione nella quale è sembrato che le si volesse far pagare il prezzo di questa sua scelta storica contro il collettivismo e le sue derivazioni.
Con essa, e segnatamente con le sue componenti meridionali che sono oggettivamente e non certamente per proprie responsabilità le più in difficoltà, dobbiamo onorare l'impegno assunto dal Presidente Berlusconi quando individuò nelle tre «t»: terra, turismo e teste; le stelle polari di un nuovo meridionalismo che, finalmente, puntasse sulla valorizzazione concreta delle grandi vocazioni naturali e socioculturali del sud. Da qui, il grande progetto contenuto nel capitolo dedicato alle politiche agricole del DPEF che mira al rafforzamento delle condizioni di competitività del nostro sistema agroalimentare con una strategia complessiva e coerente che punti ad una soluzione non


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soltanto emergenziale, ma anche e soprattutto strutturale dei problemi della nostra agricoltura, attraverso la promozione più incisiva di un grande processo di modernizzazione in direzione della massima valorizzazione della superiore qualità dei nostri prodotti. Un progetto che, particolarmente nel Mezzogiorno, deve misurarsi con gravi carenze infrastrutturali che vanno dalle reti idriche all'obsolescenza della rete dei trasporti e che rendono ancora più insostenibili, per gli imprenditori agricoli, le problematiche relative, per esempio, al carico fiscale e contributivo o alle difficoltà di accesso al credito e all'elevatezza dei suoi costi, di fatto, deprivando il settore non soltanto di margini decenti di profitto, ma, addirittura, delle condizioni stesse di sopravvivenza.
Certo è che grava sull'agricoltura meridionale, in questi tempi per essa drammatici, un incredibile sommarsi ed aggrovigliarsi di fattori di crisi che vanno dalla mancata tutela dei suoi prodotti, dalla concorrenza feroce dei paesi extracomunitari, dalle conseguenze sempre più devastanti della storica debolezza italiana sui tavoli comunitari, fino ai disastrosi effetti di politiche pubbliche, ad un tempo punitive ed inefficienti: punitive, per esempio, in materia fiscale, parafiscale e contributiva, con continui e spesso ingiustificati salassi da corpi sempre più esangui e con sciagurate scelte di distruzione generalizzata, quali quelle di cui alla famigerata cartolarizzazione, di contributi previdenziali pregressi, sovente nemmeno dovuti; inefficienti per esempio in materia di approvvigionamento idrico, con riferimento alla quale molti anni sono stati perduti dai governi passati ed oggi sembra quasi che sia in atto una diabolica nemesi nei confronti del grande ammodernamento dell'agricoltura meridionale, che comunque era riuscita a darsi, grazie soprattutto alla straordinaria crescita culturale ed imprenditoriale dei suoi addetti, attraverso la realizzazione a marce forzate dell'antico sogno dell'irrigazione.
Forse è arrivato il momento di domandarci se sui grandi temi di interesse nazionale, quale quello della realizzazione delle grandi reti necessarie alla vita delle popolazioni, non debbano anche riconsiderarsi taluni eccessi del federalismo che provocano un accentuarsi invece che una riduzione della burocratizzazione del sistema e che consentono a taluni italiani di negare persino l'acqua ad altri italiani o comunque di lesinarla e di contrattarla all'infinito, costringendo il Governo centrale a defatiganti, e sovente, inconcludenti trattative con governatori più o meno riottosi, con regioni che passano da un'alluvione all'altra ed altre che si desertificano sempre di più.
Al documento di programmazione economico-finanziaria bisogna dare atto peraltro di avere centrato i problemi dell'agricoltura meridionale e di averne impostato le soluzioni in un'ottica positiva di promozione di una imprenditorialità messa in condizione di realizzare margini accettabili di profitto e non soltanto di mendicare la propria sopravvivenza, operando sia sul versante delle inutili angherie della mano pubblica, ivi compresi i troppi vincoli, non soltanto in materia di mercato del lavoro, che sovente impediscono anche le migliori iniziative di sviluppo e che contribuiscono a scoraggiare il necessario ringiovanimento del mondo agricolo, sia su quello delle pubbliche inefficienze, a partire dalle tematiche infrastrutturali.
Sono passaggi, questi, senza i quali avrebbe scarso respiro il grande disegno della promozione di un'agricoltura di qualità, anche e soprattutto a garanzia del consumatore ed una conseguente ed adeguata strategia di marketing volta a trasformare la nostra qualità in fattore di crescita della nostra capacità di conquista dei mercati. Sono passaggi - e mi avvio alla conclusione - che presuppongono immediatamente politiche di emergenza che operino sia a livello delle carenze infrastrutturali sia in direzione di non più rinviabili sgravi fiscali contributivi e sostegni finanziari e creditizi capaci di far sopravvivere l'agricoltura, segnatamente quella meridionale, finché non la si metta


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finalmente nella condizione di riprendere a vivere, crescere e competere autonomamente.
Rispetto a tutto questo, conforta la certezza che nel Governo del paese alberga finalmente la filosofia giusta in materia di agricoltura, a partire dalla consapevolezza della sua assoluta centralità nello sviluppo equilibrato del paese e del suo tenore di vita che il documento di programmazione economico-finanziaria detiene in pieno.
È una filosofia positiva, costruttiva, innovativa e comprensiva sulla quale dobbiamo e possiamo costruire non soltanto per il nostro mondo delle campagne, ma anche e soprattutto per l'intero paese di cui tale mondo è componente e supporto decisivo; una grande stagione di riscatto che sulla «t» di terra costruisca, anche in un mondo nuovo ed in una tumultuosa evoluzione, un rapporto vitale con le più solide radici della nostra stessa civiltà che serva a consolidare, restituendo energia e fiducia al nostro meraviglioso mondo contadino, la stessa tempra morale di tutta la nazione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e dell'UDC (CCD-CDU)).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Visco, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giuseppe Drago. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE DRAGO. Grazie signor Presidente, onorevole viceministro, onorevoli colleghi. Mi limiterò ad alcune riflessioni su come il progetto Mezzogiorno è affrontato nel Documento di programmazione economico-finanziaria da parte del Governo, anche perché ritengo (per fortuna il DPEF lo dimostra) che il Mezzogiorno continua ad avere un ruolo centrale e strategico nelle azioni per lo sviluppo del paese.
L'Italia ha bisogno di un sud forte perché il paese non cresce se non si sviluppa il Mezzogiorno. È bene che questo concetto entri nella mente di tutti: di destra, di centro e di sinistra. E soprattutto entri nella mente di quanti del sud non sono; anche perché penso che ormai si sia esaurito quel modello di sviluppo che ha visto il sud soprattutto e fondamentalmente come un luogo di consumi e non di produzione ed anche come luogo in cui si raccoglievano i risparmi; il sistema creditizio italiano raccoglieva i risparmi che puntualmente poi venivano investiti in altre parti del paese. Questo modello di sviluppo si è esaurito per cui conviene a tutti - conviene al nord, così come al centro ed al sud - che finalmente si possano mettere in atto quelle politiche che possono realmente, concretamente, ridurre il divario tra il nord e il sud del paese.
Gli obiettivi del DPEF dello scorso anno sono stati parzialmente confermati; sono contento che sia qui presente in Aula il viceministro Baldassarre, perché proprio lo scorso anno avevamo affermato alcune cose sul Mezzogiorno. Alcune cose non sono state realizzate e certamente lo scenario internazionale non ci ha aiutato; è anche vero, però, che l'obiettivo di crescita del 3 per cento nei prossimi anni deve essere raggiunto ed è un obiettivo di crescita per il Mezzogiorno certamente maggiore rispetto a quello del nord e maggiore rispetto a quello della media della crescita europea. È difficile ciò? A mio avviso sì, ma ritengo che sia possibile.
In questi anni il sud è cresciuto; non lo ha fatto in modo tale da eliminare il gap esistente, ma comunque è cresciuto. Vi sono però degli indici preoccupanti rilevati da importanti istituti sia nel 2001 sia in questo primo trimestre del 2002. Non sto qui a ricordarli - li conosciamo tutti - cito soltanto un dato: nel Mezzogiorno è aumentata la natalità ma sono diminuiti i residenti; guarda caso, diminuisce il numero dei cittadini residenti nel Mezzogiorno nella fascia di età sopra il venticinquesimo anno e, guarda caso, si tratta di giovani scolarizzati, laureati, cioè quei giovani per i quali le famiglie del Mezzogiorno hanno speso parecchio per fornire loro un avvenire, per dare loro una formazione adeguata.


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Ciò vuol dire che questi giovani scolarizzati, formati, in possesso di una laurea e con una formazione post-laurea, non riescono a trovare una collocazione nel mercato del lavoro del sud rispetto ai nuovi mestieri, ai nuovi lavori, ossia rispetto ai processi di innovazione tecnologica obiettivamente in corso, non solo nel Mezzogiorno, ma anche in tutto il paese.
Questo DPEF contiene le misure per realizzare una crescita adeguata alle esigenze del Mezzogiorno? Certamente. Votiamo a favore di questo DPEF perché si prevedono cose importanti: risorse finanziarie, sia ordinarie sia aggiuntive per il Mezzogiorno; il fondo nazionale per lo sviluppo; il rafforzamento delle intese istituzionali e degli accordi di programma quadro con le regioni; il credito di imposta, cumulabile - lo speriamo - con la «Tremonti»; una nuova registrazione - chiamiamola in questo modo - della programmazione negoziata con il finanziamento dei patti non finanziati, così come previsto nel patto per l'Italia, siglato con le forze sociali; un ruolo fondamentale ai contratti di programma anche relativamente alla possibilità di delocalizzare l'imprenditoria dal nord verso il sud con una nuova mission territoriale nei confronti di Sviluppo Italia.
Mi avvio a conclusione, signor Presidente, affermando che la competitività di un territorio - è questo il punto - dipende dalle sue infrastrutture, sia materiali sia immateriali. Il dato è il seguente: in quest'ultimo anno, anziché diminuire, il gap aumenta. Abbiamo registrato un calo degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno: meno 4 per cento rispetto a un più 4,8 per cento del centronord, proprio relativamente alle infrastrutture, non perché non siano state destinate risorse al Mezzogiorno ma perché non si è saputo spendere! Non abbiamo potuto assistere alla fase della realizzazione delle infrastrutture. La lacuna che, a nostro avviso, è presente in questo documento è la seguente: non si affronta in modo adeguato la riforma delle procedure, perché di procedure al sud si muore. Al sud si passa, di anno in anno, senza realizzare le importanti infrastrutture che sono la precondizione per determinare uno sviluppo ordinato, stabile e duraturo (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (CCD-CDU)).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Turco, iscritta a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, l'onorevole Pagliarini ha svolto, all'inizio del suo intervento, un ragionamento singolare, perché, parlando del debito pubblico, ha attribuito le responsabilità storiche ai cosiddetti cattocomunisti.
Mi sono interrogato sul significato di quest'affermazione. Se guardiamo l'andamento dei conti pubblici, costatiamo la presenza di un'impennata dell'indebitamento durante i governi di pentapartito. Non so cosa abbiano a che fare i cattocomunisti con ciò. L'onorevole Pagliarini dovrebbe spiegarci a chi si riferisce e chi siano questi cattocomunisti.
Signor Presidente, ricordo che, negli anni settanta e ottanta, si aprì una polemica e il rimprovero era esattamente l'opposto: ai cattocomunisti si rimproverava di predicare austerità, rigore e via dicendo. Forse l'onorevole Pagliarini dovrebbe guardarsi intorno per capire, nella sua coalizione, chi effettivamente ha contribuito al peggioramento di questa situazione relativa al debito accumulato nel corso degli anni.
Credo che, in realtà, l'onorevole Pagliarini abbia voluto ampliare la tesi di Tremonti sul buco, aggiungendo qualcosa: Tremonti ha affermato che c'è il buco, che c'è l'extradeficit; allora, l'onorevole Pagliarini ha sentito il bisogno di fare un ragionamento di portata più vasta.
A voler essere seri, per quanto ci riguarda, dobbiamo fare riferimento ai tempi in cui abbiamo avuto responsabilità di Governo e di maggioranza, dirette ed indirette: con i governi presieduti da Ciampi e Dini e, successivamente, in maniera


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diretta, con i governi Prodi, D'Alema e Amato.
In particolare, vorrei segnalare al viceministro Baldassarri un fatto di stile. Quando Prodi divenne Presidente del Consiglio, non innalzò il muro del pianto e non disse: guardate che situazione abbiamo trovato! Indicò all'Italia l'obiettivo di entrare in Europa. Ebbene, siamo entrati nell'euro partendo da una situazione disastrata, dal punto di vista del debito, che ha comportato uno sforzo gigantesco da parte del paese.
Ormai, trovo patetico che, in ogni occasione, si parli dell'extradeficit! Ieri, il ministro Tremonti ha insistito ancora su questa tesi in Commissione bilancio. La mia opinione è che non si debba rispondere più a queste dichiarazioni polemiche perché, se aveste veramente trovato l'extradeficit, oltre che denunciarlo, avreste potuto aggredirlo con manovre correttive serie. Proprio il fatto che non siano state compiute operazioni di siffatto genere dimostra che ci troviamo di fronte, quasi esclusivamente, ad iniziative di tipo propagandistico.
Voglio toccare, però, un punto che, leggendo il DPEF, mi è parso centrale. La verità è che non siete in grado di mantenere ciò che avevate promesso in campagna elettorale! Un altro punto sul quale credo occorra riflettere - su ciò sarebbe interessante aprire un confronto - è che esprimete una classe dirigente che è ancora figlia di quelle politiche interamente mirate alle manovre svalutative. In sostanza, non vi siete dimostrati pronti alla sfida dell'euro e della nuova competitività internazionale. Questo mi sembra il rilievo più serio e fondato che possiamo fare.
Lo dico perché il DPEF dell'anno scorso, signor viceministro, non era un documento troppo ottimista, al quale è stato contrapposto un ragionamento pessimista: era un documento provinciale, che non teneva conto della nuova fase nella quale anche l'Italia era entrata. Nella discussione dello scorso anno, trovai significative alcune affermazioni del ministro Tremonti (ed anche di altri). Sembrava che, di fronte ad un rallentamento, aggravatosi ancora di più con la finanziaria approvata dopo l'11 settembre, l'Italia potesse avere un livello di crescita estremamente più alto di ogni altro paese industriale avanzato, perché sarebbero state prese le misure dei cento giorni.

PRESIDENTE. Onorevole Michele Ventura, le ricordo che le resta soltanto un minuto.

MICHELE VENTURA. Quella sarebbe stata la miscela che avrebbe consentito il decollo pieno del nostro paese. Noi ci troviamo di fronte ad una situazione che dimostra clamorosamente che tutte quelle previsioni erano sbagliate. Voi avete dimezzato tutte le previsioni in questo nuovo documento di programmazione economico-finanziaria e le audizioni hanno dimostrato che non vi è tutto quel consenso che voi qui cercate di rappresentare, perché anche coloro che hanno firmato il patto per l'Italia hanno sollevato una serie di obiezioni fondate. Abbiamo avuto un'audizione con la Corte dei conti, che consiglio a tutti i colleghi della maggioranza di leggere con attenzione, abbiamo avuto un Governatore della Banca d'Italia, assai più prudente dell'anno scorso, che alla domanda ha risposto: dei conti ne parleremo ad ottobre. L'anno scorso sprizzava ottimismo da tutti i pori. Ma è sulla base - e concludo, Presidente - di quella ispirazione alla quale facevo riferimento, propria di una classe dirigente abituata a far vivere il paese soprattutto in funzione di manovre svalutative, che questo DPEF non è all'altezza di proporci niente di nuovo. Infatti, è estremamente debole su tutta la parte della ricerca e dell'innovazione tecnologica. Mi riferisco all'immissione di una dose massiccia di innovazione tecnologica per innalzare il livello della nostre produzioni e per competere con i paesi più sviluppati, perché questo manca. È quindi carente sulla formazione, mentre la sfida fondamentale sta su questo terreno, e noi insisteremo ancora quando si discuterà della finanziaria, perché questa mi sembra la sfida vera e reale.


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Ho iniziato con l'onorevole Pagliarini, vorrei concludere con l'onorevole Pagliarini. Egli ha detto: qui esiste una questione, perché altrimenti ci facciamo propaganda tra noi: manca la devolution, o come ci viene suggerito più correttamente, la devoluzione; mancano le risorse per la finanza locale.
Al riguardo, so che anche alcuni colleghi della maggioranza sono sensibili. Noi obbligheremo, come accaduto già nel 2002, i comuni ad accentuare la pressione fiscale per far quadrare i bilanci e garantire i servizi; quella è una cosa da affrontare e da risolvere. Pagliarini riflette sul fatto, e con lui tutti quelli che in quello schieramento hanno creduto al decentramento, alla devoluzione, che ci troviamo di fronte probabilmente al Governo più centralista della storia della nostra Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.

LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, signor sottosegretario di Stato, colleghi, ho chiesto la parola per porre all'Assemblea e al Governo una questione, o meglio la questione della montagna, la questione di chi vive ed opera in montagna e che interessa direi gran parte del nostro territorio nazionale.
Signor Presidente, pensavo, speravo che il documento di programmazione economico-finanziaria si soffermasse su questa questione, quanto meno, se non per convinzione, per rispetto dell'ONU, che ha dichiarato il 2002 «anno internazionale delle montagne». Mentre in Italia, come negli altri paesi, si è costituito un organo esecutivo per dar seguito a questo importante momento, mentre un gruppo di parlamentari ha costituito l'intergruppo parlamentare «amici della montagna», mentre la comunità locale, la società civile si è organizzata e si sta organizzando per celebrare al meglio questa importante ricorrenza, il Governo non fa cenno nel DPEF di ciò, ossia nel più importante strumento di raccordo politico tra il Governo e il Parlamento che, con la legge finanziaria, ne determina le politiche di programmazione economica. Infatti, la montagna è produttrice di risorse, di risorse importanti ed indispensabili per il benessere dell'umanità. Ne cito alcune: la biodiversità, l'acqua, l'energia.
La politica verso la montagna ha bisogno di una forte presa di coscienza da parte di tutti.
Coloro che vivono ed operano in montagna rifuggono dalle sovvenzioni e dall'assistenzialismo, ma pretendono, Presidente e colleghi, una politica di sostegno che permetta di combattere lo spopolamento della montagna, di avere un reddito che permetta a coloro che vi vivono una vita decorosa ed un futuro certo per i propri figli. Ebbene, di tutto ciò non vi è traccia nel documento di programmazione economico finanziaria. Certo nel DPEF, a pagina 95 (per coloro che vogliono prendere nota) si accenna all'osservatorio della montagna, ma, direi, sarebbe stato ovvio - o, ancora di più, evidente - che venissero indicate le strategie, le politiche e le risorse finanziarie disponibili per interpretare il nuovo corso normativo riguardante la montagna.
Sarebbe stato necessario ed opportuno che il Governo indicasse, quanto meno, le direttrici di riforma della legge n. 97 del 1994, nota come la legge sulla montagna; sarebbe stato necessario ed indispensabile che il Governo chiarisse l'atteggiamento che assumerà in campo europeo alla vigilia dell'allargamento dell'Unione per ottenere, diremmo finalmente, dalla Commissione europea una direttiva per la montagna, dato che vi è assoluto bisogno che le peculiarità della montagna trovino un proprio approdo normativo e che si distinguano dalle normative concernenti le altre zone svantaggiate. A tale proposito è ormai evidente che intervenire a sostegno della montagna significa introdurre deroghe a principi comunitari, in modo particolare nel settore dell'agricoltura e della


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zootecnia di montagna, nonché nella politica turistica che risulta essere una delle sfide vincenti per garantire un reddito decoroso a chi vive ed opera in montagna.
Sarebbe stato utile che il DPEF fosse stato pensato ed articolato tenendo in debita considerazione la modifica del titolo V della Costituzione, intervenuta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che pratica, finalmente, se non il federalismo, quanto meno un autonomismo avanzato basato sul principio di sussidiarietà. Sarebbe stato utile dare seguito al richiamo, più volte ripetuto, del Presidente della Repubblica in merito alla necessaria attenzione che il legislatore deve avere nei confronti dei piccoli comuni, quasi tutti montani. In proposito è già incardinato, alla Camera (più precisamente presso le Commissioni bilancio e ambiente) l'esame di una proposta di legge a prima firma Realacci, in merito alla quale non si ha, ancora, la fortuna di sapere quale sia l'atteggiamento del Governo.
Di tutto questo non vi è nulla nel DPEF, anzi, il richiamo cui ho fatto cenno sembra una presa in giro, assume, direi, quasi tono canzonatorio. Spero che il Governo tenga presente queste riflessioni e corregga il tiro, quanto meno per pudore. Spero che i colleghi della maggioranza prendano nota di questa nostra riflessione ed intervengano di fronte all'inattività del Governo inducendolo ad una integrazione del DPEF che risulta, non solo necessaria, ma politicamente ovvia.
D'altronde i colleghi della maggioranza e del Governo non potranno non notare che anche il mio intervento, come tutti quelli che mi hanno preceduto, formulati dall'opposizione parlamentare, sono, certo, di critica - anche tagliente -, ma tutti caratterizzati da un assoluto spirito costruttivo ed atti a colmare gravi negligenze, non solo metodologiche, ma anche politiche, risultanti da clamorose lacune del documento di programmazione economico finanziaria. Sembra quasi che questo importante passaggio parlamentare sia vissuto dal Governo e dalla maggioranza come un mero adempimento privo di sostanza e di valore (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. La Presidenza autorizza la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna dell'intervento dell'onorevole Paolone.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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