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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta dei disegni di legge, già approvati dal Senato: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2002 e bilancio pluriennale per il triennio 2002-2004 e delle relative note di variazioni.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione congiunta sulle linee generali è pubblicata in calce al calendario (vedi resoconto stenografico della seduta del 28 novembre 2001).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984, onorevole Gianfranco Conte.
GIANFRANCO CONTE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984. Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo quest'oggi l'esame della manovra finanziaria per il 2002. Preliminarmente, voglio anticipare il mio ringraziamento per il lavoro svolto in Commissione, che ha condotto ad una notevole riscrittura del
testo trasmesso dal Senato. Abbiamo anche potuto effettuare un approfondimento su molti temi che saranno discussi nei prossimi giorni.
Parlare della finanziaria pubblica significa parlare di una tematica che presenta un'alea piuttosto forte; infatti, se facciamo riferimento alle previsioni dei precedenti governi, vediamo che, in situazioni di normalità, molto spesso non si riescono a centrare i dati. Voglio fare un esempio: nel 1999, nel DPEF 1999-2001, si prevedeva un tasso di incremento del PIL del 2,7, mentre, a consuntivo ISTAT, fu dell'1,6; nel 2000, le previsioni davano la crescita del PIL al 2,2 per cento, in realtà, ci fu un incremento del 2,9; nel 1999, si prevedeva un indebitamento della pubblica amministrazione al 2 per cento, mentre poi, a consuntivo, risultò l'1,8 per cento; per il 2000, la previsione dell'1,5 per cento fu poi confermata. Questo mio discorso serve anche a chiarire la manovra di quest'anno in relazione al fatto che, per esempio, per il 2001 avevamo una previsione della crescita dell'indebitamento della pubblica amministrazione allo 0,8 per cento e quel dato, come poi vedremo, per tutte le diverse questioni sollevate intorno alla manovra di finanza pubblica, naturalmente non potrà essere tenuto. L'obiettivo per il 2002 è quello di tenere l'indebitamente allo 0,5 per cento e mi pare di poter dire che l'intera manovra finanziaria intenda raggiungerlo.
Si è partiti, però, da una situazione estremamente difficile perché, mentre noi abbiamo come obiettivo finale il patto di stabilità fissato all'interno dell'Unione europea, nel frattempo, all'esterno, le situazioni cambiano. Ci troviamo, infatti, in un momento di crisi internazionale che ha ricevuto una spinta ulteriore - rispetto ad una recessione che, in qualche modo, era già in atto negli Stati Uniti - per effetto dei fatti dell'11 settembre, che hanno determinato un'ulteriore caduta dei consumi. Questo aspetto dei consumi è piuttosto rilevante e bisogna tenerne conto ai fini di una valutazione complessiva della manovra finanziaria. Noi sappiamo bene che gli effetti internazionali della crisi internazionale e gli effetti derivati dal calo del prezzo del petrolio incideranno sostanzialmente sulle previsioni per il prossimo anno. D'altra parte, non si può non tener conto che, nell'ultimo cinquantennio che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale, tutte le volte che c'è stata una crisi internazionale (mi riferisco alla guerra di Corea, alla guerra del Vietnam, alla guerra del Golfo), nel periodo immediatamente successivo c'è stato un rimbalzo notevolissimo che, oltre ad aver riequilibrato, ha anche migliorato la situazione economica generale. Naturalmente, questa è storia, e credo che la crisi determinata dai fatti dell'11 settembre non potrà che avere lo stesso risultato. In economia non si inventa niente, quello che conta è la fiducia che si riesce ad immettere nei mercati. L'aspetto della fiducia è il dato più forte del quale dobbiamo tenere conto, perché se c'è fiducia nei consumatori, se c'è fiducia nelle imprese, ci sono speranze per l'economia. Tutto l'intervento del Governo, in questi ultimi mesi, mira a questo obiettivo: ridare fiducia ai consumatori, ridare fiducia al mercato.
Questo risultato è stato sintetizzato negli interventi dei primi cento giorni. Per il rilancio dell'economia - che ha comportato, all'interno di quella che viene denominata la Tremonti-bis, uno sguardo attento nei confronti delle piccole e medie imprese con un meccanismo di semplificazione volto a dare una ulteriore spinta agli investimenti in tale settore - un ulteriore intervento è stato fatto con la velocizzazione della privatizzazione e con la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, con gli interventi congiunti relativi all'introduzione dell'euro e al rientro dei capitali dall'estero e, ancora, con l'accordo tra lo Stato e le regioni in materia di spesa sanitaria (intervento fondamentale in termini di spesa), concretizzatosi nella legge n. 347 del 2001. Tutti questi provvedimenti fanno da corollario al disegno di legge finanziaria che rappresenta l'ultimo pezzo di un processo di innovazione e sistemazione di tutto il comparto pubblico finalizzato a garantire,
per il 2002, il raggiungimento dell'obiettivo dell'indebitamento allo 0,5 per cento.
Non bisogna dimenticare che, mentre noi, come Governo e come paese, stiamo cercando di tenere fede agli impegni presi all'interno dell'Unione Europea, paesi economicamente molto più forti di noi, quali la Francia e la Germania, hanno notevoli difficoltà a rimanere nel patto di stabilità e molti sostengono che, alla fine, qualcosa dovrà essere rivisto. Non è questa la posizione del Governo che, in diversi momenti, ha sempre sostenuto di volersi assolutamente attenere agli impegni presi in sede internazionale. Credo, però, sia molto importante che, fermo restando l'obiettivo di mantenere l'indebitamento entro lo 0,5 per cento, il Governo abbia intrapreso la strada dell'innovazione e abbia varato un disegno di legge finanziaria che ne è la conseguenza. Nel corso della discussione in Commissione, abbiamo sentito dire che questa è una manovra finanziaria priva di anima, nella quale mancano molti elementi riguardanti lo sviluppo del nostro paese. Credo, invece, che il lavoro svolto in Commissione abbia dato, in qualche modo, risposta ai problemi sollevati sia dalla maggioranza sia dall'opposizione. Si era detto che nella finanziaria non vengono assolutamente trattati argomenti come il Mezzogiorno, che non vengono risolti i problemi dell'agricoltura, che non si parla di ricerca e sviluppo e che non vengono tenute nella giusta considerazione le richieste degli enti locali. A me sembra, invece, che la Commissione bilancio abbia dato risposte a tutte queste questioni. Si potrà dire che le risposte non sono state sufficienti ma credo che l'aver concluso l'esame in Commissione con un miglioramento dei saldi sia un risultato senza precedenti. Tale risultato è tanto più importante perché, fermo restando il deficit programmatico fissato a 6 milioni 560 mila euro, ovvero lo 0,5 per cento, siamo riusciti a migliorare i saldi nonostante abbiamo introdotto innovazioni importanti sollecitate e suggerite anche dall'opposizione.
Crediamo di dover proseguire su questa strada e, oltre tutto, sono convinto che l'esame che svolgeremo in Assemblea ci porterà a verificare l'impianto complessivo della legge finanziaria e, se necessario, ad apportare ulteriori modifiche tenendo, però, ben presente che gli impegni presi a livello europeo vanno mantenuti e che noi rispetteremo i saldi.
A questo proposito vorrei evidenziare alcune questioni di un certo rilievo. Durante l'estate si era parlato - non voglio soffermarmi su tale argomento - della questione del «buco». Ebbene, credo che gli interventi dei cento giorni e la velocizzazione nella vendita del patrimonio immobiliare pubblico siano una risposta all'attività svolta dai precedenti governi. Noi, senza questo tipo di interventi, ci saremmo trovati con dati relativi al deficit pubblico sicuramente molto superiori allo 0,5 per cento (si ipotizzava addirittura l'1,7 per cento).
La situazione - stando anche a quanto dicono importanti enti di ricerca - è sicuramente critica, in considerazione del fatto che, riferendomi per esempio a quanto sostiene l'ISAE, si ragiona in termini di crescita del PIL tra l'1,3 ed il 2 per cento. Nessuno è in grado, data la crisi internazionale, di stabilire con certezza quale sarà l'incremento del PIL nel nostro paese: siamo però fiduciosi del «rimbalzo» che può scaturire dalla fine della crisi internazionale; inoltre, la stabilizzazione verso il basso dei prezzi dei prodotti petroliferi darà una spinta ulteriore al miglioramento della situazione italiana.
Per quanto concerne le questioni relative a come si è sviluppata la manovra finanziaria, ritengo - mi rivolgo a chi ha sollevato la questione dell'inopportunità di prevedere coperture di precedenti interventi nella legge finanziaria (mi riferisco alla questione molto dibattuta relativa all'articolo 1, cioè alla copertura della legge Tremonti-bis) - che la Commissione abbia dato un contributo di chiarezza. Nei precedenti momenti in cui si era ragionato sulla Tremonti-bis, si era detto che tale provvedimento non necessitava di copertura. Forse per un eccesso di prudenza, si è arrivati al testo del Senato in cui, invece, tale copertura è stata inserita. Quest'oggi
intendo ribadire, anche rispetto a ciò che già è stato detto in Commissione, che la copertura non era necessaria. La Commissione, l'intera Commissione, dimostrando anche quanto sia importante la centralità del Parlamento rispetto al dibattito istituzionale, ha riconfermato che la legge Tremonti-bis non necessita di copertura; stabilendo ciò, essa ha però posto un vincolo all'attività del Governo, in quanto lo ha impegnato a presentare una relazione per informare il Parlamento degli effetti prodotti dalle norme introdotte. Credo si tratti di una disposizione ragionevole, che è stata condivisa e che è stata approvata all'unanimità in Commissione bilancio, a dimostrazione del fatto che il Parlamento rivendica a sé la necessità di compiere verifiche continue sull'attività del Governo.
Intorno a tale argomento sono state sollevate anche alcune polemiche circa i criteri con cui dovrebbero essere definite le priorità in base alle quali destinare le risorse. Credo che anche in tal senso vi sia un senso di responsabilità del Parlamento e della Commissione, perché nel testo proposto non mi sembrano sussistere effettive differenze rispetto a chi sosteneva che le risorse dovevano essere prioritariamente indirizzate alla riduzione della pressione fiscale. Si è infatti prevista una priorità, che non può essere che quella del raggiungimento del risultato dato dai saldi netti da finanziare; oltre a ciò, non si può non prevedere che le altre risorse possano essere utilizzate, per esempio, per fronteggiare calamità naturali o momenti di particolare difficoltà in situazioni di emergenza economico-finanziaria. Poiché questi sono solo eventi possibili, che possono o non possono realizzarsi in concreto, è chiaro che la prima voce utile, della quale dovremo discutere, è proprio quella della riduzione della pressione fiscale.
Per questo motivo ritengo assolutamente speciose tutte le polemiche sollevate intorno a questo argomento e credo che vada confermato con forza il risultato determinato dall'emendamento presentato all'articolo 1.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, proseguendo nell'esame del disegno di legge, mi limiterò a considerazioni generali, che potranno essere poi dibattute; anzi, spero che da questo dibattito emergano anche indicazioni che potranno risultare utili. È ben noto, infatti, che durante l'esame di questo provvedimento in Commissione vi è stata una notevole apertura da parte del Governo e della maggioranza di cui mi sono fatto interprete, cercando - con l'aiuto del correlatore e del presidente della Commissione - di venire incontro a quelle richieste che ritenevamo assolutamente meritorie ed utili per dare una maggiore «anima» al provvedimento.
Si potrà dire che siamo intervenuti forse troppo, ma io non lo credo. In fondo, rispetto al testo che ci è pervenuto dal Senato, gli articoli sono aumentati da 45 a 51: vi sono solo 6 articoli aggiuntivi, di cui, forse, avremmo anche potuto fare a meno. Tuttavia, abbiamo inserito nuovi articoli, semplicemente per una maggiore chiarezza del testo.
Per quanto riguarda la chiarezza del testo, non posso che ricordare la riscrittura dell'articolo 2. Non desidero dichiarare la superiorità dell'Assemblea della Camera rispetto a quella del Senato (non me ne voglia il senatore Vegas). Tuttavia, obiettivamente, il testo pervenuto dal Senato gridava vendetta e lo abbiamo semplicemente riscritto come si deve, riproponendo all'articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi un testo leggibile. Credo, infatti, che la leggibilità dei testi sia un dato fondamentale, anche ai fini di una maggiore comprensione degli atti parlamentari. Naturalmente, abbiamo aggiunto la norma che riguarda le spese sostenute per i servizi di interpretariato dei sordomuti e, esaminando questo testo, constaterete che talvolta vi sono norme di dettaglio che, però, in qualche modo servono anche a soddisfare richieste che provengono da più parti e delle quali la Commissione ha dovuto tenere conto.
Nell'articolo 3 abbiamo inserito norme concernenti diverse altre questioni. Con riferimento all'articolo 3, bisognerà tenere in considerazione qualche aggiustamento derivante dagli emendamenti presentati in
Assemblea. Tuttavia, complessivamente, rispetto al testo che ragionava in termini di disposizioni in materia di beni di imprese, in Commissione sono state inserite una norma sull'assegnazione dei beni immobili strumentali degli imprenditori individuali, un'altra norma che riguarda l'assegnazione dalle società ai soci con l'eliminazione dei cespiti non strumentali e questioni fiscali che molto spesso annoiano l'Assemblea ma che sono rilevanti perché, grazie a queste norme, siamo riusciti ad ottenere le risorse necessarie per operare interventi di sostanza che poi elencheremo. Vi sono, poi, una norma che istituisce l'imposta sostitutiva sui conferimenti e che, peraltro, era già prevista dalla legge finanziaria dell'anno scorso ed una norma di dettaglio che riguarda la proroga dei termini per gli invii di telematici effettuati dalle camere di commercio.
Per quanto riguarda l'articolo 4, recante norme sulla rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, credo che bisognerà pensare all'ipotesi di inserire qualche novità, ma di ciò si parlerà durante il dibattito in Assemblea. L'obiettivo che ci siamo prefissati è quello di trovare le risorse - tenendo fermi i saldi - per risolvere le questioni che sono state aperte e alle quali bisogna dare una soluzione, mantenendo fissa la barra degli impegni a livello europeo.
Per quanto concerne la rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili, abbiamo aggiunto una rideterminazione che vale anche per i terreni con destinazione agricola.
Per quanto riguarda l'agricoltura, uno dei settori trainanti della nostra economia, credo che la Commissione abbia interpretato le richieste del settore...
PRESIDENTE. Onorevole Conte, mi permetto di pregarla di accelerare, poiché il tempo a disposizione dei due relatori è di 1 ora.
GIANFRANCO CONTE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984. Signor Presidente, mi occuperò soltanto delle questioni di maggiore importanza, riservandomi di aggiungere altre considerazioni in sede di replica.
Credo sia importante far rilevare come la Commissione abbia risolto un'importante questione avente anche influenza sui bilanci familiari: la proroga della detrazione fiscale al 36 per cento per le ristrutturazioni edilizie. Mi piacerebbe molto che tale norma fosse messa a regime. Dovremo ancora risolvere l'importante questione dell'IVA ridotta sulle ristrutturazioni: vi sarà tempo di trattare tale argomento durante il dibattito
Parlando di agricoltura - tema al quale voglio ritornare - abbiamo inserito la norma per la detrazione fiscale anche per le manutenzioni dei boschi. Siamo intervenuti sull'IRAP in agricoltura: poco - ci è stato detto - ma, rispetto alle previsioni per il prossimo anno, si tratta di un intervento importante che vale qualche centinaio di miliardi. Per quanto riguarda il problema dell'IVA in agricoltura vi è stata una proroga del regime semplificato che abbiamo coperto con una riduzione del gasolio agricolo.
Siamo anche interventi in materia di pesca, ad esempio per quanto riguarda la semplificazione delle modalità di fatturazione. Vi è stato, inoltre, un intervento di tipo previdenziale: si è riportato ordine rispetto ai lavoratori della piccola pesca costiera e delle acque interne.
Siamo intervenuti in tema di studi di settore: si tratta di un intervento importante che voglio segnalare all'attenzione dei colleghi. Rispetto ai nostri appunti abbiamo rimodulato in basso il gettito tenendo presente che gli studi di settore, ormai, rappresentano una sorta di meccanismo automatico che serve alle imprese per tenersi entro i criteri predeterminati.
Abbiamo ridotto un piccolo canone: può sembrare una sciocchezza ma era una richiesta che la maggioranza, una volta opposizione, aveva avanzato molto spesso negli anni. Mi riferisco al canone televisivo per gli esercizi riparatori degli impianti radiotelevisivi.
Abbiamo dovuto rivedere alcune questioni riguardanti l'emersione del sommerso
all'interno della Tremonti-bis: si tratta di piccoli interventi che, però, servono a chiarire complessivamente le norme e ad andare incontro alle richieste delle imprese.
La Commissione, all'unanimità, ha modificato la norma riguardante le insegne pervenuta dal Senato. La modifica è venuta da un accordo bipartisan: penso sarà riportata all'esame dell'Assemblea, ma su di essa siamo complessivamente d'accordo.
Abbiamo, poi, introdotto un argomento importante che ha suscitato anche qualche polemica. Mi riferisco alle fondazioni, sulle quali, signor Presidente, vorrei svolgere alcune rapide considerazioni. Negli Stati Uniti il terzo settore vale il 15 per cento dell'economia nazionale; in Germania l'8 per cento; da noi non arriva al 2 per cento. Credo che dovremmo recuperare questo handicap gravissimo e chiedere alle fondazioni di intervenire, anche fortemente, sul mercato per determinare nuovo sviluppo culturale e sociale ed aiutare il paese a crescere in termini di infrastrutture.
In questa sede, posso preannunciare che sarà apportata una piccola modifica perché vi è stato un refuso e siamo intervenuti con una sostituzione dell'articolo 2 mentre doveva essere sostituito soltanto il comma 2: si tratta di un emendamento che sarà presentato dal sottoscritto o dal Governo.
Inoltre, abbiamo predisposto l'intervento importantissimo - molto atteso e, negli anni scorsi, uno dei cavalli di battaglia di tutta l'opposizione - della riduzione delle accise per il gas metano nelle zone del nord; visto il differenziale esageratamente alto, siamo intervenuti per migliorare questa situazione oltre a sistemare la questione dei comuni non metanizzati, proponendo una soluzione del problema che si trascinava da molto tempo e che il precedente Governo non era riuscito a risolvere.
Siamo ancora intervenuti per prorogare l'esenzione per il gasolio per le serre, altro intervento relativo all'agricoltura nel suo complesso. Sulla questione dell'autotrasporto abbiamo fornito delle risposte rispetto alle esigenze scaturite in tema di riduzione di premi INAIL, di canoni di locazione finanziaria o di quote di ammortamento per i mezzi di telecomunicazione, di pedaggi autostradali e via dicendo.
Anche per gli oneri del personale, il Governo e la Commissione hanno fornito delle risposte, aumentando le dotazioni per il personale della Polizia di Stato e per il comparto della sicurezza nel suo complesso: 100 miliardi in più per il 2002 e 200 miliardi in più per il 2003-2004.
Inoltre, sono state stanziate nuove risorse per il trattamento accessorio delle forze di polizia: 80 miliardi in più per il 2002.
Signor Presidente, se mi permette in termini di euro parleremo dal 1o gennaio; adesso, per una migliore comprensione, cerco di tradurre in miliardi di lire le cifre in euro stanziate nel testo mentre il prossimo anno non avremo più questo problema.
PRESIDENTE. Onorevole Gianfranco Conte, bisogna cominciare con l'allenamento.
GIANFRANCO CONTE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984. Signor Presidente, possiamo anche allenarci ma se comincio a dire 47 milioni di euro...
PRESIDENTE. Vada pure avanti in miliardi.
GIANFRANCO CONTE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984. Vado avanti in miliardi perché, forse, è più comprensibile.
Dicevo, 180 miliardi per il 2003 e 260 miliardi per il trattamento accessorio delle forze dell'ordine per il 2004.
Siamo già arrivati all'articolo 15. Sul riordino degli organi collegiali abbiamo poco da dire, mentre il tema relativo alle assunzioni di personale è stato affrontato lungamente in Commissione. A seguito delle richieste relative alla sistemazione dell'intera questione degli LSU che lavorano
nella pubblica amministrazione, abbiamo fornito una soluzione di tale problema per il settore della giustizia, abbiamo predisposto norme che riguardano il tempo determinato negli enti locali - dove esisteva una sperequazione che avrebbe potuto avere un'incidenza sulle spese degli enti locali - e, poi, norme di dettaglio sulle quali non mi dilungherò.
Invece, sulla questione dell'organizzazione scolastica sussisteva l'esigenza di meglio definire quali fossero le commissioni di esame nelle scuole parificate: ne è derivato un emendamento che ha chiarito tale aspetto.
Successivamente, sono stati predisposti alcuni interventi che riguardano le scuole di formazione, la nautica e via dicendo. Per quanto riguarda la finanza decentrata, anche in questo caso sussistono delle questioni aperte ma, comunque, abbia cercato di fornire delle risposte, soprattutto nella riscrizione del testo relativo al limite del 4,5 per cento relativo agli enti locali, posto su questo testo che - ancora una volta, senatore Vegas - credo sia migliore rispetto a quello pervenutoci dal Senato.
Anche alla luce del dibattito relativo agli enti locali svoltosi in Commissione, siamo intenzionati a sentire... Il sottosegretario mi fa cenno di non fare eccessive aperture ma, se ci saranno, ...
PRESIDENTE. Onorevole Gianfranco Conte, lei è un forte consumatore di tempo. Ha oltrepassato di dieci minuti il tempo a sua disposizione.
GIANFRANCO CONTE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984. Signor Presidente, termino qui il mio intervento.
Per quanto concerne le ulteriori questioni relative alla legge finanziaria, cercheremo di essere attenti alle indicazioni provenienti dalla minoranza, sapendo di poter fare un lavoro utile per migliorare ulteriormente questo testo.
Dunque, mi riserverò, eventualmente in sede di replica, di aggiungere qualche altra considerazione relativamente all'articolo 20 e seguenti (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1985 e relative note di variazioni, onorevole Alberto Giorgetti, ha facoltà di svolgere la relazione.
ALBERTO GIORGETTI, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1985 e relative note di variazioni. Signor Presidente, la mia sarà una relazione più breve, anche perché ritengo che l'onorevole Conte meritasse di disporre di qualche minuto in più per poter illustrare al meglio il lavoro svolto in Commissione bilancio che, grazie all'apporto dei componenti della Commissione e, più in generale, delle segreterie e del servizio studi, è stato sicuramente importante e ha migliorato questo testo.
Il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2002 e il bilancio pluriennale - come i colleghi ben sanno - sono atti normativi che, insieme alla legge finanziaria, rappresentano gli strumenti attraverso i quali si realizza la manovra di finanza pubblica, rispondendo naturalmente a funzioni e competenze sostanzialmente diverse.
Da un lato, vi è un atto di natura formale, che determina le previsioni di entrata e le autorizzazioni di spesa in base alla legislazione in vigore nel momento in cui viene predisposto: è questo il disegno di legge di approvazione del bilancio dello Stato, presentato dal Governo il 30 settembre scorso come bilancio a legislazione vigente. Dall'altro, vi è un atto di natura sostanziale, la legge finanziaria, che di fatto produce comunque interventi che verranno scontati attraverso apposite note di variazione, all'interno del bilancio dello Stato e, conseguentemente, sul bilancio pluriennale.
L'intervento di questa legge di bilancio per il 2002, sotto il profilo strutturale, completa il percorso cominciato qualche anno fa, relativo all'adeguamento dell'impostazione del documento di contabilità alla riforma del Governo disciplinata dal
decreto legislativo n. 300 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni.
Questo adeguamento - legato a chiari criteri di individuazione dei profili e dei centri di responsabilità, riferiti soprattutto alle unità previsionali di base e, quindi, all'identificazione delle logiche e delle dinamiche di spesa - ha comportato non soltanto la riduzione del numero degli stati di previsione della spesa, passati da 18 a 14, ma anche la collocazione e la ridefinizione di diversi centri di responsabilità amministrativa. Si tratta di una questione cui, naturalmente, questa maggioranza e, più generale, il Parlamento tiene moltissimo.
Specifiche modifiche hanno, inoltre, interessato i centri di responsabilità amministrativa relativi alla Presidenza del Consiglio dei ministri che, a seguito dell'attribuzione a quest'ultima di autonomia contabile e di bilancio, sono stati collocati nello stato di previsione del Ministero del tesoro e, adesso, del Ministero dell'economia e delle finanze. In particolare, con il bilancio di previsione per il 2002, sono stati riferiti a singole unità previsionali di base, iscritte nel centro di responsabilità «Tesoro», gli stanziamenti relativi all'editoria, alla protezione civile, al servizio civile nazionale e al Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia che, nel bilancio precedente, erano collocate nella gestione transitoria delle spese già attribuite alla Presidenza del Consiglio ovvero costituivano distinti centri di responsabilità amministrativa, ora soppressi.
Sotto il profilo finanziario, il bilancio a legislazione vigente per il 2002, come presentato al Governo, evidenzia un saldo netto da finanziare di 39.600 milioni di euro, migliore di quasi 3.500 milioni di euro rispetto al saldo risultante dall'assestamento per l'esercizio 2001.
La differenza che si è determinata dipende dall'aumento delle entrate finali che risulta di dimensioni tali da sopravanzare il contestuale aumento delle spese finali: 9.000 milioni di euro, a fronte di un aumento di 5.600 milioni di euro delle spese finali.
Non intendo entrare nel merito delle singole valutazioni: credo che i colleghi siano interessati ad approfondire tali argomenti che sono affrontati in modo puntuale nella relazione; vorrei, tuttavia, ricordare soprattutto un aspetto legato alla spesa corrente al netto degli interessi. A questo proposito, occorre segnalare che l'aumento della spesa corrente al netto degli interessi, dovuto alle voci sopra richiamate, viene limitato dalla contestuale diminuzione, per oltre 1.100 milioni di euro, della spesa relativa ai consumi intermedi. Il contenimento di quest'ultima voce di spesa è stato ottenuto mediante una riduzione nell'ordine del 10 per cento degli stanziamenti di carattere discrezionale finalizzati ad acquisto di beni e servizi. Si tratta di un'operazione che il Governo aveva già compiuto in sede di assestamento del bilancio in corso e che attesta la salda volontà di operare in uno stretto controllo della spesa corrente. Ricordo che su questo aspetto c'era stata una polemica piuttosto intensa con l'opposizione.
Per quanto riguarda l'iter del provvedimento, nel corso dell'esame presso il Senato del disegno di legge di bilancio a legislazione vigente, sono stati approvati pochi emendamenti con un impatto sostanzialmente contenuto. Tra di essi è opportuno segnalare l'aumento, per circa 38,7 milioni di euro, del fondo per l'operatività scolastica.
L'esame svolto dalla Commissione bilancio della Camera ha permesso, invece, di introdurre ulteriori modifiche che, pur in numero limitato, hanno una certa rilevanza. Su proposta del Governo è stato approvato un emendamento all'articolato che permette di rendere più flessibile la gestione degli stanziamenti relativi al funzionamento delle agenzie fiscali, istituite con la riforma del Governo di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, e quella delle somme da corrispondere al personale in posizione di «comando» presso altra amministrazione.
Altri emendamenti proposti dal Governo ed approvati dalla Commissione operano interventi compensativi sugli
stanziamenti di parte corrente di diversi stati di previsione, in vista di una più opportuna allocazione delle risorse. È opportuno segnalare le disponibilità assegnate a specifiche finalità non presenti nella versione iniziale del bilancio a legislazione vigente, quali le attività di sostegno alle imprese svolte dalle Camere di commercio (circa 5 miliardi di lire) e gli esborsi a titolo di riparazione dei danni relativi alla violazione del termine ragionevole del processo (quasi 13 miliardi).
Sono state, inoltre, incrementate in misura significativa le risorse finalizzate a sostenere l'attività di enti, associazioni e comitati che si adoperano per l'assistenza educativa, scolastica, culturale, ricreativa e sportiva dei lavoratori italiani all'estero (l'incremento è di 10 miliardi di lire) e le disponibilità per il lavoro straordinario del personale del Corpo di polizia penitenziaria (15 miliardi): si tratta di una questione che, da tempo, è dibattuta in Parlamento e che viene riproposta e, in parte, risolta.
Vorrei segnalare un altro aspetto importante: la Commissione bilancio ha approvato anche un emendamento proposto dalla Commissione difesa, con il quale è stata ridefinita l'entità di diversi stanziamenti iscritti nello stato di previsione del relativo Ministero. Le modifiche permettono un aumento delle dotazioni relative alle spese generali di funzionamento del personale militare (+ 10 miliardi di lire), agli investimenti in attrezzature ed impianti nell'ambito del centro di responsabilità «armamenti terrestri» (+ 80 miliardi di lire), al rifornimento idrico alle isole minori (per i quali vengono stanziati 25 miliardi), alla manutenzione e all'ammodernamento di mezzi operativi della marina militare.
Sono stati, infine, approvati dalla Commissione due identici emendamenti di carattere tecnico, uno proposto da deputati di maggioranza e l'altro da deputati dell'opposizione, volti ad adeguare il bilancio ad una disposizione della legge n. 74 del 2001 sul Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico, con la quale sono state incrementate le disponibilità per i premi di assicurazione dei volontari impegnati nelle attività di soccorso, a valere su stanziamenti relativi alla medesima attività.
Concludo, signor Presidente, perché so che i tempi sono ristretti e vi è la necessità, da parte dei relatori, di disporre di tempo per le successive repliche. Nell'associarmi alle parole dell'onorevole Conte, ritengo che dal lavoro complessivo della Commissione sia derivato, complessivamente, un forte miglioramento per quello che riguarda il disegno di legge finanziaria, nonché interessanti e significativi interventi per quello che riguarda il disegno di legge di bilancio. Ciò dimostra che si è lavorato cercando di individuare e di introdurre nuovi meccanismi per recuperare risorse, in modo da ridurre l'impatto complessivo, anche dal punto di vista del peso sul bilancio dello Stato, adottando, contemporaneamente, strumenti e risorse utili allo sviluppo del paese ed adeguati alle esigenze delle fasce sociali più deboli e disagiate. Si è, inoltre, rivolto un occhio particolare ai temi della sicurezza e delle Forze armate, che sono stati posti anche nel disegno di legge di bilancio.
Quindi, complessivamente, vi è stato un dibattito utile e positivo; raccomando pertanto all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge di bilancio (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Morgando.
GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor sottosegretario, il ministro dell'economia e delle finanze ieri ha rilasciato un'intervista importante, di largo respiro, che ha occupato un'intera pagina del quotidiano della mia città, in cui tenta un'ambiziosa difesa delle posizioni del Governo italiano in materia di giustizia. Si è trattato di un'intervista tutta politica, che con l'economia, in realtà, c'entra poco, tranne che per un passaggio finale, molto utile per la nostra discussione odierna, in cui il ministro dice che siamo nella terza fase del processo di
unificazione dell'Europa, che stiamo uscendo dalla fase dell'economia, che noi italiani abbiamo vissuto da protagonisti, e ci presentiamo ai nuovi appuntamenti - quella che lui definisce la fase della politica - con i bilanci in regola e con i conti in ordine. A pochi mesi dalla denuncia televisiva del buco, si tratta di un riconoscimento di non poco conto alla politica economica degli anni passati.
Vorrei partire proprio da qui, dai risultati ottenuti dai governi di centrosinistra. A partire dal 1996, abbiamo realizzato uno straordinario cambiamento dell'economia italiana, risanando la finanza pubblica, raggiungendo l'obiettivo dell'euro, facendo ripartire lo sviluppo. La disoccupazione è scesa, per la prima volta dopo il 1986, sotto il 10 per cento; la capitalizzazione della Borsa è aumentata del 400 per cento; è stato realizzato un imponente processo di privatizzazione, che non ha paragoni in Europa; sono state varate riforme di importanti settori dell'economia e della pubblica amministrazione; stiamo registrando una straordinaria vitalità delle nuove imprese, soprattutto nel Mezzogiorno. Anche sul fronte della finanza pubblica, i risultati sono significativi: siamo passati da un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni del 7,6 per cento nel 1995 all'1,5 del 2000; il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, pari al 122,7 per cento nel 1996, si è attestato nel 2000 al 110,2 per cento. Secondo la relazione previsionale e programmatica, sarà del 107,5 per cento nel 2001 e del 104,4 per cento nel 2002.
Queste poche cifre confermano l'opinione che ho letto nell'intervista di ieri al ministro: abbiamo lavorato bene ed abbiamo ottenuto risultati positivi. Tuttavia, si tratta di un riconoscimento tardivo e anche un po' beffardo. Infatti, viene dopo un dibattito estivo dominato dalle polemiche sul «buco», sui disastri contabili ereditati dal Governo precedente, su un extradeficit destinato a compromettere le ambizioni della nuova maggioranza. Si è trattato di una polemica stucchevole, su cui torniamo per l'ultima volta: il «buco» era tutto mediatico, ottenuto gonfiando le previsioni di spesa e sottostimando le entrate. Esso viene negato dallo stesso Governo nel momento in cui prevede, nella relazione previsionale e programmatica che ha presentato al Parlamento (a pagina 63), che «le più recenti tendenze di finanza pubblica consentono di collocare l'indebitamento netto dell'anno in prossimità dell'obiettivo, all'1,1 per cento del prodotto interno lordo». Il relatore per la maggioranza ci ha detto che è l'effetto dei provvedimenti dei 100 giorni, ma non uno di questi provvedimenti ha ad oggi esplicato risultati significativi: ci sembra difficile ricondurre il conseguimento di questi risultati all'attività legislativa di questi ultimi mesi. Certamente, si può ricondurre all'attività di gestione dei flussi di cassa e di tesoreria, cosa che evidentemente qualunque Governo avrebbe fatto in presenza dell'esigenza di aggiustamento che ricordavamo. In ogni caso, sulla questione, nella relazione scritta che ho consegnato, è contenuta qualche argomentazione più puntuale a cui rimando.
Il «buco» non c'era, ma potrebbe esserci nel 2002: è questo il secondo aspetto sconcertante che vorrei mettere in evidenza. Il Governo basa la sua manovra di politica economica sulla previsione di un aumento del prodotto interno del 2,3 per cento nel 2002 (0,8 decimi di punto in meno della previsione indicata nel documento di programmazione economico-finanziaria) «per il riflesso del nuovo quadro internazionale», cito la relazione. Non siamo riusciti a chiarire le ragioni per cui vi sia uno scostamento così significativo tra questa previsione e quella dei più accreditati organismi di analisi congiunturale, comprese istituzioni autorevoli come il Fondo monetario internazionale. Tutti indicano un tasso di crescita dell'economia italiana dell'1,4-1,5 per cento; l'unica eccezione che mi ricordo è quella relativa alle previsioni del centro studi di Confindustria che contiene una stima dell'1,8 per cento, molto meno comunque del 2,3 per cento che viene indicato nella relazione previsionale e programmatica.
Le ragioni per cui vi sono questi peggioramenti delle previsioni degli andamenti sono ovviamente collegate alla debolezza della congiuntura mondiale ed ai drammatici avvenimenti dell'11 settembre. In Commissione abbiamo cercato di chiarire la questione e abbiamo più volte invitato il ministro Tremonti a partecipare ai nostri lavori per affrontare, soprattutto, questo problema. Il ministro è venuto, e sull'argomento è stato generico; ha parlato di previsioni, di inevitabile incertezza; è ovvio che noi non attribuiamo al Governo capacità divinatorie per il futuro, ma le differenze richiamate sono talmente grandi da farci riflettere con preoccupazione sugli scenari del prossimo anno. Che succederà se si realizzeranno le previsioni del Fondo monetario internazionale? Ci sarà una bella manovra straordinaria di primavera oppure verrà rivisto il patto di stabilità europeo? Mentre il ministro dell'economia e delle finanze forniva alla Commissione risposte tranquillizzanti su questo punto, il Presidente del Consiglio dei ministri, poco lontano, parlava di revisione del patto di stabilità e di crescita. Credo ve ne sia a sufficienza per porci una domanda di chiarezza sulla necessità di uscire da questa confusione di voci, di opinioni, di orientamenti ai massimi e più autorevoli livelli del nostro Governo. Ci si dica se le opinioni sono quelle del ministro dell'economia e delle finanze o quelle del Presidente del Consiglio dei ministri, e cerchiamo di chiarire nel dibattito in aula il contesto in cui si collocano le decisioni della manovra di bilancio e finanziaria che stiamo esaminando.
Il Governo fa credere al paese che sia possibile affrontare la congiuntura economica che stiamo attraversando con strumenti normali. Ricordo bene che in Commissione, più volte, è stato ribadito: «Facciamo una finanziaria normale in tempi anormali». Si può anche essere d'accordo con questa impostazione, il lavoro svolto in questi anni, il rafforzamento strutturale della nostra economia, del nostro Stato possono consentire di raggiungere questi obiettivi, ma non si può confondere la normalità con la superficialità e l'incertezza. La legge finanziaria non è normale, è una legge finanziaria insufficiente, inadeguata rispetto al contesto dei problemi che deve affrontare. Ribadisco quello che abbiamo detto in più occasioni nel dibattito in Commissione, e cioè che si tratta di una legge finanziaria senza anima, nella misura in cui si risolve in un provvedimento di cui non riusciamo a capire le logiche ispiratrici, i fili conduttori, la dimensione strategica.
Mi permetto di far rilevare - lo faccio con amicizia - che il lungo elenco delle piccole modifiche, citato in aula dal relatore per la maggioranza, è, secondo me, la dimostrazione del fatto che ci troviamo in presenza di aggiustamenti e di piccole cose e non di scelte e di impostazioni strategiche. Nella relazione scritta che ho consegnato ho criticato - noi abbiamo criticato - l'impostazione di questa legge finanziaria; a questo testo faccio riferimento per indicare le debolezze che noi riscontriamo in questo provvedimento.
Mi occorrerebbe troppo tempo per analizzarle in maniera puntuale. Richiamo soltanto alcuni titoli di argomenti affrontati nella mia relazione scritta che danno conto dell'insufficienza strategica riscontrata nel disegno di legge finanziaria presentato. Quanto al primo - «Politiche di sviluppo: dove sono?» - vorrei rilevare che con questo disegno di legge finanziaria si interrompe un processo di riduzione del carico fiscale per le famiglie, non si restituisce il fiscal drag ed, in realtà, c'è un aggravio di 3 mila miliardi derivante dalla mancata restituzione del fiscal drag per le famiglie italiane; inoltre, si interviene soltanto sui figli a carico.
Per quel che riguarda le imprese, tutto è lasciato agli effetti della legge Tremonti senza alcuna azione di carattere strutturale.
Per quanto riguarda l'altro titolo, il federalismo tradito, c'è una contraddizione tra la proclamazione della devolution e le scelte centraliste adottate con il disegno di legge finanziaria presentato. Tale disegno di legge si pone contro le autonomie sebbene siano state apportate alcune modifiche, ricordate anche dal relatore,
che si sono ottenute sia in seguito alla discussione al Senato sia a quella in Commissione alla Camera.
Il nostro è uno Stato debole. La previsione di trasformare gli enti pubblici in società per azioni ed il ricorso generalizzato all'outsourcing di servizi per la pubblica amministrazione denotano un modo di affrontare i problemi dell'efficienza della pubblica amministrazione limitato; si tratta, in entrambi i casi, di strumenti utili ed, in qualche caso, necessari, ma non possiamo immaginare che tutte le questioni di efficienza della pubblica amministrazione possano essere risolte in questo modo e che questi metodi e questi modelli possano essere applicati in modo generalizzato. Vi sono cose che si realizzano in modo più efficiente con la gestione pubblica ed altre, ad esempio le attività strumentali, che possono essere, invece, attribuite in modo efficiente alla gestione privata. Non c'è traccia di questa impostazione culturale all'interno del disegno di legge finanziaria oggi in discussione.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, si evidenzia una centralità proclamata a parole perché, in realtà, si riducono le risorse. Manca la cumulabilità del credito di imposta con la Tremonti-bis, il finanziamento di importanti istituti di autoimprenditorialità ed importanti strumenti come quelli della programmazione negoziata.
Quanto all'aspetto delle scuole e della ricerca, si tratta di cenerentole del disegno di legge finanziaria, poiché si riducono le risorse e non viene adottata la scelta della ricerca scientifica come strumento fondamentale per organizzare la crescita della qualità del nostro sistema produttivo.
Quanto alle politiche sociali, in qualche misura rappresentano il regno dell'incertezza. Si tratta di un disegno confuso e pericoloso (come evidenziato nella nostra relazione alla voce: «Politiche sociali: un disegno confuso e pericoloso»), un disegno che non siamo stati nemmeno capaci di approfondire perché non conosciamo i soggetti cui sono indirizzati gli aumenti delle pensioni minime, atteso che le risorse non bastano per tutti. Non sappiamo come si affronteranno i nuovi problemi come quelli degli anziani non autosufficienti. Abbiamo atteso invano il ministro Maroni per un confronto in Commissione su tali temi e speriamo di ascoltarlo in Assemblea.
Queste sono le linee portanti delle critiche che il centrosinistra avanza al disegno di legge finanziaria in discussione. Tali nodi - mi avvio alla conclusione - non sono stati risolti dal dibattito in Commissione. Sono state apportate alcune modifiche - lo riconosciamo - come frutto delle proposte dell'opposizione e di un clima di lavoro comune contrassegnato, in qualche momento, anche da alcuni passaggi elevati e significativi. Tuttavia - mi permetto di dirlo - si tratta di modifiche limitate e, qualche volta, addirittura insufficienti, come è stato ricordato dal relatore.
È molto importante il fatto di avere esteso fino al 31 dicembre la proroga di uno strumento così significativo della detrazione del 36 per cento per le spese di ristrutturazione degli immobili, con effetti così forti, già riscontrati in passato. Tuttavia, la mancata prosecuzione al 31 dicembre anche della riduzione al 10 per cento dell'IVA per le ristrutturazioni determina quasi un annullamento degli effetti di questa scelta. Ricordate che il 36 per cento era stato introdotto proprio in modo coordinato rispetto alla diminuzione dell'IVA al 10 per cento per le ristrutturazioni.
Allo stesso modo sono avvenuti alcuni chiarimenti sull'outsourcing dei beni culturali, sull'aumento delle risorse per i contratti e quant'altro. Si tratta di aspetti, su cui adesso non voglio soffermarmi in modo approfondito, che non servono per cambiare il segno del documento in discussione. Si tratta di piccole cose per le modifiche avvenute; in qualche caso, restano cose grandi e preoccupanti che contestiamo.
L'introduzione di un emendamento - ne parleremo, nel merito, successivamente - riguardante la complessa problematica delle fondazioni bancarie ed il loro rapporto con il sistema del credito e le
innovazioni da introdursi all'interno della legislazione vigente (che aveva garantito l'autonomia delle fondazioni e il loro rafforzamento e ristrutturazione) è un segno preoccupante che noi giudichiamo negativamente. Si tratta di argomento che non concorda con il contenuto della legge finanziaria e che è stato dichiarato ammissibile soltanto attraverso l'artifizio relativo ai risparmi di spesa, bloccando un dibattito a cui noi non vogliamo sottrarci, volendo anzi affrontarlo con tempi e strumenti idonei ad un tale e significativo argomento.
Dinanzi a questa legge finanziaria sulla quale confermo il giudizio espresso, noi abbiamo ritenuto di contrapporre (rimando al contenuto della relazione scritta che ho depositato) una strategia che consideriamo alternativa. Invito i colleghi a riprendere i contenuti dei nostri interventi in occasione della discussione sulle linee generali del documento di programmazione economico e finanziaria, contenenti già le linee e le indicazioni che oggi abbiamo tradotto in emendamenti e che vanno in tre direzioni fondamentali: in primo luogo, esse prevedono il rafforzamento della domanda anche attraverso interventi straordinari (fra quelli più significativi vorrei richiamare la riduzione dell'IVA nella misura dell'8 per cento per i beni di largo consumo); in secondo luogo, una politica dell'offerta con interventi in grado di far crescere le imprese e rendere più forte la loro competitività, agevolando il reinvestimento degli utili, incentivando la ricerca, consentendo il cumulo di diversi strumenti ed incentivazioni come quelli relativi al credito di imposta e alla legge Tremonti; infine, una strategia organica di politiche sociali che consenta di affrontare il problema delle pensioni minime in modo equilibrato e giusto (un milione al mese per tutti, non per pochi, come sarà consentito attraverso l'approvazione dell'articolo della legge finanziaria proposta dalla maggioranza); il sostegno agli incapienti con il sistema dell'imposta negativa; misure per i non autosufficienti che consentano di affrontare uno dei più drammatici problemi della società di oggi, ovvero quello che investe le persone anziane non autosufficienti e qualche volta non inserite in contesti familiari che consentano loro di vivere modo civile e dignitoso.
In altre parole, abbiamo proposto una strategia che consideriamo alternativa e che riproporremo con puntualità ed ostinazione nel corso della discussione sulle linee generali e, successivamente, attraverso la proposizione dei nostri emendamenti.
Infine, vorrei ricordare che la discussione sulla legge finanziaria alla Camera si colloca al passaggio dei primi sei mesi dell'attività di Governo. La natura del documento che esaminiamo e l'importanza della sessione di bilancio ci consentono una prima valutazione complessiva, con cui intendo concludere la mia relazione. I quotidiani di questi giorni ripropongono uno dei temi su cui la maggioranza di Governo prova le maggiori difficoltà: la diffidenza dell'opinione pubblica internazionale e i rapporti con l'Europa. Oggi il problema è la cooperazione in materia di giustizia e di lotta contro la criminalità e il terrorismo; ieri si trattava della prospettiva del patto di stabilità; l'altro ieri degli accordi di cooperazione industriale nel settore aeronautico.
Si riproducono tensioni che non possono più essere confinate a livello di singoli episodi e che si aggiungono all'improvvisazione e al dilettantismo delle prime uscite all'estero del Presidente del Consiglio dei ministri, al nodo irrisolto del conflitto di interessi e alle questioni delle rogatorie e dei capitali sporchi. C'è un appannamento dell'immagine del paese ed un indebolimento del suo ruolo, proprio nel momento in cui la drammaticità della situazione internazionale richiede all'Europa l'assunzione di responsabilità sempre più importanti. Si tratta di responsabilità politiche, perché soltanto l'Europa può evitare che la guerra al terrorismo si riduca alla dimensione militare e può contribuire invece a collocarla sul piano dello sviluppo, della cultura e della democrazia, ma sono anche responsabilità economiche, perché oggi compete all'Europa
guidare l'economia mondiale fuori dalle secche della recessione e della crisi. È un grande compito, rispetto al quale l'Italia rischia l'emarginazione: torniamo ad essere dei partner imbarazzanti e poco credibili e conduciamo politiche nazionali inadeguate rispetto alla dimensione della sfida.
La legge finanziaria sta dentro queste contraddizioni: manca un'azione coerente di stimolo della domanda; manca una strategia di valorizzazione della competitività delle imprese; ci sono segni di cedimento sul fronte della gestione rigorosa della finanza pubblica; si interrompe il processo di efficienza della pubblica amministrazione. Il sogno del nuovo miracolo economico è consegnato ai ricordi dei cento giorni. È ovvia, in questo quadro, la nostra ferma contrarietà ai provvedimenti che stiamo discutendo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.
LAURA MARIA PENNACCHI. Signor Presidente, agevolata dall'ampia relazione che il relatore di minoranza ha svolto poc'anzi, mi soffermerò su alcuni aspetti di questa legge finanziaria che i Democratici di sinistra e la coalizione di centrosinistra ritengono molto negativi.
Per quanto riguarda il primo aspetto sul quale vorrei soffermarmi - che è già stato trattato anche dal relatore di minoranza - avrei preferito che la situazione fosse stata tale da poterne prescindere. Esso riguarda la faccenda, l'affaire del famigerato «buco». Mi corre l'obbligo, invece, di tornare, all'inizio del mio intervento, su tale «buco» che, secondo quanto era stato annunziato, per quest'anno doveva raggiungere addirittura gli 80-90 mila miliardi e che oggi è stato comunque già ridotto (infatti, si parla - ancora però si parla - di un extradeficit di 25 mila miliardi). Debbo tornare su tale argomento, in primo luogo perché nel lavoro in Commissione, seppure condotto con grande rispetto, capacità di ascolto e perfino con amicizia, non sono mancati i colleghi che, quando dovevano giustificare il mancato mantenimento delle promesse elettorali del Polo o l'impossibilità di accedere alle nostre richieste - per rifinanziare, ad esempio, la ricerca e lo sviluppo, la scuola, l'istruzione, cioè tutte le categorie che in questa legge finanziaria hanno conosciuto un drammatico definanziamento -, rispondevano sempre: non possiamo perché c'è il buco, abbiamo questa pesante eredità dei governi di centrosinistra.
Del resto, poco fa avete sentito lo stesso relatore di maggioranza ritornare indirettamente, anche se con molto garbo, sulla questione del buco. Egli ci ha ricordato che, nel DPEF, il tendenziale del fabbisogno per il 2002 era stato dato all'1,7 per cento, nell'implicita supposizione che incorporasse quell'extradeficit. La verità, però, è che lo stesso governatore della Banca d'Italia, durante un'audizione davanti alle Commissioni riunite della Camera e del Senato, aveva già dichiarato che il tendenziale era sceso all'1,2 per cento. Inoltre, anche il Servizio bilancio della Camera lo ha già dato per fortemente disceso (anche se non indica la cifra) e, sulla base di un'analisi molto accurata, chiede al Governo di indicare le misure reali con cui si verifica - così la definisce il Servizio bilancio - questa «netta inversione del tendenziale».
La mia personale opinione - e non credo sia solo la mia - è che questa inversione non sia stata causata dalla velocizzazione della vendita del patrimonio immobiliare; semmai, questa potrà verificarsi quando le misure adottate dal Governo - che sono indubbiamente diverse da quelle adottate dal precedente Governo, anche se sulla stessa linea -
saranno diventate pienamente operative e vedremo realizzarsi questa velocizzazione.
In questi mesi, tuttavia, non vi è stata ancora alcuna velocizzazione. La correzione, dunque, non può essere avvenuta per questo motivo, ma, semplicemente, perché non è mai esistito l'extra deficit in questione. È sufficiente ricordare, invece, che abbiamo avuto una sovrastima della spesa per interessi di 6.600 miliardi, una sovrastima della spesa corrente di 5 mila miliardi, una sottostima delle maggiori entrate di 7 mila miliardi ed la mancata contabilizzazione delle entrate, le quali, tuttavia, c'erano state ed ammontavano a 3.600 miliardi. Sommando le cifre elencate, arriviamo a 22 mila miliardi; ciò spiega che l'extra deficit di 25 mila miliardi non è mai esistito.
Per quale motivo, oltre che per ragioni di correttezza e perché il popolo italiano conosca la verità, è, necessario, in ogni caso, tornare su temi di questo genere? L'episodio relativo al famigerato buco - un episodio eclatante di mancata trasparenza e, anzi, di deliberato occultamento della verità, che aveva motivazioni certamente politiche (per esempio, screditare l'intera classe politica dirigente del centrosinistra) - è significativo anche perché ha dato una sorta di «la», ha dettato la tonalità complessiva che oggi ritroviamo anche nella legge finanziaria. Esiste un grave deficit di trasparenza anche nella legge finanziaria che non consente di distinguere quali siano le componenti tendenziali e quelle di manovra le quali, rispetto alle prime, hanno la funzione d'aggiustamento.
Per ciò che concerne, inoltre, il differimento della presentazione dei cosiddetti ordinamentali, siamo di fronte ad innovazioni veramente sconcertanti; le regole, infatti, dovrebbero valere in quanto tali come quella, per esempio, che stabilisce il 15 novembre come termine ultimo per la presentazione dei collegati ordinamentali: si decide, invece, a maggioranza, che il termine in questione non viga più e che tali collegati possano essere presentati entro la fine della sessione di bilancio. È molto grave che il principio maggioritario conosca un'estensione di questo tipo.
In ogni caso, il differimento dei collegati ordinamentali, alcuni dei quali sono ad altissima reattività sociale - basti nominare le pensioni ed il fisco -, avviene anche per non allarmare ulteriormente i cittadini dopo le minacce ancora in atto, relative alla trasformazione, fino all'abolizione, dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Il differimento dei collegati ordinamentali ha significato anche perché decontestualizza ulteriormente la manovra, rendendo il pareggio un saldo solo virtuale ed espropriando il Parlamento di una visione complessiva e della possibilità di fornire un giudizio meditato complessivo. È la prima volta, dal 1978, che ciò accade. Non ci sono precedenti di questa natura. Siamo, per la prima volta dal 1978, ossia da quando cominciò un processo di costituzionalizzazione del bilancio - processo che è andato avanti negli anni e che ha prodotto esiti di enorme significato - di fronte ad uno spezzettamento della manovra, «dispersa» in tutte le misure adottate prima della manovra stessa: la Tremonti-bis, il condono sul sommerso, la soppressione dell'imposta di successione e di donazione, il falso in bilancio e le misure relative al rientro dei capitali portati illegalmente all'estero. Tutto queste misure sono state adottate prima della manovra ma, in qualche modo, ne fanno parte.
Per ciò che riguarda il proliferare delle deleghe, ricordo che nel 1995, quando abbiamo realizzato la riforma delle pensioni - che la Commissione europea ha indicato, insieme alla riforma svedese, come l'unica dramatic reform attuata in Europa - abbiamo proceduto per deleghe. Insieme al proliferare delle deleghe, questo spezzettamento della manovra, di fatto, espropria il Parlamento di una visione complessiva.
Le implicazioni di ciò sono pesanti. La prima è che, in un certo senso, la sessione di bilancio si è svolta tutta all'esterno della sessione medesima (vorrei che anche i costituzionalisti ragionassero sulle affermazioni
che sto tentando di fare). La seconda è che la copertura del disegno di legge finanziaria non esiste: infatti, è assicurata da altri provvedimenti - come quello sul rientro dei capitali dall'estero, i condoni e l'alienazione degli immobili - che, prevedendo, peraltro, entrate instabili ed incerte, finiscono per trasferire tali caratteri a tutto l'insieme della copertura. Se a questo aggiungiamo, poi, la mancata revisione dei dati sulla crescita, a proposito della quale le giustificazioni apportate appaiono francamente molto insoddisfacenti a fronte della recessione economica, in atto ormai a livello quasi mondiale, ci accorgiamo che il rischio di un buco - stavolta vero - incombe per colpa del Governo in carica (e si tratta di un rischio molto elevato!).
Per questo appare meritorio il tentativo compiuto dalla Commissione (che ha raccolto il voto della maggioranza). A tale riguardo, devo dare atto soprattutto al presidente Giorgetti di aver preso un'iniziativa che, sia pur lasciando insoddisfatti me e molti altri colleghi (perché molte questioni rimangono irrisolte), è importante per il segnale che dà: stigmatizza, invero, una violazione dell'articolo 81 della Costituzione che era già avvenuta perché, se il disegno di legge finanziaria intende assicurare quella copertura alla Tremonti-bis che questa, evidentemente, non aveva, allora il suddetto articolo 81 della Costituzione, il quale richiede simultaneità tra provvedimento di spesa e copertura, era già stato violato.
Anche la misura adottata in Commissione, tuttavia, non dà affatto per scontato che provvedimenti di incentivazione possano finanziarsi per mezzo degli effetti indiretti derivanti dalla medesima incentivazione. Qualsiasi studente dei primi anni di economia sarebbe bocciato all'esame se sostenesse questa visione veramente paradossale (sarebbe qualcosa di aberrante, come la curva di Laffer). È per questo che, giustamente, la Commissione insiste sul primato della destinazione di tutte le maggiori entrate al miglioramento dei saldi piuttosto che alla riduzione della pressione fiscale; e non si tratta di una questione meramente lessicale.
Ma se guardiamo da un punto di vista di merito a ciò che riusciamo a ricostruire, nonostante questa grande operazione di occultamento-deviazione-dissolvimento-spezzettamento, formulando un giudizio sintetico, direi - mi scuserete se, nella sincerità, sarò anche un po' brutale - che questa finanziaria si caratterizza per due elementi di fondo, in continuità con la linea adottata da questo Governo in tema di politica economica. Per un verso, essa è pro-affaristica; tuttavia, è anche anticompetitiva perché, come ha posto in risalto il relatore di minoranza, non aiuta la competitività delle imprese e, quindi, non aiuta le imprese; farà arricchire singoli individui (magari già molto ricchi), ma renderà le imprese molto più povere, dal momento che non vengono previste misure - che pure dovrebbero essere presenti nel disegno di legge finanziaria - a sostegno dello sviluppo. Per un altro verso, essa fa un po' di carità a qualcuno: poca, per la verità, perché tutti coloro che, per esempio, non sono capienti, non ricevono nulla dalla finanziaria così com'è; riceveranno forse qualcosa se l'emendamento che il centrosinistra ha presentato dovesse passare.
Pertanto, essa denota un forte spirito antisociale: esattamente il contrario di quello che è stato detto. Concretamente, vediamo che non c'è alcun sostegno alla crescita economica. È stato ricordato, in particolare, che per le famiglie c'è addirittura un aggravio, un onere che supera i 2.000 miliardi se facciamo il conto di quanto viene dato con una mano e di quanto viene tolto con l'altra (ad esempio, la mancata restituzione del drenaggio fiscale ai lavoratori dipendenti). Per le famiglie povere, poi, c'è una vera e propria beffa: destinare 4.200 miliardi in più per le pensioni minime significa che, dei sette milioni e mezzo di persone che aspettavano l'aumento, più di cinque milioni non si troveranno in tasca nulla.
Non c'è sostegno allo sviluppo, il Mezzogiorno sparisce e sparisce anche perché c'è un declassamento di tutta la linea di
azione della programmazione negoziata; ricerca e sviluppo, dunque, innovazione - come dicevo all'inizio - , per un salto di specializzazione produttiva di cui questo paese avrebbe un drammatico bisogno (questo è l'unico paese, infatti, che conosce una staticità impressionante nella specializzazione produttiva), per non parlare della possibilità di reinserirsi nelle traiettorie tecnologiche avanzate. Tutto questo non c'è, non c'è neanche l'ombra, non c'è l'ombra di interventi che incrementino la qualità del lavoro, dei processi produttivi e così via. Troviamo, invece, un ragionamento sull'arretramento del perimetro dello Stato, che, concretamente, si affida ad un outsourcing generalizzato; se l'articolo non viene modificato dalle amministrazioni, se le modifiche non saranno maggiori di quelle che già sono state adottate dalla Commissione cultura della Camera, qualunque tipo di servizio potrà essere esternalizzato, e ci si avvarrà dell'affidamento in concessione di tutti i beni culturali. Troviamo, inoltre, una visione che rende possibile dare ulteriori spinte alla privatizzazione (si parla anche di enti, di istituzioni, di agenzie, che vedrebbero coinvolti il CNR e l'ISTAT). Francamente, ci si chiede quale logica abbia tutto questo, visto che una logica economica non è rinvenibile. Per non parlare anche di ciò che accade agli enti locali, che non riguarda solo loro, rientrando in quel ragionamento complessivo, che faceva il relatore di minoranza, di dequalificazione dell'amministrazione pubblica a livello centrale e decentrato. Dunque, per concludere, se teniamo conto di tutto ciò che è stato fatto in questi mesi e della finanziaria, che rappresenta un po' il culmine di questa fase, ho davvero l'impressione che siamo di fronte a messaggi che parlano di allentamento delle regole e di premi all'illegalità, di salvacondotti generalizzati per gli evasori fiscali - quelli più furbi e più ricchi -, di svilimento dei principi del mercato e della concorrenza, di un ruolo ristretto e angusto dell'operatore pubblico, che è l'altra faccia del ruolo ristretto e angusto del rapporto tra individuo e collettività. La società non esiste, come dice una vostra maestra che rivendicate sempre di avere come tale. Ma i nostri maestri sono altri; noi ci rifacciamo - non ho esitazione a fare questa citazione - a grandi maestri come Immanuel Kant, che parlano di comunità dei fini. Noi dobbiamo ricostruire una cittadinanza che sia in grado di dare valore ad una comunità dei fini (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ricciotti. Ne ha facoltà.
PAOLO RICCIOTTI. Egregio Presidente, egregio Governo, la nota sulla quale è nato il disegno di legge finanziaria vede uno scenario complessivo abbastanza dissimile dalle finanziarie precedenti. In primo luogo, al di là di quello che sta dicendo la sinistra attraverso un pressing giornalistico, esisteva realmente un extradeficit di 25 mila miliardi, che, inevitabilmente, ha pesato in maniera sostanziale su questa finanziaria. Inoltre, ha pesato quello che è avvenuto l'11 settembre, all'interno di un quadro internazionale totalmente modificato e di una strategia complessiva nella quale i maggiori paesi europei, ma anche il più grande paese al mondo come gli Stati Uniti, hanno sopportato una modifica del quadro economico molto veloce. Ha pesato anche quello che non è stato fatto, o è stato fatto in forma solo di facciata, da parte dei governi precedenti relativamente agli snodi maggiori della finanza pubblica.
Dico questo perché non si può non prendere atto che questa finanziaria, rispetto alle altre - lo dico con grandissima convinzione, supportato anche dallo studio del CEIS dell'università di Tor Vergata - ha finalmente introdotto, nel nostro paese, un sistema che affronta i problemi alla radice, come, ad esempio, il problema di milioni di cittadini che hanno una capacità di spesa meno forte; coloro i quali, in altre parole, vengono definiti poveri. Su questo punto l'attuale disegno di legge finanziaria, con una scelta equilibrata ed intelligente - e non vale qui la polemica sul milione al mese di pensione promesso, in campagna elettorale, a tutti - ha avviato il primo atto coraggioso (e bisogna che, purtroppo, la
sinistra se ne renda conto e lo riconosca): agire direttamente sul miglioramento delle condizioni di chi ha di meno. Dunque, il primo atto (aumentare le pensioni dei più deboli) è stato il primo passaggio in una condizione congiunturale economica veramente difficile, di cui tutti, spero, ci rendiamo conto.
Il secondo atto significativo è stato la detrazione fiscale per le famiglie con reddito fino a 70 milioni di lire. È vero che tutto può essere fatto meglio ma, anche in questo caso, si tratta del primo atto, negli ultimi dieci anni, che prevede, finalmente, un innalzamento del livello di detrazione fiscale.
Il terzo atto disegna, di fatto, la stabilità, la crescita e l'equità e permetterà, grazie a ciò, di predisporre, nella legge finanziaria, una soluzione a quello che viene denunciato come un problema irrisolto: quello degli incapienti. Devo dire che il nostro relatore, onorevole Gianfranco Conte, ha spiegato bene, nella sua relazione, che anche gli interventi a pioggia, non identificati e, quindi, non verificati, avrebbero inciso in maniera indiretta, non avendo la cognizione reale di quanto stava avvenendo. Su questo punto il Governo interverrà prossimamente, con molto equilibrio, per risolvere i problemi di natura strutturale. Vorrei sottolineare che, però, questa finanziaria ha dato anche un impulso eccezionale all'economia. Non penso solo alla Tremonti-bis (uno strumento con cui già si attuano i livelli di detrazione), ma anche a quella famosa legge, spesso enunciata, anche in passato, ma mai applicata, sulla modernizzazione delle infrastrutture, ovvero il tentativo concreto di realizzare le grandi opere pubbliche nel nostro paese. Questo aspetto deve essere valorizzato e considerato come un qualcosa che va al di là delle piccole schermaglie e delle differenziazioni politiche, perché il nostro paese, rispetto agli altri paesi del G8, soffre di provincialismo, cioè della non possibilità di progettazione e realizzazione di grandi infrastrutture che diano un'immagine del nostro paese al passo con i grandi competitor internazionali.
Ritengo che quanto messo in cantiere dall'attuale disegno di legge finanziaria relativamente alle grandi opere pubbliche sia una delle scelte più innovative fatte dal nostro paese. Tale scelta è chiaramente condivisa a livello internazionale. Anche in questo caso la scelta della cartolarizzazione degli immobili, quindi, il tentativo reale di recepimento di nuove entrate per lo Stato e l'uscita graduale dello Stato dalla proprietà, è un'altra delle scelte di fondo di questa legge finanziaria che, ancora di più, ci convince della necessità di una rapida approvazione.
Altro punto essenziale riguarda le critiche spesso sollevate con riferimento al Mezzogiorno.
PRESIDENTE. Onorevole Ricciotti, la invito a concludere
PAOLO RICCIOTTI. Concludo, signor Presidente.
È stato detto che con questa finanziaria non è stato fatto granché per il Mezzogiorno ma se leggiamo il testo con attenzione e valutiamo gli emendamenti che saranno presentati in Assemblea nei prossimi giorni, si vedrà, con concretezza, che, forse, questa è la prima legge finanziaria che porterà centinaia di migliaia di posti di lavoro al Mezzogiorno, permettendogli di ripartire velocemente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milana. Ne ha facoltà.
RICCARDO MILANA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, quando ci fu presentato il testo del disegno di legge finanziaria, molti di noi sollevarono alcuni dubbi, alcune perplessità. Notammo, e fu un coro generale, che questa legge finanziaria, ricordo le parole, appariva senz'anima: non se ne intravedeva l'essenza, e si percepiva la necessità di rispondere, con interventi a pioggia, ad una serie di impegni elettorali, nonché il bisogno di saldare qualche cambiale, accontentare qualche potentato, senza intervenire sulla sostanza stessa del provvedimento e senza lanciare quell'iniziativa
- più volte descritta dal Premier Berlusconi - di grande rilancio dell'economia, di nascita di quel nuovo miracolo economico del quale più volte aveva parlato.
Pochi minuti fa, il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 1984, onorevole Gianfranco Conte, al quale do atto di essersi prodigato in Commissione, faceva un'annotazione: la Commissione bilancio ha cercato di dare un'anima a questa legge finanziaria. Quindi, l'anima non c'era, e non credo che gli interventi compiuti in Commissione siano sufficienti a darne una a questo provvedimento così essenziale.
Avevamo anche sottolineato come il testo appariva, in tante sue parti, poco chiaro, addirittura confuso. Anche in questo caso, l'onorevole Gianfranco Conte, introducendo il concetto del pregio del bicameralismo, ha ricordato come si sia cercato, alla Camera, di migliorare il testo rispetto a quello approvato dal Senato. Nonostante ciò, credo che questo non sia ancora chiaro, e ritengo che all'interno di tale provvedimento vi siano ancora molti aspetti da esplicitare. Penso che nei prossimi giorni sarà molto importante ascoltare il contributo di tutti i gruppi per poter migliorare tale situazione.
Vi è poi la storia del «buco» di bilancio, sulla quale mi soffermo anche se altri colleghi, precedendomi, lo hanno già fatto. Lo ritengo opportuno perché in ciò che ha detto l'onorevole Gianfranco Conte noto una novità rispetto a qualche giorno fa; prima il «buco» c'era, poi non c'è più, poi ritorna nuovamente: ebbene, l'onorevole Gianfranco Conte, nella sostanza, ha detto che il «buco» non c'è perché la velocizzazione di alcuni provvedimenti ha migliorato in qualche modo la situazione. Non voglio entrare nella polemica di qualche mese fa, ma è evidente che, per bocca del relatore per la maggioranza, il «buco» non c'è: si è trattato solamente di velocizzare alcuni provvedimenti; il Governo, cioè, ha dovuto fare semplicemente ciò che andava fatto. Quindi, questa legge finanziaria non è un provvedimento che serve per coprire buchi.
La verità è che siamo di fronte ad un provvedimento complessivamente deludente, nonostante l'affannarsi di qualcuno nel parlare della guerra, delle necessità e così via, un provvedimento che non risponde alle necessità ed alle sfide che il paese deve sostenere con le altre economie, con gli altri partner del mondo, in un panorama sicuramente difficile. Si tratta di una legge finanziaria che sembra non scritta in questo periodo, una legge finanziaria che insegue ancora tassi di crescita smentiti da tutti gli indicatori e gli istituti internazionali, tranne quello che ha ricordato poco fa il collega Ricciotti, che citava dati di dubbia provenienza. È infatti evidente che il tasso di crescita, che prima dell'11 settembre era del 3 per cento (dato sicuramente irraggiungibile) e che oggi è attestato intorno al 2,3 per cento, risulta sicuramente sovrastimato rispetto a tutti gli indicatori generali.
La verità è che la legge finanziaria in esame, così com'è stata concepita, ossia con la stessa confusione ingenerata dalla legge Tremonti - che prima non necessitava di coperture, poi è stata approvata «scoperta» e oggi non necessita di coperture ma di attenzione - dimostra in quale confusione si sia agito in una materia così delicata.
Non raggiungeremo quei tassi di crescita e non copriremo tutte le voci di spesa; la verità è che nei prossimi mesi registreremo - questa volta davvero - un «buco» nella finanza pubblica, determinato dalla perdita di rigore, di attenzione e di tensione verso i grandi obiettivi cui il paese è chiamato.
Si è tentato e si tenta di scaricare molte delle difficoltà sul complesso sistema della finanza decentrata degli enti locali, vere vittime di questo modello neostatalista realizzato dal primo Governo che sventolava la bandiera del federalismo. Ancora oggi lo fa in modi inopportuni e volgari, come è avvenuto ieri quando due ministri della Repubblica hanno attaccato il ruolo e la politica del nostro paese in seno alla Comunità europea, di fronte a problemi così grandi come quello della giustizia. Ciò mi porta a fare un inciso: non credo che
in questo paese qualcuno possa credere che, anche questa volta, ad attaccare sulla giustizia siano i magistrati comunisti e non credo che qualcuno avrà l'ardore di dire che, anche questa volta, l'Italia e il Governo sono vittime di un agguato della sinistra, dal momento che tutti i partner europei e tutto il mondo internazionale ci richiamano alle nostre responsabilità.
Di fronte a ciò spunta «forcolandia», forse per coprire quello che sta avvenendo nel sistema degli enti locali, che vengono costretti a subire gran parte del vuoto e dell'indeterminatezza di questa manovra, che vengono ad essere stretti tra due centralismi - il centralismo neostatale e il neocentralismo regionale - con provvedimenti al limite della costituzionalità che obbligano gli enti locali a una serie di tasse, balzelli e cautele che ne eliminano l'autonomia sancita dalla Costituzione, in sostanza conferendo loro il ruolo di ulteriori gabellieri e costringendoli a ridurre i servizi alla persona.
Questo è il tradimento delle promesse elettorali di questo Governo: meno tasse per tutti, pensioni più alte e servizi più efficienti. Per quanto riguarda il primo punto, è stata cancellata la riduzione delle aliquote IRPEF con una serie di provvedimenti che da un lato danno e dall'altro tolgono e che sono relativi solamente ad alcune fasce; manca la restituzione del fiscal drag e, quindi, in sostanza, vi è un aumento della pressione fiscale.
Per quanto riguarda le pensioni - già altri prima di me lo hanno detto - siamo sempre in attesa di conoscere i fortunati possessori del biglietto da un milione per l'aumento delle pensioni: siamo qui e attendiamo con pacatezza. Tuttavia, ciò che è grave è che, in questa circostanza, viene meno una politica per il Mezzogiorno che aveva fatto crescere il nostro paese con aumento di imprese, di fatturato e di export. Vengono tagliati strumenti e finanziamenti e si introducono criteri - lo dice il governatore della Banca d'Italia - più temporanei che strutturali.
Viene, quindi, meno quella politica di espansione del nostro Mezzogiorno che si riduce al tentativo, più o meno mascherato, di introdurre gabbie salariali, nicchie e cose simili. Addirittura, nella visione distorta di un paese che dovrebbe essere unito e crescere tutto insieme per sostenere la parte più debole, il Mezzogiorno è penalizzato negli stanziamenti per gli enti fieristici. È una nota a margine rispetto ai problemi generali, ma si introducono finanziamenti per la fiera di Milano e per quella di Verona e non per quelle di Roma, Napoli e Bari. È il tentativo di disegnare un sistema economico nel quale il paese non va tutto insieme: si tratta di un tentativo grave che abbiamo denunciato e continueremo a denunciare.
Durante la campagna elettorale si era garantita a questo paese un'attenzione maggiore alla scuola ed alla ricerca scientifica che escono fortemente ridimensionate da questa legge finanziaria. Viene fortemente meno il ruolo, il valore, l'importanza strategica di questo settore che deve essere un investimento vero del nostro paese. Vengono tagliati stanziamenti e non vengono confermati gli aumenti salariali. Si compie un'operazione veramente grave sulla ricerca scientifica e sull'università.
Saluto con favore lo sforzo compiuto per ridurre la tassa sulle insegne: è un'operazione che costa qualche centinaio di miliardi, ma il settore del commercio viene agevolato. Forse si tratta di una cambiale elettorale, ma è comunque un fatto da salutare con favore. Poi, però, non si trovano 50 o 100 miliardi per la ricerca scientifica e ritengo che questo sia veramente molto molto grave.
Ritorno - e ci torneremo ancora in quest'aula e nel paese nei prossimi mesi - alle promesse elettorali. Inglese, Internet, impresa, scuola: non ne rimane nulla. Rimane il tentativo propagandistico di un Governo di coprire le proprie manchevolezze e la propria impotenza, in una situazione internazionale grave ma sicuramente positiva della finanza pubblica, aumentando il volume della propaganda, sporcando le città di manifesti spesso abusivi, senza nessun provvedimento strutturale. Ripeto: quello che facciamo oggi all'istruzione ed alla ricerca nel nostro
paese è un danno che pagheremo per anni. Viviamo in un mondo nel quale quando si resta indietro, si resta indietro per un tempo piuttosto lungo.
A mio parere, ci stiamo allontanando in troppi settori dagli standard europei. È sotto gli occhi di tutti quanto avviene con la giustizia, come è sotto gli occhi di tutti il quadro generale intorno al quale si manifesta la politica del Governo. Questa si manifesta in maniera disarticolata di fronte ai problemi generali, ma molto attenta ad una serie di problemi particolari che, più che una politica economica, appaiono un bottino di guerra.
Abbiamo proposto diversi miglioramenti e lo abbiamo fatto con sobrietà, con attenzione, senza introdurre strumenti propagandistici, pronti a confrontarci e a dialogare. Lo faremo anche nei prossimi giorni in quest'aula portando fino in fondo la nostra battaglia per migliorare questa legge finanziaria. Lo faremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi nel paese per denunciare lo stato di cose che grava la finanza del nostro paese, grava l'immagine del nostro paese nel mondo e crea danni ai cittadini italiani oggi e per il futuro (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, dopo avere ascoltato vari interventi da parte della maggioranza e della minoranza sulla proposta di bilancio 2001 durante lo svolgimento di audizioni nelle Commissioni, ci avviamo alla fase più delicata della finanziaria, quella delle manovre emendative, delle discussioni e delle votazioni che, inevitabilmente, ci porteranno a confrontarci, a scontrarci e ad unirci.
Ebbene, prima di affrontare questa parte delicata ed impegnativa del nostro lavoro, concedetemi alcune considerazioni di carattere generale, riprendendo e cercando - comunque, per quanto sia possibile - di replicare ad alcuni spunti critici emersi in queste settimane.
Pur in presenza di un quadro generale di una situazione finanziaria deprimente e tutt'altro che positiva, derivante dalle precedenti gestioni, pur nella difficoltà - non solo italiana ma internazionale - di prevedere gli effetti deprimenti dei tragici eventi di settembre sull'economia e sulla finanza pubblica, questa finanziaria ha rivolto tutte le risorse disponibili alla persona, al cittadino, alla famiglia, al rilancio dell'economia, in una direzione sociale e solidale, con una programmazione che copre l'intera legislatura e, quindi, con un DPEF, non più come negli anni passati tendenziale, ma programmatico.
Tutto ciò a conferma dell'assunzione in pieno della responsabilità politica della manovra, considerando - a differenza di quelli passati - l'impatto che la politica economica di questo Governo avrà nel futuro del paese, con la tendenza a coniugare il risanamento dei conti pubblici con il rafforzamento delle politiche di crescita del paese.
Si tratta di una finanziaria impostata sulla prudenza, non sul baro e su falsi numeri, che ipotizza per l'Italia un aumento del 2,3 per cento del PIL, con un tasso di inflazione dell'1,7 per cento. Tale manovra da 33.000 miliardi, pari all'1,3 del PIL, contiene una correzione dell'andamento della finanza pubblica per 18.000 miliardi, al fine di ricondurre il deficit all'interno del patto di stabilità ai 2.600 miliardi, pari allo 0,5 per cento del PIL, prevedendo un meccanismo di ridistribuzione a sostegno della crescita per oltre 15.000 miliardi, con oltre 10.000 miliardi di maggiori uscite ed oltre 5.000 di minori entrate.
All'interno di quest'ultima voce, le più consistenti riduzioni di gettito derivano da diverse misure di politica fiscale, che, di fatto, riducono importanti tributi: ad esempio, la modificazione della disciplina dell'IRPEF a favore delle famiglie con figli e reddito medio-basso, consentendo una maggiore detraibilità delle spese sostenute - e, quindi, con un intervento sociale a
favore dei più bisognosi -, così come per la maggiore detraibilità sulle spese sostenute per i soggetti sordomuti e sul costo del lavoro per i nuovi assunti nelle imprese in aree economicamente più deboli del sud del nostro paese. I maggiori esborsi riguardano i rinnovi contrattuali del pubblico impiego e, con tale provvedimento, si sono determinati gli oneri annui a carico dello Stato per la contrattazione collettiva nazionale ed integrativa, in ragione dei tassi di inflazione programmata, prevedendo ulteriori risorse a favore del personale docente del mondo della scuola e nei confronti dei corpi di polizia delle Forze armate.
In questo caso, mi auguro che il Governo accolga alcuni emendamenti presentati da Alleanza nazionale, che rafforzeranno l'intervento e, comunque, è doveroso ricordare l'impegno preso e confermato da questo Governo sulla separazione delle carriere delle forze dell'ordine dal pubblico impiego, con un allineamento contributivo programmato negli anni, atto ad adeguare i compensi agli standard europei, riconoscendone il fondamentale ruolo sociale, premiando la responsabilità, l'impegno e il rischio di sicurezza personale.
Questa finanziaria interviene nel settore pensionistico integrando le pensioni minime per aumentarle ad un milione mensili: si tratta di un provvedimento che riguarda il 90-95 per cento dei pensionati sociali - spesso i più bisognosi e i più anziani - e che, nonostante lo sbandieramento in questi ultimi anni di risanamento dei conti pubblici, del merito di aver portato l'Italia in Europa e della grande politica sociale attuata, la sinistra non è mai riuscita a concretizzare.
La risposta del centrodestra, invece, è la seguente: abbiamo mantenuto gli impegni assunti in campagna elettorale, che riguardano 2.350.000 pensionati con una spesa di 4.200 miliardi. Tuttavia, è doveroso sottolineare la necessità di revisione di diversi aspetti del sistema pensionistico, per consentire un rapporto migliore tra la spesa per le pensioni e il prodotto interno lordo. Se si fa riferimento ai destinatari dei provvedimenti, oltre il 67 per cento va a beneficio delle famiglie, il 13 per cento all'impresa e il rimanente riguarda, in generale, l'economia. Per l'insieme delle famiglie, che maggiormente usufruiranno dei provvedimenti, si tratterà di 6,4 milioni con un guadagno medio pari a 456 mila lire. Risultano, quindi, più avvantaggiate le famiglie più numerose e quelle con lavoratori dipendenti. Si tratta, dunque, di una politica sociale che riduce la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e la povertà relativa per l'insieme delle famiglie.
Sempre per le famiglie è stato rafforzato il sistema di servizi sociali, con la salute al primo posto. Con una spesa sanitaria in costante aumento, questo Governo l'ha posta sotto controllo, attraverso un meccanismo radicalmente nuovo, costituito dal patto di stabilità interno, che rappresenta l'alternativa ai ticket.
Nel settore sanitario, per la prima volta, sono stati introdotte garanzie dei livelli minimi essenziali di assistenza, adeguate ai bisogni e coerenti con le risorse disponibili.
Avremmo potuto tagliare prestazioni e servizi per ridurre il deficit sanitario, ma questa maggioranza, questo Governo, non l'ha fatto, anzi la sfida è volta a fare di più e meglio. Chiaramente, si cercheranno di spendere sempre nel miglior modo le risorse disponibili, ma è un intervento sociale di questa maggioranza garantire a tutti i cittadini, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, un adeguato livello di prestazioni, portando l'investimento sanitario dal 5,3-5,2 per cento del PIL a quasi il 6 per cento.
Il sostegno alle imprese, invece, è riscontrabile sin dai primi interventi di questo Governo. Già nei cosiddetti provvedimenti dei cento giorni sono contenute importanti azioni a sostegno dell'economia; tra queste, un decreto-legge recentemente approvato volto a promuovere il rientro dei capitali e la regolarizzazione delle attività detenute all'estero, la semplificazione amministrativa, la riforma del diritto societario, la Tremonti-bis, che introduce ulteriori incentivazioni agli investimenti,
ampliandone il campo di applicazione ad una molteplicità di soggetti economici e di tipologie di impiego rispetto alla precedente, creando le condizioni per nuovi posti di lavoro.
Ricordiamo, inoltre, l'introduzione delle nuove regole del mercato del lavoro, con cui il Governo intende raggiungere l'innalzamento del tasso di occupazione, agendo sulle strozzature di mercato, sugli eccessivi vincoli normativi e sui «colli di bottiglia», attraverso un aumento del grado di flessibilità normativa - adatta ai bisogni delle imprese e dei singoli lavoratori - e salariale, ottenuta mediante una regolarizzazione per obiettivi e non con gli slogan propagandistici della passata legislatura, come ad esempio le proposte della sinistra per l'economia delle 35 ore.
Dunque, non inutili ed estenuanti accordi globali, ma intese in capo ai governi locali, in grado di produrre, in materia di lavoro, norme maggiormente corrispondenti all'esigenza del lavoro locale garantendo, nel contempo, una maggiore relazione tra salario e produttività.
Europa, modernizzazione e federalismo sono i tre concetti ispiratori di questa importantissima innovazione nel lavoro. Quindi, una politica indirizzata all'emersione del sommerso che, nel nostro paese, riguarda una parte pesante ed importante del PIL, stimabile sull'ordine del 20 per cento, con oltre 3 milioni di lavoratori.
Si tratta di uno sforzo di regolarizzazione e legalizzazione imponente che questo Governo ha voluto intraprendere, in un primo tempo, attraverso un quadro di convenienze fiscali e contributive a favore delle imprese potenzialmente interessate all'emersione e, in un secondo tempo, con una precisa fermezza dello Stato per far rispettare le regole e per consentire a migliaia di imprese e di lavoratori di rientrare nella normalità.
Nella pubblica amministrazione si è cercato di spendere con maggiore razionalità le risorse pubbliche, ad esempio razionalizzando e riordinando le strutture organizzative: l'efficienza della pubblica amministrazione, in quanto tale, costituisce uno dei fattori più importanti e competitivi del sistema economico nazionale.
PRESIDENTE. Onorevole Bellotti, la invito a concludere.
LUCA BELLOTTI. Teniamo presente che l'amministrazione pubblica costituisce almeno il 40 per cento dell'economia nazionale; una maggiore efficienza, quindi, si traduce in grandi benefici per l'economia del paese.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Bravo Bellotti!
PRESIDENTE. Che succede?
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, il ministro, entrando, mi ha salutato.
Per quanto riguarda il finanziamento delle grandi opere pubbliche, nel piano infrastrutture la Cassa depositi e prestiti può intervenire a favore dei soggetti pubblici o privati ai quali fanno carico gli studi, la progettazione, la realizzazione e la gestione delle opere pubbliche mediante qualsiasi forma di prestazione di servizi e di assunzione di partecipazioni, privilegiando la realizzazione delle opere con la formula della finanza di progetto.
Oltre a settori portanti dell'economia nazionale, quali il turismo e l'artigianato sostenuti con finanziamenti...
PRESIDENTE. Onorevole Bellotti, mi vedo costretto a chiederle di concludere.
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, non vorrei costare a questo Parlamento quanto costa Ronaldo a Moratti per le proprie apparizioni; quindi, le chiedo soltanto due minuti per concludere.
PRESIDENTE. Lo so. Tuttavia, anche Ronaldo deve marcare entro i 90 minuti, più i tre o quattro consentiti.
GIANCARLO GIORGETTI. Non parliamo degli arbitri in questo periodo, Presidente!
PRESIDENTE. Pregherei di non essere accostato, grazie!
Tuttavia, onorevole Bellotti, devo richiamarla al rispetto dei tempi.
LUCA BELLOTTI. Ci è stato detto che questo disegno di legge finanziaria appare senza orgoglio e senza coraggio, che facciamo finta di non capire quello che sta succedendo attorno a noi e che mancano le scelte strategiche: insomma, si tratterebbe di una manovra finanziaria rattrappita.
Ebbene, noi rispondiamo che approveremo e consegneremo agli italiani una legge finanziaria solida, energica ed ambiziosa, corrispondente in pieno ad una volontà precisa: far crescere l'Italia, la famiglia, le imprese, le infrastrutture. Colleghi, ormai non vi crede più nessuno, anche se, dai banchi della sinistra, affermate che le scelte di questo Governo sono orientate verso la decadenza del paese. Iniziate i vostri ragionamenti con l'espressione «noi vogliamo che gli italiani sappiano...». Anche noi vogliamo che gli italiani e che i pensionati sappiano: nonostante siate stati al Governo negli ultimi sette anni, nonostante abbiate sbandierato l'ingresso nell'euro, non siete riusciti ad aumentare le pensioni ai più deboli ed agli anziani, per consentire a milioni di cittadini italiani di uscire dall'indigenza.
Quindi, voteremo con grande convinzione a favore di questo disegno di legge finanziaria che restituisce fiducia e coraggio al paese, in un periodo difficilissimo per il mondo occidentale. E tutto questo è stato fatto senza aumentare di una lira le imposte per i cittadini italiani. Finalmente, ci avvieremo verso un periodo di crescita duratura e stabile. E, per la prima volta dopo anni, un Presidente del Consiglio dei ministri giunge a Palazzo Chigi avendo vinto le elezioni (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franci. Ne ha facoltà.
CLAUDIO FRANCI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il confronto sviluppatosi in queste settimane nelle competenti Commissioni e in Commissione bilancio ha reso evidente il severo giudizio critico del centrosinistra sul disegno di legge finanziaria, sul bilancio di previsione dello Stato e sul bilancio poliennale 2002-2004. Tale giudizio è stato, per altro, riconfermato anche in questa sede dal relatore di minoranza. Il confronto è stato condotto attraverso la presentazione di emendamenti, molti dei quali saranno sottoposti alla valutazione ed all'attenzione dell'Assemblea: l'obiettivo è stato e sarà quello di modificare e migliorare questi atti fondamentali dello Stato, per renderli più rispondenti alle esigenze, ai bisogni ed alle sfide cui il paese è chiamato a rispondere anche dopo i tragici fatti dell'11 settembre. Le modifiche ed i miglioramenti sono stati richiesti e sostenuti da varie componenti sociali, culturali, economiche ed istituzionali, che rappresentano il paese.
Nel corso del dibattito, ciò che il centrosinistra ha sostenuto in queste settimane è stato ritenuto valido e necessario anche dagli esponenti della maggioranza; tuttavia, altrettanto spesso questi riconoscimenti si sono limitati a buoni propositi e buone intenzioni. Vedremo cosa succederà in questi giorni, quando continueremo a confrontarci per far sì che i buoni intendimenti producano fatti e risultati concreti.
Come è stato già detto prima di me, il lavoro preparatorio dei disegni di legge finanziaria e di bilancio è partito con una campagna volta ad accreditare presso l'opinione pubblica l'esistenza di un buco insanabile nei conti dello Stato, che avrebbe rappresentato l'eredità del centrosinistra. Non soltanto, nel giro di poche settimane, ciò si è rivelato inesistente, ma oltretutto, in questi giorni, importanti centri di ricerche e osservatori economici nazionali ed internazionali hanno riconosciuto il valore delle politiche operate negli anni scorsi: si è raggiunta la stabilità finanziaria, si sono avviate riforme strutturali,
si è creata nuova occupazione, si è innovato profondamente il sistema pubblico del paese.
Possiamo certamente dire che il centrosinstra ha consegnato al nuovo Governo un paese stabile nell'economia e nella finanza, un paese affidabile, saldamente ancorato e protagonista del processo di costruzione europea, di un'Europa che si rafforza in ogni campo della vita economica e istituzionale: l'approvazione in euro moneta unica anche del nostro bilancio è già un segno rilevante ed evidente, nel cambiamento di orizzonte che si è prodotto. In questi giorni siamo preoccupati, perché non vorremmo che questa eredità positiva venga in poco tempo dissipata. Infatti, al suo raggiungimento hanno concorso in questi anni con i loro sacrifici, non solo le istituzioni nazionali, ma il complesso del sistema delle autonomie, i lavoratori, i pensionati e le imprese del nostro paese, e proprio per questo è un'eredità ancor più preziosa.
Le scelte compiute, come il falso in bilancio per le società, le rogatorie internazionali e la vicenda assurda di queste ore del mandato di cattura internazionale, stanno creando un solco profondo tra l'Europa e il nostro paese. La sfida aperta dopo l'11 settembre - che è economica, sociale e culturale e determinerà nuovi equilibri nel mondo - non possiamo pensare di vincerla da soli, fuori dall'Europa o con generici appelli alla fiducia come qui è stato fatto. Anche in questa luce, il disegno di legge finanziaria ci sembra angusto, non all'altezza di guardare ai processi di integrazione da costruire, in ritardo nel sostenere quei comparti dell'economia che hanno subito un rallentamento dopo l'11 settembre, perché colpiti dalla crisi internazionale: penso al settore della moda, del turismo, del commercio. Ma questo disegno di legge finanziaria ci sembra inadeguato rispetto alle troppe e facili promesse elettorali fatte al paese dal centrodestra: meno tasse per tutti, e poi più pensioni, più sviluppo, più servizi. Se, da una parte, si è inventato un buco inesistente per sottrarsi alle promesse, dall'altra, si introducono meccanismi di copertura sui quali da più parti veniamo messi in guardia. Uno di questi è la crescita del 2 o 3 per cento del prodotto interno lordo prevista nel 2002, al quale si aggiunge la preoccupazione, non solo nostra, per la copertura finanziaria della legge Tremonti-bis.
A nostro avviso, da queste difficoltà parte la richiesta di rinegoziare il patto di stabilità e di crescita con gli altri paesi europei. È una forbice che si divarica tra il dire e il fare, fra il promettere e il mantenere: chi, quanti pensionati beneficeranno dell'adeguamento al milione? Quanto peseranno nelle famiglie i ticket ripristinati sulle prestazioni sanitarie? Quanto costerà alle famiglie lo slittamento della detassazione IRPEF, già previsto nella scorsa legge finanziaria? Quante regioni saranno costrette, in assenza di adeguati trasferimenti, ad introdurre nuove tasse? Quanti comuni, piccoli, medi o grandi, dovranno adeguare le tariffe, magari diminuendo anche le prestazioni? Questo è ciò che è facile prevedere, ed è forse per questo che qualche ministro ha parlato di finanziaria di guerra. No, le finanziarie di guerra sono un'altra cosa: o sostengono le imprese, come sta avvenendo negli Stati Uniti, o sostengono la domanda, favorendo i consumi. Il disegno di legge finanziaria proposto dal Governo non va né nell'una né nell'altra direzione. Anche per questo, condivido il giudizio di una finanziaria senz'anima. La scelta compiuta dal centrosinistra con gli emendamenti proposti vuole alimentare una ripresa della domanda delle famiglie, consolidare i processi di riforma strutturale avviati nel paese ed accompagnare quel processo di sviluppo delle imprese, sempre più chiamate a competere nel mercato globale.
A questo punto, mi sia consentito porre l'attenzione su tre questioni. La prima riguarda gli orientamenti in campo agricolo. L'agricoltura è il settore che da più tempo fa i conti con l'integrazione europea e sarà sottoposto ad ulteriori cambiamenti con l'allargamento dell'unione ai paesi PECO; d'altro canto, l'agricoltura è il comparto
dove più forte è stato il decentramento delle funzioni negli anni scorsi tra Stato e regioni.
Ebbene, noi assistiamo ad una forte penalizzazione delle risorse a disposizione del settore agricolo, circa 750 miliardi in meno rispetto al 2001. Assistiamo ad un tentativo di ritornare a vecchie politiche centraliste, in evidente contrasto con le modifiche apportate all'articolo 117 della Costituzione ed approvate dal referendum consultivo. Lo abbiamo visto con la riforma dell'AGEA, lo vediamo nella legge finanziaria - dove mancano le risorse per adeguare le strutture territoriali previste dalla legge -, lo vedremo, nelle prossime settimane, in molte leggi che sono all'attenzione delle Commissioni.
Gli emendamenti che abbiamo proposto vogliono aiutare il sistema delle imprese agricole a competere nel mercato globale puntando al rafforzamento del made in Italy e delle produzioni di qualità, al sostegno della filiera agroalimentare, della tracciabilità dei prodotti che, solo attraverso un forte investimento nella qualità, potrà trovare un giusto riconoscimento in termini di prezzo e di competitività sui mercati internazionali.
Con le proposte avanzate intendiamo rafforzare i processi di decentramento - che trovano solo indicazioni di principio nei disegni di legge presentati dal Governo - riaffermando e sostenendo il metro della programmazione negoziata, dei patti territoriali, degli accordi di programma che hanno prodotto importanti e positivi risultati con il concorso dei vari soggetti economici ed istituzionali. Abbiamo proposto un complesso di emendamenti che riguardano le imprese agricole escluse dalla Tremonti-bis e che debbono trovare un loro sostegno finanziario a partire dall'articolo 13 del decreto-legge n. 173 del 1998 e da un pacchetto di misure fiscali che erano state incomprensibilmente escluse dalla legge finanziaria. Abbiamo inteso sottoporre all'attenzione - e le sottoporremo al voto - alcune emergenze aperte nel paese, una non conclusa come la BSE, l'altra che sta mettendo in ginocchio alcune realtà territoriali e di allevamento importanti - le province dalle quali provengo - e rappresentata dalla crisi determinata dalla blu tongue.
Quando pensiamo all'agroalimentare e all'agricoltura pensiamo anche al settore della pesca, dell'economia ittica che vivendo significativi processi di ristrutturazione e che è stato escluso dai benefici della legge Tremonti; è stato penalizzato da minori investimenti e risorse a disposizione e da provvedimenti provvisori che accentuano l'incertezza che regna nel settore.
Anche in questo campo sottoponiamo all'Assemblea un complesso di emendamenti volti a sostenere l'innovazione del comparto, convinti come siamo che dalla valorizzazione delle risorse del mare e dell'economia marittima sia possibile far avanzare processi di rafforzamento di politiche comuni di collaborazione nell'area del Mediterraneo, delle quali tutti avvertiamo il bisogno.
In questo campo avvertiamo l'urgenza di un progetto complessivo; i nostri emendamenti, qualora approvati, apporteranno un contributo in questa direzione. Intendiamo agire favorendo una diversificazione dell'attività attraverso il sostegno alla pesca-turismo e all'ittiturismo per avviare un processo di crescita, per esempio, che ha già conosciuto il mondo agricolo. Proponiamo di ripristinare i meccanismi che favoriscano l'innovazione e la riconversione dei lavoratori in crisi, che offrano l'opportunità ai giovani disoccupati ed ai lavoratori socialmente utili di intraprendere attività economiche nel settore, ripristinando il finanziamento del prestito d'onore soppresso da questa legge finanziaria.
Per concludere, vorrei sottoporre all'attenzione del Governo e dell'Assemblea un problema troppo spesso considerato marginale e relativo al sostegno dei piccoli comuni montani e collinari. Una parte importante dell'identità del paese è costituita dalla presenza di tante piccole comunità locali che contribuiscono in maniera fondamentale alla preservazione del territorio, alla sua difesa idrogeologica, alla valorizzazione dell'ambiente. Proviamo ad immaginare il danno che si
arrecherebbe a tutta la comunità, qualora i fenomeni di abbandono e di degrado dovessero accentuarsi ulteriormente. Per preservare questa ricchezza occorre però, non solo riconoscerne la validità ed il ruolo, ma investire su di essa. Non è possibile far restare in vita queste comunità senza mantenere i servizi essenziali e fondamentali: dalle poste alla scuola per l'infanzia, comprendente - magari - i moduli ed il tempo pieno che il ministro Moratti vorrebbe abolire o far pagare ai cittadini.
Non troviamo rispondenza nel disegno di legge finanziaria anche relativamente a queste richieste. Abbiamo presentato una serie di emendamenti, proposti da piccoli comuni, dall'ANCI e dall'UNCEM che certamente non risolveranno tutti i problemi, ma aiuteranno a guardare con più fiducia agli sforzi che tanti amministratori stanno compiendo in queste realtà. È questo lo spirito che anima il nostro lavoro e la discussione che avrà luogo nei prossimi giorni; uno spirito volto a migliorare, nell'interesse del paese, i provvedimenti oggi sottoposti alla nostra attenzione che giudichiamo negativamente e con preoccupazione, come ho cercato di sottolineare (Applausi dei deputati del gruppo MistoComunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, continueremo a contrastare il progetto di politica economica, di cui è parte questo disegno di legge finanziaria - finanziaria da guerra fredda, direi, più che da guerra -, nelle aule parlamentari, nel paese e negli enti locali, facendoci strumento e proiezione dei movimenti di lotta contro la globalizzazione liberista, a partire dal movimento cosiddetto no-global, al nuovo movimento operaio che si costruisce attorno ai meccanici, ai movimenti nel pubblico impiego, nelle scuole e nel territorio. La nostra critica, infatti, ne se siamo convinti, sarebbe muta se non si raccordasse ad un progetto alternativo che fondi le sue radici in una ripresa del conflitto di classe che, in verità, sta avvenendo piano piano e faticosamente e che ci conforta molto. Solo così, infatti, potremo contrastare un disegno di legge finanziaria che allude ad un disegno dichiaratamente classista, di un ossessivo estremismo confindustriale.
Il disegno di legge finanziaria è stato costruito attraverso un percorso di deleghe, di collegati, di sovrapposizioni, come una vera e propria mistificazione populista e demagogica. È, tuttavia, il disegno complessivo che noi dobbiamo saper contrastare.
Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il già odioso conservatorismo compassionevole del programma elettorale berlusconiano - come è stato chiamato, mutuandolo dagli Stati Uniti - sta degradando in un vero e proprio progetto di macellazione sociale. Si sta tentando di cancellare la classe operaia non solo come soggetto di contrattazione, ma perfino come entità collettiva, con una manovra a tenaglia fra progetti nazionali dirigistici e centralistici, da un lato, e articolazioni liberiste del federalismo privatista, dall'altro, che mette in concorrenza i territori, a ribasso delle garanzie e dei diritti, sino a giungere alla disperante contrattazione quasi individuale, un corpo a corpo tra il potente padrone ed il lavoratore, sommamente indebolito dall'abbattimento della contrattazione nazionale. Stiamo andando ben oltre - credo - i concetti di gabbie salariali, di caporalato di massa. Ci troviamo di fronte ad una modifica strutturale del salario, al tentativo di introdurre e consolidare una frattura generazionale fra nord e sud.
Le figure contrattuali del precariato giungono sino al lavoro a chiamata, vero furto di tempo e di vita.
Per quanto riguarda gli immigrati, si giunge alla vergogna - ancora ieri difesa dai partiti della maggioranza e da Taormina stesso - dei contratti di soggiorno che sconnettono i diritti di cittadinanza dall'erogazione della forza lavoro, producendo una vera e propria mercificazione totale della forza lavoro.
I giovani, le ragazze diventano proiezioni, schiavi inerti del ciclo produttivo. Il lavoro è sconvolto. Questo è un progetto complessivo e reazionario, frutto velenoso - certo - anche del maccartismo di guerra di questo momento che spera di uccidere la politica e la società.
È la precarietà la leva principale del ricatto, una precarietà che deve entrare come ricatto nelle ossa, nella vita, nei sensi, nell'ansia per il futuro. Pensiamo, ad esempio, al Mezzogiorno. È lì che si verifica un progetto in cui, peraltro, si dà un'identità anche ai processi di accumulazione che intrecciano economia legale ed illegale all'interno della globalizzazione.
Non si tratta di nicchie di arretratezza, ma di metafora della moderna competitività territoriale liberista. Crediamo, quindi, che i provvedimenti di politica economica del Governo, all'interno dei quali si inserisce il disegno di legge finanziaria, costituiscano una sfida seria per noi, un tentativo di sfondamento del blocco sociale della sinistra, un colpo di maglio sulla stessa formazione economico-sociale.
Sicuramente il contesto internazionale incide e ne parlerà successivamente la collega e compagna Deiana; sicuramente incide la crisi recessiva mondiale, una vera e propria crisi di sovrapproduzione precedente, come chiunque sa, all'11 settembre e simbolicamente indicata dal dramma dei 450 mila licenziati in un mese negli Stati Uniti d'America. Non a caso sono proprio i vecchi cantori del liberismo, quelli che ci hanno «riempito le orecchie» affermando che il mercato è l'unico strumento di riequilibrio economico e sociale che, oggi, anche negli editoriali del Financial Times, riscoprono una politica neointerventista, una sorta di keynesismo di destra che fornisce migliaia e migliaia di miliardi alle imprese, senza peraltro salvare un solo posto di lavoro.
Non a caso allora il nostro primo obiettivo, i nostri emendamenti a questa legge finanziaria tendono a rompere il patto di stabilità europea, camicia di forza, a me pare, contro il proletariato, contro la domanda della società, per creare un contesto macroeconomico favorevole ad una politica espansiva qualificata. Questa è la filosofia della nostra progettualità alternativa rispetto alla legge finanziaria proposta dal Governo. Tentiamo di operare, attraverso i nostri emendamenti, una grande operazione redistributiva che proponiamo anche al centrosinistra.
Il Governo compie una sofisticata operazione di politica padronale, condita di elementi populisti. Dobbiamo essere attenti ad una mistificazione, come quella relativa alle pensioni, che può far guadagnare immeritatamente al Governo un facile consenso, grazie anche - devo dirlo - ai varchi devastanti aperti attraverso la legge finanziaria dell'anno scorso proposta dal Governo di centrosinistra. Incalzeremo fortemente il Governo sul tema delle pensioni e poniamo in rilievo che, oltre ad una politica fatta di tagli e di reintroduzione dei ticket sanitari, di blocchi di assunzioni nel pubblico impiego, di «strangolamento» degli enti locali, devastati da questa legge finanziaria, il modello governativo è quello di una destrutturazione, liberalizzazione e privatizzazione dello stato sociale. Esso viene mercificato ed esposto alla legge del mercato. È sufficiente pensare, e cito soltanto due esempi, alla trasformazione degli ospedali in fondazioni, in aziende che guadagnano dalla salute e sulla salute.
Il Governo si muove nell'ottica della sanità statunitense che vede oggi 45 milioni di persone private di assistenza sanitaria pubblica.
Allo stesso modo pensiamo alla scuola, nella quale all'autonomia come aziendalizzazione si aggiunge una feroce concezione di scuola elitaria, di classe, che prevede la scelta, all'età di 11 anni, dell'avviamento al lavoro. Si tratta quindi di un sapere per pochi, un destino di precarizzazione per tutti gli altri. Le scuole per i ricchi e futuri dirigenti, le scuole per i poveri e futuri precari.
Proponiamo, attraverso i nostri emendamenti, una grande operazione politica di rinascita dello spirito pubblico. Una sanità pubblica nella quale l'ambiente, la prevenzione, il controllo della salute dei lavoratori
e delle lavoratrici siano gli assi fondamentali; una scuola pubblica come luogo di convivenza civile, di educazione, vorrei dire, alla mondialità, nei rapporti fra culture, civiltà e religioni dei popoli. Tutto ciò è molto diverso da quello che ieri, in maniera vergognosa, gretta e provincialistica, immaginava la manifestazione leghista. Nuova quantità e qualità della spesa sociale, intervenendo anche con la leva fiscale, a partire dalla Tobin tax; guardiamo all'ente locale come strumento dell'autogoverno e dell'autoorganizzazione sul territorio.
Le nostre proposte emendative indicano quindi percorsi e progetti alternativi, tese ad una politica redistributiva delle ricchezze a favore dei salari e contro profitti e rendite. Proponiamo la chiusura della «forbice» tra inflazione reale e programmata: si tratta di un vero e proprio furto di Stato, di una bugia di Stato, spezzando un meccanismo che agisce come una scala mobile al contrario.
Proponiamo che il meccanismo di ingentissimi trasferimenti di fondi dallo Stato alle imprese che, come certificato dai numeri, non crea lavoro, sia rovesciato e venga finanziato, con parte di quelle risorse, un salario sociale per le ragazze e per i giovani. Allo stesso modo vogliamo evitare lo sfondamento delle condizioni di lavoro e di salario verso il basso, in una disperata guerra dei poveri, ponendo un vincolo interno - la fissazione di un salario minimo intercategoriale - come diritto esigibile da tutte e da tutti.
Questi sono gli spezzoni progettuali che poniamo nei nostri emendamenti alla legge finanziaria stessa, per quanto è stato possibile fare tecnicamente, quali segmenti di un progetto alternativo. Ma sappiamo bene che in Parlamento - e concludo - nulla potremo ottenere se non partirà una grande stagione di lotte, un conflitto di classe vero e proprio che sappia alludere alle parole di nuovo movimento operaio e non a vecchie parole ormai obsolete. In questo tentativo, in questa costruzione, noi di Rifondazione comunista siamo impegnati con umiltà, ma con determinazione, fino in fondo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Signor Presidente, la legge finanziaria per il 2002, presentata dal Governo, è senza dubbio lo strumento attraverso cui è possibile individuare le scelte in materia economico-finanziaria dell'attuale maggioranza. Saremmo indotti in errore se leggessimo in questo disegno di legge la volontà del Governo di porre in essere tutte le promesse sbandierate durante la campagna elettorale: riduzione delle tasse, sviluppo produttivo, risorse proprie agli enti locali per un vero federalismo, una politica liberista per sprigionare risorse umane e produttive, compresse dalla politica del centrosinistra negli anni novanta. Di tutto ciò non c'è traccia in questo disegno di legge, perché è prevalente l'ostinata ricerca di un mix tra un liberismo tout court e un nuovo centralismo, che non sprigiona energie, anzi, le costringe dettando, sin nei dettagli, le funzioni e i compiti. La vera filosofia di questo disegno di legge è ben altra: ha infatti eminentemente una natura pro affaristica, come ricordava lucidamente la collega Pennacchi, ma molto anticompetitiva; pro caritatevole, ma fortemente antisociale.
Per cogliere questi elementi di fondo, bisogna leggerli in contemporanea, in controluce con i provvedimenti già adottati dal Governo nei primi cento giorni, che sono la cornice contenutistica di questo provvedimento. Cosa altra sono le norme sulla depenalizzazione del falso in bilancio, sulle rogatorie internazionali, sulla sanatoria per i capitali portati illegalmente all'estero e, contestualmente, gli annunci, in merito al mercato del lavoro, a previdenza, fisco, privatizzazioni, se non la richiesta di un affidamento esclusivo ad automatismi di mercato, negazione di efficace funzione pubblica a sostegno dello sviluppo economico, contrattazione delle istanze di equità e protezione sociale?
Sono queste le implicazioni dell'unico obiettivo della finanziaria per il 2002: l'arretramento del perimetro dello Stato. Si tratta di una manovra che investe la qualità delle funzioni di indirizzo, di orientamento, di sostegno che l'iniziativa pubblica dovrebbe esercitare. Lo Stato è semplicemente spinto a ritirarsi da tali funzioni, a praticare una sorta di eutanasia della politica tout court, proprio quando la tragedia dell'11 settembre e la lotta militare al terrorismo sembrano invertire il trend internazionale del rapporto fra Stato e mercato. Sarebbe necessario, in questo nuovo contesto internazionale, ripensare a politiche in grado di governare le scelte economiche, di indirizzarle verso forme di equità e sviluppo, per dare sicurezza a quanti - famiglie, imprese, individui - debbono concorrere al benessere dell'intera comunità.
Tutto questo non c'è nel disegno di legge finanziaria e non poteva esserci, viste le concezioni che sottendono alle scelte del ministro dell'economia e delle finanze, che vanno in tutt'altra direzione, salvo poi i correttivi in corso d'opera che minano la credibilità stessa della manovra: la copertura, la mancanza per eventuali introiti dell'emersione, l'elemento sulla privatizzazione delle fondazioni, immesso nella finanziaria con un emendamento dello stesso ministro - questioni che, per rilievo e complessità, richiedevano ben altro iter, come hanno sostenuto colleghi della maggioranza -, la diminuzione delle risorse agli enti locali che, invece di più federalismo e più autonomia, si vedranno, di fatto, negare la possibilità di garantire servizi propri cittadini. Ed è su questo che voglio concentrare la mia attenzione.
Vengono infatti tagliati i fondi di circa 1.000 miliardi di lire per il prossimo triennio, proprio a quegli enti territoriali che più avevano rispettato il patto di stabilità interno. Questo patto, voi della maggioranza, lo volete irrigidire: malgrado tutti i proclami federalisti, in pratica, la compartecipazione del 4,5 per cento del gettito IRPEF dei comuni, che doveva scattare a partire dal 2002, veniva rinviata nel testo inizialmente varato dal Governo - per fortuna mutato al Senato e, come ricordava il relatore Gianfranco Conte, con ulteriori aggiustamenti in Commissione - mentre si riduceva per l'anno prossimo tale compartecipazione ad un terzo. Il patto di stabilità interno viene radicalmente modificato e irrigidito: non ci si riferisce più al disavanzo, ma si pongono limiti alla variazione della spesa corrente, come avviene per la spesa sanitaria, quella per gli interessi e per i programmi comunitari, con un tetto di incremento del 4,5 per cento rispetto al 2000.
Il fondo ordinario per gli investimenti passa da 547 miliardi nel 2001 a 220 miliardi per il 2002. Il blocco delle assunzioni, a livello locale, era previsto operante nel disegno di legge presentato anche per i comuni con i bilanci in regola. Gli enti locali vedranno il loro accesso al mercato di capitali ristretto dall'azione di coordinamento svolta dal Ministero dell'economia e delle finanze.
Le proposte contenute nel disegno di legge finanziaria sono l'esatto contrario del federalismo, che pure viene predicato con enfasi da molti esponenti della destra. Di fatto, si riducono le risorse a disposizione degli enti locali per i servizi e il welfare; si aumentano le detrazioni per i figli a carico, le pensioni al minimo, ma si costringono gli enti locali ad aumentare imposte, tasse e tariffe per compensare le riduzioni dei trasferimenti e delle compartecipazioni. Ciò che avviene già nella regione Lombardia è il segno evidente dei limiti di questo disegno di legge finanziaria.
Si obbligano, di fatto, gli enti locali ad aderire, per gli acquisti di beni e servizi, alle convenzioni stipulate centralmente dalla Consip. Anticipando le economie che ne derivano, si riducono i trasferimenti erariali dell'1 per cento nel 2001, del 2 per cento nel 2003 e del 3 per cento nel 2004. Il federalismo solidale rischia di rimanere una pura petizione di principio. Il crescente rinvio ad entrate proprie per il finanziamento dei servizi forniti da regioni ed enti locali mette in discussione i livelli e la qualità dei servizi offerti in misura crescente alla capacità fiscale delle diverse
realtà territoriali, ai margini ottenibile in un recupero di produttività. Il Senato, anche su questo, ha già prodotto miglioramenti. Ne proporremo altri nel corso dell'esame delle proposte emendative.
Per quanto riguarda gli enti locali, il limite vero del progetto di tipo centralistico che questo disegno di legge ci presenta è la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Si prevede, infatti, per i comuni con popolazione pari o superiore a cinquemila abitanti, la scissione tra proprietà e gestione delle reti. Per assegnare la gestione del servizio, l'ente locale potrà ricorrere a procedure di evidenza pubblica, oppure optare per l'affidamento diretto a soggetti costituiti ad hoc, ad aziende speciali o a società consortili. Non potranno partecipare alle gare quelle società che, in Italia o all'estero, abbiano ottenuto incarichi attraverso l'affidamento diretto od una procedura non ad evidenza pubblica e quelle società da esse controllate e collegate. Inoltre, si prevede che l'ente locale possa cedere la propria partecipazione di controllo alle società erogatrici di servizi, senza che tale cessione comporti effetti sulla durata della concessione degli affidamenti.
L'ente locale può mettere a gara i servizi; può cedere il controllo senza però perdere l'affidamento diretto. In questo caso, è consentito partecipare a gare esterne, ma chi rimane monopolista privato in casa propria, visto che non perde l'affidamento, può invadere altri territori. Siamo di fronte, in pratica, ad una liberalizzazione non attuata, all'interruzione di un processo al quale si era lavorato nella scorsa legislatura con l'intento di aprire l'assetto del mercato a principi di concorrenza e di buona gestione.
Per quanto riguarda il blocco totale delle assunzioni, l'esternalizzazione senza criteri, i finanziamenti mancanti per il rinnovo dei contratti di lavoro ed i vincoli che rischiano di vanificare la contrattazione integrativa, si può concludere che il centrodestra miri a mortificare il pubblico impiego, ad interrompere il cammino di modernizzazione della pubblica amministrazione, avviato dai governi dell'Ulivo, dimenticandosi che la competitività di un paese dipende anche in maniera rilevante dall'efficienza della propria pubblica amministrazione.
Le questioni sopracitate sono quelle che più appaiono in contrasto con la riforma del titolo V della Costituzione; in particolare, con i commi 2 e 6 dell'articolo 14 del disegno di legge finanziaria, apparentemente si proroga la previsione contenuta nell'articolo 39 della legge finanziaria del 1998; la sua riproposizione ed accentuazione non è coerente con le nuove disposizioni dell'articolo 117, comma 2, lettera g) della Costituzione. L'articolo 17 del disegno di legge finanziaria prevede, inoltre, che l'intervento normativo dello Stato in materia di servizi pubblici, se non è finalizzato a garantire la tutela della concorrenza, ai sensi del nuovo articolo 117, comma 3, della Costutuzione, dovrebbe essere oggetto di legislazione concorrente e, quindi, avere ad oggetto le grandi reti di trasporto e quindi ambiti del tutto diversi rispetto ai servizi pubblici di rilevanza locale di esclusiva potestà legislativa regionale.
Siamo di fronte, dunque, ad una manovra che contiene profonde iniquità, che privilegia chi già possiede, e, cosa ancor più grave, preannuncia, per conto d'alcuni suoi ministri, un'idea corporativa del mondo del lavoro, che punta alla frammentazione della rappresentanza per affermare un'idea diversa...
PRESIDENTE. Onorevole Amici...
SESA AMICI. ...della concertazione, che verrebbe sostituita dal dialogo sociale, che altro non significa che imposizione di parametri dettati non dalla solidarietà, ma dalla parcellazione atomistica della società.
Ben altra idea ci ha spinto nel processo di stabilizzazione economica e finanziaria avviato a partire dagli anni novanta. Le manovre di risanamento dei conti pubblici approvate in quegli anni hanno creato le condizioni per una crescita duratura ed hanno previsto anche interventi sulla domanda.
Alle proposte emendative che abbiamo presentato e che presenteremo in Assemblea è sottesa un'altra idea di società, di economia, di sviluppo di rapporti con le classi dirigenti di questo paese. Continueremo la nostra azione, consci di avere un'idea di riformismo che non ci limitiamo a declamare: su di essa collochiamo i fondamenti del nostro blocco sociale e costruiamo le premesse per tornare ad essere una forza di Governo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Blasi. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO BLASI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, una delle critiche prevalenti che la sinistra italiana muove alla manovra in esame è la presunta fragilità delle scelte del Governo sul Mezzogiorno. Ebbene, la sconfitta dell'intervento straordinario e della centralità della spesa pubblica come motore dell'economia del sud (proposte, negli scorsi decenni, proprio dalla sinistra italiana) impone, a nostro avviso, un nuovo approccio alla cosiddetta questione meridionale.
Quello che proponiamo è esattamente un nuovo meridionalismo, un progetto di democrazia economica e sociale per il sud, a partire da un'applicazione temperata del concetto di liberalismo. Se dovessimo scegliere uno slogan per il nostro rinnovato impegno meridionalista, potremmo adottare il seguente: «liberi di investire, liberi di crescere» (liberi di credere in se stessi e di investire sulle proprie idee utilizzando le proprie potenzialità e tutte le risorse endogene). Questo nuovo protagonismo si innesta sul rapporto virtuoso tra il DPEF ed i provvedimenti dei cosiddetti cento giorni, il disegno di legge finanziaria in discussione e le nuove politiche locali che stanno emergendo. È dunque il caso di approfondire brevemente le interconnessioni tra i diversi provvedimenti approvati negli ultimi mesi e le opportunità che il sud potrà cogliere per il suo definitivo riscatto.
Il primo punto da porre in risalto è costituito dalla flessibilità del mercato del lavoro: bisogna avvicinare il forte bisogno di lavoro presente nel Mezzogiorno alle esigenze delle più moderne imprese. Il secondo punto concerne l'emersione del sommerso, una delle prime scelte del Governo Berlusconi: moltissime piccole aziende, infatti, avevano preferito il lavoro nero alle difficoltà di un sistema troppo rigido ed avaro. La terza importante decisione ha riguardato gli investimenti a sostegno delle imprese. Non possiamo non osservare come l'impresa meridionale debba essere stimolata, promossa, rafforzata. Per questo abbiamo chiesto al viceministro Micciché, durante la sua audizione in Commissione, di esperire ogni utile tentativo per reperire le risorse necessarie ad un cumulo delle misure previste dalla Tremonti-bis con il credito di imposta per il Mezzogiorno.
Gli anni 2002 e 2003 rappresenteranno lo spazio per l'accelerazione dello sviluppo del sud, poiché il PIL si spingerà verso picchi positivi molto alti. L'avere introdotto nel maxiemendamento approvato Commissione - a proposito, desidero ringraziare per l'ottimo lavoro svolto il relatore Gianfranco Conte - l'aspetto della cumulabilità del credito di imposta, con riferimento alle aziende che investono in ricerca e sviluppo, ci appare un segnale forte e rassicurante circa la volontà del Governo.
Il quarto intervento che segnalo concerne l'infrastrutturazione del paese. Il progetto Lunardi si manifesta come una necessità inderogabile e la scelta di indirizzare i maggiori sforzi economici - il 52 per cento dell'investimento complessivo - a favore dell'infrastrutturazione del sud credo sia ineccepibile.
Vorrei dedicare, però, una brevissima riflessione ad una risorsa strategica per lo sviluppo del Mezzogiorno: l'acqua. Il processo di desertificazione in atto, dovuto alle prolungate siccità, rende non rinviabile un complesso progetto di ottimizzazione nella captazione e nella distribuzione della risorsa idrica.
A corredo della cosiddetta legge Lunardi, il forte dibattito dei giorni scorsi in Commissione bilancio ci ha consentito di sensibilizzare il Governo, che ne ha condiviso l'inserimento nella finanziaria, su alcuni altri temi che riguardano il sud, che qui richiamo solamente: la continuità territoriale per la Sicilia, la riqualificazione delle aree urbane minori e la loro coesione socioeconomica, il sostegno all'agricoltura delle aree interne, la definizione di un progetto innovativo proprio per la distribuzione della risorsa idrica, il sostegno all'editoria locale, con particolare riferimento alle piccole televisioni regionali, un finanziamento aggiuntivo di 20 mila euro per i piccoli comuni, il sostegno e la promozione delle isole minori, il mantenimento di impegni risarcitori come completamento della ricostruzione delle aree terremotate della mia Basilicata e della Campania, l'utilizzo degli ammortizzatori sociali per le aree di crisi, un'attenzione al precariato, molto diffuso soprattutto nella pubblica amministrazione meridionale. Su ciascuno di questi punti ritroviamo oggi in finanziaria un preciso impegno. La quinta questione riguarda l'utilizzo sinergico delle risorse europee del quadro comunitario di sostegno e il principio della interregionalità e della qualificazione della spesa. Un'ulteriore proposta aggiuntiva si sostanzia negli accordi di cooperazione pubblico-privato tra aree forti ed aree deboli del paese. Lo sviluppo del Mezzogiorno non potrà, infine, prescindere dall'innovazione del terziario, soprattutto dei servizi reali alle imprese, e da una più moderna concezione della formazione professionale.
Siamo, in conclusione, moderatamente ottimisti, nella convinzione che il sud possa farcela, una volta superata la fase della programmazione documentale ed inefficace, nella quale certi disegni erano troppo lontani dal territorio concreto e dunque, come poi è accaduto, destinati a restare inevasi o votati al fallimento. Monta, oggi, invece, una sequela di progetti più miti, di attenzioni più marcate alla griglia, di soluzioni volte ad evitare grandi scompensi di imprese concepite sul metro di risorse e soggetti locali. Del resto, non piccola parte delle nostre idee, tutte le nostre energie politiche di questi anni, la nostra stessa passione regionalista e meridionalista, fondando sui pretesti del territorio, delle risorse endogene, dell'ambiente e dei beni culturali locali, consentono di tracciare meglio il filo delle radici e di abbracciare il senso dello spazio che si vive in comune. Il nuovo meridionalismo qui proposto porta ad un ultimo nodo, che è poi quello cruciale, a quel piano convergente in cui si riconducono ad unum tanto la definizione culturale del mezzogiorno quanto la sua nuova espressione in termini amministrativi. È il nodo della nuova politica, delle classi dirigenti locali con la loro natura, con le loro aggregazioni, con la loro forza egemonica, con l'ampiezza delle loro visioni, con la loro legittimazione interna ed esterna, come dire - Presidente, ho finito, sono tre righe, mi consenta di leggerle - che i programmi e le buone intenzioni non potranno bastarci se noi meridionali per primi, necessariamente da soli, questa volta da soli, non innescheremo un definitivo processo di cambiamento culturale. Per tutte queste ragioni, desidero ringraziare il Governo Berlusconi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.
PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, questa legge finanziaria è criticabile sotto molti punti di vista, nel suo impianto generale e nei suoi singoli provvedimenti.
In primo luogo, le previsioni sul tasso di crescita del PIL restano sostanzialmente ancorate a quelle del DPEF; di fronte ad una previsione del Governo del 2,3 per cento per il 2002, non c'è nessun istituto di previsione che preveda un incremento del PIL superiore al 2 per cento. È vero che le previsioni sono difficili e più che mai aleatorie, è vero che c'è un ampio margine di variazione - si va dall'1,1 della Banca d'Italia all'1,9 della Confindustria e all'1,4 del Fondo monetario internazionale - ma, appunto per questo, bisognerebbe mantenersi prudenti. Il Governo, invece,
collocandosi al di sopra della fascia alta della previsioni, fa correre al paese il serio rischio di sgradite sorprese, che potrebbero far saltare il patto di stabilità o costringere ad una manovra straordinaria.
In secondo luogo, manca, nella finanziaria, una vera e propria manovra di politica economica, che sarebbe necessaria per fronteggiare i nuovi scenari dell'economia internazionale dopo l'11 settembre. Questa circostanza pesa anche sulla politica verso le aree depresse.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno la politica economica che emerge dalla finanziaria, come da altri vostri provvedimenti, è ben al di sotto di ciò che sarebbe necessario per affrontare i problemi reali del paese. Avete abbandonato ogni velleità sul Mezzogiorno come motore del nuovo miracolo economico (secondo l'espressione del DPEF) e, superata quella retorica, l'arida prosa della legge finanziaria parla un altro linguaggio: parla di una riduzione di risorse rispetto alla finanziaria del 2001, pari a più di tre miliardi di euro; parla di uno slittamento di risorse dal 2002 al 2004-2005 per quasi tre miliardi di euro e parla di programmazione negoziata abbandonata a se stessa. Un prosciugamento immediato di risorse che è esattamente il contrario di ciò che serve alle imprese delle aree depresse che devono fronteggiare ora, non fra due anni, la nuova situazione dell'economia internazionale e che devono cogliere, ora, le opportunità offerte dal mercato europeo.
Le politiche di sviluppo per le aree depresse portate avanti con gli strumenti della programmazione negoziata hanno rotto il vecchio meridionalismo assistenzialista, hanno prodotto importanti risultati nel Mezzogiorno in termini di riduzione del tasso di disoccupazione e un tasso di aumento del PIL superiore, negli ultimi anni, al tasso medio nazionale. Tali risultati sono stati ottenuti con il pieno coinvolgimento delle regioni e con un rapporto equilibrato tra i compiti del mercato e i compiti della pubblica amministrazione. Interrompere questa politica significa bloccare un processo che è in corso e che, per esprimersi in tutte le sue potenzialità, non deve essere interrotto. Bloccarlo equivale a compromettere anche i risultati fin qui ottenuti, che sono importanti ma certo non sufficienti. E poi l'assenza, da parte della maggioranza e del Governo, di riflessioni e di decisioni intorno alla programmazione negoziata denota una grave sottovalutazione della potenzialità di quegli strumenti e anche della necessità, certamente, di apportarvi correzioni opportune alla luce dell'esperienza maturata. Altro che motore dello sviluppo! Il motore è spento e lo avete spento voi. Ce n'è abbastanza per comporre un quadro preoccupante delle vostre intenzioni verso il Mezzogiorno continentale ed insulare. L'impressione è che a strumenti organici e generali di intervento vogliate sostituire interventi settoriali e frammentari; emerge, insomma, in modo ancora confuso e non esplicito, è vero, un nuovo modello di politica verso il Mezzogiorno; tuttavia, sfortunatamente, questo nuovo modello ricalca un'esperienza antica: si tratta di un modello in cui lo Stato centrale e la classe politica meridionale diventano attori di un processo di mero spostamento di risorse in cui la classe politica meridionale viene ridotta, quasi derubricata da protagonista delle scelte per lo sviluppo ad un ruolo di mediazione nel reperimento e nella distribuzione delle risorse. Questo modello ha funzionato nel dopoguerra ma è destinato a fallire nelle nuove condizioni del mercato europeo, perché l'avvento della moneta unica e la fine della protezione assicurata dai tassi di cambio comportano che le imprese del centro nord debbano misurarsi sul mercato con le altre imprese europee e non possano più guardare al Mezzogiorno come ad un comodo mercato di sbocco alimentato dai trasferimenti dello Stato. Ciò significa che l'equilibrio del dopoguerra è saltato e che il Mezzogiorno non ha bisogno di semplici trasferimenti di risorse che alimentano la domanda, bensì di essere messo in grado, anch'esso, di confrontarsi sul mercato attraverso interventi a sostegno dell'attività produttiva per rimuovere le diseconomie effettivamente esistenti, che ostacolano la nascita e la
diffusione di un tessuto imprenditoriale vivace e dinamico. Ha bisogno, insomma, della strumentazione e della programmazione negoziata che deve essere certamente affinata, ma non può essere abbandonata.
Nella legge finanziaria è poi trattato il problema dei bassi redditi, ma in modo improprio ed insufficiente. In Italia esiste un problema di equità, nei diritti e nei redditi: per quanto riguarda i diritti, vi apprestate, con l'attacco all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ad allargare la platea dei cittadini che hanno diritti affievoliti; per quanto riguarda i redditi, nella legge finanziaria affrontate tale problema con due strumenti, l'aumento delle pensioni minime e la detrazione d'imposta per i figli a carico. In questo modo intercettate solo una parte delle famiglie e delle persone povere, escludendo le famiglie povere senza figli, gli incapienti, e, per quanto riguarda le pensioni, milioni di cittadini che, naturalmente, non rientreranno nei parametri che dovrete fissare per restare all'interno del tetto dei 4 mila 200 miliardi di lire. La nostra critica non riguarda il fatto che non fate tutto e subito: non è questo il punto e non è questo ciò che chiediamo. Proponiamo certamente che la platea di coloro che usufruiranno dei provvedimenti venga ampliata, ma è il vostro punto di vista che è improprio e limitativo. Vi sono persone e famiglie che vivono sotto la soglia di povertà: ebbene, si dovrebbe affrontare tale problema in modo organico e, in quanto tale, con la gradualità necessaria e con il punto di vista appropriato, non parcellizzandolo, dividendolo e rivolgendosi solo verso pensionati e famiglie con determinate caratteristiche.
Questa vostra legge finanziaria, dunque, è la prosecuzione logica di un ciclo legislativo iniziato con le cosiddette leggi dei cento giorni, un insieme di provvedimenti fondato su previsioni azzardate, su un ottimismo di maniera, mentre in Italia vi è ancora il problema di misurarsi duramente con il risanamento della finanza pubblica e con il controllo delle variabili macroeconomiche, cioè di continuare l'opera che il centrosinistra ha svolto nella passata legislatura.
Avete messo in piedi un'unica manovra degna di questo nome, cioè la cosiddetta legge Tremonti-bis, che, però, non funziona per il semplice fatto che la fase ciclica è cambiata. Perciò vi ritrovate, e ci ritroviamo, con una manovra irrimediabilmente datata...
PRESIDENTE. Onorevole Maurandi, la invito a concludere.
PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, sto per concludere. Ci ritroviamo con una manovra irrimediabilmente datata e con un Governo che si ostina a non fare i conti con una situazione economica che richiede interventi di stimolo della domanda piuttosto che di sostegno degli investimenti. Avete varato un complesso di misure a vantaggio di pochi che, unito a posizioni scandalose come quelle sul mandato di cattura europeo, porterà a rompere la solidarietà con l'Europa, necessaria sul piano economico e per la lotta contro il terrorismo.
Infine, volete approvare con la legge finanziaria misure di equità ridotta: negate a molti, soprattutto se si considerano la vastità dei problemi e, soprattutto, i regali che avete fatto a pochi con leggi inique, come la soppressione dell'imposta di successione sui grandi patrimoni ed il condono tombale per il rientro dei capitali dall'estero. Ecco, onorevole relatore, la finanziaria senz'anima e, aggiungerei, anche con poco cervello. Insomma, una legge finanziaria che non solo non risolve, ma che proprio non affronta i problemi essenziali del paese, una finanziaria inadeguata e non all'altezza delle esigenze e dei bisogni dell'Italia di oggi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare onorevole Leo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi,
la manovra finanziaria per l'anno 2002 completa il ciclo degli interventi congiunturali che hanno avuto inizio con i provvedimenti dei cento giorni, in particolare con la legge Tremonti-bis e con un altro provvedimento di estremo interesse, quale, appunto, il provvedimento per il rientro dei capitali dall'estero. Molto si è detto sulla legge Tremonti-bis, molto si è detto sul provvedimento per il rientro dei capitali dall'estero, però va sicuramente considerato che attraverso queste misure vi è stato un sicuro ed effettivo rilancio degli investimenti, con effetti positivi sulla crescita del prodotto interno lordo. Dobbiamo tener presente che il provvedimento Tremonti-bis risolve un problema che nel corso del tempo si era presentato, quello cioè della carenza degli investimenti.
Sia i provvedimenti DIT sia la cosiddetta legge Visco non andavano in questo senso, perché concedevano le agevolazioni alle imprese solo qualora le stesse si capitalizzassero. È un fatto conosciuto da tutti gli economisti che la prevalente parte delle imprese nazionali ha difficoltà a capitalizzarsi: basti pensare alle imprese di modeste dimensioni, alle imprese individuali e alle società di persone, che per poter fruire delle agevolazioni della legge Visco e delle agevolazioni DIT necessitavano di livelli di patrimonializzazione che si attestassero intorno ai 212-220 milioni. Pertanto, in mancanza di tali presupposti, le piccole e medie imprese italiane non hanno potuto sfruttare provvedimenti che non andavano sicuramente nella loro direzione.
Il pregio della legge Tremonti è stato proprio quello di favorire le imprese che effettuano investimenti, indipendentemente da come gli investimenti stessi vengono eseguiti, attraverso capitale di rischio o attraverso capitale di debito; in entrambi i casi, l'impresa viene ad essere favorita sul versante della minore tassazione del reddito.
A ciò si aggiunga anche la normativa sul rientro dei capitali dall'estero. A tal proposito molto si è detto: si è parlato di condono e di sanatoria, ma va considerato che il provvedimento adottato dal Governo Berlusconi era prevalentemente mirato a far rientrare in Italia capitali che erano fuggiti dall'Italia per una serie di circostanze e di fattori. Non dobbiamo coprirci gli occhi: la situazione dei capitali esportati all'estero é correlata anche alla pressione fiscale eccessivamente elevata e al fatto che non vi era una situazione di stabilità del Governo che consentisse alle imprese e ai contribuenti di trovare le condizioni ottimali per far rientrare i capitali in Italia. Ora queste condizioni vi sono e tali capitali possono riaffluire nel nostro territorio. Al riguardo, vi sono indicazioni molto lusinghiere che derivano dalla stampa specializzata. Mi riferisco agli interventi dei giorni scorsi su Il Sole 24 Ore, in cui si è affermato che esiste un costante interesse da parte degli operatori a far ritornare tali capitali in Italia. Non parliamo di condono perché, in realtà, i capitali situati all'estero difficilmente avrebbero formato oggetto di accertamento da parte degli organi dell'amministrazione finanziaria. Infatti - come molti sanno - costituire una disponibilità all'estero è frutto di operazioni sofisticate, quali l'esterovestizione, le sovrafatturazioni o le sottofatturazioni, operazioni che, nella maggior parte dei casi, sfuggono al controllo dell'amministrazione finanziaria. Pertanto, accanto a queste misure che riteniamo riuscite, quali la detassazione prevista dalla legge Tremonti e il rientro dei capitali dall'estero, la legge finanziaria contiene una serie di disposizioni volte al rilancio dei consumi. Ne è un esempio la rimodulazione delle detrazioni per i figli a carico ed il provvedimento che attiene alla proroga, per tutto l'anno 2002, della disciplina delle ristrutturazioni per il comparto immobiliare. Tali misure sono immediamente dirette al rilancio dei consumi. Pertanto, nella manovra che il Governo Berlusconi sta articolando, mentre in una prima fase sono stati rilanciati gli investimenti, in una seconda fase si è prestata attenzione e una cura particolare al rilancio dei consumi, tenuto anche conto dei tragici eventi dell'11 settembre.
La legge finanziaria, dopo l'esame effettuato dalla Commissione bilancio, risulta
rafforzata anche nei saldi. Da questo punto di vista, fattivo e concreto é stato l'apporto che Alleanza nazionale ha potuto fornire al relatore e al Governo nell'individuare una serie di misure che generassero ulteriore gettito a favore dell'adozione di provvedimenti quale quello relativo alla stabilizzazione, per tutto l'anno 2002, della detrazione del 36 per cento. Mi riferisco alle misure che attengono alla privatizzazione degli immobili da parte delle imprese individuali ed a tutta un'altra serie di misure, quali l'assoggettamento ad imposta sostitutiva dei conferimenti relativi alle operazioni di ristrutturazione aziendale.
Attraverso tali misure si sono trovate le risorse ed i fondi per consentire la stabilizzazione di norme, quali quella del 36 per cento, che danno sicuramente un sollievo all'economia e rilanciano i consumi. In sede di dibattito parlamentare si potranno introdurre altre disposizioni che rappresenteranno il ponte tra l'assetto congiunturale e quello strutturale che vedremo non appena saranno definitivamente varati i provvedimenti di riordino del sistema fiscale, della previdenza e così via.
Alcune «misure ponte» potranno essere introdotte già da questa legge finanziaria: mi riferisco all'assetto organico che può essere dato ai meccanismi di tassazione delle imprese agricole. Si è detto che per le imprese agricole non era stato adottato nulla di concreto ed efficace. Già in sede di esame del provvedimento da parte della Commissione bilancio si è inserita una disposizione volta a consentire la proroga di un anno del regime speciale dell'IVA per gli imprenditori agricoli. Anche per quanto riguarda l'IRAP si è stabilizzato, per l'anno 2002, il meccanismo di prelievo fissando l'aliquota al 2,1 per cento. Penso che nel dibattito in aula, se vi saranno i presupposti, si potrà intervenire in modo stabile per questi soggetti. Si potrà, quindi, al pari di quanto avviene in altri paesi dell'Unione europea (mi riferisco, in particolare, alla Francia ed alla Germania), stabilizzare il regime speciale dell'IVA in agricoltura trovando le coperture all'interno dello stesso meccanismo di applicazione del regime speciale, vale a dire applicando, in modo graduato, attento ed assennato, le cosiddette percentuali di compensazione.
La stessa cosa potrà farsi ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive. La vera pecca di questo tributo è la complessità. Oggi nessuno è in grado di dire come si determini, in modo analitico, l'imposta regionale sull'attività produttiva: troppo capriccioso è il gettito, troppo strano è il meccanismo di determinazione dell'imponibile. Si dovrà andare ad un assestamento della base imponibile dell'IRAP analogo a quello che avviene per le imposte sui redditi e non costruire una base imponibile su valori di bilancio. Per le imprese agricole si potrà semplificare e razionalizzare la base imponibile dell'IRAP consentendo la deduzione di alcune componenti specifiche di questo particolare comparto (mi riferisco ai contributi ai consorzi di bonifica ed all'ICI). Penso e spero che nel dibattito in aula si possano affrontare tali questioni.
Allo stesso modo spero si possa affrontare un'altra questione di notevole interesse: la questione della disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative. È stato consegnato a questo Governo ed a questa maggioranza un assetto delle collaborazioni coordinate e continuative a dir poco confuso. Non si sa più come si determini la base imponibile per i lavoratori cosiddetti parasubordinati o per gli amministratori ed i sindaci di società. Bisognerà dare - ritengo che la sede più idonea sia proprio la legge finanziaria - un assetto organico a tale materia separando le attività dei parasubordinati e lasciandole nell'ambito dei redditi assimilati al lavoro dipendente. I compensi degli amministratori e dei sindaci potranno, invece, essere ricondotti alla disciplina dei redditi da lavoro autonomo laddove tali attività vengano svolte da esercenti arti e professioni.
Adottando tali misure, che potrei definire ponte tra la fase congiunturale e la fase strutturale, sicuramente porremo le basi per un diverso rapporto tra fisco e
contribuenti, rapporto sul quale il Governo di centrodestra ha fondato parte della sua campagna elettorale e nel quale tutti quanti noi crediamo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrelli. Ne ha facoltà.
LUIGI BORRELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge finanziaria, posto all'esame del Parlamento dal Governo Berlusconi, è decisamente deludente rispetto alle roboanti promesse che il centrodestra aveva fatto durante la campagna elettorale.
Stimare nel 2002 la crescita del PIL al 2,3 per cento, in controcorrente rispetto a qualsiasi altra previsione di carattere nazionale ed internazionale, costituisce un travisamento della realtà, una sorta di falso in bilancio, i cui costi saranno a carico degli italiani: non ci vuole molta fantasia per capire che solo alterando i dati della crescita si riesce a nascondere che i cardini della manovra economica di questo Governo sono privi di reale copertura finanziaria.
Tutta la vicenda dell'extradeficit del 2001, inventata di sana pianta dal ministro Tremonti, altro non è che la cortina fumogena messa in campo per confondere e giustificare una finanziaria come quella al nostro esame: qualsiasi carenza di previsione od insufficienza viene ricondotta al fatto che il centrosinistra ha lasciato in eredità un buco che rende impossibile fare di più e diversamente. Infatti, per venire agli aspetti che intendo trattare in questo intervento, nella sua relazione in Commissione agricoltura il relatore, per giustificare il fatto che - cito testualmente - «Il disegno di legge finanziaria 2002-2004 non include rilevanti norme dispositive per il settore agricolo», ha fatto riferimento ad argomentazioni simili a quelle appena citate.
Egli doveva pur trovare una giustificazione per nascondere che, effettuando il confronto fra le cifre previste per il settore agricolo dalla finanziaria 2002 rispetto al bilancio assestato al 2001, risultano ben 745 miliardi in meno. Dunque, dalla finanziaria 2002 emerge un settore agricolo che viene considerato marginale dal centrodestra, privato di risorse che, invece, il centrosinistra era riuscito negli anni scorsi addirittura a far lievitare, e che, fino ad ora, non ha avuto dal Governo e dall'attuale maggioranza alcuna attenzione.
La legge Tremonti-bis ignora il settore agricolo e per tutti gli altri riesce a fare miracoli, consentendo la detrazione perfino delle spese di acquisto di generi e servizi che nulla hanno a che fare con la produzione della ricchezza; tuttavia, per l'agricoltura e gli agricoltori, non c'è spazio e alcuna attenzione.
Rispetto ai tagli di spesa, ancora più grave è l'assoluta mancanza di un'idea progettuale e il palpabile arretramento che traspare da questa finanziaria, paragonandola a quanto era stato fatto negli anni del centrosinistra per costruire una politica agroalimentare.
Quegli anni sono stati caratterizzati da un recupero del ruolo dell'agricoltura in Italia, con una produzione legislativa, quantitativa e qualitativa, superiore a qualsiasi altro periodo della nostra storia recente. La corposa attività messa in atto dal centrosinistra rimane, oggi, senza seguito e tutto ciò si deduce dalla lettura della legge finanziaria e dai provvedimenti finora attuati dal Governo Berlusconi.
Se si esclude la conversione in legge del decreto-legge sulla BSE, fino ad ora, l'unico provvedimento relativo all'agricoltura discusso da questo Parlamento ha riguardato l'AGEA; anche in questo caso, il provvedimento che si è voluto adottare con decreto-legge non aveva alcuna urgenza e non era utile all'agricoltura, ma serviva soltanto al centrodestra per poter commissariare l'ente e sostituire il consiglio di amministrazione con uomini di fiducia: dunque, fino ad oggi, il settore agricolo è entrato nella politica di questo Governo solo per ragioni di distribuzione di posti di sottogoverno.
Eppure, le aspettative del mondo agricolo sono tante e motivate. Le organizzazioni agricole professionali, che abbiamo
avuto modo di ascoltare in Commissione agricoltura nel corso di audizioni durante l'estate, avevano posto all'attenzione del Parlamento e del Governo un insieme di questioni: dalle misure per lo sviluppo e l'ammodernamento a quelle del decentramento amministrativo e dello snellimento burocratico, dalle questioni del fisco alle politiche del lavoro e alla previdenza.
A tutt'oggi, non vi è alcuna risposta e questa finanziaria non crea, certamente, i presupposti per fornirne.
Per concludere il mio intervento, desidero utilizzare il tempo residuo per accennare a due aspetti dello stesso problema, che ritengo fondamentale per la nostra agricoltura e che voglio porre all'attenzione dell'Assemblea: quello della competitività delle aziende agricole. Si tratta di una questione decisiva per l'Italia, un campo che richiede un forte impegno e molto lavoro.
Le nostre imprese, infatti, sono costrette a misurarsi, da una parte con aziende che operano in sistemi nazionali e che esprimono forti capacità di innovazione e di presenza sui mercati, dall'altra con aziende che operano in paesi che consentono minori costi, derivanti da standard sociali e costi di sistema notevolmente più bassi.
La nostra impresa agricola ha, poi, gravi handicap, costituiti dalle piccole dimensioni, dalla ridotta capitalizzazione, dalla grande difficoltà di accesso al mercato dei capitali e, quindi, è spesso incapace di far fronte al costo dell'innovazione. Per la nostra impresa agricola è indispensabile riuscire ad armonizzare i propri fattori di costo con quelli dei maggiori paesi competitori.
Le aziende italiane non possono continuare a convivere con una fiscalità fatta di provvedimenti tampone, senza sapere se il regime speciale dell'IVA o dell'IRAP agevolato siano da contrattare di anno in anno. È, invece, necessario realizzare una riforma strutturale della fiscalità, che dia base di certezza e divenga un'opportunità per la crescita e non una penalizzazione.
Occorre mettere mano, con urgenza, al problema della ricomposizione fondiaria e dell'ampliamento della superficie aziendale, ad esempio, usando la leva fiscale per sostenere appositi programmi finalizzati all'ampliamento della maglia poderale, anche attraverso la fluidificazione del mercato degli affitti.
Purtroppo, di tutto ciò nella legge finanziaria per il 2002, presentata dal Governo Berlusconi, non vi è traccia e noi intendiamo rimarcare, con forza, l'inadeguatezza di tale legge.
Abbiamo presentato molti emendamenti per correggere, almeno in parte, la finanziaria con riferimento al settore agricolo. La maggioranza ha impedito, in Commissione, l'accoglimento delle proposte migliorative che, tuttavia, ripresentiamo all'attenzione dell'Assemblea. Vi sono emendamenti che cercano di sostenere le imprese, con l'estensione degli sgravi per i lavoratori assunti per più di 150 giornate e per aiutare i giovani imprenditori che si insediano. Mi auguro che l'Assemblea possa destinare a tali proposte emendative maggiore attenzione di quella che è stata loro riservata durante l'esame in Commissione.
L'altro aspetto, relativo al problema della competitività, riguarda il fatto che la capacità competitiva delle imprese non dipende solo dalla loro efficienza, ma da fattori di sistema; cioè, dal modo in cui è organizzato e funziona il paese. Tra questi fattori, certamente hanno carattere fondamentale la dotazione infrastrutturale e l'organizzazione della logistica.
Le imprese agricole sono, per loro natura, decentrate rispetto ai poli industriali e ai grandi mercati e le reti di trasporto costituiscono un «collo di bottiglia» per questo tipo di imprese, specialmente quando devono essere movimentati prodotti deperibili, come l'ortofrutta o altri prodotti che, comunque, hanno necessità di garantire la tenuta della catena del freddo.
La catena produttiva e distributiva ha sempre più la necessità di avere una gestione globale dei flussi, sia fisici sia informativi, per ottimizzare l'afflusso dei prodotti alle destinazioni volute.
In buona sostanza, ciò che desidero porre all'attenzione del Parlamento è che, per rilanciare la competitività del sistema agroalimentare, con speciale riguardo a quello dell'ortofrutta, occorre varare uno stralcio del piano generale dei trasporti e della logistica, anche attraverso specifici progetti territoriali di logistica, che aiutino a superare le deficienze sopra ricordate, mediante un concreto indirizzo verso la multimedialità (trasporto su gomma, treno, via navigabile) e una maggiore confrontabilità dei mezzi di trasporto, con conseguente riduzione della concorrenza tra gli stessi e la valorizzazione delle piattaforme logistiche disponibili, spesso, sottoutilizzate.
Su tali aspetti occorre, da parte del Governo e della maggioranza, un'attenzione che fino ad ora non si è percepita affatto.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, concludendo questo mio intervento, devo manifestare tutta la mia insoddisfazione per la legge finanziaria presentata dal Governo Berlusconi, sia per la sua impostazione generale sia per le gravi dimenticanze che contiene.
Vorrei, da ultimo, fare l'esempio della mia regione, l'Abruzzo, che è stata la prima ad uscire dall'obiettivo 1, ma che ha ancora bisogno di accompagnamento sul piano delle politiche nazionali. Ebbene, mentre il centrosinistra, fino alla finanziaria del 2001, ha riservato all'Abruzzo lo stesso trattamento previsto per le regioni meridionali, questa legge finanziaria, all'articolo 34, ha previsto sgravi contributivi per le regioni meridionali e per altri territori anche più a nord dell'Abruzzo, ignorando quest'ultima regione, che corre il rischio di non riuscire a mantenere le posizioni che ha faticosamente raggiunto.
Si tratta di una scelta punitiva e incomprensibile che il centrodestra opera nei confronti di una regione laboriosa - e concludo, signor Presidente -, in modo esattamente opposto a quanto fatto dal centrosinistra.
Riproporremo le nostre proposte di modifica all'attenzione dell'Assemblea, sperando in un ripensamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signori rappresentanti del Governo, la vostra finanziaria fa il paio degnamente con le micidiali scelte antisociali, antidemocratiche e anticivili che la vostra maggioranza parlamentare ha adottato in questi mesi e con i collegati alla finanziaria già pronti, come quello sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, relativo alla giusta causa nei licenziamenti. Si tratta di un articolo che intendete togliere di mezzo, in quanto fa da residuo ingombro allo strapotere dell'impresa.
La vostra finanziaria fa il paio, degnamente, con gli altri collegati da voi annunciati sullo stato sociale e sulla riforma fiscale, con i quali volete definitivamente ridurre il problema del welfare ad una dimensione puramente caritatevole, enfatizzando, conseguentemente, il ruolo sussidiario, privato e domestico della famiglia nell'assicurare cura e servizi alla persona: gli esiti saranno pesantissimi per la parte femminile della società. Tuttavia, nella vostra cultura, famiglia e donna sono la stessa cosa ed è per voi del tutto naturale che le donne si occupino della famiglia e dei compiti domestici. Pertanto, è prevedibile che la parte femminile della società, che ancora subisce il peso e le discriminazioni del doppio lavoro, sempre più lo subirà, nell'assenza di un sistema di Stato sociale degno di questo nome e nella dismissione di tutto ciò che è dello Stato e dell'apparato pubblico.
Il nostro dissenso, per tutti questi motivi, non potrebbe essere più netto e radicale. Ma non è soltanto su questi aspetti, per noi pure così importanti, che vogliamo concentrare la nostra critica e la nostra opposizione in Parlamento e nel paese. Vogliamo dire, innanzitutto, che la vostra è proprio una finanziaria di guerra: e non parlo soltanto di guerra fredda, ma di guerra vera, come hanno detto innumerevoli voci di pacifisti, di donne e di uomini che in questi mesi di guerra hanno speso
una parte del loro tempo a suscitare clamori di popolo ed azioni di pace contro i bombardamenti e contro l'inaudita violenza militare che gli Stati Uniti ed i loro alleati - e il nostro paese, purtroppo, è tra questi - hanno scatenato contro l'Afghanistan.
La vostra è una finanziaria di guerra non soltanto perché prevede un incremento delle spese militari - e trattandosi di uno dei pochi incrementi di spesa, ciò rappresenta un indicatore estremamente importante della logica che sottende le vostre scelte -, ma anche perché è segnata da un contesto di legittimazione della guerra, da una dinamica, prodotta ad arte, di assuefazione alla guerra. La vostra finanziaria, perciò, fa il paio con la sciagurata adesione alla guerra, approvata da questo Parlamento l'8 novembre; fa il paio con il finanziamento della missione bellica in Afghanistan e con l'avventura della squadra navale italiana spedita a partecipare alle operazioni di guerra contro il terrorismo o contro il regime dei taliban o contro gli amici sostenitori di Osama Bin Laden in giro per il mondo: scegliete un po' voi. Oltretutto, la squadra navale italiana è stata inopinatamente trasferita sotto il comando americano. Lo ripeto: sotto il comando americano. C'è da restare interdetti per il risvolto preso dalla vicenda militare e per l'improvvisa dismissione di sovranità nazionale da parte del nostro paese: ciò sarebbe grottesco, se già non fosse tragico, perché così intrinsecamente connesso alla guerra. Siamo in attesa di sapere come stiano effettivamente le cose. Siamo in attesa di sapere come e perché le navi siano passate sotto il comando americano: si tratta di una portaerei, di una nave appoggio e di due fregate, il fior fiore della flotta militare italiana. E ci chiediamo per quanto tempo ciò debba avvenire, con quali regole, a quali condizioni e con quali spese aggiuntive per il bilancio del nostro paese.
Stiamo perseguendo un Risiko made in USA a mappa variabile che individua il nemico, di volta in volta, secondo il calcolo del comando strategico del Pentagono e che, dopo l'Afghanistan, punta le armi contro un paese dissanguato come la Somalia e contro un paese massacrato da dieci anni di embargo come l'Iraq. Ci chiediamo quali altre spese aggiuntive tutto questo comporterà. Oltretutto, le spese militari sicuramente sono già superiori rispetto a quanto risulta dai dati ufficiali della manovra finanziaria: una volta di più, sono escluse numerose voci, come le missioni militari all'estero che, soltanto in minima parte, sono previste a carico del bilancio del Ministero della difesa e che vengono finanziate con leggi speciali o con fondi tratti da altri ministeri. E ancora, sappiamo che il bilancio del Ministero della difesa non include neanche tutti i costi sostenuti per l'acquisto di armamenti che, spesso, sono finanziati attraverso il bilancio del Ministero dell'industria.
La fluidità degli obiettivi che sono in gioco in questa guerra non è senza ragione. Essa permette di mantenere in vigore quella logica di guerra costituente che si è affermata nel mondo dopo la guerra nei Balcani, che continua a riscrivere le Costituzioni europee, a modificare in itinere il diritto internazionale, a partire dai superiori interessi strategici degli Stati Uniti, e può convertirsi in ogni momento nell'arbitrio di una nuova guerra contro il paese che gli Stati Uniti decidano di colpire. La vostra finanziaria di guerra è perciò rivelatrice di una più generale idea della società e del mondo contro cui noi ci opponiamo e ci opporremo strenuamente. Essa ci parla di quella catastrofe dell'intelligenza sociale e del linguaggio del diritto internazionale, che rendono oggi possibile accettare in questo Parlamento l'idea che le controversie internazionali possono essere risolte con le cannoniere, i diritti umani difesi con i bombardamenti, il terrorismo snidato con la guerra globale: enduring freedom, ovvero guerra infinita come Bush ogni giorno ripete; la libertà e la guerra sono ormai la stessa cosa.
Dunque, come si fa a parlare di spese per la difesa? Comincia anche da qui quella catastrofe del linguaggio che legittima la guerra. Difesa è una parola nobile, iscritta in una grande Costituzione democratica,
come quella italiana del 1948, che quando parlava di difesa intendeva proprio questo e non invece invasioni di campo, protettorato o guerra contro altri paesi, come fate voi quando parlate di nuovo concetto di difesa e invece dovreste avere il coraggio di dire «rinnovata idea della guerra». Ma non siete soltanto voi, signori della maggioranza, responsabili della guerra. Il voto è stato quasi unanime, lo sappiamo bene, ma alla pattuglia di parlamentari del «no» alla guerra fa riscontro una grande parte dell'opinione pubblica del nostro paese contraria o fortemente dubbiosa sulla validità della scelta bellica per gli obiettivi che si dice di voler perseguire, cioè la lotta al terrorismo.
Allora, la critica alla finanziaria è anche l'occasione che vogliamo cogliere per un richiamo all'opposizione di centrosinistra affinché ripensi al suo voto di guerra e rimetta seriamente in discussione quella vocazione bipartisan su un terreno, come quello bellico, che rischia di vanificare ogni possibilità di costruire una reale opposizione alternativa alla maggioranza di centrodestra: chiediamo al centrosinistra di smetterla di competere con voi su chi è più bravo a immaginare scenari militari che abbiano al centro l'Europa e il modello europeo di nuova difesa e di un nuovo esercito. La guerra oggi è soltanto quella made in USA, violenta, sanguinosa, foriera di altri disastri, fuori da ogni legittimità assicurata dal diritto internazionale, da ogni trattato, convenzione o regolazione minimamente decente dei conflitti. Cosa vi dice l'eccidio di Mazar-i-Sharif? Non parla alla vostra coscienza di occidentali? Bisognerà chiamarlo un disastro infinito, che rischia di alimentare e legittimare all'infinito il terrorismo: non ci stancheremo di ripeterlo.
Dire «no» all'aumento delle spese destinate alla difesa nel disegno di legge finanziaria è dunque per noi il primo segnale che possiamo lanciare per obbligare tutti noi a ridiscutere seriamente del malefico vaso di Pandora che il voto dell'8 novembre ha scoperchiato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nieddu. Ne ha facoltà.
GONARIO NIEDDU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra le domande che ricorrono nel dibattito, prima nelle Commissioni, e a partire da oggi in aula, vi è quella se questo disegno di legge finanziaria, con i provvedimenti che l'hanno accompagnato e preceduto, favorisca o meno lo sviluppo, se sia o meno a favore del sistema delle piccole imprese. Sono un artigiano, quindi, posso darvi la mia opinione su questi temi.
Negli ultimi anni ho discusso della finanziaria al tavolo della concertazione tra Governo e parti sociali. L'ho fatto in difesa e in rappresentanza di un settore storicamente poco difeso e poco tutelato, nonostante la sua consistenza numerica, il suo peso nell'economia del paese, il suo ruolo sociale: basti pensare al numero degli addetti; ovviamente, sto parlando di artigianato e di piccola impresa.
Qui, dai banchi del Parlamento, voglio continuare a farlo, non solo perché sono un artigiano, ma perché sono fortemente convinto della straordinaria potenzialità di questo sistema imprenditoriale, unico al mondo e invidiato da molti altri paesi. Sono convinto che una credibile ripresa dello sviluppo del nostro paese passi attraverso un reale consolidamento di questo sistema imprenditoriale, una diversa utilizzazione della capacità produttiva, una maggiore valorizzazione della qualità, una maggiore difesa dei prodotti tipici italiani, una reale considerazione del valore formativo storicamente espresso da questo mondo.
Considerato attraverso queste convinzioni, l'operato del Governo, in questi primi mesi, suscita notevole preoccupazione. È altresì preoccupante il silenzio e l'attesa di parti importanti del sistema della rappresentanza del mondo del lavoro autonomo. Siamo in presenza di un costante e progressivo abbandono di regole e legalità. Così facendo, si rischia di far tornare l'Italia indietro di molti anni, con notevoli ripercussioni sulla crescita e sullo sviluppo del nostro paese. Si mina la
credibilità dei mercati finanziari interni e delle imprese italiane, con evidenti ripercussioni sull'export e sulla capacità di attrarre investimenti esteri nel nostro paese. Si vanifica il percorso di risanamento economico costato notevoli sacrifici anche al sistema imprenditoriale, avviato in questi anni con una attenta politica del centrosinistra nei rapporti con il contribuente, che ha portato ad un aumento della fedeltà fiscale, consentendo di avviare un percorso di riduzione della pressione senza diminuire le entrate. Dilagano l'improvvisazione ed il pressappochismo; un esempio per tutti: si ripropone dopo sette anni la legge Tremonti senza tenere conto che il contesto è notevolmente cambiato rispetto al 1994. Si sopprime una serie di provvedimenti che hanno rappresentato un'importante novità a supporto degli investimenti in questi ultimi anni. È lecito domandarsi il perché, così come occorre domandarsi che fine abbia fatto quel contratto con gli italiani sbandierato in campagna elettorale che, non nascondo, ha prodotto non poche aspettative all'interno di questo settore, almeno nelle persone che ci sono cascate, e voi sapete che non sono poche. Che fine hanno fatto il programma di riduzione della pressione fiscale, il supporto agli investimenti per la ricerca e formazione, il cosiddetto «miracolo economico»? Presentate al paese una finanziaria non coerente con quegli impegni, non coerente con il documento di programmazione economico-finanziaria.
È una legge finanziaria inadeguata a sostenere lo sviluppo perché manca di interventi necessari alla tutela degli investimenti e dei consumi interni. Una legge finanziaria che non tiene conto di una situazione notevolmente cambiata, caratterizzata da un quadro di incertezza aggravato dalla situazione internazionale attuale. Una legge finanziaria che, a fronte di uscite certe, con previsioni spesso ottimistiche sotto il profilo del loro contenimento, è accompagnata da aspettative irrealistiche sul versante delle entrate, basate su una percentuale di tasso di crescita al quale non credete più nemmeno voi e, sicuramente, non rispondente alle proiezioni internazionali. La legge finanziaria dà inoltre aspettative di entrate irrealizzabili, almeno nella misura annunciata. Anche qui faccio un esempio accompagnato da una considerazione; per quanto riguarda il sommerso o l'emersione - chiamiamolo come vogliamo - vi è una sottovalutazione e si nutrono troppe aspettative al riguardo; non sui numeri e sulla gravità del problema, ma sulle ragioni del fenomeno e, quando è insufficiente la diagnosi, non può essere adeguata la cura.
Sono tante le ragioni che concorrono a creare questa condizione; ci sono vari tipi di sommerso, varie realtà territoriali e culturali del fenomeno; il sommerso talvolta è una scelta spesso, molto spesso, una condizione, qualche volta un'imposizione dell'impresa capofila abituata a scaricare su altri i propri problemi. Vi sono aree del nostro paese dove è divenuto normale che intere filiere produttive operino in condizione di illegalità. Si emerge, se vi è un reale interesse ad emergere. A me pare che le cose che voi dite non creino questo interesse ad emergere. Si emerge, se si abbassa a sufficienza il livello dell'acqua. Serve una terapia di aggressione del fenomeno, con una tempistica che non può essere di breve durata.
Una volta fuori dall'illegalità, occorre una serie di provvedimenti tesi a sanare non solo la realtà consolidata, ma anche a consentire una condizione programmata di sopravvivenza. Tuttavia - è questa la considerazione cui facevo riferimento - non si arresta alcun fenomeno se non si interrompe e non si mette sotto controllo il canale che l'alimenta.
Trovo sbagliato non aver affrontato in questo disegno di legge finanziaria un tema sul quale, negli ultimi anni, si era concentrata una certa attenzione, con qualche primo, seppur modesto, risultato. Mi riferisco a quel tipo di attività dei piccoli artigiani, commercianti, lavoratori autonomi e così via - le cosiddette attività marginali - per le quali è necessario il riconoscimento di un particolare regime fiscale, sia per gli aspetti contabili sia per quelli di imposizione fiscale vera e propria.
Stiamo parlando di oltre due milioni di soggetti, presenti prevalentemente nelle aree più disagiate del paese.
Anche in merito a ciò, voglio portare all'attenzione dei colleghi un esempio con qualche dato relativo ad una regione a me molto cara: la Sardegna, dove le attività marginali ed il disagio territoriale sono largamente presenti.
Nel periodo 1992-2000, le imprese che si sono cancellate dall'albo sono state circa 21 mila e 300, il 55 per cento delle imprese iscritte all'albo in quell'isola. Da un'indagine compiuta, risulta che solo il 20 per cento di queste cancellazioni sia riferibile a cessazioni di attività, al pensionamento o al cambio di attività, autonoma o dipendente che sia. In pratica, la stragrande maggioranza di queste imprese, che hanno ufficialmente cessato la propria attività imprenditoriale, la proseguono di fatto, immettendosi nel lavoro sommerso, nel lavoro abusivo e nero, nella illegalità. Questi sono dati - come indicano le statistiche - abbastanza simili in tutto il Mezzogiorno e costituiscono di fatto il principale canale di alimentazione del sommerso, a cui vanno aggiunti i dati del resto d'Italia; altro che migliaia di miliardi di entrate! Si rischia l'opposto, se non si sta attenti su tali questioni.
Come si può parlare di competitività del sistema Italia e di sviluppo senza sanare squilibri, senza offrire a tutti pari opportunità, senza tenere conto della complessità e della diversità del sistema stesso?
Si abbandonano strumenti importanti e positivi come la programmazione negoziata, il prestito d'onore, si riducono le risorse per le aree depresse, non si finanziano gli investimenti e il credito di imposta forse il più potente degli strumenti che il Mezzogiorno abbia avuto a disposizione, in cambio non si capisce bene di cosa. Se a ciò aggiungiamo i tagli ai vari fondi di supporto allo sviluppo, dalla ricerca all'Artigiancassa, il quadro è completo. Per voi, parlare di impresa significa parlare di quel 2 per cento delle imprese italiane sopra i 200 addetti...
PRESIDENTE. Onorevole Nieddu!
GONARIO NIEDDU. ...ma le imprese in Italia - e concludo - sono cinque milioni e seicentomila. Altro che attenzione ai piccoli, a cui si aggiungono altre 6 milioni di partite IVA, spesso giovani con un sogno, con tanti problemi, ma con il diritto di provarci!
Infine, un'ultima battuta sulle attese riforme e le deleghe al Governo. Sulla riforma del fisco e della previdenza del mercato del lavoro non conosciamo le reali idee del Governo, ammesso che vi siano. Al di là della strumentale anticipazione di stampa, non vi nascondo la mia curiosa attesa. Queste sono alcune delle ragioni per le quali mi preoccupano il vostro operare ed alcuni eccessivi silenzi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patria. Ne ha facoltà.
RENZO PATRIA. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, si dice che dall'11 settembre il mondo è profondamente cambiato; è vero e la prima conseguenza è di natura strettamente economica. Oggi, gli effetti internazionali, ai fini di una possibile ripresa dell'economia nazionale, pesano di più. Se in precedenza, infatti, si poteva pensare ad una sorta di gioco di sponda con i paesi ancora in fase espansiva, sfruttando al meglio la peculiarità del sistema produttivo italiano, oggi questo gioco è molto difficile. I ritmi di crescita del commercio mondiale si sono enormemente ridotti, la concorrenza è divenuta agguerrita ed il possibile traino da parte dell'esportazione, quel fenomeno che ha consentito all'Italia di espandersi nella prima metà dell'anno, è venuto meno. Questo vuoto - come suggerito dall'opposizione, ma su tale aspetto tornerò in seguito - potrebbe essere compensato da un rilancio dei consumi interni, ma una simile indicazione, pur giusta nella sua genericità, va ulteriormente qualificata. Infatti, è evidente che una ripresa dei consumi interni diventa
economicamente sostenibile solo se l'offerta interna aumenta in modo corrispondente, il che può verificarsi soltanto se un'industria nazionale del terziario è competitiva.
Se quest'ultima condizione non si verifica, ogni aumento di domanda interna è destinato a tradursi in un aumento delle importazioni e, quindi, in un peggioramento della bilancia dei pagamenti. Questo del resto è quanto è avvenuto nella seconda metà degli anni novanta: non si dimentichi che nel 1995, dopo la svalutazione della lira avvenuta nel 1993, l'attivo valutario era pari a circa il 3-4 per cento del prodotto interno lordo.
Oggi la bilancia dei pagamenti si trova invece in un precario equilibrio. Questi fenomeni saranno esasperati dall'introduzione dell'euro. Il periodico The Economist della scorsa settimana, in un inserto dedicato a questo evento, metteva in evidenza le spinte che la nuova moneta è destinata a determinare nelle economie dei singoli paesi. Purtroppo l'Italia ha molto da perdere e poco da guadagnare, se non adeguerà le proprie strutture produttive a questa nuova realtà del mercato.
In questi ultimi anni la sua produzione ha subìto un progressivo effetto di spiazzamento nel mercato aperto, dove si registrano continue perdite di posizione. Della nuova sincronia ciclica è tuttavia necessario cogliere non soltanto gli aspetti economici perché quelli politici sono addirittura più importanti. L'uniformità degli andamenti congiunturali produce un effetto omologante costringendo i principali paesi occidentali a muoversi all'unisono nel solco di un identico tracciato. La standardizzazione del ciclo renderà pertanto ancor più evidente eventuali anomalie, vale a dire scostamenti rispetto alla media che difficilmente potranno essere giustificati. Questa complessa situazione - lo ha ricordato l'onorevole Gianfranco Conte -, spiega la prudenza con cui i paesi che si trovano in condizioni finanziarie precarie, come la Germania, la Francia e il Portogallo, trattano i temi connessi al patto di stabilità. La sua non rispondenza all'evoluzione congiunturale alimenta richieste inespresse di deroga, alle quali l'Italia può almeno in parte sottrarsi, avendo alle spalle quel ciclo elettorale che invece è destinato a condizionare fortemente le politiche degli altri paesi.
L'Italia per la prima volta dopo molti anni può, quindi, godere di una posizione migliore. I suoi squilibri finanziari ovviamente permangono, ma il giudizio relativo è meno severo rispetto all'esperienza del passato. Se si analizza non tanto la grande stampa internazionale, sempre troppo partecipe al gioco interno, quanto le valutazioni dei principali organismi internazionali, si colgono alcuni importanti cambiamenti. Il giudizio sul passato, anche recente, rimane ovviamente fortemente critico. Sia il Fondo monetario internazionale che l'OCSE non fanno altro che ricordare come durante tutti gli anni novanta, l'evoluzione della situazione italiana sia stata caratterizzata da forti anomalie, che così possono essere riassunte: un basso tasso di sviluppo; una differenza fra sviluppo potenziale e sviluppo effettivo fra le più elevate di tutto il continente; un tasso di disoccupazione secondo soltanto alla Spagna; un equilibrio finanziario che resta fragile ed un apparato amministrativo pietrificato.
Dato il permanere di queste situazioni, si poteva pertanto attendere un giudizio negativo, nel solco delle passate esperienze, onorevole Morgando. Invece non è stato così! Importanti passi in avanti, si legge in un recente documento del Fondo monetario internazionale, sono stati fatti dal Governo nei primi cento giorni, nonostante si siano verificate circostanze difficili e assolutamente imprevedibili. Sono parole del Fondo monetario internazionale!
Alle prese con una prova caratterizzata da una crescita più lenta e da una spesa pubblica in parte fuori controllo, il Governo, nei primi mesi del suo incarico, fra i provvedimenti presi con immediatezza, ha conseguito l'obiettivo di un'importante riforma nel finanziamento della sanità, raggiungendo l'accordo con le regioni ed avviando il necessario dibattito sulla riforma del sistema pensionistico. Il problema
del previsto deficit di bilancio per il 2001 è inoltre stato gestito con abilità, abbassando il livello di indebitamento previsto e portandolo in linea con l'indicazione del programma di stabilità, nonostante le difficoltà incontrate nella compressione delle spese e la minore crescita.
L'analisi del Fondo monetario internazionale coglie con lucidità l'essenza della manovra del bilancio per il 2002 ed esprime, senza pregiudizi, le valutazioni che abbiamo riportato e rappresentano l'avallo ai tentativi del Governo. Come spiegare quindi un simile cambiamento di rotta, confermato da valutazioni più o meno analoghe di altri organismi internazionali, quali l'OCSE e la Commissione europea? A nostro avviso, questo cambiamento di prospettiva rappresenta un fatto importante.
L'Europa, e con essa i principali centri di analisi economica, hanno compreso che l'Italia ha finalmente archiviato ogni ipotesi di terza via. Oggi si assiste ad una grande riconciliazione perché l'Italia parla lo stesso linguaggio, quello della modernità, dell'analisi oggettiva, delle strategie economiche basate su tecniche consolidate e non su spirito di avventura.
Questo è probabilmente il contributo più importante che l'attuale Governo ha dato al paese. Contributo che sarà tanto maggiore se sugli elementi costitutivi di questa impostazione converrà anche, con i propri tempi, la stessa opposizione.
Devo purtroppo constatare che, almeno a quanto ho avuto modo di vedere, la cosiddetta controfinanziaria redatta dall'opposizione non sembra, almeno per il momento, rispondere a questi attributi. Le proposte dell'opposizione si concentrano, se ho ben capito, sui seguenti elementi: il rilancio dei consumi; la riduzione dell'aliquota IVA dal 10 per cento all'8 per cento; il ripristino della DIT e quello del credito di imposta; il trasferimento sociale a favore degli incapienti. Ciò comporterebbe, secondo i calcoli fatti, un pacchetto di misure pari a 18 mila miliardi, di cui 11 mila a favore delle famiglie e 7 mila a favore delle imprese del Mezzogiorno.
Come si può osservare, la linea è alternativa a quella proposta dal Governo: la maggioranza pensa che questi problemi possano essere risolti solo con una ripresa dello sviluppo; l'opposizione ritiene, invece, che sia necessario intervenire sui meccanismi della redistribuzione del reddito. «Un aumento sostanziale del ritmo di crescita di lungo periodo - scrive il Fondo monetario internazionale - in Italia è inesorabilmente legato al miglioramento della performance del mercato del lavoro».
Detto questo, non abbiamo molto da aggiungere. Ci limiteremo, pertanto, a richiamare il parere recentemente espresso dalla Commissione europea, per lasciare all'Assemblea il giudizio circa l'intima coerenza tra questa valutazione, il contenuto della legge finanziaria e le proposte dell'opposizione.
Signor Presidente, mi consenta ancora un secondo. Il testo della finanziaria, licenziato dalla Commissione bilancio, diretta con competenza e autorevolezza dal presidente Giancarlo Giorgetti, assistito in modo impareggiabile dallo staff della segreteria della Commissione stessa e dalla costante partecipazione del servizio bilancio del dipartimento bilancio e politica economica, è un testo migliorato rispetto a quello ricevuto. Basterebbe prendere visione del dossier sugli emendamenti approvati, predisposto in tempo reale dal servizio bilancio, per rendersi conto che importanti e meno importanti modifiche, introdotte su iniziativa dei deputati, del Governo e del relatore, hanno migliorato il testo pervenuto dal Senato.
All'onorevole Gianfranco Conte, che ha il merito di aver trovato, d'intesa con il Governo, la copertura delle nuove spese da tutti richiesta, mantenendo saldi i saldi, anzi, migliorandoli, va il mio ringraziamento affettuoso. L'onorevole Gianfranco Conte consenta ad un democristiano della prima ora, oggi suo collega azzurro, di dire che ho apprezzato la sua vocazione democristiana alla mediazione, in uno con la pazienza dimostrata verso i colleghi ed il Governo, pazienza degna di un cattolico praticante (Applausi del deputato Giancarlo Giorgetti).
PRESIDENTE. L'onorevole Giancarlo Giorgetti considererà il valore di questi apprezzamenti, cosa che non spetta alla Presidenza, anche se la Presidenza stessa sarebbe curiosa di conoscere come li riceva l'onorevole Giancarlo Giorgetti.
È iscritta a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
CARLA ROCCHI. Signor Presidente, nel mio intervento vorrei puntualizzare non le ragioni per cui l'opposizione non è ovviamente soddisfatta dal lavoro della maggioranza, perché questo è strutturale, quando in un Parlamento si confrontano due punti di vista diversi sulla gestione e sull'impostazione della politica economica dello Stato; vorrei mettere l'accento sulle contraddizioni abbastanza singolari che questa legge finanziaria presenta, non rispetto alle richieste dell'opposizione, ma rispetto alle enunciazioni preliminari della maggioranza medesima. Vorrei anche sottolineare, se ci riuscirò, quali sono le singolari procedure, tra il teatrale e qualche volta il surreale, che hanno accompagnato questo faticoso cammino.
Questo cammino è stato annunciato, già durante l'estate, da un colpo di scena: c'è o non c'è il buco nelle finanze pubbliche? C'è o non c'è il buco nei conti pubblici? Per risolvere questo dilemma, piuttosto serio e pesante, si è dato un forte impulso ad una sorta di roulette e la pallina è caduta nella casella del buco che non c'è. Probabilmente, guardando i conti, si sarebbe potuto avere lo stesso risultato; ma vogliamo mettere il brivido che c'è stato nel capire che il buco non c'era? Questo è stato l'anticipo, l'antefatto, l'introduzione.
Detto questo, vorrei prendere in considerazione soltanto due o tre punti, dal momento che il mio gruppo avrà la possibilità di soffermarsi sulle parti restanti della legge finanziaria. Per il tempo che ho a disposizione e per le cose che mi stanno maggiormente a cuore, cercherò di scegliere i punti più significativi.
Il Governo aveva annunciato che avrebbe svolto una forte politica di incentivazione e di sostegno alla ricerca. Noi, oggi, siamo in una condizione per cui - lo dicono i giornali, ammesso che essi abbiano notizie di un certo rilievo - vi sono istituti di cura e di ricerca di primaria importanza, nel nostro paese, che si trovano in condizione di difficoltà. Questa richiesta non era stata avanzata solo dall'opposizione, ma era un piccolo (ma non tanto piccolo) cavallo di battaglia della maggioranza. Si era parlato di scuola e ci era stato detto che la scuola avrebbe ricevuto un incremento di fondi. Invece, per bocca dello stesso Governo, nella persona di chi lo rappresenta per tematica, abbiamo saputo che i fondi non solo non saranno aumentati, ma saranno decurtati. Forse sarebbe più giusto dire il contrario: dai conti sappiamo che i fondi sono decurtati, dalla bocca del rappresentante del Governo per la materia abbiamo saputo che sono incrementati.
Anche questa è una singolare contraddizione che merita l'approfondimento del dato reale.
Per quanto riguarda i beni culturali, si tratta di un dato assoluto per il nostro paese. Viviamo in una condizione di privilegio; possediamo una grande ricchezza di beni culturali. Si è creduto che tale ricchezza, potenziata, potesse offrire la possibilità di un incremento economico e di lavoro per i giovani e per i cittadini di questo paese. Con qualche perplessità, scopriamo che il tipo di gestione proposta ci pone in uno stato di attesa. Come funzionerà un museo gestito integralmente da privati? Dove finiranno le nostre opere d'arte e per quanto tempo? Non arrivo a sostenere che saranno portate all'estero, che saranno alienate, ci mancherebbe! I pezzi buoni di famiglia, l'argenteria importante, saranno veduti in modo da ricavare denaro? I nostri musei saranno meno attrattivi perché le opere migliori si troveranno fuori dal territorio? Anche in questo caso, ad un annuncio non corrisponde una politica conseguente e coerente.
Per quanto riguarda, infine, le risorse, constatiamo che il Governo ottimisticamente prevede di ottenere notevoli risorse grazie alla legge, certamente non condivisa
dall'opposizione, sul rientro dei capitali. Tali risorse ci saranno? Non vorrei che anche quest'interrogativo venisse risolto con il sistema del «buco», in precedenza, ossia il sistema delle roulette. Speriamo che, anche in questo caso, la pallina cada nella sede giusta.
Infine, noto nella conduzione complessiva della finanziaria una sorta di regime dual band: si possono assumere, contemporaneamente, due atteggiamenti assolutamente contrapposti. Da una parte la maggioranza, pur basando gran parte del suo programma elettorale sulla devoluzione e sul decentramento, interviene in maniera molto netta e forte sulla gestione delle materie la cui competenza spetta ai comuni o agli enti locali, fornendo indicazioni sulle modalità di spesa e di utilizzo delle risorse ed immaginando di fornire direttive affinché ciò accada. Si tratta di una singolare procedura per garantire l'autonomia degli enti locali, per accompagnare un processo di crescita, fortemente invocato, in nome di una destatalizzazione fortissima e definitiva.
A questo punto, si potrebbe essere indotti a pensare: se lo Stato si prende cura del più piccolo degli oltre 8 mila comuni italiani, si prenderà conseguentemente cura di tutto. Invece, in questo disegno di legge finanziaria non v'è traccia di un problema che lo Stato dovrebbe assolutamente addossarsi, facendosi carico di tutte le correlate responsabilità: alludo a quanto è già accaduto e a quanto accadrà ancora a seguito degli eventi dell'11 settembre scorso. Diviene paradossale tanta incisività con riferimento agli affari del piccolo comune di fronte al fatto che, per altro verso, si tace (o, perlomeno, così appare dalla lettura degli atti) su cosa il paese si proponga di fare dopo un evento di importanza assolutamente mondiale, che avrebbe meritato, pertanto, una programmazione più chiara e più incisiva. Ma tant'è...
Questo disegno di legge finanziaria avrà pure una sua cifra culturale; personalmente, vi vedo principalmente una connotazione strutturale, strutturalista: non tanto per il modo in cui esso è costruito, ma per una dialettica di opposti - o meglio di contraddizioni - che, dal punto di vista dell'opposizione, ne fanno non un prodotto di pregio nella sostanza, ma una procedura certamente molto intrigante e nuova nella forma.
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la seduta di oggi.
Il seguito della discussione congiunta sulle linee generali è rinviato alla seduta di domani.
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