Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 90 del 31/1/2002
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(Tutela dei livelli occupazionali nel gruppo Fiat - n. 2-00181)

PRESIDENTE. L'onorevole Lettieri ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00181 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, la situazione internazionale ha sicuramente sconvolto il mercato mondiale dell'auto, coinvolgendo anche la realtà produttiva italiana dopo l'accordo della Fiat con la General Motors.
La nuova filosofia di costruzione che determina l'assemblaggio di pezzi di auto costruiti in paesi differenti - si costruiscono pezzi in Brasile che poi vengono assemblati in stabilimenti italiani - crea problemi nuovi, inediti e legittime preoccupazioni per i livelli occupazionali e per i diritti dei lavoratori anche nel nostro paese e non soltanto nei paesi in via di sviluppo che, a sud o ad est del mondo, sono coinvolti in queste produzioni decentrate. A tale fenomeno, determinato da una globalizzazione selvaggia e senza regole, si aggiunge la scelta della Fiat di cedere una parte della produzione ad imprese non direttamente dipendenti da Fiat auto. Ciò accade non solo in Brasile, lo ripeto, ma anche a Melfi. In pratica la Fiat, da originario fabbricante di auto e detentore del marchio, mira a mantenere il marchio, la struttura di ricerca e progettazione, il marketing, la rete di vendita e di servizi finanziari cedendo tutto il resto, cioè la fabbricazione dei vari pezzi fino all'assemblaggio, ad imprese esterne e a subfornitori. Ciò ha determinato, nell'arco di pochi anni, la riduzione di oltre ventimila unità direttamente dipendenti da Fiat auto. In pochi anni ha mutato quindi radicalmente il volto e la struttura quantitativa, qualitativa e geografica della Fiat auto.
Questo, a nostro avviso, è soltanto l'inizio. Perciò, comprendiamo le preoccupazioni e le lotte dei lavoratori metalmeccanici. Si pongono sicuramente problemi di contrattazione sovranazionale e, per quanto riguarda l'indotto, problemi di contrattazione unitaria per l'intero comparto dell'indotto Fiat. Intanto, mentre la Fiat realizza nuovi insediamenti in Cina e di India - dove non si applicano, com'è noto, le stesse condizioni di lavoro esistenti in Italia -, si chiudono, in altre parti del mondo, diciotto stabilimenti e a Melfi, dove c'è lo stabilimento più moderno, costruito, com'è noto, con alcune migliaia di miliardi di fondi pubblici, si riduce il numero degli addetti direttamente dipendenti dalla Fiat-Sata e si chiudono, invece, alcune aziende dell'indotto di terzo livello come la AS di Atella, vittima del fatto che il suo committente, cioè un'azienda di secondo livello, ha deciso di trasferire la propria produzione in Tunisia e in Turchia. Ovviamente ciò ha messo sul lastrico centinaia di persone.
Inoltre, la Fiat fa affari con la francese Edf costituendo la società Italenergia, alla quale, si badi bene, la Fiat vende la società Fenice che gestisce il mega inceneritore realizzato nella zona industriale di Melfi con il contributo dello Stato previsto nel famoso contratto di programma che includeva il finanziamento della costruzione sia dello stabilimento Sata sia del mega inceneritore, realizzando, quindi, un doppio affare.
La diversificazione delle attività e degli investimenti del gruppo FIAT possono essere considerate positive; noi, come gruppo della Margherita, come Ulivo, insieme ai colleghi che hanno firmato questa interpellanza, cioè i colleghi Boccia e Grandi, siamo interessati alla solidità del più grande gruppo industriale italiano ed al suo destino; allo stesso tempo, abbiamo anche il dovere di preoccuparci per i riflessi delle sue scelte sul mondo del


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lavoro, dell'economia, della finanza e, nel caso che ho citato riguardante l'inceneritore Fenice, sull'ambiente.
Le ultime decisioni da parte della FIAT di procedere ad una ricapitalizzazione e l'andamento negativo, che dura ormai da un anno, del titolo in borsa, sono elementi che non possono essere sottovalutati, non soltanto per la doverosa tutela dei lavoratori, ma anche dei risparmiatori.
Ci preoccupa inoltre il processo di eccessiva finanziarizzazione dell'economia italiana, nell'ambito del quale, anche se qualcuno le ritiene coraggiose, si inseriscono certamente le decisioni assunte recentemente dai vertici FIAT - ne ha parlato tutta la stampa nazionale ed internazionale - con in testa, ovviamente, la famiglia Agnelli che, come noto, i suoi affari li ha sempre saputi ben coltivare in tutti i tempi, non solo nella storia repubblicana.
A mio avviso il Governo non può, in omaggio ai potenti o ad un liberismo sfrenato, disinteressarsi di quanto accade nel pianeta FIAT, soprattutto per i risvolti occupazionali che riguardano, lo voglio sottolineare, decine e decine di migliaia di famiglie italiane al nord, al centro ed al sud del nostro paese.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le attività produttive, onorevole Mario Valducci, ha facoltà di rispondere.

MARIO VALDUCCI, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'interpellanza presentata dagli onorevoli Lettieri, Boccia e Grandi sottolinea un aspetto importante per il nostro paese, cioè il rischio di una deindustrializzazione legata al fenomeno della globalizzazione e ad ulteriori fattori che spingono il comparto industriale del nostro paese a trasferirsi in altre sedi.
Il Ministero, sia nel settore dell'auto, sia in altri settori, come quelli della siderurgia e della chimica, è impegnato per cercare di giungere alla redazione di accordi di programma che realizzino la compatibilità ambientale di questi stabilimenti industriali con le esigenze di una mutata società, esigenze sicuramente cambiate rispetto agli anni cinquanta, sessanta o settanta quando, nel nostro paese, è sorta l'industria di quei comparti.
Il Ministero seguirà con particolare attenzione gli sviluppi della crisi dell'auto, che adesso brevemente ricorderò per quanto riguarda i suoi ultimi sviluppi.
Il piano di ristrutturazione, approvato dal consiglio di amministrazione straordinario della FIAT il 10 dicembre dello scorso anno, si colloca nell'ambito di una difficile situazione del quadro macroeconomico caratterizzato da una continua contrazione nella crescita dell'economia, con il calo della domanda, della produzione industriale e del grado di utilizzo degli impianti. Tale situazione ha notevolmente inciso sull'attività della FIAT al termine di un anno in cui le sue difficoltà erano già emerse. Inoltre, la FIAT sconta una situazione competitiva sempre più difficile, a fronte di una significativa riduzione dei volumi di vendita per alcuni rami di affari e di politiche commerciali sempre più aggressive da parte dei principali concorrenti.
È da aggiungere, poi, che nel settore auto, in generale, i prezzi praticati sono stati sempre più bassi rispetto ad un mercato stabile dell'anno 2001: anche in tal caso, evidentemente, la competitività in un mercato più ampio ha fatto sì che vi sia stato l'ingresso, anche per quanto riguarda il comparto nazionale, di industrie d'oltreoceano e orientali che sicuramente hanno fattori critici e fattori primari di produzione sicuramente più competitivi rispetto a quelli presenti nell'industria nazionale. Questa condizione ha coinvolto la maggior parte dei costruttori, pesando maggiormente sulla FIAT che partiva da livelli di redditività più bassi. In questo quadro, il programma approvato è da ritenere un normale progetto di ristrutturazione per reagire ai nuovi scenari di crisi venutisi a creare dopo i noti attentati dell'11 settembre, con un piano di riassetto che interessa sia l'auto sia le altre principali attività industriali.
Nel merito, le misure di riassetto decise prevedono una riorganizzazione con la


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suddivisione della principale subholding FIAT auto in quattro divisioni autonome: FIAT Lancia, Alfa Romeo, sviluppi internazionali e servizi. Nel gruppo, complessivamente, si prevede nei prossimi due anni il ridimensionamento di 18 stabilimenti, di cui due in Italia, con la perdita di 6000 posti di lavoro, tutti all'estero, e la possibilità di utilizzo nel nostro paese dei vari strumenti di flessibilità disponibili che potranno vedere, caso per caso, anche la redazione di accordi di programma, per far sì che i livelli occupazionali del nostro paese rimangano invariati.
Per il settore auto, che soffre ancora di una capacità produttiva eccessiva ed ha una struttura di costi fissi pesanti, difficilmente comprimibili, la flessione del fatturato ha forti effetti sulla redditività. Per questo motivo, tale settore è stato considerato quello che richiede interventi più urgenti.
In particolare, per la FIAT auto è previsto il ridimensionamento della presenza in Argentina, la conferma del trasferimento della produzione di Rivalta e Mirafiori e una serie di azioni di razionalizzazione, con l'obiettivo di raggiungere, l'anno prossimo, un utilizzo della capacità produttiva del 90 per cento contro l'attuale 70 per cento circa.
Per la Iveco si prevede la chiusura di alcuni impianti all'estero, con il trasferimento in Brasile delle produzioni realizzate in Argentina. Si procederà, inoltre, alla riduzione del numero degli stabilimenti, da 39 a 36, per la società caposettore nel comparto macchine agricole e movimento terra. Delle tre chiusure ipotizzate, due sono previste in USA ed una in Europa.
Dal punto di vista finanziario, il piano è stato incentrato sull'esigenza, posta dall'indebitamento del gruppo, di ricostruire la necessaria ed idonea liquidità. Sotto questo profilo, il piano inciderà per 800 milioni di euro sul bilancio 2001 del gruppo, con un risultato in perdita molto negativo, riducendo l'utile operativo ad una cifra compresa fra i 300 e i 350 milioni di euro.
Nel mondo degli analisti finanziari il piano è stato ritenuto un intervento improcrastinabile e si registrano giudizi positivi sulla possibilità che la ristrutturazione decisa possa raggiungere gli obiettivi di un più basso punto di pareggio quando il mercato tornerà a crescere.
Secondo una prima valutazione, il piano è stato considerato dal Ministero delle attività produttive come una scelta necessaria per affrontare tempestivamente i problemi finanziari e patrimoniali e conferma l'intenzione dell'azienda di consolidare l'auto come core business, rilanciando un marchio come l'Alfa Romeo.
Ricordo, infine, che il Ministero, proprio per la rilevanza e la storia dell'industria italiana nel nostro paese, guarderà con attenzione ai futuri sviluppi, per avere sempre come obiettivo il mantenimento dei livelli occupazionali nelle diverse aree geografiche del nostro paese, che sono tutte interessate - come l'onorevole Lettieri ha ricordato - dalla presenza di questo importante gruppo industriale.

PRESIDENTE. L'onorevole Lettieri ha facoltà di replicare.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, purtroppo, non posso dichiararmi soddisfatto, perché il dato occupazionale non è affatto garantito dalle scelte e dal piano industriale di riassetto avanzato dai vertici FIAT. Anzi, ho appreso, anche con amarezza, come la FIAT aiuti i nostri connazionali in Argentina, visto che vuole chiudere lo stabilimento in Argentina per trasferirlo in Brasile, dimenticando che la metà della popolazione argentina è italiana o di origine italiana.
Certo, il problema è molto più complesso e riguarda la politica che i cosiddetti paesi industrializzati devono adottare nei confronti dei paesi in via di sviluppo, come l'Argentina, che si trovano in difficoltà drammatiche. Tuttavia, non si può essere indifferenti anche rispetto alla situazione che si è determinata. È intollerabile - ed è più comodo - trasferire le aziende in Tunisia, in Turchia o, come in questo caso, in Brasile, o costruirne di


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nuove in India o in Cina, dove le condizioni di vita dei lavoratori sono quelle che conosciamo.
Dico con molta franchezza che un Governo di un paese moderno e democratico come il nostro non può non portare nelle sedi competenti questa esigenza perché si stabiliscano a livello internazionale accordi per non favorire questo decentramento produttivo.
Per quanto riguarda l'Italia, devo dire che le assunzioni negli stabilimenti FIAT, anche quelle a tempo indeterminato, sono di fatto bloccate. Negli stabilimenti più moderni, come quello di Melfi, le assunzioni fatte a tempo determinato non sono state trasformate in assunzioni a tempo indeterminato. Vi è un elemento vero di preoccupazione, quindi mi permetto di sollecitare il Governo a verificare e monitorare la situazione nel corso del tempo per fare in modo che il gruppo FIAT, con la sua politica di decentramento nei paesi esteri che si ritengono più convenienti, non danneggi l'industria e il mondo dell'occupazione nel nostro paese. Allo stesso tempo mi permetto di sottolineare che, in sede di concertazione, si dovrebbe invitare la FIAT ed il mondo imprenditoriale e sindacale a fare in modo che il contratto riguardi anche l'indotto, non soltanto quello di primo livello, ma anche quello di secondo e terzo livello. Altrimenti, casi come quelli citati della AS di Atella si ripeteranno e molti lavoratori saranno licenziati.

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