![]() |
![]() |
![]() |
TESTO AGGIORNATO AL 12 MARZO 2002
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà.
BARBARA POLLASTRINI. Signor Presidente, colleghe e colleghi,... aspetto un minuto per consentire ai colleghi di uscire.
PRESIDENTE. Prego i colleghi di fare un po' d'ordine, rapidamente. Prego, onorevole Pollastrini.
BARBARA POLLASTRINI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, hanno avuto intelligenza e cocciutaggine le colleghe nel dare un primo approdo alla riforma dell'articolo 51
della Costituzione. Sono grata, siamo grati, come democratiche e democratici di sinistra, alla relatrice, onorevole Elena Montecchi, e con lei alle amiche che nella precedente legislatura - e penso all'onorevole Claudia Mancina - ed ora, nella Commissione affari costituzionali, hanno saputo prestare ascolto e tessere alleanze, tra loro, con le donne delle associazioni e delle competenze, con uomini lungimiranti.
L'atto di oggi rappresenta un piccolo orgoglio per un Parlamento segnato in queste settimane da chiusure, arroganze miopie di una maggioranza ora più debole nel paese. Ed è significativo che questo atto venga dalle donne, per le donne. E viene da donne capaci di un largo consenso trasversale.
Caro Boato, non so se tu sia in aula in questo momento: ho letto il tuo intervento. Penso di essere appassionata almeno come te e in rivolta, forse più di te, per una classe dirigente e per istituzioni retrive, cieche, fragili. Come definire, infatti, chi non capisce, chi non vede che l'indifferenza alle qualità femminili ricade come un macigno sulla sua credibilità e sulla sua possibilità di fare, di sanare una ferita nella democrazia?
Hanno fatto bene le colleghe, anche ieri sera, ad elencare i 68 paesi, uno dopo l'altro, che vengono prima del nostro per percentuali di elette: siamo al 9,8 per cento alla Camera, al 7,7 al Senato. Non è esagerato, non è demagogico parlare di scandalo o di emergenza, come hanno fatto Franca Chiaromonte, Franca Bimbi, Lalla Trupia, Alberta De Simone e tante altre.
Ciò riguarda, seppur in modo minore, le funzioni di direzione nella società che spesso - troppo spesso, secondo me - hanno qualche collegamento con le scelte della politica: mi riferisco alle nomine nei consigli di amministrazione e negli ordini professionali o alle carriere nell'università. Sapete bene che a tante giornaliste, ricercatrici, avvocate o mediche non corrisponde, in quantità proporzionale alle capacità, una presenza nei punti di potere.
Tutto ciò è il sintomo più evidente di una malattia cronica dell'Italia, quella di classi dirigenti poco inclini all'innovazione, ai coraggi, alla mobilità sociale e, soprattutto, poco inclini a selezionare con regole trasparenti sui meriti e la deontologia, poco attente al fatto che un'etica pubblica si costruisce anche su élite diffuse, scelte sulla qualità e l'onestà, così da farne un'ossatura morale che sia di riferimento al paese.
Ma quale è il punto? Mentre la società si muove molto, le donne spingono per la propria libertà e autonomia, non rinunciano, anche a prezzi altissimi, e riescono a imporsi con le loro qualità, tanto da aver mutato il panorama del nostro paese, proprio le istituzioni, la politica, che dovrebbero anticipare ed essere di esempio, procedono a passo di gambero: sono il simbolo dell'arretratezza di un paese, non a caso spesso a rischio di democrazia, debole culturalmente, con una modernità assai ambigua, per non dire in grande parte incompiuta. Ho sentito l'intervento dell'onorevole Elettra Deiana. È vero: c'è una questione democratica e di rappresentanza - ho cercato di dirlo - che non si esaurisce in numeri e quote, ma attiene alla storia di questo paese, alla sua organizzazione sociale, alla sua cultura. Ma oggi, stiamo parlando di un atto, dello spicchio di un programma di cambiamento e, proprio per non fermarci, ora non potevamo rinviare per cercare una soluzione migliore che forse non avremmo trovato. Intanto, io dico, portiamo a casa questo risultato, serio e utile. Vedi cara Valpiana, lo dico anche a te Titti De Simone, questo è il nostro spirito: fare, ottenere e, nello stesso tempo, non accontentarci. Io non vivo la giornata di oggi come una passerella politica ma come un passo in avanti.
Anche io avrei preferito che passasse l'espressione «parità di accesso», scelta dalla Camera nella scorsa legislatura e che mi sembrava indicare più chiaramente il senso della norma. Per questo, abbiamo votato, come avete visto, a favore degli emendamenti presentati dall'onorevole Graziella Mascia, da Marco Boato e altri.
Ma ritengo giusto approvare l'intesa raggiunta a larghissima maggioranza con la volontà e per la volontà di accelerare l'intero percorso di questa riforma e avere finalmente in Costituzione l'articolo 51 mutato. Anche io avrei preferito che una Corte costituzionale, formata per intero da giudici maschi, non cancellasse - all'epoca, intendo dire - quelle norme che finalmente riconoscevano talenti femminili. Anzi, io credo che sarebbe un atto dovuto di questo Parlamento - lo ricordava l'onorevole Franca Chiaromonte - mettere fine a questo paradosso con il prossimo voto e insieme a molte colleghe sentiamo di fare nostro l'appello lanciato da Fernanda Contri, perché almeno un'altra donna venga nominata alla Consulta. Dicevo, non ci siamo rassegnate alla sentenza del 1995: ci siamo sentite sfidate sulla possibilità di unire uguaglianza formale a uguaglianza sostanziale, dei diritti e delle opportunità tra donne e uomini nelle istituzioni e nella sfera pubblica. L'articolo 51 in questa formulazione ha il pregio di inserirsi nell'equilibrio costituzionale esistente, ma si propone di incidere sulle cause che determinano gli squilibri nella rappresentanza. È una norma ombrello, come l'ha definita l'onorevole Montecchi, una copertura, una garanzia per aprire la strada a provvedimenti legislativi (e, io dico, personalmente, anche a quote) e a iniziative sul finanziamento della politica, sul sistema dell'informazione, sul pubblico servizio. Soprattutto, farà cadere ogni alibi di partiti e coalizioni che non vogliono immettere nuove regole nei loro statuti per favorire la partecipazione delle donne alle istituzioni. Infatti, aggiungo che quel vergognoso dato del 9,8 per cento alla Camera non sfiorerebbe neppure il 5 per cento senza l'autoriforma che si erano dati i Democratici di sinistra e gli altri partiti della sinistra.
È un obiettivo che riguarda l'Italia e l'Europa, anche se è più avanti di noi.
Noi vigileremo sulla Carta costituzionale europea perché non venga infangata da concezioni retrive come quelle espresse dall'onorevole Bossi.
Siamo in un nuovo secolo, segnato dalle sfide della modernità, di cui le donne sono protagoniste indomite e ne portano gioie e ferite.
In questo tempo nuovo - tante lo hanno detto con passione ieri sera - siamo entrate a testa alta, protagoniste dell'unica rivoluzione davvero indiscussa.
Le donne hanno scalato montagne, cambiato la loro vita e quella di tutti, allargato la libertà di ognuno, rafforzato il valore della laicità dello Stato, bene per noi irrinunciabile, e non torneranno indietro.
Le giovani donne leggono, studiano, si formano meglio dei loro coetanei; scelgono di lavorare per loro stesse, credono nella deontologia, sono le meno rassegnate a clientele, ricatti, consorterie, umiliazioni. Vogliono regole, trasparenza, legalità. Vogliono farcela e riuscire per i propri meriti e, quando vi sono regole chiare e trasparenti, ne escono davvero a testa alta. Sono donne che non accettano di avere recinti predisposti. Purtroppo, nel nostro paese sono donne anche fanalino di coda, rispetto all'Europa, per mancanza di lavoro al sud. Viceversa, sono ai primi posti per il carico di fatiche e di lavoro di cura in Europa e all'ultimo per numero di figli; e sapete dove ricomincia un trend positivo di natalità? Al nord, proprio fra le occupate e le donne in carriera, quelle che credono e hanno fiducia in un futuro.
È dunque grande il divario tra quanto le donne danno e quanto ricevono dalla politica. In quel divario c'è l'elemento più acuto ed inquietante, rappresentato dalla crisi di rappresentanza delle istituzioni, che appaiono lontane, di pochi per pochi, un club maschile, poco amico delle donne e dei giovani.
Si è parlato della Francia, ma quando chiesero a Jospin il motivo per il quale aveva voluto quella riforma istituzionale che ha permesso di eleggere nei consigli comunali tante donne, egli rispose: non mi aspettavo che le donne votassero a sinistra, speravo in qualcosa di simile a ciò che è avvenuto quando, in Francia, si concesse per la prima volta il voto alle donne; la reazione fu di maggior attivismo, di un
coinvolgimento che comportò nel mio paese una crescita civile, culturale per tutti.
Per quanto ho cercato di dire, per quanto hanno detto tante amiche compagne - anche ieri sera - con passione, slancio ed acutezza, dichiaro che le democratiche e i democratici di sinistra voteranno a favore della riforma che ci è stata presentata durante queste giornate (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di Forza Italia, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bertolini. Ne ha facoltà.
ISABELLA BERTOLINI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, Forza Italia esprimerà in modo convinto un voto favorevole a questa modifica costituzionale, da tempo auspicata ed ormai necessaria nel nostro paese. Dobbiamo dare atto al Governo, al ministro Prestigiacomo, alla relatrice - che ringrazio anche per il lavoro che ha svolto - e a tutti coloro che hanno animato questo dibattito in Commissione e in aula, di aver fortemente voluto raggiungere questo risultato, nonostante la complessità e la diversità degli orientamenti politici ai quali apparteniamo.
La consapevolezza comune di dovere e volere raggiungere l'obiettivo, ci ha portati a trovare una sintesi equilibrata fra le varie proposte di riforma che avevamo davanti, nonostante le legittime resistenze che sapevamo avremmo incontrato.
La modifica dell'articolo 51 della nostra Costituzione, volta a favorire le pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici, è un'importante innovazione costituzionale, che si è resa necessaria per rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono un effettivo equilibrio nella rappresentanza elettorale.
Sono soprattutto i dati numerici, scaturiti dalle varie tornate elettorali (amministrative, politiche, europee) di questi ultimi anni ad evidenziare con forza la marginalità della presenza e del peso femminile nei luoghi decisionali, propri delle istituzioni.
Le motivazioni portate da più parti come spiegazione di questo fenomeno nel corso del dibattito di questi anni sono molte e sono ampiamente condivisibili, così come possono essere anche largamente condivise le soluzioni prospettate per risolverlo. Soluzioni che, come auspichiamo, saranno assunte da questo Parlamento e dall'attuale Governo.
Sono certamente ostacoli culturali, economici e sociali, come è stato da più parti evidenziato, che stanno a monte del cospicuo deficit di rappresentanza femminile nelle istituzioni, rispetto ad una presenza femminile in costante aumento nelle professioni liberali, nelle scienze, nell'economia, nella cultura e nelle pubbliche amministrazioni. Non dobbiamo però tacere in questa sede anche le responsabilità dei partiti, rispetto a questo processo involutivo al quale stiamo assistendo.
C'è anche da valutare se questo squilibrio, che sembra interessare principalmente la rappresentanza politica (squilibrio, tra l'altro, in fase progressiva), non sia da attribuirsi in parte anche ad un fenomeno di disinteresse più generalizzato alla partecipazione politica che assumerebbe, quindi, un aspetto molto più preoccupante sul fronte femminile perché riguarda il settore più debole del corpo elettorale. I dati emersi, dopo la tornata elettorale del 2000 (confermati anche in seguito), testimoniano comunque la difficoltà che le donne incontrano nel rapporto con la politica ed i partiti, con il modo di funzionare delle istituzioni, con i tempi e con i linguaggi in uso. Il sistema dei candidati di collegio nelle elezioni politiche, le alleanze, i programmi e le strategie decise in luoghi dove il potere femminile è obiettivamente meno forte, i costi sempre più alti che richiedono le campagne elettorali, la rarefazione dei sostegni sociali forti alle candidature femminili delineano un quadro politico e normativo, ma anche sociale e culturale, che non concorre oggi a far superare il senso di distacco e oserei
dire di estraneità delle donne dalla politica e che sta provocando la progressiva diminuzione della presenza femminile non solo nell'elettorato attivo, ma anche in quello passivo.
Senza voler fare generalizzazioni, c'è anche da sottolineare una componente più caratteriale della donna che, evidentemente, realizza maggiormente il proprio spirito di servizio nell'attività concreta e fattiva all'interno della società, senza forse soffermarsi più del dovuto sul dibattito politico, troppo spesso teorico, che non sempre va ad incidere immediatamente sui bisogni e sui problemi della collettività.
Si tratta, quindi, di un intreccio di cause complesse, difficile da dirimere, da affrontare su più fronti e con azioni diversificate. In questo quadro si inserisce l'individuazione di correttivi di questi squilibri che siano in grado di incidere sulle cause che li determinano, senza però travalicare i confini del diritto politico che è generale e che per questo deve rimanere di natura neutra.
La scelta di riformare l'articolo 51 va, quindi, in questa direzione; l'uguaglianza formale di fronte ai diritti politici per tutti i cittadini, definita nell'attuale articolo 51, diviene con la riforma del testo in esame un'uguaglianza più completa, un'uguaglianza sostanziale rispetto alle opportunità.
Ciò non vuol dire ovviamente garanzie particolari per l'universo femminile né tantomeno percorsi in alcun modo privilegiati o, peggio ancora, facili scorciatoie (cosa che rappresenterebbe un passo indietro, anziché uno in avanti, sul fronte di una effettiva parità di opportunità) ma significa, invece, per le donne potersi trovare ai nastri di partenza non più penalizzate, bensì pronte e capaci di affrontare la competizione politica ed il percorso istituzionale che ne consegue nella piena colpevolezza delle proprie possibilità.
La modifica prevista dall'articolo 51 serve, quindi, a dare sostegno e propulsione ad un'indispensabile processo evolutivo di aspetti importanti della nostra cultura e della nostra politica, senza andare però a toccare altri fondamentali valori costituzionali.
Saranno poi le cosiddette azioni positive che troveranno copertura costituzionale in questo articolo riformato che, di volta in volta, andranno a correggere, per il lasso di tempo necessario, squilibri o distorsioni. Azioni concrete, dunque, volte a favorire, ma non ad imporre, una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni elettive. Si tratterà di delineare strumenti e modi idonei ad esaltare e liberare le capacità, le potenzialità dell'universo femminile anche nel campo politico-istituzionale. Un forte sviluppo di una parità sostanziale, non solo formale, tra uomini e donne corrisponde, infatti, ad una visione altrettanto forte della modernità e dello sviluppo ad alta valenza sociale. Deve essere l'impegno di un Governo che guardi al futuro quello di rafforzare l'integrazione dei principi di eguaglianza e di pari opportunità in tutti i campi.
È una priorità strategica da realizzare, mettendo in campo iniziative che favoriscano una partecipazione femminile equilibrata e paritaria anche nei posti dove si assumono le decisioni politiche per evitare un vulnus del nostro sistema democratico.
Nonostante i dati contraddittori che vedono diminuire, nella vita politica, la presenza di donne, credo sia già in atto un processo che registra un cambiamento sostanziale del ruolo della donna anche in politica. Sono altrettanto sicura che, per realizzare a sufficienza questo processo, che è naturale, occorra troppo tempo. Occorrono pertanto interventi politici mirati, frutto di scelte complesse e difficili perché corrono il rischio di apparire come una minaccia di altri obiettivi democratici. E questo, anche se difficile, è senz'altro possibile. D'altra parte, non è neanche agevole poter evidenziare con precisione quali differenze sostanziali possano essere portate in politica dall'aumento della presenza femminile o a quali aspettative esse sapranno rispondere.
Tuttavia, tra le tante tesi portate comunque a favore della partecipazione equilibrata e paritaria, ve ne sono soprattutto
due che devono farci riflettere sull'opportunità di questa iniziativa. La prima è quella che, in ogni modo, i sistemi in cui le donne sono sottorappresentate costituiscono sistemi democratici incompiuti. In secondo luogo, la carenza di rappresentatività femminile priva il potere decisionale di un contributo differente ed essenziale che non sia uniformato né assimilato a quello, altrettanto importante, ma comunque diverso, proveniente dall'universo maschile, ma che ne sia un fondamentale complemento.
Le donne possiedono, come gli uomini, capacità e competenze ad alto livello, che esercitano con altrettanto impegno e abnegazione dei colleghi maschi, in molti campi delle professioni, della cultura e del lavoro. Tuttavia, anche se le donne non sono estranee alla politica, come alcuni stereotipi vorrebbero suggerire, la politica rimane spesso una terra di confine, per giungere alla quale occorre superare una sorta di barriera invisibile che tende ad escludere la stragrande maggioranza delle donne.
Il problema quindi non consiste nel superamento del divario tra le capacità delle donne e quelle degli uomini nei compiti politico-istituzionali, divario che non esiste. È urgentissimo superare invece lo scarto che esiste tra la realtà della nostra società e la rappresentatività nella politica, tra la società italiana e le istituzioni. La modifica all'articolo 51 della Costituzione che noi andiamo oggi ad approvare rappresenta un primo e fondamentale passo in questa direzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo di Alleanza nazionale, della Margherita, DL-l'Ulivo dell'UDC (CCD-CDU), di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Mussolini che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, il testo all'esame di questa Assemblea riprende un dibattito risalente, maturo sia cronologicamente sia per la spinta sociale che è sottesa ai temi che con esso si vogliono proporre. Un tema al quale dovremo essere abituati e che mi delude rispetto al modo col quale è stato affrontato da questa Assemblea. Un'Assemblea che non ritrovo e mi dispiace dover sottolineare un'assenza di questa istituzione. Un dibattito che ha visto, a mio avviso, una presenza maggiore di quella che ho riscontrato nel momento in cui si discuteva di provvedimenti, a dire di qualcuno, anche più importanti. Un tema che ha visto colleghi e colleghe intervenire con un atteggiamento che non posso condividere, teso quasi a rappresentare una sorta di vittimismo che, a mio avviso, non deve esistere; oltretutto, per sottolineare un particolarismo sessuale che, a maggior ragione, non deve esistere.
Vorrei rispondere ai tanti colleghi che, non disinteressati, ma probabilmente attenti e curiosi rispetto a questo provvedimento, nelle giornate di ieri ed oggi mi hanno chiesto dove pensassimo di arrivare con questo provvedimento. Rispondo dicendo che noi donne non vogliamo arrivare da nessuna parte. Ma se è vero, come sostengono molti, che siamo oramai superiori rispetto agli uomini, affermiamo allora che con questo provvedimento intendiamo garantire la pari opportunità agli uomini. Si parla di parità di opportunità fra uomo e donna: infatti, oggi può capitare a noi di trovarci in una situazione di deficit di democrazia; domani potrebbe capitare agli uomini. Ritorna quindi il punto da più parti ribadito.
ERMINIA MAZZONI. Si tratta cioè di un principio di democrazia generale che non è teso ad accontentare qualcuno, né, tantomeno, è fissato per cercare di attribuire ad una parte minoritaria della società, che minoritaria non è, un contentino.
È un qualcosa che serve a ridare completezza, forse, ad una Carta costituzionale che, fino a qualche anno fa, poteva essere considerata sufficientemente strutturata con il testo elaborato nel 1946. Oggi si ritiene di dover andare avanti e di dover sopperire alle carenze riscontrate nel quotidiano evolversi della vita sociale ed istituzionale, attraverso un intervento normativo di modifica della carta costituzionale.
Questa modifica dell'articolo 51, così come proposta, fa paura; eppure, si dice che non contenga niente. Il testo indubbiamente è scarno e molto sintetico, ma contiene quello che ritengo - e riteniamo tutti, la maggioranza di quest'Assemblea - necessario a recuperare quello lo scollamento, ormai evidente, tra rappresentati e rappresentanti, tra istituzione e società. Uno scollamento che non è rivendicazione: la verifica di questo deficit non è la rivendicazione dell'acquisizione di una posizione che non compete e non spetta; è semplicemente l'attenzione, giusta e dovuta, da parte di un'istituzione, nei confronti di un'istanza sociale da più parti sollevata. Noi stiamo rispondendo a quel tipo di istanza, perché, con questa modifica dell'articolo 51, noi stiamo semplicemente offrendo ad un legislatore serio ed attento uno strumento di maggiore attenzione e di focalizzazione, una lente di ingrandimento per mettere in pratica concretamente azioni positive - che saranno poi quei provvedimenti cui fa riferimento il testo della modifica - per superare e recuperare questo scollamento riscontrato all'interno del contesto della rappresentanza in senso lato.
La formulazione del testo è volutamente generica - ci tengo a sottolinearlo, soprattutto per sgombrare il campo da indecorosi commenti fatti nei confronti delle donne - ma ha in sé tutto quello di cui ha bisogno, perché sia chiaro a tutti che non si tratta di un modo surrettizio per superare la sentenza della Corte costituzionale del 1995, né di un modo per ricreare quote o ricostituire caste privilegiate. Tutti quanti siamo contrari alle quote, alla riduzione in cifre di una professionalità, di una competenza - di cui la nostra società potrebbe beneficiare e che, fino ad oggi, non ha utilizzato - che, permettetemi di dire, non può essere ridotta ad un 30, un 40 o ad un 50 per cento. La nostra intenzione non è assolutamente quella di creare caste privilegiate, perché ridurre tutta la presenza della donna nel sociale ad un numero, ad una cifra o ad un'imposizione per legge vuol dire non rendersi conto dell'apporto che quotidianamente la donna, in ogni caso, dà nella vita sociale. L'azione politica in generale è azione sociale, prima di tutto, e quest'azione sociale ha prodotto enormi risultati, anche e - possiamo dire - soprattutto grazie all'intervento volontaristico, all'azione quotidiana di tante donne che oggi vogliono anche essere nelle istituzioni e superare alcuni ostacoli.
Nella vita sociale, abbiamo sicuramente superato, nel corso degli anni, notevoli ostacoli. Si trattava di ostacoli giuridici e, infatti, potrei citare una serie di testi normativi che, dal 1966 ad oggi, hanno modificato non profondamente, ma in maniera significativa, la collocazione della donna all'interno del sociale. Si tratta di testi normativi che oggi ci consentono di dire che la donna nel lavoro, nell'attività professionale, nell'impegno quotidiano è un soggetto che ha pari condizioni con l'uomo.
Ma ancora tanto bisogna fare. Nel mondo politico, nel campo della rappresentanza istituzionale, tutto questo non si verifica. Rispetto ad un 51 per cento della popolazione, rappresentato dalle donne, nella massima rappresentazione delle istituzioni che è questo Parlamento, abbiamo il 9 per cento scarso di donne. Sicuramente, tutti dobbiamo prendere atto che la società non è adeguatamente rappresentata: noi dobbiamo essere l'esatta riproduzione in termini percentuali di quello che è il soggetto rappresentato, quindi, la società, e questo dato numerico sicuramente ci porta alla conclusione che non vi è questa riproduzione esatta nelle rappresentanze istituzionali.
Questo provvedimento cerca, forse, di superare solo parzialmente la sentenza del 1995, non nella parte in cui sancisce che
le candidature non possono avere, come prerequisito per l'individuazione del candidato, il sesso (e su questo siamo d'accordo), ma nella parte discorsiva, laddove si enuncia un principio, per me non condivisibile ma al quale tentiamo di dare rimedio attraverso questa modifica, ossia il principio secondo il quale la carta costituzionale, con i principi già in essa dettati, formula solamente delle indicazioni al legislatore per garantire le pari opportunità tra uomo e donna nell'ambito della vita sociale, e non dei diritti politici. Questo è contenuto nella parte discorsiva della sentenza. Credo a ciò si debba porre rimedio. Se è vero, come sostiene la Corte costituzionale, che questa è l'attuale impostazione della Carta, dobbiamo garantire che queste pari opportunità, che il costituente del 1946 voleva garantire, siano precisate anche rispetto al dato importantissimo della rappresentanza istituzionale.
Mi permetto di aggiungere un altro riferimento, da più parti ripreso, ossia il riferimento al comportamento dei partiti. Sono d'accordo che si debba modificare l'atteggiamento degli stessi, tuttavia stiamo bene attenti: non credo, infatti, sia ipotizzabile un'ingerenza dello Stato nella libera attività dei partiti. La norma costituzionale che garantisce il libero associazionismo, e, quindi, la libertà di gestione della vita dei partiti, non può essere toccata, e non credo che negli interventi che mi hanno preceduto ci fosse una tensione verso questo tipo di modifica. I partiti devono avere la maturità per arrivare a questo tipo di riproduzione, nel sociale e nelle istituzioni, di questa rappresentanza composita, di questo mondo diversificato.
Credo che la modifica dell'articolo 51 debba essere vista da tutti noi come uno strumento non invadente ed utile per cercare di mantenere desta, nella coscienza di ciascun legislatore, quest'istanza che, molto spesso, viene dimenticata.
Mi avvio alla conclusione ricordando che il legislatore, nella veste di costituente, già nella precedente legislatura, ha prestato attenzione a questo tema. L'articolo 117, comma 7, già contiene un riferimento esplicito. Noi andiamo a creare un principio di cornice a questa norma che attribuisce, al legislatore regionale, il compito di normare in tale materia. Nella XIII legislatura e anche nelle precedenti il dibattito sul tema è stato ampio. Si sono susseguite audizioni e vi è stato un grande approfondimento. È un tema che deve essere risolto; occorre trovare una conclusione.
A tutti i colleghi presenti in aula e a coloro che, mi auguro, ci saranno al momento del voto, chiedo di decidere, in questo momento, se desideriamo che questo discorso vada a conclusione, e di non esprimere, per l'ennesima volta, un voto inutile. Siamo all'inizio della legislatura, come ricordava l'onorevole Mussolini, abbiamo il tempo per completare il complesso iter di modifica costituzionale. Se votate a favore di questo provvedimento, votate con la convinzione di portare a termine finalmente questa modifica di cui si discute da tanto ma che mai ha visto la luce come avrebbe meritato (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (CCD-CDU), di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, chiedo, in primo luogo, alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della mia dichiarazione di voto. Per lasciare più tempo ai colleghi ed alle colleghe che interverranno dopo di me, pronuncerò, in questa sede, soltanto una parte del mio intervento.
PRESIDENTE Non solo la Presidenza lo consente, ma la ringrazia.
FRANCA BIMBI. Prima di iniziare, vorrei ringraziare, in particolare, la ministra Prestigiacomo, la collega relatrice Montecchi e tutte le colleghe ed i colleghi che si sono spesi, in maniera assolutamente generosa, pur nelle differenze, per arrivare a questa deliberazione estremamente importante.
Vorrei ricordare e ringraziare in questa sede, anche altre donne, per il ruolo rilevante che hanno avuto - o hanno tuttora - nell'ambito delle politiche delle donne nelle istituzioni della Repubblica: le presidenti della commissione nazionale pari opportunità, Tina Anselmi, Tina Lagostena Bassi e l'attuale, Marina Piazza, ma anche le ministre che si sono succedute alle Pari opportunità: Anna Finocchiaro, Laura Balbo, Katia Bellillo e, anche Livia Turco che credo abbia dato, da ministra, un contributo essenziale a queste prospettive.
Dichiaro, quindi, il voto favorevole del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo sulla novellazione dell'articolo 51 della Costituzione, soprattutto perché essa esprime una forte volontà dell'Assemblea per rendere più effettivi i diritti di cittadinanza politica delle donne e degli uomini, realizzando più pienamente il dettato dell'articolo 2 della stessa Costituzione, laddove si intendono riconoscere e garantire i diritti inviolabili dei singoli anche nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità umana. E non v'è dubbio, per chi spende la maggior parte del suo tempo nella passione per la politica, che i partiti, le associazioni politiche e i movimenti collettivi siano anch'essi, al pari di altri, luoghi di svolgimento della personalità umana.
Inoltre, nella forma assunta, la novellazione dell'articolo 51 esprime più pienamente la volontà costituzionale di rimuovere gli ostacoli che limitano libertà ed uguaglianza dei cittadini attraverso la rimozione delle discriminazioni di genere indicata dall'articolo 3.
In questa lettura dell'articolo 51, effettuata alla luce dei principi di cui agli articoli 2 e 3, troviamo la possibilità di sostenere, in primo luogo, che un'implementazione della cittadinanza delle donne rende più effettivi i diritti di tutti - anche degli uomini - e, in secondo luogo, che il dettato costituzionale non lega univocamente libertà ed uguaglianza ad un'opzione di indifferenza rispetto all'appartenenza al genere, se non nell'aspetto negativo della rimozione degli ostacoli.
Venendo, poi, al senso politico profondo della nostra iniziativa, essa contiene alcune rilevanti intenzionalità: superare ciò che resta della cultura dell'apartheid, che esclude e discrimina ancora l'accesso delle donne alla vita politica e alle istituzioni pubbliche; promuovere le capacità e le responsabilità femminili; coniugare rappresentanza di genere ed estensione dell'universalismo dei diritti; estendere i principi di riconoscimento di tutte le differenze, anche in ordine alla realizzazione dei diritti umani delle donne.
Il richiamo all'apartheid può sembrare forte; ma, se colorassimo di bianco e di nero la presenza delle donne e degli uomini nei partiti, nei ministeri, nei consigli comunali e nel Parlamento, ci accorgeremmo che le condizioni della presenza femminile ricordano, almeno per quanto riguarda il risultato numerico, quel primo periodo in cui, nelle esperienze dei vari paesi, ammessi i «neri» alle cariche pubbliche, la presenza di questi ultimi colorava in maniera ancora inessenziale i luoghi delle decisioni. Questo risulta dalla realtà! Ma cambiando, come vogliamo fare, l'articolo 51 della Costituzione, ci assumiamo la responsabilità di non permettere che, per le donne, ciò continui a succedere.
Tuttavia, avere una rappresentanza statisticamente adeguata quanto al numero non significa affatto un riconoscimento probabilisticamente paritario delle capacità nell'assunzione di responsabilità. Per questo, non ci pare corretto un confronto esclusivamente quantitativo delle presenze femminili nei parlamenti dei vari paesi. Vi sono paesi nei quali le assemblee rappresentative contano poco: qui troviamo molte donne, come in ogni professione, quando questa perde di status sociale. Al contrario, nel Parlamento svedese, per citare un esempio di buone pratiche nell'Europa di cui facciamo parte, al numero rilevante delle donne corrisponde anche una loro presenza nei luoghi più alti di decisione.
Questo è uno dei nodi da affrontare, ma non solo nella politica. La scolarizzazione femminile ha dimostrato l'infondatezza
dei pregiudizi sull'intelligenza delle donne, durati per secoli; tuttavia, alle maggiori performance dei risultati scolastici delle ragazze non corrispondono affatto le stesse opportunità di carriera dei loro colleghi maschi.
Certamente, per la politica non intendiamo affatto sostenere che la necessità di garanzie di pari opportunità per l'accesso debba corrispondere a garanzie di successo.
Intendiamo farcela, in base alla nostra autorevolezza e alle nostre capacità, su una base di una leale e libera concorrenza con i nostri colleghi in tutte le carriere, anche se, a volte o molto spesso, nelle nostre concrete esperienze di vita, professionali o di partito, abbiamo avuto l'impressione che la concorrenza fosse tutt'altro che leale da parte degli uomini, a causa di modalità di cooptazione che eludono, talvolta clamorosamente, per le donne sia la democrazia nell'accesso sia il riconoscimento delle competenze nell'attribuzione di responsabilità. Senza una rivoluzione culturale degli uomini, e di quella parte delle donne che amano ancora coltivare la loro debolezza all'ombra di autorità maschili post-patriarcali, la volontà di cambiamento delle donne e degli uomini qua presenti non sarà sufficiente.
Inoltre, le donne portano in questa occasione anche una responsabilità specifica rispetto ai colleghi. In questo contesto storico che è di transizione e di riconoscimento della differenza sessuale, non certo di piena effettività (ma speriamo nel futuro soprattutto per le nostre figlie), alle donne che voteranno questa legge spetta di essere consapevoli e di farsi portatrici della rappresentanza di genere, nel senso di un di più da offrire all'universalismo astratto della legge. La differenza di genere è costitutiva delle culture umane, è fatto culturale, non biologico, che definisce i legami sociali primari come pure la distinzione e le relazioni tra sfera pubblica e sfera privata.
Noi siamo qui non uti singuli di sesso femminile, ma come portatrici di una parte essenziale della storia umana, tenuta in ombra quasi sino alla seconda metà del secolo XX. È la storia della cura delle persone, dell'attenzione all'interdipendenza piuttosto che al dominio, è la storia della riproduzione e regolazione della vita piuttosto che della produzione delle regole relative ai confronti basati sulla forza e sul relativamente facile ricorso alla legittimazione dei conflitti armati.
Sappiamo che finché la cura delle persone non riceverà maggiore attenzione sociale dei confronti basati sul dominio, le culture del femminile e del maschile non si troveranno su un reale piano di uguaglianza, con danno per le donne e per gli uomini. Sembra che siamo in una società, qui in occidente e non solo altrove, dov'è più facile per le donne ottenere la parità nel fare la guerra che per gli uomini accedere ad una cultura di elaborazione pacifica dei conflitti, anche al di là delle loro volontà individuali. Vedete quante implicazioni - e sto finendo - ci sono nell'esprimere una volontà di estensione della presenza delle donne nelle istituzioni pubbliche. Ce n'è anche un'ultima. Donne e uomini appartengono a culture differenti e migrano tra culture differenti; il riconoscimento della differenza di genere che attraversa ogni cultura sottende per noi ad un'attenzione maggiore al riconoscimento delle differenze culturali che si esprimono nelle definizioni universali dei diritti umani. Un'altra strada che l'approvazione dell'articolo 51, nella sua nuova definizione, ci apre (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
CHIARA MORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo del nuovo PSI voterà con convinzione a favore della modifica dell'articolo 51 della Costituzione. Certamente, questa modifica costituzionale non risolve di per sé il problema della rappresentanza femminile nelle assemblee elettive, ma senz'altro rappresenta
un importante punto di partenza e presupposto fondamentale perché le susseguenti azioni positive possano realizzare l'uguaglianza sostanziale in luogo dell'uguaglianza formale tra i generi, prevista attualmente dalla Costituzione. Da sempre il Partito socialista ha promosso una politica di attenzione al mondo femminile e si è impegnato perché fossero garantite le pari opportunità per le donne, tant'è vero che la Commissione per le pari opportunità fu istituita presso la Presidenza del Consiglio nel 1984 durante il Governo Craxi. Nonostante grandi battaglie sociali, ancora oggi si riscontrano grosse difficoltà ed una certa discriminazione nei confronti del genere femminile per quel che riguarda l'accesso ad alcune professioni, più in particolare nel campo della politica, e senz'altro nessuno vuole nascondere qui oggi il ruolo dei partiti e la loro responsabilità in merito a queste problematiche.
Le indagini dimostrano che l'universo femminile è impegnato nella società anche professionalmente e dove esiste principio di meritocrazia e nei posti ai quali si accede per pubblico concorso - anche nelle posizioni apicali - le donne sono presenti in grande numero.
Le donne non costituiscono un gruppo debole, né una riserva di panda da proteggere dal pericolo di estinzione; esse rappresentano un punto fondamentale della società, non solo in termini di garanzia di continuità della specie, ma anche e soprattutto per il contributo che possono e debbono fornire alla società dal punto di vista culturale e professionale.
La modifica dell'articolo 51 della Costituzione non introduce le quote, come abbiamo spesso ascoltato nel corso della discussione da qualcuno che, probabilmente, non si è documentato in maniera attenta su questo provvedimento. Essa costituisce un presupposto costituzionale importante per una serie di azioni positive che individuino strumenti, anche normativi, che garantiscano alle donne le stesse opportunità e quindi il medesimo punto di partenza.
Le donne non vogliono corsie preferenziali ma auspicano parità di possibilità. Condivido il principio della meritocrazia e non credo che l'elettorato non sia in grado di scegliere liberamente a chi assegnare il proprio voto, uomo o donna che sia; sono però convinta che si verifichi un grave deficit di democrazia quando la partecipazione di candidate donne alle competizioni elettorali è estremamente ridotta. Il problema, dal mio punto di vista, non riguarda tanto la presenza numerica Parlamento, quanto la possibilità che le donne accedano alle candidature, quindi alle competizioni elettorali, in modo da raggiungere lo stesso punto di partenza, oltre il quale vale il principio della libera competizione e della meritocrazia.
Le quote non sono l'unico mezzo per garantire la presenza femminile nelle liste elettorali e, dopo la modifica dell'articolo 51 della Costituzione, ci aspetta il problema di individuare le azioni da intraprendere per garantire le pari possibilità a tutte le donne. Anche se molto dipenderà dalle azioni positive che si dovranno intraprendere, credo che quella di oggi sia un'importante vittoria della democrazia e quindi della società tutta, non solo e non esclusivamente del genere femminile.
Vorrei ringraziare in modo non formale il ministro Prestigiacomo per l'impegno che ha profuso nel raggiungimento, in questo inizio di legislatura, di questo importante traguardo, oltre alle colleghe ed i colleghi che si sono impegnati in modo trasversale, prescindendo da presupposti ideologici. Sicuramente stiamo realizzando un grande obiettivo di democrazia e di libertà. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Nuovo Psi, di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Moroni.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Grazie, Presidente. I deputati del gruppo misto-Comunisti italiani esprimeranno voto favorevole al provvedimento in oggetto, ma sottolineando alcuni elementi.
Anche noi, come tutto lo schieramento di centrosinistra, abbiamo lavorato con tenacia e determinazione nella scorsa legislatura per la modifica dell'articolo 51 (una riforma dell'ordinamento politico-istituzionale), oltre che per altre riforme: quella del servizio sanitario nazionale, dell'assistenza, del federalismo solidale; in questa legislatura è stata questa, simbolicamente la prima proposta di legge presentata dal mio gruppo, insieme a quelle sulla rappresentanza sindacale, sui patti di convivenza, contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità, sulla procreazione assistita.
Vorrei sottolineare che la modifica dell'articolo 51 della Costituzione si colloca all'interno di un orizzonte culturale e politico che ribadisce il nesso tra il principio di parità nell'accesso alle cariche pubbliche per donne e uomini (preferisco interpretarlo così, mi piaceva di più il testo che citava la parità nell'accesso alle cariche pubbliche per donne e uomini) e un'idea dell'uguaglianza tra il principio di parità e la soggettività delle donne.
Il genere è al centro di analisi che restano diverse e di letture del mondo che sono differenti, è al centro di un ordine simbolico e culturale, di politiche che sono e che restano distinte. Il voto di oggi, che pure risulterà, immagino, uguale tra destra e sinistra, non cancella queste differenze.
Per noi la modifica dell'articolo 51 nasce, certo, dalla critica del limite delle forme di una democrazia monosessuata, che ha ascritto la rappresentazione del genere senza garantire la pienezza della rappresentanza politica, ma dentro comunque l'idea dell'espansione progressiva del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della nostra Costituzione. Per noi la modifica dell'articolo 51 nasce cioè dalla critica alla qualità della democrazia, che non riesce a risolvere l'esclusione delle donne dalla sfera della decisionalità politica (anzi, proprio la quantità di questa esclusione è misura della qualità della democrazia). È questione che riguarda, certo, in modo immediato, la politica, la crisi della politica come crisi di rappresentanza, ed i partiti, la forma partito, come soggetti storici della rappresentanza. Questa modifica costituzionale aprirà comunque un processo ineludibile, conflittuale quanto insopprimibile, di trasformazione della politica e dei partiti.
Per noi si tratta però anche di una questione che riguarda la natura monca della democrazia, nel senso che monco è il patto sociale fondativo del dettato costituzionale, sapendo che dietro gli assetti costituzionali ci sono i soggetti, i rapporti tra i sessi ed i rapporti sociali tra le classi e la loro mediazione. Con questo voto intendiamo cioè ridefinire, a partire dal genere, la qualità della democrazia e la qualità della cultura dell'uguaglianza, dell'universalismo dei diritti. Intendiamo rappresentare insieme - questa è la sfida politica e culturale che mi sento di rappresentare come donna di sinistra - la spinta, storicamente determinata, della soggettività femminile e dei movimenti di emancipazione sociale e di libertà.
Quando parliamo di democrazia riteniamo inscindibili i diritti di genere ed i diritti sociali, civili, democratici. La soggettività del movimento delle donne ha posto come questione ineludibile della modernità la questione delle forme della democrazia, delle regole, del governo, della natura delle istituzioni, del ruolo della partecipazione popolare e del consenso, cioè la questione dei poteri, che non è separabile dal contesto sociale, dalla sua rappresentazione. Per questo insistiamo.
Questo voto, che è un voto convinto, lo consideriamo comunque il risultato di lotte straordinarie, di conquiste, di una cultura critica che in questi decenni ha saputo cambiare la Costituzione materiale del rapporto tra i sessi. Ma è necessario che, a questa memoria, questo voto (tale è la mia opinione) sia collegato, per operare una definitiva rivoluzione culturale e simbolica, che sia acquisita cioè come un punto di partenza per non tornare indietro. Il voto sarà ampio ma non sarà efficace se questa riflessione sarà rimossa.
Mi rivolgo alle colleghe ed a chi, nella maggioranza, può ascrivere questo risultato alla capacità delle destre di rappresentare
le donne. In questa sede vorrei essere franca: credo che nel protagonismo delle donne di destra, che esiste, vi sia un'ambivalenza; vi è un dato innegabile della realtà, positivo, che rappresenta una crescita reale, presente nella società, ed anche una capacità, propria delle destre, di intercettare spinte di autopromozione e di emancipazione. Allo stesso tempo, dicevo, tale protagonismo ha anche un segno di ambivalenza, perché segno di un'operazione culturale insidiosa che passa attraverso il genere. Questo protagonismo delle donne di destra rappresenta al meglio l'intreccio tra modernità e restaurazione che sempre abbiamo denunciato nella politica delle destre. Abbiamo, infatti, la modifica dell'articolo 51, e, insieme, la strategia della devolution - con neanche una parola contro - o meglio il progetto eversivo, costituzionalmente eversivo, della devolution e della riscrittura del modello economico e sociale, cioè del patto sociale e di unità nazionale iscritto nel dettato costituzionale; la modifica dell'articolo 51 e la scelta di arretramento della sfera politica e della responsabilità pubblica statale rispetto all'economia; l'affidamento ad un capo che umilia non solo la presenza, ma anche qualsiasi dissonante autonomia decisionale (purtroppo di ciò è stata vittima, e con franchezza dico che me ne dispiace, anche l'onorevole Prestigiacomo, che recentemente ha visto censurare immediatamente le sue dichiarazioni sulle coppie di fatto e sulle tossicodipendenze); la modifica dell'articolo 51 e la rimozione della libertà femminile (penso all'attacco portato alla legge n. 194, alla proposta sulla capacità giuridica dell'embrione).
In altri termini, il protagonismo delle donne di destra - che noi abbiamo valorizzato e che consideriamo, comunque, espressione di una crescita reale...
ALESSANDRA MUSSOLINI. Grazie!
MAURA COSSUTTA. ...di qualcosa che c'è, che è presente e che è comunque positivo - resta ancillare alla forma inedita di patriarcato che rifunzionalizza il genere con le politiche liberiste, familistiche, con le appartenenze identitarie legate al sangue ed al territorio.
Resta una profonda differenza tra noi, anche se oggi, insieme, stiamo riscrivendo l'articolo 51 della Costituzione. Per noi la modifica dell'articolo 51 significa riscrittura simbolica e sostanziale del patto sociale che sia capace di superare l'ambivalenza del dettato costituzionale (che non ha assunto i rapporti tra i sessi come elemento costitutivo del patto sociale) e che sia capace di scardinare ogni sotterraneo impianto patriarcale che rende ininfluente ogni principio conquistato, presente o futuro, di parità. Riscrittura sì, ma non cancellazione della sostanza del dettato costituzionale.
Per noi questo voto favorevole è un atto dovuto, ma significa investire su una rivoluzione da compiere per le donne e per la società; significa rideclinare i diritti rispetto ai soggetti, l'uguaglianza rispetto alla differenza, la democrazia rispetto alla libertà. (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mussolini. Ne ha facoltà.
ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale...
MAURA COSSUTTA. Presidente, con tante donne che devono parlare, lei interviene a titolo personale!
ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor Presidente, compiacendo l'onorevole Maura Cossutta, vorrei dire che anche noi di destra siamo donne, esistiamo e come! Non volevo polemizzare con l'onorevole Maura Cossutta, perché qui c'è già Giulio Conti. Volevo dire, signor Presidente, che qui noi donne parlando...
PRESIDENTE. Onorevole Maura Cossutta, cosa vuole? L'onorevole Mussolini ha chiesto di parlare da prima!
MAURA COSSUTTA. No, lei è decaduta! Se vuole, si iscriva nuovamente!
PRESIDENTE. Perché vuole impedire all'onorevole Mussolini di parlare? Stia comoda, per favore.
ALESSANDRA MUSSOLINI. Onorevole Maura Cossutta, perché mi vuole censurare? Mi faccia dire una cosa. Vorrei dire che noi donne di destra riconosciamo con forza il nostro ruolo e a me ciò piace; infatti, la dichiarazione di voto per il nostro partito, Alleanza nazionale, sarà svolta da Enzo Trantino, proprio perché sappiamo che sono gli uomini che devono riconoscerlo.
Volevo dire al ministro Prestigiacomo: signor ministro, il mio slogan per l'8 marzo detto in modo tranchant sarà il seguente: no women, no parties (niente donne, niente partiti) (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Buontempo, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbia rinunciato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bianchi Clerici. Ne ha facoltà.
Colleghi, vi prego di prendere posto. Onorevole Carlucci, per cortesia. Prego, onorevole Bianchi Clerici.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor Presidente, la Lega nord Padania esprimerà un voto favorevole sulla modifica dell'articolo 51 della Carta costituzionale così come formulata a seguito dell'ampio e articolato lavoro della Commissione Affari costituzionali... Signor Presidente posso avere un po' più di silenzio? Faccio fatica a parlare...
Si tratta di un lavoro al quale, per il nostro gruppo, ha partecipato l'onorevole Luciano Dussin che, come presentatrice di una proposta di legge, ringrazio così come ringrazio il relatore, onorevole Montecchi, per il lavoro sicuramente intelligente e di mediazione svolto.
Siamo convinti che vi sia non solo l'opportunità ma anche la cogente necessità di ampliare il dettato costituzionale aggiungendo questo comma di alto valore simbolico: La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini.
Se, infatti, i costituenti si trovarono di fronte al problema di sancire il divieto della discriminazione di genere garantendo ai cittadini dell'uno e dell'altro sesso la medesima possibilità di accedere ad incarichi pubblici ed alle cariche elettive, a distanza di mezzo secolo la realtà ha dimostrato che a questo principio di uguaglianza formale non è corrisposta, e non corrisponde ancora, un'uguaglianza sostanziale intesa come effettiva eguale opportunità di candidatura, passo ovviamente indispensabile e propedeutico all'eventuale elezione.
Numerose ricerche e studi predisposti dalle associazioni attive in questo ambito ci hanno indicato quanto sia grande il vuoto dell'assenza delle donne dai luoghi delle decisioni e della rappresentanza. L'Italia - è noto - è l'ultima in Europa con il suo misero 10 per cento di donne in Parlamento, nei consigli regionali, nelle province e nei comuni. Non vi è dubbio che ciò sia una ferita per la democrazia, uno spreco di intelligenze, di risorse, di competenze ed una negazione dei meriti. In un paese in cui le donne ottengono i migliori risultati scolastici, accedono in gran numero alle professioni intellettuali, talora con punte di eccellenza nei risultati, sono fortemente attive ed impegnate nei servizi culturali, sociali, del volontariato, senza per questo rinunciare alla maternità ed alla famiglia, la politica e, più in particolare, il sistema dei partiti si rivela drammaticamente distante dal contesto reale e segnala una singolare sfaldatura tra la politica medesima e la società.
L'insufficiente rappresentanza femminile in campo politico si configura, quindi, come una carenza di democrazia alla quale urge porre rimedio al più presto. Sono convinta che l'adozione di meccanismi di autoregolamentazione da parte dei partiti sarebbe assolutamente necessaria
ed opportuna, così come sarebbe auspicabile una riflessione sui tempi della politica che, spesso, si rivelano un insormontabile ostacolo per molte donne che, altrimenti, si accosterebbero volentieri a questo fondamentale servizio civile e sociale. Forse, con un numero maggiore di donne, avremo meno politica-mestiere e più politica-passione.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo esprimere apprezzamento per la scelta della Commissione che ha escluso la previsione di quote, seppure camuffate sotto altri nomi (equilibri, parità di accesso, eccetera). Ciò avrebbe riportato il dibattito a quell'ambito di riserva delle specie protette che non condividiamo e che non ci piace affatto.
Le donne di questo paese possiedono orgoglio e determinazione tali da far loro infrangere, sempre più di sovente, il famigerato soffitto di cristallo rivelatosi l'ostacolo meno visibile ma più ostico da superare. Ciononostante c'è bisogno di stimoli per accelerare il processo di cambiamento. La norma oggi in votazione ci avvicina senza dubbio all'obiettivo (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Signor Presidente, la riforma costituzionale che ci apprestiamo ad approvare oggi ha radici in una lunga lotta combattuta per fare in modo che la democrazia diventasse sempre più sostanziale e che si ascrive al momento della creazione degli Stati moderni e dei patti sociali che sono alla base delle Costituzioni, il cui vizio è sempre stato quello di non aver visto le donne come soggetto fondante di tali patti. La suddetta lotta si può ricondurre addirittura alle origini della storia del genere umano. Infatti, chiunque si occupi di studi antropologici o sociologici sa che il motore delle società sono sempre stati due conflitti fondamentali: quello tra i sessi e quello tra le generazioni.
Non possiamo, tuttavia, dimenticare che vi sono state fasi della storia del genere umano in cui le donne avevano ben più autorità, le famose fasi del matriarcato studiate da tanti come Bachofen, per dire il nome più illustre.
Con la modernità c'è stato, poi, un salto che ha determinato la storia degli Stati moderni, dei patti costituzionali, della presenza delle donne - teoricamente a livello ugualitario ma, in realtà, nella pratica e nella sostanza mai a livello ugualitario - nella società, nei luoghi di rappresentanza, nei pubblici uffici e nel governo della società.
Non voglio dilungarmi sulle cause che hanno determinato - come dicevo, risalgono alle origini del genere umano - la disparità originaria che c'è tra uomo e donna, cioè che la donna ha questo grande potere di concepire (oggi c'è un tentativo, anche attraverso la clonazione e tutta la questione dell'utero artificiale per come viene posta anche sui media, di giocarsi simbolicamente questa disparità) e l'uomo che non ha questo forte potere della donna.
È diventato naturale che l'uomo giocasse il suo potere originario, che non aveva come la donna, nella società e, quindi, investisse nel pubblico le energie che l'hanno portato ad essere protagonista e soggetto, per esempio, della costituzione dei nuovi Stati, attraverso i patti sociali che si andavano a scrivere.
Anche nella nostra storia - ogni paese, poi, ha la sua - ovviamente è successo che abbiano partecipato autorevolissime donne alla stesura della nostra Costituzione ma con una disparità dal punto di vista sociale. Io ho parlato con alcune di loro, una per tutte la Spano, che ha pubblicamente detto che, ad esempio, c'era una grande disparità perché gli uomini erano laureati ed illustri costituzionalisti e loro maestrine. Nonostante ciò, questa maestrine hanno posto nella nostra Costituzione i fondamenti che la fanno essere una delle Costituzioni più avanzate degli Stati moderni, anche se l'hanno fatto con alcune difficoltà.
Ad esempio, l'articolo 3 si sarebbe dovuto realisticamente riformare - come in Francia - se si fosse voluto fare un lavoro compiuto e adatto alla grande crescita delle donne a livello di posti di prestigio, di capacità creative e di responsabilità nella società.
Infatti, l'articolo 3 - come ricordava l'onorevole Zanella - nella prima parte ricorda la distinzione di sesso, insieme a quelle di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali, come se la distinzione di sesso non fosse quella fondamentale che attraversa la società. Il secondo comma - quello cui si riferisce la famosa sentenza di cui tanto abbiamo parlato e che è una delle cause della necessità di riforme che adesso stiamo discutendo - riporta alla nostra Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano, di fatto, la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e cioè - come prevede l'articolo 21 della dichiarazione universale dei diritti umani che ho citato in precedenza - il diritto di partecipare al governo del proprio paese e di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi dello stesso.
Questo è il luogo in cui dobbiamo ragionare, a cui ci rimanda anche la sentenza della Corte costituzionale e, proprio il fatto di citare solo l'ordine economico e sociale, dimenticando l'ordine politico, crea un vuoto che, oggi, tentiamo di colmare.
Come dicevo, ogni paese ha la sua storia e il nostro ne ha anche una di deficit democratico, un po' mediterraneo, che ci porta, a volte, a riconoscere che funziona ancora un modo di rapportarsi - nella politica, oltre che nella società - che è più di clan che non democratico.
Vorrei ricordare che il patriarcato è in crisi perché è nato lo Stato democratico: la democrazia, infatti, induce la partecipazione di tutti, uomini e donne, mentre il patriarcato significava la gestione della società da parte di clan prettamente maschili.
Dicevo che c'è ancora questo intreccio. Noi infatti ci siamo tanto appassionati e continuiamo ad appassionarci, uomini e donne, al destino dell'Afghanistan e delle donne dell'Afghanistan dove nella Loya Jirga si riconoscono i rappresentanti di clan; quindi, c'è una differenza di storia che non comporta di sicuro una condizione di Stato moderno, finché anche lì non sarà ripristinata una Costituzione. Tuttavia, in Italia persiste ancora, in qualche misura, nella società ed anche nella società politica, questo tipo di organizzazione di clan; ciò si vede meglio, purtroppo, nel contro-Stato, nella criminalità organizzata. Questo problema è una delle cause più gravi per cui oggi dobbiamo modificare la Costituzione.
Colleghe e colleghi, sarebbe bastata - anche se non la condivido assolutamente - la sentenza della Corte costituzionale, fatta di soli uomini, con la quale si demandava ai partiti l'obbligo di garantire il riequilibrio. Non si diceva che il riequilibrio non debba essere previsto. Tuttavia, il rimando ai partiti è fallito. Come ho sentito dire in alcuni altri interventi, non si tratta di cambiare l'articolo 49 che dà ai partiti la libertà di organizzarsi per determinare la politica nel paese; si tratta, semmai, di chiedersi come mai l'articolo 49 della Costituzione sia l'unico che non ha visto una legislazione ordinaria, allo scopo di rendere attuale il principio costituzionale. Forse sono maturi i tempi anche per riflettere su questo aspetto. Naturalmente, ogni partito ha la sua storia: ci sono, quindi, partiti che hanno riconosciuto...
PRESIDENTE. Onorevole Cima, la invito a concludere.
LAURA CIMA. Signor Presidente, vorrei soltanto spiegare perché noi Verdi ci asterremo dalla votazione su questo provvedimento; quindi mi occorre un po' più di tempo.
Dicevo che alcuni partiti hanno introdotto, fra le loro regole e nei loro statuti, il principio delle quote; nel caso dei Verdi, sono stati riconosciuti la parità effettiva e il riequilibrio: noi riconosciamo la necessità di avere il 50 per cento di rappresentanza ovunque. La parità effettiva non
coincide con il principio delle quote. Vorrei che fosse chiaro, anche se io non disdegno le quote. Paesi come la Svezia, che hanno praticato le quote, hanno raggiunto un notevole livello di democrazia formale, con una partecipazione di donne - come ricordavano altre colleghe - ben più alta del nostro misero sessantanovesimo posto nella graduatoria di tutti i paesi.
Non voglio farla molto lunga. Vorrei soltanto ricordare che i Verdi sono stati promotori anche delle altre due leggi di modifica della Costituzione; anche la legge, poi abrogata dalla Corte costituzionale, ci ha visti protagonisti. Quindi, se ci asteniamo dalla votazione, in questa fase, non possiamo essere tacciati...
PRESIDENTE. Onorevole Cima, il tempo a sua disposizione è scaduto da 30 secondi.
LAURA CIMA. Ho finito, signor Presidente. Sto dicendo che non possiamo essere accusati di non dimostrare interesse o di non avere sufficiente forza nel pretendere questo cambiamento istituzionale.
Signor Presidente, come abbiamo dichiarato anche in tutti gli interventi sugli emendamenti, facciamo ciò perché il Senato possa rendersi conto degli argomenti e dei problemi che sono sul tavolo. Infatti, a differenza della Camera, che già nella scorsa legislatura ha discusso a fondo il problema, il Senato non ha ancora esaminato il provvedimento. Facciamo ciò, dunque, perché l'altra Camera possa svolgere appieno la sua funzione, tenendo conto delle considerazioni e delle ragioni di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, vorrei svolgere soltanto alcune brevissime considerazioni, nell'annunciare il voto favorevole della componente dei Socialisti democratici italiani a questo provvedimento. Siamo consapevoli che in questo ambito, più che le leggi, contano i fatti ed i comportamenti; più che pronunciamenti di questo tipo, sono necessari, quindi, cambiamenti nella mentalità non soltanto fra gli uomini, ma anche fra le donne.
È necessaria la predisposizione di strumenti concreti che favoriscano il crearsi di condizioni di parità. In conclusione, voglio dire che vi è una simbolicità dei comportamenti che può aiutare o negare i processi. La condizione residuale in cui è relegato questo dibattito di certo non aiuta a far sì che questi processi abbiano una funzione positiva. Diciamo la verità: oggi, consideriamo più importante il disegno di legge collegato sulle infrastrutture rispetto a quello della modifica costituzionale sulla condizione della donna. Se è così - ed è così -, vi è ancora molta strada da fare, nonostante il voto favorevole che tutti noi daremo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Santino Adamo Loddo, al quale ricordo che ha un minuto a disposizione. Ne ha facoltà.
SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, prendo la parola per esprimere il mio voto personale a favore di questo provvedimento per la nostra rappresentanza democratica con una considerazione ed un appello. Il signor Presidente della Repubblica e il Presidente della Consulta tempo addietro, non più tardi di una settimana fa, hanno espresso l'auspicio che nelle prossime elezioni per la Corte costituzionale vengano votate alcune donne, ciò in coerenza con quanto tutti hanno affermato, non solo a parole, signor Presidente.
Per cui io chiedo e concludo dicendo, cari colleghi, che la politica ha bisogno della partecipazione femminile: ne ha bisogno in termini di presenza, parità e partecipazione. Collaboriamo insieme per migliorare le cose e credo che dobbiamo farlo tutti: sia quelli di maggioranza, che quelli di minoranza (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, io penso che la rappresentazione fisica dell'aula di Montecitorio, come quella del Senato, nonché quella della Convenzione europea, di cui si è parlato in questi giorni, parla della non piena cittadinanza riconosciuta alle donne e della democrazia ancora incompiuta nel nostro paese. Il gruppo di Rifondazione comunista ha 4 donne su 11 componenti: relativamente parlando, è evidente il dato significativo. Lo sottolineo, non per vantare una coerenza, quanto invece per dire che conosciamo bene le difficoltà e persino i sacrifici e le contraddizioni che stanno dentro alla società e ai partiti, anche quelli che formalmente riconoscono dei grandi principi come quelli della rappresentanza degli uomini e delle donne. Tuttavia, queste difficoltà e queste contraddizioni sono anch'esse non già il frutto solo di contraddizioni soggettive, ma espressioni delle ragioni profonde che ancora ostacolano negli anni 2000 la piena realizzazione di quelle norme e principi che tutti riconosciamo come fondativi e fondanti di una democrazia vera. Queste ragioni storiche - qui è stato richiamato - trovano la loro collocazione e la loro espressione persino dentro la Costituente, laddove delle donne eroicamente si sono battute per affrontare le contraddizioni, ma che, pure, hanno prodotto una Costituzione che, per quanto straordinaria, non è priva di alcuni difetti che denotano questa contraddizione in modo ancora così forte. Queste ragioni storiche e profonde trovano la loro caratteristica e la loro espressione in tutti i passaggi e in tutti momenti fondamentali della democrazia; sono lì a dire di questa contraddizione il riconoscimento del voto e quello dell'elettorato passivo alle donne, in altre parole, tutti i momenti della democrazia, come persino la storia della Resistenza, che è un momento straordinario, non riconosce appieno il ruolo delle donne nella società e nella politica.
Eppure oggi sentiamo ancora più stridente questa contraddizione, proprio perché alle spalle abbiamo anche la grande storia di un movimento femminista che, per diversi anni, ha fatto emergere queste contraddizioni, dichiarando in modo plateale cosa produce questa divisione dei ruoli nella famiglia e nella società.
Ebbene penso che oggi, forse più di prima, sia necessario indagare sulle ragioni profonde che connotano in questo modo le istituzioni. Si tratta di ragioni sociali e culturali tuttora irrisolte e, anzi, persino aggravate.
In questo senso, credo sia sufficiente richiamare la competizione insita nella nostra società; una competizione su tutti i fronti, frutto di un'ideologia di mercato, che si sviluppa in tutti gli ambiti della vita quotidiana, ad esempio, sul luogo di lavoro. Quando vi è una continua competizione nella vita quotidiana è evidente che le donne si ritraggono, non amano queste competizioni.
Le ragioni sociali e materiali che portano le donne lontano dalla politica abbisognano di interventi profondi, di informazione, di grandi interventi culturali, ma anche di sostanziose modifiche strutturali. Mi riferisco ad altri aspetti che forse in questa sede non sono stati affrontati in modo completo. Se le donne non sono abbastanza inserite nella politica e nelle istituzioni, è anche perché vi è una forte ed evidente crisi della politica. Si tratta di una crisi che ha responsabilità soggettive in quei partiti che hanno rinunciato ad esprimere appieno, in modo limpido, le discriminanti di fondo che differenziano tra loro progetti politici e idee di società. Tali partiti hanno trovato un sostegno, persino una sollecitazione a questa responsabilità soggettiva, in un sistema elettorale maggioritario che li spinge in questa direzione, ad essere cioè gli uni uguali agli altri, a rendere meno evidenti i contenuti su cui ci si misura concretamente e i contenuti di fondo di una idea di società che potrebbe aiutare a ritrovare la passione, la nobiltà per affrontare con impegno la politica.
Vi è un problema - che andrebbe indagato - di sistema elettorale e di democrazia. Il potere degli esecutivi sulle assemblee elettive è un altro di quei nodi che interroga molti uomini, ma anche e soprattutto molte donne, sull'opportunità di dedicare tanto tempo all'impegno sociale, alla politica.
La crisi della democrazia deriva dallo svuotamento di potere di quei luoghi i cui componenti sono democraticamente eletti dai cittadini. Anche in questo caso, un'altra volta, dobbiamo richiamare il termine «globalizzazione», per evocare quei processi che, man mano, hanno affidato in Italia, in Europa e nel mondo i poteri decisionali ai luoghi tecnocratici, sottraendoli alle assemblee elettive, anche a quella in cui oggi ci troviamo a parlare.
La crisi della politica ha a che fare con la coerenza, ha a che vedere con il dire e il fare, cioè con processi che chiedono responsabilità ai partiti e alle istituzioni.
Penso che sia bene parlare anche di altro. In quest'aula si è detto che, in fondo, possono esserci opinioni, valutazioni diverse circa la pregnanza di termini quali «pari opportunità» e «parità di accesso», quest'ultimo da noi proposto e sostenuto.
Penso che la differenza sia sotto gli occhi di tutti. Da una parte le pari opportunità richiamano ad una parità formale, dall'altra le parità di accesso, richiamano invece ad una parità sostanziale.
Vorrei dire alla collega intervenuta precedentemente che proprio in questo termine si ravvisa non solo la contrarietà alle quote, ma anche una certa contraddizione; il concetto di parità di accesso di per sé contraddice un'idea minuta delle quote.
La debolezza però del termine e della norma che si propone di inserire nel testo della Costituzione (quella delle pari opportunità) ha a che fare anche con il fatto che, nel nostro paese, è sostanzialmente questa maggioranza - non da sola - ad aver proposto questa formulazione. Noi non abbiamo un'idea ristretta rispetto agli interventi in materia costituzionale e nemmeno sulle conseguenze che questa normativa dovrebbe provocare.
Pensiamo cioè che le donne, gli uomini, i parlamentari che, in questa sede, affermano di volere intervenire sul testo della Costituzione per promuovere la presenza femminile nelle istituzioni e nelle cariche elettive, debbano fare i conti con le ragioni più sostanziali, ma anche con il programma elettorale che connota la maggioranza di questo Parlamento; un programma elettorale è un'identità politica che stride esattamente con questo principio che, formalmente, viene affrontato. Porsi, infatti, il problema di una maggiore presenza delle donne nella politica e nelle istituzioni, di un maggiore protagonismo significa riconoscere appieno la libertà e la responsabilità femminile.
Fra un paio di settimane discuteremo in Assemblea della procreazione assistita; dubito, conoscendo anche i disegni di legge in discussione, che questa maggioranza vorrà riconoscere in una materia così delicata come quella la piena responsabilità e la libertà femminile.
Questi sono i connotati di fondo che da soli spiegano il motivo per cui ci troviamo in un contesto debole ad affrontare una questione grande come quella di una modifica costituzionale; un contesto debole perché, diversamente dalla scorsa legislatura - e concludo, signor Presidente -, la norma che era stata proposta era il frutto di un dibattito anche nel paese, di una grande verifica in Commissione affari costituzionale, di consulenze con giuriste tese a valutare come la norma potesse non contraddire lo spirito fondamentale della Costituzione.
Oggi ci troviamo in un contesto debole perché, fuori, un dibattito non si è mai sviluppato e perché l'ambito politico nel quale si sviluppa questa discussione (mi riferisco alla maggioranza) entra in contraddizione oggettivamente con i principi che si dice di voler affrontare. Avevamo la possibilità di votare una norma non invasiva, ma che avrebbe aperto grandi spazi ed affidato al Parlamento grande responsabilità. Si vota, invece, una norma che consideriamo debole, insufficiente ed inadeguata. Pertanto, il gruppo di Rifondazione
comunista si asterrà dal voto (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Trantino. Ne ha facoltà.
ENZO TRANTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il mio intervento, nella modestia della sua struttura, si rivolge innanzitutto agli scettici e ai distratti. Il tema al nostro esame, per la formulazione che ha ricevuto con il testo proposto (e sul quale esprimeremo un voto favorevole), non costituisce una rivoluzione, ma un'occasione, soprattutto (è qui la lettura etica che il gruppo di Alleanza nazionale dà al provvedimento) perché termini il regime di concessioni e si attivi il tempo dei riconoscimenti.
Tale problema è stato prospettato, ma soltanto annunciato, nella relazione della collega Montecchi ove è stata usata un'espressione particolare quando si è fatto riferimento ad un messaggio pedagogico. Intendiamoci, non vogliamo costruire una montagna laddove non c'è lo spazio per farlo!
Avremmo potuto fare a meno di tornare sull'articolo 51 se non vi fosse stata la sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 1995. Quella sentenza, ultimamente, ha messo in crisi una serie di interpretazioni che, sicuramente, attenuano la certezza del diritto e utilizzano strumenti di ambiguità per chi la vuole usare.
Allora è ingiunzione d'attualità, perché in tal modo leggo l'articolo 51 secondo la proposta di modifica, un appuntamento legislativo e non certamente la novità faraonica che qualcuno ha voluto prospettare, attaccando la legge.
Dobbiamo anche considerare tuttavia che su questo provvedimento aleggia un'ombra che deve essere subito dissolta. Si parla di parità di sessi: si tratta di un'espressione ambigua, da un lato, e ipocrita, dall'altro. Il sesso sofferente oggi non è certamente l'uomo, per la considerazione che la donna, a volte autoescludendosi e quindi con un complesso di limitazione costituzionale ed istituzionale, ha concesso più spazio agli uomini di quanto questi ne volessero occupare.
Nel caso di specie, se esse siano escluse o autoescluse, attiene alla contaminazione dei due argomenti. L'annientamento delle ombre di cui parlavo in precedenza è legato alla ragione che il polo escluso è il pianeta donna. Quando si parla del pianeta donna, tutte le espressioni che si possono adoperare non derivano da una affermazione positiva che sembra discendere dal favore del principe: parla un uomo e quindi elargisce alle donne, con la cattura della benevolenza, una serie di atteggiamenti quasi concedenti. Nulla di tutto questo: mi vergognerei per la mia condizione di civiltà e di cultura.
Il discorso è un altro ed attiene - è importante sollevarlo - ad un'espressione che è stata usata a Pechino nel 1995, nel corso della giornata mondiale dedicata alla donna, da una delegata africana, la quale affermò che quando le donne non producono reddito, non per colpa loro, sicuramente producono ricchezza. Ricchezza è la sensibilità, l'essere corazzati contro la vocazione alla corruzione che spesso alligna, per studi profondi dell'università di Firenze, più negli uomini che nelle donne. Perché ricchezza è nel momento in cui la donna, da cui discendiamo, ci completa col consiglio, sicché non vi è una gara in cui un sesso prevale rispetto all'altro, bensì un discorso di complementarietà che oggi viene ribadito attraverso la lettura dell'articolo 51 della Costituzione che, pur aleggiando in esso la stessa sostanza rispetto a quello precedente, innova però fortemente il principio di riflessione, quasi fosse un richiamo affinché ognuno prenda coscienza e consideri aperto oggi il tema.
Tutte le altre cose che possono discendere deriveranno dalla legge ordinaria. Su quest'ultima ci misureremo, potremo dividerci, articolare le proposte più varie, ma chi pensa di approvare questo provvedimento - mi riferisco a tutta l'Assemblea -, pensando che esso sottenda un cambiamento
di rotta o di rappresentanza, sbaglia tecnicamente perché così non è.
Esso ribadisce un principio dal quale scaturiscono le derivate di ordine legislativo. La legislazione ordinaria si prenderà carico di ciò, sì che noi, ci consideriamo iscritti al comitato dei debitori, di coloro i quali hanno impegni da svolgere ed hanno rinviato colpevolmente. Dobbiamo, utilizzando l'argomento che la donna produca sempre ricchezza, anche se non produce reddito, non disperdere da questo momento un patrimonio di valore e di opportunità. Sta al nostro senso di responsabilità, senza alzare bandiere di combattimento perché questo problema non tollera distintivi, in quanto appartiene a tutti noi che lo stiamo servendo in questo momento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, intervengo brevemente perché, a nome del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo, ha già parlato l'onorevole Bimbi ed io condivido quanto quest'ultima ha affermato. Esprimo voto favorevole su questo provvedimento nella certezza che, attraverso tale innovazione costituzionale, alla prima delle quattro letture necessarie, abbia un contenuto di sostanza che vada oltre l'idea di azione positiva, anche se si riferisce in particolare alla possibilità che si possano compiere azioni positive per le pari opportunità.
Credo che le pari opportunità debbano avere - come ho già avuto modo di dire - un valore di diritto nuovo, forte, che è stato costruito in decenni di battaglie femminili e di grande spessore, che hanno riguardato l'Europa, l'America e tanti paesi industrializzati, ma anche quelli che purtroppo ancora si dibattono in problemi di primaria importanza quali quelli della fame e della sete.
Le pari opportunità sono nate - lo dico ai colleghi, le donne lo sanno tutte - nel 1789, quando Olimpia de Gouges, nel corso della rivoluzione francese, fu mandata alla ghigliottina, perché ingenuamente credette che, alla dichiarazione sui diritti dell'uomo - allora l'uomo era rappresentativo di tutto l'universo civile e politico -, si potesse affiancare e fare approvare da quel consesso anche una dichiarazione universale sui diritti delle donne. Fu ghigliottinata.
Credo che, da allora, di passi ne siano stati fatti tanti e che oggi, in questo Parlamento, se ne compia uno ulteriore nel nostro paese, che ha visto tante leggi favorevoli alle donne, ma non ancora nella politica, negli uffici pubblici e nei luoghi dove si decide. È stata ricordata la RAI, ma io voglio ricordare anche la Corte costituzionale e chiedere al Parlamento di eleggere una, due donne, per riequilibrare anche il massimo organo di garanzia costituzionale del nostro paese.
Voglio dire a tutti voi che la società è molto cambiata, nel senso che molte più donne sono nei luoghi di potere, molte più donne, attraverso la loro responsabilità e la loro competenza sono in luoghi dove si decide e si assumono fortissime responsabilità. È stato già detto, ma voglio ricordare, in conclusione, che le donne, ove messe realmente alla pari, e cioè con reali pari opportunità - come, ad esempio, nei concorsi pubblici - vincono nella stessa misura e addirittura più degli uomini. Esse riescono ad affermarsi e ad emergere veramente in virtù della loro forza e competenza.
Chiedo a tutti di creare le condizioni reali e concrete affinché i necessari provvedimenti cui si riferisce il testo che stiamo approvando garantiscano davvero le pari opportunità, con un impegno forte di tutte le forze politiche, un impegno coerente e finalmente applicativo, sia di questo articolo 51 che stiamo approvando, quando poi diventerà innovativo della nostra Costituzione, sia dell'articolo 3, ma io dico anche dell'articolo 2, che ha un valore fondamentale (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
![]() |
![]() |
![]() |