Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 123 del 26/3/2002
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Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Angela Napoli; La Russa ed altri; Boato ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione, concernente il riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica (750-1396-2289) (ore 18,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Angela Napoli; La Russa ed altri; Boato ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione, concernente il riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica.
Ricordo che nella seduta dell'8 marzo si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Onorevoli colleghi, ci sono ancora due punti all'ordine del giorno, poi si svolgerà un'informativa urgente del Governo per la quale è stata chiesta alla Presidenza la diretta televisiva. Il Presidente, dopo aver sentito i capigruppo, ha aderito a questa richiesta e ha posto come esplicita condizione, sulla base del ragionamento emerso in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, che l'esame di tutti i punti all'ordine del giorno venga completato. Per cui, vi chiedo di tenere presente questa indicazione, naturalmente ciò non comporta una compressione del dibattito, perché il tempo c'è.
Nel caso in cui non fosse possibile procedere in tal modo, dovremo modificare il programma.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 750)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico, nel testo unificato della Commissione, e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 750 sezione 1).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, intervenire su questa materia richiederebbe, in realtà, una discussione ed un approfondimento assai maggiori e soprattutto maggiore attenzione, per quanto è


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possibile, in questa Assemblea, attraversata da problematiche assolutamente diverse.
Voglio fare alcune considerazioni sul complesso degli emendamenti, a partire da un'idea che ho profondamente radicata. La nostra lingua, l'italiano, è una grande lingua, frutto di una storia molto complessa, di processi di meticciato, di sedimentazioni storico-culturali ed artistiche molto complesse.
L'italiano, come qualsiasi grande lingua, si è formato in un complesso processo, in una tensione continua tra la vitalità del linguaggio popolare e la ricerca accademica di un linguaggio aulico e letterario: per quanto riguarda l'italiano, l'incombere di quella lingua magistrale di riferimento, il latino, che è stato ricorrente nel dibattito secolare sulla questione della lingua, e la scelta di uomini e donne di lettere, che alla lingua del popolo, al volgare, hanno voluto restituire nel vivo della creazione letteraria, oltre alla forza suggestiva del rappresentare passioni, sogni, desideri del presente, anche la grande dignità della lingua scritta, consacrata dall'invenzione letteraria; per ciò stesso, per il fascino di questa invenzione veicolata sul territorio italiano, che sarà poi territorio nazionale, si renderà nazionale quella lingua, tra i tanti idiomi locali, che più di altre è stata attraversata dalla forza trasfiguratrice della creazione letteraria, il fiorentino. Questa è poi la differenza tra una lingua che si afferma come lingua nazionale ed un dialetto, un idioma regionale o una parlata locale: quel suo sottrarsi alle angustie localistiche, all'avarizia lessicale, autoreferenziale, ossificata della piccola comunità locale; quel sottrarsi all'opacità non comunicativa che su una lingua si addensa se privata dell'apporto creativo dell'invenzione artistica, della capacità trasfiguratrice del linguaggio letterario e si riduce invece a mero strumento locale.
Ma, nello stesso tempo, l'italiano è diventato quello che è, cioè una grande lingua, perché è stato un organismo vivente, come tutte le grandi lingue, capace di accogliere le differenze, le suggestioni, le risorse lessicali di altre lingue proprio in ragione del fatto che l'Italia è stata terra di frontiera, di attraversamento, di accoglienza di molte diversità. Spesso nel nostro paese sono arrivati altri popoli per ragioni di conquista ma hanno lasciato anche segni vitali della loro civiltà e della loro lingua. Pensiamo di quali vuoti semantici e concettuali soffrirebbe la nostra lingua senza l'apporto della cultura e della lingua araba o di quella germanica o dei tantissimi lasciti che diversi popoli sopraggiunti hanno regalato alla nostra lingua.
Io credo che oggi, in un'epoca come quella che attraversiamo, della globalizzazione, un aspetto positivo di tale processo di mondializzazione dovrebbe essere proprio l'accoglienza, il sapere che le parlate, le lingue altrui sono una ricchezza anche per noi, ed auspicare nuove forme di meticciato. Se noi riflettiamo sulla nostra lingua scopriamo quanto sia stata grande la forza del meticciato per fare dell'italiano quello che è oggi.
Proprio per queste considerazioni di ordine storico-culturale a noi sembra un vero paradosso mettere la lingua in Costituzione, farne strumento di identità statuale snaturandola rispetto al suo essere in primis ed essenzialmente strumento a disposizione di tutte e tutti e, in quanto tale, disponibile a trasformarsi e ad essere sempre se stessa ma continuamente diversa.
Qual è la lingua ufficiale che vogliamo mettere in Costituzione? Il politichese? Il burocratese? Il linguaggio della televisione? O cos'altro? Perché in un momento come l'attuale, segnato, da una parte, dai processi della globalizzazione e, dall'altra, dal tentativo di costruire uno spazio politico oltre che economico dell'Europa unita, l'Italia vuole approdare a questo spazio di costituzionalizzazione della lingua, veramente fuori tempo massimo?
La globalizzazione, come dicevo prima, ci mette di fronte alla necessità di fare i conti con i complessi problemi della presenza di popolazioni migranti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 18,22)

ELETTRA DEIANA. Che significato può assumere per loro, per donne ed uomini


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che qui cercano un nuovo spazio di diritti di cittadinanza e di accoglienza, l'italiano in Costituzione? Forse un'ulteriore minaccia di una cittadinanza preclusa non soltanto in ragione delle difficoltà e del disagio in cui sono costretti a vivere nel nostro paese; non soltanto in ragione di leggi xenofobe che si preparano e che negano il diritto alla fuga di chi soffre per guerre, fame e persecuzione; non soltanto in ragione di una ancestrale e arcaica concezione del suolo e del sangue come base della cittadinanza, ma anche in ragione, adesso, di una identità del nostro paese costruita intorno all'italiano.
L'Europa, poi, ci pone di fronte a nuovi campi di azione per costruire nuovi spazi di cittadinanza e di democrazia. Dobbiamo cercare di far sì che ciò avvenga all'insegna di una nuova tensione tra uguaglianza e differenza, tra specificità delle istanze di richiesta di diritti nuovi (che si moltiplicano nell'epoca della globalizzazione e nello spazio europeo) e tendenza ad una nuova dimensione universale dei diritti. Arroccarci intorno ad una ricerca identitaria sulla lingua è una fuga che non produrrà alcun beneficio, fuga ridicola e, come dicevo prima, veramente fuori tempo massimo.
Il problema reale che abbiamo di fronte consiste nel come valorizzare la nostra lingua, per farne uno strumento di ricchezza per tutte e tutti coloro che approdano nel nostro paese o che vivono in Europa. Si potrebbe iniziare, per esempio, con il rompere, in quest'aula del Parlamento, quel monopolio simbolico del maschile, falsamente neutro universale, che in italiano non esiste, perché appunto l'italiano è una lingua flessibile e ricchissima di mutazioni, e che qui ridicolmente accettiamo, in modo tale che le deputate non hanno diritto ad essere nominate secondo le regole della suffissazione italiana e l'insegnamento di grandi della nostra lingua, come il grande poeta Ugo Foscolo, che non si peritava a nominare le grazie «ministre di bellezza».
Oltre che compiere operazioni culturali e simboliche di questo tipo, credo che la risorsa della nostra lingua - che, ripeto, è una lingua straordinaria, densa di storia e di bellezza - dovrebbe essere affidata ad investimenti di risorse per mettere in valore, in circolazione in Europa, l'arte, la cultura, la creatività del nostro paese. Soprattutto, cari colleghe e colleghi, occorrerà fare ciò restituendo una funzione centrale alla scuola pubblica repubblicana, il cui ruolo nella diffusione e nel consolidamento della nostra lingua è stato e rimane fondamentale.
È veramente paradossale, a me sembra, che mentre si affossa la scuola pubblica e si dà spazio ad un localismo spesso d'accatto, non filtrato da alcuna reale mediazione culturale degna di questo nome, si voglia collocare nella Costituzione la lingua italiana. Anche questo concorre, a nostro giudizio, a quella torsione negativa dell'impianto costituzionale relativamente alla cittadinanza...

PRESIDENTE. Onorevole Deiana, scusi se la interrompo. Pregherei i colleghi di avvantaggiarsi dell'ascolto di un discorso che forse merita di essere udito senza tutto questo brusio (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

ELETTRA DEIANA. Dicevo che assistiamo ad una torsione negativa dell'impianto costituzionale in materia di cittadinanza: depotenziamento del valore costituzionale della cittadinanza sociale che la Repubblica garantisce; tentativo di ridurre il lavoro da elemento fondativo di cittadinanza a funzione suddita dell'impresa (è questo ciò che si gioca intorno all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori); l'insulsa e caotica frammentazione localistica, talché tra gli emendamenti dobbiamo ancora vedere quelli presentati dalla Lega, che valorizzano gli idiomi locali dopo che tutta la nostra storia repubblicana è una storia di valorizzazione delle differenze linguistiche, senza bisogno di fare il feticcio costituzionale della nostra lingua; l'abbattimento di grandi principi costituzionali, di grandi principi di cittadinanza e la costruzione di un'identità artificiale per competere, da una parte, in


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Europa e, dall'altra, per far fronte all'incombenza della globalizzazione ed ai problemi inediti che essa comporta (inediti nell'obbligo che abbiamo di una ricerca nuova di rapporto proficuo con le diversità, le differenze, i percorsi di altri popoli che arrivano in Italia).
Ebbene, a tutto questo si risponde con una fuga identitaria, con una torsione identitaria che si costruisce intorno alla bandiera, attraverso l'inno di Mameli e, infine, attraverso l'icona della lingua.
La lingua italiana, come tutte le grandi cose (e io ritengo che l'italiano sia una grande cosa), deve essere patrimonio dell'umanità (e, quindi, patrimonio di tutte e di tutti) e abbiamo l'obbligo di farne uno strumento di conoscenza della nostra storia. Anch'essa, però, diventa uno strumento ideologico di confinamento e di costruzione di una differenza che non ci porterà nessun vantaggio e, sicuramente, non arricchirà la nostra lingua (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bellillo. Ne ha facoltà.

KATIA BELLILLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la riforma dell'articolo 12 della Costituzione, di cui stiamo discutendo e che non voteremo, viene, a nostro parere, proposta nella sede sbagliata e in tempi, per un certo verso, abbastanza sospetti. Dovremmo chiederci il motivo per cui i padri costituenti non abbiano ritenuto di inserire nella Carta fondamentale della Repubblica una disposizione sulla ufficialità della lingua italiana. Ritengo perché, in primo luogo, si era affermata una concezione laica dello Stato dei cittadini, superando pertanto, dopo un ventennio di vuota retorica nazionalista, il concetto di Stato nazionale. In qualche modo, si poteva leggere fra le righe l'avversione per ciò che il fascismo, sconfitto dalle forze alleate e dalla Resistenza, intendeva per patria: autoritarismo, regime, sottomissione del cittadino agli interessi superiori della nazione.
Altro, invece, era l'orgoglio nazionale che la Resistenza antifascista aveva affermato nei primi anni della ricostruzione con radici ferme nei valori di libertà, di solidarietà e di giustizia sociale. Con ciò, la Costituzione non toglieva nulla al ruolo della lingua italiana come collante dell'unità nazionale e strumento di interpretazione esatta e condivisa delle norme che presiedono alla civile convivenza. Dobbiamo, allora, chiederci come mai soltanto ora, nel 2000, a cinquant'anni dalla Costituzione, ci si preoccupi di sancire, addirittura con una riforma della Carta fondamentale dello Stato, l'ufficialità esclusiva della lingua italiana.
Leggendo le motivazioni addotte dai presentatori, si desume che le ragioni vadano messe in relazione al processo di unificazione europea in atto e ai mutamenti sociali prodotti dall'abbondante flusso migratorio verso il nostro ed altri paesi economicamente sviluppati. Così si propone di costituzionalizzare l'ufficialità della lingua italiana per affermare un nazionalismo di ritorno che ritengo abbastanza coerente con la crescente tiepidezza che la destra al Governo sta mostrando verso l'Europa.
L'italiano diventa così la bandiera dell'euroscetticismo, di chi paventa l'Europa superstato al quale si contrappone l'Europa delle patrie, invece che l'Europa dei cittadini, dei popoli, delle regioni, delle moderne nazioni e, quindi, della società multietnica ed interculturale in cui le diversità non sono e non possono essere vissute come polarità negative, come motivi di divisione, ma piuttosto come elemento di arricchimento della nostra multiforme identità, laddove sul ceppo forte ed antico della nostra indiscussa italianità si innestano nuove forme espressive ed orizzonti più ampi di osmosi e sinergia culturale.
Ecco, credo che sia invece nell'ambito europeo, nella Costituzione europea nella Convenzione appena nominata ed insediata è chiamata ad esprimersi, è lì che dovremmo sancire il ruolo della lingua italiana accanto alle altre lingue ufficiali dell'Unione europea. Si faccia, dunque,


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una mozione, si dia un indirizzo ai nostri rappresentanti nella Convenzione europea che di altro non c'è bisogno, veramente non c'è bisogno. Si vuole, invece, cambiare il titolo I della Costituzione, quello che, per intenderci, avevamo convenuto di non toccare perché contiene i fondamenti ispiratori ed i principi su cui si fondano tutto l'impianto politico e civile della Repubblica e le basi della nostra convivenza civile.
Abbiamo letto le dichiarazioni del presidente del gruppo di Alleanza nazionale, l'onorevole La Russa, che tradiscono in parte le vere intenzioni della destra: fare della lingua italiana un pretesto politico per conculcare, di fatto, i diritti alla diversità presenti come principi fondanti negli articoli 3 e 6 della stessa Costituzione laddove ribadiscono la tutela delle minoranze linguistiche e della loro diversità, nonché il dovere della Repubblica di rimuovere ogni ostacolo alla pari dignità dei cittadini a prescindere dalla loro religione, lingua e sesso.
Non è, quindi, un caso che i rappresentanti delle minoranze linguistiche abbiano proposto emendamenti tesi ad integrare la proclamazione dell'italiano come lingua ufficiale dello Stato con l'affermazione, però, della pari dignità delle lingue minoritarie presenti in molte regioni del nostro paese. Personalmente sono convinta che da questo punto di vista bastino le leggi di tutela delle minoranze linguistiche approvate dal Parlamento italiano, la legge n. 482 del 1999 e la legge n. 38 del 2001: ambedue contengono la definizione dell'italiano come lingua ufficiale dello Stato.
Devo a questo punto, anche per le responsabilità che ho ricoperto nei governi di centrosinistra, denunciare piuttosto l'ostilità che questo Governo delle destre sta dimostrando verso le minoranze linguistiche rifiutandosi di dare debita attuazione alle leggi approvate dal Parlamento e, quindi, formalmente in vigore. Credo che ci sia una cartina di tornasole chiara e riconoscibile per distinguere la destra conservatrice dalla destra di sempre, reazionaria: è il rispetto delle leggi, il culto dello Stato di diritto. Nei confronti delle minoranze linguistiche e dei loro diritti in questa compagine governativa sembra però prevalere, purtroppo, la seconda che a Fiuggi aveva soltanto simulato opportunistiche conversioni ma conservato appieno quel motto «me ne frego» con cui solevano fregiarsi i loro diretti precursori e maestri.
Ben altri sono, a mio parere, gli interventi necessari per la tutela della lingua e della cultura italiana contro gli effetti perversi della supremazia economica, politica e militare angloamericana anche nel nostro paese. Penso agli interventi per tutelarne l'uso corretto nelle comunicazioni sociali contro l'obbrobrio dei vari tax day, security day o, persino, work day, o per promuovere e sostenere l'attività di benemerite istituzioni come l'Accademia della Crusca o la Dante Alighieri tra i connazionali all'estero.
Cerchiamo, onorevoli colleghi, di tutelare il buon nome dell'Italia nel mondo evitando anche certi strafalcioni e clamorose gaffe che, dopo aver suscitato la prima risata, muovono alla derisione ed al disprezzo. Evitiamo di usare la lingua italiana come un baluardo o come un manganello verso gli altri perché ritengo che non lo meriti. È per questo che voteremo contro alla modifica...

GUSTAVO SELVA. Contro la modifica!

KATIA BELLILLO. ...della prima parte della Costituzione ed all'articolo 12 (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.

CARLO LEONI. Signor Presidente, non c'è dubbio che non fosse obbligatoria una scelta come quella che siamo chiamati a fare oggi, cioè di scrivere nella Costituzione che la lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica. Avevano ragione le colleghe che sono intervenute prima di me a dire che i costituenti non fecero questa scelta, perché tutta la Costituzione


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era ed è un progetto di affermazione dell'identità nazionale, dopo che la nostra patria fu umiliata e privata della dignità nazionale dal fascismo e dall'occupazione nazista.
Tuttavia, alcuni colleghi hanno inteso avanzare la proposta di questa modifica all'articolo 12 della Costituzione, concernente il riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica, e per i Democratici di sinistra-l'Ulivo non vi è alcuna ragione di un'opposizione pregiudiziale rispetto ad una scelta del genere. Siamo favorevoli e potrebbe essere una scelta positiva, anche se nelle motivazioni e nelle relazioni che abbiamo ascoltato tale scelta viene sostenuta da argomenti non condivisibili, cioè da una logica difensiva e conservatrice, come se si dovesse trattare di erigere uno scudo protettivo e difensivo contro fenomeni che stanno attraversando il mondo moderno (la globalizzazione delle culture, l'unificazione europea, la presenza di cittadini stranieri sul territorio del nostro paese) oppure di proteggersi da istanze delle minoranze linguistiche o di promozione di idiomi locali.
In ogni caso, siamo d'accordo ad inserire nella Costituzione, dopo il richiamo alla bandiera nazionale, che la lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica. Si tratta di una scelta positiva ma lo è nella misura in cui rimane così limpida, essenziale, ricordandoci che stiamo intervenendo tra i principi fondamentali della Repubblica.
Invece, abbiamo visto che, appena iniziata la discussione su tale proposta avanzata anche da colleghi della maggioranza, nella stessa sono sorti problemi: è iniziata una sorta di offensiva da parte dei colleghi della Lega - che si è esercitata attraverso numerosi emendamenti, ponendo distinguo, condizioni e subordinate -, dando l'impressione che gli stessi avrebbero voluto opporsi ad una scelta del genere ma, un po' la solidarietà di maggioranza e un po' un briciolo di pudore, li hanno, invece, condotti sulla strada del condizionamento.
La Lega resiste anche in questo modo a principi di unificazione nazionale, così come lo fa - e non da oggi - rispetto ai processi di integrazione europea. Tra poco, inizieremo in I Commissione l'esame di una proposta di modifica costituzionale all'articolo 11 avanzata dai colleghi della Lega, che per la ratifica di trattati comunitari propone consultazioni popolari mediante referendum ma che, soprattutto, nella motivazione e nella relazione dice che tutto ciò è necessario perché sussiste il pericolo che l'integrazione comunitaria possa, talora, mettere a rischio anche alcuni principi costituzionali: in definitiva, l'integrazione europea è vista, ancora una volta, più come un terreno minato da rischi invece che di straordinarie opportunità.
Per far rientrare questa iniziativa emendativa della Lega, la maggioranza ha cercato al suo interno un accordo politico, producendo un errore, perché l'emendamento Cè 1.26 - che in seguito discuteremo nel merito - costituisce, dal nostro punto di vista, un errore, sia per come è scritto sia per la collocazione cui è destinato.
Non ci saremmo opposti a ragionare sulla diversa collocazione ma, in questo modo, si compie un errore rappresentato dalle contraddizione, anche clamorosa, rispetto all'iniziativa che ha mosso i colleghi proponenti la modifica costituzionale. E non si venga a dire che collocare un emendamento da una parte o dall'altra è un problema semplicemente formale, perché stiamo incidendo sulla Costituzione e che non stiamo scrivendo un documento di partito o un testo di maggioranza politica.
Non siamo affatto contrari a misure di valorizzazione di quelli che vengono definiti idiomi regionali. Tuttavia, si può intervenire attraverso la legge ordinaria, possono farlo le regioni italiane, si può anche ragionare in altra sede su interventi di natura costituzionale, ma - credo dovremmo convenirne tutti con un po' di saggezza - occorre iniziare a trattare con un po' più di riguardo la Carta costituzionale italiana.
Infatti, in questo caso, la contrattazione è assolutamente clamorosa. In primo


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luogo, si cerca di costruire un'operazione politica di sottolineatura dell'identità nazionale, ufficializzando la lingua italiana (cosa condivisibile, ma presentata con un'enfasi eccessiva); in secondo luogo, da parte della stessa maggioranza si contraddice questa scelta proponendo l'inserimento nello stesso articolo 12, di un emendamento che, per la sua collocazione, è indubbiamente di segno opposto e contraddittorio.
Siamo fortemente contrari a questo emendamento e invito i colleghi della maggioranza a riflettere, in quanto la nostra contrarietà all'emendamento Cè 1.26 ci costringerà ad esprimere un voto contrario al testo di riforma costituzionale, che in tal modo comincerà un cammino incerto, in quanto verrà approvato con una maggioranza semplice, facendo svanire l'operazione ancora prima di iniziare.
Naturalmente, non tutti gli emendamenti sono uguali. Vi sono le altre proposte emendative - ad esempio quelle presentate dal collega Zeller - che, nel merito, sono ragionevoli, anche se pongono un'esigenza di tutela coperta già dall'articolo 6 della nostra Costituzione oltre ad essere ulteriormente specificata nella legge ordinaria n. 482 del 1999.
Se l'operazione di rafforzare un elemento, seppur simbolico, di identificazione nazionale ha un senso, si lasci il testo così come proposto nei progetti di legge che abbiamo cominciato ad esaminare, senza ulteriori aggiustamenti e aggiunte. Tra l'altro, sugli emendamenti che nel merito non ci sentiamo di contrastare ci asterremo.
Tuttavia, vorrei dire, soprattutto ai colleghi la maggioranza, che si apprestano a compiere un errore politico e di merito, che, in certi casi, è meglio lasciar perdere piuttosto che modificare la Costituzione attraverso iniziative che non sono degne dell'impegno culturale e morale di chi quella Costituzione scrisse molti anni fa.
Ci dispiace se saremo costretti a non convergere in un voto finale favorevole, anche se siamo stati disponibili - i colleghi della maggioranza lo sanno - a ricercare un'intesa che lasciasse la modifica all'articolo 12 della Costituzione come era stata proposta.
Tuttavia, si è capito che la Lega ha puntato i piedi e che la maggioranza si è accodata. Infatti, il riferimento agli idiomi locali, collocato all'articolo 12, serve soltanto a mitigare e a contraddire la scelta degli stessi proponenti, che volevamo semplicemente prevedere che la lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica.
Ci sarebbe da complimentarsi con i colleghi della Lega nord Padania, sennonché a me pare sia in atto soprattutto una sorta di scambio: alla Lega nord - come avverrà stasera - si lasciano le briciole di atti simbolici, a tutti gli altri soggetti politici della maggioranza, invece, va il piatto forte di un Governo concreto nel quale tornano il centralismo e lo strapotere ministeriale, come abbiamo visto dai due decreti-legge esaminati nella giornata odierna.
Concludo dicendo che la Costituzione è una cosa seria e non può essere usata per cucire i rapporti politici interni alla maggioranza. Avremmo voluto convergere su un'operazione che ha anche un significato, ma voi la state contraddicendo e snaturando. Su questa linea non ci stiamo, non vi seguiamo e non vi seguiremo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, noi ci eravamo espressi favorevolmente sulla proposta di legge al nostro esame, nel testo originario, anche convinti dall'ottima relazione dell'onorevole Mazzoni e dal senso che si voleva dare a questa norma. Come ho detto durante la discussione sulle linee generali, i costituenti, all'epoca, ritennero non necessaria una norma di questo tipo per il momento storico in cui nasceva la Carta costituzionale che rappresentava di per sé la testimonianza dell'unità nazionale conquistata con la lotta popolare: all'epoca non esisteva il problema di respingere spinte secessionistiche.
Francamente, al di là dell'enfasi un po' eccessiva contenuta nei testi di legge, mi


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sembra che i proponenti avessero lo scopo di introdurre una modifica della Costituzione per combattere le spinte secessionistiche e localistiche esistenti nel nostro paese. Quindi, su questa strada, ritenevamo che costruire l'articolo 12 della Costituzione come l'articolo identificativo della bandiera e della lingua quali elementi dell'unità nazionale fosse particolarmente significativo e meritasse il nostro voto favorevole; ciò, a maggior ragione - vorrei dire - dopo la modifica del titolo V della Costituzione e dell'articolo 114, laddove si è sancita la pari dignità dei comuni, delle province, delle regioni e dello Stato nell'ambito della Repubblica italiana. Quindi, si andava concretizzando un sistema compiuto, a mio avviso nel rispetto del principio fondamentale dell'essenzialità delle norme della nostra Carta costituzionale.
Stiamo discutendo sui principi fondamentali e sui primi 12 articoli della Costituzione che sono caratterizzati dalla sinteticità nell'affermazione dei principi. Vorrei ricordare che abbiamo costruito l'Unione europea sulla base di un rigo dell'articolo 11. Quindi, parliamo di norme basilari che si caratterizzano per essere essenziali e per non dire una parola in più rispetto a ciò che è fondamentale e necessario per stabilire i principi fondamentali. Quando si discute di norme primarie e di Costituzione, bisogna innanzitutto avere rispetto per l'attuale testo costituzionale; non si può fare politica del momento e non si può cercare di mediare fra le varie anime di una maggioranza per modificare i principi fondamentali della Costituzione.
Purtroppo, è ciò che, invece, è avvenuto con la presentazione di un emendamento che contraddice totalmente la proposta di legge. Vorrei leggere la relazione alla proposta di legge dell'onorevole La Russa, in cui si dice: la pretesa - la pretesa: usa questo termine l'onorevole La Russa - di una parte dei dialetti ad un sistema di garanzie simile a quello ottenuto sarebbe bilanciata in modo equo e razionale dall'articolo così proposto; dopo di che, lo stesso onorevole La Russa, per ovvie esigenze di carattere politico momentaneo e per controbilanciare le opinioni ben diverse esistenti all'interno della maggioranza da parte dei deputati del gruppo della Lega nord, sottoscrive un emendamento in cui si dice: «La Repubblica valorizza gli idiomi locali». Sulla base di questa formulazione noi dovremmo avere un articolo 12 composto di tre commi: il primo comma che parla della bandiera, il secondo che parla della lingua nazionale e il terzo che valorizza gli idiomi locali.
Allora, francamente, noi siamo profondamente contrari a costruire in questa maniera una norma primaria, i principi fondamentali della Costituzione. Abbiamo dato una disponibilità a discutere e a ipotizzare una collocazione diversa, ma mi sembra che ci sia una necessità e una urgenza nell'approvare questa norma che ci costringe, a questo punto, a rivedere la nostra opinione precedente, favorevole al testo originario della legge, e a ritenere che l'approvazione dell'emendamento ci porta a non poter approvare il testo così risultante. Ciò anche perché tutto questo contraddice, vorrei dire, un po' lo spirito che aveva portato alla relazione della Commissione, con la puntuale relazione della collega relatrice - con cui mi scuso, perché non l'avevo fatto in sede di discussione generale e mi ha ripreso, ma lo voglio fare ora -, perché aveva veramente svolto un ottimo ed egregio lavoro di bilanciamento e anche di equilibrio su un tema così delicato.
Tutto questo viene meno per introdurre un concetto che francamente non vedo come possa essere introdotto nei principi fondamentali della Repubblica. Non senza dire, ovviamente, che noi riteniamo quello della tutela delle minoranze linguistiche un sistema già esistente, un sistema, sia delle culture autonomistiche, che delle minoranze linguistiche, compiuto e disciplinato dagli articoli 5 e 6 della Costituzione (e ogni ripetizione, anche di una sola parola, nella Costituzione è un fatto estremamente grave, che non può essere condiviso).
Quindi, da questo punto di vista, credo non meriti la collocazione nell'articolo 12


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l'emendamento proposto dalla maggioranza, che non è null'altro che un tentativo di riconquistare una posizione unitaria della maggioranza su un tema politico che li vede profondamente divisi; infatti, da una parte, vi sono i proponenti della legge, in particolare i deputati del gruppo di Alleanza nazionale, che propongono questa legge contro le spinte secessionistiche che ci sono nel nostro paese. Leggo sempre la relazione della proposta di legge, in particolare, dell'onorevole La Russa, dove si dice: in relazione alle forti tensioni secessioniste che investono non più soltanto le minoranze storiche (...) ma vaste zone del territorio nazionale sulla base di identità etniche (o dialetti) a volte meramente virtuali. Non sono d'accordo con queste parole dell'onorevole La Russa, perché le trovo eccessive e sbagliate: ma questa è la relazione alla proposta di legge. A fronte di decine di emendamenti presentati dalla Lega nord Padania, francamente, il punto di sintesi determina un mostro giuridico - non ho difficoltà a dirlo -, che non ci può vedere d'accordo e che quindi, da questo punto di vista, ci vede completamente contrari.
Non posso non far presente che gli idiomi e le lingue esistono perché sono parlate, sono fatti dinamici. Le lingue cambiano in continuazione, si aggiornano (i dizionari si aggiornano in relazione alle parole nuove che si creano) e le lingue esistono in quanto vengono adoperate e, se non vengono più adoperate, non esistono: non sono delle cose o delle culture che possono essere valorizzate o spinte dall'alto. Al massimo, si può ovviamente studiare come fatto storico e allora è un'altra cosa; ma se le lingue non esistono più, sono culture storiche che vanno studiate.
In ogni caso, nessuno può dall'alto, con norme giuridiche, obbligare alla valorizzazione degli idiomi che esistono se vengono adoperati nei territori, se la gente li usa, se, appunto, costituiscono elemento di comunicazione tra i soggetti. Se questo vi è, esse esistono a prescindere da qualsiasi norma, se questo non vi è, risulta sbagliato pensare che qualcuno le possa valorizzare se gli stessi soggetti che usavano quegli idiomi non li vogliono adoperare più. Quindi, da questo punto di vista, esprimeremo un voto contrario alla modifica costituzionale, nel testo modificato dall'emendamento della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi pare che questo importante dibattito stia registrando delle notazioni di grande rilievo. Si tratta, pur sempre, di una modifica costituzionale relativa alla prima parte della Costituzione. I deputati hanno avvertito l'esigenza di collocare all'articolo 12 della Costituzione il riferimento alla regola relativa all'ufficialità della lingua italiana. Nelle grandi linee - come avete ascoltato dagli interventi degli onorevoli Leoni e Maroni - il nostro gruppo, in sede di principio e di norma, è convinto della possibilità di aderire alla modifica, tuttavia non senza un minimo di approfondimento nei confronti di una norma costituzionale che, in genere, dovrebbe richiedere, come requisito per la sua modifica, elementi particolarmente condivisi - di particolare necessità ed urgenza -: la crescita di determinati diritti, il riconoscimento di mutate condizioni sociali e il riconoscimento di esigenze che il progresso pone alla Carta costituzionale, affinché diritti non evidenti siano riconosciuti come diritti umani, diritti naturali e, finalmente, come diritti costituzionali. Ed è per questo che, fino a questo momento, in tutti questi anni, la norma introdotta all'articolo 12 dal costituente - che certamente non era insensibile al valore e all'importanza della lingua italiana - è una norma che, certamente, non ha ignorato il valore della lingua italiana, ma non si è posta il problema di piantare una bandiera linguistica nella Costituzione. Non si è posta il problema di ciò che può - come dire - apparire l'ovvio. Le Costituzioni, in genere, non sono Costituzioni dell'ovvio, sono Costituzioni di regole fondamentali. Ripeto,


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se l'esigenza è stata avvertita, essa è stata già oggetto di un'ampia discussione. Voglio anche ricordare l'importante relazione e l'importante dibattito che si è tenuto nel corso della XIII legislatura intorno alla legge sulla tutela delle minoranze linguistiche.
Per la redazione di tutte le leggi della Repubblica, leggi di carattere giudiziario, di carattere amministrativo, di carattere sociale (ad eccezione delle regioni autonome ed a statuto speciale), la lingua ufficiale è la lingua italiana; la lingua della letteratura è la lingua italiana; la lingua della comunicazione, purtroppo tanto deformata - come è stato molto ben evidenziato da alcune colleghe che prima sono intervenute - dall'inserimento (portatore di effetti invasivi) della comunicazione mediatica, è, pur sempre, la lingua italiana.
Il problema adesso consiste nell'evitare di istituire - come dire - una sorta di gerarchia improvvisa, un sussulto di gerarchismo linguistico che non si sa se obbedisca ad una effettiva esigenza intercostituzionale - rispetto a tutte le altre Costituzioni europee o alle Costituzioni internazionali - o solamente ad una particolare passionalità, certamente apprezzabile ed opportuna.
Il problema della Costituzione, come tutti sapete, non è quello di un convitato di pietra cartaceo nella società italiana. Inserire questa norma nel testo costituzionale significherà poi redigere norme di tutela e di applicazione della norma costituzionale, un po' come accade (in questi giorni si è acceso un dibattito abbastanza amaro in questo Parlamento) per il vilipendio della bandiera e per i valori che esprime (la bandiera è considerata dal 1946 come bene costituzionale protetto). Vi è poi una serie di disposizioni del nostro ordinamento che attribuisce a quella norma un valore cogente nei confronti dei cittadini. Pertanto, dovremmo riflettere - lo dico a tutti i colleghi - non solo per registrare la soddisfazione di inserire nel testo costituzionale un vessillo da agitare in nome di non si sa quali valori.
Dobbiamo, poi, tenere conto del fatto che una norma così importante avrà bisogno di un'attrezzatura di supporto, di una diffusione e di una condivisione effettiva.
Fatta questa segnalazione, siamo d'accordo, anche se ci permettiamo di sottolineare il possibile contrasto che può esplodere, all'interno della stessa Costituzione, tra la norma dell'articolo 12, quella dell'articolo 3 (che prevede la pari dignità, senza differenze di lingua, di razze e di religione) e quella dell'articolo 6 (che contempla la tutela delle minoranze linguistiche ed etniche).
Il possibile contrasto verrà risolto, ma ci auguriamo che non esploda. Certamente non si potrà risolvere attraverso un'immediata controriforma da inserire nell'ambito della riforma. Da una parte, immettiamo questa norma bandiera, questa norma vessillo, cercando, dall'altra, di metterci d'accordo (come è stato molto opportunamente rilevato) con un sistema un po' pattizio, certamente extralegislativo ed extracostituzionale, di arrangiamento assembleare in forma di emendamento, al fine di risolvere la problematica di come conciliare l'articolo 12 (nel quale vogliamo che venga inserito il riconoscimento della lingua italiana) con la norma sulle minoranze linguistiche, nonché con quella della pari dignità del diritto alla lingua e all'idioma.
Se e vero, com'è vero, che vi è la possibilità di operare tale inserimento con questi avvertimenti, siamo convinti che, successivamente, occorrerà ritoccare anche la legge del 1999, il cui relatore molti parlamentari della XIII legislatura ricordano, per la meticolosità con cui preparò il suo lavoro. Mi riferisco all'onorevole Maselli che dette il via a questa discussione vera ed ampia.
Pertanto, sul primo punto, si può essere d'accordo, ma confermiamo la volontà di andare più a fondo al problema, di non fermarsi alla superficie e di non produrre una norma frettolosa che serve a soddisfare certamente nobili aspirazioni, ma non chiare ragioni legislative e costituzionali.


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In tale contesto si inserisce il problema del rispetto dell'articolo 6 e dell'articolo 3 della Costituzione.
Secondo il grande Pier Paolo Pasolini: le lingue regionali sono lingue nel pieno significato del termine, qualche volta più ricche e più complesse delle lingue dette nazionali. Lo diceva da semiologo, da studioso della lingua, non soltanto da scrittore ed artista. Qui sarei tentato di dire hic Rhodus, hic salta. Non si può accettare l'emendamento pattizio che gioca tra idioma, lingua, linguaggio e dialetto.
La verità della frase di Pasolini che ho citato in via sintetica, per dare un minimo di autorità al mio modesto intervento, è nella potenza mondiale di alcuni idiomi. Se si pensa che nella storia della contestazione del potere, più della grande poesia, può avere avuto valore il romanesco di Belli, di Trilussa e di Pascarella, come nella storia dell'alta poesia e degli altri linguaggi, può aver avuto valore il veneto del Ruzzante, più di quanto non abbia avuto in qualche caso la rappresentazione purista della lingua italiana; così come, per la conoscenza dell'opera buffa nel mondo, addirittura premozartiana, il dialetto della mia terra è una componente essenziale per la conoscenza anche dei cantanti giapponesi o australiani, della possibilità cioè di cantare Mozart, Cimarosa o Paisiello.

PRESIDENTE. Anche Goldoni non era...

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, non volevo assolutamente far sfoggio perché non sarei in grado. Volevo dare forza a questa nostra profonda tradizione di regionalismo linguistico, nel rispetto della lingua nazionale.
Badate bene, onorevoli colleghi, si tratta dello stesso rispetto che hanno avuto i costituenti quando non hanno voluto inserire tale aspetto in Costituzione. Basta prendere visione degli atti e ne dà conto anche la relatrice del provvedimento. Essi non hanno voluto prevedere tale aspetto perché comprendevano che, in una Costituzione che, nello scorso anno è stata addirittura modificata nell'articolo 117 - senza televisione, né mezzi particolari sotto il profilo telematico -, nella loro essenzialità e con la passione civile con la quale affrontarono il problema della legislazione, secondo canoni vichiani e di Filangieri, questo aveva un carattere pleonastico.
Quello tuttavia non vale: dove dobbiamo soffermarci è sul piccolo patto dell'inserimento di un emendamento che finisce con l'essere penalizzante proprio nei confronti delle autonomie linguistiche regionali, nei confronti dei dialetti. Sembra quasi una sorta di obolo dato a Belisario perché in definitiva abbiamo previsto in questa Costituzione, che sta avendo un particolare successo in questi giorni a proposito dell'articolo 12, un po' meno, per esempio, sul principio dell'eguaglianza della legge per tutti, per il principio della solidarietà, per quello dell'elevazione delle categorie più deboli e per tutta una serie di problemi che ci vedono impegnati, spesso in modo conflittuale, ma comunque sempre tendente a valorizzare non la Costituzione virtuale, ma quelli reale.
Ed allora, certamente, per le ragioni che hanno sottolineato gli esponenti del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, sì ad un consenso critico, motivato, approfondito ed apprezzato dal punto di vista legislativo, con prospettive di quello che potrà accadere nell'interpretazione della norma; al contrario, assolutamente no ed una presa di distanza da questa specie di mortificazione legislativa che ha tratto dal cilindro e dalla capacità - quella sì veramente miracolosa della lingua italiana di riuscire a trovare una serie di sinonimi - di individuare la parola idioma in luogo della parola linguaggio, idioma in luogo della parola lingua, per poi ottenere che in Costituzione si inserisca la protezione culturale.
Ma noi cerchiamo di lavorare intorno alla legge del 1999, sul filo di proposizioni condivise cerchiamo di valorizzare, dal punto di vista della spesa e della struttura, l'importante legge del 15 dicembre 1999,


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n. 482, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Ma vogliamo che la lingua venga rispettata, venga diffusa, condivisa, sia espressione anche di autonomia nell'unità e di un rilancio storico del suo significato. Una lingua che entra in Costituzione sia, soprattutto, un'opportunità di eguaglianza, di comunicazione accessibile per tutti e non soltanto per coloro i quali oggi rischierebbero addirittura di interpretare questa norma come una sorta di emarginazione per la loro condizione di impossibile accesso alla padronanza della lingua italiana, che, attraverso questa codificazione, diventa certamente un grande valore culturale, ma anche una maggiore difficoltà di individuazione di tante categorie di «diversi» che operano all'interno del nostro sistema sociale. La nostra lingua venga protetta e promossa senza contaminazioni, senza confusioni, senza alcun atteggiamento puramente astratto di omaggio e di ossequio, ma in una condivisione popolare e democratica del suo significato nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signora relatrice, colleghe deputate e deputati, credo che lei, signor Presidente, abbia fatto bene, durante il primo intervento, al di là delle posizioni ivi espresse, ad attirare l'attenzione delle deputate e dei deputati su quello su cui stiamo discutendo e che ci accingiamo a votare. È la prima volta in 54 anni - o sarà, se ciò succederà, completando l'iter - che si andrà ad incidere con una modifica costituzionale non, come qualcuno ha erroneamente detto poco fa, sulla prima parte della Costituzione, ma sui principi fondamentali che precedono quella prima parte: su uno di quei dodici articoli che segnano i principi basilari della nostra convivenza repubblicana.
In realtà, come un collega poco fa suggeriva a bassa voce - ma l'ho già scritto nei miei appunti - quest'Assemblea - per chi c'era allora, nella XIII legislatura - aveva già approvato in prima lettura (e soltanto in prima lettura, perché poi l'iniziativa legislativa si arenò al Senato) un testo identico a quello approvato a larghissima maggioranza dalla I Commissione in sede referente. Specifico questo perché, come abbiamo già sentito negli altri interventi, tra poche decine di minuti in quest'aula ci sarà un dibattito anche su degli emendamenti, cosa che invece nella XIII legislatura non avvenne. Il voto in prima lettura fu ampio, perché nella seduta del 26 luglio 2000, su 345 presenti, 20 si astennero, la maggioranza era di 163, votarono a favore 298, votarono contro 27. Dunque, 27 contrari, 20 astenuti, 298 favorevoli. Quei 298 non sarebbero stati sufficienti in seconda lettura, quando serve almeno la maggioranza assoluta dei componenti della Camera, meglio i due terzi per evitare ipotesi di ricorso al referendum. Ma la proporzione fra voti contrari, astenuti e favorevoli fa capire che già nella XIII legislatura su questo testo, approvato dalla Commissione, c'era una larghissima maggioranza. Ripeto, non vi fu l'unanimità - perché anche allora vi fu un dissenso da parte di Rifondazione comunista e dei rappresentanti delle minoranze linguistiche e vi furono perplessità di alcuni colleghi, anche dei DS (ricordo Claudia Mancina) - ma la convergenza fu amplissima.
Noi abbiamo nella Costituzione un articolo fondamentale, l'articolo 6, tanto importante che - come ricorda il Presidente Biondi, non perché fosse membro della Costituente, ma perché ha studiato gli atti della stessa, e, comunque, ne è a conoscenza il rappresentante del Governo -, essendo stato originariamente presentato dalla Commissione dei 75, in riferimento al titolo V (quello sul sistema delle autonomie), quest'aula (ma era l'aula della Costituente) decise di portare quella norma dal titolo V della parte seconda della Costituzione, neppure nella prima parte, ma addirittura tra i principi fondamentali, subito dopo un altro articolo fondamentale della Costituzione, l'articolo 5 che recita: «La Repubblica, una e indivisibile,


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riconosce e promuove le autonomie locali». Riconosce e promuove: riconosce vuol dire che le autonomie locali hanno una loro dignità originaria, precedente allo stesso ordinamento costituito.
Dopo l'articolo 5 fu introdotto dai costituenti l'articolo 6 che recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». È un articolo brevissimo - direi icastico - ma che ha un'importanza fondamentale nel nostro testo costituzionale che voglio richiamare proprio nel momento in cui stiamo discutendo questo provvedimento. Insieme ai colleghi Bressa ed Amici, ho presentato una proposta di legge costituzionale che prevede l'introduzione, all'articolo 12 (concernente la bandiera) di un secondo comma che prevede il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale. Tale principio - come tutti sappiamo - è già contenuto nel nostro ordinamento, ma che i costituenti - come è stato ricordato - non ritennero, nel 1946-47, di introdurre nella Costituzione.
I costituenti, ritennero, invece, di introdurre, nel testo costituzionale, l'articolo 6, perché provenivamo da vent'anni di regime fascista che aveva sistematicamente conculcato il diritto delle minoranze linguistiche - ricordo, in particolare quelle di lingua tedesca e di lingua francese - di utilizzare la propria lingua. Vent'anni di oppressione delle minoranze linguistiche da parte del regime fascista portò tutti i costituenti ad introdurre, fra i principi fondamentali della Costituzione, con riferimento alla Repubblica nel suo insieme, non solo allo Stato, la previsione che la Repubblica tutela (non «può tutelare», ma tutela: un precettivo), con apposite norme, le minoranze linguistiche.
Ci sono volute tredici legislature - lo ripeto - tredici, fino alla precedente (a parte gli statuti speciali che hanno garantito questa tutela, in particolare, in Val d'Aosta e nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, già in precedenza) affinché il Parlamento repubblicano arrivasse ad approvare definitivamente una prima legge (dico «prima» perché probabilmente saranno necessari altri provvedimenti legislativi in futuro) di tutela delle minoranze linguistiche storiche, in attuazione finalmente dell'articolo 6 della Costituzione: la legge 15 dicembre 1999, n. 482.
Sono state necessarie molte legislature per arrivare, nella scorsa legislatura, assai feconda da questo punto di vista, ad approvare anche una specifica legge - dopo una feroce, ma vana, per fortuna, opposizione da parte del gruppo di Alleanza nazionale e di altri gruppi del Polo di allora - di tutela della minoranza slovena nel Friuli-Venezia Giulia: la legge - se non ricordo male - n. 38 del 2001.
Ma aggiungo anche (perché la XIII legislatura è stata feconda sotto questo profilo) l'approvazione - nel quadro della legge di riforma dei cinque statuti speciali, in materia di forma di Governo e di legge elettorale, nell'ambito dell'articolo 4, riguardante la riforma dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol - di norme a tutela delle minoranze linguistiche anche nella provincia autonoma di Trento, analogamente a quanto già previsto dallo statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol per quanto riguarda la provincia di Bolzano.
La tutela riguarda le minoranze linguistiche della provincia autonoma di Trento - ladini, mocheni e cimbri -, anche se piccole (è piccolissima quella cimbra, la cui lingua si parla tuttora nel comune di Luserna, mentre la lingua mochena si parla nella Valle del Fersina e quella ladina, come tutti sanno, nella Val di Fassa).

PRESIDENTE. C'è anche l'albanese.

MARCO BOATO. Queste minoranze linguistiche non erano tutelate nello statuto speciale d'autonomia e l'importante riforma approvata nella scorsa legislatura, sia pure riferita ad una piccola porzione del territorio, ha completato quel quadro. Quella era una legge quadro su tutte le minoranze linguistiche storiche, una legge specifica di tutela della minoranza slovena nell'ambito di una legge costituzionale (quale è quella di approvazione dello statuto speciale d'autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol), di tutela delle minoranze


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linguistiche anche nella provincia autonoma di Trento.
In quella cornice, si capisce perché (e, personalmente, condivisi questa scelta già nella scorsa legislatura) diventava possibile e maturo l'inserimento in Costituzione, all'articolo 12, del riconoscimento - che, ripeto, c'è già nell'ordinamento - della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica. Perché? Perché questo riconoscimento non permetterà ad alcuno - e non dovrà permetterlo - di manomettere i diritti riconosciuti alle minoranze linguistiche e anche il diritto (nei territori dov'è riconosciuto) all'uso parificato, ad esempio, della lingua tedesca e francese o di quella slovena (là dove questo riconoscimento sia previsto). Nessuno potrà e dovrà mettere in contraddizione il nuovo secondo comma dell'articolo 12 della Costituzione (se la proposta di modifica, di revisione costituzionale completerà il suo iter) con il principio sancito dall'articolo 6, le cui origini storiche ho ricordato poc'anzi. Si perverrà, così, ad un sistema costituzionale avente qualche analogia con quello della vicina, confinante ed amica Repubblica austriaca (che è una Repubblica federale).
La Costituzione austriaca, infatti, all'articolo 8, recita: «La lingua tedesca è la lingua ufficiale della Repubblica, senza pregiudizio dei diritti che la legislazione federale riconosce alle minoranze linguistiche». Questo è il disposto dell'articolo 8 della legge fondamentale della Repubblica austriaca.
Ebbene, ciò che nella Costituzione austriaca è contenuto, in sintesi, in un unico articolo, una volta approvata questa modifica dell'articolo 12, sarà contenuto, nella nostra Costituzione, nel principio di cui all'articolo 6, che risale al 1948 e in quello che inseriremo nell'articolo 12: la tutela delle minoranze linguistiche, da una parte e, in modo complementare, non contrapposto o alternativo, il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, dall'altra.
La già citata legge n. 482 del 1999, che detta «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» afferma testualmente nell'articolo 1: «La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano». Quindi, quando dico che il principio che proponiamo di inserire nella Costituzione esiste già nell'ordinamento, basta citare questa legge (in realtà, anche altre leggi precedenti lo contengono già, in varia forma: il codice civile, il codice penale, la legge sul notariato ed altre). Il secondo comma del predetto articolo 1 prosegue: «La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge». Quali sono?
L'articolo 2 della legge contenente norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche recita: «In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo». Ecco, questi due primi articoli che abbiamo scritto in I Commissione ed approvato in Parlamento nella scorsa legislatura, in qualche modo, a livello di leggi ordinarie, sono la concretizzazione e l'attuazione sia dell'articolo 6, che ho citato, sia di quel principio che adesso inseriremo nell'articolo 12 della Costituzione. Non condividiamo per questo, signor Presidente, colleghi, le relazioni - lo hanno già ricordato altri colleghi (l'ha ricordato il collega Leoni, se non ricordo male) - che accompagnano le altre due proposte di legge costituzionale presentate, oltre alla nostra, dai deputati di Alleanza nazionale. Il testo è identico, quindi non c'è conflitto. Esse cercano di mettere in contrapposizione - basta leggerle, non le cito, magari le citerò in sede di dichiarazione di voto sugli emendamenti - il riconoscimento della lingua italiana con la forte e doverosa tutela della lingua tedesca prevista dallo statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle sue norme di attuazione; norme di attuazione che, come tutti sanno, sono norme di rango subcostituzionale;


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quindi, nella gerarchia delle fonti, sono sotto le norme di rango costituzionale ma al di sopra di quelle di rango ordinario. Non condividiamo quelle relazioni - ripeto - che, in qualche modo, si contrappongono a quello che è già stato attuato con legge costituzionale o con norme di attuazione, e paventano, colleghi della Lega nord Padania, proposte eventualmente da voi fatte. Leggetevele! Quelle relazioni, oltre alla polemica sciocca con lo statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sono tutte improntate ad una polemica preventiva nei vostri confronti. Non so come i colleghi di Alleanza nazionale contempereranno la loro firma a quella proposta di legge - che ha come primo firmatario l'onorevole La Russa - con quella apposta ad un emendamento - secondo firmatario l'onorevole La Russa -, che contraddice esattamente ciò che in quella relazione è contenuto. È affare vostro, è affare della maggioranza che riesce a fare dei baratti politici persino sulle norme costituzionali, a livello di principi fondamentali. E lo dice un deputato - chi parla - che non è contrario, sia pure avendo dei dubbi sulla formulazione tecnico-giuridica che non mi sembra adatta al rango costituzionale, a ciò che è contenuto in quell'emendamento, che discuteremo dopo avere esaurito questa fase di dibattito e di cui comunque si è già cominciato a discutere.
Credo che il fatto di condividere l'introduzione del comma 2 dell'articolo 12, che prevede il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, oltre ad essere - come ho già detto più volte - complementare alla previsione dell'articolo 6 (la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche), debba essere anche messo in relazione - per togliergli qualunque significato nazionalistica - con un significato di identità dell'Italia dal punto di vista linguistico. Ma non ha alcun significato nazionalistico, e questo lo si capisce leggendo l'articolo 2 della Costituzione, sempre nei principi fondamentali: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (...)». E uno dei diritti inviolabili dell'uomo è rappresentato dall'identità linguistica, quale essa sia. L'articolo 3 della Costituzione, molto più dettagliato al riguardo, recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
I costituenti, quando hanno scritto il fondamentale articolo 3 della Costituzione, hanno parlato di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di lingua e, nel secondo comma, hanno dato mandato alla Repubblica di rimuovere gli eventuali ostacoli al principio di uguaglianza. Ma non basta. Come abbiamo visto, l'articolo 2 della legge n. 482 del 1999 recita: «In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali». La relatrice - che ringrazio per il lavoro svolto - nella sua pregevole relazione all'Assemblea ha giustamente ricordato sia la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, sia l'articolo 27 del Patto internazionale, relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977 n. 881 che stabilisce che in quegli Stati nei quali esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione di usare la propria lingua. Queste citazioni del testo Costituzionale (articolo 2, 3 e 6), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici ci fanno capire perché ho più volte affermato che introdurre all'articolo 12 il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale non limita, non deve limitare, in alcun modo, la tutela dei diritti delle minoranze linguistiche ed anche la parificazione della lingua di queste minoranze, laddove le leggi positive dell'ordinamento lo prevedano.
Dunque, signor Presidente, onorevoli colleghi, insieme al collega Bressa ed alla


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collega Amici abbiamo presentato questa proposta di legge costituzionale con l'intenzione - convergente con altri gruppi ma con diversissima motivazione, che esclude, da parte nostra, qualunque portata nazionalistica - di portare a livello costituzionale un principio già riconosciuto nell'ordinamento, nella consapevolezza che tale principio è complementare e non alternativo agli articoli costituzionali citati ed ai patti internazionali sottoscritti dall'Italia. Sarebbe un gravissimo errore fare di questa occasione un'occasione di malinteso nazionalismo. È invece l'occasione per un rafforzamento, anche a livello costituzionale, dell'identità linguistica nel nostro paese nel contesto sia del pieno rispetto delle diversità linguistiche e culturali sia della specifica e doverosa tutela delle minoranze linguistiche compresa, ove prevista, la parificazione nell'uso della lingua minoritaria.
Vi sono poi altri problemi che si aprono in relazione, come ho già accennato, agli emendamenti. Condividiamo gli emendamenti che il collega Zeller e gli altri appartenenti alla componente delle minoranze linguistiche del gruppo misto hanno presentato, li voteremo se verranno mantenuti all'attenzione dell'Assemblea ma vogliamo, fin d'ora, rendere esplicito - perché questo nostro dibattito costituirà in futuro gli atti preparatori di quella modifica costituzionale e quindi quella modifica dovrà essere letta anche alla luce di questo dibattito - che, pur condividendo quegli emendamenti, l'eventuale reiezione da parte dell'Assemblea nulla toglierà alla portata delle norme costituzionali già vigenti in materia di tutela delle minoranze linguistiche. Quegli emendamenti tendono ad ulteriori specificazioni; i colleghi li hanno presentati e noi voteremo a favore, però, l'eventuale reiezione da parte dell'Assemblea vorrà dire soltanto - come penso la relatrice specificherà in sede di parere sugli emendamenti - che l'Assemblea li ritiene già compresi nella copertura costituzionale dell'articolo 2, 3 e soprattutto dell'articolo 6.
In ogni caso il dibattito sugli emendamenti, ed in particolare sull'unico emendamento sul quale mi pare si profili un parere favorevole, sarà rinviato ad una fase successiva dei nostri lavori. In questa fase mi limito, pertanto, al testo che abbiamo presentato e che è anche il testo che la I Commissione ha presentato all'Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Boato, mi scusi, le chiedo una precisazione: lei ha accennato due volte alla prosecuzione dell'esame di questo disegno di legge, con il voto sugli emendamenti presentati, nella giornata di domani?

MARCO BOATO. No, signor Presidente, ho parlato di fase successiva dell'esame del provvedimento. Non ho detto, e neppure penso, ad una prosecuzione dell'esame nella giornata di domani. Oltretutto non mi sostituirei mai al Presidente nell'assolvimento di un suo compito.

PRESIDENTE. Onorevole Boato, le chiedo scusa, evidentemente avevo capito male. Comunque era solo per una precisazione.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Brugger. Ne ha facoltà.

SIEGFRIED BRUGGER. Signor Presidente, questa proposta di legge lascia noi rappresentanti delle minoranze linguistiche alquanto perplessi, perché la riteniamo inutile, in quanto pleonastica, ed anche per certi versi pericolosa. È inutile, lo ricordavano anche altri colleghi intervenuti prima di me, perché per oltre cinquant'anni nessuno ha mai messo in dubbio che la lingua ufficiale in Italia non fosse l'italiano. Si tratta di una cosa talmente ovvia che anche i costituenti, anche ciò è stato ricordato, non hanno ritenuto di dover scrivere una tale norma in Costituzione.
Da dove deriva allora questa esigenza? Nasce significativamente dalla legge generale sulle minoranze linguistiche; nella precedente legislatura Alleanza nazionale chiese con forza che a tale provvedimento fosse anteposto un articolo 1 di premessa al testo che, appunto, prevedesse come


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ufficiale la lingua italiana. Così fu fatto. Una volta però che con legge ordinaria è stato chiarito tale aspetto, vale a dire il carattere ufficiale della lingua italiana, la ripetizione del principio in Costituzione appare a noi del tutto pleonastica.
Inoltre, la costituzionalizzazione della lingua italiana è, a nostro parere, anche pericolosa: infatti, essa mette in forse l'uso ufficiale delle lingue minoritarie. Ci troveremo cioè con una legge ordinaria che elenca le lingue minoritarie, la quale cozzerà con la previsione di un'unica lingua ufficiale dello Stato, previsione contenuta, appunto, nella Costituzione, che sappiamo essere fonte di rango superiore. Il pericolo di interpretazioni arbitrarie riguarda non tanto le minoranze francofone in Valle d'Aosta - Vallée d'Aoste - e quella germanofona in provincia di Bolzano, Trentino-Alto Adige/Südtirol (dove l'uso ufficiale del francese e del tedesco, come è stato ricordato, è parificato e consacrato negli stessi statuti di autonomia che hanno carattere costituzionale), ma riguarda soprattutto le minoranze riconosciute con legge ordinaria. In pericolo, dunque, sono proprio le minoranze meno tutelate, e tale intenzione traspare in modo esplicito dalla relazione che accompagna i disegni di legge Angela Napoli e La Russa ed altri, dove testualmente si afferma che la proposta mira, tra l'altro, a prevenire situazioni critiche (come nelle predette regioni a statuto speciale) e costituirebbe un antidoto a non meglio specificate tendenze secessioniste. Questa è la realtà delle cose e ciò va ricordato.
Secondo noi, la presente proposta di legge costituzionale lascia quindi aperti grossi dubbi che non sono stati risolti, anche se anch'io voglio dare atto alla collega Mazzoni dei notevoli sforzi compiuti per migliorare il testo originario. Abbiamo presentato diverse proposte emendative proprio per salvaguardare, in questo contesto, il principio della tutela delle minoranze. Purtroppo la maggioranza, in Commissione, ha respinto tutti i nostri emendamenti, e l'unico che ha avuto parere favorevole da parte del Comitato dei nove - non presentato da noi - cioè l'emendamento Cè 1.26, a nostro giudizio è molto limitativo, perché la sua formulazione è del tutto generica e giuridicamente approssimativa.
In conclusione devo constatare, con rammarico, che l'Italia pare non seguire l'esempio del Belgio, dell'Austria, dell'Irlanda, della Finlandia ed anche della Spagna, paesi che hanno riconosciuto l'ufficialità anche di altre lingue. Per questo motivo anticipo fin d'ora il voto contrario dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche a questa proposta di legge (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche e della Margherita, DL-l'Ulivo).

MAURA COSSUTTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori perché il Parlamento (e non solo l'opposizione) attende che il Presidente del Consiglio venga a rispondere all'interpellanza presentata dall'opposizione in merito alle gravissime e inaudite dichiarazioni di corresponsabilità del sindacato rispetto agli atti terroristici.
Signor Presidente, poiché era stata garantita anche la diretta televisiva, vorrei sapere da lei ed evidentemente anche dal Presidente Casini quale sia l'ordine democratico dei lavori di un Parlamento che è, appunto, democratico e che, in quanto tale, si aspetta la presenza del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Onorevole Cossutta, di fronte ad un'interpellanza (forse due), il Governo ha il dovere e il diritto di rispondere e può farlo con i soggetti che possono avere con il Parlamento i rapporti che il Parlamento stesso richiede e che il Governo sceglie.
Per quanto riguarda l'ordine dei lavori, sulla presenza di un soggetto piuttosto che di un altro sono informato tanto quanto lei. Tra poco arriverà il Presidente Casini che potrà meglio precisare le modalità con le quali si svolgerà questo dibattito.


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Desidero, però, dire fin d'ora che quando il Governo è autorevolmente rappresentato, ad esempio, dal ministro per i rapporti con il Parlamento, quest'ultimo ha con il Parlamento i rapporti che il Governo gli assegna. In merito a ciò mi pare non ci debbano essere discussioni (Applausi di deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 19,45)

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei solo fare il punto sui nostri lavori.
Nella giornata di oggi sono stati ripetutamente assunti alcuni impegni e, naturalmente, di ciò non attribuisco responsabilità a nessuno perché non ci stiamo divertendo ma stiamo discutendo di leggi molto importanti che costituiscono anche punti qualificanti di un programma legislativo.
Tuttavia, poiché vi è l'impegno specifico (che è condizione per il passaggio al punto all'ordine del giorno relativo alle comunicazioni del Governo) di terminare l'esame di questo punto all'ordine del giorno e di quello successivo e poiché la televisione, seppure pubblica, non è a disposizione della Camera e non può rivoluzionare i palinsesti ogni dieci minuti (avendo ricevuto da noi una comunicazione per le ore 19, aggiornata alle ore 20), considerato che alle ore 20 sarà difficile passare al punto relativo alle comunicazioni del Governo, penso che la cosa migliore sia chiedere che la televisione... che la televisione... Scusate, può capitare anche a me!

PIERGIORGIO MASSIDDA. È il bello della diretta!

PRESIDENTE. Dicevo che la cosa migliore è di trasmettere in differita le comunicazioni del Governo e il relativo dibattito questa sera, in seconda serata, il che è assolutamente inevitabile per terminare adesso questi due punti all'ordine del giorno. Vi prego, pertanto, di procedere nei lavori.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA. Così si finisce a mezzanotte!

PRESIDENTE. Finirà quando finirà, onorevoli colleghi. Non è certamente colpa del Presidente se adesso siamo qui a discutere. Onorevole Russo Spena, non apra un dibattito su questo. Ho solo dato una comunicazione. Prego, onorevole Russo Spena.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, intervengo brevemente anche se il tema meriterebbe molto più tempo. Vorrei esprimere una preoccupazione: so benissimo, come diceva il Presidente di turno Biondi, che ogni membro del Governo e il ministro per i rapporti con il Parlamento rappresentano tutto il Governo, ma qui dobbiamo andare oltre...

PRESIDENTE. Onorevole Russo Spena, mi scusi, ma parleremo di tale argomento quando arriveremo al relativo punto all'ordine del giorno.
Riprendiamo ora gli interventi sull'articolo unico del testo unificato delle proposte di legge costituzionale e sul complesso delle proposte emendative ad esso presentate.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che a nessuno di noi sfugga, o quanto meno sarebbe stato auspicabile ed opportuno che a nessuno di noi sfuggisse, il fatto che stiamo affrontando un tema ed intervenendo su una questione di rilievo strategico e culturale. Ciò avviene non solo, come rilevava il collega Boato, perché stiamo riscrivendo il dettato costituzionale, ma perché - e va sottolineato - nel fare questo stiamo intervenendo su quella parte della Costituzione che definisce i principi fondamentali. Vorrei aggiungere che nel farlo stiamo


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intervenendo su un articolo, l'articolo 12 appunto, carico di significati simbolici. Che altro è la bandiera, colleghi, se non epos, trasfigurazione simbolica della nostra memoria storica, il simbolo, quindi, di una storia comune, la conferma di un passato comune?
Modificare oggi l'articolo 12 della nostra Costituzione significa, allora, integrare una norma costituzionale - lo ripeto, colleghi - profondamente carica di implicazioni simboliche. Dispiace che questo dibattito avvenga con modalità e tempi che non sono congruenti rispetto all'importanza di ciò che stiamo per fare. Tali dimensioni simboliche rinviano alla dimensione dell'identità collettiva, all'identità degli italiani che si riconoscono in quella bandiera. Ci si muove, colleghi, su un terreno delicato, quello dell'identità collettiva degli italiani. Vedete, proprio perché noi della Margherita siamo convinti che l'identità degli italiani rinvii ad un etnos la cui natura è complessa, composita, molecolare, crediamo si debba procedere con intelligenza politica. Non ci si può dividere, colleghi della maggioranza, anche su ciò che attiene alla definizione dell'identità della nostra comunità nazionale: ciò è sbagliato, non ha senso. La memoria collettiva, la bandiera, la nostra storia comune, l'epos, con le altre componenti costitutive della nostra identità, il genos, il logos, la lingua e non certo da ultimo - lo dico ai colleghi della Lega - l'oikos, la terra, il territorio definiscono la nostra identità collettiva.
Sbaglia, colleghi, chi pensa ad un'identità che si fondi esclusivamente sul sangue e sulla terra, ve lo dico con chiarezza, ma sbaglia...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di ascoltare con attenzione l'onorevole Colasio che sta facendo un intervento importante.
Prego, onorevole Colasio.

ANDREA COLASIO. Ma sbaglia, colleghi, egualmente chi pensa che le identità territoriali siano una sorta di elemento residuale. Le identità, le diversità regionali non sono certo una persistenza residuale, un incidente di percorso sulla storia della modernizzazione, una fastidiosa persistenza delle tradizioni. Al contrario, colleghi, tutto ciò è costitutivo della nostra identità collettiva.
È a noi tutti noto, del resto, che la formazione ed il consolidamento dello Stato nazione in Italia sono stati processi tardivi, qualcuno potrebbe dire anche incompiuti. Allo stesso modo ci è chiaro che l'assimilazione e l'omologazione linguistica sono processi che, pur nel loro dispiegarsi, hanno trovato forti resistenze a livello di comunità e di società locali.
Va detto con chiarezza: la stragrande maggioranza degli italiani oggi non esita a definirsi molto orgogliosa di essere italiana e questo, colleghi, tanto nel profondo nord-est che in Calabria, in Toscana, in Lombardia, come in Sicilia. Ecco, allora, il punto politico: questa identità italiana non è un'identità esclusiva, non confligge con altre identità politiche e con altre appartenenze. Quindi, italiani sì, ma al tempo stesso orgogliosi - questo è quanto denotano le ultime ricerche sul campo - di essere siculi, veneti, lombardi, lucani. L'identità è plurima, le identità non si elidono, coesistono. Dentro questa identità trova il suo grande spazio l'identità europea, il nuovo oikos, il nuovo territorio, prima ancora che politico culturale, che dobbiamo costruire.
L'onorevole Selva spesso ama citare il Placito di Capua, l'atto del 961 che definisce lo statuto giuridico dell'abbazia di Montecassino «Sao ko kelle terre» come momento genetico della lingua italiana che si emancipa dalla lingua latina.
Alcuni colleghi della Lega ci ricordano spesso che con la lingua veneta venivano redatte le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato e anche questo costituisce un fatto culturale. Colleghi, credo che sia, però, non meno pertinente, sul piano politico, ricordare che il nostro sistema politico, ahimè, è stato attraversato da linee di frattura politiche, culturali ed ideologiche profonde che, di fatto, hanno impedito - e di questo dovremmo discutere oggi - il formarsi di una cultura civica, di una


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revisione civile (per dirla all'americana) e di un comune senso di appartenenza alla comunità politica.
Il prefetto prima e il partito di massa ideologico, ahimè, spesso hanno costituito l'alternativa ai fattori di unificazione nazionale e ciò costituisce un problema. Colleghi, non si può eludere il problema della nostra identità italiana oggi in Europa e se è vero che - come ricordava de Tocqueville - il federalismo non si risolve in una teoria giuridica dello Stato, è non meno vero che ne consegue che, senza società federale, non vi è federalismo: questo è il senso degli emendamenti presentati dai deputati del gruppo della Margherita.
Allora, se non possiamo non costituzionalizzare - ma noi siamo titubanti - la lingua italiana, non possiamo - ed è qui che state sbagliando - gerarchizzare le identità. I colleghi delle minoranze etniche l'hanno sottolineato poco fa: non possiamo gerarchizzare le identità perché queste ultime non si misurano, non sono negoziabili.
Vorrei ricordare che nella precedente legislatura - lo ricordava l'onorevole Boato - questo Parlamento e l'Ulivo hanno approvato una legge importante, la legge n. 482 del 1999, sulle minoranze linguistiche: si tratta di un provvedimento che segna e conclude in positivo il nostro ruolo in Europa.
Colleghi, l'Europa è e resta, ma soprattutto dovrebbe restare, l'orizzonte strategico che oggi guida la nostra azione. Siamo, quindi, perplessi perché oggi si sta piegando una scelta politico-culturale a basse esigenze di mediazione politica e a contingenze politiche. Stiamo sbagliando e, quindi, invitiamo la maggioranza a ripensare seriamente alle decisioni che sta assumendo: non dovete svilire una scelta che è la porta con cui entriamo in Europa.
Noi vogliamo entrare in Europa non dalla porta di servizio, ma da quella principale: con le decisioni che state assumendo, ahimè, ci fate entrare dalla porta di servizio (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sull'articolo 1 e sulle proposte emendative ad esso presentate, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

ERMINIA MAZZONI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutti gli emendamenti, ad eccezione dell'emendamento Cè 1.26, sul quale la stessa esprime parere favorevole.
Vorrei precisare che la Commissione esprime parere contrario sull'emendamento Mascia 1.23 perché non ritenuto fondato e su tutti gli altri emendamenti si esprime parere contrario perché, come ampiamente spiegato nella relazione e nel corso del dibattito, tutto ciò che si propone di ribadire con gli stessi è già contenuto nel dettato costituzionale.

PRESIDENTE. Il Governo ?

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Il Governo concorda con il parere espresso dal relatore tranne che per l'emendamento Cè 1.26, sul quale si rimette all'Assemblea.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.23, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 377
Votanti 372
Astenuti 5
Maggioranza 187
Hanno votato
23
Hanno votato
no 349).

Prendo atto che il dispositivo di voto dell'onorevole Bimbi non ha funzionato e che avrebbe voluto esprimere un voto contrario. I deputati verdi che hanno partecipato alla votazione hanno erroneamente


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espresso il loro voto, mentre tutti avrebbero voluto esprimere voto contrario.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Zeller 1.5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se c'è una persona in quest'aula che usa sempre con parsimonia il proprio tempo è l'onorevole Boato.

MARCO BOATO. Signor Presidente, volevo sottolineare che esprimere un urlo di disapprovazione quando si stanno cambiando i principi fondamentali della Costituzione è un po' strano.
Comunque, i Verdi, e spero anche altri colleghi, esprimeranno un voto favorevole sull'emendamento Zeller 1.5 e - se lei me lo consente, così non riprenderò la parola - anche sugli emendamenti Zeller 1.4 e 1.25.
Avendo la relatrice espresso parere contrario, suppongo che non verranno accolti dall'Assemblea ma vorrei sottolineare le motivazioni che la stessa ha fornito e che sono anche le nostre nell'esprimere un voto favorevole.
Noi condividiamo tali emendamenti e saremmo felici che uno di questi venisse approvato. Tuttavia, la reiezione da parte dell'Assemblea non comporta la reiezione del loro contenuto perché - come giustamente ha affermato la relatrice - si intende che quelle norme sono comunque previste e tutelate già dal testo costituzionale, in particolare dall'articolo 6 e dall'articolo 3 della Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zeller 1.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 380
Votanti 287
Astenuti 93
Maggioranza 144
Hanno votato
66
Hanno votato
no 221).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zeller 1.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 389
Votanti 295
Astenuti 94
Maggioranza 148
Hanno votato
70
Hanno votato
no 225).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zeller 1.25, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 389
Votanti 297
Astenuti 92
Maggioranza 149
Hanno votato
70
Hanno votato
no 227).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Bimbi 1.24.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, questo emendamento si iscrive nella rivendicazione del diritto alla


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diversità culturale e linguistica, che proprio la sempre maggiore integrazione dell'Europa ci richiede.
L'emendamento è stato ispirato dalla Carta dei diritti fondamentali degli europei presentata a Nizza, che contiene il riferimento alla dignità di tutte le diversità linguistiche presenti nell'Unione. La dignità è il primo dei valori fondamentali indicati dalla Carta perciò, l'averla riferita alle diversità linguistiche, attribuisce ad esse un riconoscimento che dobbiamo tenere nel debito conto.
Ma in quali scenari si colloca, oggi, il concetto di dignità delle diversità linguistiche? Intanto, in una pari dignità. C'era davvero bisogno, dopo Maastricht e Nizza, dopo l'inizio di un percorso che speriamo ci porterà ad una Costituzione europea cui cederemo parte della nostra sovranità di Stati nazionali, di dichiarare l'italiano lingua ufficiale della Repubblica? Non credo; almeno non con la forma e le motivazioni di alcuni dei presentatori delle proposte di legge.
È giusto riconoscere e darle valore dopo la rilevanza che l'articolo 6 attribuisce alle cosiddette minoranze linguistiche che sono - è bene ricordarlo - maggioranze culturali in uno specifico territorio? È giusto riconoscere e dare valore a tutte le diversità culturali presenti nelle macroaree culturali che fanno riferimento agli Stati nazionali e non solo?
Con l'integrazione europea ci rendiamo sempre più conto - anche io che sono nata in Toscana - che i cittadini italiani parlanti germanico fanno parte pienamente non solo della koinè italiana, ma anche della maggiore area culturale e linguistica dell'Europa.
Questo esempio ci fa comprendere che insistere su una sovrapposizione tra lingua e Stato non rende conto della domanda di riconoscimento delle differenze che sta nella storia europea di oggi, mentre era tacitata fino a ieri.
La separazione tra identità linguistica e simbologia dello Stato era nota almeno dal cinquecento, quanto meno nella Serenissima Repubblica di Venezia. Nel 1509 la Serenissima Repubblica pose per prima il nome dell'Italia sulle sue insegne, proprio nella battaglia di Agnadello, cercando di convincere gli altri Stati italiani a contrastare le potenze europee e il papato.
La Liga veneta, purtroppo, ha fondato parte del proprio rancore su questa memoria, in quanto non ha ricordato la distinzione tra unità culturale e unità politica che la Repubblica veneta mostrò già allora di comprendere.
Se sono convinta che l'italiano, dal 1200 in poi, si esprime come lingua universale sul piano culturale, non sono affatto convinta che lo diventi di più con la sua istituzionalizzazione come lingua ufficiale della Repubblica.
Cosa vuol dire lingua universale? Lo ha scritto Bourdieu, un anno fa in una pagina di Le Monde, durante il dibattito su Seattle. Il suo manifesto su Le Monde in difesa della differenza culturale ci ha fatto comprendere che l'universalismo sta nell'italiano di Dante, di Petrarca, nel francese di Molière e di Foucault, nel germanico di Freud e di Thomas Mann, nell'inglese di Shakespeare, ma anche nel russo di Dostoevskij.
Qui si fonda la koinè europea, come nella lingua veneta che ho imparato in questi trent'anni. Ma in questa prospettiva non può darsi nessuna gerarchia di valore fra le diversità linguistiche presenti nel territorio che non si fondi sull'uso e sulla reciproca conoscenza.
Ritorniamo alla Carta dei diritti fondamentali degli europei: tutte le diversità linguistiche hanno pari dignità. Senza questa specificazione che si riferisce all'italiano, alle cosiddette minoranze linguistiche - che minoranze non sono -, alle lingue regionali, ma anche agli antichi e nuovi gruppi linguistici, non mi sentirei affatto di esprimere un voto favorevole sulla proposta di modifica dell'articolo 12 della Costituzione come è stata formulata (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.


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MARCO BOATO. Signor Presidente, anche in questo caso sarò brevissimo. La componente dei Verdi esprimerà un voto favorevole - e invitiamo gli altri a fare lo stesso - sugli emendamenti presentati dalla collega Bindi e dal collega Colasio e sottoscritti da molti altri colleghi della Margherita e delle minoranze linguistiche. Farò quindi un'unica dichiarazione di voto sugli emendamenti Bimbi 1.24 e Colasio 1.1, 1.2 e 1.3.
Condivido pressoché totalmente ciò che la collega Bimbi e, prima, il collega Colasio hanno detto, salvo il fatto che mi pare implicito nella loro posizione: il rigetto del testo principale che noi invece abbiamo presentato e sul quale esprimeremo un voto favorevole. Anche in questo caso, vorrei sottolineare che l'eventuale reiezione di questi emendamenti da parte dell'Assemblea non implica la mancata condivisione di ciò che vi è contenuto, ma riguarda la loro collocazione all'interno dei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.
Credo sia importante dirlo: basta leggere questi emendamenti per capire l'importanza dei contenuti normativi che vi sono espressi. Quindi, invitiamo i colleghi ad esprimere un voto favorevole sugli emendamenti Bimbi 1.24 e Colasio 1.1,1.2 e 1.3. Signor Presidente, le chiederò la parola quando passeremo alla votazione dell'emendamento Cè 1.26.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bimbi 1.24, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 374
Votanti 293
Astenuti 81
Maggioranza 147
Hanno votato
71
Hanno votato
no 222).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Colasio 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 394
Votanti 306
Astenuti 88
Maggioranza 154
Hanno votato
77
Hanno votato
no 229).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Colasio 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 388
Votanti 307
Astenuti 81
Maggioranza 154
Hanno votato
81
Hanno votato
no 226).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Colasio 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 396
Votanti 314
Astenuti 82
Maggioranza 158
Hanno votato
85
Hanno votato
no 229).


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Passiamo alla votazione dell'emendamento Cè 1.26.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, intervengo sull'ultimo emendamento, sul quale la Commissione ha espresso parere favorevole, mentre il Governo si è rimesso all'Assemblea. L'emendamento Cè 1.26 ha suscitato perplessità in quest'aula e in parte ne ho fatto cenno anch'io; tuttavia, propongo di esprimere su di esso un voto favorevole, come farà la componente dei Verdi. Leggo il testo dell'emendamento Cè 1.26: «la Repubblica valorizza gli idiomi locali».
Esprimo un'obiezione sulla terminologia tecnico-giuridica adottata che tuttavia non mi spinge ad esprimere un voto contrario. Visto che siamo all'inizio della legislatura e, quindi, è possibile un ripensamento, mi auguro che il Senato rifletta su questo aspetto e concretizzi il principio con una terminologia tecnico-giuridica diversa. Però, credo sia sbagliato da parte nostra esprimere un voto contrario su questo emendamento: una volta affermato il principio che la lingua italiana è la lingua ufficiale e riconosciuto ciò che è scritto nell'articolo 6 della Costituzione sulla tutela delle minoranze linguistiche, compresa la parificazione dell'uso della lingua nei casi in cui sia previsto dagli statuti, dalle norme di attuazione o da altre leggi della Repubblica, sarebbe sbagliato respingere questo emendamento.
Credo si debba essere trasparenti in quest'aula; pertanto, mi rivolgo ai colleghi della Casa delle libertà. L'emendamento Cè 1.26 è sottoscritto, tra gli altri, dagli onorevoli La Russa, Volontè e Saponara. Vedo che tra di essi vi è Saponara, illustre collega della I Commissione, ma non il presidente del gruppo di Forza Italia; invece, ci sono i presidenti dei gruppi di Alleanza nazionale, dell'UDC e della Lega nord. Nella proposta di legge costituzionale firmata dal collega La Russa e sottoscritta da tutti i deputati di Alleanza nazionale, dopo avere scioccamente polemizzato con la tutela della minoranza linguistica tedesca nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, in particolare nella provincia di Bolzano, si afferma: tale esempio - quello del Trentino-Alto Adige/Südtirol - ci obbliga a prevenire situazioni critiche analoghe nel momento in cui i più recenti orientamenti autonomisti portassero a valorizzare la lingua o il dialetto di altre comunità minoritarie o di altre aree geografiche del territorio della Repubblica.
In altre parole, il collega La Russa nel testo della sua relazione dice l'opposto di quanto previsto nell'emendamento Cè 1.26, che, per ragioni di compromesso politico fra Lega nord Padania, Alleanza nazionale e altre componenti della Casa delle libertà, oggi ha sottoscritto, addirittura come secondo firmatario.
Io credo che questo non sia l'itinerario migliore per arrivare a inserire una norma tra i principi fondamentali della Costituzione. È un pasticcio politico fatto fra le istanze della Lega nord Padania, legittime, anche se a volte espresse in modo discutibile, e la posizione esattamente opposta di Alleanza nazionale espressa nella relazione che accompagna un testo che condividiamo, tanto è vero che ne abbiamo presentato uno identico. È un pasticcio.
Nonostante questo, siccome il testo dell'emendamento recita «La Repubblica valorizza gli idiomi locali», che diventa il terzo comma dell'articolo 12, dopo il secondo che recita «La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica», noi lo riteniamo comunque un elemento positivo, di valorizzazione delle pluralità linguistiche, che va anche nella direzione degli interventi che la collega Bimbi e il collega Colasio hanno svolto. Quindi, si tratta di un arricchimento del testo costituzionale che, sotto questo profilo, non ci vede contrari e su cui voteremo in senso favorevole, anche se siamo molto, molto perplessi sulla formulazione di questo emendamento ed affidiamo al Senato - augurandomi che ciò si verifichi, visto che, lo ripeto, avremo tutto il tempo in questa legislatura di ritornare su questo argomento - il compito di meglio affinare questa norma. Un voto contrario avrebbe il sapore del disconoscimento del suo


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contenuto (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di stare tutti tranquilli!

MARCO BOATO. Neanche quando uno vota a favore di un loro emendamento stanno tranquilli. Questo è il livello intellettuale che hanno alcuni colleghi che stanno alle mie spalle!
Comunque, ripeto, nonostante le polemiche sciocche che stanno facendo, io confermo il voto favorevole, ma anche il totale dissenso sul compromesso politico attraverso cui si è arrivati alla formulazione tecnico-giuridica di questo testo che, mi auguro, verrà modificata dal Senato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, intervengo semplicemente per dire che questo emendamento, concordato dalla maggioranza, smentisce totalmente l'assunto stesso delle proposte di legge presentate dall'onorevole La Russa e dall'onorevole Angela Napoli. Noi non siamo disposti a partecipare a questo gioco di equilibri tra le forze della maggioranza, al di là del contenuto stesso dell'emendamento, che francamente passa in secondo ordine. Mi sembra che quello che oggi bisogna condannare sia il fatto che su alcune norme fondamentali, come i principi della Costituzione, ci siano equilibrismi di questo tipo.
Noi siamo contrari a modificare i principi fondamentali della Costituzione e siamo stati d'accordo solo ed esclusivamente sull'affermazione del principio della lingua italiana come lingua ufficiale. Consideriamo ogni altra norma sovrabbondante, ritenendo che le tutele delle minoranze e degli idiomi locali siano già ricomprese negli articoli 5 e 6 della Costituzione. Pertanto, voteremo contro l'emendamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA. Signor Presidente, l'onorevole Boato ha sottolineato l'errore tecnico-giuridico di questo emendamento. Vorrei un po' di attenzione dall'onorevole Boato, perché credo che qui stiamo commettendo un errore drammatico. Nella lingua italiana, idioma vuol dire lingua peculiare di una nazione, con una sottolineatura enfatica. Può anche voler dire dialetto, parlata regionale o anche, nel significato etimologico originario, quello usato da Dante, un modo particolare di parlare. C'è un verso di Dante che recita «consolando, usava l'idioma che prima i padri e le madri trastulla»; un modo di parlare. Comunque, il significato primario è questo: lingua peculiare di una nazione.
Noi introduciamo in Costituzione l'esistenza di una pluralità di nazioni sul territorio italiano, ciò in contrasto con la stessa Carta fondamentale della Repubblica, la quale, una sola volta usa il termine «nazione», al singolare, riferendosi alla nazione italiana (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Si tratta dell'articolo 9, il quale afferma che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.
Come possiamo conciliare il contenuto costituzionale, che fa riferimento a volte allo Stato, a volte alla Repubblica e, comunque, alla nazione italiana? Noi introduciamo surrettiziamente, senza accorgercene, senza che l'onorevole La Russa comprenda quello che scrive e controscrive...

IGNAZIO LA RUSSA. Vergogna, vergognati!

ANTONIO SODA. ...e senza che la relatrice comprenda la portata di questo emendamento. Noi affermiamo che esistono nella nostra Repubblica una pluralità di nazioni, il che mi sembra non sia nella coscienza, nella volontà e nella natura del popolo italiano.


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Evitiamo, quindi, di scrivere delle scempiaggini, delle stupidaggini.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, volevo tranquillizzare il collega che mi ha preceduto: non sarò intelligentissimo ma capisco quello che scrivo e, se non lo capissi, valorizzeremmo gli idiomi locali. Qualche collega che prima è intervenuto ha parlato di sovrabbondanza, ma ciò non ha importanza.
Vedi, caro collega, basta leggere; «idioma» nel vocabolario - in qualunque vocabolario - significa lingua propria di una nazione o di un determinato gruppo etnico, ma significa anche lingua regionale o dialetto parlato in una singola zona od anche, secondo l'etimologia antica, modo di parlare. Non per nulla nel nostro comune emendamento non abbiamo scritto solo «idioma», ma abbiamo scritto - bastava leggerlo tutto - «idioma locale». Non si tratta quindi di una lingua nazionale locale; per «idioma locale» si intende la seconda interpretazione (Commenti del deputato Soda) che vi è in tutti i vocabolari, e cioè lingua locale, dialetto, parlata locale che, secondo noi, vanno valorizzati, non l'abbiamo mai messo in discussione. La somma delle specificità arricchisce la cultura nazionale. Noi di Alleanza nazionale non abbiamo nessun imbarazzo a valorizzare gli idiomi locali, ci fa piacere ed onore (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).
Caro collega, avevi ragione quando in precedenza hai rilevato un'incongruenza nella relazione rispetto al testo dell'emendamento presentato. Sappi che quella relazione rappresenta un omaggio nei confronti di una persona che ci è molto cara; si tratta di colui che, per primo, ha voluto che si arrivasse a questa proposta di legge. Abbiamo conservato la stessa relazione della scorsa legislatura che è stata voluta e scritta da Pietro Mitolo, un deputato che non è più con noi e che abbiamo ritenuto di onorare riportando le sue motivazioni (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale e di deputati del gruppo di Forza Italia).

MARCO BOATO. Specifica che non è morto (Si ride)!

IGNAZIO LA RUSSA. No, non è morto. Non è presente in aula, è vegeto, ci sta ascoltando ed è felicissimo riguardo all'approvazione di questa legge. Credo che in questo momento abbia incrociato le dita, gli avete dato almeno dodici o ventitré anni di vita.
Cari colleghi, questo emendamento non è frutto di chissà quale losco modo di fare compromessi, è esattamente il frutto... che succede?

MARCO BOATO. Hanno fatto gesti scaramantici.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA. È esattamente il frutto di un convincimento profondo che, vi piaccia o no, rende più forte e più coesa di quanto voi potevate immaginare e sperare la Casa delle libertà, ed anche il rapporto tra la cultura espressa da Alleanza nazionale e quella della Lega e di Forza Italia.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cè 1.26, accettato dalla Commissione e sul quale il Governo si è rimesso all'Assemblea.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 392
Votanti 383
Astenuti 9
Maggioranza 192
Hanno votato
221
Hanno votato
no 162).


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Avverto che il dispositivo di voto dell'onorevole La Russa non ha funzionato e che questi avrebbe voluto esprimere voto favorevole.
Avverto che, consistendo la proposta di legge in un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del regolamento.

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