Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 523 del 7/10/2004
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(Esame dell'articolo 23 - A.C. 4862 ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 23 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 5).


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Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.

CARLO LEONI. Signor Presidente, stiamo affrontando uno dei capitoli più importanti più delicati della riforma costituzionale; è, quindi, giusto vi sia - mi permetto di asserirlo - un clima di attenzione e di ascolto delle posizioni che si stanno confrontando, anche perché, effettivamente, sono molto diverse. Sarebbe, altresì, importante che vi fosse un numero di parlamentari presenti degno dell'argomento che stiamo trattando.
Abbiamo ormai consolidato da molti anni, in Italia, la pratica del nuovo sistema politico; sin dalle novità introdotte con i referendum elettorali, con le elezioni dirette dei sindaci e dei presidenti delle province, con la nuova legge elettorale per il Parlamento della Repubblica. La lunga sperimentazione di questa pratica - ormai sono oltre dieci anni che i cittadini italiani sperimentano un nuovo sistema elettorale e conoscono un nuovo sistema politico - ha consolidato, non solo tra noi ma nella mente della maggioranza degli italiani, una serie di convinzioni. Ha permesso, inoltre, alla maggioranza dei cittadini di apprezzare alcune importanti novità.
La prima riguarda il potere - che effettivamente queste leggi elettorali (o, almeno, alcune di esse) conferiscono - di scegliere da chi essere governati. Non intendo dire da quale persona; intendo, piuttosto riferirmi ad un potere diretto di scegliere una coalizione ed un programma di Governo. In questo senso, d'altronde, è andata la storia di questi anni.
Faccio gli ultimi due esempi più significativi. La maggioranza degli elettori che nel 1996 votò per L'Ulivo lo fece non per scegliere una persona (in quel caso, Romano Prodi), ma per condividere un programma e un messaggio che parlava di unificazione europea, di europeizzazione dell'Italia e di tenuta della coesione sociale nel nostro paese, pur nell'ambito di un programma di governo fortemente innovativo. Allo stesso modo, chi nel 2001 optò per la Casa delle libertà votò non per scegliere una persona, vale a dire Silvio Berlusconi, ma perché, dal nostro punto di vista - lasciatemelo dire -, si lasciò convincere da una serie di promesse, poi non mantenute (ma ciò non conta nell'ambito di questo discorso), annunciate per l'appunto da Silvio Berlusconi e dalla Casa delle libertà.
Respingiamo, in altri termini, un'idea del bipolarismo, che troviamo anche abbastanza rozza, secondo la quale il primo ministro (o il candidato premier) è il dominus dell'intera situazione politica, mentre riteniamo opportuno, al contrario, che il perno di una democrazia dell'alternanza, come quella che stiamo sperimentando, sia la coalizione politica, che si presenta con un programma dinanzi agli elettori.
Tale convinzione ci induce a sostenere - e lo ribadiremo discutendo emendamento per emendamento - che non condividiamo, anzi respingiamo, qualsiasi forma e qualsiasi norma che dovessero introdurre strumenti di ricatto del premier nei confronti sia della maggioranza, sia del Parlamento, fino al punto di prevedere che tale potere di ricatto del primo ministro possa condurre ad un automatismo nello scioglimento della Camera dei deputati.
Se è così, vale a dire se il perno del sistema politico che prevede l'alternanza tra schieramenti contrapposti non è una persona, bensì una coalizione, incaricata di realizzare un programma, nel corso di una legislatura, potrebbe allora accadere che, proprio per poter realizzare meglio il programma con il quale ci si è presentati di fronte agli elettori, successivamente sottoposto alla Camera per il voto di fiducia iniziale, quella coalizione, divenuta successivamente maggioranza in Parlamento, decida di cambiare il primo ministro.
Ciò è coerente con un'idea della politica che non rimette nelle mani di una sola persona il destino di una coalizione o del paese. Vorrei rilevare che, nel corso della legislatura, una coalizione politica può decidere, come è già accaduto in altri paesi - al riguardo, vorrei rilevare che tutti hanno ricordato il caso della sostituzione della signora Thatcher con John Major -, di cambiare il Presidente del


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Consiglio: a nostro avviso, infatti, ciò che non va cambiato in corso di legislatura è la maggioranza politica. Sono altresì convinto che tale questione sia ormai entrata nella testa della maggioranza degli italiani: mi riferisco all'opposizione a cambiamenti di maggioranza nel corso di una legislatura, vale a dire a quelli che, in gergo giornalistico, vengono chiamati i «ribaltoni». Essi, infatti, non sono condivisi né dagli elettori di centrodestra, né da quelli di centrosinistra.
Un punto delicato, cari colleghi - e mi avvio a concludere -, è tuttavia rappresentato dal modo con cui intendiamo costruire una norma democratica che consenta di evitare che avvengano cambi di maggioranza, pur consentendo a tale maggioranza di scegliere un altro primo ministro nel corso della medesima legislatura. Vorrei precisare, al riguardo, che siamo contrari ad ogni forma di irrigidimento e ad ogni automatismo come quelli contenuti nel testo presentato dalla Casa delle libertà, poiché tali forme di irrigidimento e tali automatismi conducono a due conseguenze che riteniamo totalmente negative e pericolose.
La prima è costituita dal fatto che, in tal caso, si fuoriuscirebbe - anche se ci si può giurare il contrario - dalla forma di governo parlamentare, e si tratterebbe, a nostro avviso, di una scelta grave ed esiziale sia per il presente sia per il futuro del nostro paese.
La seconda conseguenza negativa sarebbe che, in tal modo, viene spogliato di tutte le funzioni significative il Presidente della Repubblica, al quale si può anche concedere - come fosse un contentino - un potere di nomina in più rispetto a quelli che aveva in precedenza, ma se viene spogliato di una funzione di garanzia come quella che deve svolgere il Capo dello Stato, davvero è privato di ogni potere significativo.
Da ciò deriva la nostra proposta, alternativa a quella avanzata dai colleghi della maggioranza, ossia che il Presidente della Repubblica non emani il decreto di scioglimento delle Camere - nel caso di sfiducia costruttiva, ad esempio - qualora verifichi che la nomina del primo ministro indicato nella mozione ed il voto della Camera sono coerenti con il risultato delle elezioni per la Camera dei deputati e con il programma della legislatura.
Confermiamo, cioè, con questo dispositivo, il principio secondo il quale la maggioranza scelta nel corso della campagna elettorale deve essere tale, e non deve cambiare nel corso della legislatura, e rifiutiamo qualsiasi automatismo che ci porti fuori dalla forma di governo parlamentare e che spogli il Capo dello Stato di funzioni essenziali. Si deve affidare allo stesso Capo dello Stato una valutazione non approssimativa, di generico rispetto del mandato elettorale, ma di coerenza tra la maggioranza parlamentare che esprime un nuovo primo ministro e quella emersa dal voto degli elettori. Si fissa, quindi, un ambito di valutazione chiaro, ma non spogliando il Presidente della Repubblica di compiti essenziali, che tali debbono rimanere.
Questa è la filosofia che ha accompagnato la proposizione, alternativa, da parte di gruppi dell'opposizione, al disegno proposto dai colleghi della Casa delle libertà, che rischia di farci uscire - e gravemente - da una forma di governo parlamentare. Ad esso contrapponiamo un'idea di completamento della transizione politica, con una stabilizzazione del sistema, che prevede l'alternanza tra schieramenti diversi, ma non l'affida ad una normativa rigida di automatismi, che comprometterebbe il sistema politico ed il suo carattere democratico, quale noi lo vogliamo costruire. È importante che vi sia quindi, e sia confermata, tale possibilità di alternativa tra schieramenti contrapposti, che sia imperniato su una coalizione - e non su una persona - il bipolarismo democratico italiano e che non siano consentiti indiscriminati cambi di maggioranza, ma che tale possibilità sia affidata alla valutazione del Presidente della Repubblica.
Questa è la filosofia che ha ispirato gli emendamenti dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ed il Governo a esprimere i pareri sulle proposte emendative presentate.

DONATO BRUNO, Relatore. Il parere della Commissione è contrario sugli identici emendamenti Mascia 23.1 e Boato 23.4. La Commissione esprime altresì parere contrario sugli emendamenti Zeller 23.70 e Leoni 23.5, mentre raccomanda l'approvazione del suo emendamento 23.250. Il parere è contrario sull'emendamento Bressa 23.73 e sui subemendamenti Bressa 0.23.200.2 e Mazzuca Poggiolini 0.23.200.1.
La Commissione invita i presentatori dell'emendamento Elio Vito 23.200 al ritiro, poiché il suo contenuto è recepito negli identici subemendamenti 0.28.200.255 e 0.28.200.256.
La Commissione esprime, inoltre, parere contrario sugli emendamenti Leoni 23.74, Taormina 23.71, Mantini 23.3 e sul subemendamento Boccia 0.23.201.2, mentre raccomanda l'approvazione del proprio subemendamento 0.23.201.25.
Il parere è contrario sul subemendamento Boccia 0.23.201.1. La Commissione raccomanda l'approvazione del suo subementamento 0.23.201.26 (Nuova formulazione) e esprime parere favorevole sull'emendamento Elio Vito 23.201, mentre esprime parere contrario sugli emendamenti Tabacci 23.75 e Perrotta 23.72.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione. Il parere del Governo è conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli identici emendamenti Mascia 23.1 e Boato 23.4.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Si tratta di un emendamento soppressivo che va ad intaccare l'articolo 88 della Costituzione relativo ai poteri di scioglimento delle Assemblee parlamentari da parte del Presidente della Repubblica. Lo scioglimento costituisce uno dei poteri di maggiore rilievo che il costituente ha attribuito al Presidente della Repubblica e ha naturalmente fondamentale importanza ai fini dell'esatta individuazione dell'attuale forma di governo parlamentare.
A noi è presente anche la grande delicatezza che riveste la valutazione dei presupposti che possono legittimare l'interruzione del mandato elettorale. Non è un caso che l'articolo 88 attualmente vigente prescriva che questo potere possa essere esercitato solo dopo che il Presidente della Repubblica ha consultato i Presidenti delle Camere. È evidente che i Presidenti delle Camere esprimono un parere non vincolante, ma certamente si tratta di un parere autorevolmente rappresentato.
Questo elemento di così grande rilevanza, invece, sparisce immediatamente nel primo comma di cui stiamo parlando. Viceversa, alla lettera a) si anticipa quanto incontreremo successivamente relativamente a ciò che possiamo chiamare premierato assoluto, non più come rafforzamento dei poteri del primo ministro, ma quale figura che forma l'attuale configurazione basata sugli equilibri tra i diversi poteri, intaccando dunque pesantemente la cultura dei contrappesi.
La combinazione automatica tra la sfiducia su un provvedimento e lo scioglimento delle Camere su richiesta del premier che, come si cita anche in questo articolo, si assume la responsabilità, produce, a nostro avviso, un ibrido anomalo estremamente pericoloso sia rispetto ai poteri del Presidente del Consiglio, che diventa primo ministro, sia rispetto al ridimensionamento dei poteri del Presidente della Repubblica.
Nello stesso articolo, in un comma successivo, si anticipa anche quanto andremo a verificare relativamente alla forma di governo. In particolare, si fa riferimento e si introduce una norma antiribaltone. Va da sé, dal nostro punto


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di vista, che la preoccupazione rispetto a queste norme non è tanto quella di mantenere una coerenza con la volontà espressa dall'elettorato, perché questo fatto può essere risolto - come faremo e lo dimostreremo - attraverso l'esperienza ormai consolidata, per esempio, della Germania (quella della sfiducia costruttiva). Qui, invece, si introducono degli irrigidimenti che sono stati sconsigliati e sono stati ritenuti assolutamente inopportuni da numerosissimi illustri costituzionalisti. Lo si fa per fino in un modo che presenta, a mio avviso, delle ulteriori difficili interpretazioni.
Mi richiamo, in particolare, alla parte in cui l'articolo fa riferimento ai deputati che dovrebbero, con appello nominale, dimostrare di appartenere alla maggioranza espressa nel momento delle elezioni per poter evitare che il Governo venga sciolto. È difficile stabilire qual è la maggioranza emersa dalle elezioni. Soprattutto è difficile dimostrare che un articolo di questo tipo non entri in collisione con l'articolo 67 della Costituzione, laddove si afferma che i deputati non hanno vincolo di mandato.
Dunque, credo che sia assolutamente necessario sopprimere l'intero articolo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, si tratta di uno dei punti più delicati e più importanti della riforma costituzionale: il potere di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Nella proposta della maggioranza si cerca di trasformare un potere rilevante del Presidente della Repubblica in un potere imbrigliato da una serie di regole e norme. Se leggiamo, infatti, il nuovo articolo 88 della Costituzione, come risulterebbe dall'approvazione degli emendamenti presentati dalla maggioranza, ci rendiamo conto che il potere del Presidente della Repubblica viene ad essere fortemente limitato.
Ciò avviene nell'illusione che, stabilendo alcune norme, si possano risolvere i problemi politici di fondo di un ordinamento. Si tratta di un'illusione perché non è attraverso le norme che si possono risolvere le crisi politiche di un sistema. Le norme servono per regolare rapporti di natura ben diversa da quelli di tipo politico. Il sistema politico deve reggersi su ben altre questioni di fondo che nessuna norma potrà mai disciplinare.
Detto ciò, in merito all'articolo 88 bisogna svolgere due considerazioni di fondo. In primo luogo, il Presidente della Repubblica in molti casi diventa semplicemente l'esecutore della volontà del primo ministro. Questo, francamente, ci sembra un ruolo sbagliato e non in linea con l'equilibrio dei poteri necessario in un ordinamento. In secondo luogo, troviamo particolarmente sbagliata la cosiddetta norma antiribaltone che sancisce il principio secondo cui esiste una maggioranza espressa dalle elezioni e che si può procedere alla sostituzione del primo ministro solo se ciò è l'espressione della suddetta maggioranza. Si tratta di un evidente errore perché non esiste nel nostro ordinamento una maggioranza espressa dalle elezioni. Innanzitutto, abbiamo più volte detto di non voler inserire nella Costituzione norme di carattere elettorale. Se leggiamo la Costituzione non c'è una norma che si riferisca ai sistemi elettorali; questa, invece, fa prefigurare un sistema elettorale. Inoltre, se facciamo riferimento all'attuale sistema, non esiste affatto una maggioranza elettorale, esiste semplicemente un'elezione da cui - oggi in via materiale, in futuro, se verranno approvate le vostre modifiche, espressamente - si trae l'indicazione del premier. Comunque, non sta scritto da nessuna parte che tale elezione porterà una maggioranza elettorale. Potrebbero esservi, ad esempio, più indicazioni di premier o una maggioranza non assoluta e, quindi, un Governo che viene espresso dall'Assemblea e non dal corpo elettorale. Questo è il nostro sistema, non ce ne sono altri. Non so se voi prefigurate altri sistemi, ma prevedere nella norma che scrivete tale espressione è


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certamente sbagliato e non so come potrete chiudere correttamente il sistema dei poteri.
Detto questo - peraltro abbiamo previsto un meccanismo completamente diverso, che spiegheremo quando esamineremo le nostre proposte -, ci preme sottolineare che sta avvenendo esattamente quello che avevamo previsto nell'esame dell'articolo precedente. La vostra intenzione è quella di togliere poteri reali al Presidente della Repubblica e vi preparate argomenti per negare questa circostanza, elencando i vari poteri che gli avete attribuito, che sono però di ben minore rilevanza. Questo ci sembra un argomento da usare in un'eventuale campagna pubblica, ma non ci sembra il metodo giusto per riformare la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Come hanno già detto i colleghi Leoni e Marone, questo articolo è il primo di una serie di norme, che rappresentano davvero il cuore malato della riforma. Sottrarre il potere di scioglimento della Camera al Presidente della Repubblica non è grave solo perché, come ha detto il collega Leoni, si spoglia di un potere importante e fondamentale il Presidente della Repubblica, ma perché quello che proponete rappresenta un unicum nel panorama del diritto costituzionale comparato contemporaneo. Voi, attraverso questo primo tassello dello scioglimento della Camera dei deputati, cominciate a costruire ciò che il professor Elia, con felicissima scelta di parole, ha definito premierato assoluto: una forma di governo atipica, contrastante con i principi del costituzionalismo, perché realizza una concentrazione di poteri senza precedenti in una sola persona, tale da far degenerare la stessa forma di Stato democratico rappresentativo.
Questo risultato si raggiunge rendendo ibridi istituti classici delle forme di governo parlamentare, quali il rapporto fiduciario e il potere di scioglimento della Camera politica, con le norme antiribaltone. Si va molto oltre il premierato inglese, con buona pace del Presidente Pera e di tutti quelli che amano citare Bill Emmott, a testimonianza della bontà della vostra proposta. Bill Emmott, questo singolare personaggio inglese, direttore di The Economist, che ha scritto uno dei libri più belli sulla democrazia inglese, più che citarlo a sproposito, bisognerebbe leggerlo. Se andiamo a leggere il suo libro, riusciamo a capire esattamente cosa sia il sistema inglese, che è completamente diverso da quello che ci state proponendo. Bill Emmott aveva in mente una forma di governo in cui l'elezione parlamentare del governo non era semplicemente un elemento del quadro complessivo, ma era il pilastro centrale dell'assetto istituzionale, la funzione principale della Camera. Cito testualmente da Bill Emmott: «Il Gabinetto è un comitato scelto per il governo della nazione, in base alla fiducia dell'Assemblea legislativa».
Nella vostra ipotesi, si va oltre il premierato inglese, perché il modello Westminster, essendo correlato al bipartitismo prevalente nella composizione della Camera dei comuni, prevede la responsabilità del premier nei confronti della sua maggioranza. Se ne perde il consenso, il primo ministro inglese non ha più il potere di proporre lo scioglimento della Camera alla Regina e deve dimettersi, come ci insegnano molti precedenti (è il caso di Eden, di Mac Millan e, da ultimo, della Thatcher). Ciò, per chiarire come la vostra proposta non abbia nulla a che vedere con il modello inglese; peraltro, neanche con il modello tedesco, dove, mancando il bipartitismo, si provvede con l'annuncio, prima delle elezioni, del candidato cancelliere e degli schieramenti di coalizione, che possono poi essere dissolti solo con lo strumento della sfiducia costruttiva (solo due casi in cinquant'anni di storia della Repubblica federale tedesca).
Se, dunque, il vostro modello non trova riscontro nelle più collaudate esperienze di governo parlamentare, è poi talmente


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bizzarro da offrire minori spazi dialettici e minori bilanciamenti, rispetto anche ad altre forme di governo, come il semipresidenzialismo francese, che non esclude l'ipotesi della coabitazione. Perfino il poco funzionale sistema israeliano, prima dell'ultima riforma, aveva un minore grado di automatismo nello scioglimento del Parlamento monocamerale ed inoltre manteneva l'elezione della Knesset con la proporzionale.
La forma presidenziale americana si fonda su una forte separazione strutturale tra Presidente, Congresso e giudici, governando un autentico bilanciamento tra i poteri. Nel governo direttoriale svizzero, oltre ai numerosi strumenti referendari, c'è la stabilità quadriennale predeterminata dal Consiglio federale.
A questo punto, è inutile proseguire in quanto, nel panorama costituzionale contemporaneo, non si riscontra un modello quale quello che state proponendo. Solo la vostra ossessione antiribaltone poteva costruire un modello così rigido, così infarcito di automatismi, tale da sottrarre il primo ministro ad ogni verifica da parte della sua maggioranza per cinque anni, attribuendogli sempre potere di vita o di morte sulla Camera politica.
Quando il relatore Bruno afferma che noi non capiamo che si sta cambiando sistema, rispondo che noi capiamo esattamente che stiamo cambiando sistema, ma si tratta di un sistema che non solo non ha precedenti, ma calpesta i più elementari principi del diritto costituzionale. E, più avanti, avremo modo di illustrarlo compiutamente.
Per questi motivi, evidentemente, esprimeremo un voto favorevole sugli emendamenti in esame (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Banti. Ne ha facoltà.

EGIDIO BANTI. Signor Presidente, il collega Bressa ha formulato esempi di carattere comparato sulle legislazioni e le Costituzioni vigenti in vari paesi dell'Europa e del mondo.
Vorrei svolgere un riferimento storico. Non ci sono precedenti di questa natura neanche nel periodo dello Statuto Albertino e nemmeno dopo l'entrata in vigore della legge del 1925 voluta dal Governo Mussolini sulle attribuzioni e prerogative del capo del Governo, primo ministro, segretario di Stato. Certamente, il Governo Mussolini non aveva bisogno del voto di fiducia delle Camere per andare avanti, ma non poteva permettersi di sciogliere le Camere senza una decisione discrezionale del Capo dello Stato che, in quel caso, era il Re d'Italia.
Del resto, qui viene messo in discussione il principio della divisione dei poteri. Se un incidente stradale con impedimento permanente del Presidente del Consiglio determina lo scioglimento dell'organo legislativo, cioè della Camera dei deputati, viene meno l'autonomia e la divisione dei poteri.
Evidentemente, si assiste ad una incidenza del potere esecutivo sul potere legislativo che grida vendetta rispetto ai principi fondamentali della rivoluzione francese. Quindi, invitiamo la maggioranza ad un ripensamento su tale punto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.

GABRIELE FRIGATO. Presidente, trovo particolarmente irrispettoso, anche nella formulazione, il testo di questo articolo 23, in quanto il Presidente della Repubblica viene declassato ad un ruolo di passacarte. D'altronde, il Capo dello Stato è chiamato soltanto a prendere atto di una decisione assunta da altri in tutta autonomia e con esclusiva responsabilità.
Ripensando anche alla discussione di ieri mattina, mi domando dove sia finita la centralità del Parlamento, dove sia stata nascosta la sua autonomia e dove possa essere rintracciato il ruolo di garanzia che il Presidente della Repubblica, in diverse occasioni, ha esercitato!
Affidare al Presidente del Consiglio lo scioglimento delle Camere porta ad uno


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sbilanciamento del nostro sistema, rendendolo privo di garanzie e avviato verso la china autoritaria.
Mi auguro che da parte di tutti vi sia un supplemento di riflessione ed anche un sussulto di autonomia. Lo dico ai colleghi dell'UDC che, nei mesi di giugno e luglio, hanno subito un clima particolarmente infuocato con critiche anche all'interno della maggioranza.
Mi pare che, tranne che per qualche aggiramento del Presidente del Consiglio e per qualche critica, sentita qualche volta e oggi soltanto un ricordo lontano, abbiamo la possibilità di mantenere al sistema politico italiano la centralità del Parlamento, senza affidare al capo del Governo, in maniera autonoma ed esclusiva, la possibilità di terminare le legislature.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, scriveva Hamilton come sia pericoloso che i rappresentanti del popolo si sentano di essere essi stessi il popolo. Ritengo, allora, che sia davvero pericoloso pensare che il Presidente del Consiglio mandi a casa il Parlamento.
Ritengo anche che in qualche modo abbiate la percezione di tale problema, in questa strana «involution» che state determinando, coinvolgendo il Presidente della Repubblica e Capo dello Stato in ruoli politici impropri, togliendogli invece gli strumenti di garanzia più classici del costituzionalismo e della storia costituzionale italiana.
Credo che avremo modo di riprendere puntualmente i vari temi, ma davvero vorrei chiedere all'onorevole Tabacci, attento partecipe e protagonista di questo dibattito, nonché ai colleghi del centrodestra che hanno a cuore la storia, la realtà e, spero, il futuro del parlamentarismo e dell'equilibrio dei poteri in Italia, di dire qualcosa.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, avevo chiesto la parola a prescindere dall'amabile invito dell'onorevole Mantini.
Sono fortemente critico nei confronti dell'impostazione dell'articolo 23 per due ordini di motivi, sui quali ritengo che anche i colleghi dell'opposizione vogliano riflettere.
Il primo motivo riguarda la previsione relativa allo scioglimento della Camera politica. Orbene, nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, questo marchingegno era già stato preventivato. Ciò vuol dire che la filosofia alla base del cosiddetto «sindaco d'Italia» viene da molto lontano e ha finito per provocare tutta una serie di elementi corrosivi, che colpiscono alla base l'istituto parlamentare.
Se i colleghi dell'opposizione non hanno contezza di questo, è inutile che discutiamo perché sembra che tale dibattito sia fatto quasi cadendo dalle nuvole. Ora, mi trovo in contrasto con questa impostazione «neo-presidenzialista» perché è chiaro che, non essendo né carne né pesce, mette in crisi l'esecutivo e anche la funzione parlamentare.
Allora, sarebbe meglio far riferimento al sistema all'americana, in cui esiste un Presidente eletto con poteri di governo, ma anche Camere non dissolvibili quando il Presidente immagina di dover imporre qualcosa che le stesse non intendono fare.
Vorrei richiamare alla vostra attenzione l'esperienza dei presidenti delle regioni, i cosiddetti «governatori», e dei consiglieri regionali. Sono, in piccolo, quello che dovremmo diventare noi tra qualche tempo. Si tratta di un'esperienza fortemente negativa; i consigli regionali non svolgono più la funzione legislativa. Chi svolge la funzione legislativa è il presidente della regione che, di fatto, esprime la giunta a sua immagine e somiglianza e, nel caso in cui il consiglio non si adegui all'impostazione del presidente, può scioglierlo. Quindi, riassume nella funzione di governo anche quella legislativa.
È questo quello che vogliamo diventare? Credo che in proposito non sia stata


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fatta una riflessione adeguata. Tra l'altro, ciò comporta una fortissima personalizzazione della politica. Vedete cosa sono diventati i governatori? Sono diventati qualcosa al di fuori della tradizione parlamentare italiana, quasi che i voti acquisiti di volta in volta fossero diventati personali. C'è qualcosa che non funziona. Su questo punto il mio dissenso è totale.
L'altro punto concerne la rigidità della procedura con cui la Camera può opporsi allo scioglimento. La previsione che la mozione in cui si indica il nome del nuovo primo ministro debba essere presentata da deputati della maggioranza in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera costituisce una scelta censurabile sotto diversi aspetti. In primo luogo, mi chiedo come l'onorevole Berlusconi avrebbe potuto costituire il Governo nel 1994: con questa procedura, sarebbe stato impossibile, poiché la maggioranza al Senato non c'era. Si vuole dunque inculcare una decisione che il paese non intende assumere? Se il paese non intende esprimere una maggioranza, cosa si fa? Si continua a sciogliere le Camere?
Si tratta di un meccanismo che sarebbe più semplice, e anche più tranquillizzante, definire presidenziale: sarebbe infatti netta la distinzione tra la funzione del parlamentare e quella del capo del Governo eletto direttamente dal popolo. Ritengo che si stia andando verso soluzioni che non hanno una ragionevolezza adeguata.
Gli amici e colleghi dell'UDC, che intendono introdurre un meccanismo di tipo proporzionale, come potrebbero innestarlo su questo assetto istituzionale? Il «Tatarellum» è un'altra cosa rispetto al sistema proporzionale, che induce una mobilitazione popolare e rafforza il significato dei partiti. Su tali punti, che ho già avuto occasione di richiamare, vi è dissenso totale.
Tuttavia, caro Bressa, l'opposizione che tu conduci si colloca interamente nell'ambito di questa logica, ed è dunque destituita di credibilità e di un respiro profondo: tu sei più bipolarista di quanto lo siano gli estensori del testo in esame, e dunque non credibile in un contesto di proiezione parlamentare! Da ciò il mio dissenso, che è profondo, ma anche lontano, lo dico con molta cordialità, dal modo in cui tu conduci l'opposizione: tu vuoi fare l'inglese, io vorrei continuare a restare un parlamentare italiano (Applausi di deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, stiamo certamente esaminando uno dei punti fondamentali del complesso progetto di riforma costituzionale in esame.
Come ho già avuto modo di affermare in questa sede, mentre ritengo che le norme sul Titolo V della Costituzione, sul cosiddetto federalismo, siano state il frutto di un'elaborazione sufficientemente adeguata, sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista tecnico, sul tema della forma di governo (e dunque del primo ministro e del Presidente della Repubblica) e del procedimento legislativo, che non a caso è stato accantonato, l'elaborazione politica e l'elaborazione tecnica non sono ancora, a mio avviso, pervenute ad una conclusione soddisfacente.
Mi limito pertanto ad annunziare, in linea generale, che non voterò a favore della formulazione proposta, pur con le modificazioni che verranno introdotte dalla maggioranza. Come ha sottolineato l'onorevole Tabacci, con un intervento che condivido, dobbiamo chiarire, sia nella maggioranza sia nell'opposizione, quale sistema politico intendiamo costruire.
Sono lieto che sia stato eliminato il «mostro» costituito dal capo dell'opposizione, che avevo concorso, insieme ad altri colleghi, a segnalare. Quel mostro era figlio di una volontà, presente nel nostro paese, di creare a tutti i costi un bipartitismo. Ho letto oggi una curiosa intervista dell'onorevole D'Alema, che, polemizzando con un altro esponente del suo


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schieramento, afferma: ha un residuo di proporzionalismo. A me sembra che tale esponente politico abbia più buonsenso dell'onorevole D'Alema. Il desiderio di collassare la vita politica di un paese in due schieramenti, l'uno di estrema destra e l'altro di estrema sinistra (o comunque costretti sempre a combattere), costituisce un errore profondo.
Nell'articolo 94 della Costituzione sarà inserita una norma che stabilisce, addirittura, che se il Presidente del Consiglio perde parte della sua maggioranza e la fiducia gli viene votata da una parte dell'opposizione, questo sarà motivo sufficiente per lo scioglimento delle Camere. Ma se nella Costituzione fosse prevalsa un norma simile, l'onorevole D'Alema, in occasione dell'intervento militare in Kosovo, invece di avere una maggioranza parlamentare che autorizzava l'invio dei militari nell'area, avrebbe visto sciolte le Camere proprio nel momento in cui parte della sua maggioranza votava contro la decisione del Governo e parte dell'opposizione votava a favore! Ma questa non è materia sulla quale il Parlamento italiano ha sviluppato una posizione matura.
Invito i colleghi della maggioranza a compiere uno sforzo nel tentativo di rinviare l'esame dei capitoli che riguardano la formazione delle leggi e la forma di Stato e di Governo. Non sono temi maturi nella coscienza di questo Parlamento e danno luogo ad una Costituzione difficilmente gestibile o difendibile. Se ciò non sarà possibile, evidentemente manifesterò la mia opinione sui singoli emendamenti ma certamente non potrò votare a favore di questo progetto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.

GERARDO BIANCO. Onorevoli colleghi, non devo spendere molte parole, perché le argomentazioni decisive sull'effetto dell'introduzione di questo tipo di premierato nel nostro sistema costituzionale e sullo stravolgimento che si determinerà sono state appena chiaramente espresse dall'onorevole Tabacci. Analoghe argomentazioni sono state positivamente esposte dall'onorevole La Malfa.
Desidero ricordare che nella Commissione bicamerale, allora presieduta dall'onorevole D'Alema, vi fu una specie di «operazione gioco», come ricorderà l'onorevole Tabacci. Si trattò di una sorta di colpo di mano, orchestrato dai rappresentanti della Lega, che ritenevano di dover rompere non si sa bene quale forma di solidarietà fra la minoranza e la maggioranza dell'epoca. Fu praticamente un colpo a dispetto. Oggi, invece, onorevole Bruno, questo atteggiamento diventa quasi la regola sulla quale dovrebbe essere organizzata la nostra Costituzione. Ma ciò non appartiene alla nostra tradizione.
Vorrei ricordare ai colleghi dell'UDC (che si richiamano alla tradizione democratico-cristiana, la nostra tradizione) che la soluzione del problema del governo del paese e di una maggiore efficienza furono posti sin dagli anni Settanta e giunsero a soluzione grazie ad una proposta di legge che, guarda caso, portava la firma dei parlamentari del 1992 e anche del collega Tabacci, al quale do atto della sua coerenza.
Aggiungo ancora una considerazione. Chi ha esperienza di rapporti con le autonomie locali (a livello puramente amministrativo) sa quali contrasti si determinino oggi tra i sindaci - ad elezione diretta - e i consigli comunali, ridotti sostanzialmente ad una sorta di parata.
Il problema si presenta anche nelle regioni. Se a livello amministrativo l'elezione diretta trova una sua giustificazione nell'esigenza di buona amministrazione e quindi di efficacia negli interventi per opere pubbliche o altre attività amministrative, il sistema andrebbe comunque rivisto in relazione (uso un'espressione piuttosto andante) alla riduzione di senso e significato dei consigli comunali o provinciali. La situazione diventa molto più grave laddove vi è un ruolo legislativo, come in occasione dell'elezione diretta dei presidenti delle regioni, autonominatisi governatori con una terminologia che


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chiarisce ampiamente il tipo di pretesa e di dominio all'interno del governo delle regioni stesse. Non è certo una bella dizione...
In ogni caso, il conflitto è aperto; molte volte diventa paralizzante e, comunque, non è certo il modo migliore per amministrare le regioni.
Questa disposizione, con tutto ciò che si collega a questa definizione del premier, aggrava la situazione. Paradossalmente, il Parlamento si troverà ad essere ancora più legato rispetto ai consigli regionali, ancora più immobilizzato: ecco perché dicevo ieri che il princìpio della rappresentanza senza mandato finirà per essere completamente annullato.
Ci si trova di fronte ad una paralisi, ad una situazione nella quale i parlamentari sono costretti esclusivamente a seguire gli indirizzi del Governo, riducendo qualsiasi funzione di carattere rappresentativo e anche legislativo. Allora, sarebbe stata più logica, come dicono peraltro i maggiori esperti politologi, a cominciare da Sartori, e sarebbe stata più netta e precisa, e direi anche per certi aspetti sperimentata,...

PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco...!

GERARDO BIANCO. ... una scelta come quella del semipresidenzialismo.
Presidente, credo che la sua comprensione per l'importanza di questo argomento possa consentire qualche secondo in più per il mio intervento.
Ebbene, concludo, visto che voglio stare nelle regole. Questa diventa una delle più grandi ferite, capovolge il senso della nostra Costituzione, che è basata nella sua architettura sulla rappresentanza parlamentare: è il ruolo del Parlamento! Ma c'è anche un grosso pericolo: l'esperienza francese. Leggiamo quello che stanno scrivendo in Francia, dove pure vi è un semipresidenzialismo ormai diventato costume del paese: tutti lamentano il rischio che viene a determinarsi, mancando la intermediazione di un rapporto diretto fra la rappresentanza, l'esecutivo e le folle.
Voi, con queste leggi, finirete per provocare, come unica risposta politica di opposizione, i girotondi, i movimenti di massa, perché quando viene meno la mediazione dei corpi intermedi, della rappresentanza, si stabilisce un rapporto diretto tra la popolazione ed il capo dell'esecutivo, con il rischio di veder decadere progressivamente la vita politica e la partecipazione alla stessa, che è un elemento fondamentale delle democrazie contemporanee!

CESARE RIZZI. Tempo...!

GERARDO BIANCO. Il declino è dietro alle spalle. Si sta assumendo una responsabilità pesante: ecco perché io continuo...

PRESIDENTE. Onorevole...!

GERARDO BIANCO. ...ad invitare ad una rimeditazione e ad una riflessione.
Già fu un grosso errore votare con legge costituzionale l'elezione del presidente delle regioni: fu un grosso errore! Allora io fui uno di quelli che si dichiarò contrario. Comunque, si dette la possibilità ai consigli regionali di adottare gli statuti speciali; mi pare che nessuno abbia avuto un momento di ravvedimento.
La situazione finirà per andare verso un tipo di presidenzialismo che ridurrà sempre di più gli spazi di politica e di intermediazione. Le società complesse hanno bisogno di una molteplicità di poteri di riferimento, di coordinamento e di riduzione ad unità del tutto...

CESARE RIZZI. Tempo...!

PRESIDENTE. Onorevole Bianco...!

GERARDO BIANCO. Ho finito, Presidente.
Con il presidenzialismo si annulla la stessa possibilità di creare una politica che sia autenticamente democratica e si marcia a tappe veloci, con la mediazione, verso il plebiscitarismo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosso. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROSSO. Signor Presidente, sono meravigliato dall'abilità, anche retorica, con cui gli esponenti della sinistra in questi quindici giorni ci hanno dimostrato di poter svolgere qualsiasi ruolo in commedia: di essere un giorno federalisti e secessionisti, addirittura, quando si parla di reintrodurre misure di salvaguardia dell'interesse nazionale e, al contempo, ultracentralisti, anzi spaventati di quel completamento della riforma federalista che già in qualche modo, più raffazzonato, avevano cercato di proporre loro stessi nella scorsa legislatura.
Ma quello che succede oggi, intorno alla figura del premier, ha veramente del grottesco. Lo dico perché anch'io, come l'onorevole Tabacci, ho qualche perplessità sull'impostazione assunta. Io, diversamente da lui, avrei preferito - lo dico sinceramente - una impostazione in cui, come diceva Montesquieu, fosse più netta la distinzione tra chi fa le leggi e chi le esegue, tra un presidente incaricato di eseguire le leggi con il suo Governo ed un Parlamento chiamato ad adottarle in piena autonomia.
Che sia la sinistra a criticare l'attuale impostazione, avendo letto, come credo molti in quest'aula, il testo che in Commissione bicamerale voi, non altri, gli stessi soggetti che sono qui oggi a replicare a se stessi, contraddicendo il proprio passato...

GIOVANNI RUSSO SPENA. Ti sbagli!

ROBERTO ROSSO. Voi avevate proposto formalmente a questo Parlamento e alla nazione una figura di premier ben più dura - forse in linea con quello che Prodi propone oggi alla vostra coalizione -, ben meno integrata con il percorso del parlamentarismo di cui voi - almeno alcuni di voi - avete fatto oggi professione di fede. Ciò non può non lasciare stupiti coloro che vi ascoltano!
Per questa ragione, quindi, così come per altre che ha sostenuto poc'anzi il collega Tabacci, vorrei chiedervi - anche nell'intelligenza del percorso che vi date al fine di ottenere poi un referendum - di avere quanto meno una posizione che sia comprensibile a voi stessi, a noi altri che siamo dall'altra parte e agli elettori che vorranno recarsi a questo referendum, per comprendere quale progetto voi ci proponete.
Capisco che sia difficile contemperare le istanze di cui oggi si faceva interprete il collega Gerardo Bianco con l'impostazione che continuamente, quotidianamente, il leader della vostra futura maggioranza - o opposizione, a seconda di cosa deciderà il popolo italiano - sta impostando sui giornali, nei vostri colloqui, quel Romano Prodi che interpreta la propria leadership all'interno della vostra coalizione su basi completamente diverse da quel potere più mite che il Presidente Berlusconi sta cercando di interpretare in questo momento come Presidente del Consiglio.
È per questa ragione che vi chiedo, colleghi dell'opposizione, di farci comprendere su che barca state. È difficile che l'assassino possa dare del criminale e a chi omette soltanto di prestare soccorso. Voi, in qualche misura, oggi state facendo questo: ieri avete proposto una figura di premier che non aveva alcun contemperamento con la prassi parlamentare; oggi ci spiegate che una impostazione di molto attenuata rispetto a quella che avevate proposto è invece un crimine contro l'identità parlamentare di questa nostra Repubblica. Francamente ci lasciate senza parole e ci lasciate anche sbigottiti per poter continuare un dialogo che alcuni di noi, probabilmente, avrebbero voluto continuare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.


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LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, si sta svolgendo un dibattito particolarmente rilevante. Alcuni colleghi - ma non si tratta di parti politiche, posto che il tema è distribuito all'interno di tutto l'arco di questo Parlamento - sono dei proporzionalisti, ritengono cioè che il sistema proporzionale sia quello che meglio garantisce la rappresentanza e la funzionalità delle istituzioni. Poi ci sono coloro che ritengono che invece bisogna andare ad un sistema bipolare, caratterizzato o da un sistema maggioritario o da un sistema proporzionale con vincolo di maggioranza. Mi pare che le tesi siano queste. Altri colleghi dell'onorevole Tabacci sostengono - se non ho capito male - l'ultima tesi, quella cioè del sistema proporzionale con vincolo di maggioranza.
Il problema, quindi, non è tanto rivangare chi ha fatto una cosa e chi ne ha fatta un'altra, ma capire che cosa vogliamo costruire. Da questo punto di vista, quello che io ritengo il difetto maggiore del testo è la mancanza di flessibilità. Ciò che consente la rappresentanza di un sistema politico non è tanto il sistema proporzionale, perché, se mi permette, vorrei dire all'onorevole Tabacci e ad altri colleghi, che ciò che ha consentito la governabilità a quell'epoca non era tanto il sistema proporzionale, quanto l'esistenza di ragioni internazionali e nazionali che escludevano alcuni partiti dalla governabilità e questo ha consentito di per sé a quelle forze di governare senza l'alternanza (non c'era alternanza, per difetto, merito, comunque non c'era alternanza). Infatti, appena si è proposta la possibilità dell'alternanza, il sistema è crollato, perché non poteva reggere con quel tipo di regole. Il sistema proporzionale, senza alcune clausole di contorno che rendano solide le maggioranze di Governo, rischia di essere davvero fortemente aleatorio. Ripeto, rivangare il passato non serve; il passato aveva quest'altra clausola (che oggi per fortuna non esiste, perché tutti i partiti sono cambiati e siamo cambiati).
Qual è oggi il problema reale di questa norma? A mio avviso, è la rigidità: questo è un sistema troppo rigido. La preoccupazione che esprimeva il collega Gerardo Bianco è una preoccupazione giusta, perché nelle istituzioni dove c'è questo sistema - comuni, regioni, province - la rappresentanza non esiste più. I consigli sono profondamente mortificati. Cos'è un consiglio provinciale, un consiglio comunale, un consiglio regionale oggi? Lo sappiamo tutti.
È un luogo dove, se stai all'opposizione, ti diverti un po', ma se sei nella maggioranza non ti diverti neanche, perché devi promettere semplicemente. Vorremmo evitare che accada ciò. Lo sforzo che dobbiamo compiere nella riflessione attorno a quest'aspetto, per quanto ci riguarda, non è tanto rivendicare un'età dell'oro del proporzionalismo che, a mio avviso, non è esistita, perché quel sistema si è retto, non sul proporzionale, ma sulla clausola di esclusione di una parte del mondo politico, quanto vedere in che termini un sistema bipolare possa avere una sua elasticità interna idonea a cogliere la complessità della società italiana. Questo è il punto vero che abbiamo davanti ed è qui che il sistema che proponete è in crisi, perché si ripropone un meccanismo di automatismo tra elezioni e tutto ciò che accade dopo; non è detto che sia sbagliato, per carità, non credo che nessuno abbia la soluzione in tasca, taumaturgica, di questi problemi. Si discute tanto di questi elementi. Il caso francese che ricordava il collega Bianco è profondamente giusto, perché esiste una non rappresentanza sociale e gli scontri in Francia sono forti perché le domande della società non arrivano, non sono mediate. La Germania, che è un paese più complesso della Francia, con tutti i problemi che ha nell'est, riesce a tenere, grazie ad un sistema dove c'è il proporzionalismo travestito, ma un sostanziale bipartitismo. Noi abbiamo il pluripartitismo. Se in questo pluripartitismo ci mettiamo anche il proporzionale puro, allora arriviamo al disordine generale. Se, invece, vincoliamo il proporzionalismo all'indicazione del premier e all'abdicazione della coalizione, si tratta soltanto di vedere che tipo di bipolarismo costruiamo, non essere pro o contro il bipolarismo.


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Credo che, nella discussione che abbiamo davanti, dovremmo cercare di riflettere...

PRESIDENTE. Onorevole Violante...

LUCIANO VIOLANTE. ...più approfonditamente (sto per concludere, Presidente) sui meccanismi e chiediamo un po' più di elasticità al sistema, affinché non lo irrigidiscano, altrimenti alcune spinte sociali, quando arrivano, rischiano di rompere il sistema. Al collega Rosso ricordo che oggi la questione di fondo nelle democrazie moderne non è più chi fa le leggi. Il problema è chi governa e chi controlla. Questa è la democrazia moderna. La questione delle leggi è completamente superata, perché ormai le leggi, quasi dappertutto, sostanzialmente, le fanno le maggioranze parlamentari. Il problema vero è di chi controlla e il problema che avremo in questo Parlamento è chi è capace di controllare l'esecutivo. Credo che, nel corso l'esame di questo articolo, dovremo individuare le formule più giuste per reintrodurre elementi di flessibilità. Noi crediamo di averli introdotti, però può darsi che questa cosa non vada bene. Ne discuteremo. Ma questo è il tema reale che abbiamo davanti, altrimenti rischiamo di avere un sistema in cui la rappresentanza non conta alcunché, le spinte sociali non trovano una mediazione politica e si esprimono direttamente contro gli esecutivi; il terzo si può spezzare perché non è in grado di reggere le spinte che vengono dalla società (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, mi inserisco in questa discussione che francamente è molto importante ed interessante. Siamo arrivati ad uno dei punti cruciali di questa riforma costituzionale che svela con più trasparenza un impianto che oggettivamente - non voglio fare la polemica con le parole - sovverte il sistema attuale, quello dei poteri e dei controlli, e la natura e la qualità del nostro sistema democratico: un impianto oggettivamente - questo è il giudizio politico - autoritario. Parliamo del Presidente della Repubblica, che già non è più garante della Costituzione: egli diventa esecutore del primo ministro. Non solo c'è il problema dello scioglimento delle Camere; a monte c'è una concezione per cui, rispetto al primato della titolarità dei diritti delle cariche del sistema dei poteri, vi il primato del suffragio universale. Ossia, il premier diventa assoluto - un premierato assoluto - perché è suffragato dal potere del suffragio universale.
Ha ragione l'onorevole Tabacci. Chiamiamolo come vogliamo, ma ciò rappresenta il cuore, la natura, le finalità, le caratteristiche del presidenzialismo. Non vi è più la Repubblica (non importa se federale o unita) parlamentare. Si tratta di una Repubblica che presenta un accentramento nelle mani di un potere monocratico, un plebiscitarismo, la forma moderna del bonapartismo.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 19,25).

MAURA COSSUTTA. Non è un caso che le obiezioni critiche vengano da parlamentari come gli onorevoli Tabacci e La Malfa. Penso che l'onorevole Tabacci e l'onorevole La Malfa abbiano introdotto alcuni elementi critici anche perché, per la loro storia, il loro percorso e le loro radici, fanno parte di quella cultura costituzionalista che è stata comune per decenni nel nostro paese, alla quale non appartengono i gruppi di Forza Italia, della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza nazionale.
Le riflessioni poste dall'onorevole Tabacci devono essere raccolte da noi personalmente. Anche noi eravamo critici - e lei onorevole Tabacci lo sa - sulla Bicamerale e sulle idee forza che erano passate come se vi fosse la necessità di intervenire


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sulla forma di governo per correggere la fragilità del sistema politico e la debolezza del sistema decisionale dell'esecutivo contro lo strapotere dei partiti. Vi era, invece, una crisi della rappresentanza e del ruolo del Parlamento. Questo era e rimane ancora oggi il tema centrale, indipendentemente dalla questione del sistema proporzionale o di quello maggioritario, onorevole Violante. Eravamo contro l'accentramento dei poteri dell'esecutivo ed a favore dei poteri delle Assemblee elettive anche nelle regioni e nei comuni. Altri hanno votato i nuovi sistemi elettorali con l'istituzione dei governatori. Non eravamo d'accordo, perché esisteva un grumo di deriva del sistema democratico.

PRESIDENTE. Onorevole Cossutta, deve terminare!

MAURA COSSUTTA. Mi scuso, signor Presidente, e finisco. Dico ciò non per fare polemica ma per capire quale sia la direzione verso cui andiamo. Esistono tendenze a semplificare ed a ridurre gli spazi democratici, tendenze a personalizzare e concentrare il potere politico, un potere sempre più monocratico per governare senza mediazioni controllando la maggioranza. Tutto ciò, però, significa minore e non maggiore democrazia.
Onorevole Rosso, quando chiameremo i cittadini al referendum dovremo dare due messaggi chiari: voi rompete l'unità e l'universalità del sistema di diritti e rompete il sistema democratico con una cultura autoritaria e plebiscitaria che straccia i valori costitutivi del sistema democratico

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.

LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i punti essenziali che trovano il nostro dissenso sono rappresentati dalla lettera a) e dalla lettera d) del nuovo articolo 23 della Costituzione. È abbastanza ovvio che in caso di morte del primo ministro o di sua volontà alle dimissioni scatti il secondo comma e la maggioranza che ha eletto il primo ministro trovi il sostituto. Il problema delicato e grave esiste nel caso in cui il primo ministro decida autonomamente senza alcuna motivazione, assumendosene la completa responsabilità, di sciogliere le Camere e nel caso della lettera d), ipotesi in cui il primo ministro sia sfiduciato. Rappresenta una forma di premierato, anche mal collocata, in quanto inserita tra i poteri del Presidente della Repubblica mentre la forma di governo dovrebbe essere presa in considerazione in altro luogo. Stiamo, comunque, dando vita ad una forma incostituzionale sotto il profilo dei principi del costituzionalismo tradizionale.
Il collega Rosso ha citato Montesquieu; ebbene, Montesquieu sosteneva la tesi, poi ripresa nella Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo, che uno Stato où la séparation des pouvoirs n'est pas assurèe, n'a point de constitution. In altri termini, non c'è Costituzione dove non c'è una separazione dei poteri.
Il rafforzamento dei poteri del primo ministro può essere giusto ma deve essere bilanciato da un rafforzamento dei poteri del Parlamento; ha usato espressioni dure ma ha ragione l'onorevole Maura Cossutta quando dichiara che ci si avvia verso forme di bonapartismo o peronismo ovvero verso forme di deriva plebiscitaria.
Mi riferisco all'idea che il vincitore di una elezione, per gli anni in cui dura il mandato del Parlamento, sia sostanzialmente quasi legibus solutus, potendo imporre la propria volontà. Infatti, quando presenta una sua proposta di legge ed il Parlamento la respinge, avrebbe il potere di sciogliere le Camere; quindi, ci stiamo conducendo contro i principi del costituzionalismo moderno. È il problema forse più importante e più delicato della discussione di carattere costituzionale che si sta svolgendo in questi giorni. Ho l'impressione che la questione effettivamente sia stata trattata con molta leggerezza e con scarso approfondimento nonostante sia veramente il punto nodale di questa riforma


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costituzionale. Il punto che veramente legittimerebbe, ove fosse approvato, il ricorso alla volontà popolare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Delbono. Ne ha facoltà.

EMILIO DELBONO. Signor Presidente, vorrei dire all'onorevole Tabacci che non si può, anche con artificio retorico, mistificare la realtà; non è per niente vero che il cuore di questo articolo fosse previsto dalla Bicamerale.
Il tema è il potere di scioglimento delle Camere da parte del premier; questo è il punto. Non si tratta di un elemento di rigidità del sistema, come ha dichiarato l'onorevole Violante; è un attacco ai principi cardine del sistema stesso. La democrazia parlamentare viene infinitamente indebolita; l'articolo poi è incompatibile con il divieto di mandato imperativo dei deputati perché porta chiaramente all'abrogazione dello stesso. Infatti, ogni parlamentare eletto, anzitutto rappresenta il popolo e l'unità nazionale, prima ancora della sua maggioranza. Quindi, si tratta di un articolo anche inapplicabile. Cosa significa la maggioranza espressa dalle elezioni politiche? Quanti, per esempio, sono stati eletti nella quota proporzionale, e non con il maggioritario uninominale, potrebbero tranquillamente aderire ad una nuova maggioranza in una fase successiva; farebbero parte o meno della maggioranza? E come è possibile introdurre il principio della costituzionalizzazione del programma, altro elemento inconsistente (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bottino. Ne ha facoltà.

ANGELO BOTTINO. Ritengo che con la modifica della Costituzione si debba evitare di fare perdere ogni valore alla Carta del 1947. Credo sia preoccupante alterare i rapporti tra esecutivo e Parlamento e concentrare i poteri del Presidente del Consiglio se non si usa un metodo collaborativo di discussione. Ho letto il parere dei costituzionalisti; pareri che mi pare siano, in questo momento, abbastanza preoccupati. Ho ascoltato anche il monito del Presidente Ciampi e penso che il Capo dello Stato abbia centrato l'obiettivo. Penso che tale preoccupazione debba essere sentita da tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Carbonella. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CARBONELLA. Solo pochissime parole, signor Presidente, per dire che l'articolo in questione deve essere assolutamente soppresso in quanto umilia il ruolo del Presidente della Repubblica, svilisce quello delle Camere, mortifica il ruolo dei deputati e cambia il volto sociale del paese in quanto si parte da questa modifica per trasformare un modello di società. Un modello al quale tutti quanti abbiamo contribuito al fine di creare un patrimonio culturale e valoriale diverso da quello che si vuole instaurare.
Ha ragione l'onorevole Gerardo Bianco quando afferma che si vuole creare una società piramidale, dove c'è solamente un vertice ed una base! In questo caso, infatti, si mortifica, si umilia, si sconfessa e si annulla l'evoluzione di una società che vede i corpi intermedi essere parte attiva e filtro tra i vertici e la base, e dunque si mortifica il pluralismo, che rappresenta il valore essenziale...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Carbonella.

GIOVANNI CARBONELLA. ...che una società moderna deve avere!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, le debbo confessare che non nutro grandi certezze riguardo a questo argomento.


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Le devo altresì confessare che ritengo che il dibattito che proprio su tale questione si è sviluppato costituisca una discussione di valore, e si tratta di un dibattito che ha un valore anche nella misura in cui il Parlamento, ed in particolare questa Assemblea, dovrebbe possedere la forza del dialogo tra le parti e, in talune occasioni, anche la forza di fermarsi un secondo.
Ho ascoltato parole autorevoli da una parte e dall'altra, signor Presidente, e non credo che nessuno abbia argomentato in modo strumentale, ostruzionistico od opportunistico.
Dal momento che ho concluso i secondi a mia disposizione, signor Presidente, rimetto alla riflessione del relatore e presidente della I Commissione (che in questo caso credo abbia qualche responsabilità) l'ipotesi di verificare se la proposta inserita nel testo del provvedimento sia effettivamente una soluzione matura, oppure se non vi siano, anche alla luce del dibattito svoltosi in quest'aula, ed al fine di dare dignità e rispetto al nostro dibattito, le condizioni per prendere del tempo e compiere un'ulteriore riflessione riguardo a tale norma, magari modificandola...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giachetti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, concordo con l'onorevole Tabacci quando sostiene che l'attuale situazione è figlia di cause che risalgono a tempi lontani. Mi riferisco al cosiddetto sindaco d'Italia, alla tendenza culturale a trasferire nella politica il modello imprenditoriale ed a una condizione partitica che ha anticipato, in sé, il potere assoluto dei capi di partito: i partiti, infatti, anticipano sempre - ahimè - ciò che successivamente accade all'interno delle istituzioni.
Il problema è che stiamo dando vita ad un «pastrocchio»: mi riferisco ad un premierato absolutus, vale a dire svincolato da qualsiasi controllo - credo che sia questa la vera questione - e che svilisce il ruolo del Parlamento. Onorevole Rosso, vorrei dirle che, in questo caso, il problema è non ciò che si è sostenuto prima, bensì se sia vero o meno che il Parlamento viene ridotto ad una condizione sostanzialmente insignificante.
Dal momento che ci deve stare a cuore tale questione, si può anche prendere in considerazione l'ipotesi del premierato; poi, vi sarà chi condividerà o meno tale scelta, tuttavia, possiamo vedere già adesso come è ridotto il Parlamento...

PRESIDENTE. Onorevole Duilio, concluda!

LINO DUILIO. ... ed immaginiamo che cosa diventerà in futuro!

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Duilio.

LINO DUILIO. Non credo che ciò significhi maggiore democrazia (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, il dibattito ha evidenziato come l'articolo 23 del disegno di legge costituzionale in esame sia forse il più delicato dell'intero provvedimento. Esso, infatti, espropria sostanzialmente il Presidente della Repubblica del potere di scioglimento delle Camere, attribuendolo, di fatto, al Presidente del Consiglio, il quale diventa, rispetto al Parlamento, un dominus assoluto: come ha già affermato il collega Acquarone, diviene così un dominus legibus solutus.
Non so se sarà effettivamente così, tuttavia è certo che vi sarà uno stravolgimento degli equilibri costituzionali. La separazione dei poteri e l'equilibrio tra essi sono, in un assetto costituzionale, indispensabili per garantire il funzionamento del sistema democratico. In quest'aula, forse suscitando anche qualche


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«sorrisetto», ho più volte affermato che in questo paese si corre il rischio di avere un peronismo all'italiana, un peronismo nostrano...

PRESIDENTE. Onorevole Lettieri, concluda!

MARIO LETTIERI. Il testo al nostro esame, purtroppo, lo conferma...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Lettieri.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.

MAURO MARIA MARINO. Signor Presidente, stiamo toccando un punto che fa finalmente respirare a questa Assemblea un clima costituente; permettetemi, allora, un riferimento storico.
Vorrei ricordare che nello Statuto albertino, Carta costituzionale ottriata concessa nel 1848, era previsto il potere discrezionale di scioglimento delle Camere da parte del Re. Ma lo Statuto albertino, permettetemi, non parlava di cittadini. Parlava di «regnicoli», e non penso che a ciò vogliamo - o dobbiamo - ritornare.
L'articolo 88 della Costituzione vigente, nel momento in cui riconosce il potere di scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, non lo intende come un potere discrezionale o frutto del caso, ma come il frutto di una complessa architettura costituzionale, che fa del Capo dello Stato il baricentro, delicato e bilanciato, del sistema di potere.
Oggi, con la nuova norma, si assoggetta, di fatto, il potere legislativo a quello esecutivo. Il Presidente della Repubblica diventa un notaio e si va, com'è stato notato precedentemente, contro il principio della separazione dei poteri e si mortifica il ruolo del Parlamento, unica sede del pluralismo in Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, l'articolo 23 non pone in gioco la maggiore o minore propensione al federalismo o al centralismo. Esso pone in gioco la funzione di rappresentanza politica della Camera ed il ruolo di garante della Costituzione del Capo dello Stato.
Il semplicismo della proposta che avanzate, con una maggioranza uscita dalle elezioni «ingessata», rende incomprensibile un Parlamento con oltre cinquecento deputati. Ne basterebbero due, di cui uno faccia l'amministratore delegato, in rappresentanza del socio di maggioranza. Lo state scoprendo anche voi, finalmente, che lo Stato non è un'azienda e che le istanze dei cittadini, se non rappresentate in democrazia, possono prendere strade assai pericolose, come insegna la storia.
Ripensiamoci insieme e costruiamo insieme una nuova Costituzione, più rispettosa di tali principi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.

ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, questo articolo è, a mio giudizio, il cuore del provvedimento. Con esso, infatti, si assiste ad un cambio di qualità di tutto l'impianto.
Nel momento in cui il Presidente della Repubblica non è più organo di garanzia, si aprono problemi molto seri, e si può discutere - e noi discutiamo in dissenso - rispetto all'impianto che è stato costruito. A questo punto, si entra direttamente in collisione con il ruolo dei parlamentari, in particolare con l'assenza del vincolo di mandato e - di fatto - il Presidente del Consiglio, come dice del resto il testo di questa norma, diventa l'unico responsabile dello scioglimento delle Camere.
Ciò è, francamente, un modo inaccettabile di affrontare il rapporto e l'equilibrio tra i poteri. Vi sono, naturalmente, diversi modelli possibili: uno di essi è stato ricordato dall'onorevole Tabacci, ossia il


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modello tipico degli Stati Uniti. Vi sono altri modelli ancora; se ne possono scegliere molti. Ciò che non si può scegliere è che nell'ambito di un'unica figura, il Presidente del Consiglio, vi sia contemporaneamente il vincolo ai parlamentari e, per di più, l'autodecisione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei capire chi, nella società italiana, in questo momento avverte il problema di trasferire poteri dal Presidente della Repubblica al primo ministro. Credo che sia veramente un dialogo fuori della realtà.
Vi dico «no», non in nome della conservazione, perché nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali - onorevole Rosso - ho votato per l'ipotesi semipresidenzialista, sull'esempio di uno dei miei punti di riferimento, Piero Calamandrei. Non ho paura di eleggere un Presidente della Repubblica. Ciò di cui ho paura è togliere ad eletti del popolo, ai parlamentari...

NUCCIO CARRARA. Lo togli al popolo, il diritto!

VALDO SPINI. ...i loro poteri e le loro prerogative, a vantaggio di una specie di «dittatore della coalizione». Certo, il giorno in cui la coalizione sarà, come Retequattro, Canale 5, Italia 1, all'interno dello stesso gruppo azionario, allora sarete contenti! Avrete un dittatore, ma voi stessi non conterete nulla e non sarete in grado di esercitare il vostro mandato parlamentare.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Mascia 23.1 e Boato 23.4, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 412
Votanti 407
Astenuti 5
Maggioranza 204
Hanno votato
177
Hanno votato
no 230).

MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, non è possibile! Alcuni votano anche per tre!

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, scusate, c'erano settanta voti di scarto!

MAURA COSSUTTA. Non è questione di settanta voti, signor Presidente!

PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, vi era stata una sua dichiarazione, nel primo pomeriggio, se non ricordo male, relativa al passaggio al secondo punto dell'ordine del giorno, che prevede la discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge relativo all'applicazione delle imposte sui mutui e di agevolazioni per le imprese danneggiate da eventi alluvionali, relativamente all'esame e alla votazione di una questione pregiudiziale. Lei aveva dichiarato che si sarebbe passati a tale punto attorno alle 19,30, con un margine...

PRESIDENTE. Attorno alle 19,30-20.

PIERO RUZZANTE. Poiché sono le 19...

PRESIDENTE. Chiedo al presidente della Commissione affari costituzionali: se l'emendamento di cui stiamo cominciando


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l'esame è, per così dire, complicato, potremmo rinviarlo alla seduta di domani mattina...

DONATO BRUNO, Relatore. Presidente, sono tutti articoli complicati, qualcuno di più e qualcuno di meno. Faccio notare solamente che, se l'andamento dei lavori dovesse continuare ad essere come quello cui, purtroppo, abbiamo assistito nella giornata di oggi, chiedo ai colleghi dell'opposizione, che hanno il sacrosanto diritto di dibattere in aula, se questo modo di procedere li soddisfi. Senza nulla prevedere su ciò che lei deciderà nella Conferenza dei presidenti di gruppo convocata per domani, ho la sensazione che qualsiasi tempo dovesse ritenere di concedere, se l'andamento dei lavori è questo, voteremmo a malapena 30 o 40 emendamenti, senza entrare nel cuore dei problemi.
Lo ripeto: è un appello che rivolgo ai colleghi sia dell'opposizione che della maggioranza. Non credo che questo sia un modo di procedere dignitoso su una riforma costituzionale. Quindi, mi sta bene anche interrompere i lavori adesso. Non è un problema, tanto potremmo fare una sola votazione, quando ne abbiamo ancora circa duecento. Vorrei capire dall'opposizione come intende procedere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana).

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, come credo che riconosceranno anche i colleghi della maggioranza e il presidente Bruno, oggi abbiamo anche discusso di cose molto importanti e in termini seri. Invece delle 9.30, abbiamo cominciato alle 11 perché i colleghi della maggioranza non c'erano (Commenti - Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

ELIO VITO. Voi dove eravate?

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lasciamo concludere l'onorevole Violante, tanto le polemiche...

LUCIANO VIOLANTE. Infatti, se lei ha la pazienza di leggere il resoconto stenografico, vedrà che stamattina si sono svolti tutti interventi dei colleghi della maggioranza.

ELIO VITO. Perché voi non c'eravate!

LUCIANO VIOLANTE. Nel pomeriggio abbiamo cominciato alle 16.30 perché hanno parlato i colleghi della maggioranza.
Il problema è il seguente. Se i colleghi della maggioranza sono in aula, noi discutiamo e lavoriamo. Se non ci sono, non si può chiedere all'opposizione di sostenere un provvedimento che non condivide. Questo è il problema!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il presidente della Commissione affari costituzionali, secondo me, ha svolto un intervento pacato, peraltro richiesto dal Presidente stesso, e si è dichiarato disponibile a terminare ora i lavori. Egli ha fatto delle considerazioni che saranno oggetto della Conferenza dei presidenti di gruppo convocata per domani alle 13, alla quale, presidente Bruno, la invito fin da adesso a partecipare perché, per sapere come potrà proseguire l'iter di questa riforma costituzionale, ho bisogno del suo aiuto e della sua assistenza.
Come voi sapete, i tempi aggiuntivi vengono concessi sulla base del fatto che non ci siano ostruzionismi di nessun tipo. Debbo dire che oggi si sono svolti tantissimi interventi importanti. Poi, come sempre capita in questi casi, ce ne sono stati molti altri che, invece, forse sono stati ripetitivi e non essenziali.
Debbo dire anche che capisco le problematiche sollevate; le capiamo tutti. A mio parere, occorrerà quasi sicuramente che i colleghi vengano già lunedì mattina, perché difficilmente potremo iniziare (Commenti)... Onorevoli colleghi...


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ELIO VITO. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. L'articolo 48-bis, votato dall'Assemblea il 24 settembre 1997, su proposta del Presidente Violante, al comma 1 recita che è dovere dei deputati partecipare ai lavori della Camera (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). In quell'occasione il Presidente Violante (Commenti) svolse una dotta esposizione su questo dovere dei deputati della maggioranza e dell'opposizione, e non è la prima volta (Applausi polemici dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l'onorevole Elio Vito ha diritto di parlare come tutti gli altri.

ELIO VITO.... che sostiene tesi sulla funzione e sul ruolo del Parlamento, mentre da Presidente della Camera sosteneva esattamente il contrario.
Quindi, Presidente, credo che lei abbia dato giustamente tempi ampi per l'esame del provvedimento.

MARCO BOATO. Non è la Conferenza dei presidenti di gruppo questa!

ELIO VITO. La maggioranza sta partecipando al dibattito ed alle votazioni. Sui tempi ampi da lei concessi noi non ci lamentiamo, ma che si lamenti addirittura l'opposizione mi sembra (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)...

PRESIDENTE. Onorevole Vito, non si preoccupi: domani parleremo di queste cose.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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