Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 309 del 14/5/2003
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Si riprende l'esame del disegno di legge di conversione n. 3905 (ore 18,35).

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 3905)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi sul complesso delle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge
Ha chiesto di parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi,...

MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, il Governo?

PRESIDENTE. Prego il Governo di sedersi nei banchi del Governo. Già i problemi sono tanti...

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, devo dire che dalle forze che costituiscono la cosiddetta Casa delle libertà nel corso degli ultimi anni abbiamo sentito ripetere termini come federalismo, decentramento, responsabilità degli enti locali. Ma quando abbiamo visto all'opera queste forze e quando abbiamo visto all'opera il Governo di centrodestra, noi abbiamo poi verificato nei fatti, nelle decisioni concrete, nelle leggi finanziarie, nei grandi e piccoli provvedimenti, un atteggiamento completamente differente rispetto a quello preannunciato nelle campagne elettorali. Abbiamo l'impressione che nelle scelte di questo Governo non prevalga il federalismo, l'autonomia locale, il decentramento delle responsabilità, ma sempre più finisca per prevalere uno statalismo verticistico ed accentratore.
Gran parte delle decisioni che riguardano servizi importanti per la popolazione, come quelli alla persona, i servizi sociali, i servizi sanitari e la scuola, piuttosto che essere decentrate, sempre vengono assunte con decisione centralistica, in cui fra l'altro non prevale tanto l'orientamento alla decisione dei ministri competenti, quanto un accentramento di responsabilità e di competenza da parte del Ministero del tesoro.


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Potremmo fare tantissimi esempi di questa tendenza; è una tendenza talmente consolidata che una settimana fa lo stesso ministro della sanità Sirchia ha dichiarato, nel corso del Forum sulla pubblica amministrazione, il fallimento della propria gestione, denunciando nella gestione economicistica, verticistica e centralistica della sanità, la condizione prima che sta portando ad un indebolimento progressivo del servizio sanitario nazionale.
E se lo dice un ministro di questo Governo, che in questo modo si autodenuncia e in questo modo dichiara il proprio fallimento, vuol dire che c'è un tarlo nella gestione di questo Governo e nelle scelte che esso opera. È a seguito di questa impostazione che gli enti locali stanno vivendo una serie di gravi difficoltà nella loro gestione quotidiana, nella gestione delle proprie responsabilità, nell'organizzazione dei servizi e nel rapporto con i cittadini di cui sono responsabili. Lo abbiamo visto in particolare nelle conseguenze che la legge finanziaria per il 2003 ha avuto sulla vita degli enti locali.
L'altro giorno il ministro Maroni ha inviato a tutti i parlamentari una lettera dal tono trionfalistico in cui diceva: vedete, nella distribuzione dei fondi per le politiche sociali alle regioni abbiamo aumentato le risorse rispetto a quanto era stato stabilito precedentemente dal Governo. Peccato che il ministro del lavoro e delle politiche sociali, il ministro del welfare, nella lettera si sia dimenticato di dire che, fino a un giorno prima, aveva dichiarato - anche in quest'aula, direttamente o attraverso i suoi sottosegretari - che invece il fondo per le politiche sociali era intatto, che non esistevano tagli alle politiche sociali e che anzi i comuni avrebbero ricevuto tutte le risorse necessarie per gestire i servizi!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 18,40)

AUGUSTO BATTAGLIA. Il ministro Maroni si è dimenticato di dire che, di fronte alle scelte del Governo in quella materia, nella legge finanziaria, c'era stata una sollevazione di tutti i comuni italiani, attraverso l'ANCI, e di tutte le province e vi era stata una forte opposizione di tutte le regioni, che hanno costretto il Governo ad una nuova trattativa che ha modificato i termini del confronto. Il ministro Maroni si è dimenticato di dire che vi è stata una sollevazione di tutte le associazioni di volontariato, di tutte le associazioni dei disabili, dei sindacati, di quanti difendono gli interessi dei cittadini e, in particolare, dei cittadini che vivono situazioni di difficoltà, che appartengono alle fasce sociali più deboli, alle categorie sociali che rischiano processi di esclusione sociale e di emarginazione. Sono state quelle proteste a costringere il Governo a modificare l'orientamento della legge finanziaria!
Chi, come me, ha avuto modo di partecipare alla conferenza nazionale sull'handicap che si è tenuta a Bari, un paio di mesi fa, ha potuto constatare come tutti coloro che andavano al microfono, di fronte alla sottosegretaria Sestini e ai rappresentanti delle regioni e dei comuni, dicessero per prima cosa: state facendo la conferenza nazionale sull'handicap, ma se non si modifica la finanziaria e se non si mettono i comuni nelle condizioni di poter garantire i servizi di cui qui si parla, questa conferenza è inutile!
Credo di poter dire che la battaglia che noi abbiamo fatto, insieme alle associazioni e agli enti locali, contro quell'impostazione della legge finanziaria, ha cominciato a dare dei risultati, perché ha costretto il Governo a modificare le sue scelte e, se oggi i comuni si trovano nelle condizioni non ottimali, ma che comunque permettono loro di garantire almeno quella rete di servizi esistente, pur con tante difficoltà, è grazie alla battaglia che noi abbiamo fatto a fianco delle organizzazioni e dei cittadini e che ha costretto il Governo a fare retromarcia rispetto ad una scelta grave che aveva compiuto in materia di politiche sociali!
Infatti, da quando noi abbiamo letto lo scorso anno il documento di programmazione economico-finanziaria e abbiamo letto che era nei programmi del Governo


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di centrodestra la riduzione della spesa sociale di un punto di prodotto interno lordo all'anno nei prossimi quattro anni - cioè voi avete, nel vostro programma di Governo, la riduzione di 125 mila miliardi di spesa sociale; questo è il vostro programma! -, sappiamo che ci dobbiamo aspettare non soltanto i risultati negativi che questa legge finanziaria già sta dando, ma che, per gli enti locali, ci dobbiamo aspettare anche risultati peggiori per i prossimi anni!
Infatti, oggi, gli enti locali, i comuni, sono in difficoltà non soltanto nell'erogazione dei servizi sociali. Infatti, anche con gli ultimi aumenti conquistati e strappati al Governo, non ci sono le risorse per finanziarie tutto ciò che sarebbe necessario, tutti i servizi esistenti, ma soprattutto non ci sono le risorse per sviluppare ulteriormente - come era necessario - quei servizi, tenendo conto che quei 3 mila miliardi che vi abbiamo lasciato di fondo per le politiche sociali, dopo la riforma del 2000, la legge n. 328, erano l'inizio di un processo che doveva andare avanti. Voi, non solo non lo avete mandato avanti, ma lo avete bloccato, arrestando lo sviluppo della crescita dei servizi del welfare locale.
Ma i comuni stanno soffrendo, non soltanto con riferimento alle politiche sociali, ma anche quando devono affrontare i problemi della casa dei cittadini. Noi, in questi giorni, stiamo vivendo, in tante città italiane, forti tensioni sociali perché, grazie al decreto del ministro Tremonti che ha modificato le regole per la vendita delle case degli enti, oggi, le famiglie che abitano i quelle case, vendute grazie alla normativa dei governi di centrosinistra a condizioni raggiungibili, accettabili, accessibili alla larga maggioranza degli abitanti stessi (si tratta, nella generalità dei casi, di lavoratori dipendenti, di pensionati, di famiglie a reddito medio basso), si vedono costrette ad acquistare una casa a prezzi superiori del 30, 40 per cento rispetto a quanto queste case sono state vendute un anno fa.
Molte famiglie non sono in condizioni di acquistare quegli alloggi; molte famiglie ormai vivono l'angoscia di essere presto sfrattate ma - badate - non dagli enti previdenziali, che erano gli interlocutori delle famiglie nei precedenti processi di vendita; oggi gli enti previdenziali, grazie al decreto Tremonti, hanno già liquidato e passato tutta l'operatività alle agenzie di intermediazione, le cosiddette SCIP le quali poi saranno nelle condizioni, grazie a questa normativa che non prevede le stesse garanzie per le famiglie, di sfrattare quelle famiglie.
Questo grave problema sociale di migliaia di famiglie si rovescerà sui comuni che dovranno affrontare il problema della casa per migliaia di famiglie che prima avevano una casa e che si troveranno in condizione di gravi difficoltà. Questo sarà ancora più difficile perché, nella legge finanziaria, oltre a tagliare i fondi per le politiche sociali, avete tagliato i fondi che consentivano ai comuni di aiutare quelle famiglie che non ce la facevano a pagare l'affitto della casa. Era uno strumento molto importante di governo delle politiche abitative, soprattutto nelle grandi città, perché i comuni potevano intervenire quando la differenza tra il reddito della famiglia e l'affitto che veniva proposto poteva essere colmata con l'intervento delle municipalità.
Oggi, questo non è più possibile perché i fondi sono stati drasticamente ridotti e i comuni si trovano in difficoltà sempre maggiori ad affrontare i problemi della casa. Quindi, vi sono i problemi sociali - le persone anziane -, i problemi delle famiglie con a carico persone disabili, i problemi degli asili nido per i lavoratori, i problemi della casa. Questa politica del centrodestra si sta rivelando, giorno dopo giorno, quella che è, ossia una politica che colpisce le famiglie con reddito medio basso rendendogli più difficile la vita. Non è soltanto il problema del carovita, non è soltanto un problema legato all'impossibilità di arrivare, con le pensioni e con gli stipendi, al 27 del mese poiché l'aumento del costo della vita sta andando avanti in maniera incontrollata. I servizi non vengono più erogati nelle stesse condizioni di prima e alcuni comuni si trovano sempre


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in maggiore difficoltà a far fronte alle esigenze delle fasce sociali più deboli.
Questo vale per le politiche sociali, per le politiche della casa, per la scuola, per la sanità. Oggi, abbiamo di fronte i dati ultimi, ossia che le famiglie italiane hanno pagato, per servizi sanitari, nello scorso anno, ben 24 miliardi di euro di tasca propria.
Quei ticket che voi avete introdotto nelle regioni governate dal centrodestra, quelle visite a pagamento che i cittadini italiani devono fare perché all'ASL c'è una lista d'attesa lunga mesi - e se uno sta male non può aspettare mesi per fare la visita! -, quei ricoveri a pagamento (perché non si trova posto per una RSA o per la riabilitazione) sono costate alle famiglie italiane 24 miliardi di euro o, se preferite, 48 mila miliardi di vecchie lire! Questo state facendo: state riducendo i trasferimenti agli enti locali, i quali si trovano in difficoltà sempre maggiori nel garantire i servizi ai cittadini e, dunque, finiscono per gravare i cittadini di spese!
Quindi, una parte delle spese che, prima, si accollavano i comuni, le ASL, le scuole, lo Stato, la collettività, oggi, grazie alle vostre politiche sciagurate, sono trasferite sulle famiglie italiane, le quali pagano di tasca propria! E quando mettiamo l'aumento dei prezzi da una parte e l'aumento dei ticket e della partecipazione alla spesa dall'altro, non ci possiamo meravigliare se i consumi non crescono, non ci possiamo meravigliare se l'economia non decolla! Ma come fa a decollare l'economia?
Ha poco da dire il nostro Presidente del Consiglio con le sue battute del tipo: mandiamo le nostre mogli a fare la spesa, perché loro sanno spendere! Queste sono battute da avanspettacolo di cui un Presidente del Consiglio dovrebbe vergognarsi! Un Presidente del Consiglio, un ministro dell'economia ed un ministro della salute dovrebbero, con molta più serietà, affrontare questi problemi che, invece, vengono scaricati sulle famiglie italiane, le quali, poi, devono trovare - loro - le risorse per pagarsi il doposcuola, le medicine e la sanità che non viene riconosciuta.
Nelle ultime settimane, abbiamo assistito anche ad un aumento dei prezzi dei medicinali che non vengono più dispensati dal servizio sanitario nazionale. Ad esempio, quest'anno, chi soffre di allergie - e siamo in una stagione in cui le allergie colpiscono coloro i quali, purtroppo, ne soffrono - gli antistaminici se li paga di tasca propria perché il servizio sanitario nazionale non li passa più. E sono bei soldi, anche perché, guarda caso, quelle medicine sono aumentate di prezzo, caro Presidente!

PRESIDENTE. Onorevole Battaglia, bisogna che si accinga a concludere.

AUGUSTO BATTAGLIA. Quando parliamo di enti locali, signor Presidente...

PRESIDENTE. Si accinga!

AUGUSTO BATTAGLIA. Stringo e vado alle conclusioni, signor Presidente.
Comunque, poiché mi richiama al rispetto del tempo, signor Presidente, vorrei far notare che, fino ad ora, il tempo ce l'hanno fatto perdere gli amici della Lega nord Padania...

GIANCARLO GIORGETTI. Parla sul tema!

PRESIDENTE. Onorevole Battaglia, in latino si dice: dies interpellat pro homine.

AUGUSTO BATTAGLIA. ...i quali ci hanno trascinati, per giorni e giorni, a discutere sulle quote latte perché avete litigato, voi della maggioranza, su un problema importante come quello delle quote latte!
La maggioranza non ha, evidentemente, quella compattezza che vorrebbe far credere di avere: lo dimostra lo spettacolo indecoroso che avete dato oggi ed in questi giorni in questo Parlamento. È la dimostrazione che questa è una maggioranza (Commenti di deputati del gruppo di Forza


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Italia) che, magari, è unita quando si tratta di essere contro i giudici e contro i processi, ma divisa quando si parla dei problemi della gente, dei problemi sociali, dei problemi delle famiglie.
Quando noi, signor Presidente, parliamo di comuni, dobbiamo sapere che parliamo dei problemi concreti delle famiglie, dei problemi concreti della gente! Purtroppo, le vostre politiche, le politiche del ministro Tremonti, le politiche del ministro Sirchia, le politiche del ministro Maroni sono state sciagurate da questo punto di vista ed hanno creato grandi problemi per gli enti locali e, soprattutto, per le categorie sociali come le persone anziane, le persone disabili ...

PRESIDENTE. Onorevole Battaglia, lei deve tener conto del fatto che il Presidente deve applicare il regolamento.
Naturalmente, lo deve fare con criterio non vessatorio; però, non deve nemmeno abusare della pazienza altrui. Non è Catilina!

AUGUSTO BATTAGLIA. Non sono Catilina e nemmeno Cicerone, signor Presidente.
La politica del Governo, in queste materie, ha bisogno di un cambiamento sostanziale perché i danni che si stanno creando sono gravissimi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

BENITO PAOLONE. I soldi dove si prendono?

PRESIDENTE. Saluto i soci del centro per anziani - per questo sono lieto di farlo, anche a titolo personale - della cooperativa Giardino Santo Stefano di Martellago (Venezia) (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Chianale. Ne ha facoltà.

MAURO CHIANALE. Signor Presidente, numerosi colleghi oggi, che hanno affermato di essere favorevoli all'approvazione di questo provvedimento, hanno ripreso le motivazioni principali per cui anche l'opposizione conviene su questa conversione. L'occasione era sicuramente importante anche perché, come tanti colleghi questa mattina hanno riferito, questo decreto-legge non si limita alla semplice posposizione della possibilità di approvare i bilanci dei comuni, ma, con le modifiche apportate al Senato, aggiunge ulteriori elementi che oggettivamente lo migliorano e lo qualificano. Quale occasione migliore allora per aggiungere altri aspetti, che sono emersi in questo frangente, per quei comuni che hanno operato con semplicità organizzativa e con virtuosismo (elementi che sono stati, oggettivamente, difficilmente applicabili per quei comuni)? Mi riferisco alle assunzioni a tempo indeterminato, alla determinazione della dotazione organica, alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di formazione lavoro: questioni che sono state oggettivamente rese difficili tanto da determinare la necessità di formulare una circolare interpretativa che poteva essere oggettivamente ripresa anche in questo decreto-legge. Ma proprio con questo decreto-legge si aveva la possibilità nuovamente di cercare di correggere alcuni elementi. Quando la finanziaria è stata approvata tutti noi abbiamo ascoltato con circospezione e con un po' di sospetto che sarebbe stata una finanziaria di svolta relativamente ai rapporti tra le parti costitutive della Repubblica. I comuni si aspettavano l'avvio di un percorso di attuazione di quel modello di federalismo fiscale, che peraltro ha costituito uno dei punti salienti del programma elettorale del Governo in attuazione del nuovo titolo V della Costituzione e dell'intesa interistituzionale firmata dal Presidente del Consiglio nel lontano 20 giugno 2002. Invece la legge finanziaria ha avuto una impostazione nettamente centralistica, ha proposto misure fortemente penalizzanti per i comuni sia dal lato del mancato rispetto dei principi di autonomia, sussidiarietà e pari dignità istituzionale, sia nella parte relativa alla drastica riduzione delle risorse su cui i comuni potranno contare e stanno contando in questo anno (1,7 miliardi di euro in meno).


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Alla richiesta dunque delle autonomie locali di stabilire insieme meccanismi di responsabilizzazione nella gestione della finanza locale, richiesta condivisa più volte dal Governo, è stata data una risposta in gran parte contenuta in misure di limitazione dell'autonomia stessa degli enti o in tagli della spesa, vincoli, tetti e controlli nei confronti dei comuni accusati ingiustamente di aver fuori controllo le voci di spesa.
In questo senso va invece ricordato che i comuni hanno contribuito già negli anni scorsi in modo assai rilevante al risanamento della finanza pubblica, accettando e condividendo obiettivi di scelte assai rigorose, coraggiose e restrittive dell'interesse generale del paese.
La Corte dei conti, nella sua relazione ai bilanci dei comuni nell'anno 2000, evidenzia come le voci di maggiore spesa e di maggiore impatto siano sotto controllo o addirittura in diminuzione e che nella parte dei pagamenti di competenza vi è una risposta positiva dei comuni alle politiche nazionali di cassa disposte in attuazione del patto di stabilità europeo. Una finanziaria che, penalizzando i comuni, ha inciso per forza sulle cose della vita comune, sulla vita quotidiana di cittadini che riconoscono nel comune l'istituzione di riferimento più vicina ai bisogni, in grado di offrire risposte immediate alle domande della famiglia e alle imprese. Il 50 per cento del bilancio di un comune è dedicato alla voce dei servizi per i cittadini; ridurre risorse ai comuni ha corrisposto e sta corrispondendo automaticamente ad una decurtazione del servizio offerto ai cittadini.
Da alcuni anni si sente, attraverso i canali di informazione, che gli enti locali e le loro spese sono una causa del deficit nazionale e che l'unico modo per arginare questo fenomeno è quello di bloccare la spesa dei comuni con l'ingessatura del patto di stabilità. Indubbiamente, la diminuzione delle spese correnti, soprattutto quando si tratta di eliminare gli sprechi, tutti i comuni, da poco e da tanto, possono contribuirvi; e ciò è sempre un fatto auspicabile. Non si capisce perché non si spieghi ai cittadini...

PIERO RUZZANTE. Il Governo?

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Chianale, mi si dice che il Governo non è presente in aula oppure è in giro.

PIERO RUZZANTE. Il Governo è scappato!

PRESIDENTE. Vedo, però, che è presente il sottosegretario Contento. Sarete, quindi, contenti che è presente il sottosegretario Contento. Prego, onorevole Chianale.

MAURO CHIANALE. Lo aspettavo con solerzia. Come dicevo, è sempre un fatto auspicabile che i comuni risparmino, sebbene si deve anche dire che, in merito all'incremento delle spese, molto delle quali decise a livello statale come, ad esempio, con riferimento al contratto del personale, questi possono contare solo su risorse proprie e, pertanto, non incidono sul fabbisogno nazionale legato al patto di stabilità.
Un'altra incongruenza è quella di proibire ai comuni da un paio d'anni di usare la leva della tassazione con l'addizionale IRPEF che, proprio perché si chiama comunale, dovrebbe essere gestita in piena autonomia da chi la riscuote; invece, si assiste all'assurdità che due cittadini di comuni vicini paghino aliquote diverse qualora i loro enti locali a cui essi appartengano abbiano scelto, negli anni passati, percentuali diverse a seconda delle necessità di bilancio e contro la volontà dei loro stessi amministratori. In questo modo, il mancato trasferimento statale viene vissuto in modo anomalo; il comune virtuoso che ha preservato i suoi cittadini da un'aliquota di addizionale IRPEF più pesante rispetto agli altri comuni si trova ora a reperire le risorse mancanti attraverso altre forme di tassazione come ad esempio l'ICI che sono sicuramente ben più vessatorie perché colpiscono il possesso di un


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bene e non la produzione di reddito. La ciliegina sulla torta è ora arrivata anche dalla compartecipazione all'IRPEF che, nell'intenzione del legislatore, doveva sostituire i contributi statali ma che, in pratica, viene distribuita solo in parte.
Da tutta questa vicenda, legata ad un patto di stabilità imposto dall'alto, se ne deduce che chi ha scritto le norme non ha mai avuto a che fare con i bilanci comunali ma ha cercato solamente di confondere le idee degli amministratori e non ha saputo, neanche molto bene, nascondere l'obiettivo finale del ministero che era quello di bloccare in ogni modo le spese a livello comunale compiendo, in tal modo, molti passi indietro in termini di decentramento delle funzioni e dando l'impressione che i cittadini siano amministrati da persone incompetenti alle quali, tutti gli anni, bisogna dare un compito ben preciso: confondere le idee cittadini con norme assurde o inapplicabili.
Ricordo lo slogan del Governo: abbiamo diminuito le tasse come avevamo promesso, adesso spetta a tutti, ministeri ed enti locali, fare sacrifici. Il risultato è stato che i ministeri hanno tagliato la loro capacità di spesa mentre i comuni hanno dovuto, nel migliore dei casi, aumentare le tasse o le tariffe dei servizi oppure tagliare alcuni servizi essenziali erogati alle fasce più deboli.
Ritengo che i comuni, di qualsiasi tendenza politica, abbiamo sempre agito con responsabilità amministrativa seguendo le direttive governative ed abbiano diritto di essere maggiormente considerati e consultati affinché le disposizioni che li riguardino siano comprensibili, non contraddittorie ed applicabili e, soprattutto, abbiano la possibilità di chiedere ai propri cittadini quei sacrifici economici necessari ad esaudire la loro esigenza di erogare servizi sempre più efficienti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, mi sono chiesto più volte quando avremmo avuto l'occasione di verificare e di discutere i risultati delle scelte di finanza pubblica del Governo operate con la legge finanziaria e con altri provvedimenti. Faccio riferimento a risultati, non soltanto di tenuta dei conti pubblici, ma anche in termini di effetti che la politica economica del Governo produce sui protagonisti passivi di essa, siano essi cittadini singoli, imprese od enti locali. Ebbene, questo decreto-legge rappresenta probabilmente proprio la prima occasione che abbiamo per misurare gli effetti della politica economica del Governo contenuta nell'ultima legge finanziaria su uno dei protagonisti passivi, per l'appunto gli enti locali.
Di fronte a questo provvedimento, infatti, non c'è bisogno di sofisticate e dettagliate analisi sulla situazione creatasi negli enti locali, analisi e previsione di risultati negativi ampiamente effettuata quando, a suo tempo, è stato discusso il disegno di legge finanziaria. Questo stesso decreto-legge, in realtà, nasce dagli errori e dalle scelte sbagliate compiute dal Governo per quanto riguarda la finanza locale.
La legge finanziaria ed i provvedimenti successivi, come il decreto taglia spese, hanno creato serie difficoltà ai comuni e alle province, costretti ad aumentare i tributi locali, oppure a ridurre i servizi ai cittadini. Si è trattato del tentativo del Governo di scaricare sulle autonomie locali le sue scelte irresponsabili, le sue misure demagogiche ed inefficaci, i costi delle sue leggi prive di copertura finanziaria, i risultati delle sue previsioni del tutto improbabili sull'andamento del PIL e delle altre variabili macroeconomiche, sul gettito tributario e sull'indebitamento della pubblica amministrazione. Tale situazione ha provocato la reazione degli enti locali e delle loro associazioni, ed ha provocato soprattutto il rischio oggettivo di una crisi devastante per le autonomie locali; di qui, la necessità per il Governo di correggere gli errori ed i disastri provocati agli enti locali dalla sua politica.
Il Governo, tuttavia, non si è reso immediatamente conto della gravità della situazione, poiché il decreto-legge originario recava soltanto il differimento del


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termine per la deliberazione dei bilanci di previsione degli enti locali al mese di maggio, provvedimento che già di per sé rappresenta qualcosa fuori dall'ordinario. La realtà è che il Senato della Repubblica, pressato positivamente - come del resto la Camera - dall'azione degli enti locali e delle loro associazioni, ha introdotto alcune norme in grado di affrontare altri problemi della finanza locale, in aggiunta allo slittamento della scadenza per la deliberazione dei bilanci di previsione.
Devo aggiungere, inoltre, che non è solamente nei confronti degli enti locali che il Governo ha condotto tale politica, perché anche il comparto scuola, università e ricerca è stato sottoposto allo stesso trattamento, rappresentato da tagli di spesa e da una politica di disconoscimento della sua attività e del suo peso. Le dimissioni rassegnate due giorni fa dal presidente del CNR e la protesta delle università e dei ricercatori rappresentano infatti una chiara spia dei risultati devastanti di questa politica. Anche le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, hanno sopportato i danni di queste scelte, in particolare le piccole e medie imprese presenti nelle regioni meridionali quando hanno assistito, ad esempio, alla liquidazione del credito di imposta.
Ma tali scelte ed i tentativi di scaricare sugli enti locali, sulla scuola, sull'università, sulla ricerca e sulle piccole e medie imprese le difficoltà della finanza pubblica non sono affatto servite a risanare la finanza pubblica stessa. Anzi, quel risanamento che era stato condotto dai Governi di centrosinistra, conseguendo risultati importanti, è stato vanificato e compromesso dalla politica economica di Berlusconi e di Tremonti, come si evince dalla relazione trimestrale di cassa presentata dal Governo, laddove si scopre che i saldi corrente e primario della pubblica amministrazione sono peggiorati e che l'indebitamento netto ha recuperato un misero 0,3 per cento del PIL, passando dal 2,6 del 2001 al 2,3 del 2002, mentre l'esecutivo aveva previsto un ambizioso abbattimento dell'indebitamento fino allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo. Si trattava di libri dei sogni, di fantasie, di cifre e previsioni di pura propaganda!
La dura realtà è diversa; la dura realtà è che la vostra politica è irresponsabile verso gli enti locali, non regge e non ha retto e questo decreto-legge è la puntuale registrazione di tale fallimento.
Naturalmente, gli enti locali, con questo decreto-legge, non vedranno risolte le difficoltà provocate dalla vostra politica. Questo provvedimento costituisce niente di più che un tampone ad un disastro provocato. Comuni, province e regioni si aspettano altro da un Governo responsabile, ma questo è il problema: si aspettano una responsabilità che il Governo non ha, si aspettano un Governo responsabile che non c'è (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
Vedo che l'onorevole Lettieri sta entrando ora in aula. Prego, onorevole Lettieri.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, le chiedo scusa per questo piccolo ritardo dovuto ad un momento di consultazione con alcuni colleghi su un altro provvedimento che pure è iscritto all'ordine del giorno.
Vorrei subito dire che il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo è favorevole a convertire in legge questo decreto-legge, perché riguarda tutti gli enti locali, non soltanto quelli amministrati dal centrosinistra e dalla Margherita, ma anche quelli amministrati dal centrodestra ed eventualmente da liste civiche. Siamo favorevoli perché si crea una situazione di miglioramento nei confronti dei comuni e delle province, che così potranno essere in grado di far fronte, almeno in parte (anche se assai limitatamente), al fabbisogno che le famiglie, i cittadini e gli anziani hanno.
Il decreto-legge adottato dal Governo - lo voglio ricordare - si limitava alla pura e semplice proroga dei termini, ignorando del tutto le osservazioni e le richieste avanzate dai comuni e dalle province. Già


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questo la dice lunga: un Governo che si limita ad un semplice differimento dei termini, evidentemente, è un Governo chiuso alle istanze che provengono dal mondo delle autonomie locali. Eppure, vi è una Conferenza Stato-regioni-autonomie locali nella quale, gli amministratori, i rappresentanti delle popolazioni e dei territori pongono sempre e con forza una serie di questioni, e lo hanno fatto non soltanto relativamente a questo decreto-legge, ma anche alla politica complessiva del nostro paese.
Per fortuna, il Senato ha introdotto alcune significative integrazioni al testo. Pertanto, esprimeremo sullo stesso un voto favorevole in quanto - lo ripeto - le norme inserite dal Senato rispondono, almeno in parte, alle esigenze poste con forza dalle associazioni dei comuni e delle province italiane.
In particolare, per quanto riguarda le province, queste ultime ora vengono messe in condizioni di rispettare il patto di stabilità; altrimenti, il 90 per cento delle province italiane non sarebbe stato in grado di farlo. Vi sono state consultazioni anche su altri provvedimenti ed i rappresentanti dell'UPI hanno posto questo problema con grande forza, senza mai trovare orecchie attente (tanto meno, lo sono state quelle del ministro dell'economia e delle finanze che, insensibile, è andato, in verità, anche oltre, proponendo ed approvando il decreto taglia spese, che ha inciso negativamente sui bilanci dei comuni e, quindi, anche delle famiglie italiane.
Il previsto stralcio delle spese sostenute per l'esercizio delle funzioni trasferite dal computo complessivo del saldo finanziario consentirà un calcolo sostenibile del disavanzo in linea con i limiti del patto di stabilità. È, quindi, una norma positiva che, saggiamente, i senatori hanno introdotto.
Comunque, al di là di questo positivo aggiustamento, occorre a mio avviso una revisione profonda del meccanismo del patto di stabilità interno basato sulla concertazione tra Governo e sistema delle autonomie. Il Governo non può procedere con i diktat né con norme iugulatorie.
In una realtà democratica come quella italiana la concertazione è l'essenza e la base per la stessa convivenza civile. Non vi possono essere istituzioni che si trovano in contrapposizione tra di loro. Della concertazione il Governo di centrosinistra ha dato prova di efficacia ed i risultati, non solo sul terreno sociale, ma anche su quello della cooperazione tra le varie istituzioni, sono stati positivi con grande beneficio per la collettività italiana e per la nostra economia. I patti territoriali, i contratti di programma e tanti altri strumenti della programmazione contrattata sono il risultato positivo che, almeno nel Mezzogiorno, ha portato ad un aumento dell'occupazione e ad un miglioramento della situazione economica che oggi, purtroppo, però, registra un rallentamento a causa delle scelte errate di politica economica compiute da questo Governo.
Dunque, riteniamo che serva la concertazione e la corresponsabilità da parte di tutte le istituzioni in una fase particolarmente critica della nostra economia che risente fortemente degli errori e delle scelte sbagliate del Governo di centrodestra, ma anche, diciamolo con molta franchezza, di una situazione complessivamente non positiva che si registra a livello europeo ed internazionale.
Gli amministratori locali sono persone responsabili e ben comprendono, quindi, la necessità del mantenimento del patto di stabilità. Dunque, si fanno carico di un impegno convergente per il risanamento dei conti pubblici che non vanno bene nonostante l'aumento delle entrate e l'adozione di provvedimenti una tantum. A tale proposito il Ministero dell'economia ha fornito recentemente i dati relativi alle entrate tributarie: gli italiani hanno pagato più tasse. Altro che la riduzione delle tasse propagandata dal Presidente del Consiglio e dal ministro dell'economia! Nonostante l'aumento delle entrate tributarie l'economia non riparte ed i meccanismi dello sviluppo si sono rallentati anche nel Mezzogiorno, che stava riprendendo a correre più delle altre regioni del nostro paese. Ciò accade perché il Governo, a mio avviso, non ha un disegno strategico su quello che


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deve essere lo sviluppo del nostro paese e ritiene ancora di procedere in maniera empirica e, soprattutto, agevolando i territori più forti del nostro paese mentre vi è la necessità che l'Italia si sviluppi armonicamente in tutte le sue parti.
L'altro giorno il CIPE ha deliberato finalmente l'assegnazione di alcuni fondi ed è stata una gara a chi esprimeva maggiore soddisfazione. Tuttavia, in due anni questo Governo non ha speso, ad esempio, in infrastrutture neanche una lira in più, non ha realizzato neanche un metro in più di nuove infrastrutture. Eppure il Governo, prima in campagna elettorale e poi all'atto del suo insediamento, aveva menato vanto e stabilito di fare delle nuove infrastrutture un elemento di priorità. Così non è stato: l'arretratezza del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno è tale da non poter tollerare ulteriori ritardi. Intanto, spingano perché si spendano almeno i fondi già decisi, molti dei quali erano stati decisi già dai Governi del centrosinistra.
Il giorno 9, ultimo scorso, il CIPE ha deliberato altri fondi, non molti, ma che comunque possono essere utili alla realizzazione di questi elementi infrastrutturali, nonché all'incentivazione delle imprese. E allora lo facciano, con rapidità e con trasparenza! Dico con trasparenza, perché il Fondo unico per il Mezzogiorno, voluto fortemente dal Governo di centrodestra, purtroppo è un Fondo che lascia ampi margini alla discrezionalità, e quindi al clientelismo e al Governo, che ha voluto le mani libere, mentre a nostro avviso bisognava delegare alle regioni l'assegnazione dei contributi e l'accelerazione degli appalti per la realizzazione di quelle opere pubbliche indispensabili.
Ho voluto fare questo inciso per ricordare come il Governo, nei confronti delle amministrazioni regionali, comunali e provinciali, non abbia senso di responsabilità, né fiducia: per questo c'è stato questo riaccentramento delle competenze, nonostante le prediche sul decentramento e sul federalismo. Va tuttavia dato atto che da parte degli amministratori locali vi è questa volontà di concorrere al governo del paese, dei propri territori e di quelle fette di società che loro amministrano. I conti pubblici purtroppo - a prescindere da quello che dice il ministro Tremonti - non vanno bene e non si possono risanare soltanto con i provvedimenti una tantum o con le cartolarizzazioni o con i condoni (dei quali in questi giorni si parla ancora, perché molti ne vorrebbero la proroga).
Non citerò dati, perché sono stati assai eloquenti quelli citati questa mattina dalla collega Pennacchi. Sono dati che non derivano dalle invenzioni dell'opposizione e, d'altronde, nessuno di noi può contestare la crudezza dei dati: basti considerare che il 2002 si è chiuso con una crescita di appena lo 0,4 per cento, a fronte di una previsione iniziale di crescita del 2,3 per cento. Questo è un dato rivelatore, ma non vorrei più dilungarmi su questo aspetto.
Ritengo vi sia un dovere inderogabile sia per il Governo, sia per il ministro, di stabilire un migliore e più proficuo raccordo con gli enti locali, così come ritengo che la maggioranza - e non solo il Governo - non possa continuare a proporre norme sbagliate, come quella di cui all'articolo 24 della legge finanziaria del 2002, che per fortuna questo decreto-legge corregge mettendo le province italiane in condizione di salvare il patto di stabilità interno. Né la maggioranza, né il Governo possono continuare, ripeto, ad imporre norme sbagliate, com'è accaduto al Senato sulla legge delega in materia ambientale, dove il Governo in maniera arrogante ha posto la questione di fiducia. E non soltanto, cari colleghi, il Governo ha espropriato le regioni di alcune competenze già consolidate a livello regionale, ma ha aggiunto altri «espropri», riappropriandosi anche dei poteri relativi alla riforma dei servizi pubblici locali, senza passare neanche per il Parlamento.
Non vorrei essere ripetitivo e stucchevole, ma vorrei dire con molta forza che il Governo Berlusconi si sta sempre più caratterizzando per un taglio gestionale di tipo peronistico! Non so fino a che punto una democrazia vera e moderna, come la nostra, potrà sopportare una cosa di questo genere. Mi domando dove sta, nel


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Consiglio dei ministri, il ministro Bossi, il quale continua ad «abbaiare alla luna» quando parla di regionalismo, di federalismo e di autonomie, mentre non si accorge poi che queste disposizioni normative, introdotte in maniera surrettizia, magari soltanto con una motivazione di contenimento della spesa, mirano sostanzialmente a centralizzare nuovamente una serie di poteri, che prima erano dei comuni, delle province e delle regioni.
Occorre farsi carico come Parlamento, ma deve farlo soprattutto il Governo, delle difficoltà nelle quali da due anni i nostri enti locali si trovano a causa di una serie di provvedimenti vessatori, a partire dal decreto taglia spese e da quella norma di cui all'articolo 24 della legge finanziaria 2002 che, oggi, opportunamente questo decreto-legge corregge grazie alla saggezza degli onorevoli senatori.
Per tale motivo, ho svolto in questa sede alcune considerazioni, probabilmente anche un po' disorganiche, ma comunque finalizzate a fornire il nostro consenso ad un provvedimento che riteniamo necessario per gli enti locali e utile per l'immagine del nostro paese, in quanto mantenere il patto di stabilità interna significa fare in modo che l'Italia mantenga il patto di stabilità a livello europeo.
In un momento delicatissimo come questo, nel quale l'immagine dell'Italia è inficiata dagli errori e dalle sciocchezze che il Presidente del Consiglio, ogni giorno, continua ad affermare all'estero e in televisione, abbiamo il dovere di dare almeno un'immagine di serietà nel rispettare i parametri del patto di stabilità europeo; si tratta di un dovere!
Ricordiamoci - cari colleghi - che i Governi dell'Ulivo, in particolare il Governo Prodi, sono riusciti a mantenere la parola, accreditandosi in sede europea e facendo rispettare quel Patto. Noi dobbiamo continuare, nonostante gli errori del Governo Berlusconi, mantenendo fermi i limiti del patto e fornendo all'Europa intera l'immagine e la prova della serietà del Parlamento italiano.
Per tale motivo, non possiamo giustificare in alcun modo né tollerare l'arroganza e la chiusura del Governo, in quanto siamo convinti che tali atteggiamenti non paghino, creando difficoltà agli enti locali e ai privati cittadini. Di ciò occorre prendere atto modificando, quindi, tali comportamenti.
Presidente, concludo e la ringrazio per aver tollerato quel minimo di ritardo. Comunque, il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo ribadisce, ancora una volta, la volontà di dare concretezza alle scelte autonomistiche e questo decreto va proprio nella direzione riparatoria rispetto ai danni causati dalle scelte del centrodestra realizzate con l'articolo 24 della legge finanziaria.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rugghia. Tuttavia, alcuni capigruppo mi segnalano che vi sarebbe la disponibilità a ritirare le richieste di intervento, in modo da sospendere la seduta subito dopo l'espressione dei pareri sugli emendamenti.
Dunque, nessun altro chiedendo di parlare sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

GUIDO CROSETTO, Relatore. La Commissione formula un invito al ritiro su tutte le proposte emendative presentate, altrimenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo?

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Il Governo concorda con il parere espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è, dunque, rinviato ad altra seduta.

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