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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, presidente Bruno.
DONATO BRUNO, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, la Commissione affari costituzionali il 22 gennaio 2002 ha iniziato l'esame dei progetti di legge in tema di risoluzione dei conflitti di interessi che le erano stati assegnati. Il contenuto di tutti i progetti di legge è stato illustrato dal relatore nel corso dell'esame preliminare e su di essi si è svolta un'ampia discussione.
Il contenuto dei diversi progetti di legge è stato, altresì, oggetto di alcune audizioni di professori ed esperti che la Commissione ha svolto nell'ambito dell'istruttoria legislativa.
La Commissione, infatti, ha deliberato, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del regolamento, di procedere, all'interno dell'esame in sede referente, ad un'indagine conoscitiva durante la quale si sono svolte le suddette audizioni nel corso delle quali sono stati ascoltati nove esperti di diritto costituzionale, amministrativo e comparato. Le modifiche apportate al testo iniziale durante la sede referente sono il frutto, oltre che del dibattito svoltosi in Commissione, anche delle risultanze di tali audizioni e della documentazione fornita dagli stessi esperti.
A conclusione dell'esame preliminare, la Commissione ha deliberato di costituire un Comitato ristretto che ha proposto alla Commissione stessa di adottare come testo base per il prosieguo dell'esame in sede referente il testo del disegno di legge governativo. Il seguito dell'esame si è così svolto sulla base del disegno di legge del Governo il quale ha motivato ed illustrato singolarmente le proposte di modifica al testo che ha, di volta in volta, sottoposto al voto della Commissione.
All'esame delle norme in tema di conflitto di interesse, sono state complessivamente dedicate 12 sedute di Commissione (comprese due sedute per lo svolgimento delle audizioni in sede di indagine conoscitiva) ed una seduta di Comitato ristretto.
Nel corso dell'esame in sede referente, sono stati valutati anche i pareri espressi dalle altre Commissioni competenti in sede consultiva; in particolare, è stato approvato un emendamento attraverso il quale si è recepita la condizione apposta dalla V Commissione (Bilancio), volta a garantire il rispetto dell'obbligo di copertura finanziaria. Il recepimento della condizione formulata dalla Commissione Bilancio assorbe, altresì, la condizione inserita nel parere espresso dalla XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) in riferimento al limite massimo di unità di personale aggiuntivo di cui l'autorità garante della concorrenza e del mercato dovrà avvalersi per svolgere le nuove competenze attribuitele dal disegno di legge in esame.
Passando all'illustrazione del contenuto del disegno di legge, l'articolo 1 del provvedimento individua come destinatari delle norme il Presidente del Consiglio dei ministri, i ministri, i viceministri, i sottosegretari di Stato, i commissari straordinari del Governo nonché i presidenti delle province e sindaci delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore ai 300 mila abitanti. L'estensione, in particolare, ai sindaci dei comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore 300 mila abitanti è frutto di una modifica approvata durante l'esame in Commissione, durante il quale si è provveduto, altresì, ad escludere dalla normativa del presente disegno di legge i presidenti delle regioni per i quali - così come per i presidenti delle province autonome - saranno gli statuti a disciplinare la materia con disposizioni che assicureranno comunque il rispetto del principio generale dettato dall'articolo 1, comma 1, del presente provvedimento.
Per quanto riguarda i titolari delle cariche di governo nelle province, nelle città metropolitane e nei comuni capoluogo di provincia, si prevede comunque che i criteri attuativi delle nuove disposizioni saranno individuati con regolamento, sentita la Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Appare comunque opportuno ricordare che il Governo, a conclusione dell'esame in Commissione, ha sottolineato che l'aspetto dell'estensione della presente disciplina ai titolari di cariche di governo negli enti locali potrà essere oggetto di un ulteriore approfondimento e ha provveduto pertanto alla presentazione, nel corso dell'esame in Assemblea, su questo punto specifico, di un'organica proposta emendativa.
All'articolo 1, si precisa che i «titolari di cariche di governo nell'esercizio delle loro funzioni si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici»; è previsto, altresì, per gli stessi un obbligo di astensione dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto di interessi.
L'articolo 2 del disegno di legge disciplina il regime di incompatibilità per i titolari di cariche di governo così individuati. Il comma 1 elenca le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulti incompatibile con la titolarità di cariche di governo; al comma 2, introdotto durante l'esame in Commissione, si specifica che non costituisce motivo di incompatibilità la mera proprietà di una impresa individuale ovvero di quote o azioni societarie, sempre che essa non comporti l'assunzione di cariche sociali o l'esercizio di attività di amministrazione.
Tale comma 2 specifica, in maniera più puntuale, il principio già contenuto nell'articolo 2, lettera c).
Al comma 5 dell'articolo 2 si prevede la decadenza dagli incarichi e dalle funzioni incompatibili con effetto dalla data del giuramento o dalla data di effettiva assunzione delle cariche di governo. Quanto ai rapporti d'impiego pubblico o privato, il comma 6 prevede il collocamento dei dipendenti in aspettativa o in analoga posizione, secondo l'ordinamento di provenienza. Si precisa, inoltre, che dal periodo trascorso in tale posizione non deriva pregiudizio alla posizione professionale e alla progressione di carriera.
Il comma 7 dell'articolo 2, interamente modificato a seguito dell'approvazione di un emendamento durante la fase referente in Commissione, introduce una norma tendente a disciplinare l'efficacia nel tempo delle nuove disposizioni in tema di incompatibilità. Si prevede, infatti, che le situazioni di incompatibilità di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e c), con esclusione dei compiti di amministrazione in società aventi fini di lucro, non sussistono per le cariche od uffici ricoperti e per le attività svolte al momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni.
All'articolo 3, interamente sostituito durante i lavori in Commissione, la nozione di conflitto di interessi viene definita nel seguente modo: sussiste situazione di conflitto di interessi quando l'atto è adottato dal titolare di cariche di governo in situazione di incompatibilità ovvero quando l'atto ha un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, con danno per l'interesse pubblico e salvo che il provvedimento stesso riguardi la generalità o intere categorie di soggetti.
L'articolo 4, inserito durante la fase referente, chiarisce che l'introduzione della specifica disciplina sul conflitto di interessi per i titolari di cariche di governo non esclude l'applicabilità delle norme penali, amministrative e disciplinari previste dal vigente ordinamento nonché delle disposizioni volte a prevenire e reprimere l'abuso di posizione dominante da parte delle imprese, anche quando esso sia riconducibile ad atti posti in essere dal titolare di cariche di governo.
L'articolo 5 reca norme volte a garantire la pubblicità e la trasparenza della situazione patrimoniale e degli interessi economici dei titolari di cariche di governo; il comma 1, infatti, fa obbligo a chi assuma la titolarità di cariche di governo di rendere note, entro novanta giorni, all'autorità garante della concorrenza e del mercato, l'eventuale titolarità di cariche o funzioni incompatibili ai sensi dell'articolo 2 e tutte le attività patrimoniali di cui sia o sia stato titolare nei tre mesi precedenti. Ogni variazione dei dati forniti deve, altresì, formare oggetto, entro venti giorni dal suo verificarsi, di analoga comunicazione. Il comma 3 dell'articolo 5, inoltre, impone all'autorità di attivarsi per effettuare gli accertamenti necessari entro i trenta giorni successivi alla scadenza dei termini suindicati.
Il nuovo articolo 6, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, disciplina le funzioni dell'autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di conflitto di interessi. Il comma 1, infatti, ricollegandosi alla disciplina delle incompatibilità dettata dall'articolo 2, attribuisce all'autorità poteri di accertamento, di vigilanza sul rispetto dei divieti previsti e di iniziativa volta a promuovere, da parte dell'amministrazione o dell'impresa competente, la rimozione dell'incompatibilità, mediante: in primo luogo, la rimozione o decadenza dell'interessato dalla carica o dall'ufficio incompatibile; in secondo luogo, la sospensione del rapporto di impiego pubblico o privato; in terzo luogo, la sospensione dall'iscrizione in albi e registri professionali.
Il comma 2 prevede altresì che, al fine di accertare la sussistenza di situazioni di conflitto di interessi ai sensi dell'articolo 3, l'autorità garante della concorrenza e del mercato controlli e verifichi gli effetti dell'azione del titolare di cariche di governo con riguardo alla eventuale incidenza specifica sull'assetto patrimoniale dello stesso titolare di cariche di governo,
del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, con danno per l'interesse pubblico.
A seguito di tali accertamenti, ai sensi del comma 3, l'autorità riferisce al Parlamento quando dall'esecuzione o attuazione di atti o deliberazioni derivino, in danno del pubblico interesse, trattamenti privilegiati o agevolati di specifici interessi privati facenti capo al titolare di cariche di governo ovvero al coniuge o ai parenti entro il secondo grado. La segnalazione al Parlamento consiste in una comunicazione motivata, diretta ai Presidenti delle due Camere, la quale dev'essere accompagnata da un parere concernente le possibili misure atte a risolvere tempestivamente le conseguenze pregiudizievoli e ad evitare il ripetersi di casi analoghi. Qualora i fatti assumano rilevanza penale, l'autorità è comunque tenuta a denunziarli all'autorità giudiziaria.
Per quanto riguarda le modalità attraverso le quali l'autorità esercita le proprie funzioni, il comma 5 chiarisce che essa procede d'ufficio alle verifiche di competenza, valutate preventivamente e specificamente le condizioni di proponibilità ed ammissibilità della questione. A tale fine, si prevede che essa possa corrispondere e collaborare con gli organi delle amministrazioni, acquisire i pareri delle altre autorità amministrative indipendenti competenti e le informazioni necessarie, con i limiti opponibili all'autorità giudiziaria.
Viene chiarito, al comma 6, che l'autorità, nell'esercizio di tali funzioni, si avvale dei poteri previsti dalla propria legge istitutiva in quanto compatibili con le nuove funzioni affidatele dalle suddette disposizioni; viene tra l'altro specificato che nello svolgimento del procedimento sarà garantita la partecipazione procedimentale dell'interessato ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Il comma 8 prevede, altresì, che il Governo possa richiedere all'autorità pareri sui progetti di legge e sugli schemi di altri atti normativi.
L'articolo 7, con il prescrivere l'obbligo per l'autorità di presentazione al Parlamento di una relazione semestrale sullo stato dell'attività di controllo e vigilanza introdotte dal disegno di legge in esame, prevede altresì che, qualora le dichiarazioni richieste a chi ricopre cariche di governo in merito alla titolarità di cariche o funzioni incompatibili ai sensi dell'articolo 2 e alle attività patrimoniali di cui siano titolari non siano state rese nei termini previsti o risultino non veritiere, l'autorità debba comunicare le violazioni rispettivamente ai Presidenti delle Camere ovvero dei consigli provinciali o comunali.
L'articolo 8 prevede, infine, che, in relazione ai compiti attribuiti all'autorità garante della concorrenza e del mercato, sia previsto un potenziamento dell'organico dell'autorità stessa.
Termino qui una parte del mio intervento, riservandomi di intervenire al termine della discussione sulle linee generali, dopo i colleghi che sono iscritti a parlare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Bressa.
GIANCLAUDIO BRESSA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, la discussione che inizia quest'oggi è molto importante. Siamo giunti ad uno di quei passaggi parlamentari che possono segnare nel profondo la vita democratica della nostra Repubblica, passaggio che definire storico non è esagerato. Ci accingiamo ad affrontare questa discussione in un clima politico ed istituzionale paradossale. Sembra di essere tornati indietro negli anni e di vivere ai tempi della fine dell'impero austro-ungarico, ai tempi di Karl Kraus e del suo memorabile saggio Elogio della vita a rovescio, secondo cui sarebbe sano assecondare il principio di una vita a rovescio in un mondo che funziona a rovescio. Sì, perché è esattamente questo ciò che sta accadendo oggi: il mondo funziona alla rovescia. Si è partiti con l'obiettivo di regolare quella torsione gravissima, quella lesione permanente delle più elementari regole democratiche e di libertà rappresentata dal conflitto di interessi e ci ritroviamo con una proposta del Governo, a
firma Berlusconi, Frattini, La Loggia, che legittima, rende legale il conflitto di interessi. Da questo punto di vista, è vero, Berlusconi è stato di parola: ha risolto il problema del suo conflitto di interessi legalizzandolo, trasformando una anomala situazione di fatto in un'incredibile situazione di diritto. Tocca a questo punto a noi, a me e alla collega Mascia, relatori di minoranza, il compito di far riflettere la Camera perché si possa modificare radicalmente questa incredibile prospettiva, questa torsione delle più elementari regole della morale costituzionale e della morale politica.
Per fare questo (nel rimandare, per motivi di tempo, alla relazione che accompagna la proposta di legge Rutelli-Fassino ed agli interventi illustrativi che farò relativamente ai singoli articoli in sede di esame del disegno di legge) mi limiterò, quest'oggi, all'analisi del perché il disegno di legge Berlusconi non solo non risolve, ma aggrava il conflitto di interessi oggi esistente.
Ogni conflitto di interessi, ogni opposizione tra due realtà, tra due tipi di responsabilità, presuppone una scelta che, prima di ogni altra cosa, è una scelta etica. L'uomo di governo ha delle responsabilità superiori che deve affrontare in piena coscienza e nel rispetto della morale pubblica. Un principio etico lo obbliga a non accettare di cumulare ruoli che possono essere in contraddizione tra loro. La contraddizione può porsi ad un livello puramente istituzionale: in questo caso la responsabilità di un uomo politico è di far funzionare le istituzioni conformemente non solo alle regole, ma anche allo spirito della Costituzione, secondo una logica che si può qualificare di morale costituzionale. La separazione dei poteri, la continuità e la neutralità dello Stato, il pieno esercizio delle competenze ed il rispetto della sovranità popolare sono principi che l'etica costituzionale impone ai governanti e che li costringono a rifiutare, in certe ipotesi, il cumulo di funzioni.
Ma il conflitto di interessi può porsi anche in una prospettiva più ampia, quella della società, della politica. L'etica del convincimento, evocata da Max Weber a proposito dell'uomo politico, è anche un'etica della responsabilità quando è riferita a chi esercita il potere. La morale politica impone all'uomo di Stato di saper scegliere tra l'interesse generale e gli interessi particolari dai quali egli può ricevere sollecitazioni nell'esercizio delle sue funzioni.
D'altro canto questa è la storia del mondo occidentale; è la cultura dell'occidente. Da Il contratto sociale a Totem e tabù, da Rousseau a Freud, tutta la storia del pensiero occidentale dimostra che la nostra società è consapevole di essere fondata sulla costruzione e sull'accettazione di limiti a quella che i filosofi chiamano la libertà naturale. La civiltà produce disagio proprio perché richiede una rinuncia; presuppone una disposizione al sacrificio di una parte del desiderio e credo che a questa disposizione al sacrificio nessuno possa sottrarsi, nemmeno il nostro Presidente del Consiglio.
Il conflitto di interessi è un esempio tipico di ricerca di un giusto limite e di una sua accettazione. Da questo punto di vista gli Stati Uniti d'America costituiscono un paradigma. Negli Stati Uniti d'America la distinzione tra l'esercizio dei poteri pubblici e gli interessi economici privati è considerata importante quanto la separazione fra i tre poteri dello Stato. I principi ai quali si ispirano queste norme affondano le loro radici nell'etica; ecco perché, oggi, noi siamo qui non solo per fare una legge di regolazione del conflitto di interessi, ma per definire i contorni di un codice etico, che è di più di una semplice legge, che è la misura della nostra cifra morale e politica.
La questione fondamentale per le norme sulla regolazione del conflitto di interessi è data dal fatto che si devono contemperare due valori: l'interesse generale e l'iniziativa economica privata, ma con una sequenza logica ineliminabile che prevede di garantire che la prevalenza dell'interesse generale all'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche avvenga limitando l'iniziativa privata, tanto quanto è necessario per tutelare quella prevalenza.
Questa è la qualità, la grandezza delle democrazie liberali, questa è la grandezza del modello americano, che ha radici profonde ed antiche ma ancora attuali e moderne.
Thomas Jefferson, in una lettera del 1779 a Richard Henry Lee, dava questa definizione che io credo sia, ancora oggi, di straordinaria attualità: «L'attività pubblica non offre né vantaggi né felicità; è solo un esilio onorevole dalla propria famiglia e dagli affari».
Nella storia italiana il capitolo «conflitto di interessi» ha vita recente, perché nell'esperienza iniziale dello Stato unitario ha pesato la derivazione monarchica dei governi, mentre nella più recente storia repubblicana il sistema dei partiti ha garantito, per un tempo lungo, non solo l'esercizio organizzato delle libertà politiche dei cittadini, ma anche regole di correttezza, non scritte, nella gestione pubblica.
Il primo esempio di regolazione sistematica del conflitto di interessi si ha in un'epoca non sospetta rispetto ai temi della polemica attuale. Siamo nel luglio del 1993, Presidente del Consiglio è Carlo Azeglio Ciampi e ministro della funzione pubblica il professor Sabino Cassese. Nel luglio di quell'anno viene redatto un codice di comportamento dei dipendenti pubblici, dove, all'articolo 88, vengono individuate le situazioni ed i comportamenti dei dipendenti pubblici che possono causare conflitto di interessi, anche potenziale, con il servizio pubblico. Siamo nel 1993, in un'epoca, lo ripeto, non sospetta, in cui il senso del limite ed il rischio del conflitto di interesse, anche solo potenziale, è ben chiaro (ed ecco perché, rispetto a tale problema, si prevedono soluzioni vere). Era questo una sorta di codice etico, ed i codici etici presuppongono, per la loro riuscita, la convinzione che la violazione delle norme in essi contenute meriti sanzioni che, nei casi più gravi, possono giungere all'espulsione dal gruppo.
Per questo, la condivisione dei principi è la condizione per un lavoro comune, per una soluzione comune. Anche oggi, in quest'aula, tale condivisione di principi fondamentali deve essere la regola, perché non si tratta di fare una legge come tante, bensì si tratta di definire una regola di democrazia, di libertà, di civiltà. Per questo, per noi, gli unici principi di riferimento possibili sono quelli della nostra Costituzione. Credo che, da questo punto di vista, ci soccorra la giurisprudenza della Corte costituzionale. È stato infatti proprio compito della Corte, in questi anni, tenere insieme, sulla base dei principi costituzionali, la frammentarietà delle norme relative alle ineleggibilità ed alle incompatibilità, sia con riferimento all'articolo 65, sia nei nessi individuati tra l'articolo 51 della nostra Costituzione ed il principio di imparzialità dell'amministrazione, proprio al fine di evitare l'insorgere di conflitti di interesse. La giurisprudenza della Corte ha sempre evidenziato come principi fondamentali non derogabili tanto quello riferito all'esigenza di garantire la libertà del voto, evitando l'esercizio di captatio benevolentiae nei confronti dell'elettore, quanto quello relativo al corretto esercizio della funzione pubblica, eliminando il rischio di conflitto di interessi.
Sono questi i principi forti, non equivocabili, in cui il senso del limite, la definizione del limite, appare sempre in maniera molto evidente, a cominciare da una sentenza del 1971, relatore l'indimenticato professore Vezio Crisafulli, in cui si era giunti ad affermare che non è illegittimo comminare l'ineleggibilità anche nell'ipotesi in cui le sue cause non possano essere volontariamente rimosse dall'interessato, definendo in questo modo l'assoluta prevalenza dell'interesse pubblico rispetto a qualsiasi altro interesse. Seguono poi altre sentenze, una risalente sempre agli anni settanta, in cui si afferma che il conflitto di interessi non deve essere necessariamente attuale, bastando che esso sia solo potenziale: la sua potenzialità è già sufficiente a porre in pericolo quegli interessi pubblici che si intendono tutelare mediante l'eliminazione della situazione di conflittualità. Ricordiamoci, quindi, questa dimensione solo potenziale.
Ricordo poi altre sentenze risalenti sempre gli anni settanta, in cui viene in evidenza la relazione tra controllore e controllato ed il pericolo che tali ruoli vengano a coincidere nello stesso soggetto. Si presti attenzione a cosa significa gestire imprese in concessione dallo Stato ed essere al tempo stesso membro del Governo. Fino ad arrivare alla sentenza del 1993 - anche questa anticipa la «mitica» discesa in campo del cavalier Berlusconi - in cui si rinviene un auspicio indirizzato al legislatore allo scopo di sollecitare la riforma della legislazione vigente in tema di incompatibilità, in quanto la normativa in vigore appare - cito - ricca di incongruenze logiche e divenuta ormai anacronistica di fronte ai profondi mutamenti che lo sviluppo tecnologico e sociale ha prodotto nella comunicazione politica. Siamo nel 1993.
Sempre in questa sentenza si richiede una disciplina più rigorosa per i titolari di cariche di Governo in virtù dei poteri di amministrazione attiva che essi possono esercitare anche singolarmente.
Vorrei poi citare rapidamente parecchie sentenze degli anni settanta e ottanta in cui la Corte ammonisce che si deve evitare un'indebita influenza sulla libera manifestazione di volontà dell'elettore o, ancora, che si deve evitare che si realizzi una capacità di influenza incompatibile con le regole del sistema democratico. Questi sono i principi costituzionali che appartengono alla civiltà giuridica della nostra Repubblica; questa è la cultura giuridica istituzionale che ci ispira.
Ma il disegno di legge del Governo trae ispirazione da questi stessi principi? Trae ispirazione dalla civiltà giuridica costruita dalla nostra Costituzione? Purtroppo, devo dire di no. L'imprinting del disegno di legge del Governo è altro, ed è ispirato alle parole che Silvio Berlusconi ha pronunciato in quest'aula il 2 agosto 1994. Silvio Berlusconi diceva testualmente: su un punto non transigo: la libertà di impresa e la libertà di lavoro non si toccano, perché la Costituzione non consente a nessuno di espropriare o collettivizzare la proprietà privata; siamo in Italia, per grazia di Dio, e non nella Romania di Ceausescu.
A prescindere dal tono e dall'animus che, come è facile capire, è un po' diverso da quello che ha ispirato la lettera di Thomas Jefferson, è il contenuto del messaggio che conta: fate ciò che volete, ma le mie proprietà non c'entrano con il conflitto di interessi, perché siamo in Italia e non in un regime comunista. È questo ciò che avete fatto: avete costruito una legge - una pessima legge - a immagine e somiglianza di questo Dicktat, alla faccia della cultura liberale, del modello americano, della lettera, dello spirito e della morale della nostra Costituzione.
Dietro questo schermo vi siete barricati, rifiutando ogni vero confronto politico e di merito. Siete arrivati a definire la nostra proposta come anticostituzionale prima ancora che noi l'avessimo depositata e voi aveste avuto l'opportunità di leggerla. Definite l'obbligo di vendita - che noi, peraltro, non prevediamo come tale - un macigno che deve essere tolto per consentire di avviare un confronto. Noi, nella nostra proposta, abbiamo affrontato e risolto il tema della proprietà di aziende rilevanti per l'interesse nazionale, affidandolo ad una specifica autorità, secondo il modello americano; si tratta di un modello negoziale e flessibile, che valuta le situazioni caso per caso e, quindi, senza nessun automatismo e che, alla fine, in caso di una partecipazione rilevante in un'impresa che può determinare una situazione di conflitto di interessi, possa distinguere la dimensione dei benefici economici dal potere di influenza che alla partecipazione si riconnette. Tutto ciò senza prevedere alcun esproprio e alcuna collettivizzazione (come voi affermate sull'onda delle alate parole del Presidente Berlusconi), ma attraverso strumenti finanziari concordati tra l'interessato e l'autorità da noi prevista, consentendo all'interessato di godere di tutti i benefici dell'investitore ma di nessuno dei vantaggi in termini di potere di influenza dell'imprenditore.
Come si può chiaramente intuire, questo principio ha più a che fare con l'esperienza
degli Stati Uniti d'America che non con la Romania di Ceausescu. È facile leggere questa testimonianza negli atti parlamentari depositati, che sono molto più importanti e convincenti delle parole che avete ripetutamente pronunciato in quest'aula e fuori da essa.
Basta confrontare le proposte per capire volontà, intenzioni e obiettivi. Allora, vediamo quali sono la volontà, le intenzioni e gli obiettivi del disegno di legge presentato dagli onorevoli Berlusconi, Frattini e La Loggia, cominciando dalla definizione del conflitto di interessi. L'articolo 3 stabilisce che sussiste situazione di conflitto di interessi quando l'atto ha una incidenza specifica sull'assetto patrimoniale del titolare, con danno per l'interesse pubblico e salvo che il provvedimento riguardi la generalità o intere categorie di soggetti. Dopo tutti questi incisi e distinguo, esiste ancora un'ipotesi di conflitto di interessi?
Dopo una definizione così stringente e così severa, direbbe l'onorevole Elio Vito, di conflitto di interessi credo che l'unico commento possibile sia quello che sarebbe una cosa seria modificare il titolo del vostro disegno di legge da «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi» in «Norme in materia di salvaguardia dei conflitti di interessi».
All'articolo 2 avete introdotto in Commissione un secondo comma che recita: non costituisce motivo di incompatibilità la mera proprietà di un'impresa individuale, ovvero di quote o azioni societarie sempre che essa non comporti l'assunzione di cariche o l'esercizio di amministrazione attiva. Siamo al nucleo del provvedimento: tutto gira intorno a questa norma che cancella, con un semplice tratto di penna, trenta anni di storia costituzionale nazionale. Infatti, calpesta l'ammonimento della Corte di vigilare rispetto al manifestarsi di un conflitto di interessi, anche solo potenziale, annulla il pericolo insito nella coincidenza dei ruoli di controllore e controllato, e sopprime, non contemplandola, la possibilità di un'indebita influenza sulla libera manifestazione di volontà dell'elettore. Già questo sarebbe sufficiente per considerare inaccettabile il vostro progetto, ma non si possono tacere altre due incredibili perle normative.
La prima è relativa al fatto che voi non solo avete cancellato la fattispecie del conflitto di interessi derivante dalla posizione ricoperta o detenuta, ma prevedete solo un intervento di controllo a posteriori per la verifica degli effetti dell'azione del titolare di cariche di Governo con riguardo all'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale dell'interessato. A parte il fatto che ancora una volta dimostrate interesse solo per gli effetti economici derivanti dal conflitto di interessi e non per gli indebiti poteri di influenza, volete spiegare come possa l'autorità garante delle comunicazioni e del mercato essere ragionevolmente operativa ed efficace in questa sua attività di esame, controllo e verifica quando, per restare ad un esempio riferibile ad un dato storico, il Governo Berlusconi, nel periodo maggio-dicembre 1994, ha adottato 1.509 atti normativi a cui si debbono aggiungere un numero imprecisato ma elevatissimo di atti a contenuto non normativo. Spiegatemi come l'autorità garante potrebbe valutare, verificare e controllare seriamente queste attività. Fintanto che non decide, cosa ne è di questi atti? Vengono sospesi? Se così fosse, e se foste davvero convinti di tale soluzione, avreste deciso la paralisi di Governo e Parlamento.
È del tutto evidente che voi non date a questa autorità alcun potere reale ed effettivo per cui non vi preoccupate di questo rischio macroscopico che il vostro disegno di legge, invece, porta intimamente con sé. È facile comprendere che questa nuova funzione è tale da snaturare la missione prevalente dell'autorità antitrust e comunque l'autorità non è attrezzata a compiti di investigazione delle conseguenze che singoli atti governativi possono avere sulle gestioni economico-finanziarie dei patrimoni dei membri del Governo che le hanno adottate. Quel pannicello caldo di aumentare di qualche unità il numero delle persone che lavorano all'interno dell'autorità dimostra la totale mancanza di serietà di questa vostra ipotesi normativa.
L'ultima osservazione, ma forse sarebbe meglio dire l'ultima aberrazione, riguarda il potere di sanzione. Non c'è alcun potere di sanzione perché non ci sono sanzioni se non, sempre per usare un termine caro al presidente Vito, la severissima comunicazione dell'autorità al Parlamento. Si tratta di una sanzione severissima perché - ci spiegate - nulla esiste di più grave per un uomo di Governo che una sanzione politica da parte del Parlamento. Posto che questo, per essere vero, deve presupporre un senso di responsabilità politica ed un rigore etico che, come dimostra questo disegno di legge, mi paiono merce piuttosto rara, dopo gli interventi a salvaguardia dei conflitti di interesse che voi avete confezionato, ci spiegate cosa resta da segnalare se non gli atti in violazione del codice penale? Rispetto a questi, fortunatamente (anche se non so ancora per quanto tempo), c'è la garanzia costituzionale del ruolo autonomo e, quindi, dell'azione della magistratura.
Per concludere, la natura illusoria di questi rimedi fa sì che questo disegno di legge a firma Berlusconi, Frattini, La Loggia ci ricordi quella bellissima favola di Hans Christian Andersen I vestiti nuovi dell'imperatore. Ministro Frattini, lei ed il ministro La Loggia, come i sarti della favola, avete confezionato un vestito meraviglioso fatto su misura per Silvio Berlusconi e per il suo immenso conflitto di interessi, ma anche il vostro vestito, come quello dell'imperatore, è fatto di niente, semplicemente non c'è.
Per questi motivi, avete lasciato Silvio Berlusconi in mutande davanti al Parlamento e al paese. Sta a noi, come fece il bambino della favola, gridare che Berlusconi è in mutande perché tutti lo sappiano, soprattutto fuori da quest'aula.
Invece, in questi giorni per voi sussiste l'occasione per coprirlo, possibilmente, non di ridicolo: cercate di non sprecare questa occasione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Mascia.
GRAZIELLA MASCIA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, non ho bisogno di insistere sul fatto che la questione al nostro esame è fondamentale e strategica per la democrazia di un paese: sarebbe stato opportuno e sarebbe bene che il Parlamento riuscisse ad esprimere ed a comporre un testo all'altezza di tale questione e della strategicità della partita che affrontiamo.
Invece, nonostante le tante sedute e le diverse ore di discussione nella Commissione affari costituzionali richiamate dal presidente Bruno, arriviamo in quest'aula dopo che si è consumata una rottura in Commissione. Il tentativo di approfondire un confronto si è rivelato, infatti, inutile per l'impossibilità di incidere da parte delle opposizioni su un impianto governativo, sostanzialmente, chiuso.
A nostro avviso, il testo del Governo - che oggi discutiamo in Assemblea - non affronta per nulla il conflitto di interessi, limitandosi, invece, a normare i comportamenti di coloro che si dedicano al governo della cosa pubblica e a determinare una modalità di controllo degli atti, senza, peraltro, disporre di strumenti di intervento efficaci.
Questa materia è al centro del dibattito politico ormai da anni (ne parlano gli organi di informazione ed è stata motivo di discussione delle campagne elettorali) ma la questione si trascina da due legislature senza trovare una soluzione. Continuiamo a pensare che il centrosinistra avrebbe fatto bene a legiferare mentre era al Governo e che il non averlo fatto abbia determinato l'emergere del dubbio che intendesse usare il conflitto di interessi come elemento di pressione o di scambio con il centrodestra su altre materie.
I fatti sono, comunque, sono sotto gli occhi di tutti. Questa settimana la maggioranza approverà alla Camera un disegno di legge dal titolo «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi», senza che quest'ultimo venga effettivamente affrontato.
Si tratta, infatti, di determinare la natura degli interessi che, intestati contemporaneamente al titolare di una carica, entrano in contraddizione, senza possibilità di mediazione reale e credibile. Il conflitto di interessi cui ci riferiamo riguarda, dunque, l'interesse privato che può interferire nell'esercizio di attività pubbliche, cioè l'uso di un potere pubblico di incrementare, proteggere e garantire - nell'immediato, nel medio o lungo termine - interessi privati, il valore patrimoniale del titolare della carica pubblica o dei parenti dello stesso.
Il problema della commistione dell'interesse privato con quello pubblico non può che basarsi sulla divisione dei poteri e non è un caso che ai dipendenti pubblici sia vietata qualunque attività economica privata. Tale principio trova complementarietà e completezza nelle norme dell'articolo 51 della Costituzione, laddove si sancisce che l'accesso ad un pubblico ufficio e alle cariche elettive è garantito a tutti i cittadini in condizioni di eguaglianza; si tratta di un principio di eguaglianza che specifica quanto previsto dall'articolo 3 della Costituzione, relativamente all'ambito che attiene ai rapporti cittadini-istituzione.
Naturalmente, questa condizione non vale solo al momento dell'accesso alla carica pubblica ma anche per tutti gli atti che quel titolare di carica o ufficio pubblico compierà: l'eventuale rottura del principio espresso da tale norma incrina, dunque, la qualità dell'intero ordinamento. Si tratta, dunque, di affrontare e risolvere situazioni di conflitto in cui versano cittadini che accedono a pubblici uffici e sono titolari di imprese o, direttamente o indirettamente, dispongono del loro controllo, attraverso un certo numero di azioni, in settori rilevanti della nostra economia e che, quindi, si presentano incompatibili fra loro.
Nella relazione al disegno di legge governativo si legge che appare assolutamente arbitrario ritenere che nel soggetto privato l'ansia di avvantaggiarsi, anche a detrimento dell'interesse pubblico, sia più o meno intensa a secondo della maggiore o minore rilevanza del patrimonio posseduto. Alla base dell'assunzione di un munus pubblico è l'impegno morale del cittadino di rivestire degnamente la carica con assoluta dedizione all'interesse pubblico, mantenendo una condotta ispirata a probità ed imparzialità, in osservanza di un naturale codice etico.
Secondo il Governo il problema di un potenziale conflitto di interessi non esiste, semmai sussiste un problema etico di comportamenti. Per tale ragione, le proposte si esauriscono nel chiedere ai titolari di cariche di governo di dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici.
Il problema si risolverebbe allo stesso modo per l'insegnante di scuola o per il proprietario di reti televisive, chiedendo al primo di mettersi in aspettativa e al secondo di separare la proprietà dei beni dalla loro gestione.
Tuttavia, il Governo ammette che, poiché la consistenza degli interessi privati non può considerarsi rilevante nel contesto economico-sociale e nella conduzione della cosa pubblica - ed è stata di recente segnalata la presenza nel sistema di poteri forti tali da condizionare o indirizzare l'azione dell'esecutivo - la vigilanza, volta a scongiurare ogni forma di abuso o di prevaricazione, è affidata alle istituzioni democratiche e all'autorità garante della concorrenza e del mercato.
Fermo restando che le leggi sono, per definizione, regole generali in ordine alle quali diventa difficilissimo dimostrare che assecondano soprattutto un interesse particolare, va sottolineato come quella autorità non abbia alcun potere di sanzione, potendo solo segnalare un caso sospetto al Parlamento nel quale, peraltro, vige una maggioranza blindata.
Sono, dunque, queste ragioni che hanno reso impossibile, già in Commissione, un intervento da parte dell'opposizione volto a migliorare il testo del Governo. Esso si presenta incompatibile con l'obiettivo di affrontare e risolvere davvero il conflitto di interessi.
Il disegno di legge Frattini, nella sua relazione introduttiva, cancella l'ipotesi di
un blind trust, sul quale il Parlamento lavorò nella precedente legislatura, rilevando come anche il più rigoroso regime di segregazione e di commissariamento dell'impresa non potrebbe offuscarne la visibilità. Occorre abbandonare qualunque impraticabile azione di accecamento, considerazione che condividiamo, ma da cui bisognerebbe trarre conseguenze impegnative.
La soluzione proposta dal Governo è invece quella di ignorare e rimuovere, a monte, il problema nel quale il conflitto di interessi nasce e prospera e intervenire, per modo di dire, con richiami etici e controlli sugli atti da parte di autorità senza poteri.
Il caso di concentrazione in un unico soggetto di poteri e capacità decisionali, sia nella sfera della politica sia in attività economiche che hanno una rilevanza per la loro strategicità o per la loro dimensione, ha assunto nel nostro paese un rilievo ancora più grande, essendo assenti limiti di qualunque genere nella nostra legislazione.
La relazione di minoranza che presentiamo e che riprende il testo della nostra proposta di legge introduce un primo livello di tutela in tal senso, individuando una griglia di incompatibilità tra la difesa degli interessi collettivi e la difesa legittima di quelli di natura privatistica.
Nel testo si ipotizza una serie di attività in settori definiti rilevanti - quelli della difesa, dell'energia, delle telecomunicazioni, dell'informatica ed altri -, che risultano incompatibili con incarichi esecutivi, e una griglia di dimensioni economiche che assumono la caratteristica di rilevanza legislativa. Il soggetto che risulti rilevante, nell'analisi condotta dall'autorità garante della concorrenza e del mercato, ha a disposizione sei mesi per vendere le proprietà economiche rilevanti, scaduti i quali risulterebbe incompatibile con la carica assunta e decadrebbe automaticamente. Lo stesso soggetto non potrebbe ricoprire un incarico di natura esecutiva per un periodo di sei mesi dall'ottemperanza agli obblighi stabiliti dalla legge. Nel testo presentato, inoltre, risulta incompatibile con l'assunzione di cariche esecutive, a qualunque livello, il proseguimento di attività professionale o di lavoro dipendente a qualunque livello.
Per quanto concerne gli eletti nelle varie assemblee elettive, è previsto l'obbligo di documentare, secondo le modalità stabilite dalle singole assemblee, le partecipazioni e le proprietà dei singoli eletti e dei loro parenti entro il secondo grado. La nostra relazione prevede, inoltre, che tali incompatibilità siano da prevedere anche per i livelli regionali e locali, fissando parametri diversi relativamente all'entità delle dimensioni economiche da considerare.
Tuttavia, fermo restando che una tale materia dovrebbe prevedere una coerenza tra livello nazionale e livelli locali, il dibattito in Commissione ha rilevato come la legislazione vigente assegni alle regioni autonomia e responsabilità proprie. Per questa ragione abbiamo ritenuto, da una parte, di ampliare le norme di incompatibilità relativamente agli enti locali, alle regioni a statuto speciale e alle province autonome - ferme restando le disposizioni vigenti in materia - e, dall'altra, per quanto concerne i casi di incompatibilità delle assemblee elettive regionali, di proporre come principi fondamentali, ai sensi dell'articolo 122 della Costituzione, le disposizioni di cui all'articolo 5 della nostra relazione.
Nel dibattito che ha accompagnato il confronto in Commissione affari costituzionali si è, peraltro, sostenuto che l'obbligo di cessione dei beni e delle aziende e, in via generale, delle attività imprenditoriali appartenenti a chi accede a cariche pubbliche sarebbe in contrasto con gli articoli 41 e 42 della Costituzione, in quanto ciò costringerebbe i titolari di tali imprese ad una cessione non fondata - così si dice - sulla libera e spontanea decisione dell'interessato, dunque, ad una cessione che non è per nulla una vendita compiuta in condizioni di libero mercato o frutto del fisiologico incontro tra domanda e offerta (era proprio la relazione del professor Caianiello che faceva riferimento esattamente a queste parole).
Tali obiezioni prescindono, a nostro avviso, dai presupposti dell'ordinamento e non tengono conto di un dato evidente e incontrovertibile: la scelta di accedere ai pubblici uffici è del tutto libera e garantita come tale; non è un obbligo. Come confermato da altrettanti illustri giuristi - il professor Ferrara, nella fattispecie -, queste obiezioni non tengono conto dell'esigenza suprema della convivenza in ogni Stato di diritto retto da una Costituzione: assicurare tendenzialmente a tutti il diritto di accedere ai pubblici uffici e non soltanto a chi dispone di mezzi economici imponenti e di strumenti eccellenti di formazione dell'opinione pubblica in posizione di monopolio. Insieme a quella, un'esigenza di pari rilevanza impone di assicurare che l'esercizio del potere da parte dei pubblici uffici non sia volto in alcun caso o modo o forma alla tutela di interessi privati.
Secondo la nostra proposta, quindi, l'eventuale conflitto di interessi deve essere risolto a monte, quando il soggetto sceglie di dedicarsi alla cura degli interessi pubblici, risolvendo in tempo il problema delle proprietà che determinano il conflitto. È stato sottolineato, altresì, come l'evidente conflitto di interesse dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, in virtù delle sue proprietà nel settore televisivo, non sia stato motivo di incompatibilità nel giudizio degli elettori; la legge sul conflitto di interessi - si aggiunge - non può contraddire l'esito elettorale.
Fermo restando che sarebbe legittimo chiedersi quanto questa anomalia italiana abbia contribuito allo stesso esito elettorale, vorrei però sottolineare - come hanno fatto anche in questo caso illustri giuristi - che non può essere questo dato di fatto a suggerire una cattiva legge. Meglio una legge rigorosa che affronti e risolva alla radice il conflitto di interesse, considerando soltanto successivamente e in modo trasparente l'attuale situazione che coinvolge il Governo in carica. Meglio una norma transitoria, discussa, trasparente, che avrebbe potuto e potrebbe affrontare il problema in diversi modi, piuttosto che una legge sbagliata, come quella che il Governo propone e che nega l'esistenza del conflitto di interessi, perché piegata agli interessi contingenti del Governo in carica (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
FRANCO FRATTINI, Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza. Signor Presidente, colleghi, i lavori della Commissione affari costituzionali hanno testimoniato della complessità e della serietà di un tema che, colpevolmente, non è stato regolato nella scorsa legislatura e di fronte al quale credo nessuno abbia una risposta unica, univoca e definitiva; sempre più avvertiamo la necessità che la soluzione del problema del conflitto di interesse evidenzi una stretta connessione con l'architettura e con le forme di Stato e di Governo nazionali.
Pensiamo a come si è evoluta la stessa considerazione che le culture politiche hanno riservato ad una delle possibili soluzioni del conflitto. Mi riferisco al blind trust, rivelatosi, ad una attenta analisi, strumento adeguato soltanto per i valori mobiliari e non efficace, dunque, per la gestione di imprese individuali o per l'esercizio di diritti che il socio vanti rispetto alla società holding: si tratta di casi che non rappresentano soltanto un valore finanziario, ma che identificano una precisa realtà imprenditoriale.
La gestione di un'impresa, specialmente se di notevole rilievo, avviene alla luce del sole: l'interessato può ben conoscerne condizioni ed assetti contingenti, al di là ed oltre le soluzioni che avevamo cercato di raggiungere, insieme, con il blind trust nella scorsa legislatura.
Il tono e la qualità del dibattito, dei contributi e del confronto, da un lato, ci hanno obbligati tutti ad una riflessione approfondita, dall'altro, hanno offerto, a mio avviso, spunti per rispondere alle semplificazioni e ad alcune tentazioni di
generalizzazione che hanno purtroppo continuato a caratterizzare la polemica politica, condotta prevalentemente - e lo dico con rammarico -, ancora oggi, contro la persona del Presidente del Consiglio dei ministri legittimato dal voto degli italiani.
Colleghi, con il sistema elettorale maggioritario, il Parlamento ha cessato di avere nel Governo solamente un organo esecutivo, che deve appunto eseguire quanto dal Parlamento stesso stabilito nel momento in cui ne vota la fiducia o in successivi momenti della legislatura.
Ci stiamo, cioè, avviando progressivamente a quel modello anglosassone in cui, a suffragio universale, si vota per il deputato, per il programma e per il leader, percepiti dall'elettore come un insieme unico. Ma poiché non disponiamo di un sistema costituzionale di pesi e contrappesi come quello vigente negli Stati Uniti d'America, ad avviso del Governo, dobbiamo attribuire decisivo rilievo all'impatto che l'azione di Governo produce nei confronti dell'opinione pubblica, proprio come avviene nel Regno Unito, in Inghilterra, dove il contrappeso - lo sapete bene - è rappresentato essenzialmente dall'opinione pubblica e dalla possibilità che l'elettore ha, cambiando con il voto, di realizzare il cambio di leadership e di Governo. È esattamente ciò che fin qui ha rivelato la nostra esperienza elettorale nella travagliata fase di passaggio da un modello consociativo ai primi tentativi della democrazia dell'alternanza, attraverso una legittimazione popolare dei governi, proprio a partire dalle prime prove di maggioritario nel 1994 e con qualche significativa e negativa eccezione.
Si è osservato che nel sistema proporzionale il peso dell'opinione pubblica è assai minore. Ogni elettore tende a confermarsi nel proprio radicamento e, pur avendo diverse scelte a disposizione, finisce per scegliere e confermare l'appartenenza al proprio partito; il resto avviene in sede parlamentare. Invece, è nel maggioritario che il vero contrappeso è interpretato dall'opinione e dal voto dei cittadini, se è vero, come è vero, che anche in Italia abbiamo già conosciuto, fin dal 1994, una doppia alternanza politica e di Governo.
Legare conflitto di interesse e forma di Governo non è perciò una pura forma di dibattito tra scuole di pensiero, ovvero un tentativo di uscire fuori tema. Piuttosto è un modo serio per affrontare le difficoltà, anche squisitamente giuridiche, che le differenti soluzioni poste a confronto sulla materia hanno rivelato e stanno rivelando al lavoro del legislatore, quindi, di tutti noi.
Dunque, una possibile strada da percorrere, colleghi, consiste - credo si possa dire consisterà - nell'affinare la soluzione che noi oggi proponiamo nell'ambito di una rinnovata architettura costituzionale. In altri termini, il tema della pubblica opinione, a cui noi affidiamo in questa legge una delle risposte (e non solo come cercherò di dimostrare) al conflitto di interesse - io credo nei termini della più alta sanzione che possa derivare ad un giocatore politico, quale è naturalmente un Governo politico dinanzi al Parlamento -, ha forse bisogno, in una nuova architettura costituzionale, di essere declinato in un ambito di maggiore coerenza con la cultura del maggioritario che è ancora da noi abbastanza incompiuta.
Ma prima che ciò avvenga, fermandosi all'oggi, dobbiamo ricordare che osservatori attenti alla vita parlamentare hanno definito lo scontro in atto sul conflitto di interessi come lo scontro tra chi avrebbe il conflitto di interessi e chi ha interesse al conflitto.
Spero che non sia così. In effetti, le proposte legislative dell'opposizione per affrontare e regolare il problema, per semplificare, oscillano tra due posizioni inconciliabili tra loro ed entrambe, ad avviso del Governo, inaccettabili. Da un lato, la vendita forzosa imposta, evidentemente, anzitutto ad un ben individuato ed individuabile titolare di carica di Governo. Da qui, anche il vizio di origine di un'impostazione a questo dibattito che, purtroppo, è divenuta maggioritaria anche nel centrosinistra a partire da quell'esperienza del 1998 che, come è stato ricordato, facemmo tutti insieme. Ebbene, dopo
quella impostazione si portò e si impostò il dibattito in un modo di personalizzazione delle leggi che, a mio avviso, è contrario ai dettami di uno Stato di diritto che vuole leggi astratte ed impersonali; e ciò, se aggiungiamo il condimento - ho apprezzato le parole della collega Mascia - della possibile retroattività, si tratta di un ulteriore e preoccupante elemento inserito dall'opposizione e che, certamente, non facilita e non ha facilitato il dibattito.
L'altro elemento, a cui le proposte dell'opposizione si riferiscono - anch'esso inaccettabile, ad avviso del Governo -, è rappresentato dalla sostanziale rinuncia all'assunzione dell'incarico, sia in termini preventivi, attraverso norme sull'incompatibilità (è questa la proposta dei colleghi di Rifondazione comunista) sia successiva, attraverso l'indagine e le conclusioni di un'autorità ad hoc su cui, rapidissimamente, tornerò.
A mio avviso, la rinuncia all'incarico - la cosiddetta «incompatibilità preventiva» - contrasta con il diritto, sancito dall'articolo 51 della Costituzione, di tutti i cittadini di accedere alle cariche pubbliche in «condizioni di eguaglianza»: espressione che intende bandire ogni discriminazione in ragione del censo - certamente -, ma anche di ogni altra condizione personale.
Quanto al versante dinamico del conflitto, il cosiddetto conflitto sugli atti, esso si risolve radicalmente, a nostro avviso, anzitutto con una questione preventiva assai poco sottolineata - il rafforzamento degli obblighi di astensione dell'interessato - e con un invito, non un semplice consiglio, ad una riflessione, non solamente intellettuale ma anche istituzionale, volta al ritiro degli atti e rivolta al Governo o all'uomo di Governo da un'autorità indipendente dinanzi al Parlamento.
Il Governo ritiene, invece, che la vendita forzata sia anzitutto incostituzionale per un primo motivo, e cioè perché questo rimedio trascura o trascurerebbe la salvaguardia della continuità e dell'efficienza di un'impresa, con un danno inevitabile all'economia di un paese e, conseguentemente, finirebbe per negare un valore che trova fondamento nell'articolo 43 della Costituzione. Quindi, non vi sarebbe solamente una questione di espropriazione mascherata, ma anche una questione di inammissibile interferenza con un valore costituzionale, che è quello dell'esercizio dell'imprenditorialità. Ma mi permetto di dire che la vendita forzata non risolverebbe di fatto il problema perché si limiterebbe a trasformare l'oggetto.
Colleghi, come risolviamo il problema delle liquidità ottenute con la vendita? Esse sarebbero reinvestite; non vi sarebbero, allora, nuovi ed imprevedibili problemi? Ed inoltre, se è vero, come credo sia vero, che la vendita consiste nella sostanza in un esproprio parziale, in un esproprio che, anche non avendone le condizioni di forma, ne ha certamente le condizioni di sostanza, solamente dicendo che il potere negoziale di chi è obbligato a vendere viene sicuramente menomato, se non, addirittura, soppresso ed eliminato. Il soggetto, infatti, è costretto a vendere entro un determinato termine di tempo e, magari, con ben determinate modalità.
Infine, su questo punto, mi permetto di dire che la carica di Governo ha intrinsecamente, istituzionalmente, carattere temporaneo; la vendita forzata ha, invece, carattere definitivo e, certamente, irrecuperabile.
Si obietta che l'esproprio consentito dalla Costituzione non sarebbe inevitabile essendo esso, tecnicamente, oneroso e non obbligatorio: vale a dire - qualcuno ha detto - che, per evitarlo, basterebbe che il cittadino interessato rinunziasse a scendere in campo e ad assumere la carica pubblica. Ma la vendita forzata - ecco un altro errore concettuale, a mio avviso - non può venire configurata e descritta come un onere per il conseguimento di un vantaggio, dal momento che la carica pubblica non è una situazione di vantaggio; il cittadino ha diritto di accedervi, ma essa consiste, anzitutto - ed a mio avviso soltanto - in un complesso di doveri. Proprio nella citazione di Jefferson, messa in evidenza dal collega Bressa, la carica pubblica è un servizio; allora pare strano che essa sia condizionata o condizionabile
ad una perdita patrimoniale così forte, in alternativa alla decadenza dalla carica.
Il Governo, pur modificando alcune disposizioni importanti della sua proposta, intende mantenere l'impianto di fondo di questo disegno di legge, che ricalca un valore proprio delle società liberali, quello per cui i titolari di cariche pubbliche si debbono dedicare solo agli interessi pubblici ma che, in caso contrario, sono i loro atti a dover essere colpiti, quelli cioè da cui scaturisce il danno al pubblico interesse, e non certamente le azioni o soltanto alcune azioni di eventuali destinatari di quegli atti.
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo, questa è la vergogna della proposta del Governo! Bisogna avere il coraggio di dirlo! Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. Onorevole Cento, lei avrà modo di esprimere...
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna...
PRESIDENTE. ...i suoi pregevoli apprezzamenti...
PIER PAOLO CENTO. ...della proposta del Governo!
DONATO BRUNO. Presidente!
PRESIDENTE. Lasci parlare...
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo; lei, Presidente, è nell'esercizio delle sue funzioni. Questa è la vergogna della proposta del Governo! Questa è la vergogna della proposta del Governo! Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. Questi sono slogan...
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. ...che in Parlamento non hanno un senso. Lei ha attitudini piazzaiole che non sono adatte a questa sede... va bene?
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo! Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. Sono costretto a richiamarla all'ordine; lei sta creando il disordine...
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. ...ingiustificato e indegno della funzione che lei esplica in questo momento...
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. ...e che dovrebbe richiamare lei, all'ordine, da solo, all'autogestione dei suoi succhi gastrici. Va bene?
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta dal Governo! Questa è la vergogna della proposta dal Governo!
PRESIDENTE. La richiamo all'ordine per la seconda volta.
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna della proposta del Governo!
PRESIDENTE. La richiamo all'ordine per la seconda volta!
PIER PAOLO CENTO. Questa è la vergogna...
PRESIDENTE. La prego...
PIER PAOLO CENTO. ...della proposta del Governo!
PRESIDENTE. La prego di impedirmi di compiere un atto che non amo mai
effettuare. Lei lo sa benissimo e non abusi del mio spirito con il quale accetto il dibattito, ma non gli insulti!
Prego onorevole Frattini...
PIER PAOLO CENTO. Non ho insultato nessuno, ho solo detto che è una vergogna...
PRESIDENTE. Se lei crede che la vergogna sia un atto che fa onore, vuol dire che lei ha della vergogna un concetto tutto personale...
PIER PAOLO CENTO. È una vergogna politica!
PRESIDENTE. ...non credo nemmeno verde, credo di un altro colore.
PIER PAOLO CENTO. È una vergogna politica!
MICHELE SAPONARA. Ancora!
PRESIDENTE. Va bene! Prego onorevole Frattini.
FRANCO FRATTINI, Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza. Grazie, signor Presidente. Ricordo in proposito, avendo riletto gli atti parlamentari, che lo stesso leader dell'opposizione, onorevole Rutelli, nel corso del dibattito sulla fiducia al Governo Berlusconi espresse un concetto che mi colpì: disse che il conflitto di interessi si affronta e si risolve, non sanzionando o distruggendo l'azienda interessata, giacché essa non concorre affatto a formare l'atto di governo, ma esattamente colpendo quest'ultimo, cioè la fonte della eventuale distorsione dannosa per l'interesse pubblico. Pertanto, concordiamo anche sul principio che alcuni colleghi dell'opposizione hanno formulato, a seguito della presentazione della nostra proposta, sul fatto cioè che un'autorità, qualsiasi autorità, non possa direttamente censurare un atto del Governo. Si tratterebbe in questi casi - come ha rilevato, tra gli altri, il professor Caianiello - di una sorta di intruso costituzionale.
Infatti, il disegno di legge del Governo non prevede il temuto controllo dall'alto dell'azione dell'esecutivo. Esso attribuisce all'autorità antitrust la funzione di esaminare gli effetti dell'azione di governo, quando questi abbiano un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale dei titolari di cariche di Governo. Essa colpisce gli effetti distorsivi di un atto che si risolvano in esiti di favore nella sfera patrimoniale dell'interessato, in correlazione - certamente sì, colleghi dell'opposizione! - con il danno che gli effetti distorsivi possono arrecare all'interesse pubblico.
Sono convinto che, nel momento in cui prendiamo in esame un così ampio spettro di effetti distorsivi, potremo certamente realizzare, nell'applicazione di questa proposta - che spero diventi presto legge dello Stato -, una tutela effettiva di valori costituzionali che sono quelli previsti nell'articolo 97 della Costituzione, nell'articolo 41, quello della salvaguardia del valore della concorrenza e del mercato e del rispetto di autonomia e pluralismo previsto dall'articolo 21 della stessa Costituzione.
L'opposizione ha osservato, in particolare, che mancherebbero sanzioni effettive e serie. Credo che questo, a ben guardare, non corrisponda ad un esame sereno della nostra proposta.
Anche le imprese possono essere sanzionate e possono esserlo con misure patrimonialmente severe ed anche con misure interdittive, evidentemente per fatto proprio, cioè in quei casi che l'ordinamento disciplina e che sono stati specificamente confermati nelle leggi n. 223 del 1990 in tema di concorrenza e mercato, n. 249 del 1997 e n. 28 del 2000 in materia di comunicazioni e garanzia del pluralismo nell'informazione.
Credo che, se a questo si aggiunge la sanzionabilità per atti di inosservanza delle misure sollecitate dall'autorità, con il procedimento innovativo che si propone di introdurre, determiniamo una sorta di griglia di sanzioni, alcune sicuramente
anche patrimoniali, ma riconducibili ad una scelta dell'impresa di avere in qualche modo approfittato della posizione che gli deriva dall'atto adottato in conflitto di interesse.
In secondo luogo, l'opposizione osserva che la proposta del Governo eluderebbe il cosiddetto conflitto di posizione, secondo cui la semplice proprietà di una azienda o di quote di una società determinerebbero il conflitto ed imporrebbero l'incompatibilità. In realtà, lo stesso professor Caianiello, da molti preso in considerazione per la autorevolezza della fonte, audito in sede di Commissione affari costituzionali, pur non risparmiando forti critiche alla proposta del Governo, aveva ammesso che quella situazione, ovvero quella del conflitto di status, non può in quanto tale far presumere il conflitto per la sola incontrollata e incontrollabile possibilità astratta che, ad esempio, un ministro favorisca una società di cui è titolare. A differenza di quanto può avvenire, invece, in un comune, in cui - proseguiva a Caianiello - l'autorità amministrativa agisce in modo diretto e immediato sul contesto socio-economico sottostante, il componente del Governo - cito testualmente - ha poteri estremamente articolati che, assai più «da lontano», incidono sulle posizioni dei singoli e sono sempre sotto il controllo del Parlamento, a differenza - ripeto - di quanto avviene per gli enti locali.
Il Governo ritiene perciò che un'autorità certamente indipendente come l'antitrust possa efficacemente esercitare una azione di valutazione e di controllo sugli effetti degli atti di Governo. Da parte dei colleghi che ancora insistono, non soltanto con le giuste critiche, che rappresentano la logica di un confronto parlamentare, ma anche - mi permetto di dire - con espressioni sopra i toni, si dovrebbe ricordare e considerare che l'impresa si verrebbe a trovare in una situazione di responsabilità oggettiva, con sanzioni a suo carico che prescinderebbero da ogni azione e, quindi, da ogni colpevolezza, con una sicura violazione di un principio cardine del nostro ordinamento, ovvero quello che respinge l'istituto della responsabilità oggettiva quale presupposto per una sanzione.
Proprio la cultura americana in materia di conflitti di interesse ci rivela come la legge rappresenti in quel contesto essenzialmente uno strumento di prevenzione: previene cioè la possibilità che la persona si trovi nella posizione di poter compiere qualcosa di sbagliato, ma non colpisce la presunzione di comportamento o di atti.
Anche noi abbiamo sancito l'assoluto divieto di ingerirsi nella gestione diretta dell'impresa e rafforziamo, in proposito, gli obblighi di astensione. Anche noi abbiamo rimesso ad un'autorità indipendente uno speciale controllo sugli effetti dell'azione di Governo ed abbiamo rafforzato il naturale collegamento tra l'autorità e il Parlamento.
Quanto alla scelta americana che l'opposizione avrebbe fatto, si è assai enfatizzato il ruolo dell'agenzia amministrativa indipendente che in quell'ordinamento è denominata OGE (Office of Government Ethics), che avrebbe il potere di porre alcune autorità dell'amministrazione americana - a cominciare dal Presidente - di fronte al dilemma: o vi liberate di situazioni patrimoniali insostenibili o rinunciate. Non io, ma il professor Mannoni, ascoltato dalla Commissione, ha definito questa una caricatura di quell'ordinamento, avendolo egli attentamente studiato. L'unico obbligo - questo sì cogente - che il Presidente e i membri del Governo hanno è quello di presentare il loro stato patrimoniale, la cosiddetta disclosure.
L'altro deterrente, nell'ambito di questo sistema, è dato dal diritto penale.
Insomma, cessione, blind trust o altro avvengono in quanto iniziativa dei singoli per evitare denunce presso una corte penale, per interesse privato - è evidente -, o per scongiurare campagne di stampa di un potere mediatico indipendente che, fino a prova contraria, c'è anche da noi. Non avvengono mediante l'inserimento di regole etiche - e, come tali, affidate ad un'assunzione di responsabilità dei singoli
-, trasformando queste regole etiche in norme cogenti, vincolanti, dirette a colpire il sospetto e non la realtà di atti in conflitto.
Colleghi dell'opposizione, lo stesso professor Andrew Stark, autore della più recente ricerca in materia di conflitto di interessi, a proposito del caso italiano, afferma: «non mi sembra affatto necessario introdurre la vendita delle proprietà» e aggiunge che, al contrario, a suo parere, sarebbe necessaria - cito testualmente, lo ripeto, da un'intervista rilasciata ad un quotidiano italiano - «l'autoesclusione dal prendere decisioni governative che possano avere effetti diretti sulle aziende».
Dunque, tornando ancora al modello degli Stati Uniti, questo è un modello che in sé, in blocco, non è compiutamente trasferibile. Qui siamo in un regime di democrazia rappresentativa parlamentare, mentre la logica del presidenzialismo americano è fatta, come tutti sapete, di checks and balances, pesi e contrappesi. In quel sistema, lo sapete, tutte le nomine di Governo e tutte le più alte cariche di amministrazione vengono sottoposte al voto del Senato. È perciò evidente che le soluzioni liberamente adottate da ciascuno servono a propiziare un voto favorevole altrimenti messo in serio pericolo da una campagna di informazione o di opinione pubblica contraria e non derivano da un obbligo cogente stabilito dalla legge. Ed in proposito, soltanto qualche giorno fa, John Salzman, vicedirettore e portavoce del Conflicts of Interest Board, l'organo che presiede al conflitto di interessi per la città di New York, in un'altra intervista ad un quotidiano italiano, riferendosi alle sanzioni applicabili a Bloomberg, attuale sindaco di New York, affermava testualmente che la sanzione principale non sarebbero nemmeno i soldi, ma il documento, eventualmente adottato in conflitto, reso pubblico dal board, subito dopo l'accertamento delle responsabilità. Essere condannati nell'onore, per avere approfittato dell'incarico pubblico, basta a rovinare una carriera politica: questo è il succo di un ordinamento liberale, fatto proprio dalle dichiarazioni della responsabile del board etico di New York.
Un'altra differenza tra l'Italia e gli Stati Uniti si rileva nell'ordinamento. Nel nostro ordinamento il voto di fiducia al Governo esprime l'apprezzamento politico alle dichiarazioni programmatiche; è voto di vera e propria fiducia. Il nostro ordinamento costituzionale non si collega, come giudizio, ad una valutazione individuale delle singole persone, dei ministri, così come avviene, invece, nell'ordinamento degli Stati Uniti d'America. Tale sistema - sempre secondo il professor Mannoni - è elastico, a geometria variabile, che sfugge a regole cogenti e vincolanti.
E che dire del sistema politico francese? I politici vanno e vengono dalle industrie private in base ad un sistema che tutti conoscono con il termine pantouflage, che comprende il controllore ed il controllato. Nessuno ha mai sollevato scandalo per questo motivo.
Ma ritorniamo conclusivamente a noi. Quanto alla natura della sanzione che colpisce il conflitto, il Governo è persuaso che esso debba e possa essere colpito con strumenti di vario orientamento, certamente compatibili con i principi di una Costituzione liberale: in primo luogo, una sanzione politica e, in secondo luogo, delle sanzioni giuridiche, anche pecuniarie, anche di entità fortemente rilevante e stabilite dalla legge, proprio per impedire quelle distorsioni rispetto a valori e principi che - non da oggi né dai ieri - sono fortemente tutelati dalla Costituzione del 1948.
Perché, dunque, la sanzione politica? Mi riferisco ad un principio che scaturisce - mi permetto di citarlo - da un altro ordinamento, quello britannico, che da sempre indica nel discredito presso l'opinione pubblica e gli elettori il più efficace rimedio per evitare che gli eletti preferiscano il proprio tornaconto all'interesse dei cittadini. Mi sembra, dunque, che una denunzia al Parlamento da parte di un organo indipendente su un conflitto che caratterizzerebbe un atto di governo, se fondata, avrebbe sicuramente effetti negativi
forti e devastanti per quel componente dell'esecutivo e forse per l'intero Governo.
Non è in discussione l'esercizio dei poteri del Parlamento, ed è chiaro, colleghi dell'opposizione, che anche un eventuale voto di maggioranza a difesa del Governo non potrebbe proteggere quest'ultimo da una campagna di delegittimazione presso l'informazione libera, l'opinione pubblica e tutte le sedi in cui presumibilmente - e, in quel caso, se fosse, ragionevolmente - si attiverebbe l'opposizione, ricorrendo a tutti gli strumenti della nostra democrazia.
Per qualche collega dell'opposizione credo sia possibile - ma, a mio avviso, è difficile - immaginare, per un componente politico, di un Governo politico e che vuole fare politica, un effetto più dannoso, per le prospettive immediate e future, di questo tipo di sanzione politica impressa da una denunzia di un'autorità indipendente.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo non può aderire ad un'impostazione che intende, in primo luogo, agire con comportamenti e misure di carattere preventivo e cogente che hanno una natura sostanzialmente espropriativa. I colleghi dell'opposizione hanno dichiarato di non immaginare la vendita forzosa, se non all'esito di tutti i tentativi messi in atto. Ma la presunta trattativa - nel provvedimento presentato dall'Ulivo si prevede la costituzione di un organismo ad hoc -, onorevoli colleghi, trattativa non è, lo sappiamo tutti, perché, se non vi è consenso dell'interessato, l'autorità ha il potere - che non c'è altrove - di ordinare, in modo cogente, diretto ed immediato, la vendita forzata dei beni.
Il disegno di legge recepisce, invece, un concetto - mi permetto di dirlo - proprio del sistema americano, quello della sobrietà, della flessibilità e del pragmatismo, ma lo coniuga con un elemento nuovo, tradotto da un sistema elettorale politico al quale tendiamo, ossia il sistema uninominale inglese.
Dentro questa logica, vi sono sicuramente margini di dialogo, margini di riflessione per giungere ad approvare una legge giusta (che manca al nostro paese) con lo spirito invocato, oggi, dal Presidente Ciampi, il cui richiamo il Governo condivide fortemente: soltanto al senso del dovere e di servizio verso i cittadini deve ispirarsi chiunque ricopra cariche pubbliche.
Come ha chiarito il Capo dello Stato, il potere si giustifica come servizio. Ed è proprio per questo che il disegno di legge del Governo, al comma 1 dell'articolo 1, richiama il principio dell'esclusività della dedizione al servizio pubblico come valore democratico.
Onorevoli colleghi, mi auguro che, nel corso del dibattito, possano essere discusse, nel merito, tutte le questioni che una legge così delicata e complessa implica e che, senza rigidità - non ne avrà il Governo e spero non ne abbia neanche l'opposizione - venga dato un contributo, se possibile, per migliorare il testo pervenuto all'esame dell'Assemblea e non per trasformarlo in un tentativo sostanzialmente espropriativo, volto a colpire un avversario politico. Non è per quest'ultima ragione che si fanno le leggi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, se si eccettuano alcune frasi che, come l'ultima, risentivano di una volontà propagandistica, mettendo in campo quella competenza che tutti gli riconosciamo, il signor ministro ha compiuto uno sforzo argomentativo notevole, ma a difesa dell'indifendibile.
Non ci ha convinti: noi abbiamo dato e, ovviamente, confermiamo un giudizio severo sul disegno di legge presentato dal Governo. Si tratta, né più né meno, di una presa in giro verso il Parlamento e verso l'opinione pubblica nazionale ed internazionale. La vostra proposta dovrebbe risolvere il problema democratico del conflitto di interessi; purtroppo, il risultato pratico della sua approvazione sarebbe quello di sancire che il conflitto di interessi non esiste; che, se esistesse, non andrebbe sanzionato; che è incompatibile con cariche di Governo un maestro elementare
o un dipendente di Mediaset, ma non il suo proprietario.
Quello in cui la Camera approverà il presente disegno di legge sarà un brutto giorno per la dignità del Parlamento e del paese, perché si dimostrerà che proprio l'Italia non vuole darsi una normativa rigorosa, trasparente e davvero liberale. Ho detto proprio l'Italia perché qui da noi sussiste il più clamoroso conflitto di interessi del mondo moderno! Il Presidente degli Stati Uniti non è Ted Turner; il Cancelliere tedesco non è Kirch; a Downing Street non risiede Rupert Murdoch: è l'Italia il paese nel quale il Capo del Governo possiede e controlla un impero mediatico - fatto di tre reti nazionali (che trasmettono su concessione dello stesso Governo), una grande casa editrice (che pubblica alcuni settimanali), due quotidiani (attraverso il fratello e la moglie) - ed ha il predominio del mercato pubblicitario.
Non ce l'abbiamo con la persona del Presidente del Consiglio, ma (parlando di conflitto di interessi, perché è questo il tema) con l'intreccio di interessi fra loro confliggenti. La soluzione data alla nomina dei vertici RAI non fa che aggravare una situazione già insostenibile, che fece dire a Sergio Romano, nel 1998 che un uomo che aspira a governare il proprio paese non può essere contemporaneamente proprietario del 50 per cento del patrimonio televisivo nazionale. Nello stesso anno, quello che sarebbe poi diventato il guardasigilli del Governo Berlusconi - il senatore Castelli - dichiarava alla Padania: per la Lega è sempre stato ovvio che chiunque ricoprisse una carica di Governo o un ruolo di responsabilità alla guida di un partito non potesse (l'errore sintattico è del ministro, non mio), nello stesso tempo, detenere né il controllo dell'informazione né fare gli interessi della propria azienda.
Ma si sa, la Lega nord Padania ha la memoria corta e più concreti argomenti hanno alla fine prevalso sui sacri principi. Qui incontriamo un primo scoglio che ha impedito qualunque ipotesi di convergenza tra maggioranza ed opposizione; infatti, la filosofia del testo Frattini punta l'indice esclusivamente sui possibili vantaggi patrimoniali e volutamente ignora il tema cruciale e moderno del potere mediatico finalizzato a condizionare la formazione del consenso politico.
Come potete far finta che questo problema non esista proprio voi che, in una sgangherata polemica con la RAI, avete sostenuto che alcune sue trasmissioni, in periodo elettorale, vi hanno fatto perdere non ricordo se il 14 o il 18 per cento dei consensi? Se due o tre trasmissioni nell'arco di un mese possono spostare una massa così consistente di elettori, quale effetto possono determinare anni di predominio nel sistema delle comunicazioni? Questo accade in Italia, non altrove.
Proprio per questo, per la dignità del nostro paese, dovremmo proporre la legge più rigorosa, più trasparente, più severa, la legge più ispirata al sano principio liberale, secondo il quale la libertà di ciascuno incontra sempre un limite nella libertà degli altri. Invece, proprio il Governo italiano con questa legge raggiungerà il triste primato della normativa più blanda e più inefficace tra i paesi occidentali. Ma so che questo non turba i sonni né del Presidente Berlusconi né della maggioranza, perché il primato continentale per le posizioni più blande e meno rigorose in tema di legalità lo stanno inseguendo la tempo (vedi la legge sulle rogatorie e la vicenda del mandato di arresto europeo).
Entrando nel merito del provvedimento, si può vedere che le cose purtroppo stanno effettivamente così. In primo luogo, il conflitto di interessi non esiste nella realtà, o, meglio, sparisce il conflitto ma restano tutti gli interessi. Guardiamo il testo dell'articolo 3, nel quale rinveniamo la definizione di conflitto di interessi. Esso recita: «Sussiste situazione di conflitto di interessi ai sensi della presente legge quando l'atto è adottato dal titolare di cariche di governo in situazione di incompatibilità ai sensi dell'articolo 2, comma 1, ovvero quando l'atto ha un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, con danno
per l'interesse pubblico e salvo che il provvedimento stesso riguardi la generalità o intere categorie di soggetti». Come si vede, abbiamo una selva di sbarramenti che rendono il conflitto, nei fatti, inesistente.
Primo sbarramento: una normativa basata sugli atti non è solo riduttiva, perché il problema vero è la posizione di potenziale conflitto, ma totalmente inefficace perché ignora i comportamenti omissivi, che sono il vero nutrimento del conflitto di interessi. Secondo sbarramento: l'atto, secondo questo articolo, deve essere adottato dal titolare di cariche di Governo. Non c'è conflitto quindi se si tratta di una iniziativa legislativa assunta dalla maggioranza che sostiene quel titolare e il suo Governo. Ma non basta. Terzo sbarramento: questo atto deve avere un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale del titolare, eccetera; ma, attenzione, con danno per l'interesse pubblico (quarto sbarramento), e, dulcis in fundo - e veniamo all'ostacolo davvero insormontabile -, salvo che il provvedimento stesso riguardi la generalità o intere categorie di soggetti.
Ora, ditemi voi quale atto normativo non riguarda, se non la generalità, almeno una categoria di cittadini. Ecco perché dire che questa norma definirebbe, per colpirlo, il conflitto di interessi è una sfacciata presa in giro. Ma ciò che segue non è da meno. Che cosa accade infatti se un titolare di carica di Governo è talmente sprovveduto da emettere, di sua esclusiva iniziativa, un atto che riguarda lui e lui soltanto, con danno per l'interesse pubblico, per incidere specificamente sul proprio assetto patrimoniale? Cosa accade? Niente. Nessuna sanzione.
Leggiamo brevi stralci dell'articolo 6; cosa fa l'autorità garante della concorrenza e del mercato? Il comma 5 stabilisce che essa valuta preventivamente e specificamente le condizioni di proponibilità ed ammissibilità della questione che le viene sollevata dinanzi. Poi, al comma 2, si stabilisce che essa esamina, controlla e verifica gli effetti dell'azione del titolare di cariche di Governo. Infine - che nessuno si spaventi -, si prevede che essa riferisca al Parlamento.
Tutto qui? Sì, tutto qui. Un sistema normativo che non prevede sanzioni è, per sua natura, di nessuna efficacia. Si dice, da parte dei colleghi di maggioranza, lo ha ripetuto lo stesso ministro poco fa, che la segnalazione al Parlamento è già una sanzione, una sanzione politica. Ma chi ci crede? La maggioranza politica che esprime e sostiene il Governo di cui fa parte il soggetto osservato sarà sempre pronta al colpo di spugna, soprattutto laddove si dovesse trattare del Presidente del Consiglio o, che so, del ministro delle infrastrutture.
Come è stato detto, giustamente, dal senatore Passigli, questa generica sanzione politica dovrebbe essere comminata da una maggioranza parlamentare controllata da chi si vorrebbe controllare. Questa è la seconda presa in giro, ma d'altronde, se la vostra filosofia è quella espressa dal ministro Frattini e cioè che nel maggioritario l'unico contrappeso è l'opinione pubblica, si capisce che dell'antitrust voi fate una scatola vuota. Non sfugge a nessuno che, nell'epoca del maggioritario, si ritiene normalmente (soprattutto con una forte personalizzazione della politica) che i contrappesi debbano essere estesi e rafforzati e non diminuiti, ma questo è un altro tema.
La terza ed ultima parte del disegno di legge che vorrei citare, ma ce ne sarebbero ancora, riguarda le incompatibilità. Anche in questo caso c'è da non credere a quel che è scritto, tanto smaccata è la tutela di privilegi e diseguaglianze. Cito alcune parti dell'articolo 2 che si apre con una frase perentoria: «Il titolare di cariche di governo nel corso del proprio mandato, non può: [...] esercitare qualsiasi impiego pubblico» (comma 1, lettera f)); cioè non può fare il maestro elementare, l'impiegato del catasto e così via; poi, con la lettera g) si stabilisce che non può «esercitare qualsiasi impiego privato», non può fare cioè il dipendente di un grande magazzino, della FIAT, di Mediaset: il dipendente no, il proprietario sì! Infatti, al comma 2, si
stabilisce che «non costituisce motivo di incompatibilità la mera proprietà di un'impresa individuale ovvero di quote o azioni societarie sempre che essa non comporti l'assunzione di cariche o l'esercizio di attività...». La logica, ci spiegano i colleghi della maggioranza, è quella secondo la quale il titolare di cariche di governo deve avere la possibilità di dedicarsi esclusivamente a questa sua funzione. Il conflitto di interessi viene così ridotto a disponibilità di tempo. Ma siamo seri! Perché abbiamo disturbato esperti di grande livello per le audizioni in Commissione se il risultato doveva poi essere così banale e misero? Tutto il mondo capisce, tranne voi, che il conflitto di interessi è un fatto molto più serio, purtroppo, che determina una chiara incompatibilità tra cariche di governo e la proprietà di grandi imprese vincolate con lo Stato per concessioni o autorizzazioni soprattutto in settori strategici come l'energia, ad esempio, o le comunicazioni. È su questo tema che ruota, da anni, il dibattito, in Italia e all'estero, sul conflitto di interessi, ma voi lo ignorate, fate finta di nulla. Su questo tema abbiamo presentato uno specifico emendamento per svelare, con chiarezza, di fronte al Parlamento ed al paese, il trucco di una legge ipocrita ed elusiva.
Sono queste, signor Presidente e signor ministro, le ragioni del nostro radicale dissenso sul vostro disegno di legge che abbiamo giudicato inemendabile, non migliorabile, vista la sua incolmabile distanza rispetto a quella che doveva essere una normativa rigorosa, seria e dignitosa sul conflitto di interessi. Al vostro testo contrapponiamo un testo alternativo, quello dell'Ulivo, ed una battaglia comune, su molti punti, con i colleghi di Rifondazione comunista.
Ho letto che il collega Bruno si augura, da parte dell'opposizione, un confronto di merito, ed è esattamente quello che stiamo facendo. Ho poi visto sui giornali di ieri che il ministro Frattini ha rilasciato dichiarazioni, a mio avviso, quanto meno sorprendenti. Lei avrebbe detto (è Il Messaggero di ieri) «Rivolgo un appello all'opposizione affinché collaborino. Non sarebbe un bello spettacolo se il conflitto di interessi fosse approvato soltanto dalla maggioranza». Ma come? Avete fatto tutto da soli (prima Frattini, poi Caianiello, infine ancora Frattini emendando in senso peggiorativo) e vi accorgete adesso che votarvi da soli il disegno di legge sarà un brutto spettacolo? Sì, signor ministro, sarà uno spettacolo triste e deprimente per la dignità del nostro paese e voi ne sarete i protagonisti. Dovevate pensarci prima!
Lei, poi, signor ministro, ha annunciato la presentazione di un emendamento finalizzato all'esclusione degli enti locali dall'applicazione della legge sul conflitto di interessi presentandola come «la principale richiesta di merito dell'opposizione».
Mi sembra di essere stato chiaro, signor ministro: la principale richiesta di merito dell'opposizione è che ritiriate tutto il vostro provvedimento. Quanto agli enti locali, il fatto di escluderli dal disegno di legge rappresenta sicuramente una scelta saggia o, per meglio dire, così facendo vi evitate un pasticcio, un inutile guazzabuglio.
Questo, però, non sposterà di un millimetro il nostro atteggiamento severo e nettamente alternativo. In modo alternativo al vostro disegno di legge sosteniamo, infatti, il progetto dell'Ulivo, fondato sul paradigma statunitense: un regime chiaro di incompatibilità, un'autorità specifica ed indipendente con poteri sanzionatori, sino a quello della vendita.
Indicheranno poi gli italiani, tra queste ipotesi alternative, quale sia la più concreta, la più rigorosa, la più efficace. Ne parleremo nei prossimi giorni in quest'aula e, per quanto ci riguarda, ne parleremo a tutti i cittadini italiani costruendo, come stiamo facendo, una forte ed estesa mobilitazione in tutto il paese.
Questa volta l'avete fatta davvero grossa: anche i vostri elettori cominciano a capire ed a dire che state esagerando. Penso che sia cosa saggia ricordarvi che avete soltanto vinto una campagna elettorale e che non vi siete comprati l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, leggendo il testo ed ascoltando l'intervento svolto dall'onorevole Frattini, dovremmo dire che oggi è un bel giorno per la democrazia: con il provvedimento in discussione abbiamo finalmente risolto il conflitto di interessi che gravava da tempo, pregiudicandone credibilità ed atti, sulla figura di Fedele Confalonieri. Ora, però, se vogliamo essere seri, credo che si debba affrontare anche quello che riguarda il Premier Silvio Berlusconi.
Avremmo dovuto, oggi, essere qui per onorare il patto che il Presidente del Consiglio aveva stretto con gli italiani; invece, siamo qui tristemente a constatare che il Presidente del Consiglio, in quel patto, ha solo estorto la firma virtuale agli italiani, sottraendo la propria, perché è innegabile che tra i famosi cinque punti - firmati, guarda caso, in diretta televisiva da Vespa su carta uso bollo - il conflitto di interessi non c'era. Quando gli fecero notare tale fatto, il Presidente Berlusconi rispose: è un impegno che prendo a voce ma non posso scriverlo, il contratto è già stampato. Era l'8 maggio del 2001. Oggi, 25 febbraio 2002, siamo qui a constatare che la parola del Presidente del Consiglio vale attualmente quanto la lira, cioè nulla: la parola del Presidente Berlusconi è fuori corso legale.
Ci apprestiamo a veder approvare una legge farsa, che potrà tacitare, forse, le coscienze del centrodestra, che ormai da qualche mese non vanno più tanto per il sottile; si tratta, comunque, di una legge che ai preesistenti problemi lasciati insoluti ne aggiunge dei nuovi.
Sorprende che un Presidente tuttofare scelga di voler fare il Presidente dimezzato. La semplice proprietà di un'azienda non costituisce conflitto di interessi, e non può quindi rientrare tra le incompatibilità per accedere a cariche di governo; così recita il vostro testo, un testo che la maggioranza ha usato come l'uovo di Colombo, ripercorrendo una strada ad essa ben nota, quella cioè della rimozione: se possedere proprietà crea conflitto, nessuno si azzardi a pensare di congelare o vendere la proprietà, si passi piuttosto a codificare che possedere proprietà non crea alcun conflitto. Ed ecco l'escamotage: a questo punto, con tale norma, abbiamo abrogato il conflitto e restano solo gli interessi. Circa 26 mila miliardi approssimati per difetto, tanto vale questa legge: una specie di «minifinanziaria», forse neanche tanto mini.
Fate bene, sia chiaro, ad insistere su una strada che si è già rivelata conveniente per voi sul fronte dell'evasione fiscale, del rientro dei capitali illecitamente esportati, del falso in bilancio. Cosa volete che peggiori, tutto sommato, il fatto di dover rappresentare l'Italia possedendone circa la metà! Questa legge autorizzerà il Premier a stare al timone di tutto il sistema radiotelevisivo italiano, sia pubblico sia privato, ma non ne farà certamente quell'uomo di Stato autorevole, credibile e «stratrasparente» che, credo, avrebbe voluto essere.
Il 27 aprile 2001, Fedele Confalonieri, guarda caso in vena di premonizioni, confidò al Financial Times: io, Silvio Berlusconi, lo conosco bene; non permetterà che il conflitto di interessi interrompa la sua passeggiata nella storia. Temo che questa passeggiata fosse conclusa già con la depenalizzazione del falso in bilancio che ha riportato molti, compreso forse il Presidente, a dimensioni a loro più consone di una passeggiata nella partita doppia più che nella storia.
Questa legge passerà perché voi la farete passare e sancirà che tutto ciò che oggi si configura (non a parere dei comunisti e dei complottanti italiani, ma nell'opinione pubblica nostrana ed estera) come sconveniente, scandaloso ed antidemocratico, in Italia non lo sarà più per chiunque, a cominciare da Silvio Berlusconi.
Ciò che credo si possa dire è che non ricordo nessun altro caso, certamente non in Gran Bretagna, ma direi anche in Europa, in cui si sia determinata una tale combinazione di posizioni e di presenze al
vertice del sistema politico e di un insieme di interessi commerciali così vasto e complesso.
Quando si possiedono mezzi di comunicazione, in gioco non vi è solo il beneficio finanziario che se ne può trarre, ma anche il beneficio politico che deriva dalla possibilità di formare l'opinione. Per esempio, si può danneggiare o criticare l'oppositore; infatti, in molti paesi vi sono leggi separate per i media, proprio in considerazione della loro speciale rilevanza nell'ambito della sfera pubblica.
Ministro Frattini, questo l'ha detto un pericoloso comunista, Lord Brittan, per dieci anni ministro dei governi Thatcher, membro e Vicepresidente della Commissione europea. Un altro pericoloso comunista, George Monbiot, la settimana scorsa scriveva su The Guardian: il potere politico e quello economico si stanno fondendo quasi in ogni parte del mondo, ma in Italia sono addirittura condensati nella figura di un solo uomo: Silvio Berlusconi. Il Premier italiano vale miliardi di euro ed ha interessi in quasi tutti i settori dell'economia italiana. Il controllo che esercita sulla maggior parte dei mass media privati, tramite le sue aziende, e sulla maggior parte di quelli pubblici, tramite il Governo, significa che è in grado di esercitare un dominio sui pensieri e sulle emozioni dei suoi concittadini che non ha precedente alcuno in alcun paese democratico.
La verità è che la televisione è veramente diventata bottino della maggioranza. Ormai avete imboccato una strada pericolosa per la democrazia. Quando si cominciano a violare i diritti dell'opposizione, passo dopo passo, si arriva al regime; su questa strada avete camminato già troppo. Basta pensare alle leggi confezionate su misura per colpire l'avversario politico, all'abuso delle leggi delega con le quali avete sottratto al Parlamento il diritto di decidere su questioni essenziali come le tasse, e all'aberrazione dell'uso politico della giustizia.
Avete promesso di guidarci nella transizione verso una Repubblica più libera e moderna, ma con leggi come questa ci conducete ad una deriva dirigistica, autoritaria e illiberale. Con questa legge voi volete soltanto consolidare il vostro strapotere comunicativo. Lo dimostrano i fatti: questa legge toglie ai cittadini un altro pezzo importante di libertà. Noi non la voteremo e continueremo a contrastarla con ogni mezzo. Credo che siano parole autorevoli, chiare, precise e determinate. Peccato che chi le ha pronunciate le ha completamente dimenticate: questo era il discorso che Silvio Berlusconi pronunciò in quest'aula il 3 febbraio 2000 per qualcosa di estremamente piccolo rispetto al tema di oggi, quello sulla par condicio, ed usava questi toni e questi temi.
Credo che oggi queste parole calzino a pennello per il testo di legge che porta la sua firma e che è sottoposto all'esame di quest'aula.
Il conflitto che investe Berlusconi non è solo televisivo. Al suo gruppo fa capo la Mediolanum assicurazioni e non appare elegante sentire il ministro della salute inneggiare in queste condizioni al ricorso alle polizze sanitarie per garantirsi la salute. Al suo gruppo fa capo Publitalia, una delle maggiori concessionarie pubblicitarie italiane e non è elegante assistere alla fuga degli inserzionisti dalla RAI verso le reti Mediaset. Al suo gruppo fa capo la Mondadori, una delle principali case editrici d'Italia e non è stato elegante farle produrre, stampare e distribuire il quindicinale del Ministero dell'economia, Euroitalia, diffuso in milioni di copie. Qual è, però, la madre di tutti i conflitti che, mirabilmente, confluiscono nella persona del Premier imprenditore, Presidente Berlusconi?
È che un soggetto portatore di interessi economici così forti si trovi ad essere anche colui che deve regolare quegli interessi, che deve garantire la trasparenza delle istituzioni e la condizione di assoluta imparzialità del suo agire. È lo stesso dibattito che sta investendo il processo della globalizzazione a livello mondiale. Solo con istituzioni trasparenti - riconosce il WTO - la globalizzazione avrà un volto umano e funzionerà bene per tutti. Bene, noi in Italia ci stiamo apprestando a rimettere indietro anche queste lancette,
noi qui lasciamo che sia il colonizzatore a riscrivere da solo le regole di trasparenza che limitino e garantiscano il suo agire e, di conseguenza, garantiscano pure noi.
Politica ed economia hanno bisogno di continuare a mantenere limiti precisi. Il Presidente che fa risorgere gli ammalati, risolve tutto, ed è pure unto dal Signore potrebbe prendere l'esempio del giovane ricco: vai, dai tutto ai poveri e seguimi. Ma questo sarebbe dire espropriazione. Il candidato Berlusconi non ha voluto sentire il tema etico, e oggi ce lo ha ricordato il ministro Frattini. Non ha sentito neanche lontanamente il senso dell'opportunità. Allora, una volta diventato il Presidente Berlusconi, il bene pubblico si deve tutelare con una norma che valga per tutti.
Il conflitto non c'è nell'immaginario berlusconiano perché, mentre noi abbiamo una concezione dello Stato che prende anche le difese di chi non ha voce generando forme di protezione sociale, per il Presidente Berlusconi lo Stato deve essere neutro e non deve garantire una giustizia sociale redistributiva, quanto piuttosto un palcoscenico sul quale tutti gli attori ed i portatori di interessi si confrontino tra di loro. Ma questa è la logica del mercato e non della politica intesa come bene comune.
L'unica cosa che stia a cuore al Premier, invece, è la sua proprietà. La causa mia non è il divino, né l'uomo, non è il vero, il buono, il giusto, la libertà e così via, ma soltanto ciò che è mio. Non è una causa universale bensì unica, come unico sono io, nessuna altra cosa mi interessa più di me stesso. Queste parole sono di Max Stirner, un filosofo della metà dell'ottocento, che ha scritto un testo, L'unico e la sua proprietà, poi preso a base del Mein Kampf di Hitler e della dottrina mistica di Mussolini. Credo che queste parole ci possano e ci debbano far riflettere e debbano far riflettere anche il Governo e la sua maggioranza mentre a fronte alta sostiene le tesi di questa legge.
La cosa che ancor più sconcerta è stato il tentativo compiuto con abilità pari solo alla malafede, e perciò smascherato, di voler cercare dei compagni di avventura in questa corsa al mal comune mezzo gaudio abbassando la soglia di correttezza anche per gli enti locali. Mi spiego: il Governo ha lanciato un amo a presidenti di provincia e sindaci offrendo di rivedere e mettere nello stesso calderone in discussione oggi anche le norme che hanno regolato fino ad ora le loro incompatibilità di amministratori locali. Amministratori - e sia chiaro che parliamo anche di quelli del centrodestra - che, senza mai batter ciglio, hanno voluto e saputo separare le proprie attività professionali da quelle amministrative, così come hanno voluto e saputo separare i propri beni dal bene pubblico.
Chi possiede una ditta di costruzioni o fa il tecnico, non si è mai sognato di sovraintendere all'assessorato ai lavori pubblici o all'urbanistica. Nello stesso modo, ciascuno si astiene dal voto e non interviene affatto in consiglio qualora ci siano decisioni che riguardano parenti ed affini fino al quarto grado, anche nei comuni con 100 abitanti. Mi rendo conto che se avessimo avuto anche per il Parlamento una norma così chiara e precisa oggi, forse, la metà di questi seggi avrebbe potuto essere occupata da altri.
Per quanto a qualcuno possa sembrare incredibile sta proprio in questo rigore la garanzia della trasparenza dei nostri amministratori locali, dei sindaci e dei presidenti delle province. Proprio qui sta la loro credibilità di fronte ai propri concittadini, sta proprio in questa inflessibilità la garanzia che gli permette di camminare a testa alta, Presidente Berlusconi. Per quanto vi possa sembrare incredibile i primi a non voler rinunciare al rigore sono proprio loro: comuni e province. Masochismo? Ingenuità? Non credo. Credo piuttosto che sindaci e presidenti di provincia abbiano capito che in un sistema democratico serve il coraggio della responsabilità. Hanno scelto liberamente di dedicarsi alla politica e se ne assumono oneri ed onori. Hanno scelto sapendo di precludersi per questo qualsiasi altra possibilità, anche più redditizia. L'amo che gli avete gettato lo hanno rimandato al mittente dicendovi: no, grazie.
Il problema è che, quando il Presidente Berlusconi va a pesca, pensa sempre di poter acchiappare perché, al posto dell'esca, mette, magari, qualcosa di simpatico come può essere una carta di credito. Stavolta non ha funzionato perché non sempre tutto è in vendita.
Ci saremmo aspettati un sussulto di dignità di fronte a questioni così cruciali. Invece, Berlusconi ha risposto alla fiducia dei cittadini italiani nello stile di Maria Antonietta (il popolo non ha pane? Dategli le brioche) e, oggi, la maggioranza ci risponde che la semplice proprietà di un'azienda non costituisce motivo di incompatibilità.
Allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, la conclusione è una sola: la semplice dignità è come il coraggio di don Abbondio, se uno non ce l'ha non se la può dare, neanche se fa il Presidente del Consiglio pro tempore (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giordano perché c'è stato un cortese ed amichevole cambio con il collega Luciano Dussin che parlerà dopo. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, signor ministro, l'onorevole Mascia ha già illustrato le ragioni tecnico- formali dei motivi per cui non condividiamo il testo del Governo (non lo condividiamo radicalmente) ed ha illustrato le motivazioni del nostro testo alternativo a quello dell'esecutivo.
Signor ministro, mi limiterò a fare alcune osservazioni di carattere politico. Dopo anni di discussione politico-culturale e di gestione pratica di un'anomalia che riguarda la natura del conflitto di interessi, finalmente è al nostro esame una normativa che regola questo tema. Mi è venuto quasi naturale dire finalmente, e così sarebbe, ma le questioni sono un po' più complesse perché tale provvedimento proposto dal Governo - lo hanno detto anche altri miei colleghi - non risolve alcun conflitto di interessi, anzi legittima l'anomalia.
Si tratta di un disegno di legge che in Commissione è stato persino peggiorato perché - e questo è il punto - l'impresa, la proprietà, il patrimonio vengono immunizzati da qualsiasi incompatibilità. Se permette, dopo tanto tempo che si aspettava una normativa, questa mi pare una farsa, tanto che come opposizioni, a fronte di cotanta protervia da parte della maggioranza, in Commissione affari costituzionali abbiamo addirittura abbandonato l'aula.
L'Ulivo lo ha fatto con grande autorevolezza - facendo parlare, addirittura, un ex Presidente del Consiglio, cioè l'onorevole D'Alema - ma, un po' inspiegabilmente (lo chiedo agli esponenti dell'Ulivo), a fronte di tanta arroganza ed impermeabilità da parte del Governo e della maggioranza, mi sarei aspettato un'opposizione molto forte alla calendarizzazione in questa settimana del provvedimento al nostro esame. Chiedo agli amici e ai compagni dell'Ulivo cosa sia cambiato dalla presa di posizione così netta e forte in Commissione affari costituzionali, dato che nella Conferenza dei presidenti di gruppo solo Rifondazione comunista si è opposta alla calendarizzazione del provvedimento.
Giustamente, vedo in giro una mobilitazione democratica - sit-in, presidi, manifestazioni di massa, girotondi - su questa grave anomalia di questo paese; si tratta di una grande mobilitazione per una legge che, sulla carta, non ha da passare e, invece, come ho già detto, solo noi ci siamo opposti alla calendarizzazione: misteri della politica separata ed autoreferenziale.
Tuttavia, tali misteri mano a mano si svelano - e, da questo punto di vista, le nomine RAI sono illuminanti perché tutti le criticano però, guarda caso, i nomi che erano stati indicati anche dal fronte dell'Ulivo li ritroviamo integralmente nella proposta dei Presidenti di Camera e Senato - e, forse, appariranno ancora più
chiari (mi auguro che tutto ciò non accada) sulle indicazioni della Corte costituzionale.
Il provvedimento sul conflitto di interessi, che non si doveva approvare, viene discusso in questa settimana con una calendarizzazione già prevista e con il tempo contingentato e verrà approvato nelle forme previste dal Governo, vale a dire con una legge che non risolve la natura delle questioni che abbiamo posto.
Noi, che non abbiamo nulla da scambiare - come lei, signor ministro, sa perfettamente - e che a quella logica siamo estranei, faremo la nostra opposizione netta e radicale sul merito, provando ad esplicitare una battaglia politico-culturale.
Ministro Frattini, non sarà una battaglia contro qualcuno, non personalizziamo nulla. A noi interessa stabilire un principio fondante del nostro dettato costituzionale, vale a dire quello della separazione tra potere economico e potere politico. Voi questo principio lo calpestate!
Vedete, questa legge ha una storia antica. Oggi, le forze del centrosinistra, con grande determinazione - salvo quella «piccola» questione di cui parlavo prima -, compiono una battaglia di fondo e contrastano la vostra proposta mentre, nei cinque anni in cui erano al Governo, potevano far valere la propria maggioranza. A tale proposito, signor Presidente, vorrei ricordare che noi avevamo stimolato il Governo di centrosinistra a prospettare una legge sul conflitto di interessi che fosse cogente e in sintonia con quanto si esprime oggi. Addirittura - come già detto dal collega Fioroni - in ordine alla legge sulla par condicio, approvata anche con i voti di Rifondazione comunista, presentammo un ordine del giorno, accolto dall'allora Governo dell'Ulivo, nel quale si chiedeva esplicitamente un'incompatibilità tra incarichi pubblici e interessi privati. Niente da fare! Oggi, ci troviamo di fronte ad un altro disegno di legge che rischia di diventare legge. Probabilmente, allora, si era pensato che il conflitto di interessi era meglio minacciarlo, brandirlo contro qualcuno - per tornare alla personalizzazione -, nella convinzione che ciò sarebbe servito per farlo tornare a più miti consigli e per costruire una politica meno conflittuale: bicamerale docet! Tant'è che ci troviamo con la destra nella maggioranza che propone questo testo per noi inaccettabile e risibile. Ciascuno è vittima della propria macchinazione.
Il Governo, nell'ultima stesura del testo in discussione, propone una totale immunizzazione dell'impresa e del patrimonio da qualsiasi forma di incompatibilità. Voi dite che non vi è incompatibilità tra cariche di Governo e attività imprenditoriali e professionali; nel vostro provvedimento, signor ministro, dite che l'antitrust vigilerà, senza avere alcun potere di indagine e che, nel caso in cui dovesse cogliere in fallo un ministro, dovrà suggerire, delicatamente, ai Presidenti delle Camere delle misure, senza poter neanche annullare gli atti. Per noi invece, signor ministro, potere economico e potere politico vanno tenuti rigidamente distinti. L'uso di potere pubblico - come ha detto l'onorevole Mascia - volto ad incrementare, proteggere, garantire il valore patrimoniale del titolare della carica pubblica, è inconciliabile con qualsiasi forma di civiltà giuridica.
Si tratta - lo vogliamo ribadire - di un principio liberale, che viene posto in discussione in tempi di liberismo dilagante. È l'articolo 51 della nostra Costituzione che presiede ed informa la materia di cui stiamo discutendo, stabilendo che l'accesso a pubblici uffici e a cariche elettive è garantito a tutti i cittadini in condizioni di uguaglianza e solo a tali condizioni. Se ci troviamo in questa situazione, in cui vi è un clamoroso conflitto di interessi, evidentemente questa carica risulta viziata e tale vizio va sanato. Come direbbe il professor Ferrara, nel corso di un'audizione presso la Commissione affari costituzionali, ci troveremmo di fronte ad un esercizio illegale di potere legale.
Signor ministro, noi crediamo che la scelta di accedere alle funzioni pubbliche sia libera e garantita a tutti e non soltanto a chi possiede beni economici e mezzi eccellenti. Ho ascoltato con un certo interesse l'audizione del professor Caianiello
il quale, nell'ambito di alcune osservazioni che pure condividevo, ha detto di essere contrario alla cessione del patrimonio, come lei ha qui ribadito, fra l'altro: egli è teoricamente e culturalmente favorevole all'integrazione tra società civile e società politica e, invece, l'obbligo alla cessione del patrimonio - come dire - indebolirebbe la possibilità di rappresentatività di una parte della società civile. Mi scusi, signor ministro, a me pare vero l'esatto contrario, empiricamente. In un regime di conflitto di interessi non sanato vengono discriminate le realtà lavorative che vivono del proprio reddito da lavoro dipendente. Guardatevi intorno, verificate in quest'aula l'estrazione sociale di chi viene rappresentato con questa pessima legge elettorale: sistema maggioritario e conflitto di interessi non sanato determinano un vulnus, alimentando una discrezionalità di censo rispetto alla rappresentatività. Ciò è evidente. È evidente a tutti e non soltanto teoricamente, ma persino da un punto di vista concreto: verificate un po' quanti lavoratori dipendenti ci sono in quest'aula. È evidente che è così.
Dunque, io credo che scegliere, da parte del titolare della carica pubblica, tra il suo interesse privato e l'interesse pubblico sia un atto, onestamente, giusto e legittimo. Si è parlato di una modalità punitiva. Signor ministro, lei ha descritto colui che deve godere della carica pubblica come un perseguitato, come un poveretto che si sobbarca un peso inaudito. Signor ministro, stiamo decidendo se fare il Presidente del Consiglio dei ministri o il ministro oppure se valorizzare il proprio interesse privato. Suvvia, non mi pare una scelta che possa dilaniare l'animo di chicchessia. Quello che non si può fare e che voi invece fate, signor ministro, è mantenere la commistione tra interesse pubblico e interesse privato. Questa è l'unica cosa che non si può fare e non si può fare - su questo sono d'accordo con lei, paradossalmente - se si risolve a monte il problema, invece di delegare la soluzione ad una commissione esterna alle modalità istituzionali.
Penso sia corretto il nostro testo, ispirato ad un principio liberale che propone l'obbligo alla vendita...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Giordano. L'obbligo... ?
FRANCESCO GIORDANO. ...alla vendita del patrimonio, qualora ci si trovasse...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Giordano.
FRANCESCO GIORDANO. Si figuri, signor Presidente. Sa che ci tengo molto a farmi ascoltare sul merito delle questioni anche da lei.
PRESIDENTE. Ascolto volentieri. Io sono un pessimo parlatore, ma un buon ascoltatore.
FRANCESCO GIORDANO. Ci tengo a rendere le nostre posizioni molto esplicite e molto chiare, soprattutto per chi di principi liberali dovrebbe intendersi, come lei si intende.
PRESIDENTE. Delle volte, sa...
FRANCESCO GIORDANO. Credo che questo principio liberale della separazione tra potere economico e potere politico, con l'obbligo alla vendita, sia giusto e sia fondante dello spirito costituzionale: ciò ha informato il nostro testo di legge, in maniera limpida. Come si vede, non c'è alcuna forma di personalizzazione verso chicchessia.
L'Ulivo tende a spostarsi su questa linea, come abbiamo visto negli ultimi giorni? Bene. Si tratta di un fatto positivo che noi apprezziamo. Però, su un punto noi siamo in disaccordo, nel merito, sul testo proposto dall'Ulivo. La nostra radicale contrarietà al testo del Governo è nota ed esplicita. Su un punto siamo in disaccordo con l'Ulivo: noi siamo contrari a qualsiasi organismo chiamato a verificare di volta in volta la natura del conflitto ed a esprimersi sulla natura del conflitto,
perché ciò determinerebbe fondamentalmente due effetti (e mi rivolgo ai colleghi del centrosinistra): o un conflitto istituzionale permanente, e francamente non se ne vede la ragione né la necessità; o, peggio, come abbiamo visto qualche volta nel passato, un accordo preventivo, con il rischio che invece del conflitto permanente ci sia l'accordo permanente e, quindi, sia bypassata la natura reale del conflitto.
Siamo contrari anche ad ogni ipotesi di blind trust, per una ragione persino elementare. Si immagini lei, signor ministro, se nel prosieguo del suo operato un ministro o un gestore della cosa pubblica, sapendo che il suo patrimonio viene affidato ad un soggetto terzo e contemporaneamente che rientrerà in possesso di questo al termine del mandato, quel soggetto non avrà in mente che forse nel percorso della sua funzione pubblica dovrà valorizzare quel patrimonio. A me pare difficile che così possa separarsi, se sa che ritorna esattamente in possesso del suo patrimonio: per questo, mi pare risibile la proposta di chi non prevede l'obbligo alla vendita.
Siamo anche contrari, lo dicevamo apertamente, sul punto in cui lei ha ingaggiato con il centrosinistra una sorta di competizione su chi esprime al meglio il senso del modello americano o lo spirito del modello anglosassone, come qui ha ripetutamente detto. Noi non partecipiamo a questa competizione, perché noi quel modello lo contestiamo radicalmente: infatti, dubito che qualcuno possa dire che il modello americano sia quello che determina una imparzialità. Tutti sanno che il Presidente degli Stati Uniti viene eletto anche in virtù della potenza economica e finanziaria che lo sorregge: lo vedono tutti quanti. Persino il caso citato del sindaco di New York oggi è oggetto di un contrasto esattamente su questo punto.
Per noi il problema è quello di definire a monte alcuni principi certi e di determinare un incompatibilità a tutti i livelli. Tutto ciò perché in questa maniera noi vorremmo provare anche a disinquinare la politica dai tanti soggetti che oggi, in virtù del loro potere economico, affollano i vari livelli delle cariche istituzionali e magari, per questa via, coartano il consenso e determinano una manipolazione delle coscienze, in virtù del loro peso e di strumenti eccezionali: certo, quello della comunicazione è uno strumento eccezionale per eccellenza, ma non c'è solo questo. Ci sono tanti personaggi che, anche in virtù di questa legge elettorale, hanno fatto leva su queste risorse per poter determinare, per questa via, una scorciatoia rispetto alla gestione del potere.
La nostra è una proposta che tende, quindi, a determinare una certezza, a sanare un vulnus, a ridare alla politica la dimensione della risoluzione degli interessi collettivi (e non, al contrario, come nel testo governativo si tende a fare, a valorizzare gli interessi privati) ed, infine, a rompere la separatezza della politica, perché la salvaguardia degli interessi privati è il primo vero passaggio che rende la politica autonoma e separata, lontano dalle esigenze sociali concrete.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, cercherò di esprimere la posizione della Lega nord Padania relativamente al conflitto di interessi con alcune considerazioni di ordine politico. Però, prima ricorderò un paio di affermazioni che ho memorizzato durante le sedute in Commissione riservate alle audizioni su questo tema.
LUCIANO DUSSIN. Ebbene, sembra che in nessun paese ci sia una legge che è riuscita ad eliminare definitivamente il problema del potenziale conflitto di interessi e le ipotetiche derivazioni che questo potrebbe comportare a vantaggio di eventuali profittatori. A detta di un paio di relatori, anche in Italia il problema non sarà risolto formulando nuove leggi, se
non con proposte illiberali ed anticostituzionali, quali l'esproprio di attività, tanto caro ai comunisti. Il problema non sarà risolto perché l'onestà delle persone in questi aspetti non è regolabile con una legge: o un individuo è onesto o non lo è.
Noi riteniamo che per fortuna, al di là delle leggi, esistano già degli attenti controllori (i cittadini) che non si lasciano sfuggire situazioni di parte o di comodo da parte di chi svolge funzioni pubbliche. Per questo, il testo proposto dalla maggioranza va verso il coinvolgimento e l'informazione dell'opinione pubblica - se ci saranno conflitti di interesse -, perché riteniamo che questo rappresenti il migliore deterrente per risolvere il problema in discussione.
A questo punto, ci si potrebbe anche chiedere come mai il tema trattato sia così evanescente o, quantomeno, sfuggevole per poterlo regolare con una semplice legge. Le spiegazioni che mi sono dato, in sostanza, sono queste. Il problema parte strumentalmente dal presupposto sbagliato che l'individuo, assunto ad incarichi pubblici, anteponga i suoi affari agli interessi generali del paese. Quindi, si parte da un preconcetto, peraltro facilmente utilizzabile a fini politici, come sta accadendo in questi giorni. Ecco quindi riemergere quelle forme di giacobinismo di parte che la sinistra incoraggia per spostare verso l'anarchia la mentalità dei cittadini. D'altronde, vista la mancanza assoluta di progettualità dimostrata dagli uomini dell'Ulivo, in posizione sia di maggioranza sia di minoranza parlamentare, questi ultimi non potevano far altro che tentare di aizzare l'opinione pubblica contro ipotetici furfanti, pronti a tutto pur di fare i loro affari.
Con tutta probabilità, visto lo stato comatoso in cui versa la sinistra comunista, anche questa pseudobattaglia parlamentare si rivelerà inconsistente e senza alcun seguito per la stragrande maggioranza dei cittadini, i quali sono più preoccupati di altre cose: la loro sicurezza, il lavoro per i figli, le infrastrutture che mancano, e così via. Poco importa a loro di futuri, ipotetici conflitti di interesse o, ancora meno, delle riunioni romane indette in questi giorni dai vertici dei Democratici di sinistra per rilanciare, ad esempio, il diritto di voto agli extracomunitari.
Con questo voglio dire che la Casa delle libertà può governare tranquillamente il paese finché la sinistra continuerà a giocare sul nulla o a proporre aberrazioni come quella appena ricordata.
Ritornando al tema del giorno noi sosteniamo che, dalle proposte fantasiose della sinistra, si debba passare a proposte reali che, nella fattispecie del conflitto di interessi, presuppongano doverosi controlli sugli atti compiuti da chi ha compiti di Governo e, se dovessero emergere delle responsabilità per scelte di parte o eventuali arricchimenti personali, informare subito l'opinione pubblica - quindi i cittadini votanti -, oltre ad attivare tutti gli strumenti giudiziari già esistenti nel nostro ordinamento. Quindi, niente chiacchiere e offese gratuite a chi governa, ma un controllo rigoroso sugli atti, con conseguente diffusione di notizie all'opinione pubblica, nel caso che qualcuno, per interessi propri, approfitti della sua posizione.
A noi sembrano queste le filosofie e le logiche che debbono guidare la mano del legislatore sul problema in discussione, e ci conforta che il testo adottato dalla maggioranza segua questi indirizzi. Ma, a questo punto, penso sia il caso di parlare chiaramente, perché intendo respingere ai mittenti di sinistra tutte le illazioni strumentali che hanno formulato in questi giorni, relativamente al conflitto di interessi; accuse che partono da chi, del conflitto di interessi, ne ha fatto finora uso senza ritegno alcuno e, peraltro, per scopi che, talvolta, vanno contro il nostro sistema democratico.
La sinistra - come dicevo prima - non può attaccare il Governo della Casa delle libertà sui grandi temi, quali la sicurezza, il controllo del fenomeno dell'immigrazione, il rilancio delle grandi opere infrastrutturali, l'aumento delle pensioni o delle politiche per la famiglia, il grande sforzo finanziario per l'apertura di nuovi asili nido e quant'altro; visto che su questi
temi il Governo non è attaccabile, allora la sinistra attacca in malafede adducendo comportamenti del Primo ministro irrispettosi della vita democratica del paese, dimenticandosi che quello che il Presidente del Consiglio in carica non ha ancora fatto e non farà, loro - come ho già detto - lo hanno già fatto.
Lo hanno fatto, ad esempio, con le loro cooperative rosse: non era forse un conflitto di interessi la gestione di settori importanti dei servizi pubblici tramite strutture di partito? Forse, gli accordi con i democristiani non concedevano privilegi di parte nella gestione degli strumenti economici del loro partito? Direi proprio di sì! Sarebbe, infatti, immorale parlare di conflitto di interessi di singoli cittadini che si propongono per governare la cosa pubblica ed ignorare che i partiti della prima Repubblica hanno vissuto grazie ad un continuo conflitto di interessi, derivante dalla spartizione sistematica di tutto quello che si poteva spartire.
Sarà perché, per la prima volta, un imprenditore si trova alla guida del paese, al posto del vecchio sistema partitico di triste memoria, che i rimasugli di quella politica, ora confluiti nell'Ulivo, cercano di attaccarlo su tutti i fronti? Mi risulta difficile giustificare che l'Ulivo attacchi Berlusconi sul conflitto di interessi, quando, ad esempio, nelle sue file annovera parlamentari del calibro di De Mita che, con le decine di migliaia di miliardi sparite dalle casse pubbliche dello Stato, nel vortice del terremoto dell'Irpinia, ha dato prova che, in termini di conflitto di interessi, mai più nella storia dell'umanità qualche Primo ministro potrà arrivare a tanto.
Con questo esempio ho voluto ricordare che il conflitto di interessi deve essere inteso anche tra politica partitica e gestione del bene pubblico, non solo tra privato imprenditore e cosa pubblica. Forse, i partiti che governavano le regioni, le province e i grandi comuni non entravano in conflitto di interessi nel nominare quello al posto di quell'altro, magari solo perché più vicino politicamente a qualcuno? E che dire dell'assegnazione degli appalti, dei progetti, delle mille nomine che bisogna fare? Forse qualcuno può negare che di conflitto di interessi si trattava o si tratti ancora? Come mai, allora, i testi preparati dall'Ulivo mirano a colpire il singolo imprenditore e non il sistema politico che ho appena ricordato, peraltro, in considerazione del fatto che il problema della politica nell'amministrazione della cosa pubblica è ancora tutto da risolvere?
Voglio ricordare che, nonostante vi fossero molti controlli sugli atti di chi era chiamato a governare la cosa pubblica, i conflitti di interessi erano comunque all'ordine del giorno: poco controllavano i vari segretari comunali, i revisori dei conti, i commissari di Governo, i Co.Re.Co., per non parlare dei tribunali amministrativi o della giustizia civile, penale e contabile! Tutte forme di controllo che la storia ha visto bypassate e i risultati sono all'evidenza di tutti.
Per fortuna, i cittadini si sono accorti di ciò e hanno spazzato via un'intera classe dirigente. Questo mi tranquillizza: vuol dire che, laddove regnano o regnavano gli accordi sottobanco, comunque a lungo andare le cose sono emerse e finiscono all'attenzione degli elettori che, con il loro voto, contano mille volte di più di tutti gli altri strumenti di controllo appena citati.
Per queste considerazioni, ritengo che il disegno di legge della maggioranza vada nella giusta direzione perché, invece di rivolgersi ai soliti organi di controllo, ne attiva uno, l'autorità antitrust esistente, allo scopo di segnalare al Parlamento e, quindi, all'opinione pubblica se si verificano situazioni di comodo nella gestione della cosa pubblica.
Che dire? Forse, per la prima volta, si affronta un argomento in maniera seria, non strumentale che potrà servire veramente come deterrente per tutti.
Ma non ho finito: vorrei respingere i tentativi della sinistra di infangare il Presidente del Consiglio dei ministri perché non accetto prediche in tema di onestà e trasparenza da chi è arrivato ad assumere, a fine legislatura, addirittura dopo l'esito
delle elezioni, oltre mille funzionari nelle varie strutture statali; tutto ciò in palese conflitto di interesse, contro la volontà dei cittadini elettori che li aveva cacciati, con il voto, dal governo del paese. Vergognose sono state le assunzioni di personale da parte di ex ministri, quali la Melandri, Pecoraro Scanio, nei loro rispettivi ministeri, tanto da guadagnarsi le pagine dei giornali per la loro sfacciata occupazione del potere, nonostante, ripeto, i cittadini li avessero relegati all'opposizione.
Vedete allora che non abbiamo certo bisogno di lezioni di onestà e trasparenza da parte di questi politici; anzi, vorrei ad esempio ricordare la faziosità dei programmi RAI, saldamente in mano alla sinistra sino a pochi giorni fa. Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche dello scorso anno, la faziosità aveva raggiunto limiti di indecorosità tali che alla fine - penso - i cittadini abbiano reagito votando in senso contrario rispetto alle aspettative della sinistra stessa. Ricordo Biagi, nel suo programma serale, pontificare contro il segretario del mio movimento, offendendolo all'inverosimile a pochi giorni dalle elezioni. Ricordo inoltre la schiera di attricette pronte a definirsi pro Rutelli in programmi serali che indignavano all'inverosimile la maggioranza dei telespettatori.
Posso capire che i giornali abbiano partecipato attivamente alla campagna elettorale. Tuttavia, un conto è un giornale che si è liberi o meno di acquistare, altra cosa è la RAI che, volenti o meno, è ancora uno strumento pubblico di informazione che dovrebbe essere rigorosamente super partes. Invece, con la sinistra, quest'ultima ha assunto toni di parte talmente sfacciati, che alla fine ha offeso più cittadini di quanti, per partigianeria rossa, avessero colpevolmente apprezzato.
Ancora: che dire del conflitto di interessi fra istituzioni generato da inqualificabili prese di posizione da parte della magistratura? Quando il presidente dell'associazione nazionale dei magistrati, tale Giuseppe Gennaro, dichiarò che il leader del Polo, stante la sua situazione, non poteva governare il paese. Per fortuna, i cittadini non si fecero impressionare dalle dichiarazioni di tali persone, persone che troppo spesso hanno dimenticato di essere funzionari pubblici, niente più che dipendenti, quali gli insegnanti, i postini, i cantonieri ANAS e quant'altro; dipendenti che devono garantire i servizi alla popolazione e che non devono interferire nella politica, tanto meno sul mandato elettorale affidato a chi fa politica.
Serve forse ricordare, ad esempio, l'atto infame di chi recapitò all'onorevole Berlusconi quel famoso avviso giudiziario mentre a Napoli egli presiedeva una conferenza internazionale contro il crimine. Non è stato un atto di becero sconfinamento dei ruoli fra magistratura ed un rappresentante eletto dal popolo nelle sue funzioni? Di questo si deve parlare quando qualcuno rispolvera il conflitto di interessi. Tuttavia mi risulta che quel magistrato che dette l'ordine, a norme e per conto di chissà quali poteri, non sia stato né processato, né tanto meno redarguito da qualcuno.
Ecco cosa il sottoscritto intende per conflitto di interessi: fatti veri e concreti. Queste sono situazioni da perseguire perché furono degne di essere definite come un vero e proprio tentativo di colpo di Stato.
C'è tuttavia chi nel ruolo di magistrato ha compiuto cose anche peggiori: mi riferisco alle continue azioni, meno eclatanti di quella descritta in precedenza, ma non meno insidiose per la democrazia del paese, perpetrate dal giudice Papalia nei confronti dei militanti del mio movimento. Sfruttando una carica pubblica, egli è riuscito nel suo intento di far politica, perseguendo per anni i militanti della Lega nord Padania, entrando in conflitto di interessi fra il ruolo che svolge e le aspirazioni personali che persegue.
Forse potremo sfruttare l'accanimento di questo personaggio per valutare anche i costi sociali derivanti dal conflitto di interessi: ebbene, Verona, la città in cui opera, si è trasformata in città baricentrica per i traffici di droga di mezza Europa, mentre la polizia giudiziaria e il tribunale di Verona lavoravano sui fazzolettini
verdi e sugli stemmini di Giussano sequestrati nelle case dei militanti della Lega. Ecco quantificati i danni di una delle forme di conflitto di interessi che la sinistra dimentica, ma il sottoscritto non può dimenticare.
Se può consolare, come in tutte le cose, c'è sempre chi riesce a fare anche peggio. Mi riferisco ai tribunali di Venezia e Milano, che per decorrenza dei termini di custodia hanno lasciato liberi rispettivamente gli ultimi mafiosi della riviera del Brenta e diversi delinquenti già condannati in primo grado all'ergastolo, per mancanza di tempo nel procedere con i processi, mentre, per precise scelte, perdevano mesi di lavoro per processare decine di contadini intenti a salvare le loro mucche da latte dai grandi progetti di globalizzazione che l'allora Ulivo mondiale perseguiva. Ecco un altro esempio di conflitto di interessi: perseguitare politicamente, tramite la magistratura, categorie di cittadini che si ribellavano a scelte di economia globale, peraltro decise a loro insaputa; non a caso, per questi motivi, poco fa, parlavo di pericolo per le istituzioni democratiche del paese.
Ritornando alle proposte in esame, riconfermo la posizione favorevole della Lega nord al disegno di legge del Governo e non posso che respingere le altre proposte della sinistra, perché partono da presupposti illiberali. È stato spiegato più volte che il diritto alla proprietà privata non può essere messo in discussione, perché è garantito dalla nostra Costituzione. Quindi, per fortuna, devono essere respinte le proposte che prevedono l'eventualità di un'alienazione forzosa dell'azienda o una cessione forzosa al gestore perché in contrasto con l'articolo 42 della Costituzione, peraltro realizzando un'espropriazione non correlata ad alcun utilizzo di interesse generale dei beni espropriati, né accompagnata da un adeguato indennizzo. Tanto meno si possono imporre limiti di censo per ricoprire cariche elettive e, comunque, queste incompatibilità non potrebbero valere per il Governo in carica, in quanto formatosi quando queste norme non esistevano nell'ordinamento.
Concordiamo con chi afferma che la soluzione del blind trust può funzionare solo per patrimoni azionari, ma non per la gestione di un'impresa, che necessita di tutto, ma non di una gestione ingessata di tipo notarile.
Per finire, ritengo siano da rispettare le scelte dei cittadini elettori che si sono affidati all'attuale Presidente del Consiglio, consapevoli del potenziale conflitto di interesse che alcune sue attività potrebbero avere, perché negli elettori probabilmente prevale un senso di fiducia, che non deve essere messo in discussione a priori, senza che alcun atto di parte sia stato effettuato. E proprio con questa filosofia liberale la maggioranza si appresta, con il nostro consenso, ad approvare la sua proposta di legge su questo argomento.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Luciano Dussin.
Onorevoli colleghi, vi sono due questioni importanti su cui intendo rendere una comunicazione all'Assemblea.
La prima è inerente ad un problema che sta particolarmente a cuore a tutti, è una questione che venne sollevata dall'onorevole Castagnetti in una delle ultime sedute e oggi vedo che è stata ripresa, fra gli altri, dall'onorevole Spini in una dichiarazione alla stampa, e riguarda la drammatica situazione in Medio Oriente.
Come hanno riportato gli organi di informazione, nella giornata di ieri, interpretando uno stato d'animo diffuso in quest'Assemblea, ho avuto una lunga conversazione con il Presidente del Consiglio dei ministri sul problema del Medio Oriente. Ho espresso al Capo dell'esecutivo la volontà di tutti i gruppi parlamentari di vedere un ruolo attivo dell'Italia nella ripresa di un possibile negoziato tra Israele e l'Autorità palestinese. Ho chiesto che la Camera dei deputati venga tempestivamente informata sui nuovi sviluppi. Il Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi, mi ha assicurato la ferma volontà del Governo di sollecitare un'incisiva iniziativa
europea. Mi ha ribadito la totale assonanza dell'esecutivo agli stati d'animo e alle richieste espresse da quest'Assemblea. Non appena eventi nuovi si profileranno - mi riferisco soprattutto alla missione di queste ore dell'inviato europeo, Javier Solana -, il Governo è disponibile a riferire in Parlamento, il che presumibilmente avverrà nei primi giorni della prossima settimana. Tanto vi dovevo, perché ritengo che la richiesta che mi formulò l'onorevole Castagnetti sia condivisa da tutti e sollecitata da tutti i gruppi parlamentari.
La seconda questione, sollevata durante la riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 19 febbraio 2002 - e ripresa anche oggi in aula -, riguarda il contingentamento della fase dell'esame degli articoli del disegno di legge in esame, concernente il conflitto di interessi.
A tale questione ho già dato, nella successiva riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 21 febbraio, una prima succinta risposta che desidero ora articolare più compiutamente. L'articolo 24, comma 12, del regolamento esclude il contingentamento delle fasi successive alla discussione generale - salva deliberazione unanime della Conferenza dei presidenti di gruppo - oltre che per progetti di legge costituzionale - caso che qui evidentemente non ricorre - in relazione a due ipotesi. La prima riguarda i progetti di legge vertenti prevalentemente su una delle materie per le quali l'articolo 49, comma 1, del regolamento ammette il voto segreto. La seconda riguarda progetti di legge concernenti questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica, riferite ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione, qualora ne sia fatta richiesta da parte di un gruppo parlamentare.
Quanto alla prima ipotesi, rilevo che il disegno di legge non contiene disposizioni assoggettabili allo scrutinio segreto: esso non incide su alcuno dei diritti costituzionali richiamati dall'articolo 49, comma 1, del regolamento, né può ricollegarsi alla fattispecie, anch'essa prevista dell'articolo 49, comma 1, di legge ordinaria relativa agli organi costituzionali dello Stato o delle regioni.
Premetto in proposito che la nozione di «legge relativa ad un organo costituzionale» si riferisce manifestamente a complessi normativi che riguardano la posizione dell'organo medesimo nell'ordinamento o ne regolano l'esercizio dei poteri costituzionali.
Ciò posto, il disegno di legge in questione non riguarda le caratteristiche strutturali e funzionali degli organi di Governo, bensì la posizione soggettiva dei titolari di vari organi pubblici, e, in particolare, situazioni e obblighi di comportamento delle persone fisiche le quali ne assumono la titolarità. Ciò risulta del resto molto chiaramente dallo stesso articolo 1 del provvedimento che, nel determinare l'ambito soggettivo di applicazione, si riferisce ai «titolari delle cariche di governo».
Quanto alla seconda ipotesi di esclusione del contingentamento contemplata nell'articolo 24, comma 12, del regolamento, non sembrano sussistere i presupposti perché la Presidenza possa riconoscere l'eccezionale rilevanza politica, sociale ed economica del disegno di legge in esame, con riferimento ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione. Infatti, secondo la costante interpretazione adottata già nella passata legislatura (anche alla luce del dibattito che si è svolto nella Giunta per il regolamento il 2 marzo 1999), ai fini dell'applicazione dell'articolo 24, comma 12, ultimo periodo, non è sufficiente una generica attinenza al contenuto del diritto costituzionalmente tutelato, ma occorre «che il progetto di legge» - cito testualmente l'esito del dibattito - «incida direttamente sulla disciplina dei diritti previsti dalla prima parte della Costituzione ovvero, quanto meno, sulle condizioni sostanziali per il loro esercizio, nell'uno e nell'altro caso con modalità che si configurino come del tutto inedite ovvero appaiano assolutamente divergenti rispetto alla regolamentazione vigente» (mi riferisco alla seduta dell'Assemblea del 3 marzo 1999).
In questo quadro, non può ritenersi che il disegno di legge incida sui diritti previsti dal titolo terzo della prima parte della Costituzione, riguardante i rapporti economici, non essendo volto a modificarne o a limitarne il contenuto. Il provvedimento attiene solo di riflesso a tali diritti, in quanto la sua finalità è, invece, quella di regolare talune modalità di esercizio di cariche pubbliche, a ciò ricollegando anche la previsione di alcune ipotesi di incompatibilità.
Il disegno di legge non incide neppure sul diritto di accesso alle cariche pubbliche (di cui all'articolo 51 della Costituzione), in quanto, come detto, non riguarda l'accesso a tali uffici, essendo inteso a disciplinare i comportamenti di coloro che già abbiano avuto accesso alle cariche stesse.
Confermo, pertanto, che la Presidenza è tenuta al contingentamento del disegno di legge, non rientrando quest'ultimo in nessuna delle ipotesi per le quali il regolamento lo esclude.
In particolare, con riferimento alla valutazione che ho compiuto circa la sussistenza del requisito dell'eccezionale rilevanza politica, sociale ed economica, sono confortato dai precedenti finora verificatisi, che hanno sempre escluso l'applicazione dell'articolo 24, comma 12, ultimo periodo (attestandone con ciò l'assoluta eccezionalità), anche relazione a provvedimenti di notevole importanza (mi riferisco ai rimborsi delle spese elettorali, alla par condicio, alla disciplina dell'immigrazione e alla riforma del diritto societario).
Né ritengo che possa essere al riguardo invocata la circostanza che, nella Conferenza del 1o marzo 2001, l'allora Presidente della Camera, onorevole Violante, ebbe ad escludere che potesse dichiararsi l'urgenza del progetto di legge sul conflitto di interessi esaminato nella passata legislatura. Le affermazioni del Presidente Violante si riferivano, infatti, a un testo diverso da quello attualmente in discussione, per cui non è possibile attribuire ad esse un valore di precedente rispetto al caso in esame.
In sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, ed anche oggi in aula, è stata altresì fatta richiesta di un ampliamento dei tempi - peraltro già ampi - previsti in sede di contingentamento. In proposito, faccio presente che, per quanto riguarda la discussione generale, la Presidenza consentirà di svolgere, nei tempi previsti dal regolamento, gli interventi sulle pregiudiziali anche ai gruppi che avessero già esaurito i tempi loro assegnati per la discussione generale stessa. Per quanto riguarda la fase successiva, la Presidenza ribadisce la disponibilità, già annunciata in Conferenza dei presidenti di gruppo, a valutare le richieste di tempi aggiuntivi provenienti dai gruppi che dovessero esaurirli nel corso del dibattito, nel rispetto - s'intende - delle previsioni del calendario, come del resto è già avvenuto in occasione dell'esame di argomenti importanti ed in assenza di comportamenti ostruzionistici.
Resta fermo che, ove dovesse essere accordato un ampliamento dei tempi, si renderebbe necessario prevedere, parallelamente, prolungamenti pomeridiani ed eventualmente notturni delle sedute, secondo quanto stabilito in sede di definizione del calendario e confermato, da ultimo, nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 21 febbraio. A tale proposito, comunico che ho convocato, per le ore 19 di domani, la Conferenza dei presidenti di gruppo, per aggiornare ed eventualmente adattare il calendario a queste esigenze.
Desidero, infine, informare l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del regolamento, procedendo a votazioni riassuntive o per principi, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare.
Pertanto, i gruppi (si tratta del gruppo di Rifondazione Comunista e della componente Verdi del gruppo misto) che hanno presentato un numero di emendamenti superiore alla quota prevista dal
citato articolo 85-bis sono invitati a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
FRANCESCO GIORDANO. E quanti sono, Presidente?
PRESIDENTE. La mia comunicazione è terminata.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, intanto la ringrazio per l'informazione relativa all'intervento sulla situazione in Medio Oriente. Per quanto riguarda invece il dibattito in corso sul provvedimento che disciplina il conflitto di interessi, in ordine alla sua decisione di procedere con il contingentamento dei tempi, fermo restando che si tratta di prerogativa riservata alla sua discrezionalità, io mi permetto di rilevare che non condivido gli argomenti che lei oggi ci ha esposto. Lo faccio in modo assolutamente corretto, ma altrettanto convinto. A nostro avviso, ricorrono tutte le condizioni perché questo provvedimento sia sottratto alla disciplina del contingentamento. Non solo perché si tratta - non è il caso che lo sottolinei lei, signor Presidente - di una materia molto delicata, ma anche perché, potendosi parlare di una conformità formale e di una conformità sostanziale al dettato del regolamento della Camera, per questo provvedimento credo si debba parlare di conformità sostanziale. Forse questo è il provvedimento più importante della legislatura per tante ragioni; infatti, sono connesse ad esso conseguenze rilevanti in ordine al modello istituzionale e al suo funzionamento.
Signor Presidente, lei ha dato una lettura formale piuttosto precisa dei contenuti dell'articolo 24 del regolamento, dicendo che non ricorrono le condizioni per il voto segreto; ma chi esclude che fra gli emendamenti presentati non vi siano degli emendamenti - e noi pensiamo che vi siano - per cui si richiederà il voto segreto? Quindi, credo che in partenza non si possa escludere questa possibilità. Anche per quanto riguarda la materia costituzionale, è assolutamente vero che non siamo di fronte ad un provvedimento di modifica costituzionale. Ma lei tenga sempre conto che ho parlato di conformità sostanziale al regolamento, non formale, e non c'è dubbio che parecchi degli articoli di questo provvedimento lambiscono ed intrecciano la materia costituzionale. Come lei sa c'è un articolo nel provvedimento che interferisce con la modifica del titolo V della Costituzione in modo diretto. Abbiamo qualche informazione relativa ad una qualche intenzione di modifica, ma, allo stato, dalla Commissione è uscito un provvedimento che interferisce direttamente con il titolo V della Costituzione.
Non possiamo neanche condividere la lettura che lei ha dato dell'articolo 51 della Costituzione. Infatti, non c'è dubbio che la modalità di disciplina del conflitto di interessi evochi sicuramente una difformità di condizioni per l'accesso alle cariche pubbliche, configurando una disuguaglianza dei cittadini di fronte alle possibilità di accesso alle cariche pubbliche. Non è vero quello che lei ha detto, cioè che il provvedimento disciplina solo le situazioni già esistenti, perché viene a configurarsi una possibilità di accesso con condizioni differenziate. Lei assuma l'ipotesi assolutamente astratta che si consenta a chi è titolare di concessioni, ma non gestore materiale di esse - si pensi, ad esempio, alle concessioni radiotelevisive -, di non essere intaccato in questa sua condizione; ebbene, ammetterà che un cittadino normale, che non ha questa possibilità, si trova in una condizione totalmente diversa. Come si fa a dire che l'articolo 51 della Costituzione non è quanto meno lambito e, credo, sostanzialmente evocato in argomento dal provvedimento che stiamo esaminando?
Per quanto riguarda il comma 12 dell'articolo 24 del regolamento, signor Presidente, come si fa a sostenere che questo non è un provvedimento di grande rilevanza economica che intacca i principi
della prima parte della Costituzione? Ripeto, il tema delle concessioni - per esempio le concessioni radiotelevisive - ha un'attinenza diretta con l'articolo 21 della Costituzione, con i diritti di libertà di informazione attiva e passiva.
Per tutte queste ragioni io credo che lei, signor Presidente, debba riflettere e ripensare la sua decisione perché il provvedimento in discussione ha una natura la cui complessità, la cui delicatezza e la cui rilevanza politica non consentono di trattarlo alla stregua di altri provvedimenti di ordinaria amministrazione.
Vi sono poi delle ragioni, lo ripeto, sostanziali (cui ho fatto cenno) ed anche per questo le chiedo di ripensare la sua decisione, non foss'altro per non comprimere la discussione in Assemblea. Prendo atto della sua decisione di concedere qualche possibilità di ampliamento dei tempi assegnati ai gruppi parlamentari, ma non si tratta, se me lo consente e se non lo ritiene offensivo, di dipendere da una sua gestione discrezionale dei tempi subordinata all'assenza di ostruzionismo. È un provvedimento troppo importante ed il Parlamento non può essere compresso nell'esercizio delle proprie prerogative di fronte ad un provvedimento di questa portata. Credo che ciò sia utile anche alla maggioranza; anche la maggioranza dovrebbe essere interessata ad un dibattito assolutamente libero da qualsiasi tipo di condizionamento di tempo, non foss'altro per dare un supporto di maggiore consistenza e legittimità ad un provvedimento che ne ha così poco.
Già il ministro Frattini ha evocato la possibilità, sia pure in termini negativi e non desiderati, che questo provvedimento sia approvato dalla sola maggioranza. È un provvedimento che riguarda la qualità della nostra democrazia e sarebbe grave se fosse approvato dalla sola maggioranza, non soltanto perché l'opposizione non può approvarlo nel merito, ma soprattutto perché è stata costretta e compressa nella possibilità di partecipare liberamente, seriamente e responsabilmente a questo dibattito (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, innanzitutto, desidero anch'io ringraziarla per quanto riguarda la prima parte della sua comunicazione nella quale ha risposto positivamente alle richieste ed alle sollecitazioni venute anche da esponenti del nostro gruppo in merito alla necessità di essere informati e di poter discutere, in questo ramo del Parlamento, sulla grave situazione in Medio Oriente e sulla necessità di giungere alla ripresa di un dialogo e di un confronto negoziale volti ad interrompere e risolvere, definitivamente, questa catena di tragedie, prima di tutto umane, che in quell'area avvengono ormai, ahimè, da tanto tempo. Credo si tratti soltanto di fissare, possibilmente nella Conferenza dei presidenti di gruppo già convocata per domani sera, tempi e modalità perché lo svolgimento, in questo ramo del Parlamento, di una comunicazione del Presidente del Consiglio su questo tema abbia luogo prima possibile.
Per quanto riguarda la seconda parte della comunicazione, relativa alle sollecitazioni, avanzate sia in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo sia, poco fa, in quest'aula, riferite al contingentamento dei tempi di esame del provvedimento sul conflitto di interessi, credo che le decisioni da lei comunicate non corrispondano, nella sostanza, a quanto il regolamento stabilisce.
Mi permetta, quindi, di svolgere, se pur brevemente, alcune considerazioni. Ritengo vi sia un elemento sostanziale di cui dobbiamo essere ben consapevoli: l'azione del legislatore ha un riflesso diretto nell'esercizio dei diritti. Lei stesso nella comunicazione affermava anche questo elemento: c'è un'incidenza diretta e poi c'è un'incidenza sulle condizioni per l'esercizio di determinati diritti. È ovvio che, rispetto all'articolo 21 della Costituzione, questo provvedimento non interferisce, in maniera diretta, in termini di diritti: non è un provvedimento liberticida nel senso
che non comprime il diritto di qualsiasi soggetto di esprimere liberamente le proprie opinioni attraverso i mezzi di diffusione.
Nella sostanza siamo però di fronte alla regolamentazione di un conflitto che, nel campo della diffusione del pensiero, può incidere, può alterare le condizioni attraverso le quali si sostanzia un diritto come quello sancito dall'articolo 21 della Costituzione. Credo che ciò sia innegabile e penso vi sia quindi la necessità di recuperare, in questa logica, il problema che lei prima così ha definito, dicendo che non è possibile perché non ricorrono quelle condizioni.
Anche per questo motivo - oltre alle questioni di evidente incidenza attinenti ai vincoli e alle incompatibilità che la legge potrà stabilire circa la composizione del Governo e degli altri organi costituzionali - ritengo di insistere nella nostra richiesta, affinché lei riveda la decisione sul contingentamento dei tempi per le fasi successive alla discussione sulle linee generali.
Vi è poi un problema che appartiene esclusivamente alle prerogative del suo ruolo istituzionale ed alla sua discrezionalità, cioè la rispondenza del provvedimento a quanto è previsto dal comma 12 dell'articolo 24 del regolamento. Mi riferisco all'eccezionale rilevanza politica, sociale ed economica di un disegno o progetto di legge. Lei ha fatto riferimento ad altri provvedimenti che, nella passata legislatura, sono stati oggetto di determinazione in tal senso da parte dell'allora Presidente; ebbene, credo che questo possa costituire solo un punto di riferimento parziale: penso, infatti, che tali valutazioni debbano essere compiute non ricorrendo ai precedenti ma considerando quello che è oggi l'oggetto della discussione.
Mi domando - con tutto il rispetto per la sua figura - come si faccia a definire di non eccezionale rilevanza un provvedimento come questo, relativo al conflitto di interessi. Esso attiene sicuramente a questioni relative alla libertà ed al pluralismo nel campo dell'informazione, ma non solo in questo. Il regolamento, tra l'altro, non interviene esclusivamente in queste materie, ma interviene in termini più ampi sulla regola relativa all'interesse generale, il quale deve essere sempre garantito rispetto ai possibili effetti di decisioni nel campo delle attività economiche e quant'altro.
Ci troviamo quindi di fronte ad una questione di carattere più generale - non generico, bensì più generale - rispetto allo stesso ambito dell'informazione. Proprio per questo, per la sua vastità, per l'incidenza profonda nella composizione degli interessi in questo paese, il tema del conflitto di interessi è di eccezionale rilevanza politica e sociale.
Quindi, anche in base a questa considerazione, il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo non condivide ciò che lei ha detto e chiede, pertanto, che da parte sua vi sia ancora la possibilità di esaminare la nostra richiesta di non contingentare i tempi.
FRANCESCO GIORDANO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, anche noi apprezziamo la prontezza con la quale ha dato seguito alle richieste che da più parti erano venute circa la necessità di una informativa sulla situazione in Medio Oriente e, in particolar modo, sulla drammatica condizione in cui oggi versa la Palestina. Su ciò trova, quindi, il nostro consenso, con grande sincerità.
Non vi è invece il nostro consenso, in modo netto, sul contingentamento dei tempi. Come lei sa, signor Presidente, eravamo l'unico gruppo contrario alla calendarizzazione per la giornata odierna del presente disegno di legge, in quanto riteniamo tale provvedimento una misura che, per ragioni di merito e per ragioni di eccezionale gravità attinenti all'interesse democratico, avrebbe richiesto la costruzione di alcune precondizioni, senza le quali non può avviarsi una discussione di questo tipo.
Non ci troviamo in queste condizioni. Pertanto, il nostro era un giudizio molto netto e radicale su questo terreno. Adesso, ci associamo alle parole del presidente Castagnetti e dell'onorevole Innocenti perché, onestamente, il contingentamento dei tempi ci pare del tutto spropositato rispetto all'eccezionalità democratica di questo tema.
Signor Presidente, lei eredita un regolamento che le attribuisce piena facoltà di intervenire al riguardo: non è in discussione la legittimità, come è ovvio. Quel regolamento lei lo eredita, mentre noi lo abbiamo contestato ieri, quando su quello scranno sedeva una personalità di altro orientamento politico, e lo contestiamo oggi, perché di fronte ad una discussione di questo tipo ci sembra oggettivo poterlo fare liberamente.
Vorrei sollevare anche un problema che va al di là della questione del conflitto di interessi. Signor Presidente, la verità è che si sta determinando anche per questa via - attraverso il contingentamento dei tempi e l'uso frequente di leggi delega e di decreti-legge - un'alterazione dei rapporti tra esecutivo e Parlamento: si tratta di un problema di primaria importanza democratica. In questa maniera lei, ereditando un regolamento restrittivo, sta accentuando questa divaricazione.
ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, per la verità, non ritenevo neanche opportuno intervenire sul secondo tema oggetto della sua comunicazione (poi dirò alcune cose anche in merito al primo tema), perché la sua comunicazione - del resto già resa in due precedenti sedute della Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera - sull'applicazione della norma del nostro regolamento che prevede il contingentamento dei tempi mi sembrava ovvia dal punto di vista regolamentare.
Mi sorprendono, però, le dichiarazioni di alcuni autorevoli colleghi, che conoscono bene le prassi parlamentare ed i nostri regolamenti.
La ringrazio, perché lei nella sua comunicazione ha fatto riferimento all'unico criterio - e mi rivolgo all'onorevole Innocenti - che può reggere nell'applicazione del regolamento, in questo come in altri casi. Si è in presenza di una valutazione attenta e rigorosa, svolta dal Presidente, delle norme oggetto dei provvedimenti in discussione.
La disposizione concernente il contingentamento dei tempi è una norma generale, finalizzata a regolare il funzionamento della Camera e a garantire l'attuazione del programma e del calendario dei lavori, in omaggio a un principio riconosciuto dal Parlamento quando ha approvato quel regolamento: quello della stabilità dell'azione di Governo e dell'azione legislativa. Si tratta di un principio che il Parlamento deve al paese, perché se non vi fosse la certezza del calendario attraverso il contingentamento dei tempi, si garantirebbe il disordine dell'attività legislativa.
Il Presidente ha svolto un'attenta valutazione di quei soli 8 articoli oggetto del disegno di legge che, in nessun modo, neanche lontanamente, rientrano nelle previsioni del regolamento. Non vi è un'influenza diretta sulle attività, sulle funzioni, sulla composizione e sulla struttura del Governo; non vi è, in alcun modo, attinenza con le materie della prima parte della Costituzione o con i diritti e le libertà.
Nella scorsa legislatura ed anche in questa, vi sono, invece, numerosissimi precedenti in cui, sulle materie rispetto alle quali interviene il disegno di legge (le incompatibilità o le authority), il Parlamento ha sempre legiferato con regime ordinario di contingentamento dei tempi.
Richiamare adesso condizioni di opportunità politica, precondizioni generali esterne, pregiudizi dell'opposizione o della maggioranza per l'applicazione di norme regolamentari offende la qualità del nostro lavoro, la valutazione delle norme regolamentari e l'applicazione che il Presidente ne deve dare.
Dirò anche che, da un punto di vista politico, è singolare che l'opposizione giudichi troppo tenui, deboli ed insufficienti le norme previste dal disegno di legge e poi, per quelle stesse norme, pretenda un riconoscimento di eccezionale rilevanza politica.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. È la materia!
ELIO VITO. Voi stessi riconoscete che quelle adottate dal Governo rientrano in una serie di soluzioni tecniche e legislative che, in base alle vostre stesse dichiarazioni, confortano il parere del Presidente. Credo che, però, rendere ciò oggetto di discussione, dato che pregiudizialmente l'opposizione si schiera contro e la maggioranza a favore delle decisione del Presidente, non faccia onore al modo con il quale la Presidenza sta cercando di gestire anche una materia delicata come questa dal punto di vista politico.
Non sarà sfuggito a nessuno che il Presidente non poteva non contingentare il provvedimento, ma ha applicato - credo giustamente - un contingentamento tale da essere inferiore soltanto a quello relativo alla legge finanziaria che ha avuto una o due ore in più. Il collega Boccia ricorderà che su tale legge siamo stati impegnati per due settimane, dato che si trattava di 70 articoli. Credo che ciò debba essere valutato dall'opposizione: il Presidente non poteva non contingentare e ha contingentato dando tempi che mai erano stati dati per un disegno di legge di soli otto articoli su una materia limitata e specifica. Nel momento in cui conferma la sua decisione vi dà anche l'annuncio di un eventuale ulteriore ampliamento dei tempi, fatte salve le condizioni di rispetto del calendario dei lavori consentendo, quindi, di aggiungere sedute supplementari.
Credo che per un ruolo politico di opposizione contestare una decisione del Presidente in questi termini sia abbastanza ingeneroso. Dunque, signor Presidente, mi pareva davvero superfluo intervenire per dirle che la sua decisione ci pare perfettamente rispondente al regolamento, alla prassi instauratasi ed al modo con il quale lei sta cercando con equilibrio di condurre un'Assemblea difficile in un momento politicamente delicato.
Per quanto riguarda la prima parte della sua comunicazione, la ringraziamo per aver tempestivamente preso contatti con il Governo e il Presidente del Consiglio per testimoniare un'esigenza valutata unanimemente da tutti i gruppi parlamentari rispetto alla drammatica situazione in Medio Oriente. Credo, signor Presidente, che mi sarà anche consentito ringraziare il Presidente del Consiglio per la rinnovata disponibilità che ha dato a lei ed alle Camere a tenere prontamente informato il Parlamento di tutti gli sviluppi che ci saranno su questa situazione. È la stessa disponibilità che il Governo e lo stesso Presidente del Consiglio hanno già dimostrato in altre occasioni di dibattiti e comunicazioni parlamentari.
MARCO BOATO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, la comunicazione da lei fatta poco fa riguarda due argomenti. Come sul primo di questi vi è stata l'unanimità - espressa qui in aula dal presidente Castagnetti ma confermata in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo da tutti i gruppi opposizione e di maggioranza - nel sollecitarla ad assumere un'iniziativa rispetto al Governo, così, mi pare di capire, vi è l'unanimità dei consensi da parte di opposizione e di maggioranza nel darle atto della tempestività con cui ha corrisposto alla richiesta. Diamo anche atto della disponibilità del Governo ad affrontare in Parlamento l'urgenza drammatica della situazione in Medio Oriente nel quadro delle responsabilità che non solo il Governo italiano, ma soprattutto l'Unione europea devono assumere.
Lei ha fatto riferimento anche alla missione, appena iniziata, di «mister PESC» Solana in Medio Oriente, in Palestina
e in Israele a questo riguardo. La situazione sta drammaticamente precipitando: la decisione, assunta ieri dal Governo israeliano presieduto da Sharon di continuare a mantenere questa sorta di confino di Arafat è assolutamente al di fuori da qualunque canone di legalità internazionale ed è grave ed allarmante per quanto può comportare. Ad esempio, ha comportato un'immediata interruzione dei rapporti israeliano-palestinesi in materia di sicurezza. Comunque, su questo mi fermo perché consenso da parte nostra, tempestività da parte sua e disponibilità del Governo confermano un quadro di convergenza - anche nei momenti di più alta conflittualità politica nel nostro paese - del Parlamento italiano sulle questioni del Medio Oriente che avevamo già verificato alla fine dell'esame parlamentare della legge finanziaria, pochi giorni prima di Natale. Anche io, dunque, rinnovo il mio ringraziamento a lei per il suo operato.
Mi permetto, invece, di esprimere il mio dissenso sulla seconda parte delle sue comunicazioni all'Assemblea. Mi pare che il collega Vito abbia ricordato male cosa è avvenuto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. Non è vero che già in due riunioni della Conferenza dei presidenti di gruppo lei avesse manifestato questo suo intendimento.
Nella penultima riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo lei aveva sollecitato a prendere una posizione al riguardo - ovviamente, che venisse incontro alle richieste dei gruppi dell'opposizione di non contingentare - e si era riservato di riflettere. Nell'ultima Conferenza dei presidenti di gruppo lei ha sciolto la sua riserva, confermando l'intenzione di contingentare i tempi, sia pur manifestando una disponibilità al loro congruo allargamento.
Ora, qui in Assemblea, in modo molto più dettagliato ed articolato, lei ha confermato quanto ci aveva preannunciato, ma sa che durante la Conferenza dei presidenti di gruppo prima e, poco fa in aula, i colleghi Castagnetti e Innocenti hanno contestato l'applicazione che è stata fatta del regolamento e - con altre motivazioni, dato che contesta anche il regolamento - anche il collega Giordano, comunque, si è associato al rilievo avanzato dai presidenti di gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo.
Signor Presidente, non potrei - e non lo faccio anche per rispetto, prima di tutto, nei suoi confronti - che ripetere le argomentazioni espresse poco fa dai colleghi Castagnetti ed Innocenti: le faccio mie, le condivido e mi permetto semplicemente di rileggere, l'ultimo periodo del comma 12 dell'articolo 24 del nostro regolamento, che lei ha richiamato.
Quindi, non contesto il regolamento ma mi richiamo allo stesso perché lei, che ha convocato per domani sera alle ore 19 la Conferenza dei presidenti di gruppo, abbia uno spazio di tempo - se intende farlo - per riflettere ulteriormente sulla nostra richiesta.
L'ultimo periodo del comma 12 dell'articolo 24 del regolamento reca: «Il Presidente della Camera dispone che la disciplina di cui al presente comma» (il non contingentamento) «si applichi, qualora ne sia fatta richiesta da parte di un Gruppo parlamentare,» (nel nostro caso sono almeno quattro i gruppi parlamentari che ne fanno richiesta) «per i progetti di legge riguardanti questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica riferite ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione»
Noi le chiediamo, non di disapplicare il regolamento, ma di applicare l'ultimo periodo del comma 12 dell'articolo 24 dello stesso. Vorrei dire, con rispetto al collega Elio Vito, che mi pare un incredibile sofisma affermare che, siccome contestiamo la scarsissima portata, rispetto alla risoluzione del conflitto di interessi, del disegno di legge del Governo al nostro esame, esso, quindi, non è di grande rilevanza. No, l'eccezionale rilevanza è quella della materia che abbiamo al nostro esame e sussiste anche un'eccezionale rilevanza del fatto che tale materia è, in modo eccezionalmente inadeguato, affrontata dal disegno di legge del Governo.
Tutto ciò costituisce il dibattito nel merito che stiamo svolgendo nel corso della discussione sulle linee generali e che continueremo durante l'esame della questione pregiudiziale e nel dibattito sugli emendamenti, ma mi pare che sia difficile dubitare che la materia sia di eccezionale rilevanza politica, sociale, economica, riferita ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione.
Dico: difficile da dubitare (dal nostro punto di vista è indubitabile), perché stiamo chiedendo a lei, signor Presidente, che ha opinato e che, finora, ha deciso diversamente, di riflettere ulteriormente sul fatto che con molto garbo e con molto rispetto - quindi, non abbiamo in alcun modo teso a delegittimare la sua funzione - ci stiamo richiamando alla sua funzione di supremo regolatore dei nostri lavori perché, da qui sino alla Conferenza dei presidenti di gruppo di domani alle ore 19, possa ulteriormente riflettere sulla possibilità di applicare quest'ultimo periodo del comma 12 dell'articolo 24 del regolamento e si possa farlo, anche compatibilmente, con un andamento dei nostri lavori che porti al massimo dispiegamento del confronto politico e parlamentare su questo argomento.
Inoltre, bisogna considerare che siamo al nono mese di questa legislatura e che, all'esame del nostro lavoro parlamentare (esame che lei ha fatto in ripetute circostanze, anche quando ha rivolto gli auguri di Natale ai giornalisti e ha fatto un bilancio dell'attività di questo Parlamento) tutte queste accuse ai comunisti - ho sentito poco fa Luciano Dussin fare accuse ripetute ai comunisti di sobillare, sovvertire e bloccare i lavori di questo Parlamento - sono totalmente prive di fondamento.
Quindi, cerchi di contemperare la responsabilità dell'opposizione nell'affrontare le materie di grande rilevanza in questo Parlamento - con, ovviamente, il diritto del Governo di vedere esaminati dal Parlamento i propri provvedimenti, anche quando l'opposizione dissente radicalmente - ma applicando, se possibile (noi lo riteniamo possibile e doveroso), l'ultimo periodo del comma 12, che, senza violare il regolamento, anzi applicandolo pienamente, le concede la possibilità di decidere nel senso da noi richiesto.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, com'è consuetudine in questi casi, ho dato la parola ad un oratore per gruppo, in quanto mi sembrava assolutamente necessario farlo.
Per quanto concerne la prima questione, non devo aggiungere altro; infatti - come già avvenuto prima di Natale con l'approvazione, quasi all'unanimità, di una mozione sulla situazione in Medio Oriente -, mi pare vi sia una totale assonanza politica sulla necessità di attribuire all'Italia un ruolo forte nel contesto delle iniziative europee sul Medio Oriente.
Per quanto riguarda la seconda questione, sapete che sono sempre attento - lo faccio oggi per il ruolo istituzionale che ricopro ma, prima di tutto, lo faccio per abitudine personale - alle ragioni di chi dissente e, soprattutto, di chi non la pensa come il sottoscritto. Tuttavia, in questo caso, sono assai convinto della decisione che ho assunto e vi ringrazio anche per l'invito ad un'ulteriore meditazione. Ma, poiché tra i compiti del Presidente della Camera vi è l'assunzione delle proprie responsabilità, in questo caso, non ho assolutamente bisogno di una riflessione ulteriore, in quanto la riflessione ho già avuto modo di svolgerla in queste settimane, quando questo provvedimento è stato al centro dell'attenzione del Parlamento.
Dunque, vi sono due aspetti da considerare. Vi è la posizione di chi, come l'onorevole Giordano, dissente non solo sul merito dell'applicazione del regolamento, ma anche sul regolamento stesso. Tale posizione è politicamente assai legittima ma, come Presidente della Camera, non mi riguarda, in quanto sono tenuto all'applicazione del regolamento esistente e non di quello che qualcuno vorrebbe ci fosse.
FRANCESCO GIORDANO. Ma non è obbligatorio!
PRESIDENTE. Il secondo aspetto riguarda la critica, che accetto e che è stata svolta, tra l'altro, con garbo e costruttività dagli onorevoli Castagnetti, Innocenti, Boato, sul merito dell'applicazione del regolamento. A tale proposito voglio far notare all'onorevole Boato che ho citato espressamente - e potranno verificarlo dal resoconto stenografico del mio intervento - il contenuto di una seduta dell'Assemblea del 3 marzo del 1999 che, in ordine all'ultima argomentazione sollevata dall'onorevole Boato, appare chiarissima e che mi impone - se intendo applicare il regolamento - di adottare la decisione che ho assunto.
Esistono, poi, altre due questioni. In primo luogo, il Presidente non vuole essere colui che applica il regolamento senza un minimo di discrezionalità rispetto alla rilevanza politica che prefigura un dibattito piuttosto che un altro. Ho detto - e l'ho specificato in questa seduta - che consentirò ai gruppi che avranno esaurito il loro tempo, nel caso in cui la discussione - come è avvenuto oggi - sia serena e costruttiva, un supplemento di tempo. Infatti, non è interesse del Presidente della Camera coartare la discussione e limitarla in tempi angusti come quelli previsti dal regolamento. È giusto attribuire a tutti la possibilità di esprimersi, se si ritiene - come è - rilevante questo dibattito, oltre i tempi previsti dal contingentamento.
In secondo luogo, vi è la questione sollevata dall'onorevole Castagnetti e alla quale intendo fornire una risposta chiara. Per quanto riguarda il voto segreto sugli emendamenti - l'onorevole Castagnetti ha affermato che vi saranno emendamenti sui quali la Presidenza dovrà consentire la votazione segreta -, non escludo affatto la possibilità di concedere tale tipo di votazione su proposte emendative, secondo quanto previsto dal regolamento.
Le mie dichiarazione di oggi si riferiscono all'attuale contenuto di questo provvedimento. Se poi, nel merito, vi saranno emendamenti che obbligheranno il Presidente all'applicazione del voto segreto, non avrò difficoltà - come mi assumo la responsabilità a prevedere il contingentamento - ad assumermi la responsabilità di concedere la votazione segreta.
D'altra parte, ho dimostrato di essere del tutto indifferente a critiche che, alternativamente, mi possono essere rivolte. Tuttavia, è chiaro che su tale provvedimento - così come, oggi, viene esaminato dal Parlamento - non vi è il voto segreto.
Applico il regolamento nel dire che non c'è il voto segreto; per quanto riguarda gli emendamenti, vedremo. Naturalmente, credo che dovrò assumermi la responsabilità - anche in questo caso - dell'applicazione del regolamento che ritengo più opportuna.
Riprendiamo la discussione sulle linee generali del provvedimento.
È iscritto a parlare l'onorevole Caldarola. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CALDAROLA. Signor Presidente, colleghi, anche questa parte del dibattito rivela come siamo di fronte ad una discussione importante per il nostro paese. Io sono convinto, come ha già detto il collega Bressa, che questi siano giorni di svolta nella legislatura. Alcuni hanno parlato di Aventino. Ho trovato abbastanza di cattivo gusto che l'abbia fatto l'onorevole Fini, il cui album di famiglia sconsiglierebbe simili espressioni. Considero errato parlarne comunque, perché noi stiamo discutendo: io mi auguro che l'Ulivo decida nei prossimi giorni analogamente a come ha deciso in Commissione. Se questa è la legge, la legge sarà votata dal centrodestra: credo che il posto dell'opposizione sia, in questo caso, fuori dell'aula. Altra cosa è l'Aventino che fu un atteggiamento strategico, probabilmente sbagliato, e che riguardò l'atteggiamento generale dell'opposizione.
Badate: noi siamo in una fase molto delicata, in una fase di svolta, in una fase in cui vediamo in campo il tentativo, da un lato, di dare un colpo al movimento sindacale e, dall'altro, di chiudere il capitolo del conflitto di interesse negandolo in radice. Questa fase coincide anche con l'approvazione recente, oltre che delle cosiddette «leggi vergogna», delle norme
sullo spoils system nello Stato e con la conquista della RAI, su cui dirò alcune cose.
Un'opposizione che non sappia tenere alto il livello dello scontro si consegna ad una nuova, lunga prospettiva di sconfitta. Stiamo, infatti, parlando di libertà, di libertà in senso alto: libertà come pluralismo, libertà come crescita del sistema paese, libertà come idea di uno Stato non piegato al dominio del temporaneo vincitore elettorale. I critici del centrosinistra nelle numerose recenti manifestazioni ci rivolgono, soprattutto in queste ore, l'accusa - giusta - di non aver risolto negli anni passati la questione del conflitto di interesse. Penso che abbiano ragione: è stato un errore, ma forse è stata anche una scelta. Dico forse perché non c'ero.
Vorrei, tuttavia, attirare l'attenzione su un dato di analisi. Il «berlusconismo» è un fenomeno di lungo periodo, ben incardinato in aree importanti della società italiana ed è capace di dirigere e di farsi dirigere da una vasta opinione pubblica; il «berlusconismo» è fondamentalmente il venire a galla dell'Italia di destra, che la Democrazia cristiana aveva governato, evocato e tenuto a freno per decenni. Il «berlusconismo» nasce, invece, dentro un'azienda leader della comunicazione, la cui emersione e il cui diritto di cittadinanza la sinistra, per troppo tempo, ha colpevolmente impedito; da qui derivano gli ambigui rapporti politici dei capi di questa azienda e l'atteggiamento corsaro e border-line che l'hanno resa oggetto di tante inchieste. Si sono comportati come i fabbricanti di alcol prima della chiusura del protezionismo: oscuri rapporti trascinati nella fase della legalità. Ma il «berlusconismo» è anche la rivolta della destra e della sua gente, dei moderati di destra, dopo la caduta nel 1992 del sistema dei partiti: è una cultura, un'idea della società, dello Stato e del protagonismo degli individui che si fa movimento di opinione e, quindi, blocco elettorale. È rivolta fiscale; idea minima ed utilitaristica della legalità; bisogno di Stato forte nella tutela di gruppi forti, debole nel progetto sociale e spietato verso chi non ce la fa e, soprattutto, verso i nuovi cittadini che vengono dagli altri paesi. Si tratta di una rivolta e di una cultura che crescono in una situazione di benessere, peraltro assicurata dai governi del centrosinistra. Si tratta di una rivolta guidata da un leader ricco e spregiudicato. Se penso a Berlusconi, mi sembra di leggere i consigli di Quinto Tullio Cicerone al fratello Marco, prima delle elezioni per il consolato, nell'anno 61 avanti Cristo. Diceva Tullio a Marco: procura che l'attuale campagna sia piena di magnificenza; che sia sfarzosa, splendida, popolare; che abbia il massimo di appariscenza e anche che emerga, a carico dei tuoi rivali, un sospetto d'infamia.
Come non vedere la traduzione di questi suggerimenti, per esempio, nella sfortunata missione di Berlusconi a Gallipoli, lo scorso anno? Questo mondo berlusconiano, che non ritengo antidemocratico in sé, ha costanti tentazioni di rompere gli argini democratici.
Il compito dei migliori di voi, amici del centrodestra, è di essere saggi e guardinghi; il nostro compito è di impedirvi di rompere questi argini, combattendovi a viso aperto, in modo leale. Una severa legislazione sul conflitto di interessi negli anni di Governo del centrosinistra avrebbe avuto come esito la rottura di questi argini democratici. È un conflitto che avrebbero dovuto affrontare i partiti dell'Ulivo e non il Governo, questo è anche bene ricordarlo. Perché io temo che in quel momento ci sarebbe stata una rottura degli argini democratici? Ricordiamo tutti i quotidiani proclami di Berlusconi: erano un costante invito alla guerra civile. Una eco di questo linguaggio l'ho ascoltata oggi in quell'incredibile intervento del collega della Lega nord Padania, che ha espresso qui, fondamentalmente, una straordinaria autocritica, che io consegnerei agli elettori della Lega: è stata «berlusconizzata» anche la Lega nord Padania! Ma è affar suo.
Ora, la domanda legittima, che i critici del nostro mondo ci fanno, è di considerare un errore non spingere la battaglia fino a quel punto. Discutiamo, ma a partire da qui. Noi dobbiamo sapere che Berlusconi e il berlusconismo sono il contrario
della Democrazia cristiana (di cui siamo stati critici) e del movimento politico dei cattolici. Quest'ultimo ha lavorato per unire il paese. Aldo Moro è stato catturato e barbaramente ucciso nel momento in cui, in piena guerra fredda, lanciò con Berlinguer la più importante battaglia per la riconciliazione nazionale. Berlusconi, a fine guerra fredda, quando il mondo tentava una via di pacificazione - peraltro, non riuscita e non trovata -, ha diviso gli italiani. Ha introdotto, per tutela della sua azienda, ma anche, successivamente, per ambizioni politiche legittime, nelle famiglie italiane quelle divisioni e quel clima di odio che si stavano ricomponendo.
GIUSEPPE CALDAROLA. Ora governate voi perché avete vinto le elezioni. Ma dovete governare e non conquistare il potere e dovete restare dentro gli argini democratici! La vostra proposta sul conflitto di interessi non esiste: letteralmente, non esiste. La combatteremo e se perderemo l'approverete da soli, io credo. State commettendo un grave errore, state sopravvalutando le nostre divisioni: esse ci sono e sono gravi. Tuttavia, noi metteremo tutta la fatica delle formiche per ricomporle, con questi leader o con altri, ma per ricomporle. È questo che ci chiede il nostro mondo, che ci sta dando, in forme anche discutibili - come dirò dopo -, la più grande spinta ad unire le forze che nel 1996 hanno vinto le elezioni.
Voi state anche sopravvalutando l'oblio della pubblica opinione, anche di quella che fa riferimento al vostro mondo. Voi governate in una stagione di benessere creato anche dal lavoro del Governo di centrosinistra. Dividete, per lo più a vantaggio del vostro blocco elettorale, le risorse che noi e il paese abbiamo accumulato con immensi sacrifici, mentre voi facevate quella sorta di Aventino e quel boicottaggio costante della legislatura. Non sarà sempre così. Io temo che il paese non avrà sempre davanti a sé un grande benessere. Anche la vostra gente ha solo accantonato la questione del conflitto di interessi: quando le cose vi andranno male lo sfarzo elettorale sarà un ricordo e quella cambiale scadrà. Voi, con questa legge, rendete i cittadini ancora più disuguali: ci sono cittadini per i quali valgono limiti, conflitti di interessi, regole di incompatibilità, ma ce n'è uno solo che invece può fare quello vuole. Gode (parlo di Berlusconi) di concessioni dello Stato, di controllo dell'intero sistema radiotelevisivo, in posizione totalitaria sul mercato della pubblicità.
Quest'ultimo è un punto delicato perché incrocia la libertà del sistema informativo, la libertà degli operatori e la libertà delle imprese. Tutti sanno che il sistema TV drena la maggior parte del mercato pubblicitario per cui nuove imprese non possono e non potranno nascere e la stessa carta stampata dovrà fare i conti con questo controllo politico e totalitario della pubblicità. Ecco le prime tracce di un regime che mi fa paura!
Voi vantate il pluralismo delle reti Mediaset. Io so che lì ci sono professionisti liberi e bravi, che quelle TV hanno anche dato programmi graffianti e d'avanguardia: difendo la loro libertà, anche di quelli che pensano il contrario di quello che penso io. Tuttavia, il pluralismo non è una concessione, ma un sistema di regole. Un editore illuminato, attento al pubblico, può anche essere liberale, ma un editore che aggiunge al suo potere anche quello politico intacca della libertà il nucleo forte, cioè il sistema di garanzie che consenta ai produttori di idee di lavorare liberamente. La minaccia alle libertà non è solo il divieto, è anche la dissuasione, l'uniformità, l'abbassamento di qualità e, a questo punto, vengo alle nomine RAI; il sistema dell'informazione è, nei paesi avanzati, il punto di massima innovazione. La pluralità di soggetti, cioè la concorrenza fra imprese e produttori di idee, è la condizione della libertà. La perdita di valore del sistema dell'informazione è dovuta alla cogestione RAI-Mediaset - cioè dell'impresa privata e di quella pubblica - che
impedisce a nuovi soggetti di entrare, colpisce la libertà degli autori, abbassa la competitività italiana nel mondo dell'informazione. Il vecchio, deprecato pluralismo RAI era insufficiente, ma aprì porte e finestre anche alla Lega, ad Alleanza nazionale e, soprattutto, intervenne in una fase in cui non era così cruciale il tema della sopravvivenza di un sistema di informazione italiano in grado di stare nel mondo.
Questo consiglio di amministrazione è lottizzato e tecnicamente inadeguato. Mi fanno sorridere i nuovi consiglieri di amministrazione quando raccontano i programmi che vorrebbero vedere: chi sogna Govi, chi non vuole Santoro, e ancora non ho sentito parlare nessuno riguardo alla nostalgia di mago Zurlì. Ma non è affar loro: un consigliere della FIAT non si occupa della Punto, ma di strategie nazionali ed internazionali per rafforzare la presenza FIAT in Italia e nel mondo. Se il loro compito sarà cogestire con Mediaset un brusco abbassamento di livello del sistema radiotelevisivo, sarà misera cosa litigare su direzioni di telegiornali o su capiredattori di area, di questa o quell'altra. È per questo che mi oppongo a queste nomine. Riconosco al Presidente Casini di aver tentato di spezzare l'assedio, ma non vi è riuscito. Questo consiglio gestirà, rischia di gestire la morte della RAI, un vero disastro anche nella prospettiva della privatizzazione. Riflettano i consiglieri di amministrazione che si riferiscono dal punto di vista elettorale, come cittadini, ad un'area della quale faccio parte anch'io.
Oggi noi avviamo la parte finale dell'iter della legge sul conflitto di interessi. Credo che voi abbiate scelto il modo peggiore di presentarvi al paese. Se questa legge verrà approvata - ve lo dico con franchezza io che discuto amichevolmente e fraternamente con i colleghi del centrodestra e con chi non pensa che ci troviamo di fronte ad una situazione di emergenza democratica -, la legge che ci ha presentato il ministro Frattini, la frontiera fra legalità e illegalità sarà più fragile.
Voi state destrutturando lo Stato di diritto, state aprendo gravi conflitti sociali, state prefigurando lacerazioni istituzionali, portate benzina al fuoco. Infine, state sottovalutando l'opposizione; in queste ore sono in atto iniziative che rivelano la vitalità della gente dell'Ulivo. Molte cose che si dicono e molte parole d'ordine io non le condivido; molti neoleader dicono cose di sinistra ma hanno biografie di destra o aziendali. Anch'io sento il dovere di difendere l'indipendenza della magistratura e mi batterò contro ogni tentativo di insediarla, ma mi batterò anche contro il giustizialismo. La sinistra occidentale, la sinistra nella quale mi riconosco è libertaria, umanitaria, guarda al futuro, non ha mai inneggiato alle manette, semmai si è battuta per svuotare le carceri, non per riempirle, bensì per svuotare le carceri. In questo caso, penso ad una tragedia che si sta svolgendo da un decennio in questo paese, quella che riguarda Adriano Sofri. Ma tali movimenti, che pure hanno questo limite, hanno in testa, tuttavia, la volontà di esprimere una nuova domanda di democrazia, anche rivolta ai leader dell'Ulivo. Ci chiedono soprattutto di essere uniti, di combattere con forza le scelte del Governo di centrodestra.
Sono contrario alle autocritiche verbali, preferisco le autocritiche per acta. Noi costruiremo pazientemente una nuova alleanza di centrosinistra, che sappia ascoltare e far partecipare alle scelte tutto il nostro mondo, ma vogliamo parlare anche alla vostra gente. La nostra opposizione, d'ora in poi, sarà più severa. Questa è la vostra legge, è la legge di Silvio Berlusconi: lo diremo capillarmente a tutti gli italiani, a tutta l'opinione pubblica straniera, altro che Aventino!
Quello che accadrà d'ora in poi, è questa la responsabilità che vi siete presi; è questa anche la responsabilità che si è presa un giurista ed un intellettuale raffinato come il ministro Frattini. Quello che accadrà d'ora in poi sorprenderà l'Italia e sorprenderà anche voi; voi non volete il confronto e questa Camera diverrà il luogo di uno scontro politico durissimo.
Ve lo dico con le parole di un uomo che avete amato molto, Ronald Reagan. Sono 5 parole: non avete ancora visto niente
(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Merlo. Ne ha facoltà.
GIORGIO MERLO. Signor Presidente, il gruppo della Margherita - come ricordato precedentemente dal collega Fioroni - crede che il dibattito parlamentare sul conflitto di interessi non sia un confronto su un semplice provvedimento. Riteniamo, senza ideologizzare questo confronto, che rappresenti un discrimine politico tra chi cerca, ricerca, coltiva una concezione democratica dello Stato di diritto e chi rischia - lo dico con molta sincerità al ministro Frattini - di gettare le basi di una concezione autoritaria e plebiscitaria dello Stato democratico.
Avevo sempre compreso (ricopro la carica di deputato per la seconda volta) sommessamente e con molta timidezza il rischio che si nascondeva dietro il conflitto di interessi. Dopo aver ascoltato l'inaudita virulenza della Lega nord, dell'onorevole Bossi soprattutto in questa sede, abbiamo capito anche noi quale era il pericolo mortale dell'intreccio tra attività privata e attività pubblica, denuncia che - come tutti ben sappiamo - si è arenata alla fine del 1999, prima dell'accordo con l'attuale Premier Berlusconi.
Non voglio caricare ideologicamente il confronto che si è aperto nelle settimane scorse tra maggioranza e opposizione, lo ripeto; voglio però evidenziare che, con questa proposta del Governo, entrano veramente in gioco i capisaldi del nostro ordinamento democratico. Non si tratta cioè di demonizzare qualunquisticamente l'avversario o di alterare le regole del nostro sistema; al centro di questo dibattito resta la possibilità di salvaguardare quel pluralismo che, come il Presidente Ciampi e tutti gli osservatori politici di qualunque orientamento culturale ci hanno ricordato in queste settimane, resta la regola aurea di ogni democrazia.
Credo che l'argomento sia tra i più antichi: non ce lo ricorda soltanto la cultura cattolico-democratica, ma anche quella della Costituente.
Da quando si è cominciato ad attribuire alla comunità politica lo scopo del bene comune, si è anche posto il problema di mettere coloro che governano in grado di separare l'interesse pubblico da quello privato. Una commistione tra i due - ricordava don Giuseppe Dossetti - nuoce allo Stato e può, persino, mandarlo in rovina.
Cinquant'anni fa, quando la democrazia ha maturato i suoi principi e le sue forme, questa separazione non ha avuto più soltanto una connotazione morale, riguardante la rettitudine del governante, ma un preciso fondamento politico. I regimi democratici possono prosperare solo e soltanto se i diversi poteri dello Stato sono tra loro separati e se si distinguono nettamente anche dai centri di potere che la società civile sviluppa attraverso le attività dei cittadini, il potere economico, informativo, educativo e via seguitando.
Lo dico anche per ricordare che vi è una specificità nel nostro paese, come da molti oggi ricordato in aula: il Governo ha di fatto un forte potere di condizionamento sulla televisione pubblica. Se al Governo si insedia il proprietario dell'altro maggiore blocco televisivo, come si è insediato, vengono meno, di fatto - ministro Frattini - le condizioni del pluralismo informativo.
Questa situazione non può e non deve essere accettata dalla coscienza democratica, non perché il Presidente Berlusconi sia in malafede - non lo crediamo - ma semplicemente perché lo vieta la democrazia. Nessun paese europeo l'ha accettata!
Sarebbe un'ipocrisia, a mio avviso, fermarsi a questo punto, senza guardare anche al motivo per cui le televisioni dell'attuale Presidente del Consiglio siano tre e siano grandi.
La loro dimensione ha, prima di tutto, ragioni aziendali: non si può stare sul mercato e fare concorrenza alla RAI, per giunta sostenuta dal canone, con un'azienda di dimensioni inferiori. Se Mediaset è così com'è, lo è a causa della RAI.
È vero che la democrazia non può accettare un potenziale monopolio televisivo; tuttavia, non può accettare nemmeno un duopolio che di fatto impedisce l'emergere di altre televisioni a livello nazionale che non si occupino soltanto di canzonette o di televendite. Un solo proprietario non può possedere tre televisioni, neppure se è lo Stato.
Ci troviamo pertanto oggi con queste sei reti, parlando sul fronte televisivo, che trasmettono le stesse cose, che non si sono specializzate e che non si fanno una concorrenza sulla qualità; in tal modo, le esigenze dei telespettatori vengono mantenute artificialmente basse e milioni di persone guardano trasmissioni che verrebbero scartate se l'offerta fosse diversa. Se lo Stato decidesse di mantenere una presenza pubblica nel settore televisivo, per garantire un servizio orientato al bene comune e per offrire prodotti di qualità che il mercato attualmente non riesce a pagare, potrebbe farlo attraverso una sola rete. Molte forze politiche sostengono questa tesi, sia di maggioranza sia di opposizione: è un dovere politico favorire il pluralismo informativo, moltiplicando la proprietà delle altre reti.
Su questo problema - io credo - abbiamo il compito di andare al di là dell'appartenenza di partito, per prenderlo sul serio come un problema reale concernente un bene comune. È in gioco infatti la libertà di informazione senza la quale la democrazia non vive. Ecco perché in questa sede non sono in discussione, come diceva propagandisticamente nella sua conclusione, né l'espropriazione né la vendita forzata: si tratta di un'incompatibilità assoluta, all'origine e alla radice, che implica anche l'ineleggibilità, come prevede la precedente legge del 1957, a norma della Costituzione. Il diritto e la ragione non lasciano spazio ad alcun compromesso.
Di incostituzionale del resto, in questo caso, vi è soltanto il fatto che l'impero mediatico del Presidente del Consiglio costituisce e continua a costituire una concentrazione televisiva contraria al pluralismo e alla libera concorrenza. Una concentrazione realizzata a metà degli anni ottanta, attraverso l'occupazione, secondo alcuni selvaggia, dell'etere, con la complicità dei governi di allora - prima attraverso il cosiddetto decreto Berlusconi del 1985 e successivamente attraverso la controversa e cosiddetta legge Mammì del 1990 - e tanto da essere sanzionata, come ricordava l'onorevole Bressa, già nel dicembre del 1994 da parte della Corte costituzionale con una sentenza nella quale si stabiliva che nel nostro sistema televisivo nessun soggetto privato può controllare più di due reti TV. Qui entrano in gioco realmente i rischi cui andiamo incontro se venisse approvata alla Camera la riforma Frattini: l'Italia è una democrazia, come sostengono molti, in bilico, insidiata strutturalmente e costitutivamente dall'eccesso e dall'abuso del potere. Perché questo? Perché il regime berlusconiano sta violando di fatto, e addirittura violerà, al riparo del diritto della legge Frattini, alcuni principi fondamentali dello Stato di diritto, cui lei, signor ministro, deve dare in questa sede una risposta, soprattutto a partire dalla giornata di domani nel corso dell'esame degli emendamenti.
Si tratta di cinque grandi principi: in primo luogo, il controllato non può essere il controllore; in secondo luogo, gli interessi privati non possono essere tutelati da atti d'ufficio; il terzo principio è quello secondo cui i media che formano l'opinione pubblica devono essere adeguatamente pluralistici; il quarto è quello in base al quale il mercato non deve essere dominato dalla collusione tra politica e affari e, infine, vi è il principio secondo cui ogni potere deve essere limitato da altri poteri, ovvero da contropoteri. Lo ricordava lei, signor ministro: cinque principi fondamentali per mantenere e salvaguardare lo Stato democratico.
Il suo progetto tuttavia mette in discussione questi elementari principi dello Stato democratico. Esso, ivi includendo tutte le sue consentite varianti, si limita a proporre una autorità ad hoc incaricata di vigilare sulla eventualità di provvedimenti legislativi viziati da conflitti di interessi. La nuova cosiddetta autorità di garanzia - lo
ricordava il professor Sartori recentemente - rischia di configurarsi come un cane da guardia senza denti che può soltanto abbaiare. Infatti, l'autorità non ha nemmeno poteri sospensivi sui provvedimenti sospetti e, tanto meno, può comminare sanzioni; se un vizio viene accertato, lo ricordava anche l'onorevole Bressa, o comunque sospettato, l'autorità può soltanto segnalarlo ai Presidenti delle Camere che, a loro volta, trasmettono la segnalazione al Parlamento.
Una considerazione di contorno è che attraverso quest'autorità ci si limita ad un raggio ispettivo troppo esteso e, quindi, troppo diluito: essendo tenuta ad indagare su tutti gli atti del Governo ed altri ancora, l'ispezione diventa elefantiaca e, come tutti sappiamo, sufficientemente vasta per essere credibile.
Credo vi siano tre grandi obiezioni - e concludo - a cui lei, signor ministro, deve dare una risposta, su cui lei ci deve dare una risposta. Insomma, l'autorità che Berlusconi consente deve aspettare, per aprire gli occhi, che si verifichi un'azione; e quando c'è l'inazione? Nell'esercizio del potere i comportamenti omissivi, il non fare, sono spesso più determinanti e più frequenti del fare. Questa è la prima grande obiezione.
In secondo luogo, il potere interessato del Presidente del Consiglio è ormai largamente fondato su rendite di posizione e, preminentemente, su Publitalia. Mettiamo che, nei prossimi mesi o nei prossimi anni, la RAI-TV venga privatizzata: il Presidente del Consiglio disseccherebbe le entrate dei suoi nuovi concorrenti privati senza nemmeno dover fiatare - visto che nessun erogatore di pubblicità sarebbe tanto irresponsabile da indispettire chi detiene le chiavi del potere e, quindi, una potenziale elargizione di favori o punizioni -, trasferendo ad altri i soldi che prima dava a Publitalia. Che si fa sotto questo profilo?
Terza ed ultima obiezione: gli atti importanti di Governo sono in genere atti legislativi, atti che assumono forma di legge e le leggi, si sa molto bene, sono per definizione regole generali: non si applicano mai ad una sola persona, ma ad intere categorie o a classi di persone. Pertanto, come potrà l'autorità dimostrare che una legge generale asseconda soprattutto un interesse particolare? Per quanto riguarda gli intralci e le rogatorie internazionali non sarà possibile, perché esse sono giustificate da principi generali del garantismo e non dall'interesse privato dei singoli cittadini.
PRESIDENTE. Onorevole Merlo, la prego di concludere.
GIORGIO MERLO. Signor ministro, vi sono obiezioni ed elementi sui quali è necessario avere una risposta chiara, e non soltanto demagogica o propagandistica, per far sì che questo dibattito sia proficuo e non velato dalla demagogia (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Merlo.
È iscritto a parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, la completezza ed anche l'eleganza culturale con cui il ministro Frattini ha illustrato il provvedimento e contemporaneamente la durezza dei toni che ho sentito in quest'aula - francamente reputo la conclusione dell'intervento dell'onorevole Caldarola caratterizzata da toni minacciosi e vorrei comprenderne le implicazioni (invito tutti i colleghi a leggersi il resoconto stenografico di quelle conclusioni, che considero gravissime, una sfida al Parlamento, una sfida alla maggioranza) mi spingono ad esprimere alcune osservazioni marginali al tema.
Una sorta di complesso di inferiorità culturale ha spinto questa parte del centrodestra del Parlamento a dimenticare che, paradossalmente, prima di Forza Italia, definito «partito azienda», nella vita politica del nostro paese c'è stato un grande partito azienda: il partito comunista italiano, un partito che ha incorporato interessi molto rilevanti - la lega delle cooperative, l'Unipol, per certi aspetti anche
il Monte dei Paschi di Siena - che ha difeso e tutelato in modo molto organico e coerente nel corso di tanti anni: basta pensare al regime fiscale straordinario che è stato assicurato alla Lega delle cooperative; basta pensare alla quota che è stata assicurata costantemente, in tutti i consorzi d'impresa, anche in quelli in cui stavano i Costanzo e i Graci, e così via: circa un 20-30 per cento era assicurato alla Lega delle cooperative. Per fare un altro esempio, basta pensare che uno dei santuari non colpito da Tangentopoli è stato l'Italstat, che era il punto di intersezione e di mediazione fra le grandi imprese private di costruzioni, le grandi imprese pubbliche e le aziende della Lega delle cooperative. Se vogliamo parlare, dunque, di conflitti di interessi, di opacità e di assenza di trasparenza, non possiamo non fare i conti anche con ciò che sta alle nostre spalle, in un passato molto significativo. Nessuno, dunque, può venire in quest'aula a dare lezioni di eticità e di trasparenza, perché paradossalmente è più trasparente la situazione attuale di quella degli anni passati. Tuttavia, poco fa, ho sentito l'onorevole Caldarola dichiarare che la ragione per la quale non è stata approvata una legge sul conflitto d'interessi è stata determinata, in un certo senso, dall'esigenza di rispetto, per non provocare addirittura una crisi democratica che sarebbe stata provocata, in quel caso, dall'onorevole Berlusconi se fosse stata approvata una legge di questo tipo nella scorsa legislatura.
Sono costretto a contraddirlo, non con le mie parole - che evidentemente in questo caso sarebbero di parte - ma con quelle dell'onorevole Rutelli il quale ha dichiarato: «si pensava che non risolvere il conflitto di interesse permettesse di confrontarsi con un avversario azzoppato. Questa idea si è rivelata politicamente e culturalmente miope ed elettoralmente perdente». Rispetto alle tensioni emerse anche in quest'aula - ma specialmente rispetto alle tensioni molto preoccupanti che emergono nel paese, sulle quali tornerò successivamente -, verrebbe da dire «chi è causa del suo mal pianga se stesso». Comunque, dietro la mancata approvazione di un provvedimento sul conflitto di interessi nella scorsa legislatura, emerge sostanzialmente un gioco tatticistico della sinistra, del centrosinistra, volto a criminalizzare, a fini elettorali, il Polo, La Casa delle libertà e Berlusconi. Così è accaduto un fatto paradossale: dopo aver concentrato tutto il fuoco sul conflitto di interessi durante la campagna elettorale del 2001 - che ha avuto altri aspetti di manipolazione sui quali tornerò successivamente -, Berlusconi ha vinto le elezioni, insieme agli altri partiti della Casa delle libertà, avendo anche quest'handicap, quello del conflitto d'interessi che è passato, paradossalmente, per un vostro calcolo sbagliato, anche attraverso il confronto elettorale.
Allora, trovandovi in una situazione di grande difficoltà politica, estremizzate tutto il ragionamento. In effetti, non avete dato una risposta convincente alla relazione introduttiva svolta dal ministro Frattini che si fonda su una riflessione politica e culturale che attiene, in primo luogo, alla Costituzione repubblicana e ad una serie di articoli presenti nella Costituzione repubblicana, che vanno dal 51 al 41, 42 e 43.
Ma la riflessione di Frattini su questo punto, con il riferimento al dettato della Costituzione repubblicana che inibisce l'espropriazione e la vendita «forzosa», presente nell'articolo 7 della vostra proposta di legge, come abbiamo accertato nel corso delle audizioni davanti alla Commissione affari costituzionali, è condivisa da molti professori di diritto costituzionale che nulla hanno a che fare con quest'area politica.
Il tipo di vincolo proposto - me ne rendo conto - è poco sopportabile per chi punta alla demonizzazione dell'avversario, ma deriva da un tessuto legislativo che assicura e garantisce - esso sì! - una situazione di equilibrio e, nel contempo, salvaguarda un principio che deve connotare una società moderna: il censo non può costituire elemento discriminante in alcuna direzione (quindi, né nei confronti di chi è un lavoratore dipendente né nei confronti di chi svolge un'attività imprenditoriale).
Vi è chi, con maggiore coraggio e coerenza, debbo ammetterlo - mi riferisco ai colleghi di Rifondazione comunista ed alla proposta di legge presentata dall'onorevole Mascia - parla in modo esplicito, sostanzialmente, di esproprio e punta ad una soluzione di continuità. In effetti, voi pervenite allo stesso risultato, perché l'articolo 7 della vostra proposta, com'è stato spiegato in quest'aula, consiste in un'operazione che, gradualmente, però, può produrre lo stesso risultato attraverso la vendita «forzosa». L'alternativa è il blind trust. Ma tutti, da una parte e dall'altra, con opposte motivazioni, hanno detto che il blind trust è impraticabile rispetto ad un'azienda ma si applica alla gestione di un patrimonio immobiliare e mobiliare. D'altro canto, ci è stato spiegato dai costituzionalisti che l'operazione della vendita forzosa è incostituzionale perché si risolve in una svendita.
Nell'assolvere un compito obiettivamente difficile - e dovremmo darci reciprocamente atto che abbiamo a che fare con problemi e difficoltà rilevanti e significativi dal punto di vista concettuale - il Governo ha scelto un percorso che ha tenuto conto anche delle proposte e delle critiche avanzate da una parte del mondo culturale. Il ministro Frattini riconoscerà che il disegno di legge sul quale oggi ci stiamo misurando non è più il suo disegno di legge originario, ma un testo che ha ponderato critiche e proposte, tra cui quelle avanzate dal professor Caianiello (certo, non le abbiamo recepite integralmente, ma abbiamo attentamente valutato la riflessione sull'intrusione costituzionale presente nel suo parere).
Partiamo dall'antitrust e su questa innestiamo un intervento che, considerati i ricordati condizionamenti, deve agire a valle anziché a monte, perché l'intervento a monte è inibito dalla lettera e dal testo della Costituzione.
Voglio aggiungere che nella recente fase di confronto culturale - non alludo a quella attuale, di durissimo scontro politico, dai toni e dalle caratteristiche molto inquietanti - abbiamo discusso anche dei modelli culturali.
Vorrei dire allora ai colleghi del centrosinistra che bisogna avere una logica ed una coerenza nella proposizione di modelli culturali. Infatti, voi siete assolutamente italiani per quello che riguarda il modello della magistratura, specialmente per quanto riguarda il pubblico ministero, siete europei sul mandato di cattura, che esalta una parte di voi perché evoca manette ed altri interventi che, evidentemente, fanno parte del bagaglio culturale di una parte di voi, ma dimenticate che in Europa, a monte del mandato di cattura, esiste un assetto della magistratura totalmente diverso da quello italiano che voi difendete. Infatti, in quasi tutti i paesi europei esiste uno sdoppiamento delle carriere, con una differenza profonda tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante, mentre il rapporto tra magistratura inquirente ed esecutivo - formula che noi non condividiamo -, da voi indicato come pericolo gravissimo, esiste in molti paesi europei.
Per quello che riguarda il conflitto di interessi, invece, avete scoperto l'America. Però, a proposito dell'America, non avete tenuto conto - lo ha ricordato il ministro Frattini - di alcune cose. Non il ministro Frattini, ma il professor Mannoni ha spiegato - sta nelle carte della Commissione affari costituzionali - che quello americano è un sistema alternativo al sistema di Governo parlamentare vigente in Europa; «la Costituzione americana è un unicum, tant'è vero che non è stata esportata da nessun'altra parte. In blocco il modello non può assolutamente essere trasferito in regimi di democrazia rappresentativa parlamentare perché qui siamo nell'ambito di una logica diversa, quella dei pesi e dei contrappesi. Le due logiche non sono pertanto compatibili. In Italia il Parlamento non ha il potere di approvare o disapprovare le nomine dei ministri né quelle degli ambasciatori né quelle dei prefetti; per questo non può fare - per così dire - le pulci sulle biografie individuali di questi personaggi, né può esercitare un potere di veto. In Italia, come negli altri paesi europei, c'è il rapporto di fiducia, c'è la responsabilità politica che svolge questa
funzione. Nessuna legge federale - è sempre Mannoni che parla - pone come regola generale l'obbligo di alienazione dei beni a carico di titolari di funzione pubblica. Nessuna legge federale autorizza alcun organo ad imporre al Presidente, al Vicepresidente o ad altri funzionari governativi di grado elevato, contro la loro volontà, misure come l'alienazione o il blind trust». Poi, Mannoni, successivamente, spiega le ragioni di opportunità che spingono le singole personalità a misurare il loro rapporto rispetto all'approvazione o meno delle authority che individualmente li giudicano. Quindi, la via americana al conflitto di interessi che voi avete scoperto all'improvviso è impraticabile.
Voglio anche aggiungere un'altra cosa che riguarda la situazione sostanziale di questo paese. Anche questo è stato evocato con grande forza dall'onorevole Caldarola.
Guardiamoci intorno, in primo luogo vediamo che Berlusconi ha vinto le elezioni nel 1994 e le ha perse nel 1996, quindi c'è una dialettica che riguarda anche, diciamo così, chi ha la proprietà dei mezzi di comunicazione di massa. Se analizziamo la sostanza della situazione dei mezzi di comunicazione di massa in questo paese, vediamo che larga parte della stampa è sulle vostre posizioni e che, per quanto riguarda la stessa Mediaset, essa è caratterizzata da un pluralismo reale. Certamente il TG4 è nettamente schierato con Berlusconi ma sfido chiunque a dimostrare che l'ammiraglia di quella struttura televisiva, e cioè il TG5 e Canale 5, stanno sulle posizioni del centrodestra; mi sembra che ospitino, molto bene, le posizioni del centrosinistra anche in momenti ed in fasi cruciali.
Ma veniamo alla RAI. Io capisco la vostra preoccupazione. Temete che noi facciamo nella RAI quello che avete fatto voi. Voi avete paura che noi vi imitiamo, avete paura che Baldassarre imiti Zaccaria che è stato un campione in faziosità, che ha espropriato di un'azienda pubblica per un'operazione al limite dell'eversione: in campagna elettorale avete utilizzato la RAI come strumento di attacco frontale nei confronti di Berlusconi e della Casa della libertà: altro che par condicio. Questa è stata un'operazione autoritaria e di regime! Voi temete che noi facciamo la stessa cosa ma noi non ne abbiamo alcuna intenzione, né abbiamo alcuna intenzione di imitare Zaccaria. Fra il professor Zaccaria che, insieme a Di Pietro, ha tenuto un comizio al Palavobis e il professor Zaccaria presidente della RAI non c'è alcuna differenza, c'è un'assoluta continuità. Non mi ha sorpreso ciò che ha fatto oggi perché ho visto quello che ha fatto mentre gestiva la RAI. Da questo punto di vista, dunque, non siete legittimati a dare lezioni perché le lezioni che avete dato sono state pessime anche per quanto riguarda la gestione di una struttura così delicata come la RAI.
Ma la situazione non è solo in questi termini: emergono dati ancora più preoccupanti. Mi ha preoccupato moltissimo il tono di una persona solitamente moderata qual è l'onorevole Caldarola che ha lanciato un ammonimento di sapore oscuro al Parlamento ed alla maggioranza si profilano anche iniziative grottesche come il girotondo di Franceschini intorno al Parlamento, annunciato da un'agenzia di stampa. Vorrei ricordarvi che quando Forza Italia organizzò, non un girotondo intorno al Parlamento, ma una manifestazione in questa piazza, voi parlaste di squadrismo.
Ma c'è di peggio, c'è la manifestazione del Palavobis e c'è quello che sta fermentando nel corpo di una parte della sinistra (la manifestazione del Palavobis è stata una manifestazione di odio, con aspetti eversivi); c'è l'invito alla magistratura a riprendere l'uso politico della giustizia (non a caso quella manifestazione è stata, giustamente, guidata da Di Pietro). C'è un'inquietante combinazione fra toni di estrema destra e toni di una sinistra giustizialista che esiste solo nel nostro paese (perché la tradizione delle forze socialdemocratiche in Europa è una tradizione di garantismo e non di giustizialismo). La realtà è che una parte di quella che voi chiamate la «nostra gente» non accetta il risultato elettorale, lo mette in discussione, mette in discussione la legittimità
del Parlamento e la legittimità del Presidente del Consiglio e spera, combinando assieme le contestazioni dei no-global, gli scioperi generali ed un rinnovato uso politico della giustizia, di dare al sistema quelle spallate che possano mandare all'aria un risultato elettorale.
Negli altri anni avete usato la capacità politica di trasformismo di Massimo D'Alema. Massimo D'Alema è stato capace di smontare la maggioranza parlamentare di Berlusconi nel 1994, è stato capace di costruire un Governo successivamente all'esecutivo Prodi. Ritenete, però, che egli abbia esaurito il suo compito e quindi, oggi, tendete ad emarginarlo, mentre cavalcate le spallate dei no-global e quelle del sindacato più massimalista. Il senso della rievocazione dei dieci anni di Mani pulite non è una rievocazione accademica, bensì un invito ai magistrati a riprendere il combattimento, a riprendere l'uso politico della giustizia.
Non avete alcuna lezione da impartire al centrodestra per quanto attiene un disegno di legge sul conflitto di interessi, come ha dimostrato l'onorevole Frattini: lo ha dimostrato sia oggi senza contraddittorio, sia qualche giorno fa in contraddittorio con l'onorevole Rutelli, che ha balbettato malgrado si trovasse in un campo amico quale quello rappresentato dalla trasmissione televisiva Sciuscià.
Ebbene, abbiamo presentato un disegno di legge «morbido», con caratteristiche che tengono conto dei vincoli del sistema. Voi, invece, non state facendo un confronto sul merito, bensì state drammatizzando questo tema. La cosa più grave è che evocate pericolosi fantasmi autoritari : lo avete fatto in quest'aula, e li state evocando con ancora più forza nel paese. Vorrei ricordare allora a tutti che l'Italia è un paese che ha avuto una storia difficile, che ha conosciuto una guerra civile negli anni quaranta, che ha vissuto un terrorismo di destra e di sinistra negli anni settanta. Credo che tutti, allora, debbano sapere che in questo paese le parole, a volte, sono pietre.
Mi auguro che vi fermiate in tempo, per cui sia possibile riprendere il terreno di un civile confronto parlamentare, su questo come su altri temi. Mentre sottolineiamo con la dovuta forza i pericoli che ci sono davanti, allo stesso tempo manifestiamo la nostra disponibilità a tornare ad un confronto civile e normale, quale è auspicato dal Presidente della Repubblica, quale è tenuto presente dai Presidenti della Camera e del Senato, quale vogliamo che sia: un confronto civile, dialettico, una risposta nel merito alla relazione che qui ha svolto il ministro Frattini. Questa è la strada per affrontare in modo equilibrato e pacato un tema che certamente presenta mille difficoltà sul terreno politico e su quello tecnico come quello del conflitto di interessi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC (CCD-CDU) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini, cui ricordo che ha a disposizione 19 minuti. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il conflitto di interessi cui ci troviamo di fronte costituisce un'enormità. Ai tempi di Montesquieu si sottolineava, e si sottolinea giustamente ancora, la necessità di distinguere, in uno Stato di diritto, tra potere esecutivo, potere legislativo e potere giudiziario. Ma i poteri veri del mondo moderno sono il potere politico, il potere economico ed il potere mass-mediatico: ebbene, tutti e tre questi poteri oggi, in Italia, sono concentrati nelle mani di un solo uomo.
Per questo l'Italia è guardata con sospetto in Europa, dalla sinistra, come è ovvio, ma anche dalla destra, perché l'Italia è stata una grande esportatrice di malattie politiche: il fascismo è nato in Italia ed è stato esportato in tutto il mondo, il giustizialismo è nato in Italia attraverso la prevaricazione della magistratura sulla politica ed è anch'esso stato esportato, ancorché sia in Europa oggi frenato e sconfitto. Anche il «berlusconismo», ovvero il predominio del denaro sulla politica, può essere un genere di esportazione: tanti Berlusconi si possono trovare in molti paesi europei.
Il conflitto di interessi, dunque, è un'enormità e non può essere risolto così come propone il Governo. È un'offesa all'intelligenza degli italiani far credere che chi controlla un'azienda non sia il proprietario bensì il gestore e immaginare che in Mediaset Confalonieri pesi più di Berlusconi. Per questo motivo la situazione della RAI è così avvelenata. Il Governo che ha appena nominato il consiglio di amministrazione e, attraverso di esso, si accinge a nominare i direttori delle testate dei telegiornali, non è un Governo che parte da zero; parte dal controllo del 50 per cento del sistema televisivo, di grandi case editrici e di gran parte del mercato pubblicitario. Per questo motivo l'Ulivo farebbe bene a lasciare il consiglio di amministrazione, in cui i suoi due rappresentanti rischierebbero di fare soltanto da copertura per una situazione inaccettabile.
Un tempo si polemizzava contro la lottizzazione della RAI: temo che si finirà per rimpiangerla, perché qualcuno potrebbe osservare che, in verità, quella lottizzazione significava pluralismo e che, in quei tempi, sono cresciuti i migliori professionisti oggi al vertice dell'azienda. Un tempo magari erano socialisti o democristiani, oggi sono alla guida della RAI e anche di Mediaset e sono, comunque, ottimi professionisti.
Il sistema della lottizzazione - che definirei, piuttosto, del pluralismo - era molto semplice: nel paese esistevano 3 aree culturali e politiche (quella cattolica-democristiana, quella laico-socialista e quella comunista) e a ciascuna di esse venivano attribuiti una rete ed un telegiornale della RAI.
Dubito che oggi la maggioranza sarà così generosa e pluralista; tuttavia, anche se lo fosse, ciò non basterebbe. Infatti, se all'area culturale dell'opposizione si attribuisse un terzo dei telegiornali e delle reti RAI, comunque nel complesso ciò sarebbe un sesto del sistema televisivo: davvero troppo poco per parlare di pluralismo.
Signor Presidente, il conflitto di interessi è un grave problema di libertà e di equilibrio politico e, tuttavia, è anche un problema che riguarda la libera concorrenza. Il Capo del Governo è, infatti, un imprenditore e un imprenditore persegue il profitto. Un imprenditore che controlla la metà di un mercato duopolistico non è disinteressato all'altra metà, ossia alla situazione del suo unico concorrente. Può desiderare che quest'ultimo si modernizzi e acquisti efficienza il meno possibile e, comunque, meno della sua azienda; può desiderare di avere un competitore più apparente che reale.
Si è compiuto un danno irreparabile, perché credo francamente poco che i giuristi riescano a risolvere i problemi pratici; tuttavia, questo problema può essere risolto in due modi radicali. Il primo è impossibile: che Berlusconi lasci la Presidenza del Consiglio. Il secondo è molto difficile ed è impossibile da imporre: che Berlusconi venda le sue reti. Vi è una terza strada: si potrebbe, in modo pragmatico e immediato, stabilire che la Commissione di vigilanza dei servizi radio televisivi abbia una supervisione non soltanto sul sistema pubblico, ma anche sul sistema privato e su Mediaset. Si potrebbe esplorare la possibilità che la RAI tenga una sola rete a presidio del servizio pubblico e venda le altre 2 a un privato davvero libero, autonomo e, pertanto, capace di essere un vero competitore con le reti Mediaset sul piano aziendale e su quello del pluralismo politico.
Tuttavia, in un dibattito parlamentare bisogna anche svolgere riflessioni costruttive, usare spirito critico e anche autocritico. Pertanto, anche l'opposizione deve riflettere sui propri comportamenti.
Abbiamo voluto un sistema elettorale maggioritario, ma, presi dalla fretta rivoluzionaria del momento, ci siamo dimenticati che la Costituzione era costruita per un sistema proporzionale. Non abbiamo, perciò, introdotto nella Costituzione i meccanismi di garanzia indispensabili per impedire che il vincitore nelle elezioni condotte con il sistema maggioritario si comporti con arroganza e schiacci la minoranza.
Il conflitto di interessi poteva essere risolto nella passata legislatura. Non lo
abbiamo fatto. Credo che sia stata una scelta saggia, perché saremmo stati puniti dagli elettori, ma non lo abbiamo fatto.
Temo che nella RAI del centrosinistra vi fosse più pluralismo di quello che vedremo tra poco. Tuttavia, quella RAI era, francamente, indifendibile, per la mancanza di servizio pubblico, per la stupidità e la faziosità di troppi programmi e anche per l'arroganza.
Sabato, a Milano, ne abbiamo avuto un segnale quasi simbolico: il presidente Zaccaria, che sino a ieri si manifestava garante neutrale, improvvisamente trasformato al Palavobis in arringatore di folle faziose. Qui sta il punto più importante di riflessione: dobbiamo fare un'opposizione credibile alla destra, dobbiamo difendere principi liberali e dello Stato di diritto contro una destra che spesso non li rispetta, ieri al G8 di Genova, nel comportamento verso la magistratura, verso i sindacati, oggi nell'occupazione del sistema televisivo.
Per difendere i principi liberali bisogna essere credibili. Quando il cittadino medio guarda manifestazioni come quelle del Palavobis vede giustizia di piazza, ex magistrati trasformati in capipopolo, alleanza tra estremismo veterocomunista ed estremismo qualunquista, invito alla politicizzazione della magistratura. Vede non lo sforzo di chiudere una guerra civile riconoscendo gli errori degli uni e quelli degli altri, bensì il tentativo di aprirne una nuova.
Manifestazioni come quella del Palavobis danno l'esatto contrario di un'immagine liberale dell'opposizione: preparano al centrosinistra non una, ma più legislature di sconfitte. Fortunatamente, chi applaude Dario Fo quando irride al Capo dello Stato non rappresenta la sinistra, né quella riformista né quella antagonista come Rifondazione comunista. Rappresenta una élite di vecchi professionisti dell'indignazione e Bertinotti ha fatto molto bene a prenderne le distanze, perché una sinistra estrema ma politica si allontana e si differenzia dalla antipolitica. Una sinistra sociale non vuole avere nulla a che fare con una sinistra penale. Da Bertinotti e da chi ragiona in questo modo si deve dissentire, ma si deve dialogare, si deve cercare un'alleanza elettorale. Con l'estremismo qualunquista del Palavobis no. Credo che la stragrande maggioranza della sinistra saprà dare risposte diverse da quelle che si sono ascoltate a Milano, risposte riformiste, e in questo senso è di conforto l'intervento dell'onorevole Caldarola. Credo anche che alla sinistra europea ed alla sua moderazione il Governo debba dare valide ragioni, appunto, di moderazione. Sinora il Governo non lo ha fatto, anzi, ha fatto esattamente il contrario.
Eppure, questo dobbiamo tutti noi, maggioranza e opposizione, all'Italia. Le dobbiamo una normale destra europea ed una normale sinistra europea, non una politica ridicola che si scontra nel peggiore stile sudamericano, che per metà grida «ladri» e per metà grida «comunisti» e «giustizialisti». Dobbiamo all'Italia ed al Capo dello Stato due schieramenti politici che non si delegittimino ma si legittimino a vicenda. In questo contesto sarà più facile anche risolvere i problemi del conflitto di interessi e della RAI perché per gli uomini dello spettacolo e per i giornalisti senza una lotta politica faziosa ed esasperata sarà più facile ricordare di essere prima di tutto dei professionisti, dei liberi ed autonomi professionisti.
Voglio concludere con un appello ai compagni DS: non lasciate che la sceneggiata di 40 mila persone cancelli il voto congressuale di centinaia di migliaia di militanti. Se Moretti incorona il leader dell'Ulivo in un professore di Firenze ciò è tragicomico, è una farsa della democrazia, è un golpe contro un partito democratico.
Vorrei anche fare un appello all'Ulivo. La sua leadership non può mediare, deve scegliere: o sceglie il riformismo europeo, la socialdemocrazia, il progetto Amato, oppure sceglie dipietrismo e morettismo, la sinistra delle manette e quella dei girotondi da campo giochi. Non si faccia finta di non capire: o il Palavobis o i riformisti, o loro o noi. Su questo l'Ulivo sta per spaccarsi.
Voglio esprimere solidarietà al consigliere regionale toscano del mio partito che ha digiunato per protesta contro l'estremismo giustizialista del Palavobis. Se non si farà chiarezza, i nostri militanti il 2 marzo preferiranno imitarlo piuttosto che seguire la manifestazione a Roma dell'Ulivo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e del deputato Gerardo Bianco).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, intervengo intanto per ringraziare la presidenza del mio gruppo che mi offre questa grande opportunità di esporre il mio punto di vista, perché la volta precedente espressi un voto per disciplina e verbalizzai la mia contrarietà alla legge sul conflitto di interessi all'esterno.
Tutto ciò fu sbagliato e, quindi, approfitto per ripetere che quella legge era sbagliata allora, non perché, ministro Frattini, fosse un atto di esproprio, ma perché faceva di una persona un cittadino straordinario al di fuori delle norme ordinarie: era l'esatto contrario.
In quella legge, si statuiva una extraterritorialità del sistema della comunicazione dalla legge sul conflitto d'interessi ma la proposta di oggi è peggio, perché decreta l'impunità - in particolare, nel rapporto con il sistema della comunicazione - ed è la diretta conseguenza di una linea estremistica scelta in altri settori.
Era un principio rischioso allora, ma lo è ancora oggi perché lede il principio di uguaglianza dei cittadini, ne altera lo statuto democratico ed è uno schiaffo in faccia al principio di eguaglianza.
Non è un problema del centrosinistra - lo ha detto bene Intini -, è un problema di tutti e lo è ancora di più per chi è il portatore del conflitto di interessi; oggi egli governa e usa il conflitto di interessi come una clava sulla testa degli altri: tutto ciò è sbagliato, non porterà da nessuna parte.
La negazione del problema, la sostanziale abrogazione dell'oggetto - e poi dirò i motivi -, l'unificazione preventiva degli interessi a cui segue la legge nel settore radiotelevisivo rappresentano un monumento alla cultura apocalittica: questo è un vero giacobinismo, se volete di una versione di destra che spesso, però, viene cancellato o dimenticato nella polemica (le manette possono essere anche metaforiche, per esempio, per chi invoca alcuni principi di trasparenza).
Il ministro Frattini sostiene che si tratta di una proposta di dialogo: signor ministro, lei sa che in più occasioni abbiamo collaborato positivamente e non ho capito dove sia la proposta del dialogo. Vedo una sublimazione in sede legislativa - mi perdoni, su questa vicenda starò molto più attento della Lega, dato che non ho mai usato né i cappi, né le manette né le parole usate dalla stessa contro l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri e, forse, l'onorevole Dussin le ha dimenticate - dell'antico motto «me ne frego, faccio come mi pare».
Nel disegno di legge al nostro esame passa l'idea che ciò che riguarda il capo non è mai normabile, vale per la giustizia come per la comunicazione, e si stabilisce una extraterritorialità in due settori chiave nella divisione dei poteri: polo unico della giustizia, polo unico della comunicazione, attenuazione del principio di controllo, fastidio per i controlli di ogni tipo.
Mi scusi, signor ministro, capisco gli appelli a temperare il linguaggio, ma quando vedo in televisione il sottosegretario di Stato Sgarbi affermare ciò che ha detto (lei era presente quella sera), annunciare una cultura delle liste di proscrizione, aggredire persone come Biagi e tanti altri, non comprendo perché a noi chiediate mitezza di linguaggio, ma verso l'altro si consenta ogni tipo di aggressione e di violenza senza che nessuno, quasi mai, si dissoci: tutto ciò non è un bello spettacolo, non invita al dialogo, ma si tratta di un modo sbagliato di aprirsi e di dialogare.
Sento usare come argomento che il consenso popolare ha dato via libera alle rogatorie, al falso in bilancio, alla tutela più intransigente del conflitto di interessi: ma è davvero così?
Non lo è né nel merito né nel metodo. Nel merito la divisione elettorale è stata molto più complicata di quella che rappresentiamo e, su questa materia, consiglierebbe a tutti prudenza e moderazione. Quando sento dire che il conflitto di interessi non è popolare, poi accade che appena si incomincia a parlare, sul Corriere della sera si scopre che il conflitto di interessi ritorna tra le prime materie di attenzione: dipende da come si pongono le questioni.
Per quanto riguarda il metodo, siamo in presenza di una autentica negazione alla radice delle ragioni della divisione dei poteri. Ciò che mi interessa è il conflitto di interessi applicato al tema della comunicazione. La risoluzione del conflitto di interessi - che può seguire o la strada indicata dal professor Sartori, perché il punto è la rottura del rapporto diretto tra la proprietà dei mezzi di comunicazione e la leadership politica, o l'attenuazione - è un elemento vitale, è scritto nel DNA delle democrazie occidentali e non deve neppure essere richiamato perché è consuetudine e stile di vita. Ha ragione il ministro Frattini quando afferma che basta la sanzione morale, ma dov'è tale sanzione morale quando spesso riteniamo superflua anche quella penale?
Questo aspetto è ancor più delicato se si affronta il tema della proprietà dei mezzi di comunicazione. È inutile far finta di non sapere che tanta parte della diffidenza europea, anche tra i conservatori, non affonda nel complotto ma in questa inedita miscela tra potere politico ed impero mediatico: signor ministro, provi a dirmi in quale paese delle democrazie occidentali si è realizzato un simile esempio, indichi il modello europeo di riferimento.
Questo è il motivo per cui sussiste una diffidenza altissima e, in primo luogo, nel mondo delle imprese, della borsa e della finanza europea, ancora prima che nella sinistra.
Allora, risparmiateci il vittimismo e le urla della vittima. I dati, le cifre, la pubblicità, le proprietà sono ad indicare la menzogna: come si fa a dire che Berlusconi è una sorta di baraccato, di sottoproletario della comunicazione quando era il proprietario di tre reti, della metà delle risorse pubblicitarie, che sono la vera chiave del sistema della comunicazione, dell'editoria libraria, di quella periodica, delle case editrici e, oggi, ha un controllo sostanziale del servizio pubblico.
Ma lasciamo perdere le banalità sulle reti Mediaset in mano comunista o la RAI bolscevica. Se noi dovessimo usare questo tipo di linguaggio, dovrei dire che, oggi, la RAI è in mano ai fascisti? Sarebbe un linguaggio stolto, irrispettoso nei confronti del presidente Baldassarre e dei nuovi consiglieri. Allora, perché il linguaggio lo si chiede ad alcuni mentre altri ritengono di poter pascolare liberamente sui terreni dell'aggressione a tutto campo?
Vedete, la televisione non si controlla attraverso i telegiornali, ma anche attraverso il controllo delle risorse, del palinsesto. Non conta solo un telegiornale, ma un insieme di segni e di suoni che formano la colonna sonora della società civile.
Ciò, signor ministro, crea senso comune e un clima positivo o negativo di fronte a grandi questioni: l'emarginazione, l'accoglienza, il lavoro. Attraverso la televisione posso far comparire o scomparire interi movimenti sociali o interi spicchi della società. Conta più un grande programma di varietà che una trasmissione giornalistica di punta. E non possiamo fare finta di non saperlo!
Si possono favorire atteggiamenti aperti o chiusi, si può essere cittadini o solo consumatori. Certo, la televisione non è onnipotente - non credo abbiate vinto per questo -, ma può ostacolare la conoscenza, ritardare la diffusione di nuove idee, cancellare, ad esempio, la cronaca nera o gli sbarchi clandestini e far scomparire interi movimenti dalla faccia della terra. La realtà si affermerà lo stesso, ma con più lentezza.
Del resto, come mai in nessun altro luogo al mondo sì è registrata questa sovrapposizione? Perché le normative pongono al centro il cittadino e non il proprietario? Perché ovunque si è creata una normativa sulla par condicio più rigorosa
della nostra e che precede il conflitto di interessi? In questa sede, sento dire di eliminare la par condicio e di emanare una legge ancora più debole, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario. Perché in America è in corso un dibattito sul ruolo delle televisioni e del denaro nella competizione elettorale? Come non vedere che vi è il rischio di una democrazia fondata sul censo, sul denaro e sulla proprietà delle televisioni, che espropria le forze popolari sia di destra sia di sinistra? Questo è un problema della democrazia liberale e non dei bolscevichi. I bolscevichi non fecero una legge sul conflitto di interessi, unificarono gli interessi eliminando gli avversari, assunsero la proprietà dei mezzi di comunicazione in modo integrale. Quindi, il paragone è sbagliato anche sul piano culturale.
Esiste, dunque, un nesso tra sistema della comunicazione, democrazia e libero esercizio del voto? Sì, esiste dovunque. In ogni luogo si tende ad eliminare e a limitare la potenza e la ricchezza come fattore dominante.
Signor ministro, a suo avviso, questo testo limita i fattori ricchezza e potenza? Regola il conflitto di interessi? Lo attenua? Dove e in che modo? In nessun modo per quanto riguarda il tema della comunicazione. Mi permetta: non contano solo i testi, conta anche il contesto in cui i testi nascono.
Tralascio le altre vicende, ma vi è un contesto, signor ministro - e vorrei da lei qualche dichiarazione in merito -, di fastidio per le diversità. Il gioco delle liste di prescrizione arrivò ad includere Indro Montanelli, Biagi, Santoro ed altri giornalisti meno noti, nonché comici, registi, autori, scrittori. Cosa c'entra questo contesto? Cos'è questo fastidio per chi manifesta una presenza critica diversa, per cui persino Bobbio, Sartori, Galante Garrone e Galli della Loggia diventano volti e nomi del comunismo internazionale? Le più timide riflessioni diventano inaudite manifestazioni di violenza in un rovesciamento della realtà brutale e menzognero. Come mai ciò si esercita prima con i Montanelli e poi con i Biagi? Contro le figure più moderate, proprio perché sono dei moderati, vale a dire persone che affermano con forza il tema della libertà e della legalità. Chi possiede un impero si finge vittima, si traveste da vittima dei poteri forti.
Signor ministro, questo testo nasce in tale contesto; ecco perché è difficile dialogare. Nasce sempre sul piano della comunicazione dopo la fine delle speranze di un terzo polo; nessuno parla più de LA7, è stata assassinata in culla, è scomparsa. È la speranza di una competizione che viene eliminata e che forse avrebbe dovuto far alzare la testa agli imprenditori italiani, molto forti sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e molto deboli sulla liberalizzazione del mercato e della radiotelevisione.
Questo testo nasce in un contesto di chiusura del mercato. Allora mi domando: per quale ragione non si è fatta precedere al testo sul conflitto di interessi una norma volta a liberalizzare il mercato radiotelevisivo? Perché non si sono abbattute le barriere di ingresso per nuovi editori mentre, oggi, si parla di consentire agli editori televisivi di comprare i giornali? Perché non abbiamo fatto precedere la liberalizzazione? Perché si è bloccato l'ingresso dei capitali privati in RAI, che avrebbe rappresentato una prima possibilità di privatizzazione? Perché si è bloccato qualcosa che avrebbe potuto costituire un cammino? Perché non si è discusso prima, in questa sede, un disegno coraggioso di riforma della RAI? Magari l'avrei contrastato, ma nel senso della libertà e della competizione, raccogliendo anche esempi evidenziati dai colleghi della Margherita e di altri settori.
Perché questo non si è fatto prima? Per quale ragione non avete accolto nella finanziaria le proposte per liberalizzare il mercato della pubblicità che venivano dalle imprese, non dai bolscevichi, ma dagli editori italiani? Ecco perché ho la sensazione che l'obiettivo fosse soltanto quello di creare il polo unico radiotelevisivo, prima, e di introdurre una sanzione successiva con questo disegno di legge, poi. Il contrasto è questo: è un contrasto su una norma che avviene in un contesto di
assoluta conservazione. E il testo proposto è la sanzione di questa scelta, di questa premessa. Non è un testo sul conflitto di interessi: è, semplicemente, l'abrogazione del problema, come ha detto lo stesso presidente D'Alema. Il testo non affronta, quindi, il punto chiave: il punto della proprietà, signor ministro. Lei sa meglio di me che persino l'autorità delle telecomunicazioni ha fatto presente che non è in grado di monitorare il sistema, che le sanzioni arrivano dopo, che le sanzioni arrivano in ritardo, che non c'è un'attività di intervento immediato rispetto alla lesione del principio di libertà.
Allora, ho la sensazione che noi dobbiamo, invece, ringraziare il presidente Baldassarre per la spregiudicatezza con la quale ha detto: ma quale TV di garanzia; io sono per una TV che non competa con l'avversario, per una TV che elimini le punte critiche, per una TV che non concorra; sono per ridurre ulteriormente la competizione. Un vero manifesto della conservazione. Spero che si corregga: quando parla di giornalisti del terzo mondo, non so a chi si riferisca. Spero non a Biagi che ormai è preso ad emblema. Ma il contesto porta a non capire quel che si dice. In questo testo il rapporto con la proprietà resta diretto, perché non c'è stata né liberalizzazione né riforma della RAI. Le proprietà tendono a sommarsi nel polo unico della pubblicità, non dei telegiornali: assistiamo al controllo integrale delle risorse che è la premessa del controllo integrale del sistema. In questo senso, ringrazio il presidente Baldassarre per avere eliminato ogni ipocrisia, per aver parlato di una RAI più asettica e, quindi, più debole.
Signor ministro, lo dico davvero con grande passione: ci dia una mano. Io stesso devo temperare il mio linguaggio; ma quando sento parlare il ministro Gasparri di un nuovo 25 aprile, so che anche lei non può esprimere, forse, liberamente il suo pensiero. È ora di finirla di ridere ad ogni facezia; non è possibile che alcuni abbiano il porto d'armi per dire qualunque cosa e la più timida risposta sia accusata di faziosità. Sono frasi sbagliate che danno una luce sinistra a questo testo. Dicono: è un testo che sanziona ciò che è stato fatto. Ecco perché occorrerebbero voci forti e chiare di dissenso, come talvolta succede al nostro interno. Ha ragione Intini: discutiamo, ma almeno discutiamo liberamente, anche dicendoci quando non siamo d'accordo. Sarebbe importante che nella Casa delle libertà si alzassero voci in questa direzione, in modo tempestivo e forte, di fronte a simili, pericolose, affermazioni. Comunque, staremo a vedere cosa si intendesse dire anche con questa frase.
Signor ministro, quanto è accaduto rende questo testo più pericoloso e più provocatorio; rende difficile entrare nel merito; rende difficile capire su cosa vi sia disponibilità al ragionamento e al dialogo. Non c'è il merito ma, soprattutto, è il contesto che diventa rischioso. Se prima era inutile, ora rischia di diventare una sanzione a posteriori. Cosa avrebbe fatto l'autorità in questi giorni, signor ministro? Quale sanzione morale avrebbe inflitto e a chi? Che tipo di sanzione avrebbe inflitto di fronte al rischio di un polo integrato? Cosa? Una cartolina spedita a chi? Quando sarebbe intervenuta? Dopo, in che contesto? Come? Io credo che la maggioranza tirerà dritto su questo tema, come ha fatto sulla giustizia: Berlusconi avrà mille difetti, ma su giustizia e comunicazione ha idee chiare e ritiene che su questo tema si debba marciare senza ascoltare niente e nessuno. Ce lo dice la sua storia su questa materia: è una storia fatta di - come vogliamo chiamarla? - una fortissima vocazione all'estremismo proprietario. Dice: su questo procedo e non intendo ascoltare ragioni. Penso che sia sbagliato non ascoltare queste riflessioni, non le mie, ma quelle generali che sono state poste. Credo che sia sbagliato dare l'impressione che un proprietario abbia in mano gli interruttori delle piazze tematiche; ciò è sbagliato anche per chi nel Polo crede in un futuro di libertà e di dissenso: l'interruttore non può essere mai in una sola mano. È un principio chiave.
Non credo che questo testo sia emendabile; non ho avvertito disponibilità ad
emendarlo in questa direzione; ho la sensazione che sia difficile. È un testo che dovrebbe essere respinto così com'è stato presentato, perché credo che possa essere pericoloso per tutti noi ed anche per tutti voi. Ecco perché penso che la nostra battaglia debba oggi parlare anche all'esterno, a quanti in forme nuove ed inedite si stanno organizzando sul tema della libertà della comunicazione e a quanti parteciperanno alla manifestazione del 2 marzo. Spero che ognuno di noi, anche Intini, partecipi, ciascuno come crederà, con sé stesso, con le sue parole d'ordine, rispettando gli altri. Credo che la risposta principale non verrà soltanto in aula; essa deve venire da tante cittadine e da tanti cittadini che sentono questo grande tema come proprio: non soltanto il conflitto di interesse, ma anche la giustizia sociale, il tema dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la libertà della contrattazione, la dignità delle donne e degli uomini che non possono vivere di sogni elettorali.
Ecco perché noi rivolgiamo loro l'invito di partecipare alla manifestazione del 2 marzo, perché questa sarà la vera risposta che noi possiamo dare. La rivolgiamo anche a chi non ci ha votato, a chi ha votato per l'altra parte, a chi si è astenuto, a chi non intende tuttavia accettare questo metodo e questo modo di procedere.
Ritengo che questa sia una battaglia moderata nel senso più alto, perché è tipico dei moderati insorgere contro ogni lesione del principio di libertà, contro ogni cultura della minaccia e della lista di proscrizione. Ecco perché io penso che su questo sia opportuno reagire con molta determinazione e con molta pacatezza, nel momento in cui si è vicini ad un limite di rottura, come con l'esperimento che stiamo per fare: è la prima volta al mondo che in una democrazia occidentale c'è una concentrazione di questa natura; questo paese diventa un laboratorio, una cavia; nessuno sa cosa accadrà. Credo che sarebbe sbagliato irritarsi e non ascoltare. Si tratta di qualcosa di nuovo, di inedito: non è un caso che in molte università, anche americane, si studi questo tipo di modello.
Ecco perché credo che su questo bisogna fermarsi e avere il coraggio di ritirare la proposta: noi lavoreremo nel Parlamento, in questi giorni, per discutere; vedremo cosa faremo al momento del voto. Lavoreremo nella società civile perché queste norme siano condannate da una coscienza vasta di donne e di uomini e perché siano cancellate mediante referendum, oppure - come io mi auguro - quando riusciremo a vincere in modo pulito, corretto e trasparente, annullando questa normativa e facendovi un grande favore, perché questa normativa sarà per voi un impedimento. Parimenti, questa norma potrebbe diventare reversibile in grandi paesi europei: altri potrebbero avere la tentazione di applicare queste norme per consolidare il proprio potere nel tempo. Caro ministro, dia una dimostrazione di forza e non di debolezza: ritiri questo testo. Ci stupisca, finga di ascoltare le voci che si stanno manifestando anche nel suo schieramento e lei lo sa. Io penso che è un segno di forza ritirare questo testo: la debolezza è mantenerlo, perché darebbe l'idea che dobbiate difenderlo così come è, perché questa è la strada tracciata. È un segno di debolezza.
Io credo che voi andrete avanti e approverete probabilmente questo disegno di legge. Forse qualcuno si illude di poter mantenere i sogni attraverso il controllo delle piazze telematiche, che prevalgono sulle piazze reali: è un errore; ha ragione chi l'ha detto prima di me. Contrapporre il controllo delle televisioni alle piazze che si organizzano porta a tensioni inedite. E io penso che bisogna invece stare attenti a mantenere i poteri divisi, a mantenere inalterate le regole fondamentali della democrazia. Veda, mi perdoni, ma quando sento il ministro Castelli dire le cose che ha detto - poi sulle varie iniziative ciascuno la può pensare come crede -, quando un ministro dice quello che ha detto Castelli, io penso che bisogna stare attenti, perché sarebbe troppo facile la battuta: dica Castelli quali erano i terroristi; dica quali erano le persone inquisite che lui ha visto; ci dica anche se lui, invece, frequenta altri inquisiti o altri
condannati in primo grado. Diventa un brutto dibattito! Ma non bisogna provocare nessuno su questi terreni, perché la caduta di stile e la provocazione chiama altre cadute, altre provocazioni e altre risposte ferme, perché non si può pensare che uno si slega le mani e gli altri piegano il capo dicendo: sì, grazie, prosegui. È un principio che non funziona ed è lo stesso principio che ispira questa legge.
Per questo, io le ho chiesto di pensare - davvero, seriamente - di ritirare questo testo, per una discussione diversa, per non arrivare sino in fondo ad un processo che io ritengo sbagliato e pericoloso per tutti noi, che non va alimentato in nessuno modo. Mi permetto di chiedere al Presidente Biondi - visto che se ne è parlato molto, che finalmente cambierà la gestione della RAI e che ci sarà un principio di libertà (finora non l'ho visto e le dichiarazioni non vanno in quella direzione) - una sola cosa. Il 2 marzo è indetta questa manifestazione dell'Ulivo a Roma, è la prima manifestazione delle opposizioni e avrà al centro una serie di temi per noi importanti. Ricordo che qualche mese fa intervenni per sostenere la necessità di fare una grande diretta televisiva per la prima manifestazione del Polo: era il momento delle grandi polemiche sulla guerra. Sostenni che era giusto che si raccontassero i grandi eventi, anche in polemica con alcuni dei miei colleghi (ma a me interessa poco e lei lo sa bene, signor ministro). Ora vi chiedo che vi sia lo stesso principio: chiedo che ci sia la diretta per la manifestazione del 2 marzo, che si racconti anche quest'altro pezzo d'Italia. Sono certo che voi per primi chiederete alla nuova presidenza della RAI di non far calare un grande cappuccio su questo evento annunciato per i prossimi giorni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, non ho poteri che esulino da quest'ambito al quale, del resto, dedico una buona parte della mia vita da parecchio tempo.
È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, è comprensibile che un argomento di tale gravità possa suscitare delle profonde tensioni e anche delle contrapposizioni che rischiano spesso di andare al di là delle righe.
Ma sono convinto che, argomenti di questo genere, così delicati, vadano affrontati con grande serenità, con profonda meditazione e, per usare un'espressione spesso ripetuta dagli storici, sine ira ac studio, senza risentimenti e senza amore. Naturalmente, mi chiedo se questo criterio sia stato seguito dal Governo. A conclusione del suo intervento il ministro Frattini ha detto che lo scopo della proposta di legge presentata dall'opposizione sarebbe quello di colpire l'avversario. Non esito a dire che, se questo fosse l'obiettivo, sarebbe un obiettivo sbagliato. Non può essere questa la strada. Signor ministro, legislazioni di questo genere andrebbero - per così dire - operate con quel principio del velo d'ignoranza, senza sapere dove e chi si favorisce o si colpisce. Ma io mi domando se, invece, la vostra proposta di legge non sia rivolta a favorire qualcuno. Ma non voglio soffermarmi su questo, voglio riprendere il suo impianto, quello che lei - in modo, direi molto sottile e sofisticato - ha esposto a motivazione del disegno di legge.
Signor ministro, devo dire che non sono rimasto rassicurato; lei, se ho capito bene, ha configurato - ma domani rileggerò il suo intervento - una sorta di democrazia che si affida al potere della maggioranza; una sorta di democrazia che si affida al potere della maggioranza perché la maggioranza rappresenta il popolo; una sorta di governo degli uomini e non più di Governo delle leggi, che è il contrario della cultura democratica quale la conosciamo da Aristotele in poi, per circa duemila anni.
Proprio questa sua affermazione, che mi è parsa emergere dal suo intervento, mi riporta ad un pensiero di de Tocqueville, che spesso è stato evocato in quest'aula.
De Tocqueville diceva che immaginare che il potere sia quello della maggioranza che rappresenta il popolo è un linguaggio da schiavi. Infatti, scrive de Tocqueville: «Io credo che la libertà sia in pericolo quando questo potere non trova davanti a sé nessun ostacolo capace di rallentare il suo cammino e di dargli il tempo di moderarsi». Forse è opportuno che questa considerazione, di uno dei più grandi teorici del liberalismo prima che della democrazia, venga tenuta presente cercando di individuare quale sia l'argomento vero, perché ho la sensazione che anche questa continua ripetizione della cosiddetta regolamentazione del conflitto di interessi, faccia - per così dire - uscire di scena l'argomento centrale. Non a caso, nel suo intervento la parola «informazione» è stata confiscata, non è mai emersa, eppure è lì l'argomento. Il vero grande problema è quello della libertà; a un certo momento, motivando il suo disegno di legge, ella ha detto - se ho capito bene citando, peraltro, il presidente del board che sovrintende al conflitto di interessi negli Stati Uniti d'America - che, in fondo, per rispondere garbatamente all'opposizione, la sanzione più puntuale e pungente, la delegittimazione maggiore avverrebbe attraverso l'informazione ed il controllo che la libera stampa può esercitare sull'attività degli uomini di Governo.
La premessa, signor ministro, è che vi sia una libera stampa e la possibilità di esercitarla.
Il problema dell'informazione è più delicato. Mi scuso, signor Presidente della Camera pro tempore, se faccio qualche citazione di troppo, ma non è per civetteria; è solo per suscitare un suo interesse.
PRESIDENTE. Lei mi allarga il cuore e anche la mente.
GERARDO BIANCO. Lo so, abbiamo sempre dialogato con grande cordialità.
PRESIDENTE. Purtroppo, da qui non si può rispondere.
GERARDO BIANCO. Nei sistemi politici il problema dell'informazione è cruciale.
Gli antichi romani, che si intendevano di potere, hanno per prima cosa concesso il matrimonio per ottimati e plebei e da ultimo l'informazione, che è stata strappata con grande determinazione.
C'è una questione stretta fra il potere e l'informazione. Non voglio affrontare il problema del concentrato tra affari e politica, che pure è un tema importante, perché, sotto certi aspetti, mi interessa di meno, signor ministro. Vorrei dire una cosa all'onorevole Cicchitto, che ha sollevato una specie di polemica rétro. Lui, per altro, ha polemizzato con i comunisti; se ne intende bene perché era proprio accanto accanto, allora, era dentro (Commenti del deputato Colucci)... Onorevole Colucci, noi lo sappiamo; lei, onorevole Colucci, si trovava su posizioni giuste, da me condivise, mentre lui si orientava verso posizioni di sinistra, se non vado errato. Quella era l'origine; dunque si intende in ogni caso di ciò che accade. Tuttavia, ciò non serve. Il vero problema è capire cosa accade e quale sia la logica.
Il problema del potere si intreccia con quello dell'informazione. C'è una formula che usiamo nel linguaggio italiano, quella della «sete del potere».
Un grande poeta latino, Ovidio, diceva che più si ha sete e più si desidera acqua. Un altro autore, inoltre, che, forse, dovremmo proprio in questa circostanza ricordare (perché c'è qualcosa di pantagruelico in questa fame incredibile, terribile di potere e di dominio), Rabelais, affermava che, una volta, si aveva l'abitudine di bere tutto, mentre adesso non si lascia indietro niente.
C'è questa tendenza; è la logica del potere! Se non vi piace questa citazione letteraria, mi rifarei ad uno dei padri degli Stati Uniti d'America, James Madison, il quale osservava: non si vorrà negare che il potere è per sua natura invadente e che, perciò, si deve esercitare su di esso un'azione di deciso controllo, se si vorranno impedire eccessi. È qui il nucleo, la questione.
Voi state occultando il problema e non mi dica, signor ministro, che c'è una soluzione. Non voglio entrare nel merito;
lo ha fatto con molta efficacia il collega Bressa precedentemente. Vi sono persino osservazioni esilaranti che si potrebbero sollevare sul testo che avete presentato, ma in coscienza chiedo se vi sia veramente un problema risolto tra quelli che si manifestano nel sistema politico italiano. Credo di avere le carte in regola da tutti i punti di vista: negli anni passati non mi sono mai lasciato incantare dal giustizialismo e non ho mai applaudito gli eccessi. In quest'aula, quando gli altri stavano dall'altra parte - l'onorevole Colucci lo sa - mi trovavo su altre posizioni e quelle posizioni mantengo e non rivendico.
Non mi piacciono i giustizialismi e neppure gli eccessi anti-giustizialismo. Credo che la via sia quella della misura e della prudenza, che è lo strumento massimo del governo delle cose. Veramente possiamo immaginare che i problemi con questa legge vengano risolti, oppure non avete forse fatto quello che un grande storico antico chiamava «il cambio delle parole», per poter giustificare gli atti che prima non erano considerati degni? Questo è il punto. Avete cambiato il termine, senza però affrontare il problema!
Il problema può essere affrontato soltanto se si determina un qualche elemento che impedisca quell'invadenza di potere che porta al monopolio dell'informazione. È questo un tema cruciale per la democrazia che uomini liberi devono saper difendere. Non è un compito soltanto dell'opposizione: non si tratta di un disegno di legge collocabile nello schema maggioranza-opposizione. È un problema che riguarda l'intero Parlamento se intende essere presidio della libertà. Se il Parlamento non vuole rinunciare alle sue prerogative, che sono quelle di garanzia della libertà dei cittadini, deve porsi tale problema.
Noi abbiamo ancora la speranza e non l'appello retorico che spesso viene rivolto all'opposizione: siamo pronti a ricevere le vostre proposte. Ma siete andati ulteriormente indietro rispetto al provvedimento legislativo della scorsa legislatura! Ci troviamo poi di fronte ad obiezioni che, se permettete, hanno soltanto le caratteristiche sofistiche della retorica, secondo cui dite: volete proporre un modello americano che non si combina con la nostra Costituzione. È lo stesso argomento che avete adottato per il famoso mandato unico d'arresto europeo. Si tratta di forme speciose di ragionamento!
Vogliamo affrontare il problema di fondo nel nostro paese, ovvero la libertà di informazione? Vedete, ho avuto fra le mani, regalato fra l'altro, un libro pregevole di un vostro illustre rappresentante - parlo di Domenico Fisichella - sul totalitarismo. Vi è un'osservazione importante che riprende un concetto di Bernanos, secondo cui quando la propaganda e l'informazione diventano totalitarie si crea l'uomo totalitario e quest'ultimo crea le premesse del totalitarismo. È questo il problema! Un problema delicato!
Signor ministro, non sono un laudator della vecchia gestione della RAI: mi sia consentita una battuta, considerato il clima colloquiale. Credo che certi interventi faziosi in RAI abbiano portato più voti alla maggioranza attuale che non all'opposizione. Dio ce ne scampi da certi sostenitori! Sono solo il ragionamento e la forza delle analisi che possono portare ad un risultato che sia davvero convincente.
Noi vi chiediamo che venga realizzato questo principio. Mi sia consentita una battuta: vi definite Casa delle Libertà, ma mi permetto di dire agli amici e colleghi qui presenti - in un tono colloquiale - che vi siete appropriati di qualcosa che onestamente non vi appartiene. Infatti, la libertà in Italia l'abbiamo conquistata da cinquant'anni, non è una conquista di oggi e probabilmente l'abbiamo conquistata contro qualcuno che è presente nelle vostre file.
GIAN FRANCO ANEDDA. Si può anche perderla in cammino!
GERARDO BIANCO. In ogni caso l'abbiamo conquistata per tutti ed oggi se permettete possiamo persino dire... signor Presidente, ho esaurito il tempo a mia disposizione?
PRESIDENTE. No, onorevole Gerardo Bianco, mi ero permesso di intervenire per affermare che la libertà è un bene comune che tutti devono difendere.
GERARDO BIANCO. Siamo dunque tutti della «casa delle libertà», che è stata costruita, se permettete, in maniera particolare, per il ruolo storico che ha avuto, dalla tradizione politica dalla quale provengo e che rivendico in termini fermi e precisi. Voi avete questo compito: essere difensori della libertà. Lo volete porre questo problema in termini precisi e seri? Talvolta, lo dico con molta franchezza, rimango sbalordito da ciò che accade in quest'aula, dalla acquiescenza e dal tono polemico, da quel vizietto della scomunica che in passato apparteneva alla cultura di sinistra e che adesso si sta spostando a destra: la scomunica che interrompe ogni ragionamento. Lasciamola fare alla Lega nord Padania!
Il giovane virgulto che ha parlato poc'anzi ha messo sotto accusa il centrosinistra; Cicchitto getta alle spalle un po' del suo passato per rinnovarsi nel presente. Diciamo pure che vogliamo riprendere un dialogo, ma vogliamo riprenderlo con la consapevolezza che c'è un patrimonio comune da difendere per andare avanti. Sappiamo - perché appartiene alla nostra cultura, Presidente - che rispettare le leggi è una premessa fondamentale per ritrovarsi insieme in uno Stato che si senta unitario, in una comunità che si senta solidale. Le leggi oggi sono di una maggioranza e devono essere riconosciute dall'opposizione e domani sarà la stessa cosa. Così si crea quel superamento di frattura che è molto importante per costruire una democrazia. Ve lo ponete il problema di costruire una democrazia? Mi pare che oggi la logica vada in modo diverso. Vi sono i 40 mila che si sono riuniti al Palavobis (che non è il «Palanostris») oppure i no global: volete porvi questi problemi? Non sono interrogativi che si pongono a tutti? Vi è il rischio di una frattura profonda, il rischio cioè che nel nostro paese vi sia un'assurda divisione tra chi vuole la legalità e chi non la vuole, quando tutti vogliamo la legalità. Questi sono i problemi!
Signor ministro, il mio tempo è scaduto e lei assente. Ma io spero che il suo «sì» sia la risposta a quanto io le chiedo, a rivedere le posizioni, che non mi pare siano state ispirate a quel principio di essere scritte sine ira ac studio: sicuramente sine ira, ma credo cum studio. Io spero invece vi sia dentro quel velo di ignoranza, per cui non si guarda a chi giova, perché possa giovare al sistema istituzionale del paese e al popolo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Gerardo Bianco. Il tempo da lei utilizzato è stato più di quello che aveva a disposizione, ma non riesco ad interrompere quando si parla come sa fare lei.
È iscritto a parlare l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.
GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, nonostante le parole intrise di saggezza del collega Gerardo Bianco, egli non ha parlato del conflitto di interessi, ha parlato d'altro: ha parlato dell'informazione. Credo si possa dire che ci avviamo ad un dibattito senza interlocutore, perché l'opposizione, che sta per riversare sul Parlamento un'alluvione di parole - non utili proprio perché alluvione -, ha rifiutato il confronto che è il presupposto del dialogo, lo ha rifiutato proprio all'inizio, in Commissione, pregiudizialmente. E a questo rifiuto hanno fatto eco oggi le parole del collega Merlo: il diritto e la ragione non lasciano spazio al compromesso. Il discorso è chiuso.
L'opposizione ha affermato fin dall'inizio un Diktat - rinunzia alla proprietà, cioè esproprio, eclatante o surrettizio, accompagnato dalla sanzione dell'ineleggibilità - e ha innalzato un muro, proclamandolo non valicabile. Non ha accettato il principio - che non è della Casa delle libertà e nemmeno del Governo, ma è un
principio che hanno ripetuto tutti i costituzionalisti che abbiamo sentito - che degli atti e dei comportamenti del Governo si deve discutere, ma non della proprietà.
I motivi del comportamento dell'opposizione risiedono nel fatto che il centrosinistra non desidera la soluzione del problema: desidera che il problema permanga per risvegliarlo, sospingerlo, enfatizzarlo nei momenti di stanca, perché un argomento come questo consente di dire qualcosa anche quando non si ha niente da dire.
E lo dimostra il fatto - se ancora vi fosse necessità di dimostrazione - che non ha voluto approvare la legge quando aveva i numeri per farlo. È stato dichiarato da molti. Ma per giustificare l'omissione, ha rivelato l'arcano: gli italiani, gli elettori, avrebbero interpretato quella legge come un comportamento punitivo nei confronti dell'onorevole Berlusconi e i consensi, i suffragi su di lui sarebbero aumentati. Non si sono resi conto nemmeno della contraddizione, oserei dire dell'offesa alla democrazia, che tale assunto determina.
L'altro motivo è l'atteggiamento aristocratico proprio della sinistra nei confronti degli elettori. Non solo la sinistra pretende (è la sua cultura) di essere nel giusto, e sempre nel giusto - sempre nel giusto e sempre nell'esatto -, ma addirittura è convinta che gli elettori ben poco comprendano e si facciano travolgere da ciò - e solo da ciò - che appare sugli schermi della televisione; degli ebeti, che hanno appunto necessità della guida della sinistra. Non è così. Credo che dimostrazioni, in questi brevi scorci di anni, ne abbiamo avute tante, a cominciare dal referendum contro le concessioni per terminare nelle ultime elezioni che il centrodestra ha vinto. Questa è la verità.
Il tema, così com'è stato posto, non è una ragionevole né totalmente risolvibile. Non mi riferisco al tema posto dall'onorevole Gerardo Bianco, che è diverso. Egli ha parlato dell'informazione, creando un rapporto, tanto vero quanto inesatto se esasperato, tra informazione e libertà.
Non è risolvibile di per se stesso il conflitto di interessi; non lo dichiaro io - conterebbe poco - ma l'ha affermato il professor Cheli quando lo abbiamo ascoltato in Commissione: la disciplina del conflitto di interessi o di quella che, più in generale, viene qualificata l'etica dei comportamenti del Governo non ha trovato soluzione soddisfacente in nessun paese, perché la soluzione è nell'etica, dentro ciascuno di noi. Siamo convinti, dunque, che nemmeno se la maggioranza avesse accettato l'aberrante tesi dell'ablazione della proprietà, l'opposizione sarebbe stata soddisfatta, perché avrebbe sempre e in ogni caso alzato la posta per ottenere un rifiuto. La prova l'abbiamo avuta ancora, questo pomeriggio - ci tornerò fra un attimo -, laddove, pregiudizialmente ancora, una presunta cessione è stata definita fittizia. Lo scopo non è - anche questo (per carità, lo comprendo) è legittimo, come è legittimo ammantare un basso concetto di nobili parole - eliminare il conflitto di interessi; lo scopo non è nemmeno privare il Presidente del Consiglio della titolarità delle televisioni; l'obiettivo è quello di eliminare l'onorevole Berlusconi dalla politica. Comprendo l'opposizione, la comprendo considerando la situazione e le condizioni nelle quali si trova, ma l'obiettivo non raggiungibile.
L'onorevole Bressa ci ha voluto dire, oggi, che il Presidente del Consiglio è «in mutande». Adoperando la stessa metafora, potrei affermare che i leader del centrosinistra, oggi, sono nudi; e debbo aggiungere che, se non si trattasse soltanto di metafora, lo spettacolo offenderebbe l'estetica!
Sia pur conscio di questa realtà, intendo proporre un ragionamento che muove dalla definizione di conflitto di interessi o, più esattamente, dalle finalità e dagli obiettivi che intendiamo raggiungere. Se il conflitto è contrasto e contraddizione, tutti dobbiamo prendere (e dare) atto che, oggi, non vi sono né contrasto né contraddizione.
Poiché il contrasto e la contraddizione si manifestano con atti e comportamenti, il disegno di legge che reca il titolo «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi» intende attuare un'opera di
prevenzione di un'illiceità possibile e potenziale, per evitare ed impedire che gli interessi, pubblico e privato, come ha detto il professor Ferrara, si contraddicano e si oppongano senza possibilità di composizione o di mediazione reale e credibile.
Allora, vogliamo chiederci come si manifesta questo conflitto, come potrebbe manifestarsi questa contraddizione?
Ebbene, ipotizziamo che il titolare della funzione pubblica adotti comportamenti o compia atti in grado di favorire, per la loro incidenza specifica, l'interesse patrimoniale del titolare (questo è l'esempio più eclatante, più evidente) oppure adotti atti volti ad evitare che venga danneggiata la sua impresa (indifferente all'interesse pubblico) o, ancora, compia un atto che favorisca l'interesse pubblico ma, contemporaneamente, anche il suo interesse privato. Tutti gli esempi testé elencati fanno riferimento ad atti e comportamenti perché solo con atti e comportamenti può manifestarsi il conflitto di interessi.
L'anomalia, allora, sta nel fatto che si pretende di rimuovere non la situazione di conflitto, ma una situazione di potenziale conflitto che potrebbe anche non verificarsi. Vi è sempre il conflitto? Anche quando gli interessi coincidono? Perché si dovrebbe rinunciare a far bene l'interesse pubblico e sociale soltanto perché, facendolo, si favorisce anche l'interesse particolare?
Che il mio ragionamento sia esatto lo dimostrano le affermazioni dell'onorevole Bressa: mentre nel suo testo alternativo, all'articolo 7, è scritto «Al fine di prevenire i conflitti di interessi», oggi egli ha specificato, dicendo qualcosa di più: al fine di evitare l'insorgere di un conflitto di interessi.
Ebbene, partendo da questa definizione, mi sono posto la seguente domanda: ma il ministro delle finanze che decidesse di ridurre le tasse si troverebbe in situazione di conflitto di interessi? Certamente, perché la riduzione delle tasse favorirebbe anche lui, che è tassato come gli altri cittadini. Credo, però, che con la menzionata regolamentazione ci si voglia riferire non ad una situazione come quella che ho appena ipotizzato, ma ad un'altra. Come ricordava, poco fa, l'onorevole Bianco, non dà fastidio la titolarità dell'impresa - se volete, non dà fastidio la ricchezza - ma dà fastidio, disturba, in relazione a ciò che si vuole prevenire, il tipo di impresa, il suo operare nel campo dell'informazione.
Ma per l'informazione fu il centrosinistra a fare una legge con il nome latino di par condicio, ispirata dall'allora Presidente della Repubblica. L'opposizione, per eliminare tale possibilità, tale potenziale pericolo, propone che il titolare di cariche pubbliche debba rendersi nullatenente. Nullatenente lui e i suoi familiari, quota zero. L'ho detto esasperando i concetti, per tentare di farmi capire: l'assurdo è l'incostituzionalità. Anche questo lo ha detto il professor Caianiello, insieme a tanti altri giuristi; questo fatto non risolverebbe né il problema giuridico né il tema della politica perché si direbbe - ecco, riprendo quanto accennato prima - che la cessione forzata o volontaria (perché nel testo vostro la cessione diventa volontaria) sarebbe fittizia. Ed allora avremo la polemica sulla cessione fittizia, con l'affermazione che attraverso l'interposizione fittizia di persona c'è ugualmente la gestione dell'impresa.
Ma qui sta il punto dello scontro (è stato ricordato): gestione di impresa o proprietà. Perché, vedete, l'articolo 2 della proposta sancisce, come sappiamo, il divieto di esercitare attività imprenditoriale; questo sarebbe stato sufficiente. Quando se ne è parlato in Commissione, molti hanno detto che questa è una norma di chiusura tale da garantire a parte la radice del problema. Ma poiché, ahimé, l'esperienza rende diffidenti e maliziosi, poiché non vorrei si trovasse un magistrato o chiunque altro possa essere chiamato autorità - si chiami anche autorità indipendente - che venisse a dire che la proprietà di quote di una società per azioni sia tale da consentire, realmente o potenzialmente, di indirizzare l'attività dell'impresa, che l'assemblea e il titolare di quote o di azioni dell'assemblea esercita attività di impresa, allora sarà bene scriverlo. Sarà bene troncare problemi di interpretazione
affidati ad altri, al di fuori della volontà del Parlamento, perché sappiamo che la volontà del Parlamento spesso è disattesa dagli interpreti. Da questo è nato lo scandalo - proprietà sì, proprietà no -, incuranti del fatto che i giuristi hanno detto che il problema è quello di imporre il divieto per l'interessato di ingerirsi nella gestione diretta dell'impresa; l'interessato cioè deve restare mero proprietario dell'impresa, individuale o societaria che sia, senza assumere personalmente compiti di amministrazione. Così è; così si risolve il problema, accettando un principio fondamentale nella democrazia, distaccandosi dal concetto antico, vecchio e retrivo che soltanto la sanzione, o se volete soltanto le manette, impongano il comportamento, senza pensare, invece, che vi sia qualcuno che ai comportamenti si adatta senza sanzione e senza manette, senza dover ricorrere sempre alla giustizia penale e rendere tutti dei delinquenti, anche se siamo persone per bene. Questo è il male di fondo: non comprendere che l'offa della buona fede e la presunzione della buona fede prevale sulla presunzione della disonestà.
Ecco perché risalta la contraddizione dell'opposizione che, con l'intento di mantenere in vita un motivo di polemica - così come è accaduto anche per la RAI dove è stato ricoperto di gratuite ingiurie persino un ex presidente della Corte costituzionale -, finge di non rendersi conto della violazione dei diritti non del Presidente del Consiglio, ma di tutti cittadini che avverrebbe se, come si pretende, si lasciasse ad una ristretta cerchia di persone la possibilità di accedere alla politica cedendo la politica ai professionisti della politica. Cioè coloro che, pur avendo dimostrato nella loro vita di tutti giorni e per una vita capacità, intelligenza ed attitudine al Governo, dovrebbero, per una norma astratta (e, solo per questo, altrettanto giusta) rinunciare, con danno degli italiani, a governare (Applausi dei deputati del gruppo UDC (CCD-CDU)).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, credo che utilizzerò meno del tempo a mia disposizione.
PRESIDENTE. Lei ha 21 minuti a sua disposizione.
GABRIELLA PISTONE. In effetti compenserò il tempo che lei ha gentilmente concesso all'onorevole Gerardo Bianco che, devo dire, abbiamo ascoltato con molto piacere.
PRESIDENTE. Sono stati pochi minuti.
GABRIELLA PISTONE. Pochi minuti, ma ben spesi se posso permettermi.
Il mio ragionamento sarà molto breve e molto semplice e prende spunto da alcune considerazioni che stanno davanti a tutti noi.
Vorrei innanzitutto dire che il disegno di legge oggi al nostro esame non ci ha convinto e non può convincerci perché, sostanzialmente, parliamo due lingue diverse e quindi è difficile parlare quando si usano linguaggi diversi. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Il titolo del provvedimento è solo un titolo ed il contenuto non c'è, o meglio, oggi, sostanzialmente, con questo provvedimento, con la proposta del Governo, si legalizza il conflitto di interessi. Ritengo che questo sia un momento molto importante (sono state usate grandi parole, mi pare che l'onorevole Bressa abbia parlato di passaggio storico ed io sono d'accordo, nel senso che condivido l'importanza di questo momento) e strategico, ed anche un momento estremamente delicato per la nostra democrazia o meglio per la realizzazione di una compiuta democrazia per tutti noi, e non per una parte di noi. In questo senso credo sia giusto chiamarlo passaggio storico.
Se l'obiettivo è regolare il conflitto di interessi, la questione del conflitto di interessi attiene ad una sfera separata dal diritto, ma appartiene di più alla sfera dell'etica pubblica, della coscienza collettiva ed un principio etico obbliga chiunque a non porsi in condizioni confliggenti con
la cosa pubblica, ovvero, gli interessi generali devono prevalere sugli interessi particolari. Il potere finanziario deve essere separato dal potere politico e dal potere giudiziario e, tutti insieme i poteri, e separatamente, non possono essere sopraffatti dal quarto potere: il potere mass mediatico.
A questo proposito è offensivo far credere che chi controlla un'azienda - chiunque esso sia, non voglio citare il nome del Presidente del Consiglio - sia chi la gestisce e non colui che la possiede, come si dice espressamente al comma 2 dell'articolo 2; vale a dire: si decreta l'impunità di chiunque sia tale soggetto, ovvero l'impunità di qualunque proprietario di azienda che assumesse, ovviamente, un ruolo di governo, di Presidente del Consiglio o altre cariche.
Nella vostra proposta di legge non vi è soluzione al problema per il quale ci siamo tutti interrogati ed al quale nella passata legislatura, lo dico molto serenamente ed onestamente, il centrosinistra non ha risposto. Non ho alcun timore di fare, tra virgolette, la cosiddetta autocritica: siamo tutti colpevoli, ed il centrosinistra, probabilmente, lo è per primo.
Si tratta comunque di una questione che attiene a tutti, e nel disegno di legge non vi è assolutamente alcunché che possa far pensare ad un modo adeguato per affrontare il problema del conflitto di interessi: l'autorità garante, ad esempio, non ha poteri di sanzione. Ebbene, il ministro ha detto che il potere di sanzione esiste in quanto si riferisce in Parlamento, ma vorrei allora replicare, come è già stato fatto da altri, che questa generica sanzione politica sarebbe controllata da chi si vorrebbe controllare. Ciò vale non solo in questo caso, ma varrebbe in mille altri casi: qualunque fosse il Governo, qualunque fosse il personaggio a capo della Presidenza del Consiglio, varrebbe - qualora tale individuo si trovasse nella medesima situazione - tutto ciò che ho appena detto. Mi pare ovvio.
Mi trovo anche in imbarazzo di fronte a quanto appena detto, per esempio, dall'onorevole Anedda: mi sembra infatti di assistere a difese di ufficio, che sono anche leggermente stucchevoli dal punto di vista del dibattito parlamentare. Qui siamo persone adulte, grandi, vaccinate, ognuno si sa difendere da solo e non ha bisogno dei difensori di ufficio. A me pare, lo ripeto, che vi sia invece una specie di schieramento di fuoco per cui si alzano in piedi, ad esempio, i deputati di Forza Italia e tutti difendono il capo. Trovo questo francamente riduttivo ed offensivo, anche perché ho troppa stima di alcuni colleghi del centrodestra.
Credo che debbano esistere alcuni principi di fondo; lo stesso onorevole Anedda ha parlato di etica: ebbene, l'etica non è mica una cosa da niente! È un qualcosa che dovrebbe appartenere a tutti noi ed in particolare a chi guida uno Stato.
Dato che è stato detto ampiamente, in quest'aula, che l'attività pubblica non offre né vantaggi né vita felice - e chi lavora in Parlamento, tra le altre cose, lo sa, sa che si tratta di passione e, soprattutto, di un momento di servizio, solamente un momento di servizio - ecco allora il nostro testo alternativo di minoranza, proprio perché parliamo due lingue diverse. Vogliamo parlare la lingua non della verità, ma quella di altre grandi democrazie occidentali che da tempo si sono dotate di norme ed organismi capaci di risolvere i casi di conflitto di interessi dei titolari di cariche pubbliche. Non è un problema di parte, bensì un problema di democrazie e di rispetto democratico.
Non vorrei citare molto spesso l'onorevole Anedda, ma prima egli, riferendosi all'onorevole Bianco, ha affermato che quest'ultimo, in effetti, ha parlato di informazione. Ebbene, di che cosa stiamo discutendo? Il problema si pone a maggior ragione, perché in questo caso il titolare dell'impresa è anche titolare di imprese di comunicazione e di informazione. Allora, vorrei porre una domanda. A mio avviso, solo qualche giorno fa, è accaduto un fatto emblematico. Il Presidente del Consiglio ha accennato all'ipotesi di vendere una rete RAI e lo ha detto pubblicamente: il giorno dopo le quotazioni delle azioni Mediaset erano salite del 7 per cento. Se
io avessi affermato la stessa cosa, le azioni della società Mediaset non sarebbero aumentate neanche di un millesimo. Dato che l'ha detto il Presidente del Consiglio che, oltretutto, è anche proprietario di Mediaset, l'effetto è stato immediatamente questo.
Allora, c'è o non c'è un nesso tra proprietà e cosa pubblica? Il conflitto di interessi esiste o non esiste? È solo un problema di chi gestisce o anche di chi è proprietario? Allora, come non siamo disposti a negoziare sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori - la famosa norma concernente il licenziamento senza giusta causa - in quanto i diritti non si negoziano, altrettanto non possiamo negoziare su due progetti che sono assolutamente alternativi.
Avremmo voluto il confronto e lo vorremmo ancora, riportando la discussione su un terreno di incontro e di scambio. Tuttavia, dato che questa non mi sembra sia la premessa, anch'io chiedo al Governo e al ministro Frattini di pensarci bene. Ritirate questo provvedimento, perché renderete un servizio alla democrazia; e non mi riferisco alla democrazia di parte, ma a quella di tutti noi, perché nessuno deve considerarsi super partes in questioni estremamente delicate che, davvero, possono precostituire il futuro, più o meno felice, di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Marone che ha 20 minuti di tempo a disposizione.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, mi atterrò rigorosamente ai tempi. Prima di seguire la scaletta che avevo preparato, vorrei svolgere alcune considerazioni che scaturiscono dall'intervento dell'onorevole ministro. Lei ha rivolto all'opposizione la velata accusa di voler personalizzare questa legge; tuttavia, credo che in tutto il paese - parlando con qualsiasi cittadino e con la stampa - si pensi che in quest'aula si sta discutendo sul problema del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio e non su una legge generale riguardante le cause di eleggibilità o ineleggibilità.
Del resto, mi sembra che, all'epoca, lo abbia dichiarato lo stesso candidato: egli, firmando il contratto con gli italiani, ha sostenuto che avrebbe risolto il suo conflitto di interessi e non quello degli altri. Mi sembra, quindi, che il problema politico principale sia questo e mi sembra che con questa legge si risolva tutto tranne quel problema. Anzi, trovo una differenza di trattamento enorme tra i conflitti di interessi degli altri, che vengono disciplinati con grande puntualità (come dirò dopo), rispetto a quello del Presidente del Consiglio.
Anche l'accenno che lei fa alla legittimazione del voto mi sembra incongruo perché disciplinare le situazioni di conflitto di interessi serve proprio ad evitare che vi possano essere condizionamenti sul voto. Uno dei principali obiettivi di qualsiasi legislazione è quello di evitare che qualche posizione giuridica, di fatto o economica, possa condizionare il voto. Del resto, seguendo fino in fondo il suo ragionamento si dovrebbe dire che, una volta che si elegge, cessa la materia del contendere perché il candidato è stato legittimato dal voto. Al contrario, ed a maggior ragione, in quel caso si deve esaminare se vi è una causa di ineleggibilità proprio perché tale causa avrebbe potuto condizionare il voto. Dunque, la legittimazione del voto non può mai essere nominata rispetto a questo problema.
Tra qualche giorno approverete questa legge e avrete formalmente risolto il problema del conflitto di interessi. Tuttavia, credo che cento anni di diritto amministrativo ci abbiano insegnato a non accontentarci mai dell'aspetto formale della risoluzione dei problemi. Cento anni di giurisprudenza del Consiglio di Stato, cui lei ha partecipato anche molto autorevolmente, ci hanno insegnato che il rispetto formale delle leggi non è sufficiente. Dobbiamo esaminare la sostanza delle cose, altrimenti, se ci limitassimo al rispetto formale delle leggi, non avremmo costruito
quel monumento che è l'eccesso di potere. Il problema è andare a vedere la sostanza della questione: ci stiamo limitando, invece, a rispettare formalmente la soluzione del conflitto di interessi.
Non l'abbiamo detto noi, non ce lo siamo inventati noi, lo ha detto il Presidente del Consiglio prima delle elezioni che avrebbe risolto il conflitto di interessi. Ha firmato il contratto con gli italiani, poi ha detto che l'avrebbe risolto nei 100 giorni successivi, poi ha avuto da risolvere altri problemi in questo Parlamento. Infine ha affrontato, appunto, questo tema.
Quello che non riesco a comprendere è come si possa dire che non c'è soluzione ai conflitti di interessi o pensare, addirittura, che il conflitto di interessi sia un tema nuovo. In questo paese c'è un signore che ha un conflitto di interessi: si tratta dell'amministratore delegato di Mediaset, il signor Confalonieri, che come tale non è eleggibile. Nessuno se ne scandalizza, nessuno invoca norme costituzionali, nessuno si meraviglia: è giusto che sia così. Dunque, non è che i conflitti di interesse non esistano o non si possano risolvere. Il problema era, invece, verificare se bisognava andare alla sostanza delle cose e, quindi, non fermarsi all'aspetto formale dell'amministratore o di chi ricopre cariche, ma all'aspetto sostanziale di chi detiene effettivamente il controllo o il potere in una qualche società.
Del resto, non mi sembra che il rispetto formale delle cariche sia sufficiente. Questo paese è stracolmo di imprese i cui amministratori sono pensionati novantenni e certo nessuno pensa che quelli siano i reali gestori delle società (lo è il proprietario). È stracolmo di imprenditori falliti che continuano a gestire imprese, magari con un prestanome. Nessuno pensa che l'amministratore della società sia il titolare: quello che gestisce la società è semplicemente un uomo di paglia.
Bisognava, dunque, affrontare un tema che non mi pare questa legge affronti. Se ne faceva un cenno nell'articolo 2, nel punto in cui si parla di esercitare attività imprenditoriali. Poi, evidentemente, vi è stato il timore che attraverso questa formula si potesse anche solo vagamente pensare al Presidente del Consiglio e subito il Governo ha presentato un emendamento. Ha detto: sia ben chiaro che possedere azioni in società non significa esercitare attività imprenditoriale. Abbiamo subito chiarito che questa legge non riguarda il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, cioè colui che, all'epoca candidato, aveva firmato con gli italiani un contratto per risolvere il suo conflitto di interessi.
Questa legge affronta le incompatibilità di chiunque, la mia incompatibilità, quella del presidente Bruno, la sua, signor ministro, ma non quella del Presidente del Consiglio dei ministri: se leggiamo l'articolo 2 di tale provvedimento, quasi tutti i cittadini italiani sono incompatibili, tranne il Presidente del Consiglio dei ministri!
Allora non diciamo che non si può risolvere il problema del conflitto di interessi, come se fosse un tema nuovo dell'ordinamento. Anche in questo caso, debbo dire con la bravura del Presidente del Consiglio che conosce bene i mezzi di comunicazione, stiamo quasi facendo apparire il tema del conflitto di interessi come se fosse nuovo, non fosse mai esistito nell'ordinamento e che, oggi, scoprendolo, non sappiamo come affrontarlo.
Nel nostro ordinamento tale problema è sempre esistito, ci sono sempre state leggi che l'hanno affrontato e, dagli anni cinquanta e sessanta, si sono trovati gli strumenti per risolverlo: l'ineleggibilità, l'incompatibilità e la decadenza.
Ci sono lunghi elenchi di soggetti che non possono partecipare a cariche pubbliche - nessuno se ne scandalizza - e, certamente, si tratta di persone che possono condizionare molto meno del proprietario di tre reti televisive: pensare che oggi un prefetto sia ineleggibile e che, quindi, possa condizionare l'opinione pubblica più di un proprietario di tre reti televisive, mi sembra quanto meno inattuale, così come un generale.
Ripeto, tutto ciò è sempre esistito, il problema è l'attualizzazione delle leggi perché tali norme sono state approvate in un momento in cui, ovviamente, il problema
non esisteva, anche perché il nostro paese ha sempre avuto presente l'importanza dei mezzi di comunicazione. Lo ha avuto così presente che negli anni sessanta si pensò di risolverlo con il monopolio televisivo pubblico, proprio perché si aveva la coscienza di quanto questo mezzo fosse importante e condizionante dell'opinione pubblica.
All'epoca si risolse il problema con il monopolio pubblico, poi abbiamo avuto un'evoluzione dei tempi e si è pensato di passare dal monopolio pubblico alla concorrenza dell'informazione e, come abbiamo visto, tutto ciò non si è attuato perché, in questo paese non c'è concorrenza dell'informazione ma, anzi, esiste, sostanzialmente, un duopolio.
Il problema è che non si sono aggiornate quelle leggi all'evoluzione dell'ordinamento e all'evoluzione economica del paese. Non si sono aggiornate le leggi - che negli anni cinquanta prevedevano l'ineleggibilità per gli amministratori delle società - all'evoluzione legislativa che, invece, si è evidenziata in tanti altri settori, dove non ci si è più accontentati di individuare i legali rappresentanti delle società come unici titolari del potere di gestione di una società; in particolare, sussiste una legislazione degli anni novanta che, ovviamente, ricerca chi siano i veri titolari del potere in una società, non fermandosi al dato formale della carica ricoperta. Invece, quella legislazione non è stata aggiornata e, quindi, oggi si pone un problema.
Come si risolve tale problema? Il modo di risolverlo radicalmente è l'astensione.
L'unico sistema che il disegno di legge al nostro esame individua per risolvere il conflitto di interesse è l'astensione. Chiunque abbia partecipato ad un organo collegiale - credo che, in quest'aula, siamo in tanti - sa che, ovviamente, se non si partecipa a quella seduta dell'organo collegiale, quest'ultimo decide lo stesso e così si è risolto il problema del conflitto di interessi.
Del resto, so che il Governo ha ritirato la norma riguardante l'estensione ai presidenti delle province e ai sindaci dei comuni oltre i trecentomila abitanti, ma tale estensione era indicativa dei danni che avrebbe potuto provocare una legge del genere. Lo abbiamo sostenuto in Commissione: un sindaco proprietario di un'impresa di trasporti sarebbe potuto diventare concessionario del servizio pubblico di trasporto del suo comune, purché non fosse l'amministratore di quella società o sarebbe potuto diventare titolare del servizio di rimozione dei rifiuti purché non fosse l'amministratore di quella società.
Il Governo si è convinto di tali argomenti e, per i comuni, lo ha ritirato; non si comprende perché non si convinca anche per le cariche di governo diverse da quelle degli enti locali.
Vorrei, inoltre, evidenziare il lungo elenco di incompatibilità previste dall'articolo 2. Se leggiamo tale elencazione, crediamo di trovarci in presenza di una legge rigorosissima, in quanto quasi nessuno può ricoprire cariche di governo o, se le vuole ricoprire, deve mettersi in aspettativa sia nel caso di impiego pubblico sia privato. Qual è lo strumento alternativo all'aspettativa per chi non ha una posizione di lavoro dipendente, ma una posizione diversa? Ci deve essere qualcosa di alternativo. Voi pretendete che l'impiegato pubblico si metta in aspettativa, pretendete che il cameraman di Mediaset si metta in aspettativa per ricoprire incarichi di governo. Allora, chi è proprietario di tre reti televisive dovrà fare qualcosa? O, invece, non deve fare nulla? Qualcosa di alternativo rispetto all'aspettativa, che giustamente prevedete per impieghi pubblici e privati, occorreva prevederlo in questa legge? Certo, non vi siete accontentati di stabilire che l'impiegato pubblico poteva continuare a svolgere tale funzione purché si fosse astenuto nel Consiglio dei ministri. Poteva continuare a fare il consigliere di Stato, astenendosi su questioni che lo interessavano. Invece, lo si obbliga ad entrare in aspettativa. Si vieta di svolgere attività professionale, mentre si poteva prevedere l'astensione, ad esempio, nel caso in cui avesse trattato quella causa. Dunque, occorreva prevedere qualcosa.
La nostra proposta non vi sembrava sufficiente, non vi sembrava adeguata? Bene, comunque, era necessario prevedere qualcosa per rendere omogenea la legislazione tra impiego pubblico, impiego privato e altre situazioni, visto che voi stessi affermate che non si possono esercitare imprese.
Veramente crediamo sia sufficiente il dato formale, in base al quale ci si riferisce solo all'amministratore delegato? Veramente crediamo che, oggi nel sistema dell'imprenditoria, un Fedele Confalonieri decida più di Silvio Berlusconi nelle sue aziende? Francamente, ritengo che nessuno possa credere a ciò, perché sarebbe impensabile.
Inoltre, chi si avvantaggia della situazione di conflitto? Si avvantaggia il proprietario o l'amministratore delegato? Se il Governo pone in essere un atto in situazione di conflitto di interessi, chi se ne avvantaggia? Di certo non l'amministratore delegato, ma il proprietario.
Per caso questo tema l'avete affrontato? L'avete esaminato? No, non ve n'è alcun cenno; infatti, si dice che la mera proprietà non è situazione di conflitto di interessi. Oltretutto, si prevede che il conflitto di interessi debba essere in danno dell'interesse pubblico. Perché, non vi può essere interesse privato coincidente con interesse pubblico? Dove sta scritto che l'interesse privato debba essere per forza in danno dell'interesse pubblico?
Ritengo, inoltre, che l'articolo 3 chiuda il sistema dell'inadeguatezza di questo disegno di legge. Infatti, quando si prevede che gli atti a contenuto generale non creano situazioni di conflitto di interessi, significa che il conflitto di interessi non c'è. Quali sono gli atti del Governo che non hanno contenuto generale? Pensavo alla categoria delle nomine, ma anche in questo caso si parla di atti di alta amministrazione, dunque, anche questi possono essere ricondotti nell'ambito degli atti a contenuto generale. D'altra parte, tutti gli altri atti del Governo sono atti di alta amministrazione, dunque, sostanzialmente il conflitto non esiste o, comunque, non vi è obbligo di astensione quasi su nulla.
Infine, esaminiamo quella limitatissima ipotesi in cui, per errore, il titolare di carica di governo si sia dimenticato di prendere parte ad una seduta del Consiglio e, quindi, si trovi in una situazione di conflitto di interessi. In questo caso, cosa succede? Succede che l'authority segnala al Parlamento, cioè alla maggioranza di quell'esecutivo che dovrebbe censurare, il provvedimento adottato in conflitto di interessi.
Faccio, per un attimo, un salto indietro. Se esaminiamo le sanzioni previste, verifichiamo sempre che non ci occupiamo di far decadere il soggetto dall'incarico pubblico. C'è una logica in questo testo legge in base alla quale non ci occupiamo mai della funzione pubblica, ma ci occupiamo sempre dell'altro aspetto. Se il titolare di una carica di Governo continua ad esercitare la professione in situazione di incompatibilità, cosa succede? Egli non decade dalla carica pubblica ma viene cancellato dall'albo dei professionisti. Francamente, a me non interessa che il titolare della carica pubblica continui o meno ad esercitare l'attività professionale; a me interessa che non ricopra altri incarichi di Governo. Questo è ciò che interessa il Parlamento e il paese. Se abbia fatto bene o male a continuare ad esercitare la propria professione, è un problema che riguarderà il consiglio dell'ordine della competente provincia. Cosa interessa al Parlamento nel caso in cui un ministro abbia continuato a svolgere la propria professione? Qual è la sanzione? Egli non può più esercitare la professione. Per quanto mi riguarda, non dovrebbe poter fare più il ministro. Di questo ci dobbiamo occupare. Cosa mi interessa se egli continua o meno ad esercitare la professione? Noi dobbiamo stare attenti alla funzione di Governo. Invece, questo disegno di legge ha una logica perversa: non ci si occupa per nulla dell'attività di Governo; si guardano i problemi sempre dall'altra parte; non ci si occupa dei benefici che possono derivare dall'attività di Governo. Ripeto: la sanzione estrema è rappresentata da una relazione al Parlamento. In un sistema maggioritario, come lei ha detto nel suo
intervento, signor ministro, Berlusconi deve governare: saranno le prossime elezioni a decidere se avrà governato bene o male. Vorrei sapere come questo Parlamento potrà mai censurare un ministro o un Presidente del Consiglio dei ministri. Ma dove sono i famosi pesi e contrappesi di cui stiamo tanto discutendo e che è necessario avere in un sistema maggioritario? Forse, all'epoca, essi non erano molto necessari in un sistema proporzionale. Mi sembra francamente impensabile che lo stesso Parlamento che si accinge ad approvare questo disegno di legge possa, poi, adottare una qualche misura nei confronti di un titolare di una carica di Governo che abbia adottato atti, in situazione di conflitto di interessi.
Penso che questa legge sia sostanzialmente inutile: il principio dell'astensione è sempre esistito nel nostro ordinamento; nulla si aggiunge a ciò che già esiste. Anzi, ripeto: si crea un sistema rigorosissimo di incompatibilità per una serie infinita di cittadini. Non ritenevo urgente affrontare questo argomento. Non credo, infatti, che il Parlamento fosse molto interessato al problema che un impiegato pubblico ricoprisse la carica di ministro, continuando a svolgere le proprie mansioni.
Il tema di fondo era un altro e non è stato affrontato. Quindi, ripeto che ritengo questa legge inutile; oltretutto, non si forniscono le risposte che il paese richiede. Noi non vogliamo discutere in eterno sul conflitto di interessi; avremmo voluto una risposta; avremmo voluto sapere come sarebbe stato affrontato il tema.
Il tema non è stato affrontato e, quindi, noi siamo profondamente contrari al provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
Onorevole Giachetti, vedo che lei è già in piedi. Benissimo.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, nonostante l'ora tarda siamo ancora svegli.
Se fosse possibile, proporrei di fare un gioco: magari ce lo consentono l'ora ed i pochi colleghi che hanno avuto l'amabilità di partecipare al dibattito. Certamente, nei prossimi giorni la partecipazione ai nostri lavori sarà maggiore. Me lo auguro.
Mi rivolgo anche al ministro Frattini che ringrazio per la pazienza con la quale ha seguito questo dibattito: stigmatizzo che egli fa ciò, a differenza di parecchi suoi colleghi che, in termini di educazione nei rapporti istituzionali e parlamentari, hanno davvero molto da imparare, al di là del fatto che il ministro, con la sua presenza e con il suo agire da persona perbene, sicuramente argomenta anche con una certa durezza le proprie tesi. Ma questo fa parte del dibattito e del gioco democratico.
Ripeto, credo che non siano pochi i ministri che farebbero bene a farsi dare qualche consiglio, come anche il Presidente del Consiglio, che mi auguro troverà un momento per partecipare, per assistere ed ascoltare le argomentazioni dei parlamentari di maggioranza, come di opposizione, in un dibattito che indubbiamente lo dovrebbe in qualche modo riguardare.
Signor Presidente, vorrei aprire questo mio intervento dicendo che purtroppo il Presidente della Camera non mi ha convinto, perché il gioco che vorrei fare è che ognuno potesse uscire dalla propria parte. Infatti, sono convinto che il succo delle argomentazioni che sono state portate avanti in quest'aula porterebbe sicuramente ad una modifica del testo e, probabilmente, anche alla modifica di alcune posizioni espresse dall'opposizione. In questo senso, il dibattito che si è sviluppato in questa sede darebbe certamente a ciascuno la possibilità di rivedere questo testo che in realtà, come cercherò di argomentare nel prosieguo del mio intervento, è una farsa.
Questo gioco non è possibile e sappiamo benissimo quali siano i tempi e i voti con i quali si concluderà questo dibattito ed anche, tendenzialmente, quale sarà il testo che verrà approvato, ammesso che nel corso della seduta non si agisca per annacquarlo ulteriormente, così come
è stato fatto in Commissione affari costituzionali, dopo la presentazione delle varie proposte di legge.
Signor Presidente, le ripeto che sono un po' deluso perché mi aspettavo un po' più di coraggio da parte del Presidente della Camera sulla decisione di eliminare il cappio del contingentamento da questo dibattito. Non ritorno sul tema, ho già fatto un richiamo al regolamento ed il presidente del mio gruppo ha ampiamente e dettagliatamente spiegato le ragioni che non ci convincono. Dico semplicemente che, su un provvedimento così importante, da tutti riconosciuto come tale, credo avrebbe fatto onore ai presidenti dei gruppi della maggioranza e al Presidente della Camera, visto che non è minacciato alcun ostruzionismo, la decisione di protrarre di qualche ora questo dibattito: avrebbe fatto bene soprattutto ai cittadini, che avrebbero avuto qualche informazione in più sulle tesi qui esposte, che sono tutte degne, quelle della maggioranza, come quelle dell'opposizione. Ecco, forse sarebbe stato, anche simbolicamente, un modo per stemperare i toni che sono accesi, a mio avviso anche giustamente accesi, per come si configura questo dibattito.
In questo dibattito noi ascoltiamo anche toni eleganti, con i quali però vengono portate avanti, lo ripeto, tesi pesanti ed avanzati interrogativi inquietanti: potrei far riferimento ad alcuni passaggi dell'intervento dell'onorevole Cicchitto e alle dichiarazioni di alcuni ministri di questo Governo su eventi che si sono svolti nei scorsi giorni e nelle scorse ore, in qualche modo riproponendoli anche nel dibattito che si svolge in quest'aula. In realtà, la forma e il modo di agire di questo Governo consistono nel piangere, nel lamentarsi, nel fare del vittimismo, per impadronirsi poi meglio - al riparo dei fulmini che vengono lanciati - di ogni spazio di potere e, alla fine - io temo, signor Presidente, ma mi auguro di sbagliarmi -, anche di libertà.
Signor ministro, vi state impadronendo di tutto, ma contemporaneamente urlate al complotto contro il Presidente del Consiglio: dall'inizio di questa legislatura questo è il Leitmotiv. In ogni occasione c'è un complotto contro il Presidente del Consiglio: lo stesso Premier annuncia sempre e comunque aggressioni nei suoi confronti, fatti ormai da tanti e tali soggetti, in Italia e fuori, da configurare una organizzazione quasi peggiore del terrorismo islamico, che purtroppo, come sappiamo, sta operando ed ha operato nel mondo. Essa è talmente ampia, organi di informazione, soggetti politici, membri di Governi esteri, un tale pot-pourri, che veramente bisognerebbe analizzare questa organizzazione che complotta contro il Presidente del Consiglio. In realtà, pian piano state assoggettando ogni pezzo dello Stato e, dove non vi siete ancora riusciti - faccio l'esempio della magistratura -, varate leggi, come quelle sul falso in bilancio o sulle rogatorie internazionali, volte ad impedire che si faccia fino in fondo luce su alcune questioni.
Signor Presidente, signor ministro, sui muri della nostra città compaiano dei manifesti - credo di Alleanza nazionale, non ho visto bene quale ne sia il simbolo - nei quali si dice che la sinistra tutelerebbe i fuorilegge, credo a proposito di botteghe, non ho capito bene l'argomento. Ma il titolo grande che campeggia è che la sinistra tutela i fuorilegge. Dico questo anche a proposito della moderazione dei toni che, spesso, ci invitate ad usare. Verrebbe da dire: «Ma a chi vi rivolgete? Guardatevi intorno».
Con la legge sul condono fiscale voi i fuorilegge li avete legittimati, li avete legalizzati; è difficile imputarci la responsabilità di tutelare il fuorilegge. Adesso, vorrei evitare di entrare nel merito del comportamento di alcuni ministri che, solo tre anni fa, sono andati a manifestare la loro solidarietà, non a dei fuorilegge, ma a dei pluriassassini. Nella fattispecie, mi riferisco al ministro Bossi rispetto a Milosevic, le cui vicende leggiamo oggi sulle cronache di tutti i giornali.
Signor ministro, fate le vittime e governate da otto mesi; avete concluso poco, ma sicuramente avete blindato, operato ed imposto a questa Assemblea - con dibattiti
che, spesso, hanno reso impossibile per i deputati poter esprimere fino in fondo le proprie opinioni - la legge sulle rogatorie internazionali, il falso in bilancio, il condono fiscale. Il ministro Tremonti ha denunciato in televisione - prima che in Assemblea - l'esistenza di buchi di bilancio che non avrebbero consentito al Governo di governare. Poi questi buchi sono rientrati, ma resta il fatto che i pensionati, ai quali avevate garantito almeno un milione di lire, ancora aspettano, ancora non hanno visto una lira dopo otto mesi di governo.
Su questo provvedimento avete fatto - come spesso vi capita - il gioco delle tre carte. Avete presentato un testo, in seguito avete mandato avanti il presidente Caianiello - come dire - per vedere l'effetto che fa. Ad un certo punto avete eliminato, di fatto, il testo del professor Caianiello ed avete presentato i vostri emendamenti. Ministro Frattini, è vero che il professor Caianiello ha rilasciato una dichiarazione di cui lei ha dato, in parte, lettura in quest'aula. Forse sarebbe il caso di informare, almeno i parlamentari, riguardo l'intera dichiarazione del professor Caianiello, che - in riferimento all'autorità (il punto in questione) - testualmente afferma che un organo avente la funzione di sorvegliare gli atti del Governo, al solo scopo di segnalare al Parlamento eventuali conflitti di interessi per un controllo politico e senza la previsione di sanzioni sulle aziende, resta perciò un intruso istituzionale, perché si innesta in modo del tutto anomalo nel circuito fiduciario Governo-Parlamento, anche se della relativa attribuzione venga investita la preesistente autorità antitrust. Il professor Caianiello aggiunge che, se il Parlamento, nella sua sovranità, andrà avanti sul testo già approvato in Commissione, questo non può autorizzare nessuno a parlare, come si legge su certa stampa, di un testo Frattini-Caianiello, perché si tratta di soluzioni che distano tra loro come il giorno e la notte.
Riferendomi alla collega che prima affermava che un per un po' si era seguito un certo spirito, ma ad un certo punto ci siamo distanziati, credo che il giudizio lapidario del professor Caianiello la dica lunga a proposito di ciò che è accaduto in Commissione in termini peggiorativi rispetto anche all'ipotesi - sicuramente, per noi non soddisfacente - avanzata dal professor Caianiello.
Allora, siete tornati al testo originario, ma nel corso dei lavori vi siete resi conto che anche quello diceva qualche cosa sul tema del conflitto di interessi. Quindi, avete operato con emendamenti mirati, come quello che inserisce un comma 2 all'articolo 2, con il quale, di fatto, trasformiamo questa legge - come vi dicevo prima e come hanno ricordato molti colleghi prima di me - in una legge che ha un unico obiettivo: semplicemente quello di fotografare e di legittimare il conflitto di interessi.
Il testo approvato prende atto dell'esistenza del conflitto di interessi, basti pensare - mi avvio alla conclusione, signor Presidente - che l'autorità prevista non ha alcuna possibilità di sanzionare. L'autorità di garanzia - come la chiamate voi - non ha il potere di comminare sanzioni e nemmeno quello di sospendere i provvedimenti sospetti. C'è di più e di peggio, signor Presidente: anche per quel poco che può fare, l'autorità deve attendere che accada qualcosa (lo ricordava il professor Sartori) e che si compia un'azione di qualche tipo. Nessuno ovviamente si è posto il problema delle cose che non si fanno.
Purtroppo ho poco tempo, Presidente, ma vorrei dire che vi sono stati molti casi di conflitto di interessi e spesso si è fatto riferimento all'informazione. È un tema importante, ma credo che ve ne siano altri; stigmatizzo un solo esempio che è stato oggetto della discussione in quest'Assemblea pochi giorni fa. Nel testo del decreto relativo agli oli usati, è stata inserita una norma che garantiva 200 miliardi al CONI per il 2002. Di questi (credo che vi sia un accordo in tal senso tra le federazioni) pare che il 40 per cento sia destinato al calcio. Il 40 per cento di 200 miliardi è indirizzato, pertanto, alle società sportive di calcio e non è colpa mia - è una realtà
- se il Presidente, come è noto, risulta proprietario anche di un'importante società di calcio.
Signor Presidente, concludo il mio intervento, ringraziandola anche per il tempo aggiuntivo che mi ha concesso, per dirle che in quest'aula nelle prossime ore, nei prossimi giorni si adotteranno decisioni molto importanti. Mi auguro che quanto auspicato da molti di noi accada e che vi sia, quindi, effettivamente la possibilità di modificare il testo del provvedimento. Diversamente, questo testo, signor Presidente, signor ministro, colleghi che avete avuto l'abilità di ascoltarmi, resterà semplicemente una farsa, una fotografia, con l'inserimento nella legislazione italiana di una norma che afferma che il conflitto di interessi esiste ed è utile che esista (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alia, al quale ricordo che ha a disposizione 30 minuti di tempo. Ne ha facoltà.
GIAMPIERO D'ALIA. Signor Presidente, non li utilizzerò tutti, anche per un atto di cortesia nei confronti dei colleghi. Il provvedimento in discussione affronta una questione importante per il nostro paese: il rapporto tra politica ed economia. In verità, tale questione è sempre stata al centro del dibattito politico, con la differenza che, in passato, è stata affrontata con grande senso di equilibrio e di moderazione, mentre oggi è tornata di attualità per le note contrapposizioni nel mondo della politica e proprio per tale contrapposizione sconta una serie di limiti che ci auguriamo siano superabili.
Devo rilevare preliminarmente che bene ha fatto il Governo a proporre una disciplina organica del conflitto di interessi non solo per sgomberare il campo da ogni sospetto sull'operato dell'esecutivo, ma anche per assolvere ad un impegno assunto con gli elettori.
L'iniziativa del Governo e l'apporto che la maggioranza parlamentare ha dato in Commissione hanno consentito di approfondire la questione sotto ogni profilo e senza riserve, fornendo utili elementi di confronto che, inspiegabilmente, non sono stati raccolti dall'opposizione. Quest'ultima è apparsa, infatti, arroccata su posizioni oltranziste, frutto di una strana miscela di ideologismo e di rancore per la sconfitta elettorale subita, interessata alla ricerca di una posizione comune, riferibile in via esclusiva all'astiosa avversione nei confronti del Presidente del Consiglio, piuttosto che al merito del provvedimento in discussione.
Siamo tutti consapevoli del fatto che, se nella passata legislatura il centrosinistra avesse voluto approvare la disciplina sul conflitto di interessi, quest'ultima sarebbe stata approvata ed oggi non ci troveremmo a dover assistere ad un duro scontro politico ed istituzionale su un tema che solo per l'iniziativa del Governo giunge all'esame dell'Assemblea.
La circostanza che oggi, e non ieri, il Parlamento è chiamato a decidere in merito ad una materia così delicata è certamente un limite, così come un limite è dato dalla necessità di operare con legge ordinaria e non con una modifica costituzionale. Tuttavia, il limite più grande al libero confronto parlamentare sembra essere la posizione assunta dall'opposizione, nell'ambito della quale è prevalsa la linea di chi ritiene che l'unica strada per risolvere il conflitto di interessi sia dichiarare ineleggibile o, per i più generosi, incompatibile il Presidente del Consiglio.
Riteniamo che un tema così importante non possa essere affidato alle astiosità preconcette e al rancore, o peggio ancora, ad una volontà di rivincita che non passa dal voto popolare e respingiamo la pregiudiziale di chi, privo di altre argomentazioni, affida le proprie sorti al disconoscimento del risultato elettorale conquistato democraticamente dal centrodestra, contestando una presunta e comunque infondata illegittimità del voto espresso dagli italiani.
Ci rendiamo conto che è difficile confrontarsi su questo tema senza preconcetti e che è difficile, in questo senso, concorrere
con il lavoro parlamentare alla definizione di una disciplina che sia di garanzia per il presente, ma anche per il futuro e che, infine, sia soprattutto moderna.
Noi riteniamo che vi siano gli spazi per un confronto parlamentare serio ed approfondito sul tema, purché si parta dalla volontà di affrontarlo senza intenti persecutori, che non renderebbero un servizio al paese e alle sue istituzioni.
Non vi è alcun dubbio che oggi il tema del conflitto di interessi debba essere guardato con occhi diversi rispetto al passato. Ciò perché è cambiato il contesto economico e sociale del paese, perché è cambiata la politica e l'indispensabile rapporto fra questa e la cosiddetta società civile. La selezione della classe dirigente è solo in parte affidata ai partiti che, a loro volta, hanno mutato caratteri, natura ed organizzazione. È pertanto evidente che in questo nuovo scenario è assolutamente anacronistico ed improduttivo limitare l'accesso alle cariche pubbliche a chi nella società ha acquisito esperienza e professionalità. Una siffatta limitazione, anziché liberare energie positive in favore della democrazia e delle nostre istituzioni, rischia di comprimere la società relegandola ad un ruolo marginale e di occasionale supporto al ceto politico. Se non si accetta questa preliminare considerazione che è propria di tutte le democrazie moderne, il confronto sul tema del conflitto di interessi si riduce, come in parte è già stato ridotto, ad un espediente formalistico per escludere a posteriori qualcuno dalla vita politica nazionale.
Il conflitto di interessi, ancor prima che rappresentare un problema politico ed istituzionale, è quindi una grande questione culturale, sulla quale tanto più aperto e sincero è il confronto, tanto più si ha la possibilità di affrontarla nella sua reale portata e con gli strumenti più adeguati.
Vi è quindi l'esigenza di affrontare il problema non attraverso strumenti restrittivi delle libertà politiche, ma con strumenti di garanzia di queste libertà che sappiano definire un punto di equilibrio fra la libertà di manifestazione del pensiero e l'accesso alle cariche pubbliche da una parte, e la garanzia che tali libertà vengano esercitate solo al servizio dell'interesse generale della collettività, dall'altra.
La prima questione che emerge pertanto è la improponibilità di normative che limitino l'accesso alle cariche pubbliche. Tale improponibilità muove non soltanto da ragioni di carattere politico e culturale già espresse in precedenza, ma anche dalla impossibilità di applicare tale disposizione alle situazioni preesistenti, senza creare seri problemi di costituzionalità. In altri termini, la introduzione «in corsa» di nuove cause di ineleggibilità o di incompatibilità costringerebbe il legislatore ad introdurre una disciplina transitoria per i rapporti elettorali consolidati, con inevitabili conseguenze di ordine costituzionale derivanti dalla restrizione del campo dei diritti di elettorato attivo e passivo già esercitati. Alcuni studiosi hanno definito una normativa transitoria di tale genere «odiosa», proprio perché finalizzata in via esclusiva ad incidere su situazioni giuridiche soggettive perfette, consolidate e a rilevanza costituzionale. A ciò si aggiunga che, come è stato più volte affermato da autorevoli giuristi, l'estensione della normativa sulle incompatibilità, nelle sue diverse ipotesi, simula una espropriazione forzata di beni.
Si è molto discusso in Commissione, con il concorso di autorevoli giuristi di diversa estrazione culturale, sulla copertura costituzionale delle proposte avanzate dalla maggioranza e dall'opposizione.
Il quadro costituzionale di riferimento che è emerso non è certamente di conforto alle tesi più volte sostenute, riconducibili tutte alla inderogabile necessità che la vendita o il blind trust siano l'unico rimedio al conflitto di interessi. Non vi è copertura costituzionale certamente con riguardo agli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione; a mio parere, non vi è copertura costituzionale neanche se si invocano gli articoli 3 e 51 della Costituzione, posto che l'accesso alle cariche elettive non può essere limitato per le condizioni
economiche dei soggetti interessati e ciò non solo nel caso in cui tali condizioni siano deteriori.
La delega che la Costituzione attribuisce al legislatore ordinario al fine di disciplinare e limitare i diritti di elettorato attivo e passivo non è illimitata e non consente di operare valutazioni discrezionali tali da scadere nell'arbitrio. Il principio di ragionevolezza cui si deve informare il legislatore non è indefinito e non può essere utilizzato come pretesto per legittimare situazioni che, a Costituzione invariata, sconfinano sicuramente nell'abuso e nell'arbitrarietà di scelte oltremodo penalizzanti.
Tale ragionamento vale per la definizione della normativa a regime e vale ancor di più per quella da applicare subito, anche con riguardo a posizioni consolidate e legittimate dall'ordinamento.
Tutti questi aspetti sono stati approfonditi in Commissione con assoluta serenità e con piena consapevolezza, non solo da parte della maggioranza, ma anche dell'opposizione. Non si comprende pertanto perché, a fronte di un confronto serio ed approfondito, vi sia stata una repentina battuta d'arresto, che non ha certamente giovato a migliorare il testo sul conflitto di interessi anche con il concorso delle forze di opposizione. Ci saremmo aspettati un puntuale e rigoroso esame del merito del provvedimento e non la semplice enunciazione di principi che, nella loro pratica attuazione, si scontrano con la disciplina costituzionale e - se mi è consentito - anche con il buonsenso.
Il testo licenziato dalla Commissione rafforza intanto il principio generale dell'obbligo di astensione, con particolare riguardo al conflitto di interessi e con il conseguente ampliamento della sua applicazione anche ad ipotesi originariamente non contemplate dal nostro sistema. Viene ampliata la platea dei destinatari; le disposizioni sul conflitto di interessi dovrebbero, infatti, applicarsi non solo ai titolari delle cariche di Governo, ma anche, nelle regioni a statuto ordinario, ai presidenti delle province e ai sindaci delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore ai trecentomila abitanti.
Sotto tale profilo, riteniamo positivo che il Governo abbia posto il problema dell'estensione della normativa alle autonomie locali, in considerazione del fatto che la riforma del titolo V della Costituzione ha disegnato un nuovo quadro istituzionale in cui si articola la Repubblica (lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane ed i comuni), riempiendo di contenuti diversi il principio fondamentale enunciato dall'articolo 5 della Costituzione. L'equilibrio costituzionale su cui si fonda la Repubblica è sostanzialmente mutato: lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane ed i comuni sono articolazioni paritarie della Repubblica. In questo scenario, i loro poteri vanno tutti rinegoziati e, pertanto, disaggregati e riaggregati secondo la nuova disciplina costituzionale. È dunque evidente che la riorganizzazione di tali poteri cambia l'assetto istituzionale nel quale non è più solo lo Stato ad esercitare in via primaria ed esclusiva l'attività di indirizzo politico e di governo, ma a tali attività concorrono, con pari dignità, tutti gli altri soggetti costituzionalmente rilevanti, quali enti primari in cui si articola la Repubblica.
A fronte di questo nuovo scenario non vi è dubbio che si avverta la necessità di prevedere una disciplina del conflitto di interessi adeguata ai nuovi poteri che si affacciano nel nostro ordinamento. Certo, a fronte di una normativa organica che riguarda il sistema delle autonomie locali ci siamo posti tutti la domanda se non sia opportuno stralciare la parte relativa alle autonomie locali, perché venga esaminata unitamente alle inevitabili riforme legislative in attuazione del titolo V della Costituzione. Riteniamo che il tema possa essere affrontato anche in un secondo momento, disciplinando sistematicamente l'intera materia delle autonomie locali e credo che, sotto questo aspetto, il Governo abbia già manifestato la disponibilità a rinviare l'approfondimento della questione.
Il testo prevede, inoltre, un sistema più stringente di incompatibilità tra le funzioni
di governo e le attività professionali o imprenditoriali, pubbliche e private, che giudichiamo positivamente. Non riusciamo pertanto a comprendere - se non nella logica del volere a tutti i costi la vendita forzata - la polemica sull'introduzione del comma 2 dell'articolo 2 del disegno di legge. L'aver precisato che la mera proprietà di un'impresa individuale o di azioni societarie, assolutamente sganciata da ogni genere e tipo di attività di gestione, non costituisce causa di incompatibilità, non significa negare che la stessa determini un conflitto di interessi. Su questo aspetto ritengo sia opportuna una riflessione serena e scevra da posizioni preconcette.
Il testo licenziato dalla Commissione definisce con esattezza cosa deve intendersi per conflitto di interessi e cioè, al di là delle ipotesi dell'atto adottato in condizione di incompatibilità, l'arricchimento del titolare della carica, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, quando tale arricchimento sia avvenuto mediante il compimento di un atto che ha un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale dell'interessato o dei parenti e arrechi un pregiudizio al pubblico interesse. In altri termini, al di là delle ipotesi già contemplate dal nostro ordinamento civile, penale ed amministrativo, sussiste il conflitto di interessi quando viene accertato che l'esercizio del munus pubblico determina l'incidenza diretta e specifica sul patrimonio del governante o dei suoi parenti prossimi, a scapito dell'interesse generale. Non vi è dubbio che l'introduzione di una norma specifica che definisce il conflitto non può escludere l'esistenza dello stesso, anzi ne riconosce la portata, definendo rimedi equilibrati e conformi ai principi della Costituzione.
Ad una più attenta riflessione, l'impianto del disegno di legge sembra ricalcare il sistema americano più di quanto ciascuno di noi non immagini.
Leggendo la relazione del professor Mannoni - più volte citata - sulla legislazione in materia di conflitto di interessi negli Stati Uniti, appare chiaro che nessuna legge federale pone, come regola generale, l'obbligo di alienazione dei beni a carico di titolari di funzioni pubbliche. Nessuna legge federale autorizza alcun organo ad imporre al Presidente o al Vicepresidente degli Stati Uniti o ad altri funzionari governativi di grado elevato, contro la loro volontà, misure come l'alienazione o il blind trust.
Il sistema federale si snoda su alcuni cardini fondamentali: presentare obbligatoriamente una dichiarazione che indichi dettagliatamente il reddito e le proprietà; un sistema di sanzioni duro in caso di omissioni o dichiarazioni incomplete o mendaci; la pubblicità delle suddette dichiarazioni; l'attività di un'autorità garante con il compito di acquisire informazioni e chiarimenti e di esprimere suggerimenti per scongiurare potenziali o attuali conflitti di interessi. Qualora i suggerimenti dell'autorità non vengano recepiti dall'interessato, quest'ultimo informa l'istituzione competente che valuterà discrezionalmente i provvedimenti da adottare. Le sanzioni, nei confronti del Presidente e del Vicepresidente degli Stati Uniti, sono affidate all'opinione pubblica e alle iniziative, anche giudiziarie, dell'opposizione.
Appare pertanto strano l'insistente e, in ogni caso, inappropriato richiamo al modello americano che nei suoi contenuti somiglia molto al testo in esame. Probabilmente, se avessimo accolto l'invito del professor Cassese ad un'istruttoria pubblica sulla materia, avremmo avuto un confronto più incisivo e chiaro. Avremmo avuto chiaro il contesto normativo ed ordinamentale nel quale si colloca il provvedimento. In particolare, a fronte della normativa esistente sul piano civile, penale e amministrativo - che di già regola e sanziona tutta una serie di ipotesi di conflitto -, della normativa che regola le competenze e le funzioni delle autorità indipendenti e tese a tutelare la libera concorrenza (e quindi il trasparente ed equilibrato andamento del mercato, il corretto ed equilibrato accesso ai mezzi di comunicazione di massa, nonché il corretto uso degli stessi), la disciplina da introdurre si integra, ampliando le ipotesi
di conflitto, articolandone il controllo nell'ambito del rapporto fiduciario tra Parlamento ed esecutivo ed introducendo la sanzione più grave, ovvero quella politica, della sfiducia nei confronti del titolare della carica che opera in situazioni di conflitto.
Mi avvio alla conclusione, invitando l'Assemblea ad una riflessione. L'articolo 6 del testo licenziato dalla Commissione conferisce all'Autorità garante della concorrenza e del mercato le competenze relative all'accertamento delle situazioni di incompatibilità, promuovendo l'attivazione delle sanzioni. All'autorità è conferito un potere forte, ossia accertare la sussistenza delle situazioni conflitto di interesse, di controllare e verificare gli effetti dell'azione del titolare delle cariche di governo. L'Autorità ha il potere di segnalare il conflitto al Parlamento, e suggerisce allo stesso le misure idonee a porre rimedio tempestivo alle conseguenze pregiudizievoli e ad evitare il ripetersi del fenomeno.
Una serena lettura del testo dell'articolo 6 avrebbe dovuto far riflettere i colleghi dell'opposizione almeno per tre motivi. Il primo è che l'attribuzione ad un'autorità indipendente preesistente, i cui componenti sono nominati dai Presidenti di Camera e Senato - e che, nel caso di specie, sono stati nominati dai Presidenti di Camera e Senato della passata legislatura -, è la più grande garanzia di nessun «condizionamento politico» sull'autorità indipendente.
Per quanto riguarda il secondo motivo, i poteri dell'antitrust non escludono che l'autorità possa, tra le misure idonee da suggerire al Parlamento, proporre misure drastiche, la cui inoperatività da parte dell'interessato può indurre il Parlamento a sfiduciarlo. Terzo motivo: il controllo sociale dell'azione del Governo. In forza del testo licenziato dalla Commissione, l'opinione pubblica è l'elettore che esercita il controllo sul conflitto di interessi, avvalendosi di un'autorità indipendente che svolge compiti istruttori penetranti, mettendo il Parlamento di fronte alle proprie responsabilità politiche ed istituzionali.
Credo che non comprendere che il meccanismo proposto dal Governo determini l'accensione di un riflettore permanente sulla politica e sulle istituzioni, affinché il rapporto tra politica ed economia sia sempre e comunque trasparente, che determini un controllo sociale forte che controlla e condiziona le istituzioni, credo che il mancato eventuale concorso all'approvazione, nelle forme ovviamente anche di dissenso politico opportuno, da parte dell'opposizione, rappresenterebbe l'ennesima occasione mancata dal centrosinistra, che lo emargina ancora di più dalla maggioranza degli italiani che non ama la radicalizzazione dello scontro politico e del muro contro muro, sempre e comunque. È una strategia perdente che sacrifica il confronto e la dialettica maggioranza-opposizione sull'altare della demagogia e legittima una sorta di sciopero generale mal riuscito della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (CCD-CDU)).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà. Ricordo al collega che dispone di 14 minuti.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, credo che la questione del conflitto di interessi, di cui stiamo discutendo qui da alcune ore - ma se ne discute ormai da anni - sia di grande rilevanza all'interno di un sistema politico-istituzionale liberaldemocratico.
È proprio in questo tipo di sistemi che tale questione si pone, mentre è assolutamente fuori luogo il reiterato riferimento ai regimi comunisti, che ho sentito echeggiare in quest'aula oggi (in particolare, nel vaniloquio - autentico vaniloquio! - del collega Luciano Dussin e, anche se in maniera più indiretta, nell'intervento di qualche altro collega).
L'intreccio tra potere economico e potere politico-istituzionale non nasce oggi, ma attraversa tutta la nostra storia, anche quella repubblicana (e non soltanto la nostra). La questione, già posta esplicitamente, ad esempio, dall'articolo 10, tuttora in vigore, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (testo
unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati), è diventata di rilevanza sempre maggiore negli ultimi decenni, in particolare nelle democrazie anglosassoni (altro che sistemi comunisti!) e nei sistemi maggioritari.
Nel 1994 si pone, in Italia - l'ha ricordato il collega Intini in un intervento di assoluto equilibrio -, il problema della coincidenza nella stessa persona del potere politico, del potere economico e del potere dell'informazione; è vero: è stato un errore - l'hanno detto altri e lo affermo anch'io - non affrontarlo conclusivamente nelle precedenti legislature, in particolare nella scorsa legislatura. Questa riflessione critica è condivisibile ed accettabile (e la faccio anch'io), ma non può costituire una giustificazione per ciò che ci troviamo di fronte oggi.
Vorrei far notare, tuttavia, con critico rispetto, anche nei confronti dell'amico e collega Bruno, che nella scorsa legislatura, in cui vi era una maggioranza di centrosinistra, la presidente della I Commissione della Camera nominò relatore il collega Frattini, oggi ministro, vale a dire un esponente del centrodestra. Questo fece il centrosinistra nella scorsa legislatura, pur avendo una maggioranza di 4, 5 o 6 voti e, in qualche caso, addirittura di 1!
In questa legislatura, pur avendo il centrodestra 100 voti di maggioranza alla Camera, è stato nominato un relatore di centrodestra; anzi, il presidente della I Commissione ha affidato a se stesso il compito di relatore.
Non contesto, ovviamente, le qualità soggettive del presidente Bruno, per il quale ho rispetto e stima anche quando abbiamo opinioni diverse, ma mi è parso quanto meno inopportuno che, fin dall'inizio della sua funzione di relatore, in un'intervista al quotidiano La Stampa, egli abbia accusato di incostituzionalità la proposta di legge dell'Ulivo, prima ancora che questa venisse depositata, richiamando l'ormai famigerato parere di Caianiello, il quale, dal suo punto di vista, tacciava di incostituzionalità tanto l'ipotesi prospettata dall'Ulivo quanto quella contenuta nel disegno di legge del Governo (il collega Giachetti, poco fa, ha fatto anche una citazione testuale).
Anche oggi, 25 febbraio, poche ore fa - ho qui la notizia di agenzia (dell'Ansa) delle ore 19,04 - il relatore, presidente Bruno, ha dichiarato: «Se vogliono lasciare a noi, come maggioranza, l'approvazione del testo, noi lo faremo e loro continueranno a fare il girotondo». L'Ansa ha intitolato: «Conflitto di interessi - Bruno (Forza Italia): noi andiamo avanti; le opposizioni collaborino, altrimenti facciano il girotondo».
Non mi pare una dichiarazione degna di chi in questa Assemblea deve svolgere un ruolo istituzionale, anche se appartiene ad una maggioranza politica. Collega, presidente relatore Bruno, è comunque meglio - anche se non amo queste iniziative esterne (sono molto tranquillo in questa fase in cui molti si agitano) - un pacifico girotondo fuori che non le manette di Alleanza nazionale e il cappio da forca della Lega nord Padania agitati all'interno di questa Assemblea nel 1993. Da parte del centrodestra c'è stato, a mio parere, un continuo arretramento anche rispetto alla stessa proposta di legge Berlusconi presentata nella XII legislatura (vi ricordate il lavoro dei tre saggi?), rispetto alla proposta di legge Berlusconi presentata nella XIII legislatura, rispetto al testo approvato da questa Camera dei deputati quasi all'unanimità nella XIII legislatura nel 1998 (relatore Frattini) e persino - lo hanno ricordato molti colleghi, anche testualmente - rispetto al testo, pure discutibilissimo e per noi inaccettabile, presentato in questa legislatura dal Governo. C'è stata poi, mi dispiace dirlo, in Commissione, una autentica farsa: quella del Comitato ristretto, messa in scena per imporre il testo base.
Ho parecchie legislature alle spalle, ho partecipato a molti Comitati ristretti, non mi è mai capitato, sia quando ho fatto parte della maggioranza (poco, solo nella scorsa legislatura) sia quando sono stato all'opposizione (in tutte le altre legislature), che si sia istituito un Comitato ristretto per fare un'unica seduta ed imporre,
di fronte a sei testi (se non ricordo male), un testo base chiudendo lì. Ma per far questo non occorreva un Comitato ristretto. Al relatore - se aveva questa intenzione - sarebbe stato sufficiente proporre alla Commissione, con la forza dei numeri che il centrodestra ha, l'adozione di quel testo base che ci voleva imporre. Un Comitato ristretto si istituisce perché i membri dei vari gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione lì rappresentati possano discutere per elaborare un testo unificato. È chiaro che il testo unificato può essere elaborato a maggioranza o all'unanimità o con ampie convergenze. Questo lo si verifica nel merito, ma ministro Frattini, presidente relatore Bruno, non si può accusare l'opposizione di non accettare il confronto parlamentare quando alla prima vera occasione di confronto parlamentare, dopo il dibattito generale, il Comitato ristretto si apre e si chiude in poche decine di minuti, imponendo con la forza dei numeri l'adozione del testo del Governo. Il centrodestra sta montando - sentivo anche D'Alia poco fa riecheggiare di nuovo questo linguaggio, ho sentito Cicchitto, Anedda, ho sentito il vaniloquio di Dussin - una campagna demagogica all'insegna dell'esproprio forzato et similia. Anche il ministro Frattini ha detto qualcosa del genere nei giorni scorsi. Il presidente relatore Bruno in quella dichiarazione, che ho citato prima, ha detto anche lui la stessa cosa. Non è serio affrontare un confronto parlamentare continuando a dire «accettiamo il confronto, siete voi che lo rifiutate», e poi continuare con questa campagna demagogica, accusando i rappresentanti dell'Ulivo di essere poco meno che bolscevichi.
Allora, signor Presidente, colleghi - pochi presenti in Assemblea, come sempre nel dibattito sulle linee generali, ma qualcun altro ascolterà fuori o leggerà i testi - , io vi leggo prima il testo dell'articolo 7 della proposta di legge dell'Ulivo, ripresentata a nome di tutti noi dal collega Bressa come relatore di minoranza, e poi qualcos'altro. L'articolo 7 del testo dell'Ulivo, oggi testo del relatore di minoranza, parla di gestione fiduciaria per i valori mobiliari; poi il comma 2 stabilisce che, per le attività patrimoniali di cui all'articolo 3, qualora suscettibili di determinare conflitti di interesse, i titolari di cariche di Governo propongano all'autorità di garanzia, che noi proponiamo (anche voi la proponevate, ma poi l'avete cancellata), nei termini di cui all'articolo 4, comma 1, misure idonee a prevenire il conflitto di interessi; si stabilisce che, entro il termine di cui all'articolo 4, comma 2, l'autorità accetti le proposte dell'interessato o stabilisca, sentita l'autorità antitrust - cito per sintesi -, la Consob e le competenti autorità di settore, modalità alternative. L'autorità di garanzia fa queste proposte.
Qualora tali modalità comprendano la vendita, l'autorità fissa il termine massimo entro il quale essa deve essere completata. Trascorso tale termine l'autorità provvede anche tramite un'offerta pubblica di vendita. Questo è l'esproprio comunista!
Adesso leggerò (non per intero perché è molto lungo e non ho il tempo per farlo), invece, l'articolo 7 della proposta di legge Berlusconi ed altri e vorrei che i colleghi Luciano Dussin, Anedda, Cicchitto, Frattini, Bruno, anche il mio amico Saponara che è in aula e D'Alia leggessero con me l'articolo 7 della proposta di legge Berlusconi ed altri presentata nella XII e nella XIII legislatura: «1. L'attività economica di cui è accertata la rilevanza ai sensi dell'articolo 6, comma 2, è gestita secondo criteri e in condizioni di effettiva indipendenza da direttive del titolare di cariche di Governo interessato o da ogni altra influenza che lo stesso possa, anche in via di fatto, esercitare. 2. Ai fini di cui al comma 1 gli interessati presentano, entro un congruo termine fissato dall'Autorità garante, un piano» - cioè la stessa cosa che propone il testo dell'Ulivo - «che entro determinati tempi e con adeguate modalità, assicuri l'effettivo distacco della gestione delle attività economiche dalla loro influenza. Il piano deve prevedere o la dismissione, totale o parziale, delle attività economiche, o anche la stipulazione di contratti o atti che abbiano ad oggetto il trasferimento fiduciario della titolarità o
del godimento delle attività economiche a persone fisiche o ad un trust. Dunque Berlusconi dice che il piano deve prevedere la dismissione totale o parziale.
Ma proseguiamo con il comma 3. «Il piano è sottoposto all'approvazione dell'Autorità garante. Esaminate in particolare le modalità degli atti di dismissione o di trasferimento fiduciario, nonché le qualità degli aventi causa o dei fiduciari, l'Autorità garante valuta se il piano assicuri il pieno distacco delle attività economiche dalla influenza, anche di fatto, del titolare di cariche di Governo. Qualora tra le attività economiche riferibili al titolare di cariche di Governo ve ne siano talune di cui all'articolo 6, comma 2, lettera b)» (cioè l'informazione, le televisioni) «l'Autorità garante», scrive Berlusconi, «deve preventivamente acquisire il parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In caso di mancata approvazione del piano, l'Autorità garante detta gli indirizzi ed il termine per la modifica ovvero l'elaborazione di un nuovo piano. In difetto, provvede d'ufficio. Fino all'approvazione del piano, le dismissioni e le nomine fiduciarie sono inefficaci. 4. L'Autorità garante, qualora il piano approvato preveda dismissioni, può disporre che, fino alla integrale realizzazione dello stesso, siano scelti dagli interessati uno o più fiduciari provvisori».
Questa è la proposta di legge Berlusconi presentata nella XII e nella XIII legislatura. Allora non potete continuare a dire in modo intellettualmente disonesto, come ho sentito dire da più oratori in quest'aula (ho citato il vaniloquio di Luciano Dussin ma altri, con altro linguaggio, hanno detto la stessa cosa): siete dei bolscevichi o, meglio, dei comunisti che vogliono l'esproprio, perché quanto contenuto nell'articolo 7 del testo alternativo dell'Ulivo è, sia pure con una terminologia tecnico giuridica più sintetica, contenuto nell'articolo 7 della proposta Berlusconi della XII e XIII legislatura. Quindi demagogia, falsità, ipocrisia; una campagna strumentale è stata fatta in quest'aula, sistematicamente, come è stata fatta in Commissione nelle settimane scorse, da chi fa riferimento alla tutela del Presidente del Consiglio Berlusconi e non ha neppure letto le proposte di legge Berlusconi della XII e XIII legislatura. Con una differenza: nella proposta Berlusconi ci si ferma lì; nel testo alternativo dell'Ulivo ci sono due gradi di impugnazione possibili. In altre parole, il testo alternativo dell'Ulivo - ne discuteremo nei prossimi giorni - è enormemente più garantista del vecchio articolo 7 di Berlusconi appena citato, perché l'articolo 12 della proposta dell'Ulivo prevede che, se l'interessato non accetta la deliberazione dell'Autorità di garanzia, può impugnarla dinanzi ad collegio giudicante composto da tre giudici estratti a sorte all'inizio di ogni legislatura tra i magistrati di corte d'appello. E se non accetta neppure la decisione della corte d'appello può impugnarla con ricorso alla Corte di Cassazione, che provvede entro trenta giorni in sezione composta dal primo presidente e da quattro giudici estratti a sorte tra i magistrati della Corte stessa.
Queste sono le garanzie che propone l'Ulivo! Qui, invece, abbiamo sentito parlare di esproprio forzato, di vendita coatta, di logica comunista, di demonizzazione e così via. Per questo sostengo che è strumentale la campagna che si sta conducendo rispetto a tutto questo, e che è ipocrita parlare di confronto parlamentare, confronto che sono sempre stato pronto ad accettare e che ho chiesto fin dal dibattito sulle linee generali in I Commissione. In quella sede ho chiesto che si arrivasse ad un confronto tra i vari testi, ad un vero Comitato ristretto, che non ci fosse un arretramento almeno su uno dei punti...
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la invito a concludere.
MARCO BOATO. ...che potevano costituire un terreno di confronto. Non mi sembra, signor Presidente, che oggi si sia di fronte ad un testo in grado di affrontare la questione decentemente, e lo dico senza nessuno spirito vendicativo, senza nessuna ipotesi di demonizzazione. Ho citato i testi
Berlusconi per questo, amico D'Alia: hai iniziato il tuo intervento dicendo che tutto questo è strumentale e demagogico. Ho citato i testi Berlusconi! Non mi pare che i testi che oggi abbiamo di fronte abbiano la possibilità di affrontare tale questione. Nella relazione che introduceva il testo del Governo in ottobre si diceva che il problema del conflitto di interessi era reale. Anche sotto il profilo etico - anche se Caianiello ha considerato questo poco meno che fascista....
PRESIDENTE. Onorevole Boato, deve concludere....
MARCO BOATO. Signor Presidente, concludo subito. Il Presidente Casini ci aveva assicurato, quando abbiamo posto il problema di qualche «sforamento», che questi sarebbero stati ammessi...
PRESIDENTE. Onorevole Boato, c'è anche un problema di resistenza umana....
MARCO BOATO. Signor Presidente, la capisco, ma sono l'ultimo a prendere la parola ed ho ascoltato tutti i colleghi.
Mi verrebbe da dire evangelicamente: fate ciò che dicono, non fate ciò che fanno. Quello che infatti è riconosciuto nel testo della relazione non trova poi concreta traduzione nel testo normativo, e quel poco che c'è nel testo normativo ha subito un continuo arretramento negli emendamenti che, a maggioranza, sono stati imposti alla Commissione (dopo non aver cercato affatto il confronto nel merito). Il collega Bressa, (rispondo a chi diceva che facevamo discorsi comunisti), ha citato non so quante sentenze della Corte costituzionale degli anni settanta su questi argomenti (riprese anche oggi).
PRESIDENTE. Onorevole Boato, se ora cita anche la giurisprudenza...
MARCO BOATO. Di fronte a tutto questo, nulla è stato disposto: si sono approvati uno dopo l'altro emendamenti ulteriormente peggiorativi del testo e ci si è poi meravigliati se, a quel punto, abbiamo deciso di non proseguire in quella che diventava praticamente una farsa. Affronteremo compiutamente ed a tutto campo il confronto qui in aula, con emendamenti tutti e solo...
PRESIDENTE. Onorevole Boato, ora deve concludere.
MARCO BOATO. Signor Presidente, la prego di farmi almeno terminare la frase.
PRESIDENTE. Si immagini se le tolgo il gusto di concludere la sua dissertazione. Non avrei il coraggio!
MARCO BOATO. Se l'esito del dibattito in Assemblea sarà lo stesso di quello ottenuto in Commissione, cioè quello di fingere il confronto per poi imporre con i numeri sempre e solo il volere della maggioranza, non credo - ma lo verificheremo nei prossimi giorni (ripeto che ho sempre accettato e cercato il confronto parlamentare) - che la maggioranza potrà ottenere la nostra connivenza in un'operazione che diventerebbe impresentabile. Ci sono tre giorni e molte ore di fronte a noi, molte possibilità per sottoporre a verifica questo lavoro. Compiremo tale verifica, ma ovviamente dovremo poi anche trarne le conclusioni. La ringrazio anche della sua pazienza, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Boato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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