Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 347 del 28/7/2003
Back Index Forward

Pag. 7


...
Discussione delle mozioni Magnolfi ed altri n. 1-00200 e Ronchi ed altri n. 1-00245 sulla condanna capitale di una cittadina nigeriana (ore 10,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Magnolfi ed altri n. 1-00200 e Ronchi ed altri n. 1-00245 sulla condanna capitale di una cittadina nigeriana (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al calendario dei lavori dell'Assemblea.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Magnolfi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00200.

BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, sottosegretario Boniver, onorevoli colleghi, con questa mozione, sottoscritta da molti deputati e deputate appartenenti


Pag. 8

a tutti i gruppi parlamentari, intendiamo fornire un contributo alla grande campagna di mobilitazione internazionale per salvare la vita di Amina Lawal.
Come è accaduto prima di lei a Safya Husseini, questa giovane donna nigeriana rischia di diventare il tragico simbolo dell'oppressione dei diritti umani da parte del fondamentalismo religioso.
La sua colpa è quella di aver messo al mondo una bambina fuori del matrimonio con un uomo che aveva promesso di sposarla, dopo che era stata ripudiata dal primo marito con quattro figli, ma che poi non ha mantenuto la promessa, anche perché egli stesso rischiava una condanna per adulterio dal tribunale islamico.
Denunciata dall'ex suocero, il 22 marzo 2002, Amina è condannata in primo grado alla lapidazione dal tribunale di Bakori, nello Stato nigeriano di Katsina, nel quale nel 2000 è stata introdotta la sharia, così come in altri Stati nella Nigeria settentrionale.
I codici penali basati sulla sharia, legge islamica, oltre ad introdurre pene corporali e mutilazioni per alcuni comportamenti contrari all'ortodossia religiosa, hanno molto allungato l'elenco dei reati che già prevedevano la pena di morte in Nigeria.
Al tradimento contro lo Stato, all'omicidio, alla rapina a mano armata, si sono aggiunti, per i soli cittadini islamici, i seguenti reati capitali: abuso sessuale di minori, rapporti omosessuali, adulterio.
Fra i metodi di esecuzione contemplati dai nuovi codici il più crudele e disumano è proprio la lapidazione che consiste nel colpire il corpo della condannata a morte, sepolto per metà, con pietre abbastanza piccole da prolungare la tortura e l'agonia.
Secondo i rapporti di Amnesty International, attualmente, in Nigeria, vi sono sette persone condannate a morte per lapidazione per aver commesso reati introdotti dalla sharia: Amina è una di queste. Il suo avvocato ha presentato ricorso in appello ed una prima udienza, fissata per il 3 giugno, è stata rinviata al 27 agosto perché i giudici del tribunale islamico hanno disertato l'aula. Se la sentenza di primo grado verrà confermata, l'esecuzione è prevista per il 20 settembre. La Corte suprema della Nigeria, infatti, ha concesso alcuni mesi in più per consentire ad Amina di portare a compimento l'allattamento della sua bambina.
In queste condizioni, è estremamente urgente unire la voce di un'istituzione importante, qual è la Camera dei deputati, alla campagna di opinione che si è dispiegata anche in Italia e che ha visto in prima fila alcuni organi di stampa ed un'intelligente trasmissione radiofonica - che voglio citare: si tratta di Zapping, condotta da Aldo Forbice - senza considerare i siti di volontari e di associazioni per i diritti umani che hanno promosso una raccolta di 4 milioni di firme.
Quali sono le speranze per Amina? Innanzitutto, bisogna ricordare che i codici della sharia sono in aperto contrasto con gli atti sanciti a livello internazionale sui diritti umani e, in particolare, con la Convenzione contro la tortura e con il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, entrambi ratificati dalla stessa Nigeria. Infatti, il Governo federale nigeriano ha dichiarato incostituzionale la sharia. Inoltre, il Presidente nigeriano, Olusegun Obasanjo, è cristiano e contrario alla pena di morte, ma occorre ricordare che, essendo stato recentemente rieletto in mezzo a sanguinosi tumulti, potrebbe non volere inasprire i rapporti con l'opposizione islamica, che guida dodici Stati nel nord del paese. Al tempo stesso, però, il Presidente ha il dovere di difendere dall'isolamento dalla comunità internazionale il suo paese, questo gigante di centoventi milioni di abitanti con duecento gruppi etnici ed il 66 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà nonostante sia il sesto produttore di petrolio nel mondo.
Ad oggi, il Governo federale ha fatto sapere che, pur cercando di tutelare la ragazza, il potere esecutivo non intende interferire con le corti locali, anche quando si tratta di tribunali islamici. Questi ultimi, da parte loro, sono sollecitati da cortei e manifestazioni di integralisti - ricordiamo quanto è accaduto in occasione


Pag. 9

della finale di Miss Mondo - che chiedono una più severa applicazione delle pene e, soprattutto, chiedono che le pene siano affidate a gruppi di vigilantes scelti dai mullah locali, senza doversi rivolgere, ogni volta, alle autorità centrali per un processo.
Insomma, mentre, nel caso di Safiya, la mobilitazione internazionale e la linea difensiva degli avvocati sono riuscite a salvare la donna dalla condanna, non è detto che questa condizione si ripeta. Ecco perché la mozione è urgente ed impegna il Governo italiano ad adoperarsi, in tutte le sedi e con tutti gli strumenti diplomatici a sua disposizione, affinché, in caso di esito negativo, ovverosia in caso di condanna, la sentenza non venga eseguita.
Amina Lawal Kurami, questa contadina di 31 anni, bella e sfortunata, è diventata un simbolo per tutti coloro che considerano un loro problema l'affermazione dei diritti umani. Non è lo scontro tra mondo occidentale e mondo arabo, come qualcuno potrebbe ritenere, ma lo scontro tra fondamentalismo - tutti i fondamentalismi - e laicità: laicità degli Stati, delle leggi, dei tribunali. Addirittura, nella vicenda di Amina è possibile leggere lo scontro drammatico tra il passato ed il presente, tra l'inciviltà e la civiltà, che non sempre rispetta le frecce del progresso e non rispetta neppure la geografia tradizionale del mondo. Basti ricordare che vi sono paesi moderni e democratici che continuano a prevedere la pena di morte! Amina è anche il simbolo delle donne oppresse del mondo, il simbolo della violazione dei diritti umani, che, con accanimento ancora maggiore, colpisce il genere femminile non solo in Africa, ma in Medio Oriente, in Asia, in America latina.
Nel 1995, la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite di Pechino, nella piattaforma conclusiva, resa più solenne dalla partecipazione di ben 17 mila persone convenute da tutte le parti del mondo, approvava queste parole: i diritti umani delle donne includono il diritto ad avere il controllo e a decidere liberamente e responsabilmente circa la propria sessualità, inclusa la salute sessuale riproduttiva, senza coercizione, discriminazione e violenza, ed assumeva i diritti umani delle donne come indicatore di civiltà.
A distanza di otto anni quell'obiettivo è ancora lontano da raggiungere, non solo nei paesi dove una lettura distorta integralista del Corano è divenuta legge, in Bangladesh, in Medio Oriente, in India, persino in Cina, in Messico, in Birmania, dove leggi scritte e non scritte, ma sempre applicate con la complicità dei pubblici poteri, condannano le donne per adulterio, le torturano, permettono che vengano mutilate, vendute, ustionate con l'acido, violentate.
Dobbiamo fare in modo che almeno non siano delitti invisibili. Il rispetto dei diritti dei popoli non può spingersi fino ad avallare la violazione dei diritti umani, né di quella specie di diritti umani ancora più vulnerabili che sono i diritti delle donne. C'è un terreno di nuova emancipazione femminile che tante donne stanno percorrendo contro i fondamentalismi e contro la violazione dei diritti, dall'Iran alla Birmania, dall'Algeria, all'Afghanistan, al Kuwait.
Per rimanere al mondo islamico ricordo che in Egitto, Tunisia, Giordania, Siria, le donne sono alla guida di importanti ministeri e stanno operando vere e proprie rivoluzioni silenziose. Le istituzioni libere e le donne - ahimè, troppo poche - che ne fanno parte anche in Italia devono essere al loro fianco in maniera tangibile.
La sorte di Amina insomma ci riguarda. In una intervista apparsa su Liberazione ha detto che è preoccupata soprattutto della sorte di sua figlia, Wasila, troppo piccola per crescere da sola: «Per lei voglio quello che vuole qualsiasi madre, se Dio la tiene in vita, vorrei che mia figlia ricevesse una buona educazione». Amina è analfabeta.
Sono parole semplici che affermano una grande verità. Contro il fondamentalismo, contro l'oscurantismo religioso, ovunque si manifesti, contro tutte le discriminazioni, la conoscenza è un'arma più efficace di tutte le guerre.


Pag. 10


Io per questo ringrazio i colleghi capigruppo, il Presidente Casini, che hanno voluto calendarizzare questa mozione subito prima della pausa estiva proprio perché i tempi incalzano, il tribunale si riunirà il 27 agosto. Mi auguro che il Governo saprà intervenire con la decisione necessaria per salvare la vita di Amina e anche per difendere con lei in maniera pacifica le ragioni della civiltà e dei diritti umani (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ronchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00245.

ANDREA RONCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ancora una volta siamo in quest'aula a parlare di diritti umani, ancora una volta siamo in quest'aula a denunciare violazioni della dignità dell'uomo nel mondo, ancora una volta siamo in quest'aula a parlare di pena di morte, ancora una volta il mondo occidentale, il mondo libero deve alzare la voce, o almeno speriamo che alzi la voce, per cercare di difendere una vita umana, per cercare di difendere una donna, vittima dell'ignoranza, della violenza, della barbarie, dell'anticiviltà.
Ha detto bene la collega, ha raccontato con dovizia di particolari il duro percorso, anche di sofferenze, di umiliazione, di dolore, che questa giovane ragazza ha avuto, ha e probabilmente avrà nelle prossime settimane. Cos'altro dobbiamo dire, cos'altro dobbiamo chiedere perché questa storia finisca, perché questo massacro della dignità dell'uomo abbia termine?
A nome di Alleanza nazionale nella scorsa settimana ho presentato al Presidente Casini, che ringrazio per la sua sensibilità, una mozione che impegni il Parlamento tutto ad alzare forte la voce in vista dell'Assemblea dell'Unione europea di ottobre per chiedere una moratoria vera contro la pena di morte. Io credo, chiedo, auspico che il Parlamento e il Governo tutto possano alzare molto la voce per far sì che una volta per tutte si dica basta alla pena di morte, si dica basta alla violazione dei diritti umani, si dica basta a questa assurda storia di queste donne, di questi uomini, che nel mondo, giornalmente, per motivi religiosi, per motivi di diritti umani, per motivi personali, vedono costretta la loro libertà.
In questa mozione chiediamo al Governo di mettere in atto tutte le necessarie iniziative. Io chiedo al Governo una volta per tutte di farci sapere bene che cosa si intende fare, anche a livello economico, verso tutti quei paesi, dove, è vero, ci sono trattati bilaterali, ma in cui costantemente stanno violando la libertà dell'uomo, la dignità della persona. Ci sono migliaia di casi in tutto il mondo, ogni mese, ogni ora, ogni giorno, in cui nel silenzio, oserei dire anche nell'apatia delle coscienze, migliaia di persone vedono violati queste diritti umani. E quando noi chiediamo di promuovere e sostenere in tutte le sedi internazionali quelle azioni per bloccare, per dire basta alla pena di morte, non vogliamo soltanto un pezzo di carta.
Io voglio dal Parlamento tutto - questa volta veramente insieme - un salto culturale; e che si alzi la voce di un popolo libero e democratico al fine di riuscire a trovare tutte le strade - culturali, economiche e di rapporti di bilaterali - capaci di far salire l'attenzione, senza che sia necessario svolgere un dibattito parlamentare per dire «no» alla pena di morte o per cercare di aiutare persone che in questo momento hanno bisogno di una mano, non soltanto di tipo psicologico.
Ringrazio per la sensibilità mostrata il sottosegretario Boniver, e insieme alla collega Magnolfi, anche il Presidente Casini per aver reso possibile che queste mozioni fossero calendarizzate per oggi.
Nello svolgere quest'azione di pressione chiedo, ripeto, un salto di qualità. Amina è un simbolo; ma quante Amina ci sono in questo momento a nord e a sud del mondo? Queste iniziative che chiediamo al Governo di assumere debbono essere chiare e soprattutto comprensibili a quella parte del mondo che in questo momento vive una fase di oscurantismo. Io credo che milioni di persone in questo momento attendono dai paesi liberi e democratici


Pag. 11

esattamente quest'azione (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, nell'ottobre dell'anno scorso sono stato in Nigeria su iniziativa dell'associazione Nessuno tocchi Caino e in quell'occasione ho avuto la possibilità di incontrare Amina e il Presidente Obasanjo. Questa è stata per me un'esperienza molto importante perché un conto è quando uno si impegna da lontano per cercare di risolvere alcune questioni e alcuni problemi, un altro conto è, invece, quando si ha la possibilità di verificare con mano qual è la situazione la quale, spesso, è molto più articolata di quanto non si possa immaginare.
Presidente, mi consenta di sottolineare, senza avere alcuna intenzione di innescare una polemica, che la causa di chi combatte in tutti i modi contro la pena di morte potrebbe fare a meno di furbizie quali quelle che ho ascoltato in quest'aula. L'iniziativa dei colleghi di Alleanza nazionale, difatti, raccoglie un'iniziativa propria dell'associazione Nessuno tocchi Caino con la quale è stato proposto a tutti i deputati di sottoscrivere una mozione di indirizzo al Governo per chiedere la moratoria della pena di morte in tutti i paesi del mondo. Si tratta, quindi, di una mozione che non ha presentato il gruppo parlamentare di Alleanza nazionale ma una mozione che hanno presentato centinaia di parlamentari, non soltanto deputati ma anche senatori. La mia firma e quella di tanti altri colleghi, sia del mio gruppo sia di altri gruppi parlamentari, è nelle mani del Vicepresidente della Camera, onorevole Biondi, il quale si è fatto carico di raccogliere le firme dei parlamentari. Pertanto, ripeto, cerchiamo di evitare furbizie, soprattutto su questi temi che francamente meritano un pochino più di attenzione e di sensibilità.
Signor Presidente, come sostengono alcuni colleghi, ancora una volta in questa sede ci troviamo a dover affrontare il delicatissimo problema del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali della persona, sistematicamente violati e calpestati in alcune zone del pianeta. Per la seconda volta sentiamo la necessità di sollecitare il Governo e, in generale, le istituzioni ad intervenire e a favorire il ripristino di condizioni essenziali alla tutela della dignità dell'individuo che in alcune parti dello Stato africano della Nigeria vengono seriamente messe in pericolo da distorsioni ideologiche e da metodi basati su ordinamenti atavici e da concezioni della vita umana legate ancora ad epoche antichissime nel tempo e nello spazio.
Dopo il caso di Safiya, un'altra donna, Amina Lawal, è stata nel marzo 2002 condannata alla pena di morte mediante lapidazione dal tribunale islamico di Bakori, nello Stato nigeriano di Katsina (uno dei 12 Stati situati al nord della Nigeria, a maggioranza islamica) e, nell'agosto dello stesso anno, la corte di appello di Funtua ha ribadito le accuse a suo carico, confermando, di fatto, la condanna. La donna ha liberamente confessato di aver avuto una bambina mentre stava divorziando dal secondo marito. E secondo la scuola di pensiero di Maliki, che domina l'interpretazione della sharia nel nord della Nigeria, la semplice gravidanza al di fuori del matrimonio costituisce una prova sufficiente perché una donna venga condotta in tribunale in quanto ciò viene considerato come una sorta di offesa, una volontaria azione sessuale antecedente e al di fuori di un legame sancito dalla legge.
Si tratta, dunque, esattamente dello stesso caso di Safiya, per fortuna risolto grazie alle pressioni delle associazioni e della Comunità internazionale.
La vicenda di Amina pone in rilievo una serie di importanti temi. Innanzitutto, è possibile riscontrare come l'ignoranza e la mancanza di educazione e di istruzione delle donne nigeriane, la gran parte delle quali sono analfabete, fa spesso di loro uno strumento inerme nelle mani dei più forti.


Pag. 12


In secondo luogo, il fatto che, al momento della notizia della condanna, Amina non sapesse che nel suo Stato fosse in vigore la sharia costituisce una evidente prova che, nelle regioni in cui tale sistema normativo viene applicato, esiste anche un serio problema di comunicazione e diffusione delle notizie.
In terzo luogo, questa versione della legislazione islamica è ben lontana dal garantire e sostenere l'uguaglianza e la parità tra i sessi, come dimostra l'affermazione dell'avvocato di Amina: solo le donne possono restare incinte, e dunque solo le donne possono venire condannate alla lapidazione.
Infine - e si tratta di un argomento molto rilevante e di notevoli implicazioni -, gli aspetti positivi della legge islamica, all'interno dell'interpretazione che ne offre la sharia, non vengono messi in evidenza e non dispiegano, in alcun modo, i propri benefici effetti.
La questione di Amina rientra nel contesto politico di un grande paese in un grande e complesso continente: infatti, pur ricchissima di petrolio, la Nigeria sta vivendo una crisi sociale drammatica, caratterizzata da vasti strati di popolazione in preda alla miseria, dalla violenza e dalla corruzione, il tutto aggravato dal contrasto atavico tra gli Stati del nord, a schiacciante prevalenza musulmana, e quelli del sud, a forte prevalenza cristiana.
Diversi Stati della Nigeria del nord hanno introdotto una nuova forma di legislazione penale, che schiude le porte all'applicazione, su vasta gamma, di sentenze capitali, torture ed altre crudeli, inumane e degradanti punizioni. Tutto ciò avviene, comunque, a dispetto del fatto che il Governo nigeriano abbia sottoscritto e ratificato numerosi accordi internazionali in tema di rispetto e tutela dei diritti umani, come la Convenzione contro la tortura del giugno 2001 e il Patto internazionale sui diritti civili e politici: si tratta di una firma totalmente incompatibile con il mantenimento della lapidazione come pena annessa.
Mi consenta di dire, signor Presidente, che quando incontrammo il Presidente Obasanjo, egli era perfettamente consapevole che sia la prima occasione in cui vinse le elezioni, sia la seconda campagna elettorale, che lo ha recentemente portato ad essere riconfermato alla carica, erano centrate proprio sulla negazione degli aspetti peggiori e più devastanti della sharia, vale a dire la pena di morte, ed in particolare la lapidazione, anche se, a suo tempo, ha dato garanzie anche rispetto alla vicenda di Amina.
Pertanto, nonostante gli accordi vigenti, decine di persone sono state vittime di violazioni della dignità e dei propri diritti, in base a questa nuova forma di legislazione, e numerose altre decine sono state condannate e discriminate a causa della loro religione, fermo restando che questi nuovi codici penali si applicano ai musulmani; essi vengono comunque applicati ad un paese come la Nigeria, nel quale sussistono e convivono credi e tradizioni differenti e complessi.
In aggiunta a ciò, le forme discriminatorie nella giurisdizione della sharia possono individuare le proprie basi anche sul piano della diversità di status sociale: non è un caso, infatti, che la gran parte delle condanne siano subite da coloro che provengono dagli strati inferiori del villaggio, o comunque della comunità in generale. Tuttavia, Ibrahima, Safiya e Amina sono state discriminate unicamente per il fatto di essere donne, dal momento che l'uomo coinvolto in ognuno di questi episodi è stato prosciolto da tutte le accuse.
In sintesi, è del tutto evidente che questo aspetto sessista della questione costituisca una enorme stortura, ed individui una deformazione sociale più grave ed aberrante, perché «rompe» prepotentemente con il percorso obbligato verso l'uguaglianza ed il reciproco rispetto tra i sessi.
Ma cerchiamo di comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando. La cosiddetta sharia, un antico sistema normativo recentemente dichiarato - come ricordato dai miei colleghi - incostituzionale dal Governo nigeriano da una lettera del ministro della giustizia Agabi ai governatori degli Stati che la adottano, è stata reintrodotta


Pag. 13

ed implementata a partire dal gennaio 2000 in diverse regioni settentrionali della Nigeria.
Il Presidente Obasanjo ha manifestato, in molte occasioni, la sua contrarietà alla comminazione della pena di morte sulla base di tali norme, eppure, in diversi momenti, il ministro degli esteri Lamido ha affermato di difendere l'applicazione della legge islamica, evitando di affrontare la questione dell'istituzione e dell'entrata in vigore dei nuovi codici penali, che violano le convenzioni internazionali ratificate proprio dalla Nigeria.
Anche se i problemi di questo Stato africano sono complessi, perché al proprio interno si dipanano conflitti enormi (l'ingiustizia sociale, la corruzione, la cultura tribale), ed anche se le differenze religiose rendono ancora più difficile il cambiamento, tuttavia non è pensabile che il Presidente cristiano Obasanjo mantenga questo doppio standard.
Dal momento in cui il nuovo sistema normativo è stato reintrodotto si è assistito ad un graduale e crescente numero di condanne alla pena capitale, alla flagellazione e alla amputazione. Vorrei, però, fosse chiaro che qui non si vuole affatto muovere un'accusa di sostanza alla legislazione islamica tout court, ma semplicemente si vuole condannare questa nuova forma di applicazione della stessa che non garantisce affatto il rispetto e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo e, anzi, se possibile, procede inesorabilmente nella legittimazione e nell'amplificazione delle differenze, operando tramite sistemi arcaici e anacronistici, oltre che deviati e irrispettosi della dignità dei singoli.
Il termine arabo sharia, che letteralmente fa riferimento alle norme e alla condotta di vita prescritti da Allah ai suoi servitori, investe concettualmente e contemporaneamente ideologia e fede, comportamenti e persone, questioni pratiche quotidiane e, di fatto, si pone in una linea di continuità rispetto ai dettami previsti all'interno del Corano e nella Sunna del Profeta.
A testimonianza di quanto sia complesso argomentare di legislazione islamica in senso lato, proprio perché esistono una molteplicità di versioni metodologiche ed interpretazioni differenti in paesi diversi (ed abbiamo visto, nel nostro caso, anche in regioni diverse di uno stesso paese), è utile svolgere una serie di osservazioni.
Uno Stato islamico deriva necessariamente il suo sistema legislativo proprio dagli insegnamenti dei testi sacri e tale principio esclude alcune scelte opzionali sulla forma di Governo in tema di politica, ma anche di apparati economici, come una pura democrazia, ad esempio. Ecco perché la migliore alternativa ad una pura democrazia è un sistema di tipo democratico che, però, implementa e rafforza la sharia, una delle possibili forme nell'applicazione della legge coranica.
Non solo nel nord del mondo, ma anche in diversi paesi a maggioranza musulmana ripugna alla coscienza civile, oltre che a quella religiosa, l'idea per cui si cerca di basare sul Corano la legittimità della lapidazione delle adultere. A questo proposito e proprio perché talvolta, per capire, bisogna tornare indietro nel tempo, se si va a leggere le prescrizioni del testo sacro in tema di adulterio, al capitolo intitolato «Luce», si resta colpiti da un passo che recita testualmente: l'adultero e l'adultera devono subire ciascuno 100 frustrate; e più avanti: coloro i quali diffamano e violano le onorabili donne devono subire anch'essi 80 frustrate. Mi sembra interessante osservare la singolarità del fatto che un testo come il Corano - che ha più di mille anni e che nella sua sacralità comunque si contestualizza in epoche antichissime in cui convivono sistemi ancestrali di attribuzione delle pene fondati su metodi e procedure spietati e crudelissimi - tuttavia sia ben lontano dal prescrivere una sentenza di morte per lapidazione per chi commette adulterio. Dunque, sembra quasi paradossale che ai nostri giorni la sharia applicata e diffusa in Nigeria, che del Corano dovrebbe costituire diretta emanazione oltre che sistema pratico della sua attuazione, preveda nei codici una simile condanna disumana ed aberrante,


Pag. 14

del tutto avulsa sia dall'obbedienza alla tradizione sia dal rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Anche volendo essere rispettosi di quelle culture, si evidenzia una chiara assenza di qualunque nesso di proporzionalità tra la condotta che si intende reprimere e condannare e la pena che viene in questo caso comminata.
Ciò che, però, ha maggiormente colpito gli osservatori esterni che si sono occupati della questione non è soltanto la durezza e la crudeltà della pena in relazione all'entità e alla sostanza dei capi d'accusa, ma soprattutto la chiara ed evidente discriminazione sessuale che il tribunale islamico sistematicamente ha applicato in questo come in altri contesti.
In altre parole, al padre di Wasila, la bambina di Amina, è bastato giurare la propria innocenza sul Corano per essere rilasciato, il che dimostra che l'uomo che abbandona la donna incinta e che nega di aver avuto con lei una relazione o un rapporto sessuale, di per se stesso costituisce una testimonianza sufficiente di innocenza, in mancanza dei famosi quattro e rispettabili testimoni oculari necessari alla sharia per emettere una condanna.
Dunque, i Qadi, i giudici islamici, in casi come questi, non ricercano mai un altro colpevole ed è come se Amina o una qualsiasi altra donna condannata avessero potuto paradossalmente commettere l'adulterio da sole.
Se ciò non bastasse, anche lo stesso sistema giurisdizionale vigente in Nigeria è ben lontano dal fornire la garanzia di un giusto processo, come hanno rilevato i maggiori organismi preposti alla salvaguarda dei diritti umani (prima ho citato Nessuno tocchi Caino, ma vi è anche Amnesty international, che si è fatta promotrice dell'appello raccolto da milioni di persone in tutto il mondo). I tribunali che applicano la sharia non supportano ne esercitano correttamente il diritto dell'imputato alla rappresentanza, come infatti è avvenuto per Safiya, che nel corso del suo primo processo non ha beneficiato - lo ricorda bene il sottosegretario Boniver - della piena rappresentanza legale.
Al contempo, esiste un ulteriore problema sulla preparazione e la formazione professionale dei giudici di tali tribunali. In questi i criteri di scelta sono tendenzialmente arbitrari, oltre che ben lontani dai sistemi internazionali adottati nella formazione del personale giudiziario. Sempre nel caso di Safiya si può notare come il tribunale che l'ha giudicata in primo grado non avesse competenze di giurisdizione penale prima che fosse introdotta la nuova codificazione normativa della sharia. I giudici, spesso, sono sempre gli stessi e non hanno, perciò, l'adeguata e necessaria preparazione in ambito di diritto penale.
Al di là di queste forme pur gravi di irregolarità nella gestione e nella conduzione dei processi, la conseguenza di maggiore rilevanza che emerge da tali sistemi è che i nuovi codici normativi non proteggono le donne dalla possibilità di subire violenza o altre forme di coercizione ed anzi, secondo schemi per chiunque inconcepibili, vanno a punire proprio loro, ovvero le vittime di tali atti.
La diretta implicazione di queste decisioni è che gli uomini continuano a violare e ad abbandonare le donne fin quando sono certi che non esistono testimoni del proprio crimine e le vittime delle violenze subiscono processi farseschi e condanne basate su capi d'accusa altrettanto falsi legittimandosi, in tal modo, una clamorosa ingiustizia sessuale che colpisce alle radici i diritti delle donne.
A tale proposito vorrei ricordare come durante la conferenza mondiale delle donne svoltasi a Pechino nel 1995 è stata sancita e ratificata una serie fondamentale di istanze che in sé contengono acquisizioni di enorme portata culturale e politica. Tra esse spicca, soprattutto, il riconoscimento del fatto che il benessere delle donne, anche attraverso la promozione dell'eguale dignità e la protezione dei loro diritti, è presupposto per il benessere generale di un paese e di una comunità.


Pag. 15


In alcune parti del mondo, purtroppo, il sistema di tutela dei diritti umani delle donne, ma anche di tutti gli individui, deve tradursi, ancor prima che in disposizioni normative, in un sistema condiviso di valori fondato sul rispetto della dignità della persona umana. Noi rappresentiamo un paese che ha sempre riservato uno spazio preferenziale al rispetto ed alla tutela dei diritti dell'uomo. Più di un milione di italiani ha sottoscritto l'appello di Amnesty, a riprova di quanta parte della nostra comunità sia sensibile alla questione.
Chiediamo, dunque, al Governo italiano, così come all'Unione europea che ha seguito con attenzione il caso giudiziario di Safiya, di intervenire a più riprese presso le autorità nigeriane adoperandosi affinché, in ogni caso, il Presidente Obasanjo metta in atto le necessarie misure per concedere la grazia ad Amina Lawal. Allo stesso tempo, è necessario che il Governo nigeriano venga richiamato alla salvaguardia delle convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti dell'uomo già precedentemente ricordate e che si attenga fedelmente all'accordo di partenariato tra i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, gli ACP, e l'Unione europea siglato a Cotonou il 23 giugno 2000.
La notizia del rinvio al 27 agosto dell'esame del ricorso presentato dall'avvocato di Amina può essere una notizia positiva che, come affermato dal segretario dell'associazione Nessuno tocchi Caino, D'Elia, rivela le difficoltà di uno Stato come quello della Katsina, che ha introdotto la sharia, a comminare una condanna a morte per lapidazione nella Nigeria del Presidente abolizionista Obasanjo. In questo senso, tale decisione può costituire un ulteriore passo verso la soluzione definitiva del caso e del problema, cioè l'assoluzione di Amina nella Katsina, oppure la dichiarazione di incostituzionalità dell'applicazione della legge penale islamica nella Nigeria laica del Presidente Obasanjo.
Le telefonate, gli articoli, le e-mail, l'impegno diretto di Governi di importanti paesi o di singoli personaggi, la pressione popolare sui tribunali islamici ha salvato la vita di Safiya. Di fronte a casi come questo, in cui è difficilissimo stroncare o anche solo erodere le convinzioni di quei paesi che applicano la pena di morte sulla base di motivi legati a tradizioni religiose spesso sfocianti nel puro fanatismo della dottrina, vi è bisogno di un grande processo di sensibilizzazione da parte della società civile in cui sussiste e si diffonde la cooperazione tra diversi soggetti, siano essi istituzioni, associazioni o media.
È una costruzione che deve vedere il contributo di molti per il radicamento globale di una cultura solida e condivisa dei diritti umani. Pertanto, chiediamo al Governo, prendendo spunto anche da questo singolo emblematico caso, di impegnarsi continuamente, nelle sedi e negli organismi internazionali preposti, a sensibilizzare il più possibile una campagna trasversale per l'abolizione della pena di morte e per la moratoria della pena di morte in tutti i paesi del mondo e alla riaffermazione, laddove necessario, dei vincoli basilari della dignità umana e della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.
Signor sottosegretario, concludo pregandola di farsi interprete presso il Governo di raccogliere questo appello che ormai centinaia di parlamentari, deputati e senatori, hanno firmato affinché il Governo prenda un'iniziativa, nell'ambito delle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio ha già rilasciato nei mesi scorsi, per giungere ad un accordo internazionale vero e diffuso per quanto riguarda la moratoria sulla pena di morte.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Back Index Forward