Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 82 del 14/1/2002
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Informativa urgente del Presidente del Consiglio dei ministri sulle linee di politica estera ed europea del Governo (ore 15,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Presidente del Consiglio dei ministri sulle linee di politica estera ed europea del Governo, per la quale è prevista la ripresa televisiva diretta.
Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi.

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri ad interim. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la posizione dell'Italia in Europa è salda come sempre e forse più di sempre. Il Governo e la sua politica estera godono di ottima salute e non sarà una febbriciattola mediatica, giocata su qualche pregiudizio alimentato in casa nostra e da casa nostra, a modificare il quadro clinico.
Il Presidente del Consiglio farà fronte con impegno e con entusiasmo all'interim responsabilmente assunto in un momento delicato e al compito di guida della nostra diplomazia e lascerà il campo alla personalità adatta a guidare la nuova Farnesina


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non appena saranno state poste le basi di un necessario riorientamento e aggiornamento del nostro modo di stare a testa alta, cooperativi e competitivi nel consesso delle nazioni.
Può dispiacere ad una parte dell'opposizione, che proprio sulla questione delicata della politica estera ha cercato di imbastire un ennesimo scontro, ma le cose stanno precisamente così.
«Molto rumore per nulla» è il titolo della rappresentazione nuovamente messa in scena nel teatrino domestico della piccola politica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI).
Al dottor Renato Ruggiero desidero manifestare, ancora una volta e qui, la mia stima, la gratitudine per l'ausilio prezioso dato al Governo soprattutto nella sua fase di avvio e per il buon lavoro svolto in sintonia con Palazzo Chigi e in collaborazione con il Parlamento, ma anche per il modo corretto e signorile con cui ha lasciato la sua posizione di titolare della diplomazia italiana (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI).
Questa posizione l'aveva assunta con generosa disponibilità che, però, lui stesso aveva dichiarato essere a tempo limitato per ragioni e per impegni personali (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).
Anche per questo, dopo il varo della convenzione che dovrà avanzare le proposte per una Carta europea e dopo l'avvio effettivo della moneta unica, abbiamo deciso di comune accordo - ripeto, di comune accordo - la cessazione della collaborazione per aprire una nuova fase di energica innovazione nella proiezione esterna del nostro paese.
Vi sono state, come è naturale e fisiologico, divergenze di carattere (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Minoranze linguistiche), ma per sei mesi il Governo ha lavorato alacremente per realizzare gli interessi nazionali (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI).
Da Presidente del Consiglio ho dedicato quasi il 60 per cento del mio tempo alla politica estera (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Ho avuto l'opportunità di presiedere il G8 di Genova (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo) ed il vertice di Trieste dei diciotto paesi dell'iniziativa centroeuropea. Ho sostenuto quasi cento incontri ufficiali (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo) ed un'infinità di contatti e conversazioni, stabilendo rapporti di cordialità e di amicizia con i principali protagonisti della politica europea ed internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Nessuna cancelleria europea e mondiale ha mai dubitato del diritto del Governo italiano di stabilire in piena autonomia la rotta della sua politica estera e di scegliere, in questa nuova fase, nuove idee, nuovi strumenti e nuove personalità per realizzarla.

ELENA EMMA CORDONI. Nuovi ministri!

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri ad interim. Noi, sia ben chiaro, offriamo e chiediamo chiarimenti, su un piano e su un piede di parità assoluta, agli interlocutori seri e cooperativi del nostro sistema di alleanze. Ma nessuno - ripeto nessuno - può pensare di metterci sotto tutela o, peggio, di trattarci come dei soggetti a sovranità limitata (Vivi, prolungati applausi dei gruppi di Forza Italia, di


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Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI).
Se un politico un po' gigione ci dà le pagelle solo perché si sente rafforzato dalla Presidenza di turno, ci limitiamo a sorridere come sempre facciamo di fronte alle battute goffe e fuori posto.
Il prestigio di un grande paese ed il senso dello Stato della sua classe dirigente si affermano anche e soprattutto così, facendo quel che si deve fare e lasciando al loro destino la chiacchiera inutile, la maldicenza sulle persone, la diffamazione basata sul nulla (Commenti del deputato Cima).
Voglio sperare, perciò, che l'opposizione sappia ora chiudere il capitolo delle ripicche e delle polemiche strumentali per ragionare insieme a noi, senza l'assillo della propaganda, su come si deve costruire la nuova Europa e sul ruolo dell'Italia in questa opera di integrazione politica. Se non sarà così, resteranno il rammarico per l'ennesima occasione perduta e la preoccupazione per il danno che si arreca al paese. Ma chi non sa distinguere tra il vantaggio di parte e l'interesse generale, in un momento in cui è necessario un nuovo slancio nazionale, il danno maggiore lo arreca a se stesso (Commenti del deputato Bindi).
Come ho detto quando chiesi la vostra fiducia, colleghi deputati, sulla base di un programma convintamente - direi schiettamente - europeista, l'impegno di questa maggioranza è di cambiare l'Italia, di modernizzare lo Stato, di rilanciare l'economia dando più potere e responsabilità agli individui, rimuovendo gli ostacoli al progresso e all'innovazione. Tutto questo non si può fare da soli, senza restare saldissimamente agganciati all'Europa.
L'euro funziona - questa è una verità bella e, ormai, incontestabile - e la moneta è già un simbolo popolare per i cittadini del continente: tutto ciò è evidente e l'ultima appassionata e ferma testimonianza della nostra volontà europeista l'ha data, per tutti e a nome di tutti, il Capo dello Stato nel suo discorso di capodanno (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania, Misto-Nuovo PSI e del deputato Castagnetti).
Il vero problema politico urgente, quello che compete più direttamente alla nostra responsabilità, è come stare in Europa, che cosa fare in Europa e nel mondo in questa nuova fase, dopo il varo dell'euro e di fronte a questioni integralmente nuove, anche per le ombre lunghe che pesano sul mondo dopo i tragici avvenimenti dell'11 settembre.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri un giornale francese, che non è mai parco di lezioni europeiste, ha pubblicato in prima pagina un commento che inizia con queste parole: «Creando l'euro, gli europei hanno scritto una pagina essenziale della loro storia ma, parafrasando Marx, si potrebbe dire che non sanno di che pagina si tratti. Nessuno sembra in grado di sapere se l'euro chiuda il lungo processo di integrazione economica cominciato con i Trattati di Roma o se apra un nuovo ciclo di integrazione politica».
Il Governo italiano presume di sapere, sulla base di una tradizione e di una cultura di riferimento solidissime, che nel nostro futuro c'è, appunto, un lungo ciclo di integrazione politica ma sappiamo altresì che la natura, la dimensione, i tempi, le procedure, il profilo costituzionale di questo ciclo di integrazione non sono un libro già scritto da autore ignoto, un manuale di prescrizioni e dogmi che si debba applicare senza discutere.
Il futuro dell'Europa politica nascerà dal lavoro comune delle istituzioni elettive europee, dai Parlamenti e dai Governi in primo luogo, con il contributo della Commissione esecutiva e della Convenzione di Bruxelles, degli uomini e delle donne della cultura, del diritto, della diplomazia, della società civile e dell'impresa e, anche, con la collaborazione di tutte le forze secolari e di tutte le istituzioni religiose che ci ammoniscono, a giusto titolo (Una voce dai banchi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo: «Bravo!»), come ha ricordato proprio in questi giorni il Papa Giovanni Paolo II, contro il pericolo di dar vita ad


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un organismo senza memoria e senz'anima (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
L'Europa sarà, naturalmente, una costruzione laica ma la vera laicità, come insegna il meglio della nostra storia nazionale, sta nel riconoscere, accanto al ruolo autonomo dello Stato, la dimensione etica e spirituale, la tradizione cristiana nella vita della società e, quindi, il posto eminente delle chiese: la religione, insomma, non è e non può essere soltanto un eccetera (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Sul programma d'azione per un'Europa politicamente integrata, per quella che è stata definita autorevolmente una federazione di Stati nazione, la discussione è aperta e, per quel che riguarda l'Italia, siamo convinti ed affermiamo qui che non può e non deve essere ristretta alla sola maggioranza.
Non sarà breve tale discussione e andrà di pari passo con l'allargamento controllato e bilanciato del numero dei membri dell'Unione, culminerà con le proposte per un manifesto costituzionale della nuova Europa, di cui abbiamo proficuamente parlato con molti Capi di Governo e, in questi giorni, con il ministro spagnolo Pique e con il Presidente della Convenzione Giscard d'Estaing.
Entro la fine del mese, l'Italia designerà i suoi delegati alla Convenzione, che lavoreranno, per nostro mandato, sotto la guida della Presidenza e in collaborazione con un uomo di Stato italiano, Giuliano Amato, al quale portiamo, da sempre, una sincera stima personale. Lo avremmo voluto presidente e come tale lo avevamo indicato (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo) e, se gli equilibri del Consiglio hanno imposto il ruolo di vicepresidente, non per questo il suo contributo e il suo apporto ai lavori della Convenzione saranno meno preziosi e determinanti.
Non si può mettere il carro davanti ai buoi e disegnare astrattamente, a tavolino e da soli, il progetto della nuova Europa, dicendo come si dovranno prendere le decisioni e se debba scomparire o modificarsi la regola dell'unanimità nei dossier più importanti, ipotizzando quali saranno i tempi effettivi e i modi dell'allargamento stabiliti adesso solo in linea di massima.
Non si può, già oggi, annunciare, improvvisando sul nulla, cosa ne sarà di questioni che ancora risultano opinabili per molti Stati e Governi. Ne cito alcune decisive: la piena liberalizzazione del settore energetico; la riforma del mercato del lavoro e del sistema del welfare; il destino della politica degli aiuti all'agricoltura; l'armonizzazione fiscale; le nuove regole sovranazionali della corporate governance; la politica estera comune; la politica comune di difesa nell'ambito della NATO, mentre è già stata avviata l'istituzione di un corpo militare europeo per il peacekeeping e per il peace enforcing, vale dire per l'intervento là dove si aprono crisi regionali nel mondo.
L'Europa politica è un compito troppo complesso per essere lasciato alle liti da cortile e ai toni da fanfara della propaganda. Come ha scritto l'onorevole Giorgio Napolitano, non bisogna mai cadere in un acritico ossequio al culto di un'Europa ancora, per tanti aspetti, da riformare e da costruire.
Ciò che sappiamo bene è che noi lavoriamo affinché l'integrazione politica sia fondata su una più ampia base di consenso e di legittimazione, perché nessuna statualità europea può davvero affermarsi senza una cittadinanza europea a pieno titolo.
Il compito della Convenzione - ha affermato, a Berlino nel novembre scorso, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi - avrà successo solo se espressione di una visione dinamica dell'avvenire dell'Unione europea. Nel disegnare il quadro delle riforme - ha ricordato, ancora, il Capo dello Stato - sarebbe controproducente rappresentare in termini di antagonismo l'indispensabile sinergia tra gli aspetti sovranazionali e quelli intergovernativi


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nel processo unitario europeo. Possono procedere entrambi in parallelo, non dimenticando l'intuizione e l'insegnamento dei padri fondatori. Ogni qual volta divenne loro chiaro che la cooperazione intergovernativa non garantiva progressi duraturi, la sovranazionalità costituì lo sbocco fecondo.
Noi, da parte nostra, continueremo a lavorare contro ogni visione dirigistica, centralistica e burocratica del processo di integrazione.
Deve sempre prevalere, in ogni rapporto tra il centro e la periferia del sistema - anche quando si tratta di un federalismo tra nazioni sovrane, tra patrie -, il principio generale della sussidiarietà, in base al quale il centro del sistema fa solo quello che non può fare la comunità di livello inferiore.
È anche aperto il campo delle cosiddette cooperazioni rafforzate. D'altra parte, l'euro a 12 è una cooperazione rafforzata che non esclude, anzi implica, la massima attenzione per le scelte future di chi è rimasto fuori, come l'Inghilterra, la Svezia, la Danimarca. Ma l'Europa del direttorio e dell'esclusione sarebbe un animale nato zoppo, un clamoroso errore strategico per chi perseguisse tale obiettivo.
L'Italia saprà far sentire la propria voce per tutelare l'interesse nazionale di pari passo con l'interesse comune ad un'integrazione spedita ed efficiente, ma solidamente legittimata, passo dopo passo. Noi non abbiamo niente da spartire con l'euro-furore dei nuovi convertiti, perché il nostro programma di coalizione e di Governo, ratificato ed integrato dal Partito popolare europeo nella sua piattaforma generale di Berlino, esprime un'antica tradizione europeista di matrice degasperiana che procede tranquilla e sicura di sé nelle nuove condizioni del mondo, a quasi 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale che ebbe nell'Europa il suo infausto epicentro.
Come italiani, noi abbiamo dei motivi in più per essere europei: Roma, infatti, ha creato quel diritto e quella cultura che hanno fatto delle differenti etnie europee dei cives romani ed ha introdotto in Europa e nel Mediterraneo il principio di cittadinanza che è alla base dell'attuale edificio dell'Unione europea. Esiste per noi, come italiani, una certa religione dell'Europa: la convinzione che il suo fondamento ultimo non nasce dalla politica ma dal cristianesimo, che fuse ellenismo e romanità (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Il Governo che ho l'onore di presiedere guarda come a un suo ideale punto di riferimento al costruttore italiano dell'Unione europea: De Gasperi, l'uomo che introdusse l'Italia nel Patto atlantico nel 1949 e nella NATO nel 1952 e che comprese come l'unità dell'occidente, salda barriera ideale contro il nazismo e contro il comunismo, dovesse produrre in Europa un fenomeno di unità civile; quell'unità religiosa, culturale e civile, che con il nome di occidente univa i popoli di qua e di là dell'Atlantico, doveva essere anche la base dell'Unione europea.
Il Governo sente la sua continuità con i governi del passato che, contro la sinistra, portarono l'Italia ad essere membro dell'Unione. I nostri motivi di convinzione nell'Unione europea vanno, dunque, al di là dei singoli fatti. Noi crediamo nell'Europa, la consideriamo un ideale, un'ambizione, una volontà, una necessità, ma dobbiamo distinguere chiaramente la nostra fede dal fideismo e dal massimalismo europeista acritico e dogmatico.
È grande, quindi, il contributo che l'Italia può dare alla costruzione europea. Il contributo che l'Italia vuole dare e darà con ferma determinazione consisterà anche nel battersi per un Europa meno rigida e meno ingessata: un'Europa capace di riformare, nel senso di un'economia sociale di mercato, le sue cattive abitudini; un'Europa capace di rendersi più competitiva, di creare lavoro e ricchezza, di investire nello sviluppo e nella tecnologia, per tenere il passo dell'economia americana e del mercato globale; un'Europa capace di sostenere le protezioni sociali necessarie, ma anche di abbattere i privilegi


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e gli status corporativi ereditati da una vecchia concezione dell'economia, socialista e laburista e per niente liberale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
La sinistra più avanzata - dobbiamo riconoscerlo - ha compiuto la sua riforma liberale in Europa. Noi ci aspettiamo che anche la sinistra italiana, quando sarà uscita dal bozzolo del rancore verso i vincitori delle elezioni politiche, riesca a fare altrettanto. Prima sarà, meglio sarà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania)!
Basta pensare all'imbarazzo in cui devono trovarsi certi dirigenti sindacali, impegnati in un ciclo di scioperi dall'incerta caratterizzazione sociale e dalla sicura caratterizzazione politica, nell'apprendere che l'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania)...

GIUSEPPE PETRELLA. Ma che dici?!

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri ad interim. ...da loro tanto sbandierata chiederà apertamente, domani stesso a Strasburgo e per bocca della Commissione presieduta da Romano Prodi, politiche di innalzamento dell'effettiva età pensionabile e di decremento della pressione fiscale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
L'interim alla Farnesina durerà il tempo strettamente necessario per valorizzare al meglio la nostra antica e sapiente rete diplomatica, cogliendo gli elementi di riforma e di innovazione che sono oggi necessari, senza rinunciare al valore di una tradizione che onora l'Italia e che ha assicurato al paese grandi servigi e grandi successi.
Tutti gli Stati nazionali sanno gestire insieme - spesso al meglio - l'interesse dei loro sistemi economici, delle loro reti produttive e di mercato, con quelli comuni dell'Europa: dobbiamo saperlo fare meglio anche noi.
Dobbiamo essere orgogliosi di quanto creiamo e produciamo con il nostro lavoro; dobbiamo saper vendere, senza complessi, il prodotto del nostro talento e della nostra creatività, almeno come i nostri partner vendono il loro, e per far questo occorre stare sui mercati con tutta la forza e tutto il peso politico, economico e culturale che esprime la nazione.
Qualcuno ha fatto dell'ironia sul made in Italy e sui diplomatici costretti a fare gli agenti di commercio. L'ironia è sempre una bella cosa, ma ritengo che qui sia proprio fuori luogo: qui è segno di miopia, distrazione o, peggio, ignoranza e pregiudizio. Chiedete ai diplomatici francesi, inglesi, americani, spagnoli e vi risponderanno che la via del commercio è da secoli una delle vie maestre - se non la via maestra - attraverso cui si realizzano gli scopi della politica estera e della presenza nazionale nel mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI).
L'altro grande tema sul quale faremo sentire la nostra voce è quello delle libertà e dei diritti: non della libertà e dei diritti dei potenti, come dicono i nostri denigratori (Dai banchi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, si grida: «Noo!»), ma di tutti i cittadini, compresi quei cittadini extracomunitari che in Europa voglio vivere e lavorare legalmente (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Che l'Europa possa diventare la nuova frontiera del giustizialismo o di altre forme di intolleranza verso la dignità della persona è per noi escluso in linea di principio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
La battaglia contro vecchie e nuove forme di illegalità, contro la criminalità organizzata, il riciclaggio e la corruzione (Una voce dai banchi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo: «Imbroglione!»), insieme con una radicale e coraggiosa


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lotta al terrorismo in tutte le sue forme, non deve essere confusa con una reviviscenza inquisitoria, irrispettosa del diritto alla difesa e del sacro principio della presunzione di innocenza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Dovremo certo costruire uno spazio giuridico e giudiziario europeo, ma dovremo farlo nella chiarezza e nella coerenza dell'ordinamento, con l'obiettivo di associare la durezza nell'opera di contrasto all'illegalità a un deciso rafforzamento delle regole dello Stato di diritto. L'Europa che l'Italia vuole costruire è un'Europa della sicurezza, un'Europa della legalità, un'Europa dell'ordine, ma anche un'Europa fondata rocciosamente sull'habeas corpus e sulle libertà della persona. (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo ha fatto in sei mesi tutto quello che si era impegnato a fare nei confronti degli elettori e del Parlamento (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo). Su cento provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri, grazie alla perseveranza e alla compattezza della maggioranza - che qui voglio ringraziare - quarantaquattro sono divenuti leggi dello Stato.

GABRIELE FRIGATO. Bravo!

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri ad interim. Senza l'impegno del Vicepresidente Fini e dell'intero Consiglio dei ministri, senza l'impegno tenace, appassionato, assiduo dei parlamentari della maggioranza, non avremmo potuto battere alcuni record di tempestività e di quantità nell'azione di governo (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, gli tolga la parola!

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri ad interim. In alcuni casi è arrivato anche un apporto fattivo - sebbene critico - dell'opposizione, o almeno di quella parte dell'opposizione che non si attarda a recitare le giaculatorie sul presunto regime o sui presunti golpe della maggioranza.
Spero che l'appello del Presidente della Repubblica a un confronto sereno, disatteso clamorosamente in questi giorni, venga finalmente raccolto (Commenti dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania).
Noi siamo sempre stati aperti al dialogo e lo siamo ancora. Lo siamo ancora anche oggi, ma - abbiatelo ben chiaro, lo devono sapere tutti - non ci lasceremo intimidire per nessuna, nessuna ragione al mondo. Vi ringrazio (Vivi prolungati applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore e della Lega nord Padania che si levano in piedi - Applausi polemici del deputato Parisi - I deputati del gruppo di Alleanza nazionale scandiscono la parola: «libertà!»).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Presidente del Consiglio dei ministri. Prima di dare la parola all'onorevole Adornato volevo salutare, poiché è la prima volta che lo vedo in questa legislatura, l'onorevole Giulio Maceratini che oggi è qui con noi (Generali applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Adornato. Ne ha facoltà.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi, il nostro auspicio è che questo dibattito parlamentare possa restituire l'immagine di un mondo politico responsabile, dopo giorni segnati da una polemica assolutamente poco europea. Siamo stati infatti costretti a discutere di un presunto deficit di europeismo del nostro Governo senza che mai, dico mai, ci fosse da nessuna parte alcun riferimento a documenti o atti ufficiali, a posizioni formali della Presidenza


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del Consiglio o del Governo che, sia pure alla lontana, potessero suffragare una tesi così grave. Niente di tutto questo. Questi nostri giorni così tesi e difficili sono partiti solo da sensazioni, che come unico oggetto del malessere esibivano qualche intervista a mezzo stampa.
Un po' poco per aprire un processo pubblico, con il rischio di ledere l'immagine internazionale del paese. Essere europeisti deve significare anche questo: abituarsi, una volta per tutte, a ragionare sui fatti, evitando accuratamente ogni polverone all'italiana. I fatti, dunque! Essi ci dicono che il nostro ministro degli esteri ha preferito un divorzio consensuale alla prosecuzione di un rapporto nel quale si sentiva a disagio. È un fatto che non può che dispiacere, ma che non testimonia affatto, né potrebbe, alcun mutamento nella determinazione europeista di questo Governo e di questa maggioranza, la cui titolarità politica - come ovvio e come avviene in tutti i paesi - non può che spettare al Premier.
Chi può esibire altri fatti che provino mutamenti nella nostra politica europea lo faccia, ma finora, non a caso, non è avvenuto.
Ci dispiace di non poter più contare sull'apporto del ministro Ruggiero e voglio ringraziarlo anch'io, a nome del gruppo di Forza Italia, per l'impegno profuso nel Governo, per il contributo di alta professionalità e competenza con il quale, ancora una volta, ha servito il paese.
Non possiamo, invece, purtroppo ringraziare l'opposizione. Ci sarebbe piaciuto poter dire «grazie» per la responsabilità mostrata in un passaggio delicato dei nostri rapporti internazionali. Invece no! Con spregiudicata velocità, l'opposizione si è appropriata di Ruggiero, con la sola eccezione di stile di Bertinotti, come se fosse un ministro dell'Ulivo, ha inventato il teorema «meno Ruggiero, meno Europa», non esitando a mettere sotto processo il proprio paese.
Una volta, la propaganda era la felice sublimazione di un indirizzo politico. Oggi, purtroppo, essa rischia di essere solo il surrogato di una politica che non c'è. Un esempio è proprio il teorema «meno Ruggiero, meno Europa ». Con quale logica politica l'opposizione può sostenerlo, dal momento che, secondo il suo punto di vista, questo Governo - si badi - con Ruggiero ministro, era screditato e isolato in Europa fin dal primo giorno? Evidentemente la propaganda fa i miracoli e così a Ruggiero, ex ministro, è riuscito ciò che a Ruggiero ministro non era stato possibile: tenere alta da sola la bandiera dell'europeismo italiano (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Del resto, se non ricordo male, il Ruggiero ministro, per l'opposizione, non era un grande europeista, ma solo un agente dei poteri forti. No, questa non è politica! È solo cattiva propaganda che espone solo a cattive figure.
Capisco che la logica non è un obbligo, ma non può neanche diventare un optional.
Ad ogni modo, da parte nostra, vorremmo sommessamente ricordare che, per la verità, noi non abbiamo bisogno di alcun tutore tra i poteri forti perché il tutore lo abbiamo già ed è il potere più forte che c'è, quello del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia), unico riferimento sovrano della nostra politica. Non è, dunque, per arroganza che ricusiamo le lezioni di europeismo che, con tanta premura, ci vengono dispensate dall'opposizione.
Il fatto è che i maestri, per essere tali, devono essere credibili e non ci sembra magistrale una coalizione che, quando era al Governo, ha rischiato di esporre l'immagine dell'Italia, essendo divisa e priva dei voti necessari per le missioni in Albania e in Kosovo, una coalizione che, perfino dopo l'attentato alle torri, ha mostrato di essere lacerata da profondi sentimenti antiamericani. Vorremmo, tuttavia, lasciare da parte le polemiche e porre piuttosto all'opposizione una questione politica di evidente rilievo. Il Presidente Ciampi ci chiede sull'Europa, ma anche su alcuni altri grandi temi, la giustizia, la legge sul conflitto di interessi e la riforma


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delle istituzioni, di saper dare vita ad un sereno e costruttivo dialogo tra maggioranza e opposizione.
Ebbene, noi abbiamo già risposto e ribadiamo oggi che siamo d'accordo, siamo disponibili con sincera convinzione, e voi? La nostra impressione è che voi dobbiate sciogliere un nodo strategico di primaria importanza. Sappiamo quale è l'opinione di Casarini, di Paolo Flores d'Arcais, di Giorgio Bocca, di Vattimo, di Di Pietro e, da ultimo, del dottor Borrelli.
Ovviamente è decisivo conoscere la vostra, onorevoli Fassino e Rutelli. Ritenete che il nostro sia, in quanto democraticamente eletto, un Governo legittimo o anche voi pensate che si tratti di un regime contro il quale chiamare alla resistenza?
Voi capite che da questa vostra risposta dipende non solo la possibilità di aderire positivamente agli appelli del Capo dello Stato, ma anche il cammino della democrazia italiana in Europa.
Finora la risposta è stata assai incerta. Non è necessario che io ricordi i giudizi che di volta in volta l'opposizione ha formulato dal 13 maggio in poi. Non è ovviamente in discussione, onorevole Fassino, il diritto di opporsi, anche in modo duro. È in discussione l'analisi politica e morale dalla quale si parte e il tono con il quale ci si esprime. Un conto è infatti chiamare alla lotta contro una politica che si considera sbagliata - l'Europa, le pensioni, la scuola -, altro è chiamare alla lotta contro un regime. Tale risposta non la dovete tanto a noi - non si tratta della nostra personale offesa; noi, in quanto forza di Governo, siamo tenuti a praticare in ogni caso saggezza e temperanza come virtù quotidiane -, la dovete in particolare al popolo italiano, a quel popolo che ci ha eletto in collegi, dove i miei colleghi ed io non abbiamo visto pedofili, terroristi o poliziotti cileni, ma soltanto operai, imprenditori, insegnanti, casalinghe, medici e avvocati (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Ma questa risposta la dovete soprattutto all'Europa: non è infatti europeo un atteggiamento permanentemente orientato a screditare moralmente l'avversario, a demonizzare la sua legittimità, a considerarlo quasi antropologicamente un nemico. Altro che Europa! Vi è il rischio di un clamoroso ritorno indietro della civiltà del nostro sistema.
Per questa ragione ci auguriamo sinceramente che l'Ulivo rompa con una cultura che invita a rovesciare il presunto regime, usando piazze o magistratura, altrimenti la democrazia italiana continuerà a rimanere zoppa.
Il fondamentale traguardo europeo che non è stato raggiunto soltanto da noi è costituito dalla reciproca legittimazione tra i poli. Pensateci e rispondete! Siamo disposti al dialogo su tutto, a combattere insieme contro coloro che il Presidente Casini ha chiamato professionisti dell'invettiva. Sappiate tuttavia che abbiamo anche il dovere democratico di governare. Non siamo disposti a farci paralizzare nell'esercizio di questo dovere.
Attenti tutti in ogni caso a non sbagliare data: siamo nel 2002 e non più nel 1994. Non è più tempo di spallate (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania)!
Signor Presidente, vorrei ribadire a nome di Forza Italia quanto siano radicati, nell'animo di questa maggioranza, la fede europea, l'amore per quel sogno che fu dei nostri padri e che oggi si fa più vicino: il sogno degli Stati Uniti d'Europa.
Non potrebbe infatti essere altrimenti: noi sediamo su quella parte dei banchi che vide nascere concretamente quest'ideale, all'epoca non da tutti condiviso. Non è dunque per omaggio retorico che vorrei riproporre in quest'aula le parole che pronunciò Alcide De Gasperi: «qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito: è vero, ma se volete che un mito ci sia, ditemi quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù, per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l'avvenire della nostra Europa nel mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l'Unione? Volete il mito della dittatura, della forza, della bandiera, sia pure accompagnata dall'eroismo? Noi allora creeremmo di nuovo il conflitto che porta fatalmente alla


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guerra. Vi dico che questo è un mito di pace: questa è la pace, la strada che dobbiamo seguire».
Era il 1950. Ebbene, in forza di questa tradizione, oggi rappresentata dal Partito popolare europeo, vogliamo ribadire chiaramente che per noi l'Unione europea non è uno strapuntino da occupare per grazia ricevuta, cercando di non disturbare il manovratore o di compiacere i paesi più potenti. No! L'Unione è per noi casa nostra: ci sentiamo protagonisti, al pari della Francia, della Germania, della Spagna, sapendo che non vi è, non vi dovrà essere contraddizione fra la difesa degli interessi nazionali e le esigenze dello sviluppo dell'Unione.
Il fatto è, signor Presidente, che si sta aprendo una nuova fase nella storia dell'integrazione europea: vi è stata la prima grande era dei pionieri fondatori - De Gasperi, Schuman, Adenauer, l'era delle eroiche battaglie di Altiero Spinelli -; successivamente, dopo decenni di sofferta incubazione, la fine del secolo ha finalmente suonato la campana per il comunismo e per il muro di Berlino, favorendo infine il completo dispiegarsi della terza fase, quella dell'avvento della moneta unica, evento di straordinaria portata universale.
Ebbene, oggi si apre una quarta stagione, ancor più decisiva: quella costituzionale. Alle attuali classi dirigenti spetta di compiere il passo finale: costruire l'Europa nel consenso democratico. Attenzione, onorevoli colleghi: si tratta di una fase completamente differente rispetto alle precedenti. Per l'introduzione dell'euro, occorreva chiudere gli occhi, stringere la cinghia, discutere poco, dal momento che, comunque fosse, non si poteva mancare l'obiettivo comune. Oggi no!
Guai a chiudere gli occhi, guai a bollare di euroscetticismo chi discute: sarebbe questa la via certa per rendere più fragile l'intera costruzione, dal momento che l'era del consenso democratico dei popoli richiede, per inverarsi, l'apertura, a partire dalla prossima Convenzione, di un grande dibattito costituzionale, con il coinvolgimento pieno e convinto di tutte le opinioni pubbliche del continente.
In altri termini, oggi il valore dell'europeismo chiede un rovesciamento di prospettiva: non è un buon europeista chi sottovaluta il rischio dell'aprirsi di un fossato fra le ragioni della tecnoburocrazia e quelle della democrazia. Ecco perché tutte le polemiche strumentali che ci sono state su questa o quell'intervista di questo o quel ministro sono destinate all'oblio: perché esse erano psicologicamente ferme alla fase che abbiamo alle spalle. E non posso pensare che la sinistra immagini di eludere, in questo Parlamento, l'esigenza di un grande dibattito democratico e costituzionale sulla natura stessa dell'unione e sullo sviluppo della sua identità.
Del resto, è la stessa dichiarazione di Laeken a dirci che l'Unione deve diventare più democratica, più trasparente e più efficiente. Dobbiamo, dunque, discutere se l'unione debba concepirsi come un «superstato» dalle nazionalità fintamente autonome e guidato da un ossificato Politburo o se, invece, come noi pensiamo, debba concepirsi come una vera confederazione democratica: gli Stati Uniti d'Europa.
Solo sciogliendo questo nodo, tra l'altro, si può superare il diritto di veto dei singoli Stati, orientare i passaggi formali che debbono condurci all'allargamento ad est, riaffrontare tematiche come quelle del mandato di cattura che, al di fuori di un quadro di diritti e di doveri costituzionalmente certificati, costituirebbe un'inaccettabile fuga in avanti.
Ma dobbiamo discutere anche l'identità culturale - come ha ricordato il Presidente Berlusconi - la filosofia pubblica, i valori di questa nostra unione. Nessun corpo istituzionale, infatti, può sopravvivere se non è anche vissuto come cornice di fedi e passioni popolari. Da questo punto di vista, si sbaglierebbe a considerare il richiamo del Papa come una questione settoriale. Del resto, la dichiarazione di indipendenza e la Costituzione americana fanno esplicito riferimento alla


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propria ispirazione religiosa, senza per questo proporre uno Stato confessionale o una società bigotta.
Dovremo, infine, lavorare per far diventare l'intera cultura europea un'unica, formidabile biblioteca comune dei nostri popoli. Dobbiamo certo unire l'Europa dei Blair e degli Aznar, ma anche quella degli Shakespeare, dei Cervantes, dei Dante, dei Balzac, dei Beethoven, perché solo così le nostre terre diventeranno, alla fine, per i nostri figli, una sola grande opportunità di cultura e di scambio, di creatività e di pace (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Signor Presidente del Consiglio, la nostra generazione ha visto affermarsi il grande traguardo della moneta unica. Ora, questo Governo e questa maggioranza hanno il privilegio di poter essere protagonisti, nei primi dieci anni del XXI secolo, di un sogno ancora più grande: la costruzione politica di una sola Europa, dall'Atlantico agli Urali.
Proceda, dunque, senza incertezze lungo la strada da lei indicata! L'Italia non può fare a meno dell'Europa: era il sogno dei nostri padri ed è la nostra incontrovertibile realtà; ma anche l'Europa non può fare a meno dell'Italia, perché la nostra storia è gran parte della storia d'Europa. Forse è vero, oggi non ci sentiamo europeisti: ci sentiamo di più, ci sentiamo europei. Non ci sentiamo cioè protagonisti solo di una filosofia, ma anche di una realtà, che non è più utopia, ma terra, vita, lavoro, scuola, commerci. Abbiamo la moneta unica; ora dobbiamo dare corpo e anima, Costituzione e cultura a questa nostra grande realtà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD-CDU Biancofiore, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, l'ho ascoltata con grande attenzione, come - credo - tutti i parlamentari che sono qui, ma anche tutti gli italiani che stanno seguendo, in diretta, questa nostra discussione.
Questo dibattito era ed è chiamato a chiarire quale sia la politica che l'Italia intende perseguire, di fronte a passaggi cruciali del processo di integrazione europea. Un chiarimento tanto più necessario dal momento che, per quanto lei l'abbia definita una «febbriciattola mediatica», nelle scorse settimane si è dimesso il ministro degli esteri. Poiché non si è dimesso per ragioni di salute, per una «febbriciattola» né vera né mediatica, ma - come ha dichiarato in numerose interviste - a causa di un radicale dissenso politico su come stava prevalendo, nel Governo da lei diretto, una politica che lo stesso ministro riteneva assai distante dalla tradizionale collocazione europeista dell'Italia, noi ci aspettavamo che, nel suo discorso, vi fosse l'indicazione su come l'Italia intendesse rassicurare i propri partner e su come il Governo intendesse rassicurare gli italiani circa le scelte da compiere in questa materia.
Lei si è sottratto a questo compito. Ha preferito tenere un discorso che ha scaldato il cuore dei suoi deputati e forse dei suoi elettori. Ha preferito pronunciare un discorso di tipo essenzialmente propagandistico, ma non è sufficiente - lo dico con gran sincerità - fare due citazioni del discorso del Presidente Ciampi per credere di aver così onorato l'invito del Presidente, rivolto a tutti noi, a condurre una discussione seria sull'Europa.
Cercherò - naturalmente nei limiti del tempo e delle mie capacità - di discutere, invece, sui fatti che sono di fronte a noi e di vedere quali siano le questioni aperte su cui è necessario compiere un chiarimento in quest'aula o almeno iniziare a farlo. Il punto di partenza di questa discussione è molto semplice. In modo definitivo va chiarito come questo Governo consideri il processo d'integrazione europeo e se consideri l'Europa un male necessario, inevitabile da cui difendersi e di cui limitare i danni o un'opportunità in cui collocare le scelte per il futuro dell'Italia. Sono due approcci radicalmente diversi. Indico in


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questo modo l'alternativa: se l'Europa è un danno da cui difendersi o un'opportunità da cogliere. Queste due letture sull'Europa sono emerse, infatti, nel suo Governo. Ruggiero era espressione di una linea europeista e federalista che guardava all'Europa come ad una grande opportunità in cui collocare il futuro dell'Italia. Altri ministri del suo Governo non la pensano allo stesso modo. Penso al ministro Bossi e non mi riferisco soltanto alla sconcertante battuta folkloristica secondo cui l'Europa sarebbe «forcolandia», ma anche alle reiterate dichiarazioni delle stesso ministro, ancora ieri, nel corso di un congresso del suo partito, che dipinge l'Europa come un nemico, Bruxelles come qualcosa da cui difendersi, e l'Europa ed il processo di integrazione come un danno per il nostro paese.

ALFREDO BIONDI. E il fico d'India?

PIERO FASSINO. Mi riferisco al ministro Martino, nei confronti del quale, naturalmente, ho provato sempre grande stima. Rispetto le sue opinioni ma in quest'aula, nella scorsa legislatura, svolse un intervento molto chiaro per spiegarci che la scelta dell'euro, così come si configurava, era una scelta sbagliata e spiegò che non c'era bisogno di introdurre una moneta unica per avere un mercato unico.
Penso al ministro Castelli che ha fatto credere agli italiani - ed oggi lo ha fatto anche lei - che il mandato d'arresto europeo rappresenti la possibilità, per qualsiasi magistrato, di qualsiasi paese europeo, che una bella mattina si sveglia colto da un furore giustizialista, di arrestare chicchessia, non si sa perché.

SALVATORE CICU, Sottosegretario di Stato per la difesa. È vero, è proprio così!

PIERO FASSINO. Invece - lei lo sa bene - il mandato d'arresto europeo è semplicemente il superamento delle procedure intergovernative di estradizione ed è conseguenza del fatto che siamo in uno spazio di libera circolazione che richiede spazi comuni di amministrazione della giustizia.
Le vorrei ricordare - visto che lei guarda con grande simpatia al Governo spagnolo di Aznar - che il mandato di arresto europeo ha come padre un accordo bilaterale sottoscritto, lo scorso anno, dal Governo di centrosinistra italiano e dal Governo spagnolo di Aznar, teso a superare le pratiche di estradizione tra Italia e Spagna, al fine di rendere più efficace la lotta contro la criminalità ed in particolare contro i boss mafiosi che, approfittando di lunghe procedure di estradizione, si rifugiarono in Spagna. È chiaro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)?
Penso al ministro Tremonti, il quale ha più volte dichiarato di guardare con diffidenza al processo di allargamento dell'Unione europea, dimenticando, pur essendo ministro dell'economia, che in quella vasta area che si estende da Trieste fino ai confini della Russia operano, oggi, sessantamila aziende italiane.
E dal momento che lei è particolarmente sensibile alla promozione del sistema Italia in quei mercati, le dico che, se in quei paesi, che fanno assegnamento per il loro futuro all'integrazione nell'Unione europea, l'Italia viene percepita come un paese ostile all'allargamento, quelle sessantamila imprese avranno grandi problemi a rimanere su quei mercati (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Minoranze linguistiche).
Penso, ancora, alle nostalgie neoprotezionistiche. Leggo con grande attenzione quello che Tremonti dice e naturalmente so bene che le sue affermazioni costituiscono l'espressione di un pensiero politico; si tratta, però, di un pensiero politico che io considero pericoloso, sbagliato o arretrato perché, in modo demagogico, vellica una paura di Europa in nome di un neoprotezionismo apertamente confliggente con il fatto che dobbiamo operare in


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un mercato unico segnato ancora di più, dopo il 1o gennaio di quest'anno, dalla moneta unica.
Sono questi i punti sui quali le chiediamo quei chiarimenti che, anche nel suo discorso di oggi, non ci ha dato. Non basta dichiararsi europei: bisogna trarre le dovute conseguenze da tale dichiarazione! Oggi, in Italia non v'è più alcuno che non affermi di essere per l'Europa.

ALFREDO BIONDI. Anche voi!

PIERO FASSINO. Ma per quale Europa? Quale Europa vogliamo costruire? In ogni caso, per stare in Europa bisogna starci come si deve, cogliendo il senso di quel processo di integrazione che è stato avviato con i trattati di Roma del 1957 e che ha segnato la vita delle nazioni europee nei quasi cinquant'anni da allora trascorsi.
Veda, l'Europa è già oggi un soggetto politico! Già oggi l'Europa ha una sua sovranità ed ha propri organi: dal Parlamento europeo, alla Commissione, al Consiglio europeo, di cui lei fa parte; già oggi l'Europa ha un corpo legislativo, costituito dalle direttive comunitarie, e politiche di settore che vanno estendendosi in ogni campo.

ALFREDO BIONDI. È dai tempi di Martino che ce l'ha!

PIERO FASSINO. E di fronte all'Europa stanno ulteriori grandi sfide...

ALFREDO BIONDI. Era ora che ve ne rendeste conto!

PIERO FASSINO. ....dalla moneta unica - che è la sfida di questi tempi - all'allargamento, alla riforma costituzionale cui si procederà con la Convenzione. Come si colloca l'Italia di fronte a queste scelte? Non ce l'ha detto. Anzi - e qui vengo ad un altro punto del suo discorso - volete far credere che, adesso che ci siete voi, c'è una maggiore assertività, vale a dire che, con questo Governo, l'Italia si fa sentire di più in Europa, batte i pugni sul tavolo ed è capace di esibizioni muscolari che ci fanno rispettare di più.
Anche questa, guardi, è una visione propagandistica. Intanto, vorrei dirle - e ciò vale in generale, signor Presidente - di fare attenzione: questa rappresentazione (che lei dà a proposito di ogni cosa) per la quale tutto comincia dal momento in cui lei è diventato Presidente del Consiglio non regge! La storia esisteva anche prima, anche quella di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Minoranze linguistiche)!
Vorrei invitarla ad essere più prudente quando cerca di far credere agli italiani che negli anni scorsi non siano stati difesi i loro interessi italiani in Europa. Gli anni in cui ha governato il centrosinistra sono stati quelli in cui è stata impostata e realizzata la politica di convergenza che ha portato la lira nell'euro. E quando abbiamo votato il disegno di legge finanziaria che chiedeva agli italiani maggiori sacrifici proprio per portare la lira nell'euro, voi avete abbandonato l'aula al momento del voto (Vivi applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Minoranze linguistiche)!
Vorrei ricordarle, signor Presidente del Consiglio, che gli anni appena trascorsi, gli anni del centrosinistra, sono stati quelli in cui noi abbiamo portato l'Italia nel sistema di libera circolazione di Schengen, da cui eravamo fuori. A questo proposito, a conferma di quello che tra poco le dirò, la invito a fare attenzione. Ho vissuto personalmente quella vicenda, per averla gestita, e so che quando un paese deve entrare in un club costituito da altri paesi in precedenza, la strada è dura ed impervia! Quindi, fare la scelta di stare fuori da scelte politiche sperando che entrare dopo dia maggiori vantaggi rivela una miopia che rischia di essere pagata a caro prezzo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici


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di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Minoranze linguistiche)!
Per entrare nel sistema Schengen abbiamo dovuto ottemperare a criteri e a condizioni che non erano state poste quando quell'area di libera circolazione era stata costituita, e, in ogni caso, anche così (nonostante fosse più oneroso), abbiamo portato il paese in questa che è un'altra condizione essenziale dell'integrazione europea.
Gli anni scorsi sono stati gli anni in cui gli interessi, quegli interessi a cui lei ha fatto riferimento, sono stati tutelati, anche prima che lei giurasse fedeltà alla Repubblica. Vorrei far riferimento ad un aspetto soltanto, alla politica agricola comune, che, come lei sa, assorbe buona parte del bilancio comunitario (Commenti del deputato Armani).

SALVATORE CICU, Sottosegretario di Stato per la difesa. Anche Telekom Serbia hai gestito!

ROBERTO TORTOLI. Ma se avete votato contro per una vita!

PIERO FASSINO. Signor Presidente, chiedo di poter parlare come ha parlato il Presidente del Consiglio.

SALVATORE CICU, Sottosegretario di Stato per la difesa. Basta, stai parlando! Parla di Telekom Serbia!

PRESIDENTE. Onorevole Fassino, non sono afono. Continui, mi sembra che sia stato ascoltato con grande attenzione da tutti.

PIERO FASSINO. Allora, si vada a vedere gli esiti della trattativa sui prezzi agricoli e sulle quote produttive del settore dell'agricoltura del biennio 1998-99, e lei vedrà - se il ministro Alemanno ha onestà intellettuale le potrà confermare - che per la prima volta, nel negoziato del '98-'99, l'agricoltura italiana non è uscita penalizzata, come troppo spesso era accaduto nel passato (Commenti del deputato Cicu). Sono stati gli anni nei quali abbiamo recuperato - lo dico con molta pacatezza, ma con determinazione - una affidabilità dell'Italia che nel passato spesso non ci era riconosciuta...

PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole e forestali. È tutto falso!

PIERO FASSINO. ...o meglio, l'Italia è sempre stata guardata in Europa come un paese europeista ed europeo, ma lei sa come me che spesso i nostri partner ci guardavano come un paese europeista nelle dichiarazioni di principio, ma assai meno nei comportamenti concreti e che spesso ci veniva rimproverata la contraddizione tra quello che dicevamo di voler essere e quello che eravamo. Tant'è che, quando Prodi nel 1996, presentando il suo Governo a queste Camere, disse che l'asse fondamentale della politica del Governo di centrosinistra sarebbe stato portare la lira nell'euro, più di un esponente europeo dichiarò: ma come farete? E dichiarò questo con qualche fondamento, invocando quella contraddittorietà tra le dichiarazioni, il voler essere, che spesso l'Italia dichiarava, e l'essere concreto, che faceva registrare in Italia un'inflazione più alta rispetto a quella di altri paesi europei, un debito pubblico più alto rispetto a quello di altri paesi europei, una pubblica amministrazione più inefficiente rispetto ad altri paesi europei.

ALFREDO BIONDI. Il centrosinistra!

PIERO FASSINO. L'aver portato la lira nell'euro, quindi, non ha significato soltanto corrispondere giustamente ad un interesse essenziale per l'economia italiana, ma ha rappresentato anche l'occasione per dimostrare che l'Italia, invece, poteva essere un paese affidabile, credibile, capace di ottemperare ai criteri come gli altri paesi. Allora, tutto questo lei non lo può negare; lei invece lo sta mettendo a repentaglio, perché, in questi mesi e in


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queste ultime settimane, l'Italia ha dato agli altri partner europei e anche ad una buona parte dell'opinione pubblica italiana l'idea che oggi l'Europa è in dubbio, e che quella scelta fondamentale di partecipazione al processo di integrazione europeo, che ha segnato la nostra collocazione in Europa, veniva messa in discussione.

PIETRO ARMANI. Beh, certo! La Francia che fa?

PIERO FASSINO. Per questo il dibattito di oggi era così importante e per questo noi le chiedevamo un chiarimento che lei oggi non ha dato. Anzi, lei ha condito il suo discorso con molte dichiarazioni europeiste che, secondo uno schema retorico abbastanza chiaro e significativo, erano ogni volta contraddette da una seconda parte della frase, che cominciava con la preposizione «ma». Siamo per l'Europa, ma dobbiamo difendere questo e quest'altro, siamo europeisti, ma, ma, ma. Pensi se lei avesse pronunciato la frase al contrario, se lei avesse detto a un certo punto: costruire l'Europa è irto di difficoltà, tuttavia noi vogliamo essere europeisti (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
Avrebbe avuto un altro significato. Lei ha attenuato ogni volta la dichiarazione di principio con mille cautele, con mille «ma», con mille «se», a conferma del fatto che nel suo esecutivo, nel suo gabinetto, non ci sono quella determinazione, quella convinzione europea ed europeista, che lei qui in termini di principio ha voluto dichiarare.
E allora, signor Presidente del Consiglio, le dico chiaramente che non siamo soddisfatti di quello che lei ci ha detto; non siamo stati convinti dall'intervento dell'onorevole Adornato (cui voglio ricordare che la legittimità di questo Governo e di questa maggioranza, sancite dal voto del 13 maggio, non sono in discussione) ma che anche i governi legittimi sbagliano; anche i governi legittimi possono fare danni, anche i governi legittimi possono compiere scelte che recano danno al paese!
Noi riteniamo che questo Governo, di cui non abbiamo mai contestato la legittimità, oggi, sulle scelte europee, stia prendendo decisioni che pregiudicano interessi fondamentali per il nostro paese, che rischiano di mettere l'Italia ai margini del processo di integrazione e che possono rappresentare un danno per l'Italia e per quelle tante parti della società italiana che, sempre di più, vivono, nella loro vita quotidiana, la dimensione europea come dimensione economica, sociale e culturale in cui si compiono ormai, ogni giorno, le proprie scelte.
In ogni caso, noi, poiché nell'Europa crediamo davvero, senza nessun furore acritico, Presidente Berlusconi, vedendo tutte le difficoltà del processo di integrazione europea e anche tutte le contraddizioni e, consapevoli di quello che ha detto Ciampi e del vero significato delle sue parole - lei ha citato una frase importante pronunciata dal Presidente Ciampi a Berlino, ma vorrei che ne cogliesse bene il significato - che ci ha ammonito a sapere che la dimensione intergovernativa, il rapporto tra i Governi, le nazioni e gli Stati è essenziale per costruire l'Europa ma non è la dimensione sufficiente e «ogni qual volta la cooperazione intergovernativa non ha garantito progressi duraturi - ha scritto il Presidente Ciampi - la sovranazionalità, cioè la costruzione di una sovranità europea, costituì lo sbocco fecondo».

BEPPE PISANU. È esattamente quello che ha detto il Presidente del Consiglio!

PIERO FASSINO. Quindi se lei, signor Presidente del Consiglio, vuole ispirarsi a questa affermazione del nostro Presidente della Repubblica - sul cui europeismo, in questo caso davvero, nessuno può avere dubbi - deve essere coerente nei comportamenti, nel Consiglio europeo e nelle scelte che il suo Governo...

PRESIDENTE. Onorevole Fassino, mi scusi, deve concludere perché ha già parlato


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per tre minuti oltre il tempo a sua disposizione: se uso metri diversi a seconda...

PIERO FASSINO. Ho finito, signor Presidente.
In ogni caso, signor Presidente del Consiglio, stia sicuro di una cosa: noi non abbandoneremo la scelta europea. Se, coerentemente, sarete un Governo che tutela gli interessi europei lo riconosceremo; se non lo farete, ci assumeremo la responsabilità di garantire che l'Italia non esca dall'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Vicepresidente del Consiglio, onorevoli ministri e sottosegretari, noi abbiamo cercato di ricordare, ascoltando questo dibattito, cosa ci hanno insegnato a scuola, dove i grandi storici del '900 ci insegnarono che la politica, una volta, era intesa, essenzialmente, come politica estera, che, allora, era politica fra Stati.
Nell'800 e nei secoli precedenti, ciò che non era politica estera veniva assimilato alla mera amministrazione. Poi, per un lungo periodo, forse anche per effetto della guerra fredda, per il cosiddetto equilibrio del terrore, la politica estera ha perso peso e noi abbiamo cristallizzato un certo quadro di riferimento e ci siamo ripiegati sulle nostre questioni interne: alcune rilevanti, altre meno. In ogni caso, abbiamo assimilato la politica alla politica interna, alla dialettica tra i partiti. In questi mesi, invece, la politica estera, per effetto di due grandi eventi, è ridivenuta il luogo nel quale abbiamo dovuto ponderare le nostre soggettività politiche. C'è stato - è inutile ricordarlo - il tragico attacco alle torri gemelle, ma anche il fatto positivo della nascita dell'euro. Se ripensiamo a quello che è accaduto è il caso di dire che la politica estera è stata, nei cinque mesi che ci siamo lasciati alle spalle, il luogo dove maggiormente si è concentrata la politica stessa.
Non si tratta di un dato meramente fattuale: si tratta di un fatto, oserei dire, storico, con tutti i tratti drammatici ma anche le potenzialità del caso, nel senso che oggi non avrebbe più senso disegnare o pensare una qualsivoglia politica interna (economica, sociale, istituzionale, educativa) senza considerare le grandi questioni che si sono aperte nel mondo. Si rischierebbe di essere fuori dal tempo! Volendo adoperare un'immagine figurata, possiamo affermare che se per cinquant'anni, fino al 1989, abbiamo navigato in un fiume di cui conoscevamo bene le sponde, oggi siamo in mare aperto, in una situazione dagli esiti imprevedibili e nella quale tocca a noi costruire approdi che ci diano sicurezza.
A ben vedere, i due grandi accadimenti di questi mesi - la lotta al terrorismo e l'euro - sono due grandi sfide, soprattutto per le fasi successive che si prefigurano. Abbiamo l'euro, che non è solo un dato tecnico dell'economia ma un elemento della vita quotidiana di milioni di cittadini, che ci rimanda ai prossimi appuntamenti dell'Unione a cominciare dalla definizione della Costituzione. Questi fatti non solo rendono la politica estera il momento più delicato e qualificato dell'azione di governo, ma ne fanno l'essenza della politica e ne esaltano la centralità culturale.
Questa lunga premessa serve a far comprendere, almeno a me stesso, che la politica estera coinvolge il futuro delle nostre generazioni e che quindi, essendo oggi così centrale, non può che essere strettamente collegata alla sovranità politica dei cittadini e, dunque, vedere coinvolti i massimi livelli di responsabilità e rappresentatività. Centralità della politica estera significa centralità e responsabilità delle scelte, scelte che, lo ripeto, dovranno essere collegate al massimo livello politico di riconoscibilità della sovranità popolare. Lo dico all'onorevole Fassino ed a coloro che interverranno dopo di me: è anche in questo senso (non dico solo in questo senso, ma credo anche in questo senso)


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che bisogna leggere l'interim del Presidente del Consiglio o, se volete, anche la cosiddetta candidabilità del Vicepresidente del Consiglio. È in questo senso che verrà definito il profilo del prossimo ministro degli esteri. L'abbandono della Farnesina da parte dell'ambasciatore Ruggiero nasce quindi anche dalla volontà di collegare più immediatamente la politica estera alle responsabilità della coalizione di centrodestra verso gli elettori ed al mandato che abbiamo ricevuto il 13 maggio (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Su questo tema vi invito a fare meno propaganda; lo dico senza alzare i toni, ma non sono temi da propaganda; onorevoli colleghi di sinistra, non si è mai vista l'opposizione organizzare un corteo per protestare contro il cambio di un ministro della maggioranza. Si tratta di un fatto da terzo mondo, non da Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
Questo non lo dice solo La Russa, ma ve lo ha dovuto dire anche l'onorevole Bertinotti, il quale non vi ha voluto ricordare, per amor di pace, che il ministro degli esteri che lasciava il suo posto - ed al quale rivolgiamo un affettuoso e solidale saluto - è anche persona che ha ricoperto altri incarichi durante i governi di centrosinistra: infatti, egli è stato presidente dell'ENI, ed è andato via per contrasti interni all'ENI stesso; ebbene, in tale occasione non abbiamo sentito un solo grido di dolore provenire da parte di quella stessa sinistra che si è invece allarmata ed è scesa in campo con cortei e controcortei quando la stessa persona ha lasciato il Ministero degli esteri. Vi prego quindi di non fare quella propaganda - di cui tanto ci avete accusato - almeno in queste grandi occasioni.
La questione, a ben vedere, è però anche un'altra: mi riferisco al valore che il centrodestra attribuisce all'Europa. Chi crede maggiormente nell'Europa non è solo chi enuncia l'unità europea, ma credo che sia soprattutto chi vi vuole ragionare tenendo anche presenti le prospettive della propria patria. L'Europa è un fatto storico straordinario oltre che un'opportunità di sviluppo, ma non è un totem feticista, indiscutibile.
Già agli albori del percorso comunitario si delineò, sia pure in sordina, lo scontro tra chi auspicava un'Europa delle nazioni ispirata ai tratti della storia e della cultura comune (il diritto romano, l'umanesimo, l'occidentalismo) e chi pensava all'Europa come ad una nuova entità sovrastatale da creare in laboratorio e, soprattutto, che fosse guidata solo da una sorta di aristocrazia dei burocrati: uno scontro tra un'Europa non solo economica, ma anche spirituale fatta dalla storia ed una, invece, configurata come struttura eminentemente tecnocratica.
Dopo decenni e dopo che, grazie a Dio, la questione economica con l'euro è avviata a ben procedere, ritorna con tutta la sua carica la possibilità di discutere su queste due visioni dell'Europa, e ciò non significa essere più o meno europeisti, anzi esattamente l'opposto.
Appartengo ad una forza politica che ha ben salda, nel suo DNA culturale, l'Europa. Non da oggi, colleghi del Parlamento, ma da sempre, la destra politica italiana fa dell'Europa una scelta irrinunciabile che rimanda a grandi unità culturali e ad una storia comune che aveva definito una civiltà comune; tant'è vero che nella comunità culturale della destra italiana, accanto ai nostri filosofi e scrittori, coltiviamo il pensiero di tantissimi autori europei, attraverso i quali abbiamo definito una comune concezione dell'uomo: si pensi all'Europa auspicata da de Tocqueville, da Croce, da Volpi, da Leopardi e si pensi anche a un deputato che lasciò la vita seduto proprio in questi banchi, Filippo Anfuso, che per primo parlò di Europa nazione, dibattito che è proseguito in questi lunghi anni (e si era addirittura negli anni sessanta).
Mi sia consentito ricordare sommessamente, senza voler fare polemiche, che quando la destra già predicava l'Europa, una certa sinistra predicava l'internazionalismo sovietico o il castrismo terzomondista. Pertanto, oggi ben vengano i nuovi europeisti; non vogliamo insegnare niente


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a nessuno, ma ci sia consentito di non essere disposti a prendere lezioni da nessuno e, men che meno, dalla sinistra politica italiana (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
È anche accaduto un altro fatto decisivo, questa volta interno all'Italia. Dopo decenni di mortificazione di ogni sentimento nazionale, grazie anche a Ciampi, gli italiani stanno ritrovando l'orgoglio della loro appartenenza, al pari di quello che francesi, inglesi e tedeschi hanno sempre mantenuto intatto: un sano sentimento di identità nazionale - che non è becero nazionalismo, ma consapevolezza delle proprie origini sedimentate nelle comuni memorie di popolo - sta riaffiorando nella coscienza collettiva degli italiani. Nel suo discorso di fine anno il Capo dello Stato, non a caso, ha parlato testualmente dell'Europa delle patrie, un termine che a destra risuona come poesia e come antico richiamo al nostro modo di sentire la politica, l'Italia e l'Europa.
In questo scenario, cari colleghi, vale la pena ricordare che alcuni nostri partner europei, prima di approdare alle scelte di adesione all'Unione o anche semplicemente all'euro (penso addirittura all'Inghilterra, che non vi è ancora approdata o agli altri paesi scandinavi) hanno dovuto indire referendum e «controreferendum». Ciò non ha rappresentato uno scandalo e nessuno ha pensato che fossero meno europeisti.
È bastato il cambio di un ministro per motivi che non sono stati polemici, con tanto di strette di mano, di trasparenza e di linearità, per far gridare a voi che l'Italia non ha senso nazionale.
Comprendo, cari amici, che questo possano farlo coloro che vogliono male all'Italia o che abbiano ragione di competere con l'Italia. Comprendo che possano scriverlo giornali che hanno l'intento di favorire una parte piuttosto che un'altra, in Italia come in Europa. Comprendo anche che basterebbe leggere il quotidiano britannico The Times per sapere ciò che è stato scritto. In esso si legge testualmente che l'idea che Berlusconi sia un cattivo europeo è ridicola. Egli crede, tuttavia, che il suo paese debba perseguire con più decisione i propri interessi e non debba prendere parte a progetti svantaggiosi solo in nome della solidarietà europea. Questa - dice The Times - è una posizione ragionevole.
Allora, lasciatemi concludere, cari colleghi. Esercitate pure la vostra legittima opposizione con tutta la forza e con tutta l'intelligenza di cui siete o sarete capaci. Fate tutto quello che ritenete utile alla vostra parte politica ed al vostro legittimo desiderio di avere, la prossima volta, quel consenso che gli italiani vi hanno negato nelle scorse elezioni. Però, posso e voglio rivolgervi un caldo invito, e scusate se lo faccio pur considerando la modestia del pulpito di un semplice capogruppo di un partito di maggioranza. Vi invito a porre alla vostra linea politica ed al vostro legittimo desiderio di avvantaggiare la vostra parte un solo limite: quello dell'interesse nazionale, quello dell'amore verso la nostra patria, verso l'Italia.
Vedete, se non riuscite ad avere il limite del rispetto, se non vi è possibile almeno quello dell'amore, deve esservi un limite comprensibile. Se lo farete, avremo tutti insieme la possibilità di colloquiare, di confrontarci e di vedere ciò che è meglio fare, o quello che è meno buono fare, per l'Italia e per l'Europa. Se non lo farete, noi non vi potremo dare sanzioni. L'unica sanzione, se vorrà, potrà darvela il corpo elettorale italiano giudicando i vostri comportamenti (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, signor... Non c'è il Presidente del Consiglio. Tornerà?

PRESIDENTE. Onorevole Rutelli, mi accorgo adesso dell'assenza del Presidente del Consiglio. Era qua fino ad un secondo fa, penso che sia in fase di rientro.

FRANCESCO RUTELLI. Mi dica lei, signor Presidente.


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PRESIDENTE. Onorevole Rutelli, mi dicono che sta rientrando. Non si tratta di un'assenza politica, può ricominciare.

SERGIO COLA. Eccolo qua, è arrivato.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, credo che la nostra discussione di oggi sia una delle più delicate ed importanti che si siano tenute negli ultimi tempi in Parlamento e questo giudizio è rafforzato ed aggravato dall'intervento del Presidente del Consiglio. Credo che il Presidente del Consiglio sia uscito decisamente dal solco che l'Italia ha tracciato lungo mezzo secolo. Espressioni come fideismo, massimalismo, europeismo acritico non sono mai state pronunciate in quest'aula da un Presidente del Consiglio che si è sempre rivolto con grande rispetto alle posizioni appassionate che hanno segnato - questo è il punto fondamentale - l'interesse nazionale dell'Italia nel processo europeo, non quello che oggi è stato presentato in modo così gravemente diminutivo per la storia della nostra nazione e per la sua adesione al processo europeo.
Appena il 28 novembre dello scorso anno, signor Presidente, l'Assemblea aveva terminato un dibattito sull'Europa con un voto che ci ha uniti tutti, dopo un paziente lavoro comune, maggioranza ed opposizione dell'Ulivo. Pochi giorni dopo quest'aula ha visto interventi notevoli, dopo quelli iniziali dei Presidenti delle due Camere, alla presenza del Capo dello Stato, sul processo europeo. Cosa è accaduto nelle poche settimane successive?
Il Presidente del Consiglio, nel suo intervento, ha inteso minimizzare quello che è accaduto: le dimissioni del ministro degli esteri. Non si tratta di un ministro del centrosinistra, ma di un vostro ministro al quale tuttavia, come dimostra quel dibattito, è andato lo spirito di collaborazione, nell'interesse nazionale, dell'opposizione nel definire i traguardi e gli obiettivi di una politica europea che fa l'interesse dell'Italia. Cosa è successo?
Lo ricordava Piero Fassino, lo diranno certamente altri nostri colleghi, le dichiarazioni dei ministri Bossi, Tremonti, Martino e, alla fine, una dichiarazione conclusiva del ministro degli affari esteri, in cui espone le motivazioni della sua uscita dal Governo.
Signor Presidente del Consiglio, vorrei rileggerla perché lei ha detto «tanto rumore per nulla»: il ministro Ruggiero ha riferito che molti esponenti del Governo non credono a questa Europa, la mal sopportano e la ritengono, persino, un male necessario.
Purtroppo, oggi, il suo intervento ha confermato l'autenticità di questa interpretazione, il senso di una virata che, forse, i colleghi della maggioranza - soprattutto quelli che affondano le loro radici politiche e culturali nella continuità della politica estera italiana - non hanno ancora colto per intero.
Infatti, non riconoscere i meriti ed il significato dell'azione di chi ci ha preceduto, significa dar retta a coloro, tra voi, che sostengono che, in fondo, in questi cinquant'anni l'Italia ha vissuto di un supino realismo, obbediente e provinciale.
Il nostro paese, invece, ha evidenziato un protagonismo coraggioso e determinante: quanto più era debole, non considerato e a rischio, tanto più ha retto le sfide, è cresciuto dall'età di De Gasperi sino al traguardo dell'euro. Chi rappresenta l'Italia oggi non può che farlo con orgoglio, evidenziando la continuità con le ispirazioni europeiste ed, anche, federaliste, da Einaudi, Ernesto Rossi e Spinelli sino ad oggi, coloro che hanno alimentato lo spirito vitale del processo comunitario: davvero se tutto ciò non fosse avvenuto, oggi, avremmo un'Europa di burocrati e di tecnocrati.
Ricordiamolo, anche chi non faceva parte di quelle posizioni politiche, rivendichi oggi l'operato dei Governi italiani in questi decenni: l'Italia di Aldo Moro che nel Consiglio europeo di Roma del 1977 fissò, con uno strappo politico, la convocazione delle prime elezioni del Parlamento europeo; Altiero Spinelli che, in quella prima legislatura, fece bocciare il bilancio della Comunità per affermarne il protagonismo; il Governo che nel 1985,


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con l'Atto unico, pretese che, prima di ratificarlo, fosse il nostro Parlamento a dare il via a quel processo unitario che coinvolgesse le istituzioni democratiche; il Governo Craxi che nel Consiglio europeo di Milano adottò, coraggiosamente e per la prima volta, il principio maggioritario e convocò la Conferenza intergovernativa per il Mercato unico; il Governo Andreotti che, nel Consiglio di Roma dell'ottobre del 1990, fece decollare l'Unione economica e monetaria, nonostante il rifiuto degli inglesi, e così via sull'allargamento, sino ai tempi di Prodi.

LORENZO MONTECUOLLO. Dillo a Fassino!

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente e signor Presidente del Consiglio, è stato il realismo di un paese debole, è stata l'astrattezza visionaria di europeisti sentimentali a guidare questi uomini del nostro dopoguerra? No, è stato l'interesse nazionale italiano. Solo così l'Italia ha superato la distruzione ed ha operato la ricostruzione dopo la guerra, solo così ha realizzato una gigantesca crescita economica, solo così è entrata in un circuito di stabilità dei prezzi e di risanamento economico e sociale: questo è stato l'interesse nazionale nella visione europea.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha parlato, con un evidente infortunio, del nostro programma approvato dal Partito popolare europeo: lei confonde il suo partito con il suo Governo, e confonde, purtroppo, la sua maggioranza con la nostra patria: in questi casi lei non la rappresenta e non ci rappresenta (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
Lei rappresenta una visione parziale. Come si possono citare grandi uomini della nostra storia, come De Gasperi, senza ricordare quanto affermato da sua figlia nelle memorie, quando ricorda di aver visto scendere dagli occhi di suo padre una lacrima mentre urlava al telefono, pochi giorni prima della sua scomparsa, al capo del Governo italiano, che era meglio morire che non veder nascere la Comunità europea di difesa? Di questo coraggio, non di una sorta di consuetudine formale, è stata fatta l'adesione italiana all'Europa.
Ora, alla Farnesina, non c'è più il ministro Ruggiero, c'è lei, signor Presidente del Consiglio e non credo che lei possa pensare di conservare - come ha dichiarato al Corriere della sera - fino ad almeno metà luglio il posto di ministro degli affari esteri.
Anche un bambino sa che quel lavoro, nell'anno di grazia 2002, ha bisogno dell'energia, dei viaggi, dei contatti, del lavoro a tempo pieno di un ministro di primaria autorevolezza e non del part-time di chi guida - male - il Governo della sesta potenza economica del mondo. Ed è inutile che lei richiami gli impegni che, nella passata legislatura, già i governi del centrosinistra avevano assunto per dare forza, anche nel negoziato economico e negli interessi commerciali, al nostro paese e all'attività della nostra diplomazia. Si tratta di applicarli, di attuarli, di farli funzionare e, semmai, di accrescere - cosa che non ha fatto il suo Governo - le risorse finanziarie, affinché la Farnesina, il Ministero degli affari esteri, possano attuarli veramente.
Noi dell'Ulivo abbiamo le idee chiare su ciò che occorre realizzare per il futuro europeo e le diciamo che sosterremo, senza ambiguità, l'allargamento dell'Unione, la democratizzazione delle sue istituzioni, il rafforzamento dei poteri della Commissione e del Parlamento, l'approvazione della Costituzione europea e il voto a maggioranza. Vogliamo potenziare il Governo democratico dell'Unione monetaria, accelerare coraggiosamente la politica estera e gli strumenti operativi della difesa comune, attivare lo spazio giudiziario e le politiche per la sicurezza interna.
Signor Presidente del Consiglio, avete scelto il momento più infelice per lanciare un'offensiva di euroscetticismo, proprio quando sganciarsi dal gruppo di testa europeo è suicida per l'interesse italiano, poiché ci troviamo in prossimità dell'allargamento, si avrà la fine del potere di


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veto, si deciderà a maggioranza. L'Italia ha bisogno di alleanze e non - come ha ricordato il presidente Dini - di antagonizzare con i nostri avversari. Cosa ne viene all'Italia dall'offensiva inutile che avete realizzato in ordine al mandato di arresto europeo, da cui non è derivato nulla, dallo sganciamento del nostro paese dalla collaborazione militare per la sicurezza, per lo sviluppo tecnologico dell'industria della difesa, con l'uscita dal consorzio Airbus? Cosa ne viene all'Italia dalla polemica sulle agenzie? Noi siamo lealmente impegnati con il Governo a difesa di Parma quale sede dell'Agenzia europea per l'alimentazione.
Lei crede davvero che le polemiche svolte ventiquattr'ore prima aiutino l'Italia o, non la caccino piuttosto, in un ulteriore isolamento in questa Europa del condominio rissoso cui voi pensate e non nell'Europa della grande visione che unisce il nostro passato e il nostro futuro?
Signor Presidente del Consiglio, persegua una visione che deve accomunarci e alla quale il nostro paese tiene, l'Italia tiene.
Gli italiani si accorgeranno dei costi che deriveranno al nostro paese se lei dovesse - davvero - mantenere l'orientamento oggi illustrato.
Ricordo una dichiarazione del Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini che, dopo le dimissioni del ministro Ruggiero, disse che era finita l'ipocrita convergenza, l'ipocrita unanimismo di facciata.
Mi sarei aspettato che lei smentisse tale posizione, in quanto non mi è chiaro quale fosse l'unanimismo di facciata che ci ha accomunati sull'Europa.
Mi è chiaro ciò che ha detto in tutti i suoi discorsi il Presidente della Repubblica, che non cito strumentalmente: egli interpreta la continuità politica e storica di cinquant'anni. Ciò non riguarda il suo ultimo discorso in occasione della nascita dell'euro né il suo discorso storico a Berlino, bensì la visione di un'Europa quale federazione di Stati nazionali.
Lei, oggi, ha dato ragione, invece, a chi ha considerato defunto quello che è stato chiamato unanimismo di facciata e che, al contrario, rappresenta proprio la continuità di questa politica europea.
Signor Presidente del Consiglio, cerchi di non trasformare la storia e la dignità europea dell'Italia in un processo di emarginazione; non gridi a ridicoli complotti internazionali quando commette errori seri; non piagnucoli sul presunto spirito antitaliano dell'opposizione quando noi rimproveriamo a voi errori che fanno male alla nostra patria e danneggiano la credibilità del processo europeo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).
Questa, sì, è una visione illiberale. L'opposizione che le fa comodo non è l'opposizione che serve al nostro paese. Rispetti finalmente l'opposizione, i suoi ideali e anche le sue critiche che sono un dovere nel servizio della nostra l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).
Noi non arretriamo e non arretreremo dalle posizioni che abbiamo tenuto per decenni e che in questi banchi rappresentano la continuità della cultura europea dei popolari, dei democratici, dei democratici cristiani, dei riformisti, degli azionisti, dei laici e dei liberali che hanno guidato il cammino europeo dell'Italia e di tutte le forze della sinistra riformista che questo traguardo hanno condiviso. Se lei cercherà, come oggi ha annunciato di voler fare, di cambiare linea all'Italia in Europa, noi saremo qui e nel paese a batterci, invece, per mantenere e rafforzare quella linea.
Sono certo che la maggioranza del Parlamento italiano sceglierà questa strada, e non quella dell'avventura velleitaria, dello scetticismo e dell'isolamento, insieme alla maggioranza del popolo italiano, per l'Italia e per l'avvenire dell'Europa democratica che è la nostra seconda patria (Applausi dei deputati dei gruppi


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della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, noi siamo stati tra quanti, all'indomani delle dimissioni del ministro Ruggiero, consideravano fondamentale che il Governo riaffermasse con forza e - direi - persino, con solennità la vocazione europeista della nostra politica estera. Abbiamo ritrovato questa vocazione nelle parole che lei ha pronunciato oggi, di fronte al Parlamento ed all'opinione pubblica. Da parte nostra, gliene diamo atto e gliene rendiamo merito.
Dentro la cornice delle sue parole - è ovvio - e dentro la cornice di tutta la nostra politica internazionale non c'è posto e non c'è ragione per esprimere posizioni di scetticismo o di contrarietà appena dissimulata per l'Europa che stiamo cercando di costruire; non c'è posto e non c'è ragione per la visione cupa e minacciosa di un'Europa interpretata come fosse l'espressione di una congiura contro la libertà dei popoli e la loro identità civile e nazionale; non c'è posto e non c'è ragione per i fantasmi di «forcolandia» e dei suoi dintorni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
Tutto questo non c'è nella politica che il nostro paese persegue, non c'è nella tradizione che abbiamo alle spalle né nella prospettiva che il suo discorso ha delineato. Soprattutto, mi pare che non ci sia la parola d'ordine «diamo all'Europa il meno possibile» che nei giorni scorsi era diventata la bandiera di un nazionalismo giunto ormai fuori tempo massimo all'appuntamento con la globalizzazione. Nelle sue parole io ho letto l'obiettivo opposto: dare all'Europa di più e, magari, chiedere di più; stringere un legame e non allentarlo; farsi forti di quel vincolo e non viverlo come costrizione. In una parola: coltivare un'Italia più europea e portare più Italia in Europa.
Questo obiettivo corrisponde al sentimento politico e alla convinzione di una larghissima parte del Parlamento italiano e dovremo cercare di coltivarlo - maggioranza e opposizione insieme - senza confusione di ruoli o di idee, ma anche evitando il rischio che le nostre dispute interne finiscano per prendere di mira e per colpire i nostri interessi internazionali. Esiste una fondamentale continuità nella politica europeistica di tutti questi anni e non saremo certo noi a spezzare il filo di quella continuità. Lo dico con tanta più convinzione perché ritengo che si stia ragionando di un'Europa che nei suoi principi ispiratori è più liberale che socialista, più federale che centralista. Si tratta di un'Europa che deve di più al democristiano Kohl che all'internazionale socialista e tanto più, signor Presidente, il centrodestra ha il diritto ma soprattutto il dovere di rendere ancora più stretto quell'ancoraggio europeo che fa parte del codice genetico della nostra politica e sempre più dovrà essere così.
Credo sia chiusa nel nostro paese l'epoca di una sinistra che ha avversato troppo a lungo l'idea europea e che ancora pochissimi anni fa votava contro il sistema monetario europeo, e si asteneva sulla ratifica del Trattato di Maastricht. Ma non vorrei che l'ebbrezza di aver lasciato alle spalle quelle posizioni e quegli errori vi portasse oggi ad immaginare di salire da soli in cattedra o magari di scendere in piazza e di proporvi come i soli veri europei di questo paese: questo primato non ve lo lasceremo. Rutelli ha citato De Gasperi: una citazione è lecita, un'appropriazione non lo sarebbe (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU Biancofiore e di Forza Italia). Siamo europei quanto voi, forse più di voi e certamente da più tempo di voi. Ascoltiamo le vostre proposte, non sentiamo il bisogno di una lezione: non c'è un'Europa giacobina e comunista da combattere e rovesciare e neppure un'Europa socialdemocratica da coltivare come una reliquia. A maggior ragione, non c'è un lasciapassare europeo


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che la sinistra - e solo essa - sia in diritto di rilasciare o di revocare ai suoi avversari politici.
La Convenzione europea, che di qui a poco comincerà i suoi lavori, dovrà disegnare il percorso che conduce verso la Costituzione. Questo percorso parte sotto i buoni auspici della moneta unica, ma deve passare dalla moneta all'economia, dall'economia alla società, dalla società alla politica e alle sue istituzioni. L'euro è stato, probabilmente, come ha osservato il Presidente Giscard d'Estaing, una sorta di irrituale plebiscito europeista. Ma proprio il valore anche simbolico della nuova moneta richiama la nostra attenzione sui passaggi che ci attendono e che richiederanno, giustamente e inevitabilmente, procedure democratiche molto più forti. L'Europa di cui celebriamo il valore e la virtù non è un monumento, è un cantiere, e come tutti cantieri deve essere visto nella progressione dei suoi lavori, nella realizzazione di quel disegno alla federazione degli Stati nazione che assieme al Presidente Ciampi, in tanti hanno evocato come il destino e il dovere della prossima generazione europeista. L'euro è stata una battaglia vinta dagli europei contro la pigrizia e lo scetticismo e vinta dagli italiani contro alcuni dei nostri stessi vizi. Ora occorre evitare quella malinconia che faceva dire al duca di Wellington, appena sconfitto Napoleone, che dopo una battaglia perduta la più grande angoscia è una battaglia vinta.
Anche per dissipare la malinconia del duca di Wellington dobbiamo dedicarci subito alle due grandi questioni che sono davanti a noi. Una riguarda appunto il carattere democratico che la costruzione europea dovrà avere. Non avrebbe senso, a lungo andare, un'Europa che fosse democratica nei paesi che la compongono e meno democratica nel modo in cui questi paesi si legano gli uni agli altri.
Il passaggio dal metodo intergovernativo a quello comunitario, il progressivo superamento dei diritti di veto, la stessa ipotesi di una elezione popolare della Commissione, in una parola, tutto quello che l'agenda europea porta scritto per il futuro prossimo e un po' meno prossimo, richiama l'esigenza di far partecipare di più i cittadini a questo processo.
L'altra questione riguarda l'identità europea, la sua identità storica, civile, etica, le sue radici, il modo in cui ha preso forma e si è riconosciuta in se stessa. È una questione che ha posto Giovanni Paolo II quando, giustamente, ha lamentato che non si poteva pensare l'Europa - e lei prima lo ha ricordato - a prescindere dalla fede di tanti suoi cittadini. Il richiamo alla radice religiosa del nostro continente è più un retaggio civile che un dato confessionale; l'Europa è figlia della tradizione giudaico-cristiana e la sua stessa libertà nasce dalla distinzione tra il trono e l'altare. Ci sono molti modi di interpretare questa storia e questa identità, ma non vi è nessun modo di ignorarla o di nasconderla a noi stessi (Applausi dei deputati del gruppo del CCD-CDU Biancofiore). Vi è poi un'identità geopolitica che si allarga di volta in volta e che guarda oggi anche all'est in vista di un processo di vera e propria riunificazione del nostro continente. Un'Europa così ampia e varia sarà sempre meno simile all'idea di un'Europa carolingia, tutta costruita intorno alla frontiera del Reno e al rapporto speciale tra la Francia e la Germania. Tuttavia, anche in questo caso, riesce difficile fare a meno della storia; nel dopoguerra l'Europa a sei, la prima, nacque dalla comune passione politica di Schuman, Adenauer e De Gasperi, come impegno a portare la pace lungo i confini sui quali si era scatenato il conflitto. Da allora il legame franco-tedesco (si pensi solo alla genesi del trattato di Maastricht) è stato decisivo per tenere insieme e irrobustire la costruzione europea. Non può, ovviamente, essere un legame esclusivo, ma riesce difficile pensare l'Europa senza o contro quel legame.
Signor Presidente, il nostro paese e il nostro continente si trovano assieme davanti alle sfide e alle incertezze di un mondo che sta cambiando radicalmente i suoi assetti, le sue culture, i suoi rapporti di forza. C'è una ragione europea per dedicarsi all'Europa, per investire su di essa risorse, passioni, idee. La ragione è


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che nei prossimi anni l'Europa non potrà restare ferma al punto che ha raggiunto. Nel turbine di una grande crisi internazionale essa potrà crescere, alzare il suo profilo, esprimere un protagonismo e un dinamismo di cui, fin qui, non è stata abbastanza capace; oppure, al contrario, si scoprirà più disunita e più marginale. È difficile immaginare una via di mezzo tra queste due possibilità e sarebbe imprudente, davvero imprudente, scommettere su di un'Europa che amministrasse con parsimonia la piccola rendita dei pur significativi progressi compiuti in questi anni.
E c'è una ragione italiana, fortemente italiana, per dedicarsi all'Europa. Noi abbiamo assunto in questi dieci anni il vincolo europeo come leva della nostra virtù. Abbiamo sacrificato ai santi protettori della città di Maastricht gli ex voto della nostra politica economica e sociale (Applausi dei deputati del gruppo del CCD-CDU Biancofiore).
In tutto questo tempo l'Europa è stata per noi la metafora dell'Italia che volevamo. Abbiamo detto «Europa» per dire: risanamento dei conti pubblici, liberalizzazione dell'economia, difesa dei consumatori. Abbiamo detto «Europa» per sfuggire ai demoni di un'Italia trascurata e trasandata, lamentosa e rassegnata. Abbiamo detto «Europa» per aggiungere un altro tassello al mosaico dell'identità italiana.
Questo è il punto che noi dobbiamo tenere fermo. Certo, in Europa esiste una corrente di pensiero che insiste nel vedere nel nostro paese l'anello debole dell'Unione, nel vederci cioè come una sorta di anomalia che accomuna un po' tutti, che non distingue tra una parte e l'altra, tra la destra e la sinistra, tra la maggioranza e l'opposizione. Se si vuole offrire qualche argomento a questo stato d'animo, basta nutrire il nostro dibattito con i germi dell'euroscetticismo o con i veleni di una disputa provinciale e strumentale tra di noi. Ma se si vuole a poco a poco sradicare questo pregiudizio, ci servirà molto di più di una perorazione collettiva in favore delle prossime tappe dell'unità europea. Ci servirà dedicarci al compito di ammodernare il paese, tenerlo meglio insieme, riformarlo profondamente, liberarlo da troppe incrostazioni e troppi particolarismi. Questo è il nostro compito, qui sta l'interesse nazionale che siamo chiamati, da europei, a custodire e a promuovere (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU Biancofiore, di Forza Italia, di Alleanza nazionale e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cé. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, Presidente del Consiglio, è strano questo dibattito sulle dimissioni del ministro Ruggiero. Risaltano evidenti le contraddizioni del centrosinistra che si mostra addirittura amareggiato per le dimissioni di un ministro di maggioranza. Ma la sinistra non era per i no global e Ruggiero, ex direttore del WTO, non è stato contestato da folle coccolate dagli intellettuali di sinistra? È proprio vero che la coerenza non vi appartiene, oppure il vero motivo di questo vostro atteggiamento è cercare una sponda per operazioni politiche che poco hanno a che fare con la trasparenza del bipolarismo.
La verità è che tutte le vostre speculazioni, che hanno a pretesto l'Europa, sono formulate per scopi di politica interna in cui si intersecano attacchi personali a Berlusconi, con tentativi di contrapporre tra loro i vari leader della Casa delle libertà. Tutto perfettamente inutile! La Casa delle libertà ha un'idea chiara dell'Europa, è favorevole ad un progetto europeo che sia realmente vantaggioso per i cittadini italiani. Respingiamo, pertanto, le accuse di antieuropeismo, ribadendo che la posizione della Casa delle libertà è ottimista, ma pragmaticamente critica e doverosamente rispettosa dei principi democratici e non, come vorrebbe invece il centrosinistra, sterilmente e irrazionalmente euroconformista.
La Casa delle libertà, quindi, fa proprio il contrario di quanto fa la sinistra che


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utilizza ogni occasione per sollecitare la solidarietà socialista internazionalista, i francesi, i tedeschi e i belgi per mettere in ginocchio il Governo italiano. Questa scelta, cari colleghi, si dimostrerà controproducente perché danneggia il nostro paese ed è palesemente strumentale.
Da tempo il dottor Ruggiero, uomo di grande professionalità, appariva obbedire maggiormente a logiche estranee al programma della Casa delle libertà, al punto che, addirittura, l'onorevole Mastella lo ha proposto come possibile candidato del centrosinistra.
La Lega nord aveva contestato più volte il suo operato, il suo comportamento irrispettoso della volontà parlamentare sulla questione dello statuto e del finanziamento dei partiti europei, nonché alcune sue prese di posizioni favorevoli ad una apertura indiscriminata, potenzialmente monopolistica dei mercati.
La Lega nord Padania condivide la scelta del Presidente Berlusconi di gestire temporaneamente l'interim del ministero degli esteri. Riteniamo che il Presidente del Consiglio garantisca grande autorevolezza e rappresentatività.
Il destino dei popoli è sempre stato segnato dalle riforme monetarie, da Carlo Magno a Napoleone, ma mai sicuramente come oggi la finanza è stata depositaria di un potere quasi assoluto al cui cospetto la sovranità popolare dei Parlamenti è debolissima e con la sovranità popolare è debolissima anche la democrazia, tant'è vero che un segno della carenza di democrazia è il fatto stesso che i popoli hanno dovuto subire l'euro. Né in Germania, né in Spagna, né in Italia i governanti hanno chiesto al popolo se voleva o no l'euro e, dove si è svolto, il referendum sull'euro spesso è stato bocciato.
La Lega nord Padania, pur vedendo queste anomalie e pur accusando certi politici di sentirsi depositari di una verità che non hanno, ha preso atto dell'euro, valutandolo per quello che è: una sfida al dollaro, una sfida, qualcuno direbbe una dichiarazione di guerra agli USA mai esplicitata. Noi non siamo nel lunghissimo elenco delle cassandre che si possono citare: Margaret Thatcher, che definì l'euro un vaso di coccio, Milton Friedman, che dichiarò che avrebbe avuto effetti contrari a quelli auspicati, Martin Feldstein, che previde la nascita di conflitti in Europa e addirittura tra Europa e America.
Anzi, la Lega nord Padania prende atto del fatto che l'Europa, che conta 300 milioni di abitanti con un prodotto interno lordo di oltre 6 trilioni di dollari, sia contrapposta agli Stati Uniti d'America che hanno una popolazione di 270 milioni, con un prodotto interno lordo di otto trilioni di dollari. Le differenze non sono quindi abissali: per questa ragione l'euro potrebbe anche spuntarla nella lotta contro il dollaro pigliatutto.
Il problema che sottolinea la Lega nord Padania è invece relativo all'Europa politica: tra Schroeder ed Amato, favorevoli al progetto del superstato europeo, noi scegliamo Blair e Persson, contrari allo stesso progetto. D'altra parte, sarebbe non soltanto uno Stato senza nazione e quindi senza democrazia, dal momento che quest'ultima nasce, vive e muore, con lo Stato nazione; non esiste neppure la comunità europea: parliamo infatti lingue differenti, abbiamo giornali diversi, televisioni diverse e quindi opinioni pubbliche diverse. Il vertice di Laeken segna il momento di una decisione storica per l'Europa verso il governo postnazionale. È necessario che queste cose siano chiarite a noi stessi e alla gente.
Una Costituzione: ma quale? Mettendo insieme le poche cose che si possono fare in comune o ponendo fine alla democrazia dello Stato nazionale? Per voi comunisti è sicuramente una scelta molto semplice; la vostra storia è quella di chi ha governato e governa attraverso le élite: il popolo è ignorante e voi mandate le élite di partito. Per noi, che riteniamo che il potere debba fluire dal basso verso le istituzioni, è il contrario, è un'altra cosa!
Non vi è popolo libero senza una sua moneta: adesso voi vorreste addirittura impedire di parlare della nostra democrazia e del nostro futuro. Come ha già detto il Presidente del Consiglio Berlusconi, non


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ci faremo assolutamente intimorire dal vostro atteggiamento che è chiaramente strumentale.
Diciamo pertanto «no» all'Europa calata dall'alto, degli illuminati, dei 15 uomini che decidono per tutti. Diciamo «no» all'Europa dei banchieri e dei tecnocrati, all'Europa del pensiero unico socialista e positivista all'Europa del frainteso positivismo giuridico del filosofo Kelsen. Egli sostiene che basti la legalità del diritto e tutto, a cascata, dovrebbe adeguarsi. È invece indispensabile, come lo stesso Kelsen sosteneva, che la legittimità derivi dalla Costituzione e promani dal popolo.

ALFONSO GIANNI. Kelsen non ha mai detto questo!

ALESSANDRO CÈ. Diciamo «no» all'abuso dei poteri impliciti introdotti dal trattato di Amsterdam, ovvero a quelle clausole per le quali l'Europa avoca a sé tutte le competenze che essa stessa ritiene meglio gestibili a livello comunitario. Ribadiamo il nostro rifiuto alle posizioni della Corte di giustizia europea quando essa utilizza il metodo teleologico che considera i fini impliciti dei trattati, ampliando impropriamente le prerogative dell'Unione europea, attraverso proprie sentenze e attraverso un altrettanto inaccettabile modello autoreferenziale.
Ribadiamo il nostro «no» ancora una volta nei confronti di un potere sanzionatorio esercitato nei riguardi dei singoli Stati e basato sulle maggioranze politiche e non su fatti oggettivi. Siamo tra l'altro estremamente critici in ordine alla Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, accettata dal Consiglio, dal Parlamento europeo, dalla Commissione e, di fatto, già applicata dalla Corte di giustizia europea. La Carta dei diritti, non essendo stata integrata nel trattato, non necessita di ratifica: segno evidente di deficit democratico. Come è possibile che una bozza di Costituzione non venga sottoposta al vaglio popolare e che venga automaticamente applicata?
Siamo allo stesso modo estremamente critici sull'estensione del voto a maggioranza qualificata; il superamento del voto all'unanimità è strenuamente sostenuto dal Presidente Prodi il quale ricorda che con 25-27 paesi l'Europa diventerebbe ingovernabile. È un passaggio estremamente importante e che di fatto equivale ad una transizione dal modello confederale a quello federale. Questa transizione può essere attuata solamente attraverso una previa e precisa limitazione delle competenze, con l'eliminazione dei poteri impliciti dell'Unione europea; in caso contrario, il diritto di veto diventerà uno strumento di legittima difesa degli Stati nazionali.
Oggi, il voto a maggioranza qualificata è esteso a troppe competenze che andrebbero pesantemente e senza giustificazione, né condivisione popolare, ad invadere la sovranità nazionale. Siamo, invece, favorevoli ad un'Europa organizzata come confederazione di Stati. Solo così è possibile la devoluzione, alle regioni e alle comunità interne agli Stati, delle competenze, secondo i criteri di sussidiarietà verticale, istituzionale ed orizzontale, e, allo stesso modo, è possibile il trasferimento responsabile e limitato di competenze a livello europeo. Guai a farsi scippare la sovranità che appartiene alle comunità locali (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)! Innanzitutto, mi riferisco ai servizi alla persona, che possono essere svolti nel modo migliore dalle istituzioni più vicine ai cittadini. Proprio per questo, cari colleghi della Casa delle libertà, la devoluzione verso il basso deve essere rapida ed irreversibile, quasi una lotta contro il tempo per contrastare le spinte centripete, globalizzanti e disumanizzanti. Il bilanciamento local-global costituisce il vero antidoto alle dittature, alle concentrazioni monopolistiche, allo sradicamento ed all'annullamento dei popoli.
Stupisce, infine, che il centrosinistra, proclamatosi da sempre a difesa dei diritti dell'uomo, oggi cavalchi forsennatamente la furia accentratrice che porta al super- stato europeo, asservendo e privando di identità l'uomo stesso. Il centrosinistra sta, di fatto, giocando tutte le sue carte in Europa, per cercare di mantenere i suoi


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rapporti con la grande finanza. Questo spiega la sua pervicace ostinazione per il super-stato europeo, lontano mille miglia dagli interessi dei cittadini e dominato dai poteri forti.
È ormai chiaro a tutti che la vostra è solo una logica di potere. Sempre un maggior numero di cittadini lo sta comprendendo: il vostro futuro, il futuro del centrosinistra in Europa, non farà che replicare la débâcle che avete già subito in Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e del CCD-CDU Biancofiore).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bertinotti. Ne ha facoltà.

FAUSTO BERTINOTTI. Signori Presidenti, signore e signori deputati, ci sono momenti, durante questo dibattito sull'Europa, che mi ricordano un episodio di un vecchio film di Elio Petri, «La classe operaia va in paradiso», in cui un vecchio sindacalista, mentre tutto attorno a lui si sta sconvolgendo, continua a gridare a voce sempre più alta «unità, unità!», e non si accorge che tutti gli camminano pressoché sui piedi.
Unità, unità: una cosa molto importante, un valore, un obiettivo per il movimento operaio. Ed anche l'Europa è una cosa molto importante ed un obiettivo. Soltanto che non ci guadagna a sentire gridare «Europa, Europa!», con una retorica che rischia di distaccarla ulteriormente dai suoi popoli. Invece, l'interrogativo sull'Europa è drammatico: quale Europa e per fare che cosa? In altre parole, qual è la missione che l'Europa deve darsi nel mondo e qual è il modello sociale, economico e politico che vuole organizzare al suo interno, per vincere la sfida della crisi della politica?
Hic Rhodus, hic salta: senza autonomia, non c'è alcuna possibilità di rispondere a questi due interrogativi. Senza autonomia rispetto alla globalizzazione capitalistica, senza autonomia rispetto agli Stati Uniti d'America, senza autonomia, sotto la moneta niente.
Infatti, l'Europa, come soggetto politico, non c'è. Non c'è di fronte ad un bivio drammatico del nostro tempo, quello tra pace e guerra, nella risposta da dare alla sfida terribile del terrorismo.
Si è imboccata la strada della guerra, con il consenso di quest'Europa, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Per combattere i barbari si è imbarbarito ciò che voi chiamate occidente. Basta leggere le testimonianze di un giornalista attento come Tiziano Terzani da Kabul o tutte le testimonianze che raccontano di vittime innocenti di quelle popolazioni. Voi dovreste ricordare che non vi sono morti la cui vita vale meno degli altri. Ci sono prigionieri violati ed uccisi contro i codici stessi della guerra. Voi dovreste ricordare che non ci sono territori in cui i codici non valgono. Si accumulano tensioni e rancori e crescono i fondamentalismi, invece che declinare. E nuovi possibili teatri di guerra si aprono ogni giorno, annunciati, poi dismessi e poi nuovamente annunciati. Persino quelli che avete indicato come focolai di un conflitto che si sarebbe dovuto spegnere - più grande di tutti, la Palestina - sono esplosi. Signor Presidente del Consiglio, il piano Marshall non c'è, perché non può esserci il piano Marshall quando è in atto la guerra, e l'Europa - diciamoci la verità - si sta coprendo di vergogna in quella parte del mondo.
Israele è un paese associato all'Europa e nega persino gli osservatori europei su quel territorio. Intanto logora l'autorità palestinese per annientarla e per cancellare, con la stessa, l'intera questione palestinese, facendo di quel territorio un territorio dominato dove ci può essere violenza endemica che chiama repressione. Sharon sostiene che in questo modo imita Bush. Ha poca importanza vedere se gli corrisponde esattamente. Ciò che è importante è che lo può affermare e che nessuno glielo nega. Prosegue il contagio della guerra infinita e indefinita; in oriente c'è il rischio che esploda un conflitto tra India e Pakistan; in occidente, in America latina, vi è la crisi dell'Argentina, e in Colombia, l'arroganza di un Governo


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mette fine ad una trattativa e forse prepara un nuovo intervento degli Stati Uniti d'America.
Il mondo è a rischio e, in esso, l'Europa è muta o almeno ininfluente. Lo è perché non ha autonomia. Ma anche al suo interno le questioni non sono messe meglio. La moneta unica è certamente buona cosa. In tanta parte del mondo si guarda ad essa con interesse, ma se guardiamo a come ci si è arrivati, tutto ciò non incoraggia certo per il futuro. Allora chiediamoci qual è il destino di quest'Europa, anche al suo interno, invece di vedere chi grida più forte: Europa, Europa!
Un uomo di stampo liberale, un commissario europeo, Mario Monti, ha posto, qualche giorno fa, quasi in solitudine, alcuni interrogativi che credo pertinenti. Si è chiesto se i nostri paesi - tutti quelli che compongono quest'Europa - non rischiassero di essere portati allo sbando da un vento spinto - sto citando - dai mercati che si globalizzano, da imprese multinazionali più potenti degli Stati, da una potenza egemone e solitaria qual è quella che diventerebbero gli Stati Uniti d'America. Il commissario Monti si è solo sbagliato. Questo non è un rischio, ma la realtà! Ed il commissario si è sbagliato una seconda volta a non vedere che a determinare questa realtà concorre proprio ciò che lui vanta, come fate voi e purtroppo anche i vostri predecessori, e che quel modello europeo ha fatto grandi passi verso quello americano attraverso i processi di liberalizzazione e di privatizzazione. Questa è l'Europa di Maastricht, l'Europa che hanno inventato i Governi conservatori, quando erano in maggioranza pressoché in tutta Europa, e che poi hanno gestito i governi di centrosinistra, quando erano in maggioranza pressoché in tutta Europa. Quattro di questi governi sono già caduti ed altri rischiano per una contraddizione: non si può governare una politica di destra come quella di Maastricht con un orientamento di Governo di centrosinistra. In realtà, a dettare le regole ed i comportamenti è stato il Fondo monetario internazionale, egemone anche in Europa, che ha subito fattualmente la sua egemonia. Ora la crisi argentina è la prova drammatica e provata che eseguendo fedelmente - quale che sia la composizione del Governo - i dettami del Fondo monetario internazionale si rischia la catastrofe e, in ogni caso, seguendo quell'indicazione, senza arrivare alla catastrofe, l'Europa ha mancato l'appuntamento di dover sostituire gli Stati Uniti d'America nel diventare locomotiva di uno sviluppo entrato, invece, in crisi.
Contemporaneamente, il suo deficit di democrazia interna si è aggravato ed ha perso l'occasione della Carta dei diritti, povera e stracciata dalla Costituzione materiale di diversi paesi.
È in questo quadro che anche il Governo italiano dell'onorevole Berlusconi ha creduto di poter trovare un terreno favorevole per accreditarsi in Europa e per trarre, da ciò, la forza per governare in Italia secondo le sue politiche neoliberiste.
La realtà è stata più contraddittoria e scoscesa di quanto si immaginava. Un processo di integrazione è comunque proseguito, sulla base di norme, anche in assenza della Costituzione europea, ponendo al Governo problemi seri, sui quali il Governo è inciampato (come in occasione della vicenda delle rogatorie), ovvero molto complessi, sui quali il Governo medesimo - ma non è questo in discussione - poteva anche esprimere un ragionamento autonomo dagli indirizzi che tentava di imporre l'Unione europea. Ma se prende le distanze e si pone in conflitto solo quando vengono in discussione i reati finanziari, allora il Governo rivela non solo la sua natura intrinsecamente liberista, ma anche gli interessi proprietari e le ricchezze che intende difendere, non la capacità di sapersi fare carico degli interessi generali!
Quando, poi, il processo di integrazione investe, con la mobilità, la questione delle persone, viene alla luce una questione gigantesca, su cui già Schengen aveva fallito: quella dell'immigrazione. Il giorno 19, qui a Roma, vi sarà una mobilitazione democratica ed avrà luogo una grande manifestazione che userà il linguaggio


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della tolleranza e della civiltà e che parlerà dell'ordinamento che il paese e l'Europa dovrebbero darsi.
Qui si apre un conflitto all'interno del Governo. Vi è una tendenza liberale sensibile alle sollecitazioni dell'economia: potrebbe vivere l'Italia senza gli immigrati? Ma no! Le nostre case, allo stesso modo delle nostre fabbriche, non funzionerebbero senza la presenza degli immigrati! Ma mentre la componente liberale accetta una qualche regolamentazione, nel suo Governo vi è una componente xenofoba - chiamiamola con il suo nome! - la quale vuole privare gli immigrati di cittadinanza, in tal modo favorendo chi intende farne il ventre molle per un'azione di svuotamento da estendere, subito dopo, a tutta la compagine lavorativa.
Si aprono contraddizioni anche sul terreno economico, signor Presidente del Consiglio. Secondo me, lei ha fatto molto male a minimizzare l'uscita dal Governo del ministro degli esteri dicendo che si trattava di una questione di tempi o di carattere. No, si tratta di una questione politica! Si è aperta una contesa tra i diversi interessi che, vincendo le elezioni, questa maggioranza ha composto ad unità anche nel blocco borghese: tra quella borghesia che è legata ai processi di internazionalizzazione del capitale e quella che è più legata alla realtà nazionale.
Il processo di integrazione economica apre una contraddizione tra questi settori; e per un Tronchetti Provera che ha bisogno di un quadro internazionale molto rigido, da adoperare come una frusta per chiedere al Governo e alla Confindustria di andare avanti nello sfondamento contro le conquiste dei lavoratori, c'è un'altra parte della borghesia imprenditoriale (quella più legata agli interessi nazionali) che, pur volendo fare la stessa operazione contro i lavoratori, ha bisogno, però, di sostituire con qualcos'altro la svalutazione che le aveva permesso di essere competitiva per tanto tempo in Europa e nel mondo: con la moneta unica non può più usare la svalutazione e quindi deve aprire un qualche processo di contrattazione. Altro che Europa delle patrie! Mercati tra i mercati!
Così esplode un conflitto tra una tendenza - espressa dal ministro Ruggiero - ed altre componenti e il Presidente del Consiglio risolve tale contesa precisando qual è la linea del Governo. Io vorrei dire che non vi è una contesa tra due idee dell'Europa: vi è, invece, una contesa tutta interna ad un'idea dell'Europa che è quella di Maastricht e della dipendenza dagli Stati Uniti d'America, l'alternativa alla quale va costruita fuori dalla polarità di questa maggioranza, cercando una connessione con ciò che è vivo nella società civile.
Poco fa, in un intervento di grande decoro intellettuale, conducendo ad un punto di incontro queste due tendenze presenti nella maggioranza, l'onorevole Follini ha rafforzato la mia convinzione che noi dell'opposizione non dobbiamo inseguire alcuna di queste tendenze (peraltro, un tale atteggiamento apparirebbe grottesco) ma, al contrario, dobbiamo ricercare un'alternativa radicale.
Il Governo si fa forte di questo impianto per intentare un attacco, in Italia, alla costituzione materiale e sociale del paese: l'attacco all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e le deleghe chieste sullo stato sociale questo rappresentano!
Signori del Governo, voi non potete dire, ogni volta che c'è qualcuno che contesta e che critica: io non parlo più con te. Se è Borrelli a parlare, allora il ministro della giustizia gli dice: non parlo più con te; se è Cofferati a parlare, il ministro del lavoro gli dice: non tratto più con te.
Signori del Governo, la trattativa con il sindacato più importante d'Italia è obbligatoria, inoltre è così saggiamente moderato che dovreste ringraziarlo perché, altrimenti, ben altre sarebbero le rivendicazioni con cui dovreste fare i conti. Il punto è che oggi qualcosa sfugge a questo quadro; si tratta di quella parte di mondo che si troverà a Porto Alegre tra qualche settimana, che vive in Italia, che si è vista negli scioperi degli studenti, che si è vista nello sciopero dei metalmeccanici; è questa


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la parte con cui l'opposizione al suo Governo dovrebbe dialogare per chiedere che l'Europa sappia parlare il linguaggio della pace contro la guerra, sappia uscire dal quadro di Maastricht, mettendo in discussione, intanto, il patto di stabilità. Peraltro, il patto di stabilità è un armamentario di un altro periodo. Perché invece di discutere retoricamente dell'Europa non discutiamo di mettere in discussione radicalmente il patto di stabilità per avere delle risorse non già per spenderle nel ridicolo ponte, ma in un ponte reale tra le generazioni in Italia, tra le diverse realtà sociali, nel risanamento ambientale, per un nuovo Stato sociale affinché, quando si parla di Europa, si parli di scuola, di sanità, di previdenza sociale, di salario sociale, cioé si parli di questa Europa? Vede, oggi c'è la moneta unica, signor Presidente, ma non c'è il salario unico europeo. L'operaio metalmeccanico italiano (lo cito per parlare degli insegnanti, dei lavoratori della scuola, dei lavoratori pubblici), prende un terzo in meno dello stesso lavoratore metalmeccanico che fa il suo stesso lavoro. A noi piacerebbe parlare di questa unificazione europea.
Io non sono riformista ma ho imparato la lezione di riformisti che ho anche molto ammirato; uno di questi era il segretario generale aggiunto della CGIL di Di Vittorio e poi anche di Novella, Fernando Santi. Egli, parlando dell'Europa, concluse un suo intervento in un modo che vorrei qui riproporre: se io fossi un uomo di quelle terre lassù - disse - faticherei a capire bene cosa si vuol dire quando si parla di Europa, però il giorno in cui scioperassero insieme per gli stessi obiettivi l'operaio della Volkswagen, l'operaio della FIAT e l'operaio della Renault, io comincerei a capire di quale Europa parliamo. Il giorno che questi lavoratori avessero la stessa retribuzione, quella più alta, io comincerei a capire di che Europa parliamo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista e di deputati di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Diliberto. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, colleghi, è indubbio che il licenziamento del ministro Ruggiero ha provocato una crisi politica del Governo Berlusconi ed ha anche creato una frattura con una componente rilevante del padronato italiano (il senatore Agnelli in testa, sin qui sponsor principale e non certo disinteressato del suo Governo). Così come è naturale che la fuoriuscita dello stesso Ruggiero dal Governo significhi una modifica della politica estera italiana, nel senso certamente non europeista, tranne che sul versante ovviamente degli affari. Ma io credo sia venuto il tempo di affermare con chiarezza che almeno noi comunisti italiani non intendiamo fare opposizione esaltando e tanto meno reclutando chi è stato sino a ieri un ministro, per quanto a disagio, di un Governo di destra.

ALFREDO BIONDI. Meno male!

OLIVIERO DILIBERTO. È tempo di reagire alle politiche di questo Governo con politiche nostre, con nostre idee e nostri valori, ed è tempo di affermare che questi ultimi - i nostri valori appunto - sono non già semplicemente diversi da quelli della destra, ma alternativi, opposti, a quelli della destra. Vedete, credo che quanto è accaduto questo fine settimana in Italia riguardi l'Europa e la collocazione del nostro paese. Non è parlar d'altro. La circostanza, caso unico nel mondo, non solo in Europa, che in tutte le aule dei palazzi di giustizia italiane - non parlo di un singolo procuratore - i magistrati tutti, dal nord al sud del paese, abbiano deciso di abbandonare l'aula quando ha preso la parola il rappresentante del ministro della giustizia è un fatto enorme che dovrebbe far riflettere tutti noi ed innanzitutto il Governo in carica. Ebbene, di fronte a questo fatto enorme, di fronte alla indignazione dei magistrati e di milioni di cittadini per quanto sta succedendo, da questo seggio parlamentare, al quale sono stato eletto dal popolo italiano, voglio dire con molta chiarezza ai signori del Governo che noi non intendiamo né tacere né chinare la testa. Avete approvato leggi sulla giustizia ad uso privato...


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PRESIDENTE. Onorevole Diliberto, scusi se la interrompo. Lei conosce l'assoluta correttezza. La richiamo al fatto che questo è un dibattito sulla politica estera.

OLIVIERO DILIBERTO. Non c'è dubbio.

PRESIDENTE. Se lei si inserisce in questo solco, va benissimo, altrimenti, poiché ho fatto appello a tutti, a partire dal Presidente del Consiglio...

ALFREDO BIONDI. Allora riprendiamo la parola anche noi!

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, nella politica di giustizia del Governo vi è la figuraccia sul mandato di arresto europeo, vi è il problema delle rogatorie e vi è il problema del rientro in Italia dei capitali illegalmente esportati e dunque credo che si tratti di politica europea (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Vedete, sta riemergendo in tutta la sua attualità quella che, tempo addietro, molto prima di «mani pulite», Enrico Berlinguer definì la questione morale, come questione politica che oggi assume, per l'appunto, un carattere internazionale. Quando parliamo di Europa vogliamo parlare di queste cose? Vogliamo parlare del tema dell'indipendenza della magistratura? Vogliamo parlare del fatto che, in questo paese, oggi, si cerca l'impunità per i ricchi e per i potenti mentre si vogliono regolare i conti con i più deboli?
Quando parliamo di Europa, parliamo di un sistema di valori e, parlando di un sistema comune di valori, vi sono regole democratiche; parlando di un sistema comune di valori in Europa, parliamo del sistema dell'informazione, parliamo dell'abnormità di una situazione come quella italiana che non è unica solo in Europa: è unica nel mondo! Con un sistema informativo come questo, che posto ha l'Italia in Europa, con un sistema dominato dal Presidente del Consiglio, in un paese dove vengono conculcati i diritti dei lavoratori, dove viene messa a rischio la stessa libertà di insegnamento?
Ci siamo dimenticati - è passato solo un anno - la famigerata proposta del governatore Storace di istituire una commissione di censura per i libri di testo nelle scuole? Questa non è Europa? Certo che è Europa! In tutta Europa vi è libertà di pensiero e di insegnamento.

ALFREDO BIONDI. Questo è un comizio!

OLIVIERO DILIBERTO. Badate, sono a rischio tutti i diritti della Costituzione: si vuole introdurre la possibilità da parte padronale del licenziamento indiscriminato, smantellare il sistema pensionistico e azzerare ogni tutela del lavoro sino al collocamento del tutto privatizzato, estrema frontiera dell'arbitrio e della precarietà. Occorre reagire. Occorre reagire. Signor Presidente del Consiglio, lei ha ricordato Genova, ha ricordato il G8, ha ricordato i tragici fatti del G8. Io voglio ricordare agli italiani che, in preparazione del G8 - dunque parliamo di politica estera -, lei si era preoccupato di chiedere ai cittadini di Genova di non esporre la biancheria intima alle finestre! Altro che preparare il G8! Altro che dignità della politica estera italiana! E per tre giorni, a Genova, sono state cancellate le guarentigie costituzionali; sono stati pestati e arrestati, indiscriminatamente, giovani di tutto il mondo. Questo non è garantismo? Sì, ma noi siamo per il garantismo di tutti e non per quello dei ricchi e dei potenti e allora occorre un'opposizione seria.
Ho sentito, anche da parte di esponenti del centrosinistra, parlare di opposizione. Io chiedo a tutti noi una opposizione seria, rigorosa, senza sconti; una opposizione come può e deve fare una forza di Governo che si candida a tornare a governare il paese, ma per tornare a governare noi...

ALFREDO BIONDI. Ci vogliono i voti!

OLIVIERO DILIBERTO. ...cari amici del centrosinistra, occorre evitare, oggi, gli


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errori che hanno fatto vincere gli altri, ieri. Per tornare a governare e a vincere, con la massima chiarezza politica, io sostengo, dunque, che nessun dialogo è possibile con questo Governo, nessuna intesa e nessun ammiccamento, né esplicito né implicito.

CARLO TAORMINA. Bravo, esatto, è vero!

OLIVIERO DILIBERTO. Abbiamo già pagato duramente, in passato, atteggiamenti di questo genere. Occorre reagire: ripeto, non dobbiamo chinare la testa, perché il pericolo è grave; lo ripeto ancora, il pericolo è grave e credo che anche all'interno del Polo, all'interno della destra, vi sia chi avverta questo rischio, perché non tutti nella destra sono antidemocratici e molti si rendono conto del pericolo che si corre.
Se il rischio è così alto, credo debbano essere chiamati a raccolta nel paese tutti coloro, e sono per fortuna ancora tanti, che hanno mantenuto intatta la capacità di indignarsi di fronte a questi scempi ed hanno mantenuto intatta la volontà di battersi contro di essi. Noi Comunisti italiani, per la nostra parte, saremo in prima fila per contrastare, per impedire che il Governo, oggi e domani, nel corso della propria attività, annulli i diritti costituzionali che non sono stati guadagnati dalla mia generazione, ma dai nostri padri e dai nostri nonni. Tali diritti, lo ripeto, non sono stati regalati, ma conquistati. Il fronte democratico che è presente da questa parte dell'aula è costituito dagli eredi delle forze politiche che insieme hanno scritto la Costituzione repubblicana: obiettivo principale oggi è difenderla (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, lei ricorda spesso che la politica estera deve proporsi obiettivi non solo diplomatici ma soprattutto commerciali; ebbene, aveva come ministro degli esteri non solo un esperto diplomatico ma il più grande esperto di commercio internazionale, l'ex direttore e riformatore dell'organizzazione mondiale del commercio, e lo ha sacrificato. Non si faccia offesa all'intelligenza degli italiani raccontandoci che una simile enormità sia accaduta per problemi personali negando che abbiamo perso Ruggiero perché il Governo non ha saputo, o voluto, garantirgli il pieno sostegno ad una politica europeista. In nessun paese serio al mondo mai è accaduto che il Primo ministro ricopra anche l'incarico di ministro degli esteri, mai, neppure per un mese. Non si offenda il buonsenso degli italiani raccontandoci che è possibile fare le due cose insieme, farle non per finta ma per davvero. Noi stessi offenderemmo Berlusconi se credessimo che questo caso unico al mondo avvenga soltanto per un suo delirio di presunzione. Non è così: Berlusconi è stato costretto a prendere tempo perché oggi non sa chi scegliere come ministro, perché era difficile dire subito «no» a Fini ed era altrettanto difficile presentare nel mondo un ministro degli esteri postfascista.
Non me la sento di affermare che il Governo ha, oggi, una politica estera antieuropeista, dico che non ha affatto una politica estera. Nella maggioranza ci sono eredi della tradizione di De Gasperi e di Ugo La Malfa e li abbiamo ascoltati; ci sono però anche le provocazioni di Bossi che, dopo aver tentato di smembrare l'unità d'Italia, ragiona ora più in grande: il suo ego si è allargato ed adesso tenta di smembrare l'unità dell'Europa.
C'è poi il pragmatismo dello stesso Presidente Berlusconi che, trattato talvolta come l'ultimo della classe in Europa, è tentato di cambiare scuola e di diventare il primo della classe alla scuola americana gestita dal suo faro politico George Bush. C'è nel Governo la posizione sofisticata ed insidiosa di chi, come i conservatori anglosassoni, teme che l'Europa sia il primo passo verso una politica estera di difesa veramente comune, verso lo Stato federale


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europeo. Ma è esattamente questo l'obiettivo dei Socialisti europei: il nostro obiettivo è un euro non appeso al nulla, perché alla lunga crollerebbe, ma appeso ad un vero soggetto politico unitario, un euro leale concorrente del dollaro, un'Europa amica ed alleata degli Stati Uniti ma diversa ed orgogliosa della propria diversità.
Diciamo la verità: vi è un'unica speranza per i Socialisti e per chi non accetta l'egemonia mondiale del nuovo dogmatismo, quello liberista; esiste infatti un unico ambito sufficientemente vasto ed economicamente forte per sviluppare una politica diversa da quella della finanza globale che ha sede a Wall Street e questo ambito si chiama Europa politicamente unita.
America ed Europa sono due facce della stessa civilizzazione, della stessa medaglia, due famiglie di cugini indissolubilmente legate, oggi impegnate insieme contro la minaccia del fondamentalismo islamico che ha sostituito quella sovietica, contro la rivoluzione verde che ha sostituito quella rossa. Ma in America si privilegiano individualismo e durezza, in Europa solidarietà e moderazione.
Si può sperare che le due famiglie arriveranno ad assimilare il meglio di ciascuna ed a trovare un minimo comune denominatore, ma nel frattempo noi dobbiamo sostenere i nostri valori che sono il frutto dell'umanesimo cattolico e di quello socialista.
In America manca il Welfare State, ma vi è la pena di morte; in Europa è esattamente il contrario. Non è poco: è il simbolo delle due facce della medaglia. Di qui parte la grande, pacifica e amichevole competizione tra Europa e Stati Uniti. Questa è la semplificazione che aiuta a capire lo scontro tra destra e sinistra.
Se l'Ulivo manifesta dietro la bandiera europea e Forza Italia dietro quella americana non è solo un caso contingente, ma ha un forte valore simbolico. La destra punta sull'individualismo e vuole fare come in America; la sinistra punta sulla solidarietà e vuole fare come in Europa. La destra vede l'euro come un fine in sé; la sinistra vede l'euro come un mezzo. La carta moneta è per noi la base per la Carta costituzionale di un nuovo Stato federale ed è un mezzo per una politica europea autonoma.
Non è da adesso che la sinistra sogna e vede lontano. Filippo Turati nel 1929 in una lettera al leader laburista Henderson scriveva: la preminenza e il predominio economico, ognor crescente, degli Stati Uniti d'America, questa colonia d'un tempo che sta per fare dell'Europa una sua propria colonia, fanno della federazione europea una questione di vita o di morte per noi: federazione europea, 1929.
Vorrei concludere, signor Presidente, con un invito alla moderazione, la moderazione che, da tempo, chiede il partito dei Socialisti democratici italiani. L'Italia oggi, finalmente, batte moneta europea, grazie agli sforzi congiunti della sinistra e della destra. Ha bisogno di battere politica europea, ancora grazie a questi sforzi congiunti. Ha bisogno di battere giustizia europea e, per questo motivo, bisogna isolare gli opposti estremismi: quello dei politici di Governo che vogliono prevaricare la magistratura e quello dei magistrati che vogliono prevaricare la politica.
Questa giustizia italiana impazzita, questo scontro distruttivo tra poteri dello Stato che si trascina ormai da dieci anni deve finire: spaventa l'Europa che lo vede come il fascismo degli anni venti, un possibile contagio, una malattia da esportazione; spaventa gli italiani i quali - come è ben scritto nel fondo del Corriere della Sera di ieri - sempre più non vogliono né l'umiliazione dei giudici né il Governo dei giudici (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, ho consultato il sito Internet del Governo (www.Governo.it) e vorrei ricordare


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solo una circostanza storica che si è verificata qualche anno prima della fine degli anni venti, periodo citato dal collega Intini. Nel 1922 Mussolini trasferiva a palazzo Chigi la sede del Ministero degli esteri; questo è l'ultimo caso nella storia italiana - lo dice il sito del Governo - in cui il Presidente del Consiglio dell'epoca ricopriva l'incarico di ministro degli esteri e puntava, non attraverso un incarico provvisorio, ad interim, ma con un ampio spazio di vedute, a riorganizzare la politica italiana all'estero.
Ovviamente, spero che questo precedente storico non sia altro che una circostanza specifica riportata nel sito del Governo italiano. Tuttavia, signor Presidente del Consiglio, credo si debba rilevare che nel suo intervento, almeno nella parte iniziale, vi è stato un eccesso di arroganza e di durezza. Rispetto alla necessità di un dibattito in cui spiegare le ragioni della politica estera vi è stato un atteggiamento molto duro e lo è stato anche l'attacco al teatrino domestico italiano cui lei fa spesso riferimento...

NITTO FRANCESCO PALMA. È la verità!

ALFONSO PECORARO SCANIO. ...e che, effettivamente, è stato citato anche dalla stampa internazionale, ma in qualche modo nei confronti del suo Governo.
La parte recitata in questa sede sembra quella di Pinocchio che cerca di raccontare al paese che Ruggiero è bravissimo e perciò è stato cacciato dal Governo. Mancano, invece, i riferimenti al gatto e alla volpe e manca il riferimento ad un ministro del suo Governo che definisce l'Europa «forcolandia».
Manca il riferimento ad una politica degli insulti nei confronti dell'Europa che non è legittimo realizzare dai banchi del Governo della Repubblica italiana. Credo che questo appaia evidente a tutti.
I Verdi storicamente, in Italia e in Europa, non sono stati mai né euroscettici né euroentusiasti. Sono stati molto critici anche sulle parti monetariste sbagliate del trattato di Maastricht, convinti che l'Europa non debba ridursi ad una concezione solo monetaria, ma debba essere una realtà dei popoli, dei diritti, dei cittadini. Non è un caso che noi parteciperemo all'assemblea mondiale sociale di Porto Alegre: il problema della politica estera oggi viene posto, in modo molto lato, dai movimenti di cittadini, ma anche dagli economisti e da tutti gli studiosi a livello internazionale. Oggi vi è un problema reale di globalizzazione dei diritti e dei doveri. Vi è il problema reale della difficoltà che abbiamo nel vedere grandi multinazionali e capitali finanziari internazionali che non pagano nemmeno una lira di tasse a livello planetario, mentre ogni singolo cittadino che intraprende un'iniziativa dovrebbe e deve pagare le tasse a livello locale. Mancano i doveri ed i diritti globali.
Su questo vogliamo un suo impegno, signor Presidente del Consiglio, in una politica estera che sia nuova ed innovativa del nostro paese. L'Europa deve essere un punto di riferimento di riorganizzazione di diritti e di democrazia. Questo è quello che si chiede.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha richiamato in questa sede la problematica della giustizia che in questi giorni è particolarmente incandescente. Il riferimento all'habeas corpus, alla giustizia ed al diritto anglosassoni è importante. Non so se questo voglia dire che può esservi una richiesta di svolgere alcuni processi importanti secondo il diritto inglese in Inghilterra. Ma purché da qualche parte si possa svolgere un processo (anche quei processi che in Italia non si possono fare) le garantisco che se si svolgono secondo il diritto inglese, se viene dimostrato nel merito che la corruzione dei giudici vi è stata, probabilmente vi saranno condanne anche in Inghilterra. Se poi non c'è il reato sicuramente non ci sarà il problema. Non so se vi sia la richiesta di andare in Inghilterra a svolgere alcuni processi (il processo Sme ed altri), ma se vi fosse sarebbe un segno comunque di europeizzazione (forse abbiamo qualche difficoltà tecnica ad arrivarci).


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Sicuramente dobbiamo superare questa dinamica di uno scontro continuo che lascia perplessi sul fatto che non si discute del merito delle vicende giudiziarie, ma si parla solo di altro. Su questi temi crediamo che si debba rasserenare il clima, ma cominciando dal Governo: se è disponibile al dialogo deve dimostrarlo con iniziative che rasserenino il clima nel paese e riportino davvero ad una volontà di colloquio e di partecipazione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.

IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le dimissioni del ministro Renato Ruggiero, rassegnate poco più di una settimana or sono, rappresentano senz'altro una grave perdita per il Governo del paese. Si tratta della perdita, a meno di un anno dal suo insediamento, di un ministro tecnico, di un europeista convinto, di un personaggio che, in virtù di una lunga carriera diplomatica vissuta nei principali centri decisionali della vita politica europea e mondiale, accreditava fortemente l'immagine dell'Italia nel quadro internazionale e ne rafforzava la presenza nell'attuale delicato equilibrio geopolitico.
L'Italia, in questi ultimi cinquant'anni, ma soprattutto all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, ha sempre saputo esercitare un ruolo positivo nell'ambito del processo di unificazione europea. In questo momento non possiamo pensare che quel patrimonio di idee e di proposte possa andare disperso. Credo che anche in questi primi giorni dell'anno, con l'accettazione e la serena integrazione dell'entrata in circolazione dell'euro, il nostro paese stia dando una chiara conferma del proprio europeismo.
Abbiamo sentito parlare di un caso Italia. Forse questa espressione è una forzatura, ma sicuramente, nel dibattito su quale futuro europeista vogliamo, apertosi in seguito alle dimissioni del ministro Ruggiero, sono state fatte affermazioni quanto meno inopportune in questo momento. Indubbiamente, in una realtà dove una frase pronunciata a Roma in pochi minuti fa il giro dei centri della vita politica e diplomatica e delle redazioni delle maggiori testate europee, queste affermazioni e le molte dichiarazioni, a volte contrastanti tra di loro, di esponenti del Governo hanno prestato il fianco alle critiche e ai dubbi espressi da più parti.
In questo momento dobbiamo esprimere l'auspicio che la fase interinale della copertura del posto da parte del Presidente del Consiglio sia la più breve possibile.
Se non vogliamo perdere il passo rispetto ad altre diplomazie, l'importanza della fase che stiamo vivendo a livello internazionale, caratterizzata da momenti di alta responsabilità per quanto concerne la futura Costituzione europea, richiede una linea chiara della nostra politica estera ed una forte presenza del nostro paese.
Questa fase deve costituire l'occasione per disegnare un ruolo propulsivo da parte della politica estera italiana e quindi, superata la fase interinale, ritengo sia utile che la maggioranza sappia individuare, tra personaggi che da sempre si riallacciano alla tradizione europeista, un titolare della Farnesina che impieghi tutte le sue energie nell'assolvere questo delicatissimo compito e si occupi esclusivamente della nostra politica estera.
Come rappresentante del gruppo Misto-Minoranze linguistiche mi permetto di aggiungere che, se vogliamo realizzare la vera Unione europea, alla guida del dicastero non è sufficiente un convinto europeista, ma dobbiamo migliorare la concezione di Europa, dobbiamo analizzare con più attenzione il quadro europeo e, attraverso il riconoscimento del valore delle autonomie locali e delle etnie che hanno una geografia diversa da quella degli Stati, sostenere con maggiore forza e convinzione non solo l'Europa degli Stati, ma quella delle regioni e dell'integrazione fra i popoli (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche e Misto-Verdi-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Milioto. Ne ha facoltà.

VINCENZO MILIOTO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il Nuovo PSI resta dell'idea che sarebbe stato meglio evitare lo strappo traumatico delle dimissioni del ministro degli affari esteri ma, al tempo stesso, riconosce che il Presidente Berlusconi ha fatto bene ad adottare la sua decisione e ad assumersi la responsabilità di guidare la politica estera del paese, fornendo, in tal modo, l'altolà più autorevole alle tentazioni e alle velleità euroscettiche, alberganti all'interno o nei dintorni della maggioranza.
Inoltre, ritengo vadano affrontate due questioni. La scelta del nuovo ministro degli affari esteri non può non obbedire al criterio di ricadere su una persona, certamente, autorevole e capace ma, soprattutto, in grado di operare in totale sintonia con il Presidente del Consiglio, al fine di garantire quell'unità di guida della politica estera, assolutamente necessaria.
I leader della coalizione garantiscano al Presidente Berlusconi la totale libertà di valutazione e di scelta, che non può non avvenire nel più breve tempo possibile. La seconda questione attiene alla messa a punto di un dettagliato programma di politica estera europea, in grado di affrontare le prove che ci attendono nell'immediato futuro e di consentire all'Italia di reggere alla competizione che si è aperta fra le maggiori potenze.
Fermo restando il saldo ancoraggio alla scelta europea, saranno particolarmente decisivi i capisaldi della rete delle relazioni internazionali del nostro paese, cioè la ridefinizione delle relazioni speciali con Washington, Londra e Mosca e la riconferma del nostro ruolo mediterraneo, attraverso una salda amicizia con la Spagna.
Naturalmente, tutto ciò non può essere visto in modo antagonistico rispetto alla nostra tradizionale vicinanza alla Francia e alla Germania ma, certamente, rappresenta un'evoluzione rispetto alla nostra passata collocazione nell'ambito del processo di integrazione europea.
A nostro avviso, non c'è alcuna contraddizione e, in questo senso, ci confortano le parole testé usate dal Presidente del Consiglio, tra una ferma adesione all'idea europea ed una consapevole tutela dei legittimi interessi nazionali, così come, d'altronde, è sempre stato per tutti gli altri partner.
In un frangente così difficile, abbiamo apprezzato il discorso equilibrato del Presidente del Consiglio, dalla forte impronta europeista ma senza tralasciare un'orgogliosa difesa dell'autonomia dell'Italia, che non può e non deve subire tutele di alcuna natura.
Signor Presidente del Consiglio, ci consenta di ricordare, con orgoglio, a questo Parlamento che il Trattato di Maastricht fu sottoscritto da un ministro degli esteri socialista e che il Trattato dell'Unione fu votato dalla sinistra di matrice socialista e riformista, che è cosa diversa da quella che annida le sue radici nel comunismo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Nuovo PSI e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Presidente del Consiglio dei ministri sulle linee di politica estera ed europea del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà per la lettura di alcune comunicazioni e dell'ordine del giorno della prossima seduta.

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