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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica. Deleghe al Governo in materia di remunerazione della capacità produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 3), nel testo della Commissione, identico a quello modificato dal Senato (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 4).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo della Commissione, identico a quello modificato dal Senato (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 5).
Avverto altresì che sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 6).
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere che è distribuito in fotocopia (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 1).
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere che è distribuito in fotocopia (vedi l'allegato A - A.C. 4332 sezione 2).
Informo l'Assemblea che, in relazione al numero degli emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del regolamento, procedendo in particolare a votazioni riassuntive o per principi, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo.
A tal fine il gruppo misto (per la componente politica dei Verdi) è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
Avverto che gli emendamenti Quartiani 1.33 e Gambini 1.39 devono intendersi riferiti all'articolo unico del disegno di legge di conversione, assumendo, rispettivamente, la numerazione Dis.1.10 e Dis. 1.11.
Passiamo agli interventi sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge e all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Buglio. Ne ha facoltà.
SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Dell'Elce, forse ancor più che in altre occasioni nelle quali in questa sede abbiamo affrontato temi relativi all'energia, la nostra discussione rischia di essere più rituale che di merito. Infatti, sappiamo di esaminare un decreto-legge in ordine al quale le possibilità di modifica da parte di questo ramo del Parlamento sono praticamente ridotte a zero. E, nonostante la disponibilità offerta dall'opposizione per correggere in tempi assai rapidi le maggiori incongruità presenti in questo provvedimento, non è stato possibile o la maggioranza non ha voluto cogliere in tempo tale disponibilità, quando appariva ormai evidente che le nostre argomentazioni erano sensate.
Anche gli esponenti della maggioranza e lo stesso ministro hanno finito per riconoscere che, probabilmente, sarebbe stato più opportuno porre mano ad alcune correzioni. Tuttavia, a quel punto, i tempi erano ormai insufficienti per consentire una modifica alla Camera e l'approvazione definitiva del testo, che avremmo così emendato al Senato.
Come dicevo, si tratta di una discussione che, in gran parte, è rituale. Tuttavia, ritengo che l'opposizione sia chiamata a rimarcare con nettezza i principali punti, contenuti in questo decreto-legge, che ci sembrano profondamente sbagliati e non condivisibili e che rischiano di rappresentare per la rete elettrica italiana e per la produzione di energia nel nostro paese un passo indietro davvero assai preoccupante.
Stiamo parlando di un decreto-legge che, dopo il blackout del 28 settembre, è stato profondamente modificato. Si trattava di un provvedimento che aveva quale obiettivo quello di ottenere modifiche temporanee delle condizioni di esercizio delle centrali termoelettriche, attraverso deroghe ai valori di tutela ambientale che presiedono al funzionamento di tali centrali.
Dopo il blackout del 28 settembre si è deciso di caricare il decreto-legge in esame di una serie di disposizioni in gran parte desunte dal disegno di legge Marzano, approvato dalla Camera ed ora in discussione al Senato. In tal modo, il decreto-legge è stato incentrato sostanzialmente su due punti: per un verso, si ricomprendono in esso le norme contenute nel provvedimento Marzano relative alle procedure di accelerazione per la realizzazione di nuove centrali; per altro verso, si introducono norme, sempre tratte dal disegno di legge Marzano, che regolano in maniera nuova il funzionamento, la proprietà e la gestione delle reti di trasmissione nel nostro paese.
Credo che su entrambi i versanti il decreto-legge sia assolutamente inefficace. Anzi, ritengo sia pericoloso, ed invito i colleghi a valutarlo molto attentamente.
Vi sono infatti diversi aspetti da prendere in considerazione. Il primo riguarda
la scelta di proseguire su un percorso di incostituzionalità delle norme relative alle procedure di realizzazione di nuove centrali. Vi sono sentenze recenti - mi riferisco alle sentenze della Corte costituzionale n. 303 e n. 307 del 2003 - che contribuiscono a chiarire ulteriormente tale aspetto. Proseguendo su questa strada, si finisce per incartare tutti i procedimenti di autorizzazione di nuove centrali.
È inutile che il ministro Marzano, all'indomani del blackout, si presenti sulle reti televisive, a Porta a porta, o rilasci dichiarazioni alla stampa, nelle quali lamenta il fatto che il blackout è frutto della mancanza di capacità di generare potenza da parte delle nostre centrali. A suo avviso vi è un deficit e una mancata volontà da parte delle regioni, dei comuni e dell'opposizione parlamentare di velocizzare la possibilità di realizzare nuove centrali. Ciò, naturalmente, non è vero. Voglio ricordare che la sola maggioranza aveva presentato alla Camera ben 445 emendamenti: altro che ostruzionismo dell'opposizione, signor Presidente!
La via della concertazione e della codecisione con le regioni sta scritta nella riforma del Titolo V della Costituzione, e in particolare nei nuovi articoli 117 e 118. Ciò viene ulteriormente ribadito dalle più recenti sentenze della Corte costituzionale. Si pretende che le regioni non facciano valere la Carta costituzionale? Si richiede che le comunità locali e i numerosi comitati di cittadini sorti per tutelare il loro territorio, a torto o a ragione, non utilizzino gli strumenti loro forniti dalla Carta costituzionale? È un ragionamento del tutto improponibile.
D'altra parte, lo stesso ministro e la stessa maggioranza, nel corso dell'esame dei ripetuti provvedimenti affannosamente susseguitesi negli anni passati sulla questione dell'energia, hanno compreso a un certo punto la necessità di cercare una concertazione e una codecisione con le regioni. Come è noto, sia la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, sia il governo del territorio sono materie di potestà legislativa concorrente fra lo Stato e le regioni. A un certo punto, dunque, il Governo e la maggioranza se ne rendono conto e decidono, con il decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 25, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 83, di aprire la porta alla cooperazione con le regioni per la procedura di autorizzazione alla realizzazione di nuove centrali.
L'articolo 3 di tale decreto recita infatti: ai fini dell'effettuazione della valutazione di impatto ambientale sui progetti di nuova installazione, ovvero di modifica o di potenziamento di impianti di produzione di potenza superiore a 300 MW termici, sono considerati prioritari i progetti di ambientalizzazione delle centrali esistenti che garantiscano la riduzione delle emissioni inquinanti complessive, nonché i progetti che comportano il riutilizzo di siti già dotati di adeguate infrastrutture di collegamento alla rete nazionale, ovvero che contribuiscono alla diversificazione verso fonti primarie competitive ovvero che comportano un miglioramento dell'equilibrio tra domanda ed offerta di energia elettrica, almeno a livello regionale, anche tenendo conto degli sviluppi della rete di trasmissione e delle nuove centrali già autorizzate.
Il comma 1 dell'articolo 3 indica i criteri di priorità sulla base dei quali dovrà partire la valutazione di impatto ambientale dei diversi progetti giacenti presso il ministero per la realizzazione di nuove centrali. Il comma 4 dell'articolo 3 prevede: con decreto dei ministri delle attività produttive e dell'ambiente e della tutela del territorio, sentito il comitato pareritetico di cui all'articolo 1, comma 3-bis, è approvato periodicamente l'elenco dei progetti che rientreranno nelle priorità di cui al comma 1. Ciò vuol dire che i criteri di priorità indicati nel comma 1 dell'articolo 3 sono alla base di un elenco di progetti che deve essere presentato attraverso un decreto dei ministri dell'attività produttive e dell'ambiente.
Ora, dopo la grande preoccupazione dimostrata dal Ministero delle attività produttive nel corso degli anni passati circa il deficit di produzione di energia nel nostro paese e, quindi, circa l'esigenza di realizzare
rapidamente nuove centrali, si penserà che il Governo si sia messo immediatamente all'opera per realizzare l'elenco delle priorità, sulla base delle quali attivare la valutazione di impatto ambientale per i progetti di realizzazione di nuove centrali. Invece no. Questo non è successo. L'elenco non è stato presentato né a maggio, né a giugno, né a luglio, né ad agosto, né a settembre, né a ottobre. Si viene, invece, con un nuovo decreto-legge, a confondere ulteriormente la materia, mentre le inadempienze del Governo continuano a prodursi nel corso dei mesi. Si dice che si sentirà un comitato paritetico, laddove il comitato paritetico è quello previsto da un provvedimento precedente sempre in materia di energia elettrica. Esso dovrebbe essere composto dal Ministero delle attività produttive, dalle regioni, dall'Unione delle province d'Italia e dall'Associazione nazionale dei comuni d'Italia, vale a dire da quelle istanze di natura concertativa che consentono una codecisione in forma paritaria con le regioni e con gli altri soggetti istituzionali che sono richiamati dalla sentenza della Corte costituzionale. Tuttavia, le regioni, le province e i comuni non sono stati coinvolti dal ministero e quest'ultimo è ancora inadempiente per quanto riguarda la realizzazione dell'elenco di priorità.
Signor sottosegretario, colleghi della maggioranza, a che porta volete bussare per chiedere la ragione per la quale non sono ancora partite le procedure per la realizzazione di nuove centrali? Dovete bussare alla vostra porta, perché non siete ancora capaci di rispettare le leggi. Vorrei che nutriste una preoccupazione nei confronti dell'insieme del paese, perché avete innescato un meccanismo pericoloso. Stiamo parlando della valutazione di impatto ambientale che, di per sé, è una valutazione comparativa. Ebbene, se non rispettate le procedure che avete accettato di scrivere nella legge, i comitati dei cittadini che - giustamente o ingiustamente, come ho già detto - si oppongono alla realizzazione delle centrali nel nostro paese avranno automaticamente partita vinta in qualsiasi ricorso dovessero presentare alla magistratura amministrativa e civile. Lo sapete. Dovete fare qualcosa - è un obbligo che vi viene imposto dalle leggi -, se volete sperare di realizzare una qualche nuova centrale nel nostro paese, come ci auguriamo che accada. Dovete emanare quel provvedimento e dovete farlo con la procedura concertativa prevista dalla legge, perché le competenze amministrative e legislative in materia di energia elettrica e di governo del territorio sono concorrenti tra Stato e regioni e, per altro verso, coinvolgono anche il ruolo dei comuni e delle province, viste le caratteristiche che molte leggi regionali in merito di autorizzazioni per realizzazioni di questa natura presentano dal punto di vista amministrativo.
Insomma, vi siete cacciati in un vicolo cieco dal quale non riuscite ad uscire con nuovi provvedimenti. Finirete soltanto per confondere ancora di più la situazione, creando un groviglio inestricabile, se non deciderete di assumere i compiti che voi stessi vi siete attribuiti attraverso l'approvazione di quei testi normativi che prima ho richiamato. Dunque, non abbiamo bisogno di nuovi provvedimenti. Abbiamo bisogno, invece, che venga da voi realizzato quanto è già stato disposto e che venga aperto un nuovo tavolo di concertazione con il sistema delle autonomie locali e con le regioni italiane.
In questo modo, sarà possibile realizzare nuove centrali nel nostro paese secondo quei criteri che voi stessi avete accettato di inserire nella legge. Si tratta di criteri di priorità che hanno anche un principio di buon senso e che possiamo verificare a seguito di quanto avvenuto con il blackout, i quali fanno riferimento al carattere di diversificazione di fonti di energia e di diversa dislocazione delle centrali su tutto il territorio nazionale, altrimenti ai blackout dovremmo abituarci periodicamente, vista l'incapacità che dimostrate nell'attuare le leggi che voi stessi avete approvato.
Per quanto riguarda l'efficacia del nuovo assetto della rete ipotizzato nel presente decreto-legge per scongiurare il blackout, ritengo che dopo l'iniziale polverone
suscitato dalle dichiarazioni del ministro Marzano, rese immediatamente dopo il blackout del 28 settembre, l'aspetto decisivo sia proprio l'assetto della rete perché non abbia a prodursi nuovamente un tale evento. Come ricordavano i colleghi, in quell'occasione eravamo al minimo dei consumi eppure si è realizzato l'effetto domino: ciò è derivato proprio da come è stata costruita la rete italiana. Un evento di questa natura in Francia non si sarebbe potuto produrre e non perché in quel paese abbiano maggiore capacità produttiva, ma perché lì vi è un diverso assetto della rete. In Francia la rete è stata costruita in modo che sia possibile compartimentare e sezionare la rete, ponendola perciò al sicuro da eventi come quelli che si sono prodotti. Per realizzare un'operazione di questa natura occorrono investimenti importanti, occorre che la nostra rete sia ammodernata e ricostruita secondo questa nuova filosofia che appare più rispettosa del ruolo delle regioni e delle possibilità che ciascuna regione ricerchi una autonomia dal punto di vista energetico, sviluppando sul proprio territorio la capacità di generazione di energia che corrisponda al consumo che in ciascuna realtà si realizza. Una nuova rete ha bisogno di nuovi ed importanti investimenti come quelli necessari per la realizzazione di nuove centrali.
Allora, occorre scegliere una strada. Vogliamo che la privatizzazione abbia quale punto di riferimento l'esigenza di fare cassa oppure vogliamo che abbia quale punto di riferimento la capacità di rispondere ad esigenze prioritarie del sistema produttivo e dei consumi del nostro paese? Si è ricordato che l'opposizione è perfettamente d'accordo sull'idea di unificazione delle priorità e della gestione della rete con conseguente sottrazione della proprietà dell'attuale proprietario, l'ENEL, e con l'incorporazione della stessa insieme alla gestione del nuovo soggetto.
PRESIDENTE. Onorevole Buglio, la prego di concludere.
SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, a questo punto, per le ulteriori considerazioni mi rifaccio agli interventi svolti dai colleghi del gruppo dei Democratici di sinistra in sede di discussione sulle linee generali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grotto. Ne ha facoltà.
FRANCO GROTTO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, questo decreto-legge nelle intenzioni del Governo ha l'obiettivo di raggiungere la sicurezza del sistema elettrico nazionale ed il recupero di potenza di energia elettrica. Esso reca la conversione in legge, con molte modificazioni, del decreto-legge del 29 agosto 2003, n. 239, approvato dal Governo a seguito dei problemi di siccità e delle alte temperatura dell'estate scorsa. Al Senato sono state introdotte materie non riconducibili al blackout e sono state riprodotte alcune parti del disegno di legge sul riordino del sistema elettrico già esaminato dalla Camera ed attualmente fermo al Senato. Il provvedimento prevede che il Ministero delle attività produttive, di concerto con quello dell'ambiente, possa autorizzare l'esercizio temporaneo fino al 30 giugno 2005 di centrali di potenza elettrica superiore a 300 megawatt, anche in deroga ai limiti di emissione in atmosfera e di qualità dell'aria fissati dai provvedimenti di autorizzazione dei singoli impianti.
Per le stesse finalità e con le stesse procedure può essere modificato il limite di temperatura degli scarichi delle acque di raffreddamento delle stesse centrali termoelettriche. È bene ricordare che le cause del blackout non sono riconducibili alla mancanza di centrali termoelettriche, anche se molti sono convinti che sia necessaria la costruzione di nuove centrali. Se analizziamo la realtà, scopriamo che in Italia la potenza installata è di ben 76 mila megawatt, a fronte di una potenza richiesta dal paese di 55 mila megawatt, solo che la potenza disponibile è di 49 mila megawatt circa. Pertanto, l'Italia dispone di circa il 43 per cento in più di potenza del necessario.
Vi sono, comunque, 28 mila megawatt indisponibili, per cui siamo costretti ad importare dall'estero circa 6.400 megawatt. Se escludiamo la potenza indisponibile di fonte idroelettrica (circa 7 mila megawatt), che dipende dalla variabilità delle piogge, vi sono più di 20 mila megawatt di potenza per arresti delle centrali termoelettriche dovuti alle manutenzioni, a processi di ambientalizzazione o di ripotenziamento delle centrali stesse.
Una domanda che ci poniamo è la seguente: quanti di questi circa 21 mila megawatt potrebbero tornare disponibili in tempi rapidi? Il recupero di questa potenza ridurrebbe anche la necessità o almeno l'urgenza di realizzare molte nuove centrali.
È da rilevare che sono stati già varati decreti per autorizzare nuove costruzioni di centrali per circa 16 mila megawatt la cui entrata in servizio è prevista per il 31 dicembre 2005.
Il gestore della rete di trasmissione nazionale rileva che solo la metà di questa potenza sarà disponibile per il 2005, perché i tempi di realizzazione delle centrali si stanno discostando notevolmente da quanto previsto.
La domanda, cui il Governo dovrebbe rispondere, è, allora, la seguente: come mai questi ritardi? Come mai numerosi progetti di ambientalizzazione e di costruzione di nuove centrali sono in attesa da diverso tempo di adeguate approvazioni di valutazioni di impatto ambientale?
In Italia ciò che emerge è che non esiste un piano energetico nazionale. Sinora si è cercato di far fronte alle emergenze del sistema, agendo nel sistema della garanzia ambientale, con tutti i problemi che ciò crea al territorio. Anziché accelerare l'iter della sistemazione delle centrali esistenti, questo decreto-legge è l'ennesimo provvedimento tampone che va in questa direzione.
Quale effetto, dobbiamo chiederci, potrà avere nel tempo l'aumento delle emissioni in atmosfera e quale effetto negativo potrà avere nel tempo lo scarico delle acque di raffreddamento ad elevate temperature? Ci siamo chiesti cosa accadrà al processo di atrofizzazione, ad esempio, del mare Adriatico.
Queste sono alcune considerazioni che noi, il Governo dovrebbe svolgere, ma ve ne sono altre. Mi risultano - è agli atti - più di 500 domande di costruzione di nuove centrali per nuova potenza di circa 100 mila megawatt. Di queste richieste, per più di 130 circa è già stato avviato l'iter amministrativo. Tutto ciò, alla fine, è in contrasto con la scarsità di centrali effettivamente realizzate.
In ogni caso, è bene ricordare che la difficoltà italiana a garantire il proprio fabbisogno di energia elettrica sembra non avere nulla a che vedere con la crisi che ha portato al grande blackout del 28 settembre scorso. La risposta va ricercata nell'inadeguatezza degli strumenti a disposizione per fronteggiare un'emergenza come questa. Inoltre, va osservato che le norme che intervengono nei rapporti tra lo Stato e le regioni violano di fatto il titolo V della Costituzione e possono complicare, anziché risolvere, le difficoltà esistenti tra Stato e regioni.
Infatti, con la sentenza n. 303 del 2003, la Corte costituzionale si pronuncia in materia di legislazione concorrente fra lo Stato e regioni su una serie di ricorsi presentati dalle autorità locali in materia di grandi opere, affermando che in costanza di legislazione concorrente non si può prescindere dal coinvolgere le istituzioni regionali nella costruzione delle grandi opere e quindi anche in quella delle centrali termoelettriche. È quindi facilmente pronosticabile che vi sarà una ampia serie di impugnative, che bloccherà l'iter e quindi l'applicabilità di questo decreto-legge.
Alcune osservazioni inoltre sul decreto-legge nello specifico: ad esempio, l'articolo 1-ter, recante misure per l'organizzazione e lo sviluppo della rete elettrica e la terzietà delle reti, e in particolare il comma 1, dove si recita che la gestione del soggetto risultante dall'unificazione, ivi inclusa la disciplina dei diritti di voto e la sua privatizzazione, andava, a nostro avviso, specificato meglio con riferimento al
tipo di privatizzazione che si intende adottare e come si salvaguarda la funzione pubblicista del gestore della rete di trasmissione nazionale.
Su questo tema è bene ricordare che anche il sindacato è assolutamente contrario ad una privatizzazione che di fatto non garantirebbe a tutti gli operatori del settore l'accesso alla rete in modo imparziale, neutrale e con la parità di condizioni.
Inoltre, la privatizzazione delle reti di trasmissione non risponde a logiche di urgenza. Si tratta di un provvedimento pericoloso e di nessuna utilità per impedire futuri blackout. Fra l'altro, si rischia di trasferire a proprietari stranieri un indispensabile strumento di governo dell'economia del nostro paese.
Sul metodo con il quale è stato poi affrontato e presentato questo decreto-legge, dopo la vicenda del blackout, sarebbe stato più opportuno, come ha affermato anche che il presidente della X Commissione onorevole Tabacci, accelerare l'approvazione del disegno di legge del ministro Marzano da parte del Senato, concentrando su tale azione l'impegno del Governo.
Evidentemente, vi sono difficoltà di natura politica all'interno della maggioranza e del Governo che non permettono a quel disegno di legge stesso di compiere passi in avanti. Sono le contraddizioni di questa maggioranza che nello specifico non ha una politica chiara e coerente del settore dell'energia e, in generale, non riesce a governare il nostro paese.
Con ciò contribuisce ad aggravare ulteriormente la situazione economica, senza una prospettiva chiara di ripresa. (Applausi dei deputati del gruppo del Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruggero Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo di fronte oggi ad un tema, quello dell'energia, che è emblematico delle modalità con cui questo Governo intende affrontare uno dei temi più importanti e di strategia per l'economia italiana. Esso è emblematico per una politica industriale e per una politica economica del Governo che non ha compreso cosa sia la politica. Non c'è alcun elemento di sviluppo, nessun elemento di progettualità e di amore per le nostre imprese. Non c'è alcun elemento di cultura economica di libertà, di quella storia di libertà e di partecipazione che sono stati l'ENEL e l'ENI per le piccole e medie imprese italiane.
Questa una storia dalla quale la cultura della destra viene fuori, e questo è emblematico, perché, mentre si è data autonomia alle regioni, con l'attribuzione di una potestà di organizzarsi, si torna poi ad un centralismo. Questa è la destra e questo emerge concluso negli unici provvedimenti che avete portato a termine.
Allora, di fronte ad una cultura che è ancora di accentramento, una cultura dirigista, a cosa valgono le parole «federalismo», «decentramento»? Ci prendiamo in giro, Pagliarini! Questa è una cultura che vuole accentrare, ma senza un progetto. Noi non conosciamo nessun dato, non conosciamo neppure la strategia del Governo per reperire le fonti energetiche che permettano lo sviluppo dell'economia. Non c'è l'obiettivo dello sviluppo, figuriamoci quello delle fonti di energia!
Di fronte ad una normativa qui riportata e copiata integralmente, c'è già una sentenza della Corte costituzionale dell'8 ottobre 2003 che attribuisce tali competenze alle regioni. E qui noi l'abbiamo riproposta! Questo vuol dire riaffermare una cultura quasi di violenza, di non rispetto, oltre che dei poteri dello Stato, delle autonomie locali!
Ma questa cultura noi la troviamo anche nel cuore dell'economia di mercato. Dove è l'economia di mercato, quando la proposta è quella di mettere nelle stesse mani proprietà e gestione della rete e di privatizzare poi il gestore della rete? Ma allora dov'è il concetto di offrire a tutti la possibilità di entrare e uscire dalle reti e di acquistare l'energia dove costa meno? Questa è l'economia di concorrenza, questo
è il cuore dell'economia della concorrenza! E se non c'è la terzietà, se non c'è la garanzia che il gestore della rete sia terzo rispetto ai produttori, allora dov'è la concorrenza? Ritorniamo ad un oligopolio! Molto meglio l'ENEL pubblica, molto meglio una mano pubblica moderna che permetta la terzietà, che permetta cioè a tutti di entrare o uscire dal mercato! Questa è la cultura della destra: non permettere, se non a qualcuno, di entrare nel mercato.
Che cosa diremo alle nostre piccole e grandi imprese, quando stanno già pagando dell'energia il 40 per cento in più del suo costo? Forse le risposte sono risposte di non mercato, di una concorrenza limitata a chi produrrà le centrali. E per quale ragione, rispetto alle 26 centrali autorizzate, soltanto due sono in cantiere? Perché queste centrali non vengono costruite? Non troviamo nessuna risposta!
Manca un discorso di competitività, c'è soltanto un segnale di protezione nei confronti di coloro che vogliono investire, nei confronti del settore della produzione dell'energia elettrica. E le nostre imprese che consumano energia? E le nostre famiglie che sono arrivate a pagare il 40 per cento in più rispetto alle altre imprese europee? Dov'è una soluzione, un'indicazione strategica dello sviluppo? Viene a mancare il cuore vero della concorrenza che si era delineato in modo semplice, chiaro, modificabile e riformabile nel decreto Bersani e nel decreto Letta.
Ci sono poi altri elementi. Ad esempio, le autorizzazioni all'importazione, un altro punto essenziale di un'economia di mercato libera. Questo deve essere nelle mani dell'autorità! Cosa ci sta a fare l'autorità, se interviene nuovamente l'aspetto politico? Vi è un ministro che decide addirittura le autorizzazioni all'importazione! Un'impresa deve poter importare energia là dove costa meno, non dove decide il ministro delle attività produttive! Questa è economia di mercato, questo è liberismo, questo vuol dire avere una concezione strategica dello sviluppo dell'economia! Ma tutto questo noi non lo troviamo.
Addirittura troviamo ancora irrisolto un punto cardine del mercato, che aspettiamo da due anni e mezzo: il tema della borsa elettrica. Dove è andata a finire la borsa elettrica? Questo sì che era un elemento urgente, di accelerazione!
Anche questo non c'è: non c'è la borsa elettrica, il luogo del mercato. Effettivamente, da ciò emerge la cultura della destra che sta governando questo nostro paese e che non sta governando questo nostro paese.
Non parlo poi del problema relativo all'Unione europea e alle normative europee disattese in modo clamoroso per quanto riguarda l'inquinamento, la licenza di inquinare!
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha già condannato l'Italia per il mancato recepimento della direttiva riguardante le emissioni. Noi, nel caso di specie, diamo licenza. Perché? Forse, esiste un perché e non nascondo l'incapacità di trovare, su un piano di progettazione e di serietà, una soluzione. È sufficiente richiamare la questione legata al gas; addirittura in tema di esproprio della rete del gas, si interviene su società già quotate in borsa! Questo è il rispetto delle regole di mercato!
Stiamo, oggi, esaminando l'ennesimo provvedimento sull'energia riguardante un assetto, ma non si comprende più dove si voglia arrivare se l'obiettivo è addirittura di sanare, di correggere e di affrontare un eventuale blackout. Voi non volete porre riparo al blackout, perché sapete già che la Corte costituzionale bloccherà questo provvedimento. Lo sapete, perché lo ha già fatto! D'altra parte, la normativa che avete riproposto - non è una cosa da poco - riguarda le autorizzazioni, riguarda il rispetto delle autonomie e, in generale, una concezione emblematica - lo ripeto - della vostra idea di gestione dell'Italia.
Non siamo qui per schiacciare un pulsante, per votare si o no, per andare d'accordo o per mendicare l'approvazione di qualche proposta emendativa. Tale questione non si limita ad una piccola proposta emendativa o ad una piccola rettifica.
Nel testo sono presenti evidenti contraddizioni che qualche nostra proposta emendativa tenta di correggere.
Il gruppo della Margherita e l'opposizione in generale sono qui per risolvere le questioni non per intralciare. In due anni e mezzo, non abbiamo mai intralciato, neanche per un minuto, tutti i provvedimenti sull'energia - caotici - che sono stati esaminati! Mai un minuto! Abbiamo creato opposizione per l'opposizione. Siamo qui, ma non abbiamo ancora capito quali siano le proposte emendative strutturali per rispondere al nostro paese, alle nostre imprese e alle nostre famiglie. Nel giro di due anni e mezzo (lo dicono i fatti), avete impoverito l'Italia e le nostre famiglie hanno ancora un problema gravissimo riguardante l'energia! Ma la vostra è una risposta addirittura di noncuranza, una risposta che non prevede, in alcuna norma, se non in qualche nostra proposta emendativa, una attenzione finalizzata a portare un'economia di mercato più libera, più leale, più sincera, fuori dal controllo politico del Governo, fuori dal controllo che non ha più ragione d'esistere!
Se questa è la vostra cultura, noi non ci siamo. Se volete presentare - e ditelo - proposte emendative strutturali per evitare blackout, noi ci siamo, come sempre (lo abbiamo dimostrato). Ma voi dovete comunicarci dove volete andare, altrimenti siete come quelle barche che, dall'oceano Atlantico, arrivano nel Mediterraneo in attesa di fortuna, ma, spesso, questa fortuna non c'è, perché nessuno, in Italia, sta dirigendo una politica industriale! Ciò è emblematico di quest'ennesimo provvedimento che avete presentato con tanta urgenza (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Detomas. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, sebbene condivida pienamente quanto hanno affermato i colleghi che mi hanno preceduto, desidero intervenire su quattro emendamenti che ho presentato insieme ai colleghi della componente Minoranze linguistiche del gruppo misto. In particolare, intervengo perché tali proposte emendative sono tutte accomunate da un principio cardine: il rispetto della normativa costituzionale e statutaria riguardante la regione Trentino-Alto Adige.
Gli emendamenti che abbiamo presentato sono diretti, infatti, a rendere compatibile questo disegno di legge di conversione con la normativa costituzionale e subcostituzionale in materia di energia elettrica nella nostra regione, il Trentino-Alto Adige. Il quadro normativo al quale mi riferivo è quello stabilito con il decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 1977 (in particolare, dell'articolo 01, inserito dal decreto legislativo n. 463 del 1999) e, naturalmente, dall'articolo 117 della Costituzione, così come modificato dalla recente riforma costituzionale. Oltre a ciò, occorre tenere conto della più volte ricordata sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003.
Ebbene, tale quadro normativo fa sì che le regioni a statuto speciale, la nostra in particolare, abbiano una competenza concorrente in materia di produzione, distribuzione e trasporto di energia elettrica. Ciò impone l'introduzione di un momento di concertazione con le regioni a statuto speciale e, naturalmente, con le province autonome di Trento e Bolzano. In tale quadro di concertazione, si prevede un'intesa per giustificare la deroga al normale riparto delle competenze delineato dal nuovo titolo V della Costituzione qualora si ponga l'esigenza di un esercizio unitario delle funzioni amministrative. In particolare, il mio emendamento 1-sexies.18 è volto a salvaguardare le prerogative delle nostre province autonome riconosciute dallo statuto di autonomia e dalle norme di attuazione con riferimento, in particolare, alle competenze ordinamentali delle nostre province ed agli ambiti di esercizio del potere sostitutivo in relazione alle autorizzazioni alla costruzione ed all'esercizio di reti energetiche di competenza regionale o che ricadano nel territorio di più regioni.
Questi motivi, di carattere istituzionale oltre che politico, ci inducono a chiedere all'Assemblea attenzione e, naturalmente, l'approvazione dei nostri emendamenti. Se ciò non avverrà, ovviamente, le province autonome si troveranno nella necessità di reagire al vulnus inferto alle loro competenze, stabilite dallo statuto e dal nuovo ordinamento costituzionale. Evidentemente, la reazione consisterà nell'investire della questione la Corte costituzionale. E poiché quest'ultima si è già espressa con la citata sentenza n. 303, riteniamo che l'esito di tali iniziative appaia scontato.
Per evitare che l'articolo 1-sexies venga dichiarato incostituzionale, raccomando l'approvazione degli emendamenti da noi presentati. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Detomas.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Cialente. Ne ha facoltà.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Dell'Elce, questo decreto-legge antiblackout è figlio di un altro decreto-legge non convertito.
Quello era stato pensato quale intervento di urgenza temporaneo per prevenire il rischio di blackout nei periodi di domanda di punta, nelle ore della domanda di punta, attraverso una serie di accorgimenti temporanei, delimitati nel tempo, che alcuni colleghi richiamavano poc'anzi. Ricorderete che c'era stato un precedente, nel mese di giugno, che aveva interessato alcune aree nel nord del paese.
Questo testo è ben altra cosa perché giunge dal Senato volutamente appesantito con una serie di disposizioni che esulano completamente dalla materia di un provvedimento urgente e tampone quale quello al quale innanzi mi riferivo e che, in alcuni punti di questo disegno di legge di riordino di iniziativa del ministro Marzano (che da tempo si aggira come un fantasma per queste aule), non solo inseriscono tratti di centralismo che noi non condividiamo, ma - questa è la cosa che più preoccupa - introducono norme che, contrastando gravemente con quanto previsto in materia di potestà legislativa concorrente fra Stato e regioni (così come stabilito dal nuovo titolo V della costituzione), rischiano di compromettere il raggiungimento dell'obiettivo che il Governo dichiarava di voler perseguire, vale a dire quello di prevenire i rischi con un provvedimento d'urgenza.
Anzi, oggettivamente, con questo decreto - e credo ormai lo sappiamo tutti e temo lo sappia anche il ministro Marzano - , si introduce tutta una serie di norme, che daranno luogo ad una serie di contenziosi che ci porteranno a perdere tempo e a esporci non solo a ritardi, ma ad oggettivi rischi ulteriori di blackout. Il giorno del blackout, il 28 settembre, è stato strumentalizzato dal ministro Marzano per stoppare il processo di liberalizzazione e per tornare a restituire allo Stato e alla burocrazia centrale il controllo del settore energetico, sottraendolo soprattutto alla libera determinazione del mercato. Sono dei passi indietro inspiegabili in un paese civile ed europeo. È stata una strumentalizzazione inaccettabile.
Il ricordo di quel giorno di molti italiani - quelli che riuscirono, soprattutto in quelle aree (come quella nella quale risiedo io) nelle quali con molto ritardo tornò l'energia elettrica, a sintonizzarsi con radio a transistor con pile - credo che sia anche caratterizzato dall'indignazione per quelle che furono le dichiarazioni del ministro Marzano: un blackout figlio della scarsa capacità di generare energia; non si fanno le centrali in questo paese; colpa degli ambientalisti, colpa dei Verdi, colpa del Governo precedente; mancano le centrali e l'opposizione non me le fa fare (il mio provvedimento ha oltre 600 emendamenti che lo ostacolano). È stata una cosa semplicemente vergognosa da parte del ministro delle attività produttive, responsabile dell'energia in questo paese, senza considerare il fatto che il ministro sapeva benissimo quel giorno che al suo disegno di legge oltre la metà degli emendamenti erano stati proposti dalla sua maggioranza - ripeto, dalla sua maggioranza - e che,
soprattutto, sapeva che quel blackout nasceva dall'inefficienza e dall'improvvidenza degli strumenti predisposti dal gestore della rete. Infatti, una cosa va ripetuta sempre: quel blackout si è verificato nel momento di minima richiesta del paese di energia. Erano le 3 del mattino di una domenica autunnale, né troppo fredda né troppo calda. Il blackout è avvenuto perché le nostre centrali erano ferme in gran parte, perché la notte conviene importare energia dall'estero e fermare le nostre centrali. La verità è che siamo stati colti indifesi.
Nell'audizione in Commissione delle attività produttive il gestore della rete è venuto a spiegare e giustificare il blackout e ha addossato tutta la responsabilità al gestore svizzero, che non avrebbe inviato in tempo l'avviso del guasto, del danno che si era verificato per una caduta di un albero. Allora, colleghi, vorrei richiamare la vostra attenzione e invitarvi a considerare che il quinto o sesto paese industriale del mondo, uno dei paesi più importanti d'Europa, si è trovato a subire un blackout di quasi 20 ore, prima che tornasse energia in tutto il paese, perché è caduto un ramo di un pino su una rete in Svizzera e perché il fax, con il quale ci si avvisava del danno, è arrivato con sei ore di ritardo. Questa è la situazione di questo paese e di chi gestisce la rete. Si arriva con i fax che arrivano con sei ore di ritardo. Io proporrei al ministro di prendere in considerazione il pony express, quello che si usava nel West, o la posta del postale di qualche secolo addietro, che, a mio avviso, potrebbero arrivare più rapidamente rispetto al fax europeo.
Allora, non prendiamoci in giro; questo blackout è stato il cavallo di Troia che serviva al Ministero delle attività produttive, perché voi non vi preoccupate minimamente di proporci, rispetto all'assetto della rete, di ragionare su come riorganizzarla e compartimentarla; no, qui c'è un decreto, che chiaramente doveva servire come provvedimento d'urgenza per evitare blackout nei periodi di domanda di punta, che ha delle norme, diciamocelo, che entreranno in vigore, saranno attuate, intorno al 2007; quindi, viva la faccia dell'urgenza! Questa è una presa in giro.
Noi, Democratici di sinistra, ma tutti i gruppi parlamentari dell'Ulivo, come veniva ricordato poc'anzi dagli altri colleghi della Commissione degli altri gruppi, proprio perché siamo preoccupati di garantire una continuità e una qualità del servizio elettrico. Sin dal primo giorno in cui in Commissione è pervenuto il provvedimento, abbiamo offerto tutta - ripeto, tutta - la nostra disponibilità per concordare delle modifiche utili per raggiungere l'obiettivo posto, riservandoci anche di proporre alcuni emendamenti mirati e migliorativi, nella speranza, cari colleghi, che degli oltre 400 emendamenti proposti da voi, della maggioranza, ne poteste sfoltire qualcuno. Questo perché? Per rispettare l'impegno di permettere al Senato di affrontare in tempi utili la terza lettura del provvedimento. Ma questo, cari colleghi della maggioranza, a voi non interessava perché ci avete risposto «no», così come ci ha risposto «no» il ministro Marzano. Qui non interessa un decreto anti-blackout, ma interessa sfruttare la preoccupazione, giusta, dei cittadini italiani e dell'opinione pubblica - ricordo che il blackout ha comportato il decesso di alcuni cittadini anziani che durante la notte si sono alzati e sono caduti riportando traumi i quali, ad una certa età possono essere letali, e anche un danno economico gravissimo causato, ad esempio, al comparto del turismo e, più ancora, alla distribuzione di generi alimentari -, per sconvolgere quello che era un processo avviato dal precedente Governo di riorganizzazione del settore, soprattutto attraverso la sua liberalizzazione.
Noi ripetiamo, ancora una volta, le cose che più preoccupano in questo provvedimento. Voglio focalizzare l'attenzione su due aspetti. In primo luogo, si interviene rispetto al rapporto Stato-regioni e autonomie locali con uno scontro frontale; questo avviene anche alla luce di una sentenza della Corte costituzionale, come veniva ricordato poc'anzi dal collega Grotto, la n. 303. Voi, quindi, non sciogliete questo nodo, ma scegliete, come
detto, uno scontro frontale che sarà foriero di ulteriori ritardi perché aumenterà il contenzioso oltre ad essere un segnale chiaro di questo Governo, l'ennesimo, con buona pace dei colleghi della Lega nord Padania, di un ritorno ad un centralismo burocratico, ad un centralismo decisionale che offende le autonomie locali e le regioni. In secondo luogo, il ruolo dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas nella definizione delle tariffe e delle modalità di importazione che è uno dei problemi che sta alla base del blackout verificatosi il 28 settembre. Anche qui vi riappropriate di un ruolo riportandolo in capo al ministro Marzano, al Ministero delle attività produttive. Così non solo si va contro qualsiasi processo di liberalizzazione già avviato, ma anche ci si pone in contrasto con la direttiva europea n. 2003/55/CE. Questa è l'ennesima occasione per perdere tempo, per creare contenziosi e per rallentare qualsiasi processo.
Mi avvio a concludere, anche per non incorrere giustamente nel richiamo al rispetto dei tempi da parte del Presidente, dicendo che noi qui proponiamo alcuni emendamenti che, nel corso della discussione, saranno illustrati da altri colleghi, proprio in risposta al rischio blackout. Noi proponiamo, ad esempio, un incremento del risparmio energetico individuando la possibilità di portare nelle ore notturne, che sono le ore di minima domanda, una parte dei consumi rispetto alle ore di punta. Noi proponiamo un piano di monitoraggio e di manutenzione straordinaria della rete tenuto conto che, oltre all'impreparazione e all'imprevidenza del gestore della rete, noi disponiamo di una rete di distribuzione che, in questo momento, si presenta arretrata e con problemi di compartimentalizzazione. Occorre anche rivedere il sistema standard dei meccanismi di sicurezza. Una volta, al tempo del monopolio dell'ENEL, questi c'erano mentre oggi sono stati cancellati; ciò al fine, anche qui, di chiarire e di favorire uno scambio di informazioni in modo diverso. Io spero, al di là dei fax che tardano sei ore, che si utilizzino, dato che oggi esistono, per lo scambio di rapporti e di relazioni fra i diversi gestori nazionali, degli strumenti migliori, il tam tam o anche il telefono, magari cellulare. Occorre fissare anche un tetto non solo della quantità di energia da importare, ma anche della riserva di energia da aversi: se quella notte avessimo avuto un minimo di energia di riserva sicuramente il blackout non ci sarebbe stato. Avviare, infine, un fondo per il potenziamento delle reti di trasmissione.
Questi sono alcuni degli aspetti che erano sufficienti a prevenire il rischio di blackout e per far sì che si avesse un provvedimento che non incorresse in alcun contenzioso o in rischi di ulteriori rallentamenti.
Però, ho l'impressione che a voi interessi altro, e in tal senso condivido quanto diceva il collega Ruggeri poco fa. Abbiamo la serenità di esserci battuti e di batterci da tempo sulla questione dell'energia perché l'energia ed il suo costo sono oggi al centro della competitività delle nostre imprese, come anche del portafoglio e del bilancio delle nostre famiglie. Il problema è che si va avanti ancora una volta senza alcun disegno concreto. Sulle politiche industriali, io ritengo, sebbene non sia piacevole dirlo, che il ministro Marzano si stia caratterizzando per assoluta confusione di idee e totale inadeguatezza. I dati che arrivano quotidianamente, ormai da qualsiasi istituto di statistica, da ultimo quelli pervenuti in data odierna, ci indicano come questo paese si stia impoverendo, e venga quotidianamente perdendo anche parte del suo orgoglio e delle sue aspettative. Questo decreto è un'ulteriore occasione perduta, e fonte di altra e grande preoccupazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, ho letto qualche minuto fa notizie da una agenzia di stampa a proposito nell'imminenza del rinnovo dei vertici dell'authority
per l'energia, per cui ritengo siano già in atto le grandi manovre per l'occupazione di questa postazione importante, in un settore estremamente delicato. Mi sembra che il ministro Marzano abbia già incominciato a indicare alcuni nominativi su cui io non esprimerò giudizi. So soltanto che il ruolo e le funzioni di questa Autorità sono tali che occorrono personalità di grande indipendenza e prestigio, guai a noi se ci trovassimo dinanzi all'ennesimo caso di spoils system. Siamo infatti convinti che quello dell'energia resti, nel nostro paese, un problema di primaria grandezza, non affrontato da questo Governo in maniera adeguata. E il decreto in conversione ne è la prova; vi è tanta confusione perché al Senato si è preferito scegliere un'altra strada, ovviamente con il consenso, anzi la volontà, del ministro Marzano, quella di estrapolare alcune parti significative del suo progetto di riforma e di inserirle nel testo del provvedimento in conversione. Ciò è avvenuto su consiglio del ministro delle attività produttive ma, formalmente, con proposte emendative presentate dai gruppi di maggioranza.
È un modo di procedere che la dice lunga, mentre, sul tema dell'energia, l'opposizione aveva dimostrato e dichiarato più volte la sua volontà di definire un confronto reale, di merito. Si è preferito non farlo con la scusa dei tempi; si è imposta un'accelerazione alla conversione di questo decreto-legge al Senato e qui alla Camera dei deputati - nonostante, ripeto, la dichiarata volontà di tutti i componenti della Commissione competente dell'Ulivo -, si è rifiutato tale confronto, tanto è che i colleghi dell'opposizione sono stati costretti ad abbandonare i lavori della Commissione stessa. Gli emendamenti sono stati ora riproposti; noi ci auguriamo ci sia almeno un ripensamento e che vengano accolti almeno quelli a nostro parere più rilevanti, più significativi. Lo dico al sottosegretario Dell'Elce perché egli, ieri, in occasione della discussione sulle linee generali del provvedimento, ha potuto osservare come lo stesso relatore, l'onorevole Saglia, abbia evidenziato la necessità di migliorare comunque il provvedimento in esame, magari con la successiva adozione di un altro decreto.
Allora, anziché rinviare al dopo, cogliamo l'occasione ed accettiamo gli emendamenti che effettivamente sono migliorativi. Lo stesso rappresentante della Lega nord Padania ha dovuto dare atto a noi dell'opposizione che nelle nostre proposte emendative non vi era un intento ostruzionistico, ma semplicemente un intento positivo, quello di non sfuggire al confronto sui problemi. Credo che da parte del ministro si sia tentato, invece, di dare una frettolosa risposta per tranquillizzare i cittadini italiani scioccati dal blackout che si è registrato il 28 settembre.
In maniera molto improvvida su questo blackout si sono dette cose davvero risibili. Si è finanche voluta attribuire la responsabilità a situazioni ed a casi particolari. Mi riferisco a quel comunello della Basilicata, Rapolla, attraverso il cui abitato dovrebbe passare l'elettrodotto Matera-Santa Sofia. Voglio dirlo: vi è consapevolezza nei cittadini di quel comprensorio, dei comuni di Rapolla, di Melfi, di Barile, interessati a quell'importante elettrodotto, che si tratta di una infrastruttura importante, finalizzata a dotare delle energie necessarie regioni come la Campania, la Puglia oltre che la Basilicata. Lo ripeto: in quei cittadini vi è la piena consapevolezza dell'importanza dell'energia perché è la base per lo sviluppo. Tuttavia, vivaddio, non si può dire che la mancata realizzazione di quell'elettrodotto sia stata la causa o una delle concause che ha determinato il blackout. Diciamolo a chiare lettere: il blackout si è verificato perché vi è una assoluta incapacità da parte del gestore della rete. Non vi è, quindi, una carenza di energia in quanto tale, perché i dati evidenziati ufficialmente parlano di una sufficiente produzione di energia elettrica in questo paese. Anche se avessimo avuto altre mille centrali, il blackout vi sarebbe stato perché è il sistema di gestione che non ha funzionato. La prima responsabilità va attribuita a chi ne detiene il potere e si tratta di un uomo nominato da voi. Ma non voglio personalizzare,
sarebbe davvero molto antipatico. La responsabilità principale è del Governo che non ha le idee chiare.
Anche per quanto riguarda lo sviluppo delle energie alternative dalle fonti rinnovabili, non mi pare che si prevedano progressi in questa direzione, se si vuole ritornare alle vecchie pratiche di costruzione o di ammodernamento di centrali che ormai andrebbero completamente dismesse. Infatti, alcune non possono essere riattivate se non in una situazione d'emergenza. Dobbiamo tenere presente che lo sviluppo del settore energetico deve essere comunque compatibile con la tutela dell'ambiente che deve essere una costante delle nostre politiche; altrimenti, il nostro bel paese rischia davvero di essere deturpato.
L'altro giorno mi sono recato per caso in Molise e, parlando con alcuni cittadini di quella bella regione, ho scoperto che vi sarebbe l'intenzione di realizzare una centrale a Termoli, sul mare. Ma è possibile? È una domanda inquietante che mi sono posto e che pongo al Parlamento. Su queste cose il ministro Marzano dovrebbe venire a rendere conto in Parlamento e confrontarsi. Infatti, se è necessario costruire nuove centrali tecnologicamente più sicure e meno inquinanti, occorre vedere anche dove localizzarle. Infatti, non possiamo sacrificare le parti più belle del nostro territorio all'esigenza, pur necessaria, di aumentare l'energia, che - lo ripeto - è comunque sufficiente al nostro paese.
La strada da seguire è, invece, un'altra: quella del risparmio energetico, del sostegno alla produzione di energia da fonti alternative e non inquinanti.
Non voglio dilungarmi, ma un grande paese come il nostro - c'è chi lo definisce il quinto o il sesto tra i paesi più industrializzati - non può venirsi a trovare nella situazione in cui si è trovato il 28 settembre scorso: al buio totale per oltre 20 ore!
Non si può sfuggire alle responsabilità perché, se si verifica una situazione di questo tipo e per tanto tempo, certamente le responsabilità vi sono. Tali responsabilità sono di chi gestisce la rete del nostro paese e, ovviamente, in ultima analisi, anche di chi detiene il potere politico del settore: il Governo ed il ministro competente (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Frigato, che aveva chiesto di parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
GONARIO NIEDDU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GONARIO NIEDDU. Signor Presidente, intervengo per porre una questione importante. Il Comitato dei nove ha esaminato il provvedimento e gli emendamenti ad esso presentati in assenza di un parere importante: quello della Commissione bilancio. A questo punto, tale parere è stato espresso e credo sia importante che il Comitato dei nove valuti nuovamente l'intero provvedimento alla luce di tale parere che, tra l'altro, mi pare molto interessante.
PRESIDENTE. Onorevole Nieddu, mi si dice che il parere della Commissione bilancio è stato espresso. Se lei desidera un supplemento di valutazione può chiederlo, poi deciderete se farlo o meno. Io pongo il problema alla Commissione.
Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione...
PIERO RUZZANTE. Presidente, non si può chiedere al relatore di esprimere il parere se l'onorevole Nieddu ha chiesto la riunione del Comitato dei nove!
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, il collega Nieddu aveva chiesto di valutare l'opportunità di concedere il tempo necessario per la riunione
del Comitato dei nove. Formalmente, si tratta di una questione che spetta a lei per quanto riguarda i tempi...
PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, l'onorevole Nieddu aveva detto che non era stato espresso il parere della Commissione bilancio. Allora, ho detto che se il parere non è sufficiente si può integrare...
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Il parere è espresso in base all'articolo 81 della Costituzione. Il richiamo è tale per cui credo si debba chiedere al relatore ed al presidente della Commissione di riunire il Comitato dei nove per una valutazione complessiva sulla disponibilità di intervenire sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. La ringrazio di questa ulteriore precisazione.
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Signor Presidente, ovviamente non ho difficoltà a convocare il Comitato dei nove. Però, mi pare che, allo stato, debba essere responsabilità del Governo dire come si intenda procedere.
In questo decreto-legge ci sono alcuni punti, sui quali è ragionevole pensare che il percorso parlamentare possa essere ulteriormente irto di difficoltà; in particolare, la decisione assunta dalla Commissione bilancio sui bacini imbriferi montani e il problema relativo al pronunciamento della Corte costituzionale in applicazione del nuovo articolo 117 della Costituzione, che fa riguardo all'intesa necessaria con le regioni. Inoltre, il punto relativo agli indirizzi che il ministro delle attività produttive dovrebbe dare a società quotate, o quotande, in borsa appare in contrasto con le esigenze di trasparenza del mercato.
Questi sono punti sui quali la Commissione si è a lungo interrogata e si dovrebbe ragionevolmente procedere ad una loro correzione. Ciò che viene contrapposto si riferisce ai tempi per la conversione in legge del decreto-legge che, come noto, non possono andare oltre al 28 ottobre. Ora, io non conosco le procedure con le quali il Senato si organizzerà nelle prossime ore; non compete a me decidere su questo e sono rispettoso del ruolo dell'altro ramo del Parlamento, però questo è il punto e questa è la responsabilità che deve assumersi il Governo che, peraltro, è presente in questo momento nell'altro ramo del Parlamento per lo svolgimento, in Commissione, della discussione sulle linee generali del disegno di legge finanziaria.
ANTONIO MARZANO, Ministro delle attività produttive. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARZANO, Ministro delle attività produttive. La ringrazio, Presidente, di avermi dato la parola. Sono accorso qui alla Camera, perché ho avuto notizia di alcune perplessità che si sono manifestate nel corso dell'esame di questo provvedimento.
Onorevoli colleghi, mi pare anche superfluo ricordare lo sfondo sulla base del quale il Governo ha dovuto assumere la decisione di adottare un provvedimento d'urgenza, come è un decreto-legge. Siamo reduci da pochi giorni da un blackout - del quale saranno accertate le responsabilità attraverso una commissione di indagine che ho istituito; anche altri hanno preso questa iniziativa - che ha creato una situazione di grave disagio ai nostri concittadini. Ma, ancor più del blackout da ultimo accaduto - che pare sia stato dovuto ad incidenti specifici (ma vedremo poi le risultanze della commissione di indagine) -, siamo reduci da un'estate, nel corso della quale abbiamo continuamente corso il rischio di blackout, che è stato possibile evitare solo attraverso una politica quotidiana di monitoraggio e attraverso sospensioni programmate della somministrazione di energia elettrica, che hanno sicuramente comportato un costo per il nostro sistema produttivo.
Questo è lo sfondo sul quale si pone oggi il problema. La questione, in altre parole, è molto semplice: si tratta di ridurre drasticamente il rischio di blackout nel nostro paese. Si tratta, cioè, di dare una risposta ai nostri concittadini, i quali sono passati attraverso quella esperienza e ai quali sarebbe difficile domani dire che non è stato fatto tutto il possibile per evitare che quella esperienza si ripeta.
Ho interpellato ancora il Presidente del Senato, così come avevo fatto prima di recarmi in Commissione attività produttive qualche giorno fa. Il Presidente del Senato mi conferma che non c'è spazio al Senato per tornare a votare su questo decreto-legge, in modo che esso non decada, come inevitabilmente accadrebbe il 28 prossimo venturo.
Credo - anzi sono sicuro - sia possibile introdurre nell'altro disegno di legge di riordino del mercato energetico quelle modifiche che si ritenessero necessarie ma che, apportate a questo decreto-legge, lo colpirebbero a morte, in quanto al Senato non c'è spazio per votare in tempo questo provvedimento. Il Presidente del Senato - ripeto - mi ha detto che, nelle condizioni in cui versa attualmente l'altro ramo del Parlamento in considerazione delle proprie calendarizzazioni, non vi è spazio per riesaminare questo problema. D'altra parte, vi confermo la disponibilità da parte del Governo di recare modifiche ritenute indispensabili, quindi non stravolgenti, al disegno di legge sul riordino del settore.
Questo è un problema sul quale rivolgo un appello ad un atteggiamento bipartisan ed è un appello conforme a quanto enunciato dal Capo dello Stato in occasione di quel blackout. Non si tratta di un problema che riguarda una parte politica più di un'altra, è un problema del paese! Occorre decidere in conformità agli interessi del paese, tenendo conto che, oggi con questo Governo e domani qualunque sia l'esecutivo, sarebbe un problema di comune interesse.
Se non convertiamo rapidamente questo decreto-legge, il rischio di blackout aumenta nuovamente e, di fronte a ciò, ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Io, nella mia responsabilità di ministro delle attività produttive, vi chiedo un atteggiamento bipartisan nell'interesse del paese e mi impegno ad apportare le modifiche che si ritenessero indispensabili, purché non stravolgenti, al disegno di legge sul riordino dell'intero comparto (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
ENRICO LETTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENRICO LETTA. Signor Presidente, abbiamo ascoltato l'intervento del presidente della Commissione e del ministro e, molto sommessamente, intendo far rilevare all'Assemblea, alla Commissione e al Governo due particolari che, a mio avviso, dovrebbero essere tenuti in considerazione per aiutare tutti a prendere, oggi pomeriggio, le decisioni migliori.
Da parte nostra - e penso di parlare estesamente su questo tema, ma non ce n'è bisogno - vi è la chiara assunzione della responsabilità di non voler creare alcuna forma di intoppo rispetto a norme utili per far uscire il nostro paese dalla difficoltà nella quale si è trovato.
Quindi, intendo recepire l'appello testé svolto dal ministro Marzano, che ritengo utile e motivato. A questo appello - proprio perché lo condividiamo - voglio però far seguire due valutazioni molto semplici. La prima riguarda il fatto che, se la Commissione bilancio di questa Camera - evidentemente non a maggioranza di centrosinistra, ma con una votazione che ha coinvolto ben altre maggioranze - ha individuato l'esistenza di un problema nel provvedimento, siamo portati a ritenere che lo stesso potrebbe inficiare l'intero decreto. Ciò in quanto tale problema riguarda la copertura, cioè la firma successiva e dunque elementi che potrebbero bloccare il provvedimento molto più di quanto capiti adesso.
La seconda questione riguarda un palese problema di costituzionalità, che è stato evidenziato in modo soft ma abbastanza chiaro dall'intervento del presidente
Tabacci, e che rischia seriamente anch'esso di bloccare l'iter del provvedimento.
Pertanto, vorrei chiedere alla Commissione e al Governo se fosse possibile accettare una sospensione, per consentire una discussione di quindici minuti nel Comitato dei nove. Sono infatti convinto che una discussione in tale sede chiarirebbe che da parte nostra non c'è alcuna volontà ostruzionistica, c'è semplicemente la volontà di far sì che questo decreto sia operativo. Mi rivolgo al ministro: quale soddisfazione avrebbe a far passare oggi, o domani, o doman l'altro, il decreto, per vederlo poi non firmato, o bloccato dalla Corte costituzionale? Credo che tutti ne avremmo un grave danno.
Ritengo debba essere verificata la possibilità - e su questo da parte nostra ci può essere un impegno - che il secondo passaggio al Senato sia un passaggio rapidissimo, di semplice ratifica, e di trovare un punto di intesa nel Comitato dei nove.
Credo pertanto che una sospensione di quindici minuti per valutare tali elementi sarebbe positiva per tutti. Se invece vi è la volontà di andare avanti e di tirare dritto, credo che le responsabilità di un eventuale blocco del provvedimento non sarebbero da assegnare all'opposizione, ma sarebbero da assegnare a una cattiva gestione di una vicenda rispetto alla quale, negli interventi svolti in precedenza, è stato chiaramente individuato il problema che rischia, se il Governo intende andare avanti, di bloccare il provvedimento stesso immediatamente dopo l'approvazione.
Credo che la nostra offerta sia molto utile a far sì che questa vicenda possa sbloccarsi positivamente. Mi auguro che il Governo presti la necessaria attenzione a tale proposta.
SERGIO GAMBINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SERGIO GAMBINI. Intendo insistere anche da parte mia sull'esigenza che avvertiamo di poter riflettere, in sede di Commissione attività produttive, rispetto alle novità che si sono prodotte in queste ore. Vorrei che il ministro prestasse attenzione nei nostri confronti, in quanto abbiano intrecciato, nel corso dell'esame del decreto da parte della Commissione, un ragionamento sull'opportunità di alcuni cambiamenti, riconosciuti in taluni casi come necessari da parte della stessa maggioranza.
Circa quindici giorni fa abbiamo avanzato la prima proposta di accelerare l'approvazione del decreto, ma di affrontare alcuni di questi cambiamenti. Ci è stato detto che non era necessario. Il ministro è tornato in Commissione la scorsa settimana, di fronte alla nostra nuova disponibilità ad accelerare la discussione ed approvazione del decreto, purché si prendessero in considerazione le proposte di modifica da noi avanzate. Ancora una volta, ci ha risposto che non riteneva possibile e necessario tale passaggio. Il punto è che, nel frattempo, alcune novità sono intervenute. Nel corso della discussione che abbiamo svolto in Commissione, da parte dei rappresentanti del Governo e segnatamente del sottosegretario Magri, ci è stato riferito che il parere del Ministero dell'economia e delle finanze sarebbe stato in grado di superare le perplessità avanzate dalla Commissione bilancio. Sulla base di tale affidamento si è poi proceduto nel lavoro della Commissione, e si è deciso di non investire il Senato per accelerare i tempi dell'approvazione anche nell'altro ramo del Parlamento.
Tuttavia, i chiarimenti del Ministero dell'economia e delle finanze non sono sufficienti alla Commissione bilancio, e viene ribadito il parere che fa riferimento all'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, e perciò viene posta in radicale discussione la possibilità che il decreto venga emanato.
Signor ministro, che senso ha insistere su questa strada, vale a dire quella di voler approvare per forza il provvedimento, quando vi è un'altissima probabilità che esso non venga mai promulgato e quando vi è, invece, la disponibilità da parte dell'opposizione di accelerarne l'iter di approvazione in questa Camera e di garantire
ciò anche al Senato? Le sarà, forse, pervenuto il documento sottoscritto dai presidenti di gruppo in Commissione attività produttive, dei Democratici di sinistra, della Margherita e dei Verdi, che si impegnano a garantire un iter accelerato al Senato, consentendo l'approvazione del provvedimento entro i termini necessari per evitarne la decadenza.
A questo punto, crediamo sia davvero ragionevole - prima di tutto, ragionevole - ottenere una convocazione immediata del Comitato dei nove, per poter esaminare il nuovo quadro di riferimento.
ALFONSO GIANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, penso che una sospensione di un quarto d'ora per la riunione del Comitato dei nove non si dovrebbe negare a nessuno, come la fatidica croce del cavaliere o il sigaro; anzi, per parte mia, abbonderei nel tempo, consentendo un'intera notte di riflessione, così ci liberano dall'ansia per questo «votum interruptum» - non sappiamo se votare o meno - e diamo continuità ai nostri lavori. Debbo, però, dire al ministro Marzano - ma non pretendo che mi ascolti - che, per parte nostra...
PRESIDENTE. Marzano è lì assediato da un gruppo di colleghi. Però, forse...
ALFONSO GIANNI. Presidente, non è un problema. Il ministro leggerà, se vorrà.
Volevo semplicemente dire che la richiesta di un atteggiamento bipartisan è inaccettabile da parte nostra, non fosse altro per il motivo che in quest'aula non esistono soltanto il Polo e l'Ulivo. Esiste anche Rifondazione comunista.
Quindi, se il ministro Marzano avesse chiesto un accordo «tri-partisan», forse avremmo potuto anche essere interessati. Così, ne siamo esclusi in partenza, ma per una ragione di carattere più strutturale. È vero che il problema è, in ogni caso, comune, ma, come abbiamo cercato di dire in sede di discussione sulle linee generali e come si è detto nel dibattito odierno, le soluzioni divergono grandemente: tra l'ipotesi contenuta nel decreto-legge e l'ipotesi di stabilire una continuità di servizio minimo ce ne passa. Evidentemente, non si può invocare una problematicità comune, per nascondere una soluzione completamente diversa. Se la diagnosi ha un qualche punto di comunanza, le terapie divergono radicalmente. Quindi, non si può invocare un accordo da questo punto di vista.
Per quanto riguarda il Senato, anche in relazione a quanto detto prima, tutti gli accordi e tutte le intese politico-istituzionali che si stringono in quel ramo del Parlamento sono leciti - a seconda del merito, naturalmente - ma riguardano quel ramo del Parlamento. Non possono essere invocati, in nessun caso, né da destra né da sinistra, né per bloccare né per accelerare il nostro lavoro. Il senso di responsabilità che abbiamo non deriva dalla tutela superiore del Senato, e viceversa. Esso deriva semplicemente dal merito del provvedimento al nostro esame.
Quindi, va bene l'interruzione - più lunga è, più saggezza comporterà -, fermo restando che non si sentiamo obbligati da nessun accordo, né bipartisan né «tri-partisan». Quest'ultimo non ci è stato proposto, benché sarebbe stato più logico farlo, dal suo punto di vista.
STEFANO SAGLIA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANO SAGLIA, Relatore. Signor Presidente, credo sia opportuno, a questo punto, aderire alla richiesta che è stata avanzata. Pertanto, le chiediamo la possibilità di sospendere per un quarto d'ora, per convocare il Comitato dei nove e verificare le possibilità di confronto.
PRESIDENTE. A questo punto, sospenderei per mezz'ora, perché è in corso l'Ufficio di Presidenza. Mentre voi vi consultate, gradirei avere il tempo di prendervi parte.
Pertanto, ci rivediamo tra mezz'ora.
La seduta, sospesa alle 18,30, è ripresa alle 19,05.
PRESIDENTE. Prego il relatore di riferire in ordine agli esiti della riunione del Comitato dei nove.
STEFANO SAGLIA, Relatore. Signor Presidente, anzitutto sottolineo il fatto che va espresso un apprezzamento nei confronti dei gruppi parlamentari, in particolare quelli dell'opposizione, che hanno ritenuto opportuno approfondire alcuni aspetti e confermare la loro disponibilità ad un confronto, che purtroppo non si può costruire in questo momento in quanto, come ha confermato il ministro alla Commissione attività produttive, vista la necessità di convertire il decreto-legge, non ci sono i tempi per un ulteriore passaggio al Senato.
Tuttavia, vi è un aspetto importante, ossia l'elemento che ha portato a questa discussione, quello relativo all'osservazione della Commissione bilancio su cui credo che la Presidenza potrebbe autorizzare l'intervento del sottosegretario all'economia e alle finanze per sciogliere questo nodo.
Pertanto, per quanto attiene al relatore, si può procedere con le votazioni.
PRESIDENTE. Chiedo al rappresentante del Governo per la parte di sua competenza di esprimere quanto ritiene opportuno.
GIANLUIGI MAGRI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, intervengo per motivare quella che sostanzialmente è una modifica di un parere espresso sul provvedimento, dal momento che ulteriori esami da parte della ragioneria generale dello Stato inducono ad una valutazione sull'assenza di profili di onerosità della norma in oggetto.
In particolare, vorrei in breve riassumere concettualmente quello che è l'argomento del contendere. Questo nasce da un accordo tra ENEL e comuni dei cosiddetti bacini imbriferi sui canoni che non vennero a suo tempo pagati in quanto ritenuti eccessivamente onerosi da parte dell'ENEL. In seguito, si ebbe con il CISPEL la ratifica di un ulteriore accordo di riduzione di questi canoni che però non venne ritenuto soddisfacente. In sostanza, si è giunti nell'estate di quest'anno ad una composizione tra i due contraenti in cui si è nuovamente verificata l'onerosità del contratto. Pertanto, non si può ritenere che in questo caso ci sia una situazione di riduzione delle entrate per quanto riguarda la rideterminazione del sovracanone, in quanto il canone precedentemente concordato era stato oggetto di immediata contestazione e sostanzialmente non era mai entrata in funzione la soluzione che era stata in quel primo provvedimento preventivata.
Quindi, il provvedimento in oggetto è privo di conseguenze concrete sulle entrate da parte dei comuni e sotto questo punto di vista, anche mettendo agli atti questa comunicazione proveniente dal ragioniere generale dello Stato, possiamo dire senza ombra di dubbio che nella sostanza i termini di legge sono così rispettati.
PRESIDENTE. A questo punto chiedo al presidente del Comitato pareri della Commissione bilancio, onorevole Giudice, se alla luce delle dichiarazioni del sottosegretario Magri ritenga di dovere convocare la riunione del Comitato pareri per una nuova formulazione del parere espresso.
È, infatti, sulla base di ciò che si modifica il parere, altrimenti il parere è tel quel, come dicono i francesi, vale a dire tale e quale a quello già espresso. Se vi è la richiesta di rivederlo, dopo le considerazioni che il sottosegretario, nella sua responsabilità, ha espresso, ce lo dica il collega Giudice.
GASPARE GIUDICE, Presidente del comitato pareri della V Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE, Presidente del comitato pareri della V Commissione. Signor Presidente, credo che l'Assemblea, nella sua sovranità, possa continuare ad andare avanti. Per quanto riguarda il parere espresso dal sottosegretario Magri, vi è formalmente la necessità di convocare il Comitato pareri per la riformulazione, a meno che l'Assemblea non ritenga di procedere nell'esame del provvedimento perché, nella sua sovranità, potrà certamente decidere, prescindendo da tale parere.
In ogni modo, se si desidera l'espressione del parere, occorre convocare il Comitato pareri.
PRESIDENTE. La Camera, nella sua sovranità, può procedere nei suoi lavori, ma il parere resta quello contrario come, allo stato, risulta dagli atti della Camera. Pertanto, si può procedere con l'espressione dei pareri sugli emendamenti presentati. Invito, pertanto, il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
STEFANO SAGLIA, Relatore. Signor Presidente, credo che le precisazioni del sottosegretario abbiano chiarito la questione e, pertanto, penso che l'Assemblea possa con tranquillità procedere nell'esame del provvedimento.
Per quanto riguarda il parere sugli emendamenti, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate.
PRESIDENTE. Il Governo?
GIOVANNI DELL'ELCE, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Alfonso Gianni 1.1 e Realacci 1.3, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
ANTONIO BOCCIA. Presidente!
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 397
Maggioranza 199
Hanno votato sì 180
Hanno votato no 217).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Vernetti 1.4.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, credo che nel provvedimento in esame di tutto si parli, almeno nel 90 per cento dei casi, fuorché delle misure necessarie ad intervenire per evitare i blackout della fattispecie che abbiamo avuto modo di conoscere nel nostro paese, vale a dire i blackout nelle ore di punta estive ed i blackout notturni, domenicali, nelle ore caratterizzate da una bassa domanda. Sono due casi differenti.
Il ministro Marzano ha affermato che sussistono alcune ragioni, sollevate dall'Ulivo e dai gruppi dell'opposizione, con riferimento all'inserimento nel suddetto provvedimento del 90 per cento di norme che sono state importate dal cosiddetto disegno di legge Marzano che è stato licenziato da questa Assemblea e che è in discussione al Senato per la votazione.
Naturalmente sono state inserite anche altre norme che con il blackout non c'entrano, così come altre norme «importate» dal disegno di legge Marzano, quale la privatizzazione del dispacciamento e del soggetto gestore delle reti. Sono state inserite altre norme, come quella di cui ci ha riferito ultimamente il sottosegretario Magri e che è stata oggetto di un parere netto e chiaro, che abbiamo potuto ascoltare in quest'aula, da parte della Commissione bilancio.
È stata introdotta una norma che in realtà viene considerata non sufficientemente coperta dal punto vista finanziario e quindi il rinvio all'articolo 81 della Costituzione non consentirà al Presidente della Repubblica di firmare questo decreto-legge una volta che noi lo adottassimo in queste giornate.
Il risultato è che anziché intervenire sul rischio di blackout, anche attraverso quelle poche norme che trattano della materia in questo provvedimento, ed alcune vi sono, come quelle che riguardano l'aumento della temperatura dell'acqua per innalzare il livello della produzione e per sostenerla nelle ore di punta, siamo invece di fronte ad una situazione che dovrebbe essere risolta attraverso una presa d'atto da parte del ministro. Occorre infatti celermente procedere alla revisione di questa parte, come di altre parti del decreto-legge, in modo tale che il Senato possa discutere rapidamente, convertendolo entro la data del 28 ottobre.
Credo che, se non si interviene su questi aspetti, ovvero su quelli che riguardano il parere della Commissione bilancio in ordine all'articolo 81 della Costituzione, se non si interviene rivedendo quelle norme contenute nel provvedimento che mettono in mora il ruolo delle regioni e della legislazione concorrente per quanto concerne la parte che qui è stata «portata» dal disegno di legge Marzano, relativa all'intervento «sblocca reti» o a quello «sblocca centrali», se non si interviene dunque per evitare una privatizzazione non controllata, che inciderà quindi negativamente sulle possibilità di blackout nei prossimi mesi, se non si interviene sul fatto che all'Autorità per l'energia viene sottratto il potere, ricentralizzandolo, contro la normativa europea, in capo al Ministero delle attività produttive, per quanto riguarda la definizione delle modalità e delle tariffe che riguardano l'energia importata, vi saranno ricadute negative sulla possibilità di intervenire anche in ordine al blackout.
Eliminiamo dunque una norma, quella di cui ha parlato la Commissione bilancio, che nulla ha a che fare con il blackout, come quella relativa al sovracanone per l'uso idroelettrico dei pompaggi da dare ai comuni, che non attiene al rischio urgente di intervento sul mercato? Semmai, i pompaggi dovevano essere «staccati» il 28 settembre, quando qualcuno ha dormito ed ha impedito che intervenissero per garantire che venisse immessa nella rete l'energia necessaria per fare entrare in funzione la riserva strategica.
Alcune centrali che andavano al minimo invece non sono potute intervenire: lo ha detto il gestore della rete nazionale. Guardate: la possibilità di intervenire nell'emergenza non richiede un decreto-legge ulteriore, perché è già scritto nelle norme del provvedimento Bersani ed in quelle di intervento per quanto concerne il livello tecnico che devono seguire le aziende produttrici, il dispacciatore di energia ed il responsabile della rete. Da questo punto di vista mi si lasci dire che sarebbe opportuno un gesto di maggiore responsabilità da parte del Governo ed anche della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.
GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, come ha già ricordato il collega Quartiani, noi qui rischiamo di votare e di discutere tutto meno che un decreto antiblackout. Ci saremmo attesi, da parte del Governo, un'assunzione chiara di responsabilità e abbiamo anche dato la nostra piena disponibilità al confronto e alla collaborazione, se necessario, per risolvere un problema che ha caratteristiche di emergenza nazionale. In questo decreto-legge sono stati inseriti numerosi articoli del cosiddetto disegno di legge Marzano di riforma dell'energia che c'entrano anche marginalmente con il blackout e non sono invece stati affrontati alcuni aspetti per noi determinanti.
Gli emendamenti - tra cui l'emendamento Vernetti 1.4 da noi presentato, ma anche i successivi - introducono un tema che tutti i paesi europei e gli Stati americani
- a cominciare dalla California, dopo il grave blackout del 2000 - hanno affrontato: per risolvere il deficit di energia elettrica essi hanno considerato come una delle politiche strutturali le azioni e le iniziative nel campo del risparmio energetico, dell'efficienza energetica, dell'investimento e dello sviluppo di nuove tecnologie di fonti rinnovabili. Soltanto con l'efficienza energetica, nei due anni successivi al blackout californiano, quello Stato ha ottenuto una riduzione dei consumi dell'ordine del 10 per cento, equivalente alla costruzione di tre nuove centrali da 2.000 megawatt, mentre oggi constatiamo l'assenza, in questo decreto-legge, di politiche attive nel campo del risparmio, dello sviluppo delle energie rinnovabili. Ma è possibile che circa un anno fa questo Parlamento abbia votato la ratifica del protocollo di Kyoto, mentre nel disegno di legge Marzano e ancora in questo decreto-legge non si trovi traccia di un riscontro concreto di quegli impegni assunti dal nostro paese in sede internazionale? Noi crediamo che anche le politiche attive di risparmio energetico, di uso razionale dell'energia, le politiche per incentivare l'efficienza energetica degli usi finali e la diversificazione delle fonti siano - certo non da sole - una delle condizioni per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti.
Per questa ragione noi oggi riteniamo poco responsabile da parte del Governo indurci su questa strada che è scarsamente innovativa e che non va a risolvere alla radice i problemi denunciati, problemi che tutti i cittadini italiani hanno toccato con mano nei giorni del blackout.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Signor Presidente, noi Verdi abbiamo espresso fin dall'inizio un parere molto pesante su questo decreto-legge, che il Governo ha cercato di portare a casa rapidamente dopo la magra figura che il Governo stesso e il gestore hanno fatto in Italia con il blackout di fine settembre. L'abbiamo fatto a ragion veduta perché, da una parte, questo provvedimento si è sempre più gonfiato ed ha anticipato una parte dell'iter ordinario del disegno di legge Marzano che la Camera ha licenziato e che ora è al Senato (già allora licenziato da noi con voto negativo); dall'altra parte, esso partiva da presupposti che sono stati giocati nella crisi di siccità del nord - del Po in particolare - e ripetuti in questo decreto, cioè che si sarebbe recuperata l'inefficienza energetica del nostro sistema attraverso due azioni: liberalizzare gli attacchi all'ambiente attraverso l'acqua di scarico delle centrali, la cui temperatura veniva aumentata; dall'altro, c'era la possibilità di superare i limiti, nazionali ed europei, delle emissioni in aria delle centrali.
Abbiamo assistito, infine, a questo grande dibattito, di altissimo livello scientifico e culturale, sul rilancio del nucleare, spinto dalla lobby del nucleare, a cui anche il ministro ha partecipato molto convintamente, in modo molto ridicolo dopo il blackout. Tutti sanno che il rilancio del nucleare non è assolutamente possibile; è notizia di oggi che anche gli Stati Uniti lo stanno disincentivando, ci sono un sacco di problemi, non c'è una tecnologia sicura da nessuna parte.
Meno male che siamo usciti con il referendum che noi Verdi, insieme ad altre forze politiche, nella prima legislatura in cui eravamo presenti in Parlamento, abbiamo proposto.
Dopo quel referendum, in occasione del quale gli italiani hanno chiaramente indicato quale dovesse essere la politica energetica, sono accaduti determinati fatti. Tuttavia, allora, avevamo spinto sull'uso razionale dell'energia e sulle energie rinnovabili. Ora, anche gli altri paesi che stanno ponendo in discussione il nucleare, tra cui gli Stati Uniti (lo ricordava precedentemente l'onorevole Vernetti), spingono in tal senso perché, effettivamente, è la via da intraprendere per attuare una politica energetica seria, oltre, ovviamente, alla capacità di gestire una rete. Infatti, il ministro, né allora né adesso che viene a chiedere un patto per far andare avanti
questo provvedimento che non ha le gambe, poiché non ha il finanziamento, ha spiegato i motivi che hanno determinato il blackout. Qualcuno di noi ha chiesto una indagine parlamentare. È stato affermato che il ministro avrebbe svolto tale indagine. Ma, colleghi, non sappiamo ancora per quale motivo vi è stato in Italia il gravissimo blackout.
In tale situazione, con l'aggravante che siamo a conoscenza del problema che pone questo decreto-legge dopo il parere della Commissione bilancio rispetto all'articolo 81, credo che non sia assolutamente possibile accettare che l'iter di questo decreto-legge proceda né tantomeno patteggiare, come magari qualcuno di buona volontà della mia parte ha tentato di fare, per responsabilità con questo Governo una via di uscita su questo decreto-legge.
Crediamo che l'esame di questo decreto-legge non debba andare avanti. Stiamo facendo una pagliacciata, esaminando, proposta emendativa dopo proposta emendativa, tale provvedimento in questa situazione.
Presidente, se procediamo in questo modo, certamente possiamo spiegare le nostre ragioni, ma, probabilmente, non parteciperemo al voto finale sulla conversione in legge del decreto-legge, perché riteniamo assurdo che si proceda con questa logica.
Il Governo deve cambiare totalmente rotta rispetto alla politica energetica e spiegarci perché ha fallito con quel vergognoso blackout (aveva dichiarato che non sarebbe mai successo). E poi si parla ancora! Ma in queste situazioni, con questa confusione che emerge anche rispetto ai finanziamenti e che dimostra, anche su questo punto, l'inefficienza del Governo, credo non sia serio, colleghi, andare avanti con questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Vernetti 1.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 423
Maggioranza 212
Hanno votato sì 188
Hanno votato no 235).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Realacci 1.5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, intervengo per sostenere l'emendamento in esame e le altre proposte emendative presentate dai colleghi dell'opposizione che cercano di riscrivere l'articolo 1 del decreto-legge di cui stiamo discutendo la conversione in legge.
Ritengo che all'articolo 1 di un provvedimento adottato per evitare il ripetersi del blackout energetico del 28 settembre, bisognasse porre questioni diverse rispetto a quelle poste con l'attuale formulazione. Credo sarebbe stato necessario fissare i criteri per una politica di risparmio energetico per imporre la questione della diversificazione delle fonti; in sostanza, per fare in modo che, nel nostro paese, vi sia un uso razionale dell'energia.
Invece, nulla di tutto questo è previsto nel decreto-legge che ci viene proposto per la conversione e che è stato adottato - ricordiamo quanto è stato dichiarato dal ministro Marzano - per evitare il rischio di blackout. Ma non voglio riprendere le considerazioni poco convincenti che sono state fatte, su questo punto, anche da altri colleghi; io dico che l'articolo 1 del decreto-legge doveva essere formulato in maniera diversa: certamente non doveva prevedere, come prevede l'attuale testo, addirittura l'autorizzazione all'esercizio di impianti di potenza termica superiore ai 300 megawatt, anche in deroga ai limiti di emissioni in atmosfera e di qualità dell'aria. Insomma, a me sembra che questo decreto-legge dimostri che il Governo non crede neppure alle affermazioni che suoi esponenti hanno fatto subito dopo il blackout!
Si è detto che il provvedimento veniva adottato per fare presto, per ottenere il potenziamento del sistema energetico del nostro paese, per aumentare la generazione e per razionalizzare la rete di distribuzione. Invece, che si fa? Con il primo articolo, si stabilisce una proroga fino al 31 dicembre 2005 (a seguito delle modifiche apportate dal Senato) del termine in precedenza fissato al fine di consentire l'esercizio di centrali inquinanti e dannose per la salute dei cittadini. Se bisognava fare presto, per quale motivo è stata prorogata, con i gravi rischi a ciò connessi, la data del 31 dicembre 2004 che già ci sembrava eccessivamente dilazionata nel tempo?
Quindi, alla possibilità effettiva di costruire nuove centrali e di produrre nuova generazione, alla fine, non ci credete neppure voi! Questo è il senso dell'articolo 1. Per questo motivo, sono per l'approvazione dell'emendamento Realacci 1.5 come di tutti quelli che cercano di affrontare i problemi veri posti dal blackout elettrico verificatosi nel nostro paese, che non sono affatto quelli con la scusa dei quali si vogliono consentire emissioni da centrali vecchie che inquinano l'atmosfera. Noi pensiamo che questo sia soltanto un modo per non affrontare il problema, un modo - nel quale neppure il Governo crede - per avere energia elettrica non garantita e non pulita: non c'è alcuna volontà, non c'è alcuna possibilità, non c'è alcuna capacità di produrre energia nuova nel nostro paese, così come hanno dimostrato questi anni!
Siete molto bravi a produrre decreti-legge, provvedimenti legislativi. Finora, però, non siete stati capaci di costruire neppure una nuova centrale: e continuiamo su questa strada (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rugghia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.
ERMETE REALACCI. Signor Presidente, il ministro Marzano ha riproposto, oggi, questo provvedimento come la risposta al rischio di blackout. Ora, tutti noi sappiamo che le cose dette all'indomani del blackout del 28 settembre dal ministro e dal gestore della rete erano false: quel blackout non è stato assolutamente dovuto ad una carenza di potenza, ma è stato dovuto ad una cattiva gestione della nostra rete; cattiva gestione che, peraltro, potrà peggiorare se, come previsto in questo provvedimento, si procederà ad una privatizzazione della rete elettrica, terreno sul quale anche altri paesi (ad esempio, gli Stati Uniti) hanno dovuto riscontrare elementi di gracilità e di debolezza.
Aggiungiamo il fatto che questo provvedimento, che contiene sia misure che comprendono la possibilità di tenere in vita vecchie centrali altamente inquinanti, anzi di permettere loro di inquinare ancora di più rispetto ai limiti di legge attualmente fissati, sia meccanismi di semplificazione delle procedure per l'installazione di nuovi impianti, rischia di non ottenere assolutamente, come, del resto, i provvedimenti che finora ci sono stati sottoposti dall'inizio della legislatura, l'obiettivo di dare al nostro paese una politica energetica efficace, sicura e che garantisca, al tempo stesso, i prezzi e la sostenibilità della fornitura di energia elettrica all'Italia.
Perché dico questo? Da un lato, perché alcune di queste misure sono francamente incomprensibili. Vedete, colleghi, io so che molti di voi, nel loro collegio, protestano quando vengono costruiti impianti inquinanti; qualche volta, anche deputati della maggioranza sono in prima linea nel contestare impianti anche meno inquinanti come i cicli combinati, gli impianti che utilizzano il gas, eccetera.
Ebbene, questo provvedimento consente di innalzare il livello di emissione nell'acqua della temperatura delle acque di scarico, cosa che è discutibile dal punto di vista ambientale, va sottoposta indubbiamente a verifiche da parte del Ministero delle attività produttive e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ma ha una sua razionalità, perché permette in effetti di recuperare una parte
della potenza elettrica e di innalzare in atmosfera le emissioni. Ma questo non ha nessuna ragionevolezza, nessun legame con la possibilità di fornire maggiore energia al paese, avendo invece legame con la possibilità di alcuni gestori di tenere in piedi vecchi impianti, di utilizzare combustibili meno pregiati, abbassando il prezzo a vantaggio di chi gestisce l'impianto, ma innalzando il costo in termini di ambiente, di salute umana per le popolazioni che sono intorno alle centrali. Dovete sapere che l'effetto di tenere in vita questi vecchi impianti è anche quello di scoraggiare fortemente i nuovi impianti. Quale nuovo gestore è in grado di costruire un piano finanziario attendibile se non sa quanti vecchi impianti saranno tenuti in piedi, quale combustibile potranno usare, quanta energia potranno produrre? Il vero blocco per la costruzione di nuove centrali rischia di derivare dall'eccesso di domande presentate, dall'eccesso di autorizzazioni e dalla insicurezza sulle caratteristiche che avrà il mercato nel futuro dal punto di vista della qualità dell'offerta e anche della quantità della domanda.
Quindi, il provvedimento da questo punto di vista rischia di avere un effetto opposto. In più, in questo provvedimento - e questo è il senso dell'emendamento - , è completamente assente quell'insieme di misure che altri paesi hanno messo in atto quando hanno dovuto rispondere anche a situazioni analoghe a quelle che l'Italia ha dovuto affrontare. Faccio in particolar modo l'esempio della California, che negli anni passati si è trovata ad affrontare blackout di punta di notevole rilevanza dovuti al fatto che la privatizzazione del sistema elettrico rendeva, per così dire, appetibile la vendita non dell'energia di base, ma degli ultimi kilowatt necessari alla rete; la California ha affrontato questo deficit con un intenso e serio piano, che puntava innanzitutto sull'uso razionale dell'energia, sul risparmio energetico, sul ricorso alle fonti rinnovabili. In questa maniera, la California ha abbattuto del 10 per cento la punta di energia necessaria. Ebbene, non c'è traccia di questo nel provvedimento; non solo, ma il Ministero delle attività produttive ha a disposizione dall'aprile del 2001 due decreti ministeriali che possono consentire un consistente risparmio di energia, attuandoli semplicemente sulla base di quanto le tecnologie oggi forniscono. Questi provvedimenti sono rimasti nel cassetto con buona pace delle favolette che il ministro Marzano è andato a raccontare ai telegiornali nei giorni del blackout, spiegando ai cittadini come andava spento il televisore la notte. Allora, cosa voglio dire? È il caso - visto che oggi questo non ci è consentito, e non ci è stato consentito neanche in occasioni precedenti - che per una volta questo Parlamento si confronti con la possibilità di avere effettivamente una politica energetica degna di questo nome, che punti sull'innovazione tecnologica, sul risparmio energetico, sulle nuove tecnologie, sul ricorso alle fonti rinnovabili. Questo è il futuro di un grande paese avanzato, non quello di tenere in piedi vecchie centrali, facendo un favore a parenti e ad amici (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, vorrei sostenere con qualche argomento di stretto diritto le argomentazioni testé sviluppate dal collega Realacci. Noi ci dichiariamo tutti europeisti, poi però siamo costantemente in conflitto con le direttive comunitarie. Al primo comma dell'articolo 1 di questo decreto si dice che le centrali potranno proseguire le loro attività anche in deroga ai limiti di emissione del famoso decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988. Ora, tutti quelli che minimamente si occupano di questa materia sanno che oramai la normativa comunitaria, recepita nelle sue linee generali con legge dello Stato italiano, stabilisce che non si debba avere più riguardo ai principi delle emissioni inquinanti, delle emissioni dei singoli stabilimenti, ma si deve avere riguardo al principio
della immissione, perché è la immissione nell'aria che dà il concetto di qualità della vita e di tutela della salute.
Quando fu emanato il decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988 che ha quella formula secondo cui si possono adottare nuove tecnologie a costi sostenibili, la questione fu rimessa alla Corte costituzionale la quale disse, ma nel 1989, che questa era costituzionalmente legittima purché fosse tutelato il principio costituzionalmente garantito della tutela della salute. Agli effetti di adeguare la nostra legislazione al principio della tutela della salute noi abbiamo detto, e lo abbiamo detto con recezione di norma comunitaria, che si deve avere riguardo non al carattere della emissione ma della immissione in atmosfera, cioè si parla di singole centrali. Allora, ha ragione il collega Realacci. Il decreto n. 203 prevede limiti incerti perché in tale norma, se andiamo a leggere bene, c'è anche scritto che chi è in esercizio può andare avanti senza rispettare limiti, se non i limiti di grande pericolosità. In una situazione di questo genere l'onorevole Realacci ha tre volte ragione. Noi con questo provvedimento non facciamo assolutamente venire meno i pericoli di blackout ma favoriamo soltanto vecchie centrali alimentate con combustibili ad alto tenore di zolfo. Chi vive un po' questo mestiere sa la differenza che c'è tra usare combustibili BTZ o combustibili ATZ. Questo è un inutile regalo che noi facciamo ai produttori che utilizzano centrali di carattere termico per produrre energia elettrica. Su questa disposizione ci ritorneremo perché il problema non riguarda un singolo emendamento che prevede di sostituire la deroga di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988, ma perché si tratta veramente di un punto nodale per la tutela dell'ambiente e, quindi, per la tutela della salute e della qualità della vita (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Realacci 1.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 421
Votanti 420
Astenuti 1
Maggioranza 211
Hanno votato sì 189
Hanno votato no 231).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Vernetti 1.6.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.
GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, in ordine a questo emendamento desidero riprendere un ragionamento poc'anzi sviluppato anche dai colleghi Acquarone e Realacci, che mi hanno preceduto. Noi con questo emendamento tentiamo di ricondurre il nostro paese in un contesto europeo. Il ministro Marzano ci dovrebbe spiegare perché l'Italia produce soltanto 750 megawatt da impianti eolici mentre la Germania e la Danimarca arrivano a superare i 15 mila megawatt. Ma ancora, venendo al fotovoltaico, che rappresenta certo una produzione di nicchia che va ancora sostenuta e i certificati verdi positivamente giungono a quello scopo, mi si deve spiegare perché il nostro paese, che ha un tasso di insolazione molto favorevole, produce otto volte meno fotovoltaico della Germania e 16 volte meno del Giappone. Noi riteniamo che ciò avvenga perché non vi è un contesto di norme che incentivano.
Oggi ritengo che abbiamo anche il dovere di aiutare un'industria nazionale del settore che è fortemente penalizzata e che trova una pesantissima concorrenza nelle aziende di altri paesi europei. Ecco allora che, con l'approvazione di questo emendamento, quindi portando all'1 per cento annuo la quota obbligatoria, contro lo 0,35
per cento così come previsto dal disegno dei legge Marzano, noi non raggiungeremo l'obiettivo di interrompere il riscaldamento globale ma se non altro forniremo un contributo credibile e serio per introdurre nel nostro paese la possibilità di produrre energia da fonti rinnovabili e incentivare le produzioni eoliche che già oggi sono mature sul mercato in quanto trattasi di tecnologie che hanno una loro competitività ma che vanno sostenute in questa fase iniziale; e, ancora, occorre incentivare le biomasse rispetto alle quali abbiamo paesi come l'Austria e la Svizzera che da esse ricavano in modo significativo oltre il 15-16 per cento del loro fabbisogno energetico.
È una grande opportunità che questo paese rischia di mancare e noi, semplicemente, con questo emendamento vogliamo fornire tale possibilità, anche perché riteniamo che la diversificazione delle fonti sia la condizione vera per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, sottoscrivo l'emendamento Vernetti 1.6, per la ragione che si tratta di uno di quegli emendamenti che l'Ulivo ha sostenuto, in quest'aula, nel momento in cui si è discusso del disegno di legge Marzano. Dinanzi ad un decreto-legge che presenta, in copia carbone, alcune rilevanti parti del disegno di legge Marzano, anche l'opposizione ritiene utile affrontare la discussione, relativamente a quelle parti che hanno caratterizzato il merito e l'impegno propositivo dell'opposizione stessa su quel disegno di legge. Quindi, è chiaro che anche la questione dell'incremento delle fonti rinnovabili abbia un rilievo non secondario, anche quando si discuta di blackout. Vedete, intanto nel decreto-legge il Governo, in questa parte di cui stiamo discutendo ed in altre, non fornisce alcuna risposta - e proprio nel momento in cui decide di incrementare le immissioni nocive in atmosfera - alla procedura di messa in mora che, nel mese di luglio, l'Unione europea ha adottato nei confronti dell'Italia, così come non dà nessuna risposta alla Corte di giustizia che ha condannato il nostro paese per non aver dato attuazione alle direttive relative alle emissioni in atmosfera dei composti organici. Quindi, da questo punto di vista, è giusto sottolineare che il nostro paese, blackout o meno, debba passare attraverso una politica capace di raggiungere quegli obiettivi che ci siamo impegnati a realizzare con il Protocollo di Kyoto, nonché a livello comunitario, ovvero arrivare a produrre il 23, o il 25 per cento di energia potenzialmente esprimibile in questo paese, attraverso fonti rinnovabili. L'obiettivo non è irraggiungibile perché già gran parte di tale energia è prodotta attraverso la fonte idroelettrica, una delle principali fonti di generazione energetica del paese, che però è arrivata a un livello di maturità. Io so, disponendo di dati fornitici dal ministero che hanno costituito anche oggetto di dibattito pubblico (oltre che nelle aule e nel corso di audizioni) in più di un'occasione, che a livello di proposta presso il ministero giacciono domande relative alla produzione di circa 21 mila megawatt, attraverso centrali ed impianti che possono funzionare con fonti di energia rinnovabile; di questa quota 18 mila megawatt riguardano sistemi di generazione attraverso fonti di energia eolica.
È del tutto evidente che non si tratta di mettere in campo 21 mila megawatt; sarebbe assurdo pensare di risolvere il problema energetico semplicemente con qualcosa che si può realizzare, anche a livelli compatibili con il mercato, fra dieci, quindici anni. Dobbiamo, piuttosto, fare un ragionamento concreto. È possibile o no aumentare dello 0,7 per cento ogni anno l'impiego di fonti rinnovabili? Sì, è possibile per raggiungere l'obiettivo. Ricordo che invece, nel disegno di legge Marzano, si parla dello 0,35 per cento. Va bene, è un valore discutibile, forse non verrà raggiunto, ma nemmeno questo punto è riprodotto nel decreto.
Allora, se nel decreto-legge si dice solamente che, per evitare i blackout, siamo autorizzati a fare entrare in funzione centrali ormai fuori uso, che non erano
state neanche computate ai fini della realizzazione degli obiettivi antitrust di riduzione al 50 per cento della potenzialità di produzione elettrica da parte dell'ENEL, rimettiamo in campo queste otto centrali che dovrebbero funzionare in quelle 100 ore annuali, nel momento in cui vi è l'esigenza di far fronte alla domanda di punta. Sapete cosa fanno queste centrali? Non solo emettono sostanze in atmosfera che sono completamente fuori controllo anche rispetto alla possibilità di ottenere gli obiettivi prefissati con l'utilizzo dello 0,35 per cento in più annuale obbligatorio delle fonti rinnovabili, ma ottengono anche un altro obiettivo. Infatti, chi rimette in funzione vecchi catorci e non si impegna a utilizzare fondi anche di finanziamento per centrali nuove o per il repowering fa il prezzo al mercato dei bilaterali e al mercato della borsa elettrica che si spera funzionerà.
La borsa elettrica, se funziona, non può andare avanti con questi meccanismi. Con riferimento alla borsa elettrica, nella quale vi dovrebbe essere anche una borsa della riserva, la riserva non si può fare con questi catorci: essa va fatta con produzione buona, con produzione decente.
Questo è anche il motivo per cui sottoscrivo l'emendamento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, anche questa volta sono pienamente d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduto e desidero anch'io apporre la mia firma a questo emendamento.
Il discorso delle fonti rinnovabili è strettamente connesso con il problema delle migliori tecnologie disponibili. Noi ci siamo impegnati più volte, in sede comunitaria, a realizzare le IPPC (integrated pollution prevention and control) e attraverso questa autorizzazione ambientale integrata siamo obbligati a sviluppare la ricerca. Continuiamo a dire che vogliamo sviluppare la ricerca, che quest'ultima è fondamentale nel nostro paese e l'applicazione dell'energia derivante da fonti rinnovabili è strettamente legata all'uso delle nuove e migliori tecnologie disponibili.
Certamente ci vogliono fantasia e vi sono dei costi; ci vuole effettivamente potestà inventiva. Ha ragione l'onorevole Quartiani quando dice che è molto più facile far funzionare una centrale termica che va a greggio. Tuttavia, sappiamo quanto consuma al giorno una centrale, come, ad esempio, quella di La Spezia, che lei conosce? Essa consuma un'intera petroliera, e poi diciamo che vogliamo difendere la salute e la qualità della vita.
In una situazione di questo genere bisogna favorire l'energia elettrica di natura eolica, la cogenerazione. Appartengo anche a coloro i quali sostengono che non vi sia un pericolo di diossina. Quindi, credo che anche l'incenerimento dei rifiuti sia un modo utile per produrre energia elettrica. Tutte queste cose richiedono ricerca ed applicazione scientifica. Non si può andare avanti, come dice Quartiani con un'espressione colorita che mi piace ripetere, con quattro catorci vecchi che adoperano combustibile ad alto tenore di zolfo.
Ecco perché sono convinto che l'emendamento in esame vada approvato (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Vernetti 1.6, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 416
Votanti 415
Astenuti 1
Maggioranza 208
Hanno votato sì 184
Hanno votato no 231).
Prendo atto che l'onorevole Bielli non è riuscito ad esprimere il proprio voto.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
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