Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 326 del 19/6/2003
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(Motivi all'origine del conflitto militare in Iraq - n. 2-00784)

PRESIDENTE. L'onorevole Folena ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00784 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 13).

PIETRO FOLENA. Signor Presidente, in tutto il mondo e soprattutto nelle più grandi nazioni occidentali la vicenda dell'Iraq occupa, in queste settimane, le prime pagine dei quotidiani non già per gli aspetti militari e per la gravissima situazione in termini di sicurezza che regna in questo paese - proprio oggi arrivano notizie molto allarmanti al riguardo - ma a causa del convincimento, sempre più largo nell'opinione pubblica che, prima di scatenare la guerra in Iraq, i governanti delle nazioni della coalizione dei volenterosi (così venne denominata e definita dallo stesso Presidente Bush) avrebbero mentito di fronte ai loro parlamenti.
Io voglio ricordarlo: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non aveva mai autorizzato il conflitto. Ebbe modo di riconoscerlo Berlusconi in Parlamento, nelle sue comunicazioni rese il 6 febbraio 2003, sostenendo la necessità - cito testualmente - di una seconda risoluzione: si trattava, secondo quanto aveva deliberato il Consiglio di sicurezza, di accertare se l'Iraq fosse in possesso di armi di distruzione di massa, ed una volta accertato se ne fosse in possesso, di approvare eventualmente una seconda risoluzione, che avrebbe dovuto decidere quali misure adottare.
Ricordo ancora che gli ispettori El Baradei e Blix polemizzarono aspramente contro l'orientamento unilaterale di Bush e di Blair, i quali, senza attendere la collaborazione che, seppur parziale, cominciava in quelle settimane da parte di Saddam Hussein, decisero di presentare alcune loro cosiddette prove di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: parlo del rapporto Powell.
Mi riferisco, infine, al fatto che nell'ultima risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, fatta ex post, a guerra avvenuta, è piuttosto evidente il compromesso raggiunto, se è vero che nel testo si parla, a proposito degli Stati Uniti e della Gran Bretagna - e ormai anche dell'Italia, della Spagna e di qualche altro paese - di potenze occupanti, che non è il termine con cui normalmente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite definisce un contingente che viene legittimamente riconosciuto. Tuttavia, anche in quella risoluzione il Consiglio di sicurezza afferma che qualche legittimazione ex post di quell'intervento sarebbe potuta venire solo da un ritrovamento di queste armi di distruzione.
Ebbene, sono trascorsi più di due mesi dalla fine della guerra, nessuna arma è stata ritrovata (hanno cercato dappertutto, hanno cambiato squadra di ispettori, hanno cambiato il responsabile americano dell'amministrazione in Iraq) ed in queste grandi nazioni civili si è aperta una polemica molto chiara. I Democratici americani hanno prima sostenuto la necessità di un'indagine del Congresso - che è stata attivata - e nelle ultime ore non escludono, di fronte al convincimento che Bush abbia deliberatamente mentito di fronte al Parlamento, di avviare una procedura di impeachment nei confronti del Presidente: in altri paesi, dire bugie di fronte al Parlamento è considerato qualcosa di inaccettabile!
Lo stesso si sta verificando in Gran Bretagna, dove non solo l'opposizione, in quel caso conservatrice e liberale, ma anche una parte dei deputati laburisti hanno messo sotto accusa, deliberando un'indagine del Parlamento inglese, il Premier Blair per le false informazioni rese. In quel paese è ancora più clamoroso: è noto il fatto di aver dato credito al contenuto della tesi di laurea di uno studente di dieci anni fa, mascherata come un presunto documento che dimostrava la responsabilità del regime iracheno.
Ma vorrei aggiungere che anche in paesi che non parteciparono direttamente alle operazioni militari stanno accadendo eventi molto significativi: in Danimarca si è aperta una polemica analoga in Parlamento;


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in Finlandia la questione è un po' diversa, ma il Premier si è dimesso perché aveva usato documenti falsi sull'Iraq nella campagna elettorale contro l'allora Premier socialdemocratico finlandese; in Spagna, infine, il Parlamento spagnolo ha deciso di avviare un'indagine parlamentare.
Quello che le domando, senatore Ventucci, sono quattro cose molto semplici. In primo luogo, vorrei sapere se il Governo era ed è a conoscenza delle ragioni reali di questo conflitto, successivamente affermate dall'Amministrazione americana, di cui Berlusconi non ha mai parlato in Parlamento, e cioè del fatto che l'obiettivo non era quello di trovare le armi di distruzione di massa, bensì quello di cambiare regime, cosa di cui non c'è traccia nella risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In secondo luogo, le chiedo perché, se era conoscenza di quelle ragioni, si è dato credito qui in Parlamento al rapporto Powell reso in Consiglio di Sicurezza e successivamente dimostratosi palesemente falso.
In terzo luogo, le chiedo perché abbiamo appoggiato logisticamente e politicamente, pur essendo un paese non belligerante, la guerra in Iraq e, infine, perché abbiamo deciso di inviare un contingente, anche se mascherato sotto il cappello degli aiuti umanitari. È, infatti, sempre più evidente che si tratta di una partecipazione militare, in questo caso sotto il comando britannico, all'interno di quella operazione.
Pretendiamo queste risposte perché è una questione di rispetto del Parlamento. Il Presidente del Consiglio ha parlato in Parlamento a più riprese di questo tema. Vogliamo sapere la verità al riguardo e, anche sulla base della sua risposta, decidere quali sono le posizioni che questo Parlamento democraticamente potrà assumere.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, senatore Ventucci, ha facoltà di rispondere. Senatore Ventucci, oggi ha fatto il pieno!

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, è una maratona!
L'onorevole Folena mi scuserà se sarò costretto a ripetere alcune sintetiche considerazioni già esplicitate nella risposta alla precedente interpellanza presentata dall'onorevole Deiana. Non risponderò specificamente, ma vorrei svolgere un ragionamento; infatti, come lei sa benissimo, lavoriamo su un testo presentato magari qualche giorno prima e non sulle argomentazioni che poi vengono illustrate in Assemblea.

PIETRO FOLENA. Ma le domande che le ho rivolto sono quelle contenute nel testo dell'interpellanza!

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Come dicevo, l'intervento armato in Iraq è stato dettato da una molteplicità di fattori tra cui, indubbiamente, la necessità di disarmare con la forza il regime iracheno (e tutti sappiamo chi fosse Saddam Hussein).
La risoluzione n. 1441 dell'8 novembre 2002 imponeva, infatti, al regime iracheno di collaborare con gli ispettori ONU, al fine di smantellare le armi di distruzione di massa eventualmente in possesso dell'Iraq in violazione delle pregresse risoluzioni ONU, oppure di fornire la prova che la loro distruzione era stata completata.
A quella data, da più di quattro anni, non si svolgevano ispezioni in Iraq e, pertanto, Saddam Hussein non solo aveva avuto a disposizione tempo per ricostruire il suo arsenale, ma anche per affinare le tecniche di occultamento.
L'ultimo rapporto della commissione speciale delle Nazioni Unite per la distruzione, rimozione e disattivazione delle armi di distruzione di massa, l'Unscom, conteneva le varie questioni rimaste in sospeso. In base al dettato della risoluzione n. 1441, considerata l'ultima opportunità


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di disarmo pacifico, la cooperazione fornita da parte irachena agli ispettori della commissione delle Nazioni Unite per il monitoraggio, verifica e ispezione doveva essere piena, immediata e incondizionata. Gli ispettori hanno, invece, riscontrato una collaborazione attiva più sotto il profilo formale che sostanziale.
L'onere della prova di un effettivo disarmo ricadeva su Saddam Hussein, il quale, invece, con le sue tergiversazioni e con il suo ostracismo ha fatalmente alimentato i sospetti che stesse coprendo l'esistenza di armi di distruzione di massa. La stessa voluminosa lista di quanto illegalmente posseduto sotto il profilo degli armamenti presentata dal Governo iracheno al 7 dicembre 2002, ad un mese dall'adozione della risoluzione n. 1441, conteneva lacune, inesattezze ed omissioni che Bagdad non ha mai inteso colmare.
In particolare, è rimasta in sospeso fino alla vigilia delle ostilità una serie di inquietanti questioni salienti denunciate dall'Unscom sin dal 1998, tra cui la sorte di quantitativi di antrace pari a 8.500 litri, 6.500 bombe chimiche, 3 mila cursori chimici, 360 tonnellate di agenti chimici inclusivi di 1,5 tonnellate di gas nervino VX e 50 testate missilistiche a lungo raggio.
A fronte di queste richieste di chiarimento, il dittatore iracheno adottava atteggiamenti e dichiarazioni di sfida nei confronti delle Nazioni Unite, dopo aver violato, durante 12 anni, ben 16 risoluzioni che, in vario modo, gli imponevano di disarmare collaborando con il regime ispettivo.
La risoluzione 1441, d'altronde, non intendeva escludere la possibilità del ricorso all'uso della forza considerandola una misura di ultima istanza perseguibile in assenza di un comportamento attivamente collaborativo da parte delle autorità irachene.
L'eventualità che il dittatore iracheno continuasse a detenere quantitativi sufficienti di armi chimiche o batteriologiche, con il possibile corollario della loro consegna a formazioni terroristiche, diventava, anche alla luce del precedente uso di armi chimiche nella repressione interna e durante il conflitto con l'Iran, un rischio intollerabile, in particolare dopo l'attentato dell'11 settembre.
Il regime iracheno sotto Saddam Hussein non è mai riuscito a concepire la propria permanenza al potere svincolata dal possesso di armi di distruzione di massa, memore che queste ultime nel corso degli anni ottanta (guerra Iran-Iraq, rivolte curde) avevano garantito la sua sopravvivenza.
Il fatto che non si siano ancora ritrovati in Iraq depositi di armi chimiche o batteriologiche non è sufficiente ad attestare che il regime iracheno non ne era in possesso fin dalla sua caduta. Lo stesso responsabile esecutivo della commissione, Perricos, ha attribuito parte delle difficoltà attuali nell'individuare le possibili località di stoccaggio degli arsenali proibiti iracheni nei saccheggi succedutisi alla caduta di Bagdad durante i quali sarebbero andate perdute preziose informazioni detenute negli archivi distrutti.
Tenuto conto di questo quadro complessivo che ha caratterizzato la crisi irachena l'Italia ha scelto la non belligeranza in un'ottica, certo, non di neutralità rispetto alle parti in conflitto, ma di forte sostegno politico alle democrazie nostre alleate alle quali operativamente abbiamo dato supporto concedendo il diritto di sorvolo del nostro spazio aereo.
Per quel che concerne, infine, l'invio del contingente italiano si ricorda all'onorevole Folena che il Parlamento, il 15 aprile scorso, ha approvato tali missioni in un'ottica di sostegno alla popolazione irachena. L'invio di un contingente è stato disposto per garantire una cornice di assistenza all'aiuto umanitario e tutelare l'intervento italiano nella fase della riabilitazione dei servizi essenziali in Iraq. Senza l'apporto di una componente militare con compiti di polizia l'intervento umanitario e di riabilitazione rischierebbe di essere inefficace senza raggiungere il suo obiettivo essenziale che rimane quello di venire incontro a legittime aspettative irachene di autodeterminazione


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politica, di sviluppo democratico e di ricostruzione del tessuto socioeconomico del paese.

PRESIDENTE. L'onorevole Folena ha facoltà di replicare.

PIETRO FOLENA. Senatore Ventucci, sono molto sorpreso di questa esposizione che dà per scontato qualcosa che neppure i governi dei paesi belligeranti danno più per scontato. Mi riferisco all'assunto, dal quale ci si ostina a non tornare indietro, secondo cui esistono (anche se dopo due mesi di occupazione militare anglo-americana, e oggi anche italiana e spagnola, dell'Iraq non ne è stata trovata alcuna traccia) armi di distruzione di massa in quelle quantità e di quelle caratteristiche a cui lei ha fatto parzialmente riferimento.
Il Presidente Berlusconi ha parlato tre volte in Parlamento nelle tre settimane precedenti il conflitto: è intervenuto il 6 febbraio, il 19 febbraio ed il 19 marzo. In tali circostanze, ha fatto affermazioni molto impegnative perché sono state rese solennemente in un momento drammatico in cui milioni di italiani guardavano a quello che succedeva in quest'aula sovrana. Mi riferisco ad affermazioni riguardanti il sicuro possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Saddam Hussein tali da giustificare quel crescendo che, senza vedere il coinvolgimento diretto dell'Italia come paese belligerante, tuttavia l'ha vista parte di quella coalizione di volenterosi, come è stata chiamata, che ha sostenuto l'amministrazione Bush nella guerra contro l'Iraq.
Voglio ricordare - perché lei signor sottosegretario ha fatto bene a rinnovare la nostra memoria circa le inadempienze del regime di Saddam Hussein (evviva Dio, quale disprezzo io possa nutrire o noi possiamo nutrire per quel regime del passato, per quella concezione, per l'uso delle armi, purtroppo - ahimè, per i grandi arsenali negli anni ottanta, costruiti anche con il sostegno dei paesi occidentali, degli stessi Stati Uniti d'America che hanno contribuito quando l'Iraq serviva nella guerra contro l'Iran: tutte cose che ricordiamo) -, tuttavia, che Blix e Al Baradei, nei giorni decisivi (stiamo parlando dei giorni di febbraio e poi di marzo), nei quali si doveva formare un orientamento, hanno affermato a più riprese che era cominciato un parziale smantellamento di alcune armi, non di distruzione di massa, ma di quei missili ad una certa gittata, per i quali comunque era stato deciso con le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dovessero essere smantellati, e che era dunque cominciata una certa collaborazione che bisognava proseguire. Gli ispettori hanno lasciato precipitosamente l'Iraq perché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno deciso di avviare i bombardamenti e hanno deciso di farlo dopo che Colin Powell, in una seduta solenne del Consiglio di Sicurezza, ha illustrato il suo rapporto.
Vorrei ricordare che il Presidente Berlusconi, il 6 febbraio 2003, ha affermato testualmente: l'Iraq è in flagrante violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, come ha dimostrato da ultimo, ieri, il rapporto di Colin Powell al Consiglio di Sicurezza. Ripeto: parole di Berlusconi. Sempre nello stesso discorso Berlusconi ha detto: la comunità internazionale è di fronte alla sfida, testimoniata dal rapporto di Powell di ieri, di un regime che costituisce un pericolo vitale per il Medio Oriente e per il mondo (abbattuto, dico io, con una guerra durata qualche giorno, tanto era pericoloso militarmente!). Ancora: il rapporto Powell - prosegue Berlusconi - dimostra drammaticamente quanto sia attuale e urgente prevenire con mezzi adeguati il rischio costituito da armi di distruzione di massa nelle mani di chi ha dimostrato di saperle usare.
Tutte queste affermazioni il Presidente Berlusconi le ha fatte, pur nella consapevolezza che non bastava la risoluzione n. 1441, a differenza di quanto lei, signor sottosegretario, ha affermato oggi. Ciò in quanto Berlusconi dice, sempre nel discorso del 6 febbraio: che sarebbe necessario per il disarmo completo e incondizionato dell'Iraq, se necessario con una nuova risoluzione, quell'uso misurato della forza, che è il solo deterrente contro


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le minacce della pace. Egli parla dunque della necessità di una nuova risoluzione.
Vorrei aggiungere che nelle comunicazioni successive del 19 febbraio, quando si sono discusse le mozioni presentate dal Parlamento, il Presidente Berlusconi di nuovo ha dato credito al rapporto Powell e alle interpretazioni che provenivano da parte dell'amministrazione americana, sempre motivando solo sulla base del rapporto Powell e di quelle informazioni di parte anglo-americana le ragioni del consenso politico alla guerra che si stava per scatenare. Così ancora, nelle dichiarazioni del 19 marzo (che erano le ore in cui la guerra stava scoppiando), Berlusconi dice: Saddam Hussein non è l'unico autocrate nel mondo a possedere armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico o radioattivo e non è l'unico ad aver lavorato attivamente per un programma nucleare. E tutto il discorso non trova altra motivazione - non ho il tempo per entrare nei dettagli - se non quella del sicuro possesso di quelle armi, del fatto di averle occultate o di non aver rispettato quello che l'ONU diceva (anche se gli ispettori dicevano che cominciava la collaborazione). Ciò era la ragione scatenante, per la quale non poteva mancare da parte italiana il sostegno politico. Al riguardo, dice Berlusconi: abbiamo promesso agli Stati Uniti che non li avremmo lasciati soli nella lotta contro le cause del terrorismo, tra queste la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Quindi: Saddam ha le armi, queste favoriscono il terrorismo e quindi noi siamo a fianco di Bush per fare questa guerra.
La questione, ora, è che le armi non si trovano: questo è il piccolo problema e non è che c'è Saddam ad impedire di trovarle. A questo punto - dato che si è aperto un dibattito in Parlamento - , non condividendo l'invio del contingente militare e continuando a rinnovare la richiesta di una sospensione di quella decisione, di un ritiro per motivi di prudenza, in una situazione estremamente difficile, e continuando a pensare che allora fu violato l'articolo 11 della Costituzione (ma sapendo che vi furono molti colleghi della maggioranza che votarono a favore di quella posizione politica e che pure una parte minoritaria dell'opinione pubblica del paese sostenne la necessità di quella guerra) e non essendosi trovate, a due mesi dalla conclusione della guerra, quelle armi, credo che il Parlamento italiano debba sapere che cosa è stato detto in questo Parlamento.
Cioè, se quanto è stato affermato è stata una bugia deliberata pronunciata dal Presidente Berlusconi che ha usato il rapporto Colin Powell per giustificare una posizione politica già decisa o se, invece - beffa, per alcuni versi, ancora peggiore -, l'amministrazione americana e quella inglese abbiano ingannato deliberatamente non solo i loro Parlamenti, ma anche il Governo italiano. A quel punto il nostro esecutivo, non mentendo e sapendo di mentire, ma per ingenuità, per superficialità, per precipitazione, per dimostrare a Bush che eravamo i primi della classe, ha coperto quella posizione politica.
Senatore Ventucci, è nell'interesse di tutti - dalla destra favorevole alla guerra fino alla sinistra più estrema che è stata assolutamente contraria - conoscere che cosa sia successo. Cioè, se il Governo su quei fatti ha mentito sapendo di mentire o se, invece, sia stato ingannato dagli alleati della coalizione dei volenterosi.
Per queste ragioni voglio annunciare che ho preparato una proposta di legge - e spero che anche i colleghi della maggioranza, che sono stati a favore della guerra, la sottoscrivano - per l'istituzione, a norma del regolamento della Camera deputati, di una Commissione di inchiesta parlamentare al fine di chiarire le ragioni di quell'atteggiamento italiano rispetto alle motivazioni formali e reali della guerra in Iraq e per accertare se vi sia stata una bugia deliberata del nostro Presidente del Consiglio - il paese lo deve sapere - o se, purtroppo, vi sia stata una bugia deliberata da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che hanno ingannato, umiliandolo, un paese come l'Italia che, in quell'occasione, si era collocato in una posizione assai servile.

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