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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati: Molinari; Tonino Loddo ed altri; Angela Napoli; Lumia; Landolfi; Coronella e Messa; Di Teodoro ed altri; Luigi Pepe; Antonio Barbieri.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Taglialatela, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARCELLO TAGLIALATELA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, arriva finalmente all'esame dell'Assemblea un disegno di legge da molti anni atteso, che punta a risolvere un problema relativo alla condizione di precariato nella quale versano ancora molte migliaia di insegnanti di religione cattolica (parlo, ovviamente, tanto delle scuole pubbliche quanto di quelle private).
Il provvedimento giunge al nostro esame dopo un'approfondita discussione in Commissione, durata molte settimane, arricchita dall'ascolto di molte associazioni sindacali che si occupano del problema e che hanno una loro rappresentatività nel mondo della scuola, con particolare riferimento, appunto, agli insegnanti di religione.
Questo disegno di legge del Governo, sostanzialmente, finisce con l'accorpare proposte di legge che sono state presentate sia nella scorsa legislatura sia in quella attuale, a firma di molti colleghi. Penso sia giusto citare tutte le proposte di legge che hanno preceduto il disegno di legge poi
varato dal Consiglio dei ministri, a firma dell'onorevole Moratti. Ci sono state le proposte di legge dei colleghi Molinari, Tonino Loddo, Angela Napoli, Lumia, Landolfi, Coronella e Messa, Di Teodoro, Luigi Pepe e Antonio Barbieri, insieme ad altri colleghi che hanno aggiunto la loro firma dopo quella dei primi firmatari.
Il presente disegno di legge trae origine dall'intento dello Stato - esplicitato nel preambolo dell'Intesa intervenuta il 14 dicembre 1985 tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana, che ovviamente è stata ascoltata in audizione da parte della Commissione XI, per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, e resa esecutiva dal decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985, n. 751 - «di dare una nuova disciplina dello stato giuridico degli insegnanti di religione».
L'Intesa di cui s'è detto, così come quella successiva del 13 giugno 1990 resa esecutiva dal decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1990, n. 202, ha dato attuazione al punto 5, lettera b), del protocollo addizionale all'Accordo del 18 febbraio 1984, concernente modificazioni al Concordato lateranense del 1929.
La materia concernente lo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica è già stata oggetto (lo dicevamo in premessa), in passato, di numerose iniziative legislative. Il testo che ora abbiamo alla nostra attenzione, che è stato in parte emendato dalla Commissione, ricalca nelle sue linee di fondo quanto previsto dalle proposte di legge che lo hanno preceduto e punta alla soluzione del problema attraverso l'immissione degli insegnanti di religione nel ruolo giuridico.
Venendo all'illustrazione del disegno di legge in questione, è necessario premettere che l'intento esplicitato dallo Stato nel preambolo dell'Intesa del 1985, di cui si è detto all'inizio, scaturisce dalla rinnovata valenza formativa e culturale dell'insegnamento della religione cattolica e dalla volontà che questa valenza trovi traccia anche nella sistemazione definitiva della condizione di precariato, che era uno degli aspetti che manteneva gli insegnanti di religione cattolica in una condizione di disparità rispetto agli altri insegnanti nella scuola italiana. Affrontate le questioni di carattere generale, possiamo scendere nella valutazione dell'articolato.
L'articolo 1 istituisce i ruoli degli insegnanti di religione cattolica. È prevista l'istituzione di due ruoli regionali, articolati per ambiti territoriali corrispondenti alle diocesi, che comprendono, in sostanza, l'uno i docenti di religione cattolica nella scuola materna e nella scuola elementare, l'altro i docenti di religione cattolica nella scuola secondaria. Apposita norma stabilisce poi che ai docenti di religione inseriti nei ruoli si applicano le norme in vigore per gli altri docenti fatte salve, evidentemente, per essi, le specifiche disposizioni contenute nel disegno di legge. Resta ferma comunque nella scuola materna e nella scuola elementare la possibilità, prevista dalle disposizioni vigenti, che l'insegnamento della religione cattolica venga impartito dai docenti di sezione o di classe che si siano dichiarati disposti a svolgerlo e che siano riconosciuti idonei a tale fine dalla competente autorità ecclesiastica.
L'articolo 2 stabilisce che la consistenza delle dotazioni organiche per i ruoli di cui all'articolo 1 è pari al 70 per cento dei posti funzionanti. Tale soluzione si spiega per il fatto che gli aspetti peculiari dell'insegnamento di cui trattasi mal si adattano alle rigidità proprie della «messa in ruolo» del personale. In sintesi, essendo l'insegnamento della religione cattolica facoltativo, è evidente che il numero di classi e, quindi, il numero dei docenti deve essere comunque impostato con elasticità.
L'articolo 3 ha per oggetto le norme sui concorsi per l'accesso al ruolo. I concorsi sono per titoli ed esami, ed è prevista specificatamente la valutazione tra i titoli dell'eventuale insegnamento della religione cattolica sino ad oggi svolto. Una peculiarità relativa alle prove d'esame è che esse hanno per oggetto esclusivamente l'accertamento della preparazione culturale e didattica, come quadro di riferimento complessivo. L'esame non si svolgerà nel merito della cultura generale sulla religione
cattolica, ma viceversa nel merito della conoscenza generale della condizione della scuola. Coloro che superano il concorso sono iscritti in un elenco, e l'assunzione è disposta dal dirigente regionale scolastico dopo, ovviamente, una valutazione dei punteggi determinati da titoli ed esami. L'elenco così come determinato viene portato alla valutazione del dirigente regionale scolastico che procede all'immissione in ruolo di coloro che risultano non solo idonei al concorso, ma anche in una posizione utile per essere immessi nei ruoli. Ovviamente, le graduatorie vengono determinate attraverso il territorio della diocesi.
L'articolo 4 pone l'accento sulla questione della mobilità. Tali disposizioni si rendono necessarie proprio in ragione delle specificità proprie della figura del docente di religione cattolica e delle modalità del suo reclutamento. Esse intendono fissare, al riguardo, soltanto alcuni princìpi essenziali che riflettono quelle specificità, ferma restando la contrattazione collettiva come sede propria della compiuta disciplina della materia.
L'articolo 5 detta le disposizioni transitorie e finali, nelle quali sono prese in considerazione, per il primo concorso da bandire dopo la data di entrata in vigore della legge, l'esperienza e la professionalità acquisite da coloro che hanno già svolto l'insegnamento della religione cattolica per un numero di anni tale che consenta una precisa determinazione dei docenti che da precari devono poter vedere riconosciuto il diritto all'immissione in ruolo.
Queste sono le note generali relative al disegno di legge, sul quale ripeto, si è svolta in Commissione una valutazione particolarmente attenta avendo la Commissione deciso di svolgere un lavoro approfondito anche attraverso le audizioni di tutte le organizzazioni sindacali e delle altre che, a vario titolo, hanno competenza nella materia.
Mi auguro che il Parlamento, a cominciare dalla Camera dei deputati, nei prossimi giorni, sappia dare le risposte che gli insegnanti della religione cattolica attendono da anni, in modo tale che già dal prossimo anno scolastico si possa dare vita ai concorsi necessari, affinché tale disegno di legge trovi una pratica attuazione attraverso l'immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MAURIZIO SACCONI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, nel mio intervento voglio motivare alcune questioni che sostengono il nostro voto contrario sul provvedimento in esame. Mi permetterete di ricordare preliminarmente alcuni aspetti della questione che ci apprestiamo ad affrontare.
L'insegnamento della religione cattolica è presente nella scuola pubblica sulla base di accordi intercorsi tra lo Stato italiano e la Santa Sede, il Concordato ed il Protocollo addizionale, e tra il Ministero dell'allora pubblica istruzione e la Conferenza episcopale italiana, la cosiddetta Intesa, recepita nel decreto del Presidente della Repubblica n. 751 del 1985.
Sono questi accordi a determinare una situazione del tutto particolare sia per la disciplina sia per gli insegnanti. La disciplina, infatti, è facoltativa, e tale facoltatività è condizione necessaria perché la sua presenza nella scuola pubblica non configuri elementi di incostituzionalità, come ribadito da molte recenti sentenze della Corte costituzionale. Il reclutamento degli insegnanti avviene con nomina a seguito di una designazione dell'autorità diocesana sulla base di titoli, competenze e requisiti insindacabilmente forniti dalla stessa (in parte modificati dal presente provvedimento, appunto, con la proposta del concorso) e di un'idoneità (che, tuttavia, permane anche in presenza di questo provvedimento) condicio sine qua non per
l'insegnamento, altrettanto insindacabilmente concessa e revocata dalla stessa autorità diocesana.
Pertanto, a fronte di questo quadro giuridico e normativo di riferimento, separare il problema degli insegnanti da quello della disciplina - appunto facoltativa - porterebbe sicuramente ad esiti non equilibrati, non rispettosi delle intese, delle reciproche autonomie e degli stessi lavoratori interessati.
Mi pare non sia possibile introdurre per legge ordinaria una norma, quale quella sul ruolo e sul conseguente organico degli insegnanti, che incide sul significato sostanziale del nuovo assetto concordatario. Pertanto, se il Governo vuole perseguire tale innovazione, può legittimamente farlo, ma solo aprendo con la Santa Sede una trattativa bilaterale sul Concordato. Non sarebbe possibile neppure una semplice revisione dell'Intesa, perché si tratta di innovazioni che incidono sul principio concordatario dell'avvalersi o non avvalersi senza discriminazioni.
Signor Presidente, per quanto riguarda il problema del ruolo dei docenti di religione cattolica, credo sia sufficiente un sommario esame della documentazione esistente per affermare che non risponde a verità che nel 1984, al tempo della revisione del Concordato, fosse presente, nel dibattito pattizio, la rivendicazione del ruolo e del conseguente organico per gli insegnanti di religione cattolica. Di fronte alle ripetute stesure del testo concordatario - rotanti, appunto, intorno alla formula dell'avvalersi o non avvalersi, considerata fortemente innovativa rispetto al vecchio esonero dalla religione cattolica - non aveva alcuna possibilità di manifestarsi la richiesta di un ruolo organico per i docenti di religione cattolica che, peraltro, non esisteva neanche nel vecchio regime concordatario, cioè quando la religione cattolica era obbligatoria.
Le questioni di stato giuridico da risolvere, cui faceva riferimento l'Intesa del 1985, erano di altra natura e, in gran parte, sono state già affrontate e risolte dalla contrattazione collettiva degli ultimi anni. I docenti di religione cattolica, onorevole Taglialatela, non sono sicuramente degli insegnanti a tempo determinato con contratto rinnovabile, oggi; questi, già prima della revisione del concordato, avevano un incarico a tempo indeterminato con retribuzione pari a quella iniziale del docente di ruolo A, un laureato, e, nell'ultimo decennio, in sede di contrattazione collettiva, la condizione di questi docenti ha subito notevoli miglioramenti sia sul piano giuridico sia su quello economico.
La contrattazione collettiva non ha potuto risolvere questioni come quella del ruolo, che oggi si chiama contratto a tempo indeterminato, perché esse derivano, per questi insegnanti, da una fonte e da una scelta legislativa preconcordataria. Infatti, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, prevista dal decreto legislativo n. 29, affronta - per questi come per gli altri lavoratori della scuola - questioni relative alle condizioni di lavoro, mentre rimangono regolate per via legislativa, perché espressamente previsto dalla Costituzione, le materie relative al reclutamento ed alla libertà di insegnamento. Quindi, le condizioni di lavoro degli insegnanti di religione, la loro collocazione contrattuale, sono analoghe, per molti aspetti, a quelle di tutti gli altri docenti assunti a tempo indeterminato.
Intendo dire che, se nella condizione di questi insegnanti vi è un malessere, esso è riconducibile alla oggettiva condizione giuridica degli stessi che, a mio modo di vedere, non può permettere (sarebbe una contraddizione in termini) un organico stabile proprio per la facoltatività della materia e per la particolarità del reclutamento. È un problema che, come ho detto prima, si è affrontato solo attraverso una revisione delle norme concordatarie.
Esiste, poi, una grande questione di costituzionalità che si pone sotto diversi profili. Innanzitutto, è molto evidente - ma, ciò nonostante, non è neppure segnalato nella relazione e nella relazione tecnica predisposta dal Governo - come la preesistenza di un ruolo organico dei docenti alla scelta annuale degli studenti di avvalersi o meno dell'insegnamento della
religione cattolica possa incidere pesantemente su tale scelta, alterando le condizioni poste dalla Corte costituzionale per la costituzionalità dello stesso Concordato. Infatti, se l'organico dei docenti di regione cattolica, qualunque siano le sue dimensioni, preesistesse alla scelta annuale degli studenti, così come ha sottolineato la Corte costituzionale nelle sue sentenze più significative, cambierebbe radicalmente la natura della soluzione che il Concordato ha voluto dare alla presenza di un insegnamento confessionale nella scuola pubblica. Tra le suddette condizioni di costituzionalità stabilite per le norme concordatarie dalla Corte costituzionale, in particolare, assume rilievo quella riguardante lo stato di non obbligo in cui si devono trovare gli studenti che non si avvalgono di tale insegnamento. Si tratta di condizioni che devono impedire il manifestarsi di indebite pressioni nel momento in cui la coscienza individuale si interroga su tale scelta.
Vale la pena di ricordare che tale interpretazione di costituzionalità del Concordato ha avuto l'effetto pratico di affondare definitivamente la pretesa assai insistita di ministri e legislatori che, anni or sono, si accingevano a far diventare definitivamente obbligatorie le cosiddette materie alternative. Così, alla luce di quelle sentenze della Corte costituzionale, l'insegnamento della religione cattolica è stato riconfermato come materia obbligatoria che lo Stato è obbligato ad offrire, ma a chi se ne voglia avvalere. Allora, mi sembra singolare che la discussione che stiamo svolgendo sullo stato giuridico dei docenti di religione cattolica, secondo la relazione governativa e secondo molti dei partecipanti al dibattito in Commissione (che è stato approfondito ed articolato), non abbia mai riguardato gli alunni e gli studenti che non si avvalgono di tale insegnamento, come se costoro non avessero diritto di cittadinanza, sebbene, al di là del loro numero, rappresentino l'altra metà del Concordato. Allora, credo che oggi non sia possibile sostenere logicamente e costituzionalmente, così come avviene nel testo al nostro esame, che possa esistere un organico di docenti di religione cattolica, sia pure pari al 70 per cento dei posti di insegnamento complessivamente funzionanti, che preesista ad ogni scelta e che, anzi, prescinda dall'esistenza e dalle dimensioni della scelta di avvalersene.
Infatti, questa soluzione - lo voglio ribadire - modifica profondamente il quadro concordatario stabilito da Casaroli e da Craxi e, non a caso, non fu previsto nel testo del Concordato stipulato nel 1984 e neppure dal testo dell'Intesa. Anzi, tale Intesa si limitò a sollecitare l'esigenza di definire questioni di stato giuridico senza accennare alla questione del ruolo.
Tuttavia, vi è un secondo grave motivo di incostituzionalità. Credo non risulti logicamente comprensibile o, meglio, che risulti assai esplicativo del reale intento strategico di tutto il disegno di legge il fatto che si preveda che i docenti in esubero oppure i docenti cui sia stata revocata l'idoneità da parte dell'autorità diocesana siano collocati in altri ruoli di insegnamento.
Non riesco a capire perché un docente in esubero rispetto al 70 per cento dell'organico previsto per le nomine in ruolo - oggi si chiamano contratti a tempo indeterminato - non possa essere collocato sul 30 per cento dei posti non in organico ma, comunque, destinati alle nuove nomine a tempo determinato. Si pretende, in questo modo, che i posti a tempo determinato, come accade regolarmente per tutte le altre materie, non possano essere impiegati temporaneamente per utilizzare un docente di ruolo in esubero. È evidente che tale utilizzazione dovrebbe essere riassorbita prima delle nuove nomine a tempo indeterminato.
A me pare che l'obiettivo principale di tale riforma sia quello di pretendere di collocare prioritariamente questi docenti in soprannumero in un altro ruolo di insegnamento venendo, così, a configurare una sorta di canale di reclutamento alternativo nella scuola dello Stato. Come si può sostenere tale pretesa proprio nel momento in cui il Governo si rifiuta di
applicare la legge n. 124 del 1999 per la sistemazione dei docenti precari? Come si può sostenerla nel momento in cui la finanziaria falcidia gli organici del personale docente e nell'anno in cui, per la prima volta nella storia del nostro paese, non è stata effettuata neppure una nomina a tempo indeterminato?
Signor Presidente, vi è un altro grave motivo di alterazione del quadro che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Infatti, nel nuovo regime lo Stato dovrebbe farsi carico di licenziare un proprio dipendente, sia pure passandolo in altro ruolo, e comunque di accettare la revoca proposta dall'autorità diocesana, con le motivazioni ideologiche o confessionali che la Chiesa propone. Per la prima volta viene individuato quale motivo di risoluzione del rapporto di lavoro la violazione di norme non del codice civile, ma di altro codice: quello canonico. Paradossalmente, viene introdotta nel nostro ordinamento l'ipotesi della legittimità del licenziamento motivato da ragioni discriminatorie, per giunta comminato dallo stesso Stato come datore di lavoro. Poiché la revoca da parte dell'autorità diocesana legittimamente potrebbe riguardare questioni relative a scelte coerenti con le leggi ordinarie del nostro Stato (il divorzio, l'aborto) sarebbe assai imbarazzante per lo Stato italiano operare licenziamenti sulla base di revoca di altra autorità senza entrare in contraddizione con il proprio ordinamento. Sarebbe un bel colpo alla sovranità ed alla laicità dello Stato.
Risulta evidente un'altra questione di costituzionalità riguardante il passaggio ad altro ruolo, sia pure limitato, ma non troppo, ai docenti inidonei o in esubero. Voglio sottolinearlo di nuovo: non mi sembra costituzionale perché il loro iniziale ingresso nel ruolo di provenienza è stato condizionato da una idoneità confessionale che, per definizione, non è disponibile o esigibile per una parte considerevole di essi. Il passaggio ad altri ruoli produrrebbe la formazione di un secondo canale di reclutamento accanto a quello ordinario che discriminerebbe molti di coloro che ambiscono ad un posto nella scuola pubblica.
Nel corso del dibattito in Commissione molti di noi hanno proposto soluzioni alternative a quella del ruolo per completare lo status giuridico ed economico dei docenti di religione cattolica. Sta a cuore anche a noi la condizione di lavoro di tali docenti. Abbiamo proposto, in sostanza, di soprassedere all'istituzione del ruolo, ma di attribuire loro il trattamento giuridico ed economico dei docenti a tempo indeterminato con l'esclusione della mobilità professionale in altri ruoli. La nostra proposta non è stata neppure presa in esame. È una proposta, certo, che comporta oneri economici più rilevanti di quella governativa perché conferisce o intende conferire lo status di docenti a tempo indeterminato a tutti i docenti di religione cattolica, non solo ad una parte di essi.
D'altra parte, occorre tener presente che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 390 del 1999, ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale, sollevata in quanto l'incarico annuale si sarebbe configurato come una sorta di atto discriminatorio e lesivo dell'esigenza di stabilità connessa al lavoro docente, anche in relazione al principio della continuità didattica. Infatti, la Corte ha stabilito che il conferimento per incarico annuale non avrebbe carattere discriminatorio, inquadrandosi nella comune disciplina delle assunzioni a tempo determinato che, appunto, prevede che la conferma e la scelta dell'incarico rispondano, soprattutto, alle particolari peculiarità di questo insegnamento, essendo determinate dalle norme pattizie che regolano lo stesso insegnamento.
Successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica n. 399 del 1988, che ha recepito gli accordi contrattuali 1988-1990 per il personale della scuola, ha attribuito al personale docente di religione una progressione economica e di carriera corrispondente esattamente a quella spettante ai docenti di ruolo. Gli insegnanti di
religione sono, comunque, tra gli incaricati annuali gli unici ad essere pagati anche d'estate.
A questo punto, appare evidente che molte forze parlamentari intendono forzare la situazione e l'equilibrio concordatario, rifiutando una soluzione, come quella del contratto a tempo indeterminato. E non se ne comprende il perché, visto che tale soluzione comunque garantisce gli insegnanti di religione cattolica.
Probabilmente, la scelta operata finisce con il modificare il sistema di reclutamento della scuola pubblica, prevedendo un canale di accesso privilegiato solo per alcuni. E mi pare che questo provvedimento, insieme a quello già adottato per reclutare nelle graduatorie permanenti i docenti che hanno prestato servizio nella scuola privata - nel passato, non paritaria -, costituisca la strada maestra per colpire la libertà di insegnamento e per ledere il principio della laicità dello Stato.
In conclusione, intendo ribadire che la nomina a tempo indeterminato, da noi proposta all'interno del vigente regime di revoca dell'insegnamento della religione cattolica con il venir meno dell'idoneità, consentirebbe ai docenti di religione cattolica di avere lo stesso trattamento giuridico ed economico degli altri docenti a tempo indeterminato, con l'unica esclusione della mobilità professionale in altro ruolo, ma compresa la mobilità professionale nella pubblica amministrazione in caso di perdita di posto per contrazione di organico o, eventualmente, nel caso di venir meno dell'idoneità.
Perché ci si rifiuta di prendere in considerazione questa soluzione? Perché si insiste su una scelta che è destinata ad aprire, all'interno delle nostre scuole e nell'intera società, uno scontro gravissimo? Si vuole per forza produrre materiale per nuove ed inevitabili iniziative referendarie? Non siamo noi a volere una guerra di religione, in quanto riteniamo necessario ampliare i diritti e le tutele degli insegnanti di religione cattolica presenti nelle scuole dello Stato e garantire che questi diritti e queste tutele, come quelli degli altri lavoratori della scuola, vadano comunque ampliati e riformulati, senza per questo dover ricorrere a pericolose scorciatoie, danneggiando i diritti altrui, come invece effettivamente accade attraverso le proposte contenute in questo disegno di legge.
Mi auguro che la maggioranza voglia riflettere su tali questioni, ascoltando le nostre ragioni, che sono dettate dalla volontà di difendere questi lavoratori, ma all'interno di un quadro di rispetto costituzionale, di rispetto delle stesse norme concordatarie e, soprattutto, di rispetto dell'uguaglianza dei diritti di tutti i lavoratori della scuola.
Infine, un'ultima domanda: in base a quale normativa prelevate dalla finanziaria 2002 la copertura finanziaria per questo provvedimento? Si tratta di una domanda alla quale desidereremmo ricevere delle risposte.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Campa, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Squeglia. Ne ha facoltà.
PIETRO SQUEGLIA. Signor Presidente, sono profondamente convinto che il provvedimento che ci accingiamo ad esaminare richieda da parte di tutti noi un grande sforzo di disponibilità intellettuale, per isolare l'argomento in discussione dalle implicazioni e dalle connessioni ideologiche che esso porta con sé. È necessario, insomma, dotarci di un supplemento di sana laicità, abbandonando posizioni ideologiche, rispettabili e legittime ma, in questo caso, sicuramente fuorvianti rispetto al problema che ci troviamo ad affrontare. Soltanto così possiamo evitare il rischio di rimanere intrappolati vuoi in un laicismo esasperato vuoi in un clericalismo di accatto.
Il provvedimento in esame ha per oggetto non l'insegnamento della religione cattolica ma lo stato giuridico dei lavoratori insegnanti la religione cattolica. Allo stato, questi lavoratori godono di una retribuzione pressoché uguale a quella degli altri insegnanti ma non hanno un
uguale trattamento previdenziale e di carriera. Si tratta di lavoratori precari che da tanti anni aspettano di vedere definito il loro stato giuridico in un comparto, quello della scuola, nel quale si è tentato negli ultimi anni di risolvere in profondità la questione del precariato. Allo stato, in uno stesso comparto - la scuola - abbiano operatori che hanno medesimi doveri ma diritti diversi. Pertanto la definizione dello stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica ci appare atto di giustizia e di perequazione sociale.
Nella scuola la disparità con gli altri insegnanti è stata meno avvertita nel passato, quando gli insegnanti di religione cattolica erano sacerdoti o religiosi. Se esaminiamo l'attuale composizione degli insegnanti di religione, ci rendiamo conto che nella scuola media inferiore e superiore la presenza dei laici è sempre maggiore ed estesa: nell'ultimo biennio questi hanno coperto oltre l'80 per cento del corpo docente. Di converso, la quota dei sacerdoti e dei religiosi si è via via contratta fin quasi a dimezzarsi, dal 36,6 per cento dell'anno scolastico 1993-1994 al 19,5 per cento dell'anno scolastico 2001-2002. È da tenere presente che i laici non godono del sistema di sostentamento di cui usufruiscono i sacerdoti nell'ambito delle loro diocesi né delle garanzie che i religiosi e le religiose hanno nelle loro comunità di appartenenza. Il fenomeno della progressiva laicizzazione degli insegnanti di religione è destinato ad aumentare sempre di più, se si tiene conto della sempre maggiore disponibilità di tempo che la scuola richiede agli insegnanti e, contestualmente, degli impegni pastorali sempre più onerosi ed assorbenti richiesti dalle cure delle parrocchie. A questi si aggiungano altri elementi.
Nelle scuole è in atto un marcato assestamento della posizione degli insegnanti. Infatti, al momento le ore superiori alle 18 settimanali interessano il 63,8 per cento degli insegnanti di religione rispetto al 23,7 per cento dell'anno scolastico 1993-1994; in particolare, nella scuola media superiore gli insegnanti di religione cattolica a tempo pieno sono passati dal 29 al 71 per cento. Tutto ciò ha portato ad una spinta alla stabilità e ad una sempre maggiore professionalità, fenomeni che meritano - riteniamo - un inquadramento legislativo definito e certo.
Si aggiunga, infine, il fatto che nelle scuole italiane vi è un'elevatissima e complessiva adesione all'insegnamento della religione cattolica. La percentuale degli alunni che si sono avvalsi dell'insegnamento della religione cattolica nell'anno scolastico 2001-2002 è stata del 93,2 per cento. Si tratta di un dato da considerarsi quasi stazionario negli ultimi dieci anni.
Infatti, livelli di accettazione dell'insegnamento della religione cattolica nell'arco degli ultimi 10 anni hanno segnato modestissime e trascurabili oscillazioni e non sono mai andati al di sotto del 92,9 per cento. Questo è un elemento significativo, se si tiene conto che esso si colloca in un contesto socio-religioso dove sempre più evidenti e marcati sono i sintomi di cambiamento verso una secolarizzazione sempre più accentuata. Oggi, anche atei ed agnostici riconoscono il forte valore educativo e l'importanza della religione cattolica nel processo educativo e di sviluppo umano e culturale dei ragazzi.
Tuttavia, la definizione dello stato giuridico degli insegnanti di religione non è soltanto un atto di giustizia e di perequazione sociale. Per lo Stato italiano è anche un atto di coerenza con i principi più volte solennemente affermati e un atto dovuto, consequenziale rispetto agli impegni assunti e a patti definiti. Nella revisione concordataria del 1984 si afferma e si sancisce che la Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa, tiene conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano e ribadisce l'impegno di voler continuare ad assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Al punto 5 del protocollo addizionale si afferma che l'insegnamento della religione cattolica è impartito in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni da insegnanti che siano riconosciuti
idonei dalla autorità ecclesiastica, nominati con essa dall'autorità scolastica. Sempre al punto 5, tra l'altro, si precisa che con successiva intesa tra le componenti autorità scolastiche e la Conferenza episcopale italiana verranno determinanti i programmi dell'insegnamento, le modalità di organizzazione dell'insegnamento, i criteri per la scelta dei libri di testo, i profili della qualificazione professionale degli insegnanti; con il decreto del Presidente della Repubblica n. 751 del 1985 viene attuata l'intesa tra il Ministero della pubblica istruzione e la CEI. Il punto 4 definisce i titoli di qualificazione professionale che, in uno con il riconoscimento di idoneità, debbono essere posseduti.
Da tutto questo si evince che ci troviamo di fronte ad un quadro normativo abbastanza chiaro e netto: chiare sono le volontà definite, chiari sono gli impegni assunti. Eppure, sono passati 18 anni e gli operatori scolastici che lavorano in questo settore non hanno ancora trovato una loro dignitosa sistemazione. Delle materie lasciate in sospeso dalla riforma del Concordato del 1984, quella del ruolo degli insegnanti di religione è l'unica a non avere ricevuto una qualche definizione. È dovere allora dello Stato italiano stipulatore dell'accordo sanare questa anomalia giuridica: non è possibile tollerare lo stato di precariato a vita di questi docenti! Essi sono lavoratori della scuola al pari degli altri insegnanti ma vivono in una situazione precaria e di disparità. I concorsi riservati, i corsi abilitanti, le immissioni in ruolo per esame e titoli e i passaggi di ruolo sono procedure che giustamente sono state utilizzate per riconoscere a tantissimi docenti precari il diritto al lavoro a tempo indeterminato. Eppure, da queste procedure concorsuali i professori di religione sono stati sempre esclusi, ancorché impegnati senza soluzione di continuità per molti anni. La sperequazione tra gli insegnanti di religione e gli altri insegnanti è ancora più evidente se si tiene conto che l'insegnamento della religione è inserito nel progetto educativo della scuola e ritenuto obbligatorio per chi se ne avvale; non è opzionale, facoltativo e aggiuntivo: è curriculare per chi se ne avvale. La scuola ha il dovere di assicurarlo, l'utente ha la facoltà di avvalersene o meno. In base al decreto ministeriale n. 70 del 2000, è stabilito che esso deve esplicitamente comparire nel certificato scolastico. Gli insegnanti fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti e partecipano alla valutazione finale degli alunni.
In tale contesto la questione del trattamento giuridico degli insegnanti è ancora legata al vecchio Concordato del 1929 che li configura, per tutta la vita lavorativa, in una condizione di precariato nella forma dell'incarico annuale o della supplenza. Insomma, siamo profondamente convinti che la definizione dello stato giuridico degli insegnanti di religione sia un atto di giustizia e di civiltà. Diciamo questo con uno spirito profondamente laico; in noi non vi è una volontà catechistica, né un obiettivo di proselitismo cattolico. Siamo cattolici, ma anche profondamente convinti che la religione non passa attraverso operazioni di marketing, ma è conquista di vita e servizio a favore di tutti gli uomini, credenti e non credenti, proposta e non imposizione. Diciamo questo con spirito profondamente laico e laicamente riconosciamo che la religione è parte integrante delle matrici culturali di ogni civiltà e, quindi, anche della nostra.
I processi storici, gli usi ed i costumi dei popoli, le loro espressioni artistiche e le conoscenze scientifiche risentono pienamente dell'influenza religiosa. Tralasciare questa componente nella scuola significa impedirsi di capire appieno la nostra realtà culturale e misconoscere le proprie radici costitutive. Laicamente, con Croce affermiamo che non possiamo non dirci cristiani. Questo è il motivo della presenza dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola, del ruolo che esso svolge riguardo allo studio del fatto religioso come espressione dello spirito e della cultura dell'uomo. La finalità dell'insegnamento della religione cattolica non è la conversione o la maturazione dell'esperienza di fede dello studente, quanto piuttosto
il pieno sviluppo della personalità dell'alunno nella sua componente umana e civica.
L'insegnamento della religione cattolica è una disciplina scolastica a tutti gli effetti; non è mossa da finalità catechistiche, ma si qualifica come proposta culturale offerta a tutti, credenti e non credenti. Decidere di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica per un ragazzo non significa dichiararsi cattolico, ma piuttosto scegliere una disciplina scolastica che si ritiene abbia un valore per la crescita della persona e la comprensione della realtà in cui siamo inseriti. Insomma, la presenza nel contesto scolastico dell'insegnamento della religione cattolica è legata dunque, in base al nuovo Concordato, a motivazioni culturali e pedagogiche. Proprio per questo lo Stato attribuisce all'insegnamento della religione cattolica, svolto nel quadro delle finalità della scuola, una dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline e ciò si fonda su un triplice riconoscimento: il fatto religioso ha una notevole rilevanza culturale per comprendere la nostra storia, i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, l'insegnamento della religione cattolica contribuisce a dare una risposta specifica al bisogno di significato che ciascuno ha in sé.
In conclusione, noi siamo pienamente d'accordo con la definizione dello stato giuridico degli insegnanti di religione ed esprimiamo una valutazione sostanzialmente positiva sul provvedimento in esame. In fondo, si perviene alla fine di un percorso avviato dal precedente Governo di centrosinistra. Infatti, un decreto-legge su analoga materia nella precedente legislatura fu approvato dal Senato e trasmesso alla Camera dei deputati, dove l'esame del provvedimento fu interrotto presso la Commissione lavoro per la fine della legislatura. Probabilmente, tutto il tempo trascorso è stato, in qualche modo, anche utile perché ha consentito una maturazione delle condizioni culturali e politiche, un approfondimento accompagnato da una maggiore comprensione delle posizioni altrui e anche una maturazione delle posizioni dello stesso fronte delle organizzazioni sindacali. Ci troviamo di fronte ad un testo nel quale più o meno tutti ci possiamo ritrovare. Un testo di sintesi che, in fondo, non presenta alcuna originalità. Quello che avrebbe potuto fare un comitato ristretto lavorando sui testi presentati è stato fatto dal ministro.
Per concludere, concordiamo sulla scelta che gli insegnanti di religione cattolica siano immessi in ruolo con contratto a tempo indeterminato, che a questi insegnanti si applichino le norme di stato giuridico ed il trattamento economico previsti dal testo unico e dalla contrattazione collettiva, sulla previsione che la consistenza della dotazione organica sia determinata nella misura del 70 per cento dei posti di insegnamento complessivamente funzionanti, che l'accesso ai ruoli avvenga previo superamento di concorso per titoli ed esami, che i titoli di qualificazione professionale per partecipare ai concorsi siano quelli stabiliti al punto 4 dell'intesa.
Riteniamo necessario approfondire nel corso della discussione la materia riguardante la revoca dell'idoneità e la mobilità professionale nel comparto del personale della scuola. Riteniamo, inoltre, che una più approfondita riflessione debba essere riservata in aula alla questione posta dal comma 7 dell'articolo 3, in relazione all'elenco di coloro che hanno superato il concorso.
Riteniamo necessario modificare l'articolo 5 per tener conto di quegli insegnanti che, vincitori del primo concorso, dovessero risultare privi dei titoli previsti dall'articolo 3, comma 3, e per migliorare le modalità di attuazione del primo concorso riservato agli insegnanti di religione attualmente in servizio. Riteniamo, infine, che si debba complessivamente definire meglio un quadro normativo che assicuri diritti, ma eviti anche che vengano a definirsi privilegi.
Abbiamo, a tal fine, presentato specifici emendamenti la cui approvazione in aula riteniamo possa notevolmente migliorare il testo governativo per rendere pienamente condivisibile il provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.
ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, onorevole colleghi, il disegno di legge n. 2480 tratta, come noto, dello stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti di ogni ordine e grado. Esso trae origine, a parere del Governo, dall'intento dello Stato, espresso nel preambolo dell'intesa intervenuta il 14 dicembre 1985 tra l'autorità scolastica italiana e la conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, di dare agli insegnanti di religione cattolica un nuovo status giuridico.
L'approfondimento della discussione su tale normativa che, come è già stato ricordato, si è svolta anche nella precedente legislatura, ci consente di dire che noi reputiamo sia un atto doveroso da parte del Parlamento la definizione di una normativa che dia certezza agli insegnanti di religione cattolica in merito al loro status giuridico ed economico, a prescindere dalle materie di insegnamento. È per tale motivo che abbiamo proposto, nel corso della lunga discussione tenutasi anche nel corso di questa legislatura nelle Commissioni preposte, molte soluzioni idonee, a nostro giudizio, a ridurre ed, anzi, ad eliminare gli anacronismi presenti nell'attuale legislazione e a dare maggiore certezza e garanzia a questi insegnanti.
Sappiamo che preesistevano al testo del Governo numerose proposte di legge che, a seguito del confronto con una serie di soggetti nel corso delle audizioni svolte durante i lavori della Commissione, hanno consentito di fare emergere una serie di elementi imprescindibili, a Concordato vigente si intende, che vorrei brevemente riassumere.
In modo particolare, nel corso delle audizioni tra la CEI e l'associazione degli insegnanti di religione ed i loro sindacati non confederali, in linea di massima sono emerse queste richieste o sollecitazioni: tener conto dell'impegno, assunto dallo Stato italiano in sede di revisione del Concordato, alla definizione ed alla stabilizzazione della figura dell'insegnante di religione cattolica; dell'insuperabilità, derivante dal Concordato, del ruolo dell'ordinario diocesano nella definizione dell'idoneità all'insegnamento della religione cattolica e della revoca della stessa; dell'anzianità lavorativa della maggior parte dei docenti di religione cattolica, parametro imprescindibile, soprattutto in sede di prima definizione ed assegnazione dei ruoli; della richiesta unanime di far scattare meccanismi di assunzione a tempo indeterminato e di collegare a questi procedure di mobilità territoriale, procedendo, in caso di revoca dell'idoneità da parte dell'ordinario diocesano, alla mobilità verso altro insegnamento, quando possibile.
A queste opinioni se ne sono aggiunte altre, da parte delle organizzazioni confederali CGIL, CISL e UIL (che presentano certe sfumature, determinati accenti ed in qualche caso sono opinioni diverse), che si possono riassumere sostanzialmente, da un lato, nel riconoscimento del malessere della condizione dell'insegnante di religione, riconducibile all'oggettiva condizione giuridica in cui si colloca l'insegnamento della religione cattolica e alla legittima aspirazione di stabilizzazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, nella necessità di ricercare forme che garantiscano una collocazione contrattuale degli insegnanti di religione analoga, come già oggi è per molti aspetti, a quella di tutti gli altri docenti assunti a tempo indeterminato e migliorativa rispetto alle condizioni differenziate non favorevoli di questi insegnanti.
Il provvedimento al nostro esame lascia aperta, a nostro giudizio, o approfondisce ulteriormente una serie di contraddizioni, in modo particolare per quanto riguarda la discrasia che si determina fra la diversa condizione dei precari in generale nel mondo della scuola e quelli che impropriamente vengono chiamati i «semistabilizzati» che sono gli attuali insegnanti di religione.
Va infatti ricordato che la normativa vigente prevede, da un lato, che lo Stato assicuri, ai sensi dell'intesa fra Stato e
chiesa cattolica, l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale, in virtù del riconoscimento del valore formativo della cultura religiosa considerata patrimonio storico del nostro paese.
L'attuale normativa prevede, ai sensi del protocollo della legge di ratifica del Concordato - la legge n. 121 del 1985 - che gli insegnanti preposti all'insegnamento della religione cattolica siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, come hanno già ricordato i colleghi intervenuti in precedenza, e nominati di intesa con essa dall'autorità scolastica. Prevede inoltre nelle scuole materne ed elementari l'insegnamento della religione, che può essere impartito da un insegnante della classe reputato idoneo dall'autorità religiosa. Infine, si prevede che si proceda per incarichi annuali effettuati dal capo di istituto, di intesa con l'ordinario diocesano.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto del personale della scuola prevede inoltre, all'articolo 27, che il contratto si intende confermato qualora permangano le condizioni dei requisiti prescritti. Inoltre, l'articolo 66 dello stesso contratto nazionale prevede la progressione economica e di carriera corrispondente agli insegnanti docenti di ruolo. Va ricordato inoltre che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 390 del 1999, ha dichiarato le attuali modalità di attribuzione degli incarichi non manifestamente arbitrarie o palesemente irragionevoli, anche in relazione alla peculiarità di questo insegnamento. Non ha però escluso che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità e nel rispetto delle norme pattizie, possa individuare altre procedure.
Pertanto, come è già stato precisato, la nostra contrarietà nei confronti del provvedimento al nostro esame non deriva dal disconoscere un'esigenza di far venir meno la situazione di precariato - mi sia consentito l'utilizzo di questo brutto termine - del lavoro di questi insegnanti; tra l'altro sarebbe opportuno che questo Governo perseguisse anche per altre categorie di lavoratori, e per gli stessi lavoratori della scuola, che non siano insegnanti di religione, tale obiettivo. Ciò invece non pare essere una priorità sulla base delle quali opera questo Governo. A nostro giudizio tale operazione deve essere effettuata tenendo conto della peculiarità della materia e delle procedure di reclutamento degli insegnanti, senza cadere nel rischio opposto, cioè quello di dare vita ad un meccanismo che risulta invece essere discriminatorio per gli altri docenti, ed in modo evidente per gli altri precari della scuola.
La nostra proposta si compone quindi di un meccanismo di stabilizzazione degli insegnanti di religione, secondo le previsioni del contratto collettivo nazionale per la scuola per gli insegnanti a tempo indeterminato, ma senza raggiungere e superare la soglia dell'immissione in ruolo, la quale, a nostro giudizio determina una serie di conseguenze anche non positive per gli altri insegnanti.
In sostanza, sulla base di una procedura prevista dall'articolo 3 del disegno di legge, le prove devono accertare la preparazione generale didattica come quadro di riferimento e le commissioni aggiudicatrici compilano non la graduatoria, bensì, come avviene di norma, l'elenco di coloro che hanno superato il concorso, con la massima precisione possibile, secondo i proponenti nell'ambito dell'attuale Intesa. Il dirigente regionale attinge dall'elenco per segnalare all'ordinario diocesano i nominativi necessari per coprire posti che si rendano eventualmente vacanti nella dotazione organica, nel corso del periodo di validità del concorso.
È evidente che questa parte della norma prevede ciò che può, per così dire, prevedere. Va dato atto all'onorevole Taglialatela, relatore, di aver prodotto uno sforzo serio in Commissione per tentare in qualche modo di raccogliere una serie di considerazioni che nel corso della discussione erano emerse e che si sono tradotte in un emendamento che la Commissione ha approvato, su proposta stessa del relatore, ma che a nostro giudizio non risolvono questo problema. In qualche modo si raggiunge il massimo raggiungibile nell'ambito della normativa prevista.
È cosa ben diversa prevedere il ricorso ad un meccanismo di graduatoria - che, in qualche modo, vincolerebbe coloro che devono scegliere le persone, all'interno di quella graduatoria, alla posizione da essi raggiunta - rispetto ad un elenco che, come invece sappiamo, si presta a maggiore discrezionalità, con qualche meccanismo aggiuntivo che è stato pensato e che in qualche modo attenua questa discrezionalità.
Ma il punto maggiormente delicato riguarda altri aspetti che creano, a nostro giudizio, anche in voi non poco imbarazzo. Si tratta di tutti quegli aspetti collegati alla risoluzione del rapporto di lavoro di questi insegnanti ai sensi dell'accordo concordatario e pure in presenza, in questo caso, di una loro immissione in ruolo connessa - tra le ipotesi previste, oltre a quelle generali - alla revoca dell'idoneità da parte dell'ordinario diocesano competente. Voi sapete bene che questa revoca avviene, come è già stato ricordato anche in quest'aula, per ragioni che non attengono all'ordinamento dello Stato, bensì al codice canonico ed è logico che un impianto in cui è previsto che l'autorità religiosa conferisca l'idoneità preveda coerentemente che la stessa autorità la possa revocare (stiamo parlando dell'insegnamento della religione cattolica). Ciò che non si capisce è la ragione per la quale, in quel caso, lo Stato debba farsene carico. Mi permetto di riassumere così la questione: sei stato assunto sulla base di un prerequisito; se lo perdi, di conseguenza perdi il posto che quel requisito ti aveva consentito di ottenere. A nostro giudizio, questa non è una discriminazione, ma è un dato di fatto consequenziale.
L'articolo 4, invece, riguarda il tema della mobilità. Ovviamente, si tratta di un argomento diverso. Se fino a questo punto del provvedimento si erano messe in atto una serie di procedure che si ponevano lungo i confini dell'accordo tra Stato e Chiesa, con l'articolo citato, a nostro giudizio, questo confine si oltrepassa, a danno di tutti gli altri insegnanti precari. In sostanza, noi possiamo avere una riduzione del numero dei posti legata a fenomeni esterni, come la riduzione del numero degli alunni oppure la riduzione di coloro che si avvalgono dell'insegnamento di religione. In tal caso, noi prevediamo, secondo quanto previsto nell'articolato, che per gli insegnanti di religione vi debbano essere meccanismi di inserimento legati alle disposizioni in materia di mobilità nel pubblico impiego, mentre nel disegno di legge del Governo si prevede che coloro che perdono il posto di insegnante di religione, se in possesso del titolo di qualificazione richiesto per il ruolo, possono accedere alla mobilità scolastica verso altro insegnamento, scavalcando quindi altri insegnanti precari che vedrebbero le loro aspettative di immissione in ruolo frustrate da un collega che, nel frattempo, avrebbe ottenuto i requisiti con una procedura particolare e, di fatto, a numero chiuso, la stessa cioè che gli ha consentito di entrare in ruolo. È evidente che si tratta di una discriminazione, che non gioca certo, in questo caso, in termini di equità, fra tutti coloro che saranno insegnanti all'interno della scuola, ma gioca ovviamente a favore di coloro che sono stati immessi in ruolo con questo meccanismo.
Infine, noi prevediamo che il programma di esame del primo concorso sia, per la parte consentita, equiparato a quello richiesto per gli altri insegnanti che accedono al ruolo, cioè all'insegnamento a tempo indeterminato. Qualcuno ha detto che criticare questa normativa vuol dire pronunciarsi contro il Concordato tra Stato e Chiesa attualmente in vigore. Vorrei precisare che, a parte il fatto che non è questa la sede per pronunciarsi su di esso, non vi è, da parte nostra, neanche in via ipotetica, in questo momento, la richiesta di rivedere delle parti di quell'accordo in relazione al mutare del quadro politico-sociale del nostro paese, anche in relazione ovviamente al sistema scolastico. Nel caso specifico del provvedimento, a nostro giudizio, non siamo noi che contestiamo i contenuti di questo provvedimento a mettere in discussione il Concordato, ma è il disegno di legge che va oltre
il Concordato e lo spirito degli accordi, che ovviamente sono basati su un accordo tra due parti e non di una sola parte nei confronti di un'altra. Si supera abbondantemente una soglia di ragionevole miglioramento della condizione di persone che non possono rimanere precarie per tutta la loro vita lavorativa e, nel difficile tentativo di ricercare un nuovo equilibrio ad intesa vigente, come è ovvio che si debba fare, si travalicano abbondantemente i confini che sono stabiliti dal principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge.
C'è, a nostro giudizio, nel vostro provvedimento, un eccesso di zelo che è facilmente rimediabile, accogliendo - lo abbiamo già dichiarato in Commissione e lo ripetiamo in questa sede - parte delle nostre proposte emendative che vanno nella direzione che ho cercato poc'anzi di illustrare («sprecarizzano» la condizione di questi lavoratori e, in qualche modo, la garantiscono rispetto a fatti oggettivi che possono condizionare la loro presenza all'interno della scuola), ma cercano di tenere il tutto all'interno di un quadro che sia compatibile anche con l'insieme di coloro che, oggi, operano nella scuola o che vogliono farne parte.
Se ci ascolterete - abbiamo la possibilità di farlo nei prossimi giorni - eviteremo di andare incontro all'apertura di numerosi contenziosi su questa materia che, tra l'altro, finiranno con il mantenere una cappa di precarietà complessiva sulla materia a danno di tutti, sia degli insegnanti di religione cattolica sia degli altri insegnanti, in attesa ovviamente di pronunciamenti che, in qualche modo, chiariscano questa vicenda.
A nostro giudizio, se ci ascoltaste, evitereste di creare una situazione di difficile gestione, senza rinunciare a migliorare la condizione degli insegnanti di religione, come si propongono di fare le nostre proposte emendative; non determinereste una pletora di situazioni complicate e di difficile risoluzione ed, inoltre, non fareste venire meno ogni principio di laicità dello Stato che, invece, con questo provvedimento, a nostro giudizio, ledete.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, nel nostro atteggiamento nei confronti di questo disegno di legge confliggono due ragioni, come ho già avuto modo di dichiarare nel corso dell'esame nella competente Commissione; da una parte, vi è l'esigenza di trovare - ne discuteremo in dettaglio durante l'esame delle proposte emendative - una soluzione al problema della condizione precaria di coloro che, in ogni caso, possono definirsi come lavoratori nel campo dell'istruzione, qualunque sia la materia del loro insegnamento; dall'altra, vi è la nostra radicale opposizione alla scelta di privilegiare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane che è bene che torni a risuonare in quest'aula.
Per quanto riguarda il primo aspetto - lei me lo concederà - ciò che pensiamo sarà chiarito in sede di esame delle proposte emendative. Vorrei, invece, soffermarmi brevemente sul secondo aspetto; brevemente perché mi sembra che anche lei mi richiami ad una sorta di brevità.
Sono convinto (lo è anche il collega Squeglia) che la religione sia parte integrante della storia della civiltà umana; appunto, la religione come sostantivo e senza aggettivi; vi è quella buddhista, induista, musulmana e cattolica. Mi riferisco a qualunque tipo di religione. Si può discutere sul concetto di trascendenza, ma non si può dimenticare che esso ha costituito e costituisce a tutt'oggi, per una parte estremamente considerevole, dal punto di vista quantitativo e culturale (quindi, qualitativo), dell'umanità di oggi (e non di quella antica) un punto essenziale. Le religioni sono diverse. Ognuna ha una propria idea della trascendenza e la regola in modo differente. Vi sono ragioni storiche, culturali, oserei dire persino geoambientali, ma non vorrei apparirle troppo materialistica e determinista. Per me sono tutte pari, non credendo in Dio ma non, per questo, disprezzando coloro che in Dio credono. Tuttavia, esistono diverse figure di questo Dio e tutte dovrebbero essere
assunte da una cultura ecumenica, laica, universalistica, come si pretenderebbe se questo fosse realmente l'intento in un'epoca di globalizzazione; non dovrebbe essere l'epoca del fondamentalismo o del fondamentalismo di mercato, contrapposto a certe forme di fondamentalismo religioso. Dovrebbe, lo ripeto, dovrebbe essere l'epoca della circolazione delle idee, della comunanza delle stesse e della loro libera dialettica. Non parlo di una sintesi - l'unica dote forse in mano agli dei e non agli umani - ma, almeno, di una giustapposizione delle idee, delle culture, dei punti di vista. Poi si vedrà, si discuterà. Ognuno sceglierà.
Ebbene, se così fosse, dovremmo progettare, all'interno della scuola italiana, un corso di storia delle religioni, di storia dell'idea della trascendenza; ed io sarei anche d'accordo a separarlo dalla storia della filosofia perché, in effetti, non penso possa essere ricondotto, idealisticamente, con una sorta di laicismo un po' autoritario, alla storia della filosofia tout court: qui vengono in rilievo, infatti, animi, sentimenti, popolazioni e storie in tutto e per tutto particolari, così significative e significanti da costituire un elemento a parte, diciamo così, in quella cultura universale ed umanistica che auspicheremmo.
Quindi, sarei d'accordo ad istituire nel nostro paese, pur con differenti gradi di complessità, un insegnamento di storia delle religioni, di tutte le religioni, in modo da far sì che, da un lato, ognuno possa fare la sua libera scelta in merito e, dall'altro, le religioni non vengano «derubricate» a semplice oppio dei popoli e vengano considerate, invece, una modalità di espressione del sentimento, del pensiero e della speranza umani. Poi, si potrà affermare (come faccio io) che si tratta di una modalità deviante oppure si potrà sostenere che si tratta di una modalità trascendente, che trascende, appunto, il contingente e porta più in alto il discorso: il confronto è aperto.
Così, però, non è. Operiamo, difatti, all'interno di un vincolo concordatario - e ribadisco qui la nostra, o la mia, totale contrarietà alla permanenza del Concordato, di origine fascista, ma rinnovato, come ben sappiamo, in epoca craxiana - che prevede una sorta di privilegio assoluto per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. Tale privilegio è appesantito da un'ulteriore condizione (e vengo al dunque della questione): diceva il collega Squeglia - me lo sono appuntato - che il 93,3 per cento degli alunni aderisce all'insegnamento della religione cattolica. Per forza, collega Squeglia! Se nessuno ha il coraggio di dirlo, lo denuncio io qui: c'è un sistema che costringe a fare tale scelta!
Io sono un genitore che ha l'orgoglio di poter dire di avere firmato per i propri figli, ovviamente, quando erano minori e, quindi, non potevano disporre autonomamente, ma avendoli consultati (anche se questo particolare evidentemente non fa testo, se non per la mia coscienza privata), l'autorizzazione a non partecipare all'attività scolastica durante l'ora di religione. Mi sono trovato in una situazione paradossale: poiché, nella scuola elementare, l'insegnante di religione coincide con quello che insegna tutte le altre materie, quello, per così dire, naturale (proprio come il giudice naturale; tale identificazione è vergognosamente ribadita da questo disegno di legge), essendo mio figlio l'unico, nella classe, a rifiutare l'istruzione religiosa, era costretto ad uscire dalla classe quando la sua insegnante, sempre la stessa, passava dalle materie laiche a quelle religiose! Indubbiamente, ciò creava nel bambino una condizione di disagio psicologico, fortunatamente superata, anche perché noi genitori l'aiutavamo (né voglio drammatizzare più di tanto). Ebbene, in una tale situazione, c'è da stupirsi che non ammonti al 99,9 per cento il numero degli scolari che segue l'insegnamento di religione: non c'è alternativa!
Naturalmente, a ciò si aggiunge anche un po' di stravaganza. Visto che a Rifondazione comunista non può essere imputato di volere una via giudiziaria al socialismo, affermo, e me ne assumo la responsabilità, che considero la sentenza della Corte costituzionale in materia (eppure amo la Corte per altre ragioni) assolutamente non condivisibile.
La Corte costituzionale, nel 1991, ha affermato che lo stato di non obbligo rispetto all'istruzione religiosa ha la finalità di non rendere l'insegnamento della religione cattolica equivalente e alternativo ad altro impegno scolastico, per non condizionare dall'esterno la coscienza individuale e l'esercizio una libertà costituzionale. Siamo al massimo dell'idealismo che, rovesciandosi nella realtà materiale, produce il suo esatto contrario. In altre parole, la Corte costituzionale non obbliga il dirigente scolastico a stabilire delle materie alternative all'ora di religione, come dice il bel film di Bellocchio, perché essa è una pura scelta di coscienza. Ma, così facendo, il bambino o il giovane, anche qualora avesse raggiunto un'età più vicina alla maggiore (presumibilmente quella della ragione), si trova nella condizione di dover stare lì per forza, perché non ha altro da fare, perché non ha alternative. Questo funziona come un deterrente rispetto alla libera scelta, funziona come un incentivo alla presenza, volente o nolente, all'istruzione della religione cattolica. Questo, signor Presidente, è davvero inaccettabile, è un tonfo, una caduta, una vergogna, uno scivolamento nella pozzanghera dello Stato laico. Uno Stato laico deve garantire la propria laicità rispetto ad una istituzione religiosa, anche in un regime concordatario.
Quindi, fermo restando che sono per l'abrogazione di quella schifezza fatta dal duce e ribadita da Bettino Craxi, che grida vergogna rispetto alla libertà di coscienza religiosa per una persona moderna, fermo restando che non posso sperare di convincere la maggioranza di questo Parlamento ad accettare questo punto di vista, però, almeno, vigendo il Concordato - Santiddio - signor rappresentante del Governo, si alzi in piedi e faccia emergere la propria autonomia: dica che questi dirigenti scolastici non possono fare in modo che una maestra elementare si trasformi in una suora o in un prete, perché questo non è accettabile, non è possibile! È una vergogna per le suore e per i preti! Questo è il punto essenziale di tutta questa roba qui, con tanto di norme e di cose che ci stanno intorno.
Il succo della questione, onorevole Taglialatela, onorevole Squeglia, è questo. Il resto è una marea di chiacchiere, sono norme sullo stato giuridico di cui possiamo discutere con un po' di pazienza, per evitare che i precari religiosi scavalchino quelli laici; ma - santo cielo! - la questione di fondo è questa qui: garantire il diritto di questo Stato di essere Stato, il suo orgoglio di non essere una istituzione religiosa, di trattare almeno alla pari con la medesima. Santo cielo, abbiamo invitato il Papa, che si è seduto su quello scranno, dobbiamo però trarne lezione!
Io non avevo nulla in contrario che il Papa venisse qui, perché penso non sia questa la questione. La questione riguarda il finanziamento alle scuole confessionali, riguarda questo disegno di legge che permette uno stato privilegiato degli insegnanti di religione cattolica, al punto che si dice a uno che può scegliere, ma, in realtà, non può scegliere, perché non ha una alternativa. Questo è il vero problema!
Naturalmente, ragioneremo sugli emendamenti, ne discuteremo nel dettaglio, se sarà possibile interverrò di nuovo, però il nocciolo del problema è questo, onorevoli colleghi. Qui sta il problema.
Vi è, poi, la condizione di questi insegnanti. Essi sono sottoposti - mi avvio rapidamente alla conclusione - a due autorità: quella che deriva dallo Stato e quella che deriva dalla Chiesa. Questo è inaccettabile. Ho affrontato la questione dal punto di vista dello studente e, secondo me, quando si parla di insegnanti, bisogna soprattutto affrontarla dal punto di vista dello studente e della sua libera scelta; ora, affrontiamola dal punto di vista degli insegnanti. Benissimo, non è accettabile che possano sopra di lui stare due ordini di autorità: la diocesi ed il provveditorato (o quel cavolo che è): lo Stato e la Chiesa, in sostanza.
Si decida: se questi devono stare dentro l'organizzazione della scuola pubblica, essi sottostanno alle decisioni e all'autorità
statale. Punto e basta. Non c'è altra discussione da fare; è conseguenzialmente logico, in base ad un principio dell'autorità statuale in materia di scuola pubblica: non c'è alternativa. Posso anche essere d'accordo con la curia e, personalmente, ho un bel ricordo, e non parlo per vendetta, del mio insegnante di religione cattolica, quando nei primissimi anni sessanta frequentavo la scuola media statale nell'istituto Giuseppe Parini a Milano: lui mi ha insegnato una cultura antimperialista (era il periodo della guerra di Algeria), rivelandomi le torture dell'OAS e dell'esercito francese nei confronti dei rivoluzionarie e dei patrioti algerini; era il periodo del Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII, di don Lorenzo Milani; era un altro spirito rispetto ai tempi, culturalmente tristi, di oggi; allora ci pareva un paradiso in terra. Gli do allora atto, se ci fosse ancora e mi stesse ascoltando, che, in parte, se sono ora qui, lo devo anche a lui.
Ma non c'entra nulla con l'imporre ciò in maniera subdola, attraverso il non obbligo dell'obbligo di un'alternativa dell'istruzione religiosa cattolica; il fatto che essa abbia rappresentato, anche per la storia dei marxisti, di persone di sinistra, un contributo all'incremento della loro coscienza individuale non autorizza, lo dico ai colleghi del centrosinistra ovviamente, una tolleranza rispetto ai principi dell'autorità e della laicità dello Stato nella materia che per esso è fondamentale: quella dell'istruzione pubblica e dell'educazione delle giovani generazioni.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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