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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l'11 aprile 1997, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno, che le Commissioni III (Affari esteri) e VII (Cultura) hanno approvato ai sensi dell'articolo 79, comma 15, del regolamento.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione del disegno di legge è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori (vedi resoconto stenografico del 27 giugno 2002).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la III Commissione, onorevole Malgieri.
GENNARO MALGIERI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, signora sottosegretario, colleghi, nella mia relazione comprenderò anche la relazione che avrebbe dovuto svolgere l'onorevole Angela Napoli per la VII Commissione e che, purtroppo, è assente per un grave lutto che l'ha colpita.
La convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella Regione europea è da considerarsi come una tappa decisiva verso l'integrazione culturale continentale alla quale scarsa attenzione viene normalmente dedicata dai parlamenti e dai governi europei, quando invece, a mio avviso, dovrebbe essere il presupposto dell'integrazione politica ed economica: integrazione difficile e problematica, come tutti quanti sappiamo, proprio perché, contrariamente a quanto auspicavano gli europeisti della prima ora, ai fondamenti culturali dell'unione continentale non si è ritenuto, nei decenni passati, di conferire l'importanza dovuta.
La Convenzione adottata a Lisbona l'11 aprile 1997 è stata firmata dall'Italia il 24 luglio 1997 ed è entrata in vigore il 1o febbraio 1999. Attualmente ne fanno parte 28 paesi.
La valenza culturale della convenzione si riscontra nel modo stesso in cui la stessa è stata concepita. Non è un caso, infatti, che due istituzioni particolarmente attente alle questioni della cultura e della difesa dei diritti dell'uomo e dei popoli quali il Consiglio d'Europa e l'UNESCO abbiano congiuntamente elaborato l'idea di tale convenzione in uno scambio epistolare avvenuto tra il Segretario generale del Consiglio d'Europa ed il Direttore dell'UNESCO nel 1992 (una modalità sicuramente originale, mi permetto di aggiungere positivamente originale). Sono seguiti poi scambi e studi di fattibilità tra le stesse istituzioni, fino all'esito di Lisbona.
La platea alla quale la convenzione si rivolge è molto ampia, comprendendo i paesi aderenti al Consiglio d'Europa (attualmente sono 44, l'ultimo entrato a far parte di tale organismo è stata la Bosnia-Erzegovina, divenuta membro solamente due mesi fa) e costituenti la Regione europea (mi permetto di ricordare che per Regione europea si intende l'area dell'Europa propriamente detta allargata agli Stati Uniti, al Canada ed all'Australia).
La convenzione realizza uno strumento giuridico completo ma anche molto complesso ed articolato, in quanto comprende
precedenti accordi e convenzioni in materia di riconoscimento dei titoli di studio tra gli stati membri del Consiglio d'Europa; allo stesso tempo, essa però rappresenta anche una sorta di testo unico che semplifica e chiarisce le precedenti disposizioni normative al fine di adeguare alle nuove esigenze le disposizioni varate in materia sia dal Consiglio d'Europa sia dall'UNESCO negli ultimi due decenni.
La convenzione che il nostro paese è chiamato a ratificare si fonda su alcuni presupposti culturali che la giustificano e sui quali non è possibile non concordare o avanzare soltanto delle riserve. Il primo presupposto è l'importanza dell'istruzione superiore nei diversi ordinamenti, evocata in molti provvedimenti di carattere internazionale ratificati da tutti i paesi europei; il secondo è rappresentato da una formazione europea che possa attingere alle diverse esperienze nazionale, le quali devono essere viste come fonti di ricchezza. In terzo luogo, la facilitazione della mobilità accademica attraverso il giusto riconoscimento dei periodi e dei titoli di studio, che non pregiudichi comunque il principio di autonomia delle istituzioni universitarie (quest'ultimo è un punto estremamente qualificante della convenzione). Da ciò discende la considerazione, richiamata dal documento, secondo la quale la parte interessata - per parte in questo caso si intende lo Stato interessato - riconoscerà i titoli di studio rilasciati da altre parti - cioè da altri Stati - e che soddisfano i requisiti generali di accesso all'insegnamento superiore in quelle parti ai fini dell'accesso ai programmi compresi nel suo sistema di insegnamento superiore, a meno che non sussistano sostanziali comprovate differenze tra i requisiti di accesso nel paese che ha rilasciato il titolo di studio ed in quello in cui si chiede il riconoscimento dello stesso. È questo il cuore della convenzione, in cui sono contenuti tutti i caratteri ispiratori del provvedimento: le sinergie, la reciprocità, l'autonomia, la responsabilità dei governi, dei parlamenti e delle istituzioni accademiche e culturali.
Se certamente non si può parlare di un tentativo di uniformare gli ordinamenti, si deve comunque riconoscere che la convenzione ha aperto la strada all'integrazione degli stessi, fatto salvo il principio della salvaguardia della specificità di ognuno di essi. Le prime tre sezioni - delle undici in cui si articola il documento e che qui, sinteticamente, devo illustrare - offrono le chiavi di lettura della convenzione, attraverso la proposta di una serie di definizioni che contribuiscono a rendere intellegibile la materia, anche se poi si soffermano in una costruzione che, come ricordavo prima, è assai complessa.
In particolare, per quanto riguarda la competenza delle autorità, è fatto obbligo a ciascuna parte di comunicare, ad uno dei due depositari della convenzione (il segretario generale del Consiglio d'Europa o il direttore dell'UNESCO), quali siano le autorità competenti a formalizzare il riconoscimento dei titoli. Si precisa poi che le disposizioni contenute nella convenzione non pregiudicano in alcun modo le previsioni più favorevoli in materia di riconoscimento che risultano da un accordo bilaterale o multilaterale che interessi le parti, sia esso già esistente o non ancora concluso. Si tratta di un aspetto importante, credo, di democraticità degli ordinamenti, recepito nelle teorie comunitarie più avanzate. Il provvedimento in esame, dunque, non è esclusivo o, come potrebbe apparire a prima vista, totalmente assorbente.
Circa i criteri per la valutazione dei titoli, ciascuna parte si impegna ad adottare i provvedimenti relativi alle richieste di riconoscimento, considerando soltanto le conoscenze oggettive e le capacità dell'interessato, senza discriminazioni di nessun tipo, siano esse riferite al sesso, alla religione, alla cultura o all'appartenenza etnica. Si tratta, dunque, di criteri improntati alla trasparenza, alla coerenza e all'affidabilità.
Quanto agli obblighi derivanti dalla Convenzione, chi è interessato ad ottenere il riconoscimento di un titolo di studio superiore, è tenuto a fornire veritiere ed adeguate informazioni alle autorità competenti
per l'esame della sua richiesta, così come analogo obbligo attiene agli istituti di istruzione, che devono fornire informazioni pertinenti entro un lasso di tempo ragionevole.
Esiste, poi, un obbligo generale, che attiene tanto ai singoli quanto agli istituti, per cui ciascuna parte è tenuta, tramite i centri nazionali di informazione, a garantire che vengano fornite adeguate e chiare informazioni sul proprio sistema di istruzione. Si tratta di un aspetto centrale ed importante per la serietà e la verificabilità della idoneità dei titoli che si intendono riconoscere o far riconoscere.
Dalle disposizioni contenute nella IV sezione si evince che il riconoscimento non è automatico né privo di clausole da parte dello Stato al quale viene richiesto il riconoscimento stesso. A tale riguardo, mi sembra opportuno sottolineare l'articolo 5 della sezione IV, che è stato proposto dall'Italia e si fonda sul diritto di reciprocità, che stabilisce che nei casi in cui, nella parte che ha rilasciato diplomi di scuole secondarie, questi diano accesso all'insegnamento superiore solo se si superano ulteriori esami di ammissione, le altre parti possono concedere l'accesso se tali requisiti vengono soddisfatti, ovvero offrire un'alternativa per poterli soddisfare nell'ambito dei loro sistemi di istruzione. Ogni Stato, la Santa Sede o la Comunità Europea, al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, ovvero in qualsiasi momento successivo, possono comunicare ad uno dei depositari che si avvarranno delle disposizioni del presente articolo, specificando quali sono le parti nei confronti delle quali si intende applicarle, spiegandone altresì le motivazioni.
Si esclude, quindi, la deroga a quanto stabilito negli ordinamenti e nelle legislazioni dei paesi per i quali viene richiesto il riconoscimento del titolo.
La sezione V contempla, tra l'altro, la questione dei casi di agevolazione, ossia quei casi in cui i riconoscimenti di titoli di studio possono essere agevolati dall'una o dall'altra parte. In tal senso, l'articolo 3 della sezione V costituisce una sorta di deroga al principio del riconoscimento di periodi di studio compiuti nell'ambito di un programma di insegnamento superiore, anche se in questo caso il limite è rappresentato dalle eventuali differenze di natura sostanziale che possono sussistere tra i sistemi di istruzione delle parti interessate.
Le conseguenze del riconoscimento previste nella sezione VI sono le seguenti: l'accesso ad ulteriori studi di insegnamento superiore e alla preparazione per il dottorato alle stesse condizioni che si applicano ai titolari di titoli di studio della parte a cui si chiede il riconoscimento; l'uso di un titolo accademico; la possibilità di accesso agevolato al mercato del lavoro.
Anche in questo caso il riconoscimento dei titoli può essere subordinato ai requisiti specifici di legislazione nazionale o ad accordi firmati con lo Stato di appartenenza degli istituti stranieri presenti sul suo territorio.
Di particolare rilevanza risultano, altresì, le disposizioni contenute nella sezione VII relative ai rifugiati politici, che conducono ad un ampliamento del riconoscimento dei diritti umani.
La sezione VIII impone alle parti un obbligo di adeguata informazione sulle proprie strutture universitarie e sui programmi di insegnamento.
Sull'obbligo di informazione si sofferma, ancora, la IX sezione, nella parte in cui viene richiesto un sistema trasparente per la descrizione dei titoli di studio.
La sezione X è incentrata sui meccanismi attuativi ed istituisce un meccanismo fondato sui due organi principali che presiedono alla valutazione dei titoli: il comitato della convenzione e la rete europea dei centri nazionali di informazione sulla mobilità accademica ed il riconoscimento (la cosiddetta rete ENIC).
Il comitato della convenzione è costituito da rappresentanti delle parti ed ai suoi lavori possono partecipare, come osservatori, gli Stati dell'Unione europea, la Santa sede ed i rappresentanti di organismi governativi e non governativi che operano nel settore del riconoscimento dei titoli della regione europea.
Tale organo si riunisce almeno una volta ogni tre anni e promuove e verifica l'attuazione della Convenzione adottando a maggioranza raccomandazioni, dichiarazioni, protocolli, modelli guida per le autorità competenti delle parti previa consultazione con la rete europea dei centri di informazione sulla mobilità accademica di riconoscimento. Le decisioni non sono giuridicamente vincolanti per le parti, ma queste si impegnano ad uniformarvisi sottoponendole all'attenzione delle autorità competenti. Il comitato riferisce al Consiglio d'Europa ed all'UNESCO. Il rappresentante italiano, come esplicitato nell'articolo 6 del disegno di legge di ratifica, è designato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministero degli affari esteri.
La rete ENIC è stata istituita con decisione del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa e del comitato regionale per l'Europa dell'UNESCO nel giugno del 1994. In base all'articolo 3 della sezione X nel caso in cui da una parte sia istituito o mantenuto più di un centro nazionale di informazioni tutti saranno membri della rete, ma i centri nazionali di informazioni interessati disporranno di un solo voto.
In base alle clausole finali contenute nella sezione XI l'adesione di nuovi Stati membri dopo l'entrata in vigore, peraltro già avvenuta il 1o febbraio 1999, è soggetta ad una decisione approvata con la maggioranza dei due terzi delle parti. Per quanto riguarda i rapporti con le convenzioni già esistenti in materia è stabilito che le parti della convenzione in esame applicheranno quest'ultima nelle loro relazioni reciproche, mentre continueranno ad applicare le altre nei rapporti con gli Stati che non aderiscono alla Convenzione stessa.
Il comitato istituito dalla convenzione si è già riunito due volte. La prima riunione si è svolta in Lituania il 16 giugno 1999, tre mesi e mezzo dopo l'entrata in vigore della Convenzione, mentre la seconda sessione si è tenuta in Lettonia il 6 giugno 2001. La Commissione europea, nel luglio dello scorso anno, ha presentato una comunicazione relativa alla cooperazione con i paesi terzi nel campo dell'istruzione superiore con l'obiettivo di sviluppare risorse umane di qualità elevata nei paesi terzi e nella Comunità attraverso scambi di studenti e di docenti, nonché di provvedere alla promozione da parte dell'Unione europea di centri di eccellenza per lo studio e la formazione per la ricerca scientifica e tecnologica.
Nello scorso febbraio la Commissione ha presentato un programma transeuropeo di cooperazione per l'istruzione superiore ad una serie di paesi del Mediterraneo: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia. Tale lavoro si inquadra nell'ambito del dialogo euro-mediterraneo del quale si sono avuti esempi nella scorsa legislatura con i colloqui promossi dai parlamentari nazionali e, per l'Italia, dalla Camera dei deputati, ad Atene, a Cipro, in Egitto.
Ricordo, infine, sempre per sottolineare l'importanza dell'integrazione culturale, la recente sessione della commissione cultura del Consiglio d'Europa tenutasi lo scorso aprile a Rabat con la partecipazione di parlamentari dei paesi del Maghreb. Auspico che l'ulteriore passo della convenzione possa essere rappresentato dalla sua estensione a paesi al di fuori dell'area europea per utilizzare la cultura e gli scambi formativi come strumenti per il dialogo con chi è tanto vicino all'Europa eppure, sempre più spesso, viene da noi percepito così lontano.
Molto sinteticamente, signor Presidente, passo ad illustrare il disegno di legge di ratifica approvato dal Senato il 21 marzo 2002 ed avente, appunto, per oggetto la ratifica stessa della convenzione di cui stiamo parlando. Il primo articolo reca, come di consueto, l'autorizzazione alla ratifica ed il relativo ordine di esecuzione della convenzione esposta. Gli articoli da 2 a 5, in particolare, disciplinano le modalità di riconoscimento dei titoli. Per quanto concerne il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all'estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento del titolo universitari italiani,
l'articolo 2, correlato alla seconda sezione della convenzione, rimette la competenza all'autonomia delle università e degli istituti di istruzione universitaria, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia. L'articolo 3, correlato alla sezione III, punto 5, della convenzione, dispone che la pronuncia debba intervenire entro 90 giorni dalla data di ricezione della domanda di riconoscimento.
Inoltre, il punto 5 della sezione III della convenzione prevede la facoltà di ricorso da parte del soggetto, in caso di diniego del riconoscimento ovvero nel caso in cui non venga adottata alcuna decisione; tuttavia poiché tali profili non vengono esplicitati nel disegno di legge, essi sono quindi rimandati ad un regolamento di attuazione.
La convenzione va nel senso di altri atti dello stesso tenore ed è conforme alla normativa internazionale; ricordo infatti che la recente riforma degli ordinamenti didattici universitari, di cui il decreto ministeriale n. 509 del 1999 costituisce uno dei capisaldi normativi, annovera tra i suoi scopi quello di avvicinare il sistema italiano di istruzione superiore al modello europeo, delineato dalle dichiarazioni europee della Sorbona e di Bologna. Tali accordi si proponevano di costruire, entro il primo decennio del 2000, uno spazio europeo dell'istruzione superiore, articolato essenzialmente su due cicli o livelli principali di studio e finalizzato a realizzare in primo luogo, attraverso il consolidamento del sistema dei crediti didattici, la mobilità internazionale degli studenti e la libera circolazione dei professionisti, nonché a favorire il riconoscimento internazionale dei titoli di studio.
Per tutto ciò che concerne le disposizioni attuative, regolamentari e di recepimento della convenzione nel nostro ordinamento, rinvio al testo del disegno di legge e alle preziose e documentate precisazioni fornite, in sede di illustrazione del provvedimento in Commissione, dall'onorevole Angela Napoli.
Mi preme in questa sede soltanto aggiungere che le disposizioni del disegno di legge di ratifica della convenzione non presentano profili di incompatibilità con il diritto comunitario, atteso che si tratta di estendere ai cittadini delle parti contraenti - pertanto anche ai paesi non membri dell'Unione europea - la disciplina del riconoscimento dei titoli universitari stranieri, anche ai fini professionali, così come avviene nel diritto comunitario in applicazione del sistema delle direttive.
Il recepimento della convenzione nel nostro ordinamento intende favorire, mediante modalità di riconoscimento, sia dei periodi sia dei titoli di studio di accesso all'università, disciplinate in modo uniforme, la diffusione delle informazioni relative all'organizzazione dei sistemi universitari nei vari Stati e intende, altresì, stabilire codici di comportamento analoghi, rispetto al riconoscimento dei periodi e dei titoli di studio conseguiti all'estero, basati sul principio della non discriminazione, sul principio di certezza dei tempi di decisione e su quello di motivazione delle decisioni assunte. Dall'attuazione di tale convenzione potrà derivare una maggiore mobilità dei diplomati, degli studenti universitari e dei laureati delle parti contraenti. Non vi è chi non veda come tutto ciò sia più che sufficiente per esprimere una valutazione ampiamente positiva - come del resto si è già manifestato in Commissione - del provvedimento in esame e per chiedere una sua rapida conversione in legge, visto il ritardo accumulato dall'Italia in questa materia.
Concludo informando i colleghi che i pareri espressi dalle Commissioni sono stati tutti positivi; aggiungo che il parere della XI Commissione lavoro (che è stato naturalmente favorevole) è stato espresso con le seguenti due osservazioni. La prima, relativa all'articolo 3, che disciplina le modalità di riconoscimento, da parte delle università e degli istituti di istruzione universitaria, degli studi svolti all'estero, suggerisce che sarebbe opportuno prevedere l'obbligo di motivare il diniego del riconoscimento richiesto; la seconda osservazione, sempre al medesimo articolo 3, sostiene che sarebbe opportuno abbreviare il termine per l'accoglimento o il diniego della domanda di riconoscimento dei titoli,
in modo da favorire un maggiore impulso alla mobilità nel campo dell'istruzione europea.
Concludo dicendo che sollecito i colleghi a presentare in merito un ordine del giorno, che il relatore intende appoggiare e che mi auguro il Governo possa accogliere.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MARGHERITA BONIVER, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Grazie Presidente. Vorrei subito ringraziare il relatore Malgieri per l'ampia e documentatissima relazione per la ratifica di questa convenzione, che intende veramente colmare un ritardo colpevole da parte del nostro paese, accumulatosi in questi cinque anni.
Onorevole Malgieri, non ho molto da aggiungere alla sua relazione, salvo sottolineare, ancora una volta, l'importanza di questa convenzione che sancisce, in modo molto solenne, il diritto all'istruzione come diritto primario della persona e che, attraverso la sua diversa articolazione, mira in sostanza alla progressiva creazione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore che dovrà facilitare al suo interno la comparabilità e il mutuo riconoscimento di percorsi e prodotti formativi, favorendo a livello continentale una più elevata competitività dei laureati europei sul mercato mondiale.
Quindi, è con queste succinte dichiarazioni che il Governo auspica una rapida approvazione del presente provvedimento, preannunciando la disponibilità ad accettare l'ordine del giorno al quale il relatore ha testé accennato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vorrei svolgere alcune brevi considerazioni riservandomi di ampliarle al momento delle dichiarazioni di voto.
Si tratta di un provvedimento al quale il gruppo della Margherita - a cui appartengo - guarda con particolare interesse e condivisione, come peraltro già anticipato in Commissione. Infatti, questo disegno di legge conclude l'iter parlamentare e ratifica atti fortemente voluti dal centrosinistra nell'ultima legislatura, vale a dire la convenzione adottata a Lisbona l'11 aprile del 1997 e firmata dall'Italia il 24 luglio dello stesso anno con l'adesione di 28 paesi.
Parliamo di uno strumento fondamentale per la piena attuazione anche della riforma universitaria e con l'obiettivo di avvicinare e misurare il sistema di istruzione superiore italiano al modello europeo. Ci si augura, dunque, che questo dibattito rappresenti uno stimolo per il Governo, al fine di dimostrare di credere maggiormente e di destinare risorse più adeguate alla scuola italiana, affinché appaia, anche in questo, un po' europea. Penso ai dati preoccupanti che ci giungono, proprio in questi giorni, sull'esame di Stato.
Infine, con questo provvedimento riaffermiamo - sul quale, come ho anticipato, esprimeremo voto favorevole - l'incompiutezza del disegno europeo e l'impegno a completarlo anche e non solo con questo disegno di legge, al quale dunque attribuiamo un importante valore politico e culturale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Alberta De Simone. Ne ha facoltà.
ALBERTA DE SIMONE. Signor Presidente, come è stato rilevato, l'Italia giunge in ritardo all'approvazione della convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore.
La convenzione fu adottata a Lisbona l'11 aprile del 1997, fu elaborata dal Consiglio europeo e dall'UNESCO ed è entrata in vigore a livello internazionale il 1o febbraio 1999. Tale documento si basa su alcuni cardini, che citerò solo per sommi capi, visto che il relatore ha svolto una relazione molto dettagliata.
Il primo aspetto è quello relativo all'importanza fondamentale del diritto all'istruzione, tutelata e riconosciuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Cos'è l'uomo se non ha questa istruzione che gli consente di muoversi ed agire nella società e rispetto agli altri?
Il secondo aspetto riguarda il ruolo dell'istruzione per promuovere la pace, la tolleranza, la comprensione reciproca tra i popoli.
Quindi, gli obiettivi cui è finalizzata l'istruzione mi sembrano quanto mai urgenti, tanto più nel clima di nuova tensione, di nuove paure e di nuova diffidenza che si è creato all'indomani dell'11 settembre, con l'azione del terrorismo internazionale.
La convenzione di Lisbona, con la quale sono state assorbite tutte le convenzioni preesistenti, che - lo ricordiamo - erano sei, si configura come una sorta di testo unico riassuntivo e valido per la bellezza di 28 paesi, come ricordava il collega del gruppo della Margherita prima di me: si tratta dei paesi della regione europea, di tutti i paesi dell'UNESCO, con l'aggiunta di Stati Uniti, Canada ed Australia. Noi riteniamo che la convenzione di Lisbona sia una tappa importantissima, significativa e decisiva e che l'integrazione culturale sia il presupposto dell'integrazione economica e politica.
Qual è il cuore di questo provvedimento e della Convenzione di Lisbona, cui esso si richiama? Favorire le sinergie, la reciprocità, l'autonomia e la responsabilità di governi, di parlamenti, di istituzioni accademiche e culturali. A mio parere, il cuore sta in questo: come indicato esplicitamente, il riconoscimento delle conoscenze oggettive e delle capacità delle persone interessate, sia al fine di proseguire gli studi superiori nelle accademie sia al fine di esercitare la propria professionalità, entrando nel mercato del lavoro, avviene senza discriminazione alcuna, né di sesso né di religione né di cultura né di appartenenza etnica. Questo è un elemento di valore, a mio parere richiamato e rafforzato dalla settima sezione - se non sbaglio - della convenzione, che garantisce tale riconoscimento, alla stessa stregua, ai rifugiati politici, ai profughi e alle persone che versano in condizioni tali da non poter ottenere, anche quando esista, l'atto ufficiale del proprio titolo di studio dal paese in cui è stato conseguito. Si tratta, infatti, di esiliati o di rifugiati politici. In questo caso, è prevista la possibilità di procedure particolari per consentire ugualmente il riconoscimento dei titoli di studio sia al fine del prosieguo degli studi sia al fine dell'esercizio della professionalità.
Trovo che questo provvedimento di ratifica sia un fattore di straordinaria civiltà umana e, anzi, di progresso e rappresenti un passo in avanti verso altri livelli. A questo proposito, vorrei richiamare la legge sull'immigrazione che già conteneva un principio simile, quando sanciva che nessuna differenza può essere fatta in Italia tra il lavoratore straniero ed il lavoratore italiano per quanto riguarda l'accesso alle istituzioni culturali o l'esercizio della propria professionalità.
Mi sono soffermata sugli elementi di valore e di principio piuttosto che sugli aspetti tecnici, per i quali mi richiamo alla dettagliata relazione svolta dall'onorevole Malgieri. Per le ragioni esposte, credo si debba compiere un'accelerazione: stiamo arrivando con molto ritardo all'approvazione della legge che recepisce nell'ordinamento italiano i principi della Convenzione di Lisbona. Il provvedimento in esame prevede un termine di 90 giorni per l'accoglimento del titolo di studio: è già stato predisposto un ordine del giorno in cui si chiede di abbreviare il termine. Mi unisco alla richiesta, perché nessuno si sente di modificare il testo, inviandolo nuovamente al Senato, visto il colossale ritardo in cui siamo.
Dunque, va bene un ordine del giorno in cui si dica, in modo perentorio, che noi siamo a favore di un accorciamento dei tempi. Ma io vorrei aggiungere che anche nell'articolato che ci viene proposto si rinvia a una circolare ministeriale che dovrà definire nel dettaglio quella questione e alla nomina del centro di informazione che dovrà avvenire da parte del Ministero dell'istruzione, sentito il Ministero
degli esteri, con i tre esperti. Ci sono una serie di procedure attuative, anche di tipo tecnico, che rischiano di far perdere ulteriore tempo e per le quali raccomanderei al Governo il massimo della celerità per recuperare il tempo perduto.
Infine, sempre citando il collega della Margherita Rusconi, che chiedeva più risorse per la scuola italiana, credo che ciò significa e vuole significare, almeno nella mia convinzione politica, più amore per la cultura italiana. Questo è forse un punto sul quale, signor Presidente, spesso non facciamo attenzione, perché integrazione non significa sottovalutazione del proprio patrimonio culturale. In questo senso, mi piace ricordare che la lingua e la cultura italiana vengono studiate in tutto il mondo, perché nessuno ha la nostra poesia e le nostre opere - cito per esempio il melodramma - e che la comprensione della lirica o della musica classica richiede la conoscenza della lingua e della cultura italiana. Quindi, questa integrazione, a cui sono assolutamente favorevole, perché è una necessità storica, rispetto alla quale siamo in ritardo e che in ogni caso deve avvenire, non è in contraddizione con l'amore per quello che la cultura italiana ha prodotto e che è giusto che gli altri paesi la conoscano, come è giusto che noi conosciamo il meglio della cultura degli altri paesi.
PRESIDENTE. Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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